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Sto facendo la sacca per partire
da Venezia. Già da tempo Alice Weaver, mia moglie, le rare
volte che ci vediamo non mi chiama per nome ma per cognome,
"Blatt, credo ragionevole che tu lasci Venezia, diciamo verso
fine giugno"
"... verso fine giugno: E dunque, Alice, io sbagliavo credendo
tu avessi notato che siamo a fine maggio e che io già sto
mettendo insieme i miei 4 stracci e le mie 4 carte per partire.
Gilberto Rossi ha lasciato a mia disposizione questo suo appartamento
qui in Campo San Vidal ma non mi va di restarci solo, ora che
lui è andato a Parigi".
Questo di Gilberto Rossi è un appartamento grande e a due
piani e ci sarebbe ampio posto anche per Alice Weaver, mia moglie,
addirittura senza doversi mai imbattere l'una nell'altro ma lei
invece quando sta a Venezia sta da un'amica russa, di nome Astra,
a Dorsoduro.
Da questa amica russa ci sta, quando è a Venezia, anche
Marika Peck, una delle 3 sorelle Peck. Delle 3, Marika è
la meno "intelligente" e quindi più invadente
e gossipy ossia più vicina, come impostazione di vita,
a mia moglie Alice Weaver nella sua fase attuale. Delle altre
due Peck, Charlotte e Diane, Charlotte è nel servizio estero
cioè foreign service, quindi, per lei, c'è Barcellona,
Singapore, gli Emirati o altro, Venezia stessa talvolta per qualche
congresso o vertice e allora rifiuta il grande albergo sul Canalazzo
e sta dall'amica Astra anche lei.
La 3a Peck poi, ossia Diane, aveva annunciato che veniva qui addirittura
con Astolfo suo figlio ma da settimane ormai non si hanno le coordinate
né di Diane né di Astolfo e io intanto mi sono accorto
di essere rimasto fermo qua in una solitaria, immotivata, gratuita,
vacua eppure sgradevole irritazione, alleviata un po' quando mia
moglie dà a questa mia irritazione un motivo, un oggetto,
un corpo come ecco per esempio
"ma Blatt tu hai detto che avresti aspettato finché
arrivavano la tua amica Diane e suo figlio Astolfo"
"ma Alice, né Diane né Astolfo sono poi arrivati"
"Blatt avevi detto che aspettavi finché arrivavano
i tuoi amici Diane e Astolfo"
"sì Alice, ma vedi, non sono arrivati"
"ma Blatt l'avevi detto tu che arrivavano"
"sì Alice ma non li si è visti"
"da vario tempo non riesco più a capirti bene, Blatt"
"figurati io te"
eppure Alice e io non ci riusciamo antipatici; il mio,
semmai, è dolore, sepolto, perduto nel fondo, anestetizzato,
analgesizzato, ma dolore, che se riuscisse a salire e a farsi
riconoscere sarebbe dolore da ricordo, ricordo delle lontane epoche
in cui lei - userò il solito verbo sempliciotto e sbrigativo
- mi amava e questo voleva dire che mi accudiva, mi teneva da
conto, mi ascoltava, mi scuoteva, mi scossonava, mi svincolava,
mi risvegliava dal coma dell'umor nero mediante i potenti farmaci
del buonsenso e dell'ironia e poi con gli stessi farmaci proteggeva
se stessa, si riparava, si immunizzava dalle angosce cosmiche,
dalle angosce metafisiche contemplava gli abissi dell'ignoto e
dell'irraggiungibile, serenamente sorridendo di fronte all'ovvia
impossibilità di concepire, definire, pensare, l'inconcepibile,
l'indefinibile, l'impensabile, di stabilire rapporti sensati con
l'infinito, con l'Infinito nelle due direzioni del Minimo e del
Massimo, dell'Istantaneo e dell'Eterno, del Contingente e dell'Illimitato
ecc, per non parlare del Tutto, e del Nulla.
P.M.Pasinetti: A proposito di Astolfo, Helvetia 2005.
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