Gesù
gli disse: "Ѐ proprio lui stesso che tu vedi e che ti parla". Gv 9 Vs 37 Primo tema
Tema: Il fanciullo
abbandonato: l'uomo è solo o c'è qualcuno che gli parla?
Argomenti: Interrogazione e
individuazione. Nell'interrogazione c'è una presenza. La solitudine dell'uomo. Il niente è relativo a
ciò che l'uomo cerca. Il sopranaturale. La solitudine è relativa a quello che
portiamo in noi. L'esperienza della solitudine è una esperienza
dell'errore di luogo.
15/Gennaio/1989 Casa di preghiera
Fossano
Siamo giunti al versetto 37 del capitolo nono di San
Giovanni, "Gesù gli disse: è proprio Colui stesso che tu vedi e che ti
parla".
Qui c'è da fare una piccola correzione perché il testo in
origine era: "Ѐ proprio Colui stesso che tu hai veduto e che ti
parla".
Anche qui dobbiamo chiederci (è Parola di Dio) quale
lezione, quale significato per la nostra vita personale, nei nostri rapporti
con Dio ci sia in queste parole, cosa Dio abbia voluto dire di Sé a noi.
Quell'uomo aveva interrogato e aveva interrogato perché
era stato interrogato.
Era stato interrogato da Gesù: "Credi tu nel Figlio
di Dio?".
Interrogato, a sua volta interrogò: "E chi è Signore
perché io creda in Lui?".
Qui Gesù risponde.
In un altro luogo invece abbiamo uomini che interrogano
Gesù e Gesù non risponde.
Quando gli chiedono: "Con quale autorità fai queste
cose?", Gesù non risponde anzi, fa a sua volta una contro interrogazione:
"Vi farò anche Io un'interrogazione, il battesimo di Giovanni era dal
cielo o dagli uomini?".
Gli rispondono: "Non sappiamo".
"Nemmeno Io allora vi dico con quale autorità faccio
queste cose" dice Gesù e si rifiuta di rispondere.
Qui invece risponde.
Risponde poiché Lui stesso aveva detto: "Cercate e
troverete, domandate e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto".
C'è un tempo in cui gli uomini lo interrogano e Lui si
rifiuta di rispondere e c'è un tempo in cui lo interrogano e Lui risponde.
Ogni differenza che noi troviamo nel Vangelo, nella
Parola di Dio, è sempre per rivelarci qualche cosa, per farci
approfondire.
Abbiamo detto che risponde perché Lui stesso aveva detto:
"Cercate e troverete, domandate e vi sarà dato, bussate e vi sarà
aperto".
Se qui risponde, è per farci capire
quand'è che Lui risponde, ci fa capire cosa vuol dire quel: "Cercate e
troverete, bussate e vi sarà aperto", cioè ci fa capire quand'è che l'uomo
chiede, quand'è che domanda è quand'è che bussa.
Abbiamo visto che quest'uomo interrogò perché era stato
interrogato.
L'iniziativa è sempre di Dio.
Dio aveva preso l'iniziativa e aveva interrogato
quell'uomo: "Credi tu nel Figlio di Dio?".
E lui a sua volta aveva chiesto: "E chi è?".
Abbiamo visto proprio nel giorno di Natale, come
attraverso quest'interrogazione si giunga all'individuazione.
Se l'uomo non interroga, non può arrivare a individuare,
perché l'uomo possa individuare una cosa o una persona è sempre necessaria da
parte dell'uomo un’interrogazione.
Perché?
Perché l'individuazione è sempre questione di un rapporto
e il rapporto non si stabilisce senza l'uomo.
S’individua, in quanto si rapporta una cosa, una persona
a qualche punto di riferimento.
Per questo è necessaria l'interrogazione.
Qui Gesù risponde dicendo: "Ѐ proprio Colui che tu
hai veduto e che ti parla".
Cos'era che aveva veduto quell'uomo?
Quell'uomo era cieco quand'è stato guarito da Gesù, lui
era cieco dalla nascita, Gesù l'aveva mandato nella piscina di Siloe e lui
evidentemente si era fatto accompagnare alla piscina di Siloe e quando gli
occhi gli si sono aperti, lui, Gesù non l'ha più visto.
Quindi non l'ha visto prima e non l'ha visto dopo.
Qui però Gesù dice: "Ѐ Colui che tu hai veduto e che
adesso ti parla".
"Hai veduto": è un momento passato, "E
adesso ti parla".
Cos'è che quell'uomo aveva veduto?
Una presenza fisica?
Non una presenza fisica evidentemente, perché la presenza
fisica è un segno e il segno non ci fa vedere la Verità.
La Verità non si trova nelle nostre strade, nel mondo
esterno.
La Verità si trova solo conoscendola.
Eppure Gesù dice: "L'hai veduto".
Fa capire quello che avevamo osservato il giorno di
Natale: nell'interrogazione c'è una presenza, un'individuazione.
Interrogando e chiedendo: "E chi è questo Figlio di
Dio?", l'aveva visto.
Nell'interrogazione c'è una presenza, un pensiero.
E questo che il Signore ci fa capire.
Per questo dico: è necessario interrogare per poter individuare
Colui che ti parla.
Qui si presenta un dubbio ed è il problema di questa
sera.
Il dubbio è questo: c'è veramente qualcuno che ci parla?
È un dubbio che grava su ogni uomo.
Quante volte noi diciamo: "Veramente c'è Dio
presente che parla con ognuno di noi?".
O forse non siamo noi che c'illudiamo, o forse siamo
soltanto noi a parlare?
A parlare e a sentir soltanto l'eco delle nostre stesse
parole che poi attribuiamo a Lui?
C'è questo dubbio.
Ogni dubbio ha una sua funzione, perché in quanto avviene,
ha un suo significato profondo per la nostra vita essenziale.
Perché l'uomo sente i dubbi?
Prima di tutto dobbiamo chiederci da che cosa sorge
questo dubbio nell'uomo?
Cioè c'è veramente uno che parla con noi o noi siamo
soli?
Soli come un fanciullo sulla spiaggia di fronte al mare
infinito del mistero dell'universo?
Il mistero della vita, il mistero della morte, il mistero
di tutto quello che accade attorno a noi.
Un mare infinito di mistero ci attornia e noi siamo soli
di fronte a questo, senza capire niente.
Il tema di oggi è: il fanciullo abbandonato, solo.
L'uomo è questo fanciullo abbandonato di fronte a un mistero che è al di sopra delle sue
dimensioni, infatti l'uomo non riesce a capire niente.
Il mistero del mondo supera l'uomo.
Da che cosa sorge il dubbio che l'uomo sia solo e che non
ci sia qualcuno che parli con lui?
L'uomo oltre a essere un essere che è passione di
Assoluto è un essere che fa esperienza della solitudine.
Quest'esperienza tutti gli uomini la fanno, a certo momento
esperimentano di essere soli.
Si è soli soprattutto di fronte ai grandi problemi della
vita: si è soli di fronte alla morte, si è soli di fronte alle scelte
dell'amore.
È un'esperienza che l'uomo fa ed è proprio
quest'esperienza della solitudine che dà luogo al dubbio.
Ci siamo chiesti: qual è la fonte di questo dubbio che si
forma nell'uomo?
E perché l'uomo fa esperienza della solitudine?
Ѐ esperimentando la solitudine che sorge il dubbio: c'è
qualcuno con me o io veramente sono solo?
Dobbiamo chiederci il significato di quest'esperienza
della solitudine che ogni uomo fa.
Tutto ciò che accade, di cui si fa esperienza, ha un suo
valore, un suo significato.
Come e quando l'uomo fa quest'esperienza di solitudine
che gli incrina la certezza che qualcuno parli con lui, facendogli credere che
lui sia un'isola, che in realtà ci sia un'incomunicabilità?
Sorge questo dubbio.
Da che cosa?
Il problema della solitudine è dato dall'esperienza di
un'assenza.
Abbiamo visto già qualche volta il significato dell'assenza,
del niente che l'uomo esperimenta, del vuoto.
Arriva un certo momento in cui l'uomo fa esperienza del
vuoto nella sua vita, del niente.
Gesù stesso dice: "Senza di Me fate niente" e in quanto dice: "Senza di Me fate
niente", vuol dire che l'uomo fa esperienza del niente, perché le Parole
che Gesù dice, esprimono una realtà.
Segno che l'uomo ha la possibilità di fare l'esperienza
del niente.
C'è anche la Parola di Dio che dice: "Senza di Lui é
fatto niente tutto ciò che è fatto".
Quindi c'è questo niente che si fa esperimentare, che si
fa toccare dall'uomo.
Quando abbiamo parlato del niente, del vuoto, avevamo
detto che il niente non esiste.
E se non esiste come si può far esperienza di ciò che non
esiste?
Ce lo eravamo chiesto allora.
Eppure l'uomo fa esperienza del niente.
Il niente non esiste in Assoluto ma, è relativo ciò che
l'uomo cerca, a ciò che desidera, cioè è relativo è ciò che ha dentro di sé.
Quindi diciamo: in Assoluto il niente non esiste, in
Assoluto esiste l'Essere, esiste la Verità, esiste Dio, esiste quello che
esiste in Assoluto.
Il niente, il vuoto, l'assenza invece sono concetti
relativi.
E quando si dice relativo, vuol dire che non esiste in sé
ma, esiste in quanto è in relazione a un altro.
In relazione a che cosa?
In relazione a ciò che l'uomo desidera, a ciò che
aspetta, a ciò che cerca.
Se cerchiamo qualche cosa e non la troviamo fra le cose
che abbiamo presenti, noi diciamo che non c'è.
Nasce così il concetto di niente, perché non c'è quello
che si cerca.
Non già che il niente esista, perché uno davanti a sé ha
altro ma, non ha quello che cerca, non trova quello che cerca o quello che
desidera.
Allora dice: "C'è il niente".
Quindi il concetto di niente è relativo a ciò che si ha
dentro, quindi è relativo a una dimensione dell'uomo, perché se l'uomo non
desiderasse niente, non cercasse qualche cosa, lui avrebbe sempre attorno a sé
qualche cosa, la realtà del mondo esterno è una realtà, non è niente.
Le creature ci sono.
L'uomo non può dire: "Non c'è nessuno".
C'è sempre qualcuno.
Ma dice che non c'è nessuno, quando non c'è quella
persona che cerca.
Quindi noi diciamo che i concetti di nessuno, di niente,
di vuoto, di assenza, sono concetti relativi all'uomo, a ciò che l'uomo porta dentro
di sé.
Stiamo cercando di arrivare a capire il concetto di
solitudine di cui l'uomo fa esperienza, per giungere a quel dubbio: se
effettivamente con l'uomo ci sia qualcuno oppure se l'uomo sia solo di fronte
al grande mistero dell'universo.
Dunque diciamo: il niente e l'assenza sono in relazione a
ciò che l'uomo porta dentro di sé e l'uomo, per l'uomo, avendo dentro di sé un
pensiero, un desiderio, lo realizza in quanto lo trova fuori.
Per lui la realtà non è quello che porta dentro, per lui
la realtà è quella che trova fuori.
Se io cerco una matita e non la trovo fuori, dico che non
c'è.
La realizzazione della matita avviene fuori, non dentro.
Questo avviene nel campo naturale.
E lì noi facciamo l'esperienza dell'assenza, del vuoto,
del niente.
Questi concetti sono concetti relativi a ciò che l'uomo
ha dentro di sé.
E nel campo del soprannaturale?
Soprannaturale è ciò che trascende il mondo esterno, è
ciò che non è condizionato dal tempo, dal luogo, soprattutto che non è
condizionato dai nostri sensi.
Noi diciamo che una cosa esiste o che c'è qualche cosa,
in quanto vediamo con i nostri occhi, tocchiamo con le nostre mani, allora
diciamo: "C'è".
Ma quest'esistenza è relativa, è condizionata ai sensi e
questo è condizionato da quello che abbiamo dentro di noi, nel nostro pensiero.
Invece nel campo dell'Assoluto, della Verità che è
trascendente tutto (altrimenti non sarebbe Assoluto), che non è condizionata né
dai luoghi, né dai nostri sensi, noi dobbiamo evitare l'errore di cercare fuori,
in ciò che dipende dai nostri sensi, in ciò che è condizionato dai tempi e dai
luoghi, evitare di cercare fuori la realizzazione di quello che portiamo
dentro.
Se cerco la matita, la cerco fuori e fuori la trovo in
quanto la tocco e la vedo.
Ma se cerco la Verità, debbo evitare di cercare la Verità
fuori di me, tra le cose che vedo e tocco, perché la Verità non la vedrò mai,
non la toccherò mai con i miei sensi, perché non è condizionata dai miei sensi,
non può essere condizionata dai miei sensi.
Tutto quello che è trascendente, Assoluto, quindi che è
il soprannaturale non può essere condizionato dalla creatura, quindi non può
essere condizionato dai nostri sensi.
Faccio un errore grosso se dico: "Non esiste o c'è
niente o è assente", perché non la vedo e non la tocco, perché non la
trovo davanti a me, perché non la vedo con i miei occhi, non la tocco con le
mie mani.
Faccio un errore grosso perché non può trovarsi lì.
Il mondo esterno ha un valore importante ma, come segno.
Per questo quando Gesù dice al cieco guarito: "L'hai
veduto", vuol dire: non l'hai veduto con gli occhi, non l'hai veduto come
presenza fisica il Figlio di Dio ma, l'hai veduto interiormente.
Come l'hai veduto?
Dove l'hai veduto?
Dove Lui soltanto si trova, dove Lui soltanto si può
identificare.
Noi facciamo l'esperienza della solitudine in quanto non
troviamo qualcuno che parli con noi, in quanto troviamo persone estranee e uno
si sente solo.
Ma come l'esperienza del niente,
del vuoto e dell'assenza sono relative, così anche quest'esperienza dell'essere
soli, della solitudine è relativa.
Relativa a che cosa?
Ѐ relativa a quello che portiamo dentro di noi e che
cerchiamo in un luogo sbagliato.
Infatti, l'Assoluto, la Verità certamente non esiste
fuori, nel mondo esterno tra le cose che si vedono e si toccano.
E allora dico: tutte le cose che appartengono al mondo
esterno sono dei segni, dei segni dell'Assoluto, dei segni del Creatore ma, non
sono l'Assoluto, non sono il Creatore, per cui non possono rispondere a quella
fame di Assoluto che caratterizza l'uomo.
Ora, se l'uomo ha fame di Assoluto, lui esperimenterà
sempre la solitudine fintanto che vive per delle cose che non sono Assolute,
fintanto che non incontra l'Assoluto.
Allora l'uomo esperimenta la solitudine perché nessuno
parla con lui.
Già ma, attorno a te non ci sarà mai l'Assoluto, perché
tutto ciò che è attorno a te, sono dei segni dell'Assoluto ma, non sono
l'Assoluto.
E allora l'esperienza del nessuno,
del niente e quindi della solitudine è conseguenza di un errore, errore di
luogo, è cercare in un luogo sbagliato Colui che noi cerchiamo.
L'uomo è essenzialmente fame di Assoluto ed essendo fame
di Assoluto cerca l'Assoluto.
E siccome l'Assoluto non lo trova se lo cerca in un luogo
sbagliato dice: "C'è nessuno con me".
E fa esperienza di solitudine.
Ma questo non è perché non ci sia nessuno con te, questo
è perché tu cerchi Colui che è con te, in un luogo sbagliato.
Ѐ il rimprovero di Gesù a Maria e Giuseppe: "Non
sapevate che Io mi devo trovare lì?".
Colui che parla con ogni uomo, abita in un luogo ben
preciso.
Non può essere nel mondo esterno.
Il mondo esterno è tutto segno dell'Assoluto ma non è
l'Assoluto.
Il mondo esterno diventa interiore, diventa pensiero.
Dobbiamo evitare l'errore del cortocircuito, perché se il
mondo esterno mi porta al mondo interno e diventa mio pensiero, desiderio, devo
evitare adesso l'errore di cercare nel mondo esterno quello che è oggetto del
mio desiderio, ma devo cercare invece quello che dà risposta al mio desiderio
dentro, non fuori, altrimenti stabiliscono un cortocircuito.
Il mondo fuori mi fa entrare dentro.
Adesso non devo partire dal di dentro e cercare fuori
quello che ho dentro ma, devo trascendere per trovare la giustificazione di
quello che ho dentro, del pensiero, del desiderio che ho dentro.
Stiamo cercando, meditando, riflettendo se l'uomo sia
solo o se ci sia qualcuno che gli parli.
Ora fintantoché l'uomo cerca questo qualcuno che gli
parla fuori, siccome lui è passione di Assoluto e quello che lui cerca fuori è
sempre relativo a ciò che lui porta dentro, lui fuori non troverà mai qualcuno
che gli parla, che risponde, che lo conosce nella sua fame di Assoluto.
Non lo troverà mai.
Quindi è destinato al fallimento.
Destinato a far esperienza di solitudine.
Ma che faccia esperienza di solitudine non è detto e non
è vero che l'uomo sia solo.
L'uomo fa esperienza di solitudine ma non è vero che
l'uomo sia solo anzi, l'esperienza della solitudine che l'uomo esperimenta, che
l'uomo fa, è una Parola di Colui che gli sta parlando: gli sta parlando e
insegnando.
Gli sta dicendo: "Guarda che sbagli il luogo in cui
tu mi stai cercando, Io sono vicinissimo a te, sono con te, tu sbagli
luogo".
Abbiamo così due test per verificare noi stessi e sono
aiuti di Dio.
Se noi siamo con Dio, uno dei primi segni, un test per
verificare la Presenza che abbiamo del Pensiero di Dio in noi è questo:
sentiamo il bisogno di cercare in tutte le cose che accadono il Pensiero di
Dio, il significato di Dio.
Un altro test è questo: se noi abbiamo in noi il Pensiero
di Dio, non cerchiamo Dio nel mondo esterno, nelle cose esteriori.
Ma fintanto che lo cerchiamo nel mondo esteriore, vuol
dire che in noi non c'è la Presenza di questo Pensiero di Dio.
Eppure questo Pensiero di Dio è in noi e parla, questo
Dio parla con noi, anche nel mondo esterno.
L'esperienza della solitudine è ancora una Parola di Dio
per noi, che parla a noi, per dire a noi che sbagliamo il luogo della ricerca, perché
l'Assoluto non si trova fuori ma, dentro, solo dentro di noi, abita dentro di
noi e basta pensarlo per averlo presente, perché abita nel nostro cielo e il
nostro cielo sono i nostri pensieri.
Dio è tra i nostri pensieri.
Lo possiamo trovare soltanto nella misura in cui lo
pensiamo.
Soltanto qui noi ci accorgiamo che c'è qualcuno che parla
con noi e che noi non siamo soli.
Quindi l'esperienza della solitudine è ancora una Parola
di Dio per noi per dire a noi che sbagliamo luogo della ricerca, quindi per
invitare noi a cercarlo dove Lui è.
D'altronde abbiamo visto che la solitudine è un concetto
relativo, com’è un concetto relativo quello di assenza, di vuoto. Perché?
Perché esistono soltanto in quanto c'è una presenza
dentro di noi.
Se io dico che esiste niente attorno a me o non c'è
nessuno attorno a me, è perché ho presente quello che io sto cercando, c'è una
presenza in me.
Il niente è relativo in quanto è condizionato da quello
che ho presente dentro di me.
Quindi anche il vuoto, anche l'assenza, anche il nessuno,
mi testimoniano una presenza e questa presenza è dentro di me, non fuori.
Qui capiamo che solo l'Assoluto è Colui che parla con noi
che abbiamo fame di Assoluto.
Solo Dio è Colui che parla con l'uomo.
Se noi non troviamo questa Presenza di Dio che parla con
noi e noi non la troviamo, fintanto che la cerchiamo fuori, attorno a noi, non
c'è nessuno che parli con noi.
Trovare qualcuno che parli con noi, vuol dire trovare la
Presenza di Colui che si rende presente a me, ma in che cosa in me?
In quello che caratterizza me, ciò in questa passione di
Assoluto che porto dentro di me, dico, se Dio parla con noi, allora Lui dà a
noi la possibilità di capire il senso e il significato di tutte le cose, di
tutti gli avvenimenti, di tutte le creature.
E quando noi vediamo il senso e il significato di tutte
le cose e di tutte le creature, noi ci accorgiamo che tutte le cose, tutte le
creature parlano con noi ma, parlano con noi perché?
Perché Dio parla con noi.
Se Dio parla con noi tutto e tutti parlano con noi, ma se
Dio non parla con noi, nessuna cosa, nessuna creatura, nessun avvenimento parla
con noi.
Noi qui facciamo l'esperienza della solitudine e allora
ci sentiamo abbandonati, soli di fronte un mistero che è più grande di noi, che
è impossibile a noi intendere, perché la chiave di questo mistero è proprio
Lui, Dio, l'Assoluto, Colui che parla con noi.
Gesù
gli disse: "Ѐ proprio Lui stesso che tu vedi e che ti parla". Gv 9 Vs 37 Secondo
tema
Tema: Le tre P:
parola/pensiero/presenza.
Argomenti: L'errore di luogo. La testimonianza della
solitudine. La Parola di Dio è universale. Che cosa è la
parola? Ascoltare Parole di Dio. Noi ci autodefiniamo il campo d'ascolto. La parola è un
segno che comunica un pensiero. Cosa dà significato a una parola? Restare alla
Presenza cui la Parola di Dio ci convoca. I figli e i servi. Il feedback.
22/Gennaio/1989 Casa di preghiera
Fossano
Restiamo ancora in questo
versetto 37, in cui Gesù rispondendo all'interrogazione di quel cieco che Egli
aveva guarito e che gli aveva chiesto chi fosse il Figlio di Dio, gli dice:
"Ѐ proprio Colui che tu hai visto e che chi parla".
Domenica scorsa ci siamo soffermati sul dubbio che l'uomo
può provare circa la Presenza di qualcuno che gli parli: tutto questo come
un'introduzione per capire la portata della dichiarazione di Gesù: "Il Figlio
di Dio è Colui che parla all'uomo".
Ci siamo soffermati su questo dubbio, perché l'uomo lo
prova durante la sua vita, e abbiamo anche cercato quale sia la fonte di questo
dubbio che si forma nell'uomo circa la Presenza di qualcuno, di Dio che gli parla
personalmente poiché Dio parla personalmente con ogni uomo, essendo presente in
ogni uomo.
Abbiamo visto che la fonte di questo dubbio è
l'esperienza che l'uomo fa della solitudine.
L'uomo esperimenta la solitudine ed è proprio per questa esperienza che sorge in lui
l'incertezza, il dubbio, lo sgretolamento della sicurezza della Presenza di
Dio.
Ci siamo anche chiesti perché l'uomo faccia
quest'esperienza, perché si trovi solo di fronte a tanti problemi, soprattutto
di fronte al suo destino, di fronte alla sua morte.
Abbiamo visto che l'esperienza di questa solitudine è la
conseguenza di un errore che l'uomo fa.
E l'errore è questo: l'uomo essendo passione di Assoluto,
cerca l'Assoluto in un luogo sbagliato.
Quando si cerca una cosa in un luogo sbagliato, non si
trova e non trovando, l'uomo corre il rischio di dire: non esiste.
Corre il rischio perché difficilmente l'uomo dice:
"Ho sbagliato luogo".
Con facilità invece dice: "Non esiste quello che io
cerco, perché io ho cercato e non ho trovato e avendo cercato e non avendo
trovato, è segno che non esiste".
Abbiamo anche visto che se l'uomo cerca qualche cosa, è
perché questo qualche cosa lo deve avere presente in qualche modo in sé, perché
non potrebbe né desiderare, né volere, né cercare una cosa che non avesse
presente.
Ѐ proprio il fatto che se l'uomo cerca, deve avere
presente quello che cerca, che ci rivela che l'uomo ha presente quello che
cerca ma, sbaglia il luogo della sua ricerca.
Quindi non è che ciò che egli cerca non ci sia, perché lui
l'ha presente ma, sbaglia il luogo in cui cercarlo.
Se noi cerchiamo l'Assoluto in ciò che non è Assoluto,
certamente non troveremo l'Assoluto.
Se cerchiamo l'infinito nel finito, certamente non lo
troveremo.
Se cerchiamo l'eterno nel tempo, certamente non troveremo
l'eterno.
E se cerchiamo Dio in ciò che non è Dio, certamente non
troveremo Dio.
Questo ci fa capire che se cerchiamo Dio in ciò che non è
Dio, certamente non troviamo Dio, Dio può essere trovato soltanto in un modo:
solo in Dio.
E fintanto che non ci convinciamo che Dio va cercato in
Dio e non altrove, noi non troveremo Dio.
Dobbiamo evitare il grave errore di dire: "Dio non
esiste perché io non l'ho trovato".
Dio si trova soltanto in Dio.
Allora se quando uno cerca, ha presente ciò che cerca,
quest'esperienza della solitudine è una grande lezione per l'uomo, perché è
testimonianza all'uomo della Presenza di ciò che egli cerca.
Ora, se proprio l'esperienza della solitudine che è la fonte del dubbio dell'uomo circa la Presenza,
diventa una testimonianza della Presenza di Colui che cerchiamo, ogni dubbio è
tolto.
Nell'esperienza della solitudine c'è una Parola di Dio
che dice a noi: "Tu stai sbagliando luogo della ricerca di Me", questo
non annulla la Presenza di quello che uno cerca ma, gli dice: hai sbagliato
luogo.
Se l'esperienza della solitudine è una prova della
Presenza in noi di ciò che noi cerchiamo, mentre ci orienta sul luogo in cui
dobbiamo cercarlo, nello stesso tempo annulla, distrugge in noi il dubbio:
resta la certezza.
La fonte del dubbio è l'esperienza della solitudine ma,
l'esperienza della solitudine è un'esperienza di Presenza ed è una correzione
di luogo di ricerca.
Quindi annullando la fonte del dubbio, il dubbio è
annullato.
Resta la certezza: c'è uno che parla con noi, perché c'è
uno che è presente in noi.
Se non fosse presente, noi non potremmo cercarlo ma, se
noi lo cerchiamo e non lo troviamo, non è perché non esista ma, è perché lo
cerchiamo in un luogo sbagliato.
Quindi anche quello che è negativo, diventa positivo,
diventa motivo per ricondurre noi dai nostri luoghi sbagliati, nel luogo giusto
in cui Dio vuole farsi trovare: è opera di Dio anche questa.
Ѐ lezione di Dio anche questa.
In realtà Dio parla in tutto e parla anche
nell'esperienza della nostra solitudine anzi, è Lui stesso che ci fa fare
l'esperienza della solitudine, del non trovare ciò che noi cerchiamo, tutte le
volte che noi sbagliamo luogo.
È Dio che non ci perde di vista anche quando noi
sbagliamo luogo, e ci raccoglie da tutti i nostri luoghi di dispersione.
Cristo, il Figlio di Dio, il Pensiero di Dio tra noi, si
definisce come Colui che è venuto per raccogliere noi, da tutti i nostri luoghi
di dispersione.
Ѐ venuto per raccogliere noi da tutti i luoghi di
dispersione!
Quali sono questi luoghi di dispersione?
Quei luoghi sbagliati in cui noi cerchiamo l'Assoluto,
l'eterno, la vita, la luce, Dio.
Vi è un altro luogo di errore che noi facciamo ed è ciò che dobbiamo ancora premettere, prima di fermarci su
queste parole che dice Gesù: "Il Figlio di Dio è Colui che parla con
te".
Dicendo "Te", dice: "Te uomo", quindi
ogni uomo, perché la Parola di Dio non è riservata per quell'uomo cieco che
Gesù aveva guarito, non è riservata per la samaritana quando le dice: "Ѐ
quegli stesso che Ti parla".
La Parola di Dio è universale, ed essendo universale è
valida per ogni uomo e se a ogni uomo solo, la Parola di Dio dice: "Il
Figlio di Dio è Colui che parla con te", questa Parola essendo universale
è valida per ogni uomo.
Prima di giungere a questo, noi dobbiamo ancora esaminare
un fatto, per evitare il rischio, perché noi corriamo questo rischio, che le
Parole di Dio giungano a noi solo come parole, perché le Parole possono essere
per noi solo parole.
Dobbiamo chiederci ed è l'argomento
di questa sera: che cos'è una parola?
Quando è che una parola è soltanto parola e quando è
invece che una parola è Parola che dice a noi qualche cosa.
E poiché una Parola è tale in quanto ci comunica un pensiero,
dobbiamo passare dalla Parola al Pensiero e poi passare alla Presenza, poiché
un Pensiero è un Pensiero in quanto ci comunica una Presenza.
Per questo abbiamo detto che l'argomento di questa sera è
in tre punti: parola, pensiero, presenza (le tre P).
La conclusione di domenica scorsa è stata questa: se Dio
parla, tutti parlano a noi, se Dio non parla, nessuno parla a noi, perché
abbiamo detto che ciò che dà significato alle cose è la realtà.
Dio è la vera grande Realtà che opera in tutto.
Lui è il Creatore, nessun altro è il creatore.
Lui solo è il Creatore.
Quindi Lui è la Realtà che dà esistenza e significato a
tutte le cose, il che vuol dire che se Dio non parla a noi, niente ha
significato.
Possiamo già intuire come ci siano parole solo parole,
solo rumore, senza un significato.
Se Dio non parla, tutto, anche le Parole di Dio, le
stesse Parole di Dio non hanno più significato.
Ma se Dio parla, tutto parla a noi, tutto ha significato.
Noi qui abbiamo detto "se".
Dobbiamo chiederci se sia lecito dire "se", se
Dio parla e se Dio non parla, perché in realtà essendo tutto creazione di Dio,
tutto opera di Dio, tutto è Parola di Dio e Dio parla in tutto.
E allora come possiamo permetterci di dire "se Dio
non parla"?
Eppure è vero che noi facciamo l'esperienza che certe
Parole sono soltanto parole, ed è vero che facciamo esperienza che tante cose
sono per noi senza significato e che tutto il mondo per noi, personalmente per
noi, perde di significato, perde di senso, anche la nostra stessa vita.
Ciò vuol dire che noi possiamo sentire delle parole senza
significato, cioè Parole solo parole, senza sostanza, e
possiamo osservare degli avvenimenti, dei fatti, la stessa nostra vita, senza
significato, senza sostanza.
Gesù dice: "Chi è da Dio ascolta Parole di
Dio".
Questo ci fa capire una grande cosa: che noi possiamo non
ascoltare Parole di Dio e quando non ascoltiamo Parole di Dio, ascoltiamo
parole senza significato perché sono staccate dalla sorgente ed è soltanto la
sorgente, la realtà, che dà significato alle cose.
Gesù stesso dice ancora: "Per questo voi non mi
ascoltate, perché non siete da Dio".
Dio parla in tutto.
Ma Gesù dice: "Soltanto chi è da Dio ascolta Parole
di Dio".
Dio parla in tutto e noi siamo di fronte alle Parole di
Dio, ma possiamo non vederle, non ascoltarle, non intenderle.
Noi intendiamo le Parole, noi vediamo i fatti, ma non li
vediamo come Parole di Dio, perché soltanto chi è da Dio, ascolta Parole di
Dio.
Chi è da Dio, vuol dire che ha Dio come Padre.
Avere Dio come Padre, vuol dire avere Dio come motivo di
vita.
Motivo di vita è ciò per cui viviamo, è il nostro fine.
Questo ci fa capire che se noi non abbiamo Dio come fine,
cioè se noi non viviamo per conoscere Dio, Dio non è nostro Padre, non abbiamo
Dio come nostro Padre.
E se non abbiamo Dio come nostro Padre non possiamo
ascoltare Parole di Dio, del Dio che parla in tutto.
E se non ascoltiamo Parole di Dio, tutto perde di
significato, perché manca l'anima, manca la sostanza.
Ecco perché possiamo venirci a trovare in un mondo che è
tutto di Dio e non intendere nulla di Dio.
L'uomo ha questa terribile possibilità: può scollarsi
dalla Realtà, può separarsi da essa, può non avere Dio come Padre.
Basta vedere ciò per cui si vive nel mondo, per capire
come l'uomo possa avere altro da Dio come padre suo, altro come motivo della
sua vita, come motivante la sua vita.
Padre è colui che ti motiva, che giustifica la tua
esistenza, che giustifica la tua vita.
Ma ognuno di noi è giustificato da ciò per cui vive e
quindi dal fine.
Questo ci fa capire che il campo del nostro ascolto siamo
noi stessi a determinarlo, vivendo per-.
A seconda della paternità, del motivo per cui noi
viviamo, noi ci autodefiniamo il campo di ascolto.
Quello che apre i nostri orecchi all'ascolto, è
l'interesse che portiamo dentro di noi ma, l'interesse è determinato dal nostro
fine, da ciò per cui viviamo.
Per questo il campo di ascolto, la capacità quindi di
ascolto, si forma in noi in funzione, in relazione a ciò per cui viviamo.
Siamo noi stessi che ci definiamo, c'è un feed-back nella
nostra vita, un’auto condizionamento, in quanto siamo noi stessi che ci
determiniamo il campo di ascolto.
Ecco come può succedere che noi svuotiamo le Parole di realtà,
di sostanza e veniamo a trovarci con Parole che sono solo parole.
Anche questa stessa Parola che dice qui Gesù: "Il
Figlio di Dio è Colui che parla con te", per noi può essere solo parola,
senza sostanza.
Dobbiamo chiederci che cosa fare, come fare per evitare
questo.
Ѐ per questo che dobbiamo fermarci sul
concetto di parola, che cosa s’intende per parola, che cosa vuol dire parlare.
La parola è un segno.
Non tutti i segni sono parole.
Ci sono dei segni che non comunicano niente e ci sono dei
segni che comunicano un pensiero.
Perché un segno porti con sé un pensiero, bisogna che sia
espressione di una persona che porti con sé un'intenzione: allora la parola è
un segno che comunica un'intenzione, che comunica un pensiero di qualcuno.
Quindi è un ponte.
Quando diciamo pensiero che cosa intendiamo per pensiero?
Pensiero è convocazione a una presenza.
Allora la parola che comunica un pensiero ci convoca alla
presenza di uno che parla.
Ma è possibile convocare alla presenza di qualcuno se
questa presenza non è già in noi?
Se la Presenza di uno non è già in noi, noi non possiamo
ricevere la comunicazione di una presenza.
Noi riceviamo la parola ma, questa parola non ci convoca
a una presenza, perché questa parola non è collegabile in noi con una presenza,
se questa non è in noi.
Quello che dà significato a una parola
è ciò che noi portiamo presente dentro di noi.
Se io dico la parola "elefante", a uno che non
ha mai visto un elefante e non sa che cosa sia un elefante, questa parola non
gli comunica assolutamente niente.
Si comunica in quanto si rapporta la parola a una
presenza che si porta già dentro.
Allora questo convocare a una Presenza, è un evocare una
Presenza che si ha già.
La Parola ha questo grande compito: quello di evocarci
una Presenza che portiamo in noi, forse sepolta, forse confusa tra le altre ma,
già in noi, perché se non l'avessimo in noi, nessuna Parola ci potrebbe evocare
tale Presenza.
Evocare vuol dire chiamare.
Se noi diciamo la parola "Dio" a un animale, non
evochiamo assolutamente niente in quell'animale, perché in quell'animale non
c'è la Presenza di Dio ma, se diciamo "Dio" a un uomo, questa parola
Dio evoca nell'uomo una Presenza, perché quella Presenza c'è.
Quindi la Parola ha questo compito, quello di riportare
in evidenza ciò che noi abbiamo trascurato, di richiamarcelo.
Non basta però evocare una Presenza, richiamare a una
Presenza qualcuno, per dargli la possibilità di restare in essa.
Dicendo che non basta, possiamo capire
come Dio può chiamare tutti alla sua Presenza, anche il demonio Dio può
chiamarlo alla sua Presenza ed è qui l'onnipotenza di Dio, però Colui che è
chiamato alla Presenza di Dio, non è detto che possa restare alla Presenza di
Dio.
Può restare soltanto per quello che Dio lo chiama.
Può darsi invece che ci sia la creatura che ha la
possibilità di portarsi alla Presenza e di restare alla Presenza.
Soltanto così possiamo capire come l'uomo possa trovarsi
di fronte a tutte le Parole di Dio, e tutto l'universo è Parola di Dio e non avere
la possibilità di restare alla Presenza di Dio.
Domenica scorsa abbiamo detto che l'esperienza della
solitudine è una testimonianza: non di dubbio ma, una testimonianza della
Presenza di Dio è in noi.
Ma che noi siamo stati chiamati così a costatare la
Presenza di Dio in noi, quindi evocati a questa Presenza (evocare vuol dire
chiamare da lontano), non è detto che noi abbiamo ricevuto la possibilità di
restare in questa Presenza.
E allora dobbiamo chiederci: quand'è che abbiamo la
possibilità di restare in quella Presenza alla quale siamo convocati, evocati?
Il demonio può essere convocato alla Presenza di Dio ma,
non può restare alla Presenza di Dio.
Gesù fa distinzione tra servi e figli e dice che i servi
non possono restare sempre nella casa del Padre, i figli
invece ci restano sempre.
Perché?
Ecco, il Figlio ha la possibilità in tutto di vedere il
Pensiero di Dio.
Si resta nella casa di Dio, là dove si vede in tutto il
Pensiero di Dio.
Invece il servo, al contrario in casa e resta in casa
soltanto per quel tanto che gli parla il padrone. Quindi quando il padrone lo
chiama, lui non può fare a meno di essere convocato alla presenza del padrone,
però non può restare per quello che vuole lui.
Invece il figlio può restare per tutto quello che vuole
lui.
"Non tenere piccolo gregge, perché piacque al Padre
vostro dare a voi il Regno", cioè Dio dà ai suoi figli la possibilità di
restare con Lui, tutto quello che vogliamo, mentre invece il servo non può
restare anche se lo vuole.
Da che cosa è determinata questa differenza?
La capacità di restare alla Presenza di Dio, è
determinata da quello si deduce da Dio, da quello che si contempla in Dio, da
tutti quei segni che si sono raccolti in Dio, visti in Dio e da Dio.
Tutto quello che noi raccogliamo in Dio, dà a noi la
possibilità di restare con Dio.
Ma tutto ciò che non raccogliamo in Dio, ci priva di
questa possibilità di restare con Dio, pur non creando quell'ostacolo tale da
non poter essere convocati da Dio.
Dio essendo onnipotente, può convocare alla sua Presenza,
anche coloro che non raccolgono in Lui, per cui non possono smentire la Verità
di Dio, non possono smentire la Presenza di Dio ma, non possono restare nella
Presenza di Dio, quindi non possono avere pace in Dio.
La pace in Dio, deriva da quanto noi personalmente
abbiamo raccolto, contemplato, dedotto da Dio, cioè da tutti quei segni, da
tutte quelle Parole che noi abbiamo visto da Dio.
Chi è da Dio ascolta Parole di Dio.
Allora diciamo che le Parole sono soltanto parole là,
dove non c'è il collegamento con una realtà e la realtà è ciò che noi abbiamo
presente in noi come realtà, soltanto se in noi abbiamo come realtà Dio e
l'abbiamo come realtà in quanto l'abbiamo come fine nostro, allora le Parole
hanno un significato.
Ma se noi non abbiamo Dio come realtà, e quindi abbiamo
un'altra intenzione, un altro fine, abbiamo altri significati, le Parole di Dio
per noi dicono niente, sono soltanto parole senza sostanza, che non ci
comunicano niente.
Gesù
gli disse: "Ѐ proprio Lui stesso che tu vedi e che ti parla". Gv 9 Vs 37 Terzo tema
Tema: Colui che parla con
l'uomo.
Argomenti: La Realtà è Dio che parla
con l'uomo. La testimonianza della solitudine dell'uomo. La parola e il suo
significato. Ѐ il fine che dà significato alle parole. Nostro padre è il fine
per cui viviamo. La Parola di Dio collega l'effetto con la Causa. La Parola di Dio
collega la passione di Assoluto dell'uomo con l'Assoluto. La presenza
nell'uomo di Dio principio e fine, dà la possibilità della comunicazione
Dio-uomo.
29/Gennaio/1989 Casa di preghiera
Fossano
Restiamo ancora fermi nel versetto 37 in cui Gesù
risponde: "Ѐ proprio quello Stesso che tu hai visto e che ti parla",
a quell'uomo cieco che Egli aveva guarito e che gli aveva chiesto: "Chi è
Signore, perché io creda Lui?", "Chi è il Figlio di Dio?".
Il tema di questa sera è: Colui che parla con l'uomo.
Prendiamo come pensiero guida quello che San Paolo scrive
introducendo la lettera agli ebrei: "Dio che molte volte e in molti modi
parlò ai nostri padri per mezzo dei profeti, all'ultimo parlò per mezzo di suo
Figlio".
Ci fa capire che nell'opera di Dio c'è un progresso, c'è
un parlare di Dio nelle creature ("Molte volte e in molti moti") che
va verso un fine, un termine: all'ultimo Dio parla all'uomo per mezzo di suo
Figlio.
Qui troviamo Gesù che dice: "Il Figlio di Dio è
Colui che parla".
Colui che parla all'uomo.
Sono Parole di Dio e quindi sono Parole universali,
Parole che valgono per ogni uomo, il che vuol dire
che arriva un tempo nell'opera che Dio sta svolgendo nella vita di ognuno di
noi, in cui noi stessi prendiamo coscienza che Colui che parla con noi è il
Figlio di Dio.
Non è che in Dio ci siano tempi diversi, i tempi
riguardano le creature, riguardano l'uomo.
Ѐ l'uomo che, man mano che Dio svolge la sua opera, viene
portato a prendere coscienza della Realtà, della Verità, Verità che era in Principio,
che è adesso e che sarà sempre.
E la Verità è questa: Dio è Colui che parla con l'uomo.
È Parola di Dio.
Ma abbiamo visto che non è sufficiente che le Parole di
Dio giungano noi, perché le Parole possono essere per noi solo parole, cioè
segni senza significato, delle Parole che non dicono niente.
Per questo abbiano fatto precedere l'argomento di questa
sera, da due domeniche in cui abbiamo trattato due argomenti come premessa,
come condizione, per evitare a noi che queste Parole di Gesù fossero per noi
solo parole.
Gli argomenti che abbiamo considerato sono stati: prima di tutto Dio è presente dell'uomo, una
Presenza che nell'uomo può suscitare dubbi e fintanto che l'uomo si trova nel
dubbio verso questa Presenza, viene a trovarsi nell'impossibilità di capire la
Realtà delle Parole che gli giungono.
La fonte di questo dubbio circa la Presenza di Dio, è
l'esperienza che ogni uomo fa della solitudine.
L'uomo fa esperienza di essere solo, di trovarsi solo, di
non avere nessuno che parli con lui, nessuno che lo comprenda, nessuno che lo
conosca, solo soprattutto di fronte ai grandi problemi della vita che in un
modo o nell'altro s'impongono.
Però proprio considerando quest’argomento della
solitudine (da cui deriva il dubbio dell'uomo circa la vera presenza di
qualcuno con lui, che parli con lui), proprio riflettendo su quest'esperienza
della solitudine dell'uomo, abbiamo costatato che essa è una testimonianza
della Presenza di Uno che parla con l'uomo.
L'uomo infatti non farebbe esperienza di solitudine se
dentro di sé non avesse la Presenza di qualcuno.
L'uomo cerca.
Cerca perché ha presente, perché non potrebbe cercare se
non avesse presente qualche cosa.
La ricerca è un atto di volontà e l'uomo non può volere
una cosa se non l'ha presente.
Allora proprio l'esperienza dell'assenza, della
solitudine, diventa una conferma che l'uomo ha la Presenza di Qualcuno che
vorrebbe trovare ma che non trova, perché lo cerca in un luogo sbagliato.
Per cui l'uomo fa un errore ed è in colpa se deduce da
questa sua esperienza, l'affermazione, la dichiarazione che ciò che egli cerca
non esiste.
L'uomo non può e non deve dire: "Ho cercato, non ho
trovato, quindi non esiste" ma, deve dire: "Ho cercato, non ho
trovato, perché ho cercato in un luogo sbagliato".
Ma come l'uomo può dire questo?
L'uomo può dire questo solo se ascolta Dio Creatore,
perché l'uomo nel pensiero del suo io, necessariamente farà questa deduzione:
"Ho cercato, non ho trovato, quindi non esiste".
Solo se è in ascolto di Dio e di Dio Creatore, allora
anche l'esperienza della sua solitudine, la vede come una Parola di Dio e
vedendola come una Parola di Dio, ha la possibilità di capire che questa Parola
di Dio è una lezione verso di Lui, è Dio che gli parla per dirgli: "Guarda
che mi stai cercando in un luogo sbagliato".
È Parola di Dio, come fu Parola di Dio quella di Gesù che
rimproverò Giuseppe e Maria quando lo cercarono in Gerusalemme, dicendo loro:
"Perché mi cercavate, non sapevate che Io mi devo trovare nelle cose del
Padre mio?".
Se l'esperienza della solitudine accolta (e questo è
essenziale) da Dio Creatore è Parola di Dio per l'uomo, è testimonianza
all'uomo che Qualcuno parla con lui, e se Qualcuno parla con lui, è segno che
Qualcuno gli è presente.
Abbiamo detto che sono stati due gli argomenti con cui
abbiamo dovuto preparare l'incontro con questa Parola
di Gesù: "Figlio di Dio è Colui che parla con te", affinché queste
Parole di Gesù non fossero soltanto parole ma, avessero un contenuto e quindi
fossero realtà, costatazione di Realtà.
L'argomento della domenica successiva fu quello del
significato delle parole.
Cos'è che dà significato alle parole?
Quand'è che le parole hanno un significato?
E quando è invece che le parole giungono a noi vuote,
parole che sono solo parole e che non dicono a noi niente?
Abbiamo visto che la Parola (essendo segno con cui si
comunica un Pensiero, e attraverso il Pensiero si arriva a una Presenza),
comunica, ha un contenuto in quanto è in relazione con una realtà, ma questa
realtà non sta nella Parola (la Parola è soltanto un segno), questa realtà sta
in chi ascolta quella Parola.
Quindi il contenuto di una Parola, il significato di una
Parola non dipende da chi la dice, dipende da chi l'ascolta, da ciò che ha in
sé Colui che ascolta.
Ora, quello che ogni uomo ha presente in sé come realtà è
ciò per cui vive.
L'uomo ha presente il fine e abbiamo detto che è il fine
che condiziona l'uomo e che determina tutto nell'uomo, che forma l'uomo.
Il fine è quello che determina il campo di ascolto
dell'uomo, tant'è vero che il fine diventa il padre dell'uomo, il motivo di
vita dell'uomo.
Ora, se il fine è il padre dell'uomo, colui quindi che dà esistenza e forma l'uomo, evidentemente è questa
la realtà che ogni uomo porta in sé, ed è questa che determina il campo di
ascolto ma, che determina soprattutto il significato delle parole. Cioè le
parole che l'uomo ascolta, acquistano significato dal fine per cui egli vive e
se non servono per quel fine, quelle parole sono senza sostanza, non gli dicono
niente, non gli comunicano niente.
Sono parole, solo parole.
La Parola di Dio, essendo Parola di Dio, parla di Dio e
solo di Dio, perché la parola, la si distingue proprio per il pensiero che
comunica.
E così noi abbiamo parole di uomini e abbiamo Parole di
Dio.
Le parole degli uomini sono quelle che comunicano
pensieri di uomini, sono quelle che ci fanno pensare all'uomo.
E queste sono parole di uomini.
Parola di Dio è quella che ci comunica il Pensiero di Dio
e che ci fa pensare Dio.
Ora se la Parola di Dio fa pensare Dio e se nell'uomo c'è
come fine altro da Dio, la Parola di Dio non comunica niente all'uomo, non ha
significato per uomo, non trova una realtà corrispondente nell'uomo a ciò che
essa annuncia, perché realtà per l'uomo è il suo padre e il suo padre è ciò per
cui vive, e l'uomo può vivere per altro da Dio.
L'uomo è creato da Dio ma, non è detto che l'uomo viva
per Dio, per cui abbiamo costatato tante volte che Dio creando l'uomo, dà
all'uomo la possibilità di eleggersi il padre che egli vuole avere come padre.
Per cui ognuno avrà come nome, il nome del padre che egli
avrà voluto avere come padre, questa elezione di paternità l'uomo la determina
vivendo per-.
Ogni uomo necessariamente, anche senza rendersene conto,
vive per qualcosa.
La vita è essenzialmente vivere per-, è avere un fine.
L'uomo si caratterizza per il fine che porta dentro di
sé, l'unica cosa che ha presente.
L'unica cosa che ha presente è ciò per cui vive e questa
diventa la sua realtà è questa diventa ciò che dà significato alle cose ma,
diventa anche ciò che priva di significato le cose e le parole, perché tutte
quelle parole che non servono per quel fine, all'uomo dicono niente, non comunicano
niente.
Questi due argomenti sono fondamentali per poter
comprendere la portata, il significato, il contenuto di queste Parole del
Figlio di Dio che dice a noi: "Il Figlio di Dio è Colui che parla con
te".
Il Figlio di Dio è Colui che parla con l'uomo.
Questi due argomenti sono fondamentali.
Perché?
Perché se noi non c'è la convinzione, avendo eliminato
ogni dubbio, che Dio è presente in noi, non solo, ma che Dio deve essere il
nostro fine, per cui dobbiamo avere Dio come il nostro fine, le Parole di Dio,
soprattutto queste Parole che ci rivelano che Dio è Colui che parla con noi,
non hanno significato, sono soltanto parole, rumore che arriva a noi, ma di cui
non possiamo percepire il significato, cioè non possiamo percepire la Realtà.
Perché si possa giungere a percepire la Realtà, la
Sostanza, l'Anima di queste Parole, è necessario avere il noi la Presenza di
Dio, che deriva da Dio Creatore, e avere in noi la Presenza di Dio come fine
che deriva dall'ascolto di Dio Creatore.
Gesù stesso, ed è Parola di Dio, dice: "Chi non è
attratto dal Padre non può venire a Me", chi non è attratto dal Padre non
può andare a Lui.
E conferma che soltanto chi è attratto dal Padre può
ascoltare la Parola di Dio, cioè può ascoltare il significato della Parola di
Dio: "Chi ha ascoltato il Padre viene a Me".
Quest’ascolto del Padre si definisce in questi termini:
bisogna avere ascoltato Dio come Principio, avere Dio come principio, soltanto
avendo Dio come principio, si scopre la Presenza di Dio in noi, in quanto ciò
che mette il dubbio in noi sulla Presenza di Dio, è l'esperienza che noi
facciamo della solitudine e noi facciamo l'esperienza della solitudine perché
corriamo il rischio di cercare Dio in luoghi sbagliati.
Tutte le volte che cerchiamo Dio in luoghi sbagliati,
facciamo esperienza di solitudine e questa solitudine incrina in noi la
certezza della Presenza di Dio in noi.
Soltanto chi ha ascoltato il Padre come principio e
quindi come Colui che parla in tutto, capisce che anche l'esperienza della sua
solitudine è una Parola di Dio per lui, quindi testimonianza della Presenza di
Dio, poiché quell'elemento che era fonte di dubbio, diventa a questo punto
invece motivo di certezza, di Presenza di Dio.
Però abbiamo detto: questo non è sufficiente.
Non è sufficiente sapere che Dio sia presente in noi,
perché ciò che determina noi non è Dio come principio e non è la Presenza di
Dio è in noi.
Noi siamo determinati dal fine per
cui viviamo, questo è il vero nostro padre.
E allora soltanto se noi abbiamo ascoltato il Padre ed
abbiamo capito il fine per cui il Padre ci ha dato l'esistenza e noi abbiamo
condiviso questo fine, l'abbiamo fatto nostro fine, per cui viviamo per
conoscere Dio, soltanto se Dio l'abbiamo fatto nostro fine di vita, così da
diventare la realtà che informa noi, che determina in noi il campo di ascolto e
che dà a noi la possibilità di intendere il significato delle Parole di Dio,
soltanto così noi abbiamo la possibilità di ascoltare e d'intendere.
Allora noi ci troviamo con questi due elementi con cui ci
presentiamo all'ascolto della Parola di Dio:
A- Dio Creatore.
B- L'effetto in noi di Dio Creatore.
Cioè noi ci troviamo con la Presenza di Dio in noi che fa
tutte le cose e l'effetto dell'opera che Dio fa in noi.
A questo punto dobbiamo chiederci: allora parlare cosa
vuol dire?
Noi abbiamo presente Dio Creatore
e abbiamo presente il fine, abbiamo presente l'opera che Dio fa per noi (la
fame di Assoluto) ma a noi manca il collegamento tra l'effetto e la Causa, tra
l'opera di Dio e Dio stesso.
La Parola di Dio è quella che fa da ponte, è quella che
collega l'effetto con la sua Causa, l'opera di Dio con Dio, la nostra fame di
Assoluto (che è opera di Dio, che è effetto della Presenza in noi di Dio) con
l'Assoluto.
Soltanto la Parola di Dio può fare questo collegamento.
Allora dobbiamo chiederci: chi è che parla con l'uomo?
Chi è che può parlare con l'uomo?
E prima di tutto: quand'è che si parla con l'uomo?
Perché se l'uomo è determinato da questi due fattori:
effetto (passione di Assoluto) e Assoluto, però non ha il collegamento per cui
sbaglia luogo e confonde e quindi per la passione di Assoluto è portato a
cercare l'Assoluto dove l'Assoluto non è, parla veramente all'uomo soltanto
Colui che gli comunica qualche cosa.
Ma cosa vuol dire comunicare qualche
cosa l'uomo?
L'uomo è passione di Assoluto, comunicare qualche cosa
l'uomo vuol dire comunicare qualche cosa a questa passione di Assoluto.
Ora cosa vuol dire comunicare qualche cosa a questa
passione di Assoluto?
Se l'uomo proprio per questa passione di Assoluto sbaglia
luogo, comunicare qualcosa a questa passione di Assoluto che non sa dove
sbattere, perché non sa collegare la sua passione di Assoluto con l'Assoluto, comunicare
qualche cosa all'uomo vuol dire comunicare qualche cosa a questa passione di
Assoluto: allora gli si dice veramente qualche cosa.
A uno che ha sete, gli si comunica qualcosa se gli
s’indica la sorgente.
All'uomo che è passione di Assoluto, gli si comunica
qualche cosa, se si collega la sua passione di Assoluto con l'Assoluto.
Ma chi può dire questa Parola?
Chi può dire la Parola che collega l'effetto
dell'Assoluto con l'Assoluto?
Solo Colui che contempla l'effetto dell'Assoluto,
nell'Assoluto, soltanto Colui che conosce l'Assoluto, non solo ma, conosce
l'opera dell'Assoluto, l'effetto dell'Assoluto nell'Assoluto.
Soltanto Costui ha la possibilità di parlare.
A questo punto noi possiamo riconoscere che nessun uomo,
nessuna creatura può parlare con l'uomo.
Dio parla all'uomo attraverso tutte le creature.
Nessuna creatura e nessun uomo parla veramente all'uomo,
perché l'uomo non è Assoluto.
L'uomo è passione di Assoluto, ma l'uomo non conosce
l'Assoluto.
Quindi nessun uomo può comunicare qualche cosa di vero a
un altro uomo.
La Parola che aiuta veramente l'uomo, che comunica
qualcosa all'uomo è quella che collega l'effetto che l'uomo è dell'Assoluto,
cioè passione di Assoluto, con la Causa di questo
effetto, cioè con Dio Creatore, con suo Padre.
Ma questo è possibile soltanto se l'uomo ha ascoltato il
Padre come principio e ha il Padre come il fine, altrimenti la Parola di Dio
non gli comunica niente.
Ma se nell'uomo c'è questa Presenza del Dio Creatore e del
Dio come fine, Dio principio e Dio fine, se c'è questa Presenza, allora la
Parola di Dio comunica qualcosa.
La Parola di Dio, che è soltanto Colui che è
nell'Assoluto, cioè soltanto Colui che ha presente l'Assoluto, è l'opera
dell'Assoluto.
Soltanto Colui che viene dall'alto può comunicare qualche
cosa all'uomo, altrimenti tutti gli altri gli comunicheranno cose relative,
cioè cose che non possono rispondere al suo effetto, cioè alla sua passione di
Assoluto che porta in sé, per cui tutte le risposte, o tutte le parole che
dicono gli uomini saranno sempre insufficienti, non toccheranno mai l'uomo
nella sua anima.
Solo il Figlio di Dio, Colui che contempla la sorgente ed
è ciò che viene dalla sorgente, può dire qualcosa all'anima dell'uomo.
Il Figlio di Dio è caratterizzato da questo: conosce la
Sorgente, conosce il Padre, conosce l'opera del Padre.
Infatti Lui stesso è l'opera del Padre.
Qui si precisa, Gesù non dice: "Dio è Colui che
parla con l'uomo" ma, dice: "Il Figlio di Dio è Colui che parla con l'uomo".
Quindi il Figlio di Dio è Colui che contempla il Padre
(certo, Lui stesso è Dio, l'Assoluto), contempla il Padre e contempla l'opera
del Padre, dal Padre e contemplandola dal Padre, ha la possibilità (solo Lui ha
tale possibilità), di parlare all'uomo che è opera del Padre.
Per questo Gesù qui dice: "Il Figlio di Dio è
proprio Colui che parla con te".
Ecco, Figlio di Dio è Colui che solo, parla con l'uomo,
perché solo Lui può rispondere alla fame di Assoluto che l'uomo porta con sé.
Si risponde alla fame di Assoluto, collegando questa fame
di Assoluto con la Sorgente di questa fame,
cioè con il Padre.
Gesù
gli disse: "Ѐ proprio Lui stesso che tu vedi e che ti parla". Riassunti Gv 9 Vs 37
RIASSUNTI. Domenica-Lunedì.
Argomenti: L’esperienza della
solitudine e del dubbio - Creazione e rivelazione - La prima cosa che Dio
pone in noi è Se stesso- L’angoscia –L’assoluto e il niente – La realtà apparente
– Il fine determina i significati – Avere Dio come principio e fine – In principio era il
Verbo – La luce e le tenebre – Il bisogno di assoluto – I fini diversi da
Dio – Dio Creatore di tutto – Il pensiero e la persona -
5/ Febbraio /1989 Casa di preghiera
Fossano