"Se costui
non fosse da Dio, nulla
avrebbe potuto fare"
Gv 9 Vs 33 Primo
tema.
Titolo: Essere da-.
Argomenti: L'uomo sa e non sa l'Assoluto.
Concepimento e consapevolezza. Le
due presenze dell'uomo. Portare a compimento l'Intenzione di Dio. La via di Dio Creatore. Avere come intenzione Dio o i segni di Dio.
La consapevolezza di Dio
nell'uomo. È il fine che
informa l'uomo.
25/Settembre/1988 Casa di preghiera Fossano.
Siamo nel versetto 33 del capitolo nono di San Giovanni.
Qui si dice: "Se Costui non fosse da Dio, nulla avrebbe
potuto fare".
Sono parole di quell'uomo cieco dalla nascita, guarito da
Gesù in giorno di sabato, in risposta a tutte le obiezioni che gli avevano
fatti farisei.
Il primo argomento che troviamo qui è: "Se Costui
non fosse da Dio", e già qui subito si pone un problema in questi termini:
forse non tutto è da Dio?
Dio è il Creatore di tutte le cose.
Tutto viene da Dio e tutto fa ritorno a Dio.
E allora come si può dire: "Se Costui non fosse da
Dio"?
Quasi da far pensare che ci siano coloro che non sono da
Dio.
È possibile che nel Regno di Dio ci sia qualcosa o
qualcuno che non sia da Dio?
È una contraddizione e proprio perché c'è contraddizione
c'è un invito ad approfondire c'è una lezione per la nostra vita essenziale,
c'è un significato ed è questo che dobbiamo cercare di capire, di approfondire,
poiché in tutte le opere di Dio e anche questa è un'opera di Dio, Dio ci
sollecita ad approfondire, a capire.
C'è una lezione di Dio per la nostra vita principale, c'è
un significato, Dio ci vuole significare qualche cosa di Sé in questo fatto.
D'altronde Gesù stesso dice ai farisei che se loro
fossero da Dio, se avessero Dio come padre, avrebbero amato Lui, avrebbero
ascoltato le sue Parole, per cui anche qui ci presenta che si può non essere da
Dio, non avere Dio come padre.
Altrove dice: "Chi è dalla terra, ascolta parole
della terra e parla parole della terra, chi è dal cielo, chi è da Dio ascolta
Parole di Dio e parla Parole di Dio".
Anche qui si dichiara: "Chi è dal cielo, chi è dalla
terra".
Ci dobbiamo chiedere, poiché tutto è opera di Dio, e uno
solo è il Creatore, come può darsi che ci siano creature che non abbiano Dio
come padre?
Creature che anziché essere dal cielo siano dalla terra?
E come si può diventare o derivare da altro da Dio dato
che tutto è opera di Dio?
Abbiamo visto le domeniche scorse
come l'uomo sia essenzialmente una passione di Assoluto e come questo sia una
testimonianza della presenza dell'Assoluto in ogni uomo.
Abbiamo anche notato che l'uomo sa riconoscere tutto ciò
che non è Assoluto e proprio sapendo riconoscere tutto ciò che non è Assoluto,
dimostra di sapere ciò che è Assoluto.
L'uomo concepisce l'Assoluto, perché se l'uomo non
sapesse che cosa è l'Assoluto, non potrebbe nemmeno riconoscere ciò che non è
Assoluto.
Certamente l'uomo sa riconoscere ciò che non è Assoluto.
Questo è segno che l'uomo sa ciò che è Assoluto.
Però abbiamo anche notato che l'uomo sa certamente ciò
che è Assoluto, però non lo sa dire, non lo può dire.
Non sa dire che cos'è l'Assoluto.
Eppure lo sa.
Ci siamo chiesti: come mai questo?
Abbiamo notato che c'è una distinzione in ciò che c'è nell'uomo: l'uomo sa ciò che è Assoluto, porta già
in sé la concezione dell'Assoluto, però non ne è consapevole.
E abbiamo visto che la consapevolezza dell'uomo è invece
un'altra: l'uomo è consapevole della sua intenzione, del suo fine, di ciò che
vuole.
Ne è consapevole perché l'ha presente: l'ha presente come
sua intenzione, come suo pensiero unico.
Ed è proprio la presenza di questo pensiero unico
nell'uomo (l'uomo non può pensare contemporaneamente a due cose) che rende
consapevole l'uomo della sua intenzione, del suo fine.
Allora nell'uomo ci sono questi due termini:
A- L'uomo sa ma non ha presente: l'uomo sa che cos'è
l'Assoluto, ma non l'ha presente e non sa dire che cos'è l'Assoluto.
B- L'uomo è consapevole di ciò che vuole, è consapevole
del suo fine: l'ha presente, perché se non l'avesse presente, non potrebbe
volerlo.
L'uomo ha presente il suo fine, ha presente la sua
intenzione, però non sa che cosa è quello che lui vuole.
L'uomo ha presente quello che vuole, ma non sa che cosa è
quello che vuole.
Sa invece che cos'è l'Assoluto, ma questo non lo vuole, e
fintanto che non lo vuole, non lo può dire, non lo sa.
Sa e non sa nello stesso tempo, tant'è vero che non può
dire che cosa è l'Assoluto.
Ora, tutta la problematica dell'uomo sta proprio in
questo, e fintanto che l'uomo non ha come suo fine, come sua intenzione quello
che sa, l'Assoluto che sa, lui si troverà sempre ad avere come fine, come sua
intenzione, come oggetto della sua volontà ciò che non sa che cosa sia pur
avendolo presente.
Siccome non può dimenticare quello che sa (cioè lui sa
l'Assoluto e non può dimenticare quest’Assoluto), ecco che tutto ciò che lui
vuole, tutto ciò che ama e vuole come fine, non potendo dimenticare l'Assoluto
gli crea una conflittualità, perché l'uomo tende a volere come Assoluto ciò che
lui vuole, ciò che ha come suo fine.
Siccome questo non potrà mai essere Assoluto, perché non
è l'Assoluto, ecco tutta la problematica esistenziale della vita di ogni uomo,
tutta la conflittualità, tutte le tristezze, tutte le angosce in cui l'uomo
viene a trovarsi.
Perché l'uomo dovrebbe volere come sua intenzione quello
che sa, non quello che non sa.
C'è da chiedersi come mai l'uomo voglia quello che non
sa.
Questo avviene perché l'uomo esperimenta una presenza che
non è la Presenza di Dio ma, che è segno della Presenza di Dio.
Siccome Dio non può essere conosciuto se non nel suo
Pensiero, fintanto che l'uomo non conosce Dio nel suo Pensiero, subisce gli
effetti della Verità, della Presenza di Dio, gli effetti di Dio, gli effetti
che sono tutte creature.
Dio trascende l'uomo, trascende tutte le creature per cui
può essere conosciuto soltanto nel suo Verbo, nel suo Pensiero.
Per cui l'uomo ha presente la creazione di Dio, ha
presente le creature di Dio, i fatti di Dio: sono tutti segni di Dio ma, sono
segni di Dio, non sono Dio.
L'uomo li ha presenti ed avendoli presenti, naturalmente
li subisce, quindi sente la loro presenza: una presenza che nell'uomo si riduce
in esperienza di piacere o dolore, gioia tristezza ma, resta sempre un fatto
sentimentale, perché l'uomo "sente": sono segni di Dio e i segni di
Dio si sentono, non si capiscono.
Quello che si capisce è Dio, i segni di Dio non si
capiscono.
I segni di Dio si esperimentano perché si subiscono e si
subiscono nel pensiero del nostro io.
Così abbiamo notato l'esperienza di due presenze che caratterizzano l'uomo: la presenza di ciò
che risponde al suo sentimento e sono le creature, quello che risponde ai suoi
bisogni, alle sue intenzioni.
E poi c'è la Presenza dell'Assoluto che l'uomo subisce,
che l'uomo sa, che non vede che non tocca e che può esperimentare solo in
quanto lui, uomo, porta a compimento l'Intenzione di Dio, il Desiderio di Dio,
la Volontà di Dio.
Quindi l'uomo esperimenta delle presenze come soddisfazione,
compimento delle sue intenzioni, poi può fare l'esperienza di ciò che è
Assoluto, che è da Dio, solo se porta a compimento l'Intenzione di Dio.
Ma portare a compimento l'Intenzione di Dio(questa è la
vera conoscenza) presuppone che si conosca l'Intenzione di Dio, la Volontà di
Dio e cosa vuol dire portare a compimento l'Intenzione, la Volontà di Dio?
Portare a compimento vuol dire realizzare.
Realizzare vuol dire rendere presente.
Anche qui abbiamo notato che l'uomo non può rendere
presente proprio niente.
L'uomo può desiderare una presenza ma, la presenza non è
opera dell'uomo: la presenza è opera di Dio Creatore.
Ora il fatto che la Presenza sia opera di Dio Creatore e
non dell'uomo, non esclude l'uomo dal fare esperienza
della Presenza di Dio ma, è indicazione della via per giungere a fare
esperienza della Presenza di Dio.
Siccome la presenza non è opera dell'uomo ma, è opera di
Dio Creatore, se l'uomo vuole conoscere Dio e fare esperienza di Dio, gli viene
segnalata qual è la via per giungere a fare questa esperienza: la via è Dio
Creatore.
Perché solo attraverso Dio Creatore l'uomo può giungere a
fare esperienza della Presenza di Dio.
A questo punto è necessario che l'uomo si raccolga nel
Pensiero di Dio Creatore, perché quando abbiamo parlato dell'Assoluto, abbiamo
detto che l'Assoluto si conosce solo per mezzo dell'Assoluto.
Tutte le opere di Dio, tutta la creazione di Dio, tutti i
segni e tutte le Parole di Dio servono soltanto per far capire all'uomo che
l'Assoluto si trova soltanto per mezzo dell'Assoluto, che Dio si trova soltanto
per mezzo di Dio.
E quando l'uomo ha capito questo, a questo punto sa che
la via per arrivare a concepire l'Assoluto, a scoprire la Presenza di Dio, tale
via è Dio stesso, è il Pensiero di Dio, il Pensiero dell'Assoluto.
E siccome il Pensiero dell'Assoluto non si confonde con
nessuna creatura, con nessun segno, con nessuna Parola di Dio, è necessario che
a questo punto, l'uomo metta a tacere tutte le opere di Dio, tutta la
creazione, tutti segni di Dio per raccogliersi unicamente nel Pensiero di Dio,
perché la scoperta, la conoscenza avviene soltanto attraverso questo Pensiero.
Qui ritorniamo a quello che avevamo detto in principio:
l'uomo sa Assoluto ma, non sa dire che cosa è l'Assoluto, perché non ne è
consapevole, invece è consapevole di ciò che ha come intenzione.
Questo ci fa capire che soltanto quando l'uomo ha come sua intenzione, l'Intenzione di Dio, il Pensiero di
Dio, solo in quel punto, avendo come sua intenzione, l'Intenzione di Dio diventa
consapevole di quello che ha presente, com'è consapevole quando vuole altro da
Dio.
Non è che esista qualcosa non voluto da Dio, esistono i
segni di Dio ma, quando l'uomo vuole altro da Dio, anziché volere Dio, vuole i
segni di Dio con la passione di Assoluto.
Ed è proprio volendo i segni di Dio, le opere di Dio, le
creature di Dio al posto di Dio, che l'uomo è consapevole di queste ma, perde
la Presenza di Dio.
E quello che Gesù intende nella parabola dei buoi, dei
campi e della moglie.
Sono creature di Dio come oggetto dell'intenzione
dell'uomo al posto di Dio.
Per cui l'uomo diventa consapevole dei buoi, dei campi,
della moglie ma, perde la consapevolezza di Dio.
La consapevolezza si forma
soltanto quando nell'uomo si realizza la fusione di questi due termini: quello
che lui ha come oggetto della sua intenzione, come suo fine, con ciò che lui sa
come Assoluto.
Devono coincidere.
Cosa vuol dire coincidere?
Vuol dire che l'uomo deve avere come intenzione
l'Assoluto, come intenzione, come fine.
Soltanto quando avrà come suo fine l'Assoluto, Dio,
quindi avrà in sé il Pensiero di Dio come sua intenzione, come suo pensiero,
come suo fine, soltanto li avrà la consapevolezza di quello che è quello che
vuole.
Quindi avrà la consapevolezza di quello che ha presente.
Siccome l'uomo vuole ciò che sa, perché lui sa
l'Assoluto, a questo punto nasce da Dio, prende consapevolezza.
Qui in questo Pensiero di Dio l'uomo ha la possibilità di
prendere contatto con Dio. "Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me".
È qui che può fare l'esperienza di Dio, prima no!
Prima può sentire il bisogno, può riconoscere tutto ciò
che non è Dio, ma non giungerà mai ad avere la consapevolezza di Dio.
Pur sentendone la passione, non potrà mai dire che cosa è
Dio, non potrà mai essere soprattutto informato da Dio, perché l'uomo non è
informato dal Creatore, l'uomo è informato dal suo fine e questo fine può
essere diverso da Dio.
Certamente l'uomo è fatto da Dio,
però abbiamo visto che Gesù stesso dice che chi è da Dio ascolta le Parole
di Dio.
Tutto è Parola di Dio.
Infatti noi diciamo che tutto è Parola di Dio, però
soltanto chi è da Dio ascolta le Parole di Dio, il che vuol dire che chi non è
da Dio, non ascolta.
Dicendoci "chi è da Dio", ci fa pensare che ci
possa essere qualcuno che non sia da Dio.
Per questo diciamo che l'uomo non è informato dal suo
Principio ma è informato dal suo fine, e il fine dell'uomo è l'intenzione che
l'uomo ha e l'uomo può avere un'intenzione diversa da Dio.
L'uomo può avere un'intenzione diversa da Dio!
Fintanto che l'uomo ha un'intenzione diversa da Dio,
l'uomo è informato da altro da Dio, non da Dio.
Ecco perché ci può essere qualcuno che non è da Dio,
perché l'uomo diventa figlio del suo fine.
Non solo, ma Gesù ci dice che chi è dal cielo, non
soltanto ascolta, ma anche parla Parole del cielo e chi è della terra ascolta e
parla cose della terra.
Ecco perché ci sono uomini che ascoltano e parlano cose
della terra e ci sono uomini che ascoltano e parlano Parole di Dio, cose del
cielo.
Ma questo cosa ci fa capire?
Che la capacità di ascoltare cose del cielo e di parlare
cose del cielo e quindi la capacità di ascoltare e di parlare, non dipende
dall'uomo: dipende da ciò da cui deriva l'uomo.
Se l'uomo deriva dal cielo, allora ascolta Parole di Dio
e parla Parole di Dio ma, se l'uomo deriva dalla terra, cioè se l'uomo deriva
dalle creature di Dio, quindi se deriva dai suoi sentimenti, l'uomo ascolta
cose della terra e parla cose della terra.
Qui scopriamo l'importanza dell'essere dal cielo,
l'importanza dell'essere da Dio, perché la capacità di ascoltare Parole di Dio,
pur sapendo che tutto è Parola di Dio, la capacità di parlare Parole di Dio,
non è data all'uomo, viene da ciò cui l'uomo deriva.
E l'uomo, abbiamo detto non deriva dal suo Principio,
l'uomo deriva dal suo fine, da ciò che egli porta nella sua intenzione e
fintanto che l'uomo ha come suo fine, quindi come sua intenzione altro da Dio,
ascolta parole che non sono da Dio, parla parole che non sono Parole di Dio.
Quindi c'è una grande distinzione da fare: non è problema
di studi, non è problema di sapere tante cose.
Il problema è quello del fine.
Uno può anche essere teologo, aver studiato tutti i libri
di teologia di questo mondo ma, se non ha come suo fine, come sua intenzione
Dio, quest'uomo ascolterà sempre parole della terra, cioè parole di uomini,
parlerà parole di uomini ma, non ascolterà Parole di Dio, non parlerà Parole di
Dio, perché non è da Dio.
Soltanto quell'uomo o quella vecchietta che magari è
analfabeta ma che ha come intenzione Dio, e pensa Dio, che ha come fine Dio, il
cui interesse è Dio, ascolta Parole di Dio in tutte le cose che vede e che
ascolta e parla Parole di Dio in tutte le cose che dice.
Ecco quello che informa l'uomo è il fine.
Il tema era: essere da-.
Ognuno di noi è da ciò che ha come suo fine, come suo
oggetto d’intenzione.
Anche se tutti quanti esistono per opera di Dio, si è da
Dio soltanto in quanto sia, ha Dio come nostra intenzione, come il nostro fine.
Soltanto così noi siamo fatti capaci, si forma in noi la
capacità di ascoltare Parole di Dio, di parlare Parole di Dio e quando noi
ascoltiamo Parole di Dio e parliamo Parole di Dio, noi siamo inseriti nel Regno
di Dio, perché tutto è Parola di Dio, quindi chi ascolta Parole di Dio in tutto
e parla Parole di Dio in tutto, appartiene alla famiglia di Dio, appartiene
alla Divinità.
"Se costui
non fosse da Dio, nulla
avrebbe potuto fare"
Gv 9 Vs 33 Secondo
tema.
Titolo: Imparare a tradurre.
Argomenti: Essere dal cielo o essere dalla terra. L'uomo è costituito da: Assoluto/passione/intenzione. La capacità di ascolto e parola nell'uomo è una
funzione del suo fine. Il proprio fine è ciò che l'uomo sa, ha sempre presente. La responsabilità dell'uomo. Il linguaggio che deriva dalla presenza di Dio o
dalla presenza dell’io. Attraverso
il linguaggio, l’uomo informa tutte le cose di se stesso. Tradurre dall’io al Dio. Il
linguaggio di Adamo. Sottomettere le opere di
Dio al Pensiero di Dio.
2/Ottobre/1988
Casa di preghiera Fossano.
Siamo fermi a questo versetto 33 in cui quel cieco
guarito da Gesù in giorno di sabato dice di Gesù: "Se Costui non fosse da
Dio, nulla avrebbe potuto fare".
Domenica ci siamo soffermati sulla prima parte di
quest'affermazione: "Se Costui non fosse da Dio".
Abbiamo visto come l'uomo può essere dal cielo e può essere dalla terra, può essere da Dio e può essere dagli
uomini.
L'uomo che è da Dio ascolta Parole di Dio e parla Parole di
Dio, l'uomo che è dagli uomini, dalla terra, ascolta parole di uomini e parla
parole di uomini.
Così abbiamo visto che l'uomo è soggetto a due nascite.
C'è una nascita che non avviene senza di lui.
La prima nascita è l'uomo naturale: l'uomo nasce indipendentemente
dalla sua volontà, dalla sua intenzione, dal suo desiderio, dal suo pensiero.
Però reca con sé la possibilità di una seconda nascita.
San Paolo la chiama "l'uomo nuovo".
L'uomo che nasce da Dio.
L'uomo che discende da Dio che discende dal cielo.
Questa seconda nascita non avviene senza di lui, senza
l'uomo stesso.
Per cui possiamo dire che la prima nascita è unicamente
per offrire all'uomo la possibilità di una proposta: la proposta di dove vuole
nascere, di chi vuole essere figlio.
Così l'uomo ha la capacità, la possibilità di determinare
lui stesso ciò da cui vuole nascere: è la meraviglia del disegno di Dio.
Dio mette nelle nostre mani la possibilità, quindi la
capacità di nascere di dar ciò da cui noi vogliamo.
Per cui poco importa il luogo da cui noi siamo nati, poco
importa l'ambiente, il luogo, la società alla quale apparteniamo.
Molto importa il luogo da cui noi vogliamo nascere.
E abbiamo visto che l'uomo nasce personalmente dal fine
per cui egli vive giorno dopo giorno, da ciò che lui porta nella sua
intenzione.
L'uomo sostanzialmente può essere ridotto a due fattori,
a due elementi: il cielo e la terra, cioè può essere ridotto a questo: l'uomo
sa l'Assoluto.
Abbiamo detto che l'uomo è caratterizzato dal fatto che
riconosce tutto ciò che non è Assoluto e questo rivela implicitamente che
l'uomo sapendo riconoscere tutto ciò che non è Assoluto, sa che cos'è
l'Assoluto, però non lo vede, non lo tocca.
Poi l'uomo è costituito da un secondo elemento che vede e
tocca, che esperimenta e che ha presente in continuazione, ed è ciò che non è
Assoluto: la terra, le creature, tutte le cose che passano, che sono relative.
Proprio questa presenza di questi due elementi determina
in lui la passione dell'Assoluto: perché l'uomo vedendo, toccando creature che
non sono assolute e sapendo ciò che è l'Assoluto, non si rassegna a vivere tra
cose e creature che non sono assolute.
L'uomo in tutto ciò che cerca, cerca l'Assoluto, lo sogna
lo desidera, lo invoca, lavora, fatica, piange, muore sempre dominato da questa
passione di Assoluto che porta con sé.
Allora proprio perché porta con sé questa passione di
Assoluto, l'uomo tende a un fine.
Ecco i tre grandi elementi che, riflettono
sul uomo:
A- L'uomo è costituito da ciò che egli sa, da ciò che gli
è dato, sa l'Assoluto.
B- Porta con sé la passione dell'Assoluto.
C- Porta con sé un fine, un'intenzione.
In questi tre fattori possiamo trovare la significazione:
l'uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, della Trinità stessa di Dio.
A- Ciò che l'uomo sa come Assoluto è segno del Padre.
B- La passione, questa volontà dell'Assoluto che domina
l'uomo, segno della Volontà di Dio impressa nell'uomo, il Figlio, il Verbo, il
Pensiero di Dio.
C- Infine l'intenzione: segno dello Spirito, dello
Spirito Santo con cui si conclude tutta l'opera.
L'opera dell'uomo è determinata dal fine, cioè possiamo
dire: l'uomo è una funzione del fine.
In matematica ci sono le variabili e ci sono le funzioni:
variabile è ciò che può assumere valori diversi.
Funzione è ciò che consegue da quei valori.
L'uomo può avere fini diversi, può vivere per le
creature, ma anche quando vive per le creature, vive con la passione
dell'Assoluto per cui cerca nelle creature l'Assoluto.
Può vivere per Dio.
La funzione di questi diversi fini è che l'uomo è fatto
capace di ascoltare e di parlare.
Quindi è condizionato, viene determinato dal fine per cui
egli vive.
Chi vive per gli uomini ascolta e parla parole di uomini,
chi vive per il cielo, per le cose di Dio, ascolta
e parla Parole di Dio.
Quindi la capacità dell'ascolto, la capacità del parlare
non è originaria dell'uomo ma è una funzione, cioè è una conseguenza del fine
per cui vive l'uomo.
Allora è inutile pretendere che gli uomini abbiano
orecchie per ascoltare le cose di Dio o parlino cose di Dio se non hanno per
fine Dio.
Soltanto quando avranno per fine Dio, saranno fatti
capaci di ascoltare Parole di Dio e di parlare Parole di Dio.
Ognuno è fatto capace dal fine per cui vive, dal fine che
egli persegue.
Ma anche qui possiamo chiederci come l'altra volta,
poiché tutto è opera di Dio, tutto appartiene al Regno di Dio, ci siamo
chiesti: può mai darsi qualcuno che non sia da Dio là dove tutto è di Dio?
Anche qui dobbiamo chiederci: come può essere? Perché? Quale
significato c'è in questa possibilità dell'uomo di avere fini diversi?
Forse che Dio non ha creato tutti con un unico fine?
Dio è uno solo, quindi se Dio è uno solo, il fine è uno
solo: il Pensiero stesso di Dio, Dio stesso.
Abbiamo visto che il Pensiero di Dio è Dio, la Volontà di
Dio è Dio, l'Intenzione di Dio è Dio.
Quindi tutto Dio fa per un fine unico.
Allora se tutto Dio fa per un unico fine, come può
accadere che ci siano uomini che vivano per fini diversi da Dio?
Ritorniamo allora ai due elementi da cui è costituito
ogni uomo, da cui poi deriva la passione dell'Assoluto (ecco la Trinità di cui
l'uomo è significazione).
L'uomo sì, porta con sé, sa, non lo può ignorare
l'Assoluto però, l'uomo ha presente non l'Assoluto, tant'è vero che abbiamo
detto che l'uomo non può ignorar Assoluto, non può ignorare Dio, però se gli si
chiede che cos'è l'Assoluto, che cosa è Dio, non lo sa dire.
Se però all'uomo gli si chiede: "Dove vuoi andare?" o: "Dove stai andando?" L'uomo
lo sa.
Diciamo: l'unica cosa che l'uomo sa sempre è ciò che
porta nell'intenzione, il fine che attualmente lui sta perseguendo, questo lo
sa, perché l'ha presente, perché se non l'avesse presente non potrebbe
perseguirlo.
Ma ciò che l'uomo ha presente è relativo.
Quindi l'uomo ha presente cose, creature che non sono
assolute.
Ora proprio per questo, fintanto che l'uomo non giunge ad
avere presente l'Assoluto come ha presente le creature, corre sempre questo
rischio: di vivere per le creature anziché per il Creatore, di vivere per ciò
che esperimenta, per ciò che tocca, che vede.
Abbiamo detto che tutto ciò che uno vede e tocca, si
conclude sempre in: "Mi piace/non mi piace".
L'uomo corre il rischio quindi di vivere per ciò che
sente, per ciò che prova e che non sa che cosa sia, però sa quali effetti
questo reca su di lui: piacere o dolore, e qui viene determinato a perseguire
le cose che gli fanno piacere e a fuggire invece le cose che gli recano dolore.
Quindi corre questo rischio di non avere come fine ciò
che sa, ma che non vede e non tocca e di aver invece come fine ciò che vede e
tocca ma che non sa cos'è.
Ciò che sa che cos'è, cioè l'Assoluto, l'uomo invece lo
trascura.
Ecco, qui abbiamo l'uomo che vive per la terra, per le
cose che vede che tocca, quindi in conseguenza è fatto capace di ascoltare le
cose della terra, di parlare cose della terra, ed è invece fatto incapace di
ascoltare le cose del cielo e di parlare le cose del cielo, perché non
rientrano nei suoi interessi, non rientrano nel suo fine.
Qui sorge la responsabilità dell'uomo,
perché tutto ciò per cui l'uomo vive sulla terra ha come punto fisso di
riferimento l'uomo stesso.
Abbiamo detto: l'uomo vive per le cose della terra perché
rispondono al suo desiderio, al suo piacere e fugge da altre perché gli
provocano dolore.
Quindi tutte le cose della terra sono incentrate sull'io
dell'uomo, sull'uomo stesso, su ciò che provocano nell'uomo, quindi hanno come
fine l'io dell'uomo, le cose della terra hanno per centro l'uomo.
Le cose del cielo invece hanno come punto fisso di
riferimento Dio.
Ora non è l'uomo il centro di tutte le cose, certamente
non è l'uomo il creatore di tutte le cose.
Qui scatta la responsabilità, perché l'uomo vive per
delle cose che si riferiscono a lui mentre lui non è il centro.
Cioè si fa centro di tutto un mondo e lui non è il
centro.
Scatta la responsabilità, perché è un problema di Verità,
un problema di Giustizia.
Non essendo l'uomo il creatore, non essendo lui il
centro, l'uomo deve vivere, deve riferire le cose al Centro, al vero Centro,
non deve riferire le cose a se stesso.
Il tema di oggi è imparare a tradurre.
È l'argomento che abbiamo ascoltato stamattina nella
prima lettura della messa.
Dio dopo aver creato tutte le creature, le ha presentate ad
Adamo perché Adamo, alla presenza del suo Signore, alla presenza di Dio, desse
il vero nome alle creature.
Il nome poteva darlo Dio.
Perché Dio dopo aver creato tutte le creature le presenta
ad Adamo perché dia loro il vero nome, alla presenza del suo Signore, alla
presenza del Creatore?
Lo invitava a imparare un linguaggio, il linguaggio che
deriva dalla Presenza di Dio, quindi il linguaggio del cielo, linguaggio che fa
riferimento al Centro, a Dio Creatore.
Che cos'è successo invece?
Che tutto il nostro parlare, tutto il nostro linguaggio
riguardo a tutte le creature, a tutta la creazione, non è più fatto alla
presenza del Creatore, alla presenza di Dio: è fatto alla presenza dell'uomo,
alla presenza del nostro io.
E tutti i nomi che noi diamo le creature, se noi
andassimo a fondo, ci accorgeremmo che sono nomi che si riferiscono sempre a:
piace a noi o non piace, cioè riferito al nostro io.
Abbiamo detto che il tema è imparare a tradurre.
Tradurre vuol dire imparare un nuovo linguaggio, passare
da un linguaggio all'altro.
Ora ogni linguaggio è espressione di un soggetto.
Un soggetto parla per dire che
cosa sono tutte le cose che gli si presentano rispetto a se stesso.
Cioè attraverso il linguaggio, l'uomo non fa altro che
informare tutte le cose di se stesso.
Anche negli animali c'è questo linguaggio: danno segni di
sé.
Sono segni del soggetto, perché se il soggetto non
potesse dare segni di sé, sparirebbe come soggetto, sarebbe annullato.
Un soggetto è soggetto in quanto può parlare.
Parlare che cosa vuole dire?
Può significare se stesso, può esprimere se stesso.
Esprimere se stesso che cosa vuole dire?
Può informare di sé le cose che gli sono attorno.
L'uomo è un essere che può informare di sé tutto
l'universo.
Lui parlando dà il nome a tutte le cose, ma dà il nome
riferito a se stesso, quindi all'uomo, e qui non siamo nella Verità.
L'uomo per restare nella Verità invece deve riferire le
cose al Pensiero di Dio, al Soggetto Dio.
Allora l'uomo deve imparare a tradurre dalla lingua che ha
come soggetto l'uomo, alla lingua che ha come soggetto Dio.
Questo vuol dire sottomettere tutto al Pensiero di Dio,
perché tutto è fatto nel Pensiero di Dio, vuol dire recuperare il linguaggio di
Adamo, il linguaggio attraverso il quale Adamo ha dato il vero nome a tutte le
cose alla Presenza di Dio.
Dio è Colui che nessuno può ignorare, ma Dio deve
diventare il punto fisso di riferimento per noi, e quindi deve essere il fine,
deve essere l'oggetto della nostra intenzione.
Soltanto qui noi diventiamo consapevoli di che cosa è
l'Assoluto, perché noi siamo consapevoli di ciò che abbiano come intenzione,
come nostro fine.
Soltanto se noi impariamo a tradurre tutto il nostro
linguaggio, tutte le parole che noi diciamo, soprattutto il parlare,
cominciando dal pensiero del nostro io, soltanto così, traducendo tutto in
linguaggio che ha come soggetto Dio e non più il nostro io, noi sottomettiamo a
Dio tutte le opere di Dio.
Perché tutto è opera di Dio, noi sottomettiamo tutto al
Pensiero di Dio.
Sottomettere tutto al Pensiero di Dio è la condizione per
restare nel Pensiero di Dio per finalmente essere fatti capaci, attraverso il
Pensiero di Dio, di conoscere il Padre.
Quando tutto sarà sottomesso al Figlio, il Figlio offrirà
il Regno al Padre, e quindi darà a noi la possibilità di conoscere quel Padre
dal quale viene ogni Luce e quindi la vera Vita per noi.
"Se costui non fosse da Dio, nulla avrebbe potuto fare"
Gv 9 Vs 33 Terzo
tema.
Titolo: "Senza
la sapienza da te mandata nulla vale"
Argomenti: Il punto fisso di riferimento di cielo e terra. La capacità di ascolto e di parola è relativa al fine.
Passare dal linguaggio della terra al linguaggio del
cielo. L'esperienza del niente. Il niente è relativo al desiderio dell'uomo. Il conflitto tra la parte spirituale e sentimentale dell'uomo.
L'uomo deve far dipendere la sua intenzione dalla
Realtà.
9/Ottobre/1988 Casa di preghiera
Fossano.
Ci fermiamo ancora su
questo versetto 33 del capitolo nono di San Giovanni.
Qui si dice: "Se
Costui non fosse da Dio, nulla avrebbe potuto fare".
Le domeniche scorse ci
siamo soffermati sulla prima parte di tale versetto: "Se Costui non fosse
da Dio".
Adesso ci rimane l'ultima
parte: "Nulla avrebbe potuto fare".
E anche qui ci dobbiamo
chiedere quale lezione, quale significato interiore per la nostra vita
personale, essenziale, abbiano queste parole, parole che dicono che quando non
si è da Dio si fa niente.
Il significato, soprattutto
la lezione che deriva all'uomo dall'esperienza del niente che si fa quando non
si è da Dio.
Il tema di oggi è:
"Senza la sapienza da Te mandata nulla vale".
Domenica scorsa abbiamo
visto che chi è da Dio, ascolta e parla Parole di Dio e
chi è dalla terra ascolta e parla parole della terra.
Abbiamo anche notato che
essere da Dio vuol dire avere Dio come soggetto, come soggetto di tutte le
cose, punto fisso di riferimento.
La terra, il linguaggio
della terra ha come soggetto l'uomo, e ogni cosa viene riferita all'uomo.
Dio creando l'uomo ha posto
in lui il cielo e la terra.
Il cielo è il luogo in cui
tutto fa capo a Dio, tutto si riferisce a Dio, tutto ha Dio come protagonista.
Dio è il centro di tutto.
La terra invece, dice la Bibbia,
è stata data ai figli degli uomini, cioè la terra è il luogo in cui tutto si
riferisce all'uomo, tutto ha come centro l'uomo e ogni linguaggio ha come
soggetto l'uomo.
Dicendo: "Chi è dal
cielo ascolta e parla cose del cielo", e dicendo: "Chi è dalla terra
ascolta e parla cose della terra", ci fa capire che la capacità di
ascoltare e di parlare è relativa all'essere da-.
Abbiamo detto che è una
funzione di-.
Tutto dipende dall'essere da-, o si è dal cielo o si è dalla terra.
E a seconda di ciò da cui
si è, si ascolta e si parla.
Per cui la capacità di
ascoltare e la capacità di parlare, dipendono, quindi non sono in dotazione
all'uomo ma, sono relative a ciò da cui l'uomo dipende.
Se l'uomo dipende da Dio,
se appartiene a Dio, ascolta e parla cose di Dio ma, se appartiene alla terra,
ascolta e parla cose della terra.
Abbiamo detto relativo
quindi una funzione di, dipendente da-.
L'elemento variabile è
essere da-.
E allora ci dobbiamo
chiedere: come possibile se tutto è opera di Dio, che l'uomo possa non essere
da Dio ma, essere dalla terra, essere dalla materia, o avere come soggetto
l'uomo?
Com’è possibile?
L'uomo, tutti gli uomini,
nascono da Dio, vengono da Dio e fanno ritorno Dio, però l'uomo non si forma
nel suo Principio, si forma su ciò per cui lui vive.
L'uomo è una creatura che
si determina, si forma, si costruisce dal fine per cui vive.
L'uomo non è un essere
fatto, è un essere in formazione, in gestazione: ha cominciato a essere, e ha
cominciato a essere per opera di Dio ma non è ancora formato.
L'uomo si forma sul suo
fine, su ciò che egli porta nella sua intenzione, su ciò cui si dedica giorno
dopo giorno, attimo dopo attimo.
L'uomo vivendo attimo dopo
attimo nel tempo, costruisce la sua eternità a seconda di ciò per cui vive, a
seconda di ciò cui si dedica.
L'uomo è un essere che si
costruisce sul fine.
Basta porre questo, per
capire che non tutti gli uomini hanno come fine Dio.
C'è chi vive per una casa,
c'è chi vive per un'altra cosa.
L'uomo è stato creato da
Dio ed è stato creato per giungere a Dio, per conoscere Dio e Dio vuole che
tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità, e conoscere la Verità è vita
eterna e Dio vuole che tutti giungano a questa vita eterna.
Però se questo è il
destino, il fine voluto da Dio, non tutti gli uomini vivono per questo loro
destino, non tutti vivono per questo fine.
Ed è qui che è necessaria, l'abbiamo accennato domenica scorsa, un'opera di
traduzione di linguaggio.
L'uomo deve passare dal
linguaggio della terra, cioè da quel linguaggio che ha per soggetto l'uomo, al
linguaggio del cielo, al linguaggio che ha come soggetto Dio.
L'uomo può fare questo: può
fare questo perché porta in sé il Pensiero del Dio Creatore.
Abbiamo detto molte volte:
Dio Creatore è Colui che nessuno può ignorare.
L'uomo può trascurare, può
bestemmiare, può dimenticare Dio Creatore, però non lo può ignorare.
Basta guardare la
creazione, basta guardare un filo d'erba perché ogni uomo capisca che non è lui
l'autore delle cose, non è lui il creatore delle cose, non è lui che fa le
cose.
La condizione essenziale
quindi, per restare nella Verità è quella di tradurre tutto il nostro
linguaggio che ha come punto di riferimento l'uomo, nel linguaggio che ha come soggetto
Dio, se vogliamo restare nella Verità.
Poiché in realtà tutto è
opera di Dio, diversamente non si è da Dio e allora
si fa l'esperienza del niente.
Quando si dice niente, si
dice una parola molto strana.
Prima di tutto è già strano
che l'uomo possa concepire il niente, perché niente è niente.
Se è niente non esiste.
E se non esiste, dobbiamo
chiederci come possa mai l'uomo far esperienza di ciò che non esiste.
Eppure è altrettanto vero che
ogni uomo fa quest'esperienza di vita vissuta per niente, di sofferenze patite
per niente, di giornate vissute per niente: quanti sacrifici fatti per niente!
Perché nell'uomo c'è
quest'esperienza del niente?
Qual è il significato?
Perché in quanto l'uomo fa
quest'esperienza ci deve essere un significato, e ci deve essere un significato
per il senso della nostra vita, un significato quindi positivo.
È l'argomento di questa
sera.
Il niente non esiste di per sé, certamente.
Il niente è essenzialmente
relativo all'uomo, solo relativo all'uomo.
Quando diciamo relativo
all'uomo, che cosa vogliamo dire?
Che è relativo a ciò che
l'uomo ha nel suo pensiero, nella sua intenzione, nel suo desiderio.
Dipende da questo.
Se l'uomo desidera una cosa
e non la trova dice: "C'è niente".
Ecco, il concetto di niente
nasce dall'intenzione che l'uomo porta dentro di sé quando questa intenzione
non viene soddisfatta, quando non si realizza, quando l'uomo non trova
l'oggetto o la creatura o la persona che desidera o per la quale vive.
Si fa l'esperienza del
niente quando si vive per qualcosa che poi ci delude, che poi non si realizza.
E allora l'uomo dice:
"Tutta la mia è servita a niente".
Ma come può avvenire
questo?
Ecco, l'uomo è fatto di due
parti: c'è una parte che sa e c'è una parte che sente, ma non sa che cosa sia
quello che sente.
L'uomo porta in sé una
parte spirituale, una parte che sa l'Assoluto.
Quante volte abbiamo detto
che l'uomo riconosce nella creazione, in tutte le creature, che tutto non è Assoluto,
però il fatto di riconoscere che le cose, le creature non siano assolute, è
segno che lui sa che cos'è l'Assoluto, altrimenti non saprebbe riconoscere
quello che non è Assoluto.
Allora c'è una parte
dell'uomo che sa l'Assoluto, la parte spirituale dell'uomo, che sa, e c'è una
parte dell'uomo che ha presente ciò che non è Assoluto: è la parte sensibile.
Tutta la creazione arriva
l'uomo attraverso i sensi dell'uomo e tutto quello che
l'uomo vede tocca, non è Assoluto, e non essendo Assoluto l'uomo non lo
conosce.
Questo ci fa capire che la
vera conoscenza, l’uomo l'ha soltanto nell'Assoluto, nell'infinito, in Dio.
Quindi l'uomo ha presente,
sensibilmente presente, esperimenta ciò che non è Assoluto e non sa che cosa sia,
e l'uomo non ha presente, ma sa che cos'è l'Assoluto.
Ora succede che quando la
parte sentimentale dell'uomo vuole quello che non coincide con quello che la
parte spirituale dell'uomo sa, l'uomo subisce un rimprovero, un rimorso da
parte dello spirito che sa, perché ciò che l'uomo sa, quella parte spirituale
che l'uomo porta in sé è dominante sull'uomo.
L'uomo si lascia dominare
dalla parte sensibile, dalle cose che ha presenti, però quello che domina
sull'uomo è la parte spirituale.
E quando non c'è sintonia
tra la parte sensibile e la parte spirituale, l'uomo subisce un rimorso, un
trauma interiore: non giustifica la cosa, perché la parte sensibile, le cose
che l'uomo vede, tocca ed esperimenta, fanno capo al suo io e il suo io non
giustificate niente.
Perché il nostro io ha
bisogno di essere giustificato ma, non giustifica niente.
Noi possiamo giustificare
dicendo: "Tutti fanno così, se non facessi così come potrei tirare
avanti?", noi crediamo di giustificarci, crediamo di avere delle ragioni
ma, in fondo c'è la parte che sa, la parte spirituale in noi che ci rimprovera,
perché le nostre giustificazioni sono soltanto giustificazioni nel campo del
nostro io, non sono giustificazioni nel campo dell'Assoluto, nel campo di Dio.
E allora l'uomo per far
tacere questo rimprovero, per far tacere questa parte spirituale che lo fa
pensare, per far tacere questo, s’immerge nel lavoro, s’immerge nelle cose del
mondo, nel piacere, nella droga, nel fumare, nel vino tutto questo per far
tacere il suo pensiero, per far tacere quella parte spirituale che gli
rimprovera quello che lui vorrebbe giustificare e che non può giustificare.
Perché proprio vivendo per
ciò che non può giustificare nell'Assoluto, non può avere alcuna
giustificazione, perché l'unica giustificazione l'ha nell'Assoluto.
Le giustificazioni non le
abbiamo nel pensiero del nostro io, il nostro io è creatura, quindi essendo
creatura è un effetto, ed essendo un effetto ha bisogno di essere giustificato
ma, non è giustificante.
Quindi la giustificazione
l'abbiamo nel Creatore, quel Creatore che nessun uomo può ignorare.
Fintanto che noi non
deriviamo ogni cosa, il linguaggio, ogni nostra intenzione, ogni nostro modo di
vivere, non lo deriviamo da quest'Assoluto, noi troveremo sempre questa guerra
dentro di noi, tra queste due parti, tra la parte che sa e la parte che sente.
Ed è così che arriviamo
all'esperienza del nulla, perché nell'uomo c'è questa passione di Assoluto, sia
che l'uomo segua la parte spirituale, sia che segua la parte del sentimento, la
parte delle cose che vede e tocca.
Questa passione d'Assoluto
non lo lascia mai un momento, per cui se l'uomo vive per le cose sensibili, per
le cose che ha presenti nei sensi, tende a far assolute queste cose, appunto
perché è dominato dalla passione dell'Assoluto, effetto della Presenza
dell'Assoluto che egli porta.
Dominato da questa passione
dell'Assoluto, tende a trasformare in Assoluto tutto quello che vede e tocca:
ma le cose lui sa che non sono assolute.
L'abbiamo detto: tutte le
cose che vediamo e tocchiamo noi sappiamo che non sono assolute e l'uomo per la
passione d'Assoluto, vivendo per queste cose, opera per trasformarle in
assolute: tende a renderle eterne, ama una creatura e vuole che sia eterna, ama
una cosa e vuole che si assoluta, che sia eterna, ama se stesso e vuol essere
Assoluto, eterno.
Però le cose sono soggette
al tempo e allora questa passione di Assoluto obbliga (perché l'uomo non è
libero) l'uomo ha la ripetitività.
Ecco, la passione
dell'Assoluto che è data all'uomo per conoscere
l'Assoluto, se l'uomo si rivolge alle cose sensibili, alle cose del mondo,
lo costringe alla ripetitività, la quale sfocia inesorabilmente nella noia,
nella vanità, nel niente.
Si fa l'esperienza del
niente.
Per quest'errore, per
questo conflitto che l'uomo porta dentro di sé, per questa passione di
Assoluto, tutte le volte che l'uomo anziché rivolgersi all'Assoluto, si rivolge
alle cose che vede, che tocca, che sperimenta.
Sant'Agostino dice che il
peccato dell'uomo sta nel preferire la creatura al Creatore.
E Gesù dice che coloro che
non accolgono l'invito al pranzo delle nozze in nome dei buoi, dei campi, della
moglie: "Tutti costoro non assaggeranno la mia cena, il mio pranzo".
Lo assaggeranno, lo
gusteranno i poveri, gli zoppi, i peccatori, i morti, l'assaggeranno tutti, ma
questi no.
Qui ci conferma che il
peccato dell'uomo che lo conduce al niente, a fare esperienza del niente, a
restare fuori dal Regno della Verità, della Luce, della vita eterna, sta nel
preferire le creature (i campi, i buoi, la moglie) al Creatore.
Ora il problema è quello
dell'intenzione, del fine, perché l'uomo si costruisce sul fine.
Quando l'uomo tende a far
Assoluto, quindi ha come intenzione quella di render Assoluto quello che non è Assoluto,
necessariamente sfocia nel niente.
Invece bisogna che l'uomo
non cerchi quella realtà che corrisponde alla sua intenzione ma, deve far
dipendere la sua intenzione dalla Realtà (la Realtà maiuscola).
La Realtà non è quella che
egli vede e tocca, perché questi sono segni della Realtà.
I buoi, i campi, la moglie
sono creature di Dio, sono segni di Dio per l'uomo, sono segni di Dio
nell'uomo, all'io dell'uomo ma, segni, creature non Creatore, non Assoluto.
Invece la Realtà, quella maiuscola
è determinata da quello che l'uomo sa, cioè dalla parte spirituale.
Per questo la parte
spirituale (ciò che l'uomo sa Assoluto) è dominante su tutto ciò che invece
appartiene al campo del sentimento, dell'esperienza sensibile dell'uomo.
Allora se questa è la
Realtà, se è questa la parte dominante nell'uomo, è necessario che l'intenzione
dell'uomo, il desiderio dell'uomo, la vita dell'uomo sia una conseguenza, non
una premessa, sia una conseguenza di quest’Assoluto, di ciò che lui sa come
Assoluto, deve derivare da quello che è Assoluto.
"Senza la sapienza da
Te mandata nulla vale".
L'uomo deve derivare da ciò che Dio è, dall'Assoluto, la sua intenzione.
L'uomo non deve avere
invece un'intenzione e poi cercare la realtà che realizzi quell'intenzione,
perché fintanto che l'uomo ha un'intenzione e cerca la realtà che realizzi
quell'intenzione, certamente va verso il fallimento.
Bisogna invece che
l'intenzione dell'uomo, poiché l'uomo è una creatura, sia una conseguenza della
Realtà assoluta che porta dentro di sé: qui fa la Volontà di Dio!
Qui ha come intenzione,
l'Intenzione di Dio.
Non è Intenzione di Dio
quando l'uomo dice: "Dio mi ha presentato questa creatura, io vivo per
questa creatura, quindi faccio la Volontà di Dio, ho l'Intenzione di Dio".
No!
Qui fa la sua volontà, qui
ha la sua intenzione non l'Intenzione di Dio.
L'Intenzione di Dio è
quella che viene da Dio, che viene dall'Assoluto.
La Volontà di Dio è quella
che viene da Dio.
Ora viene da Dio in quanto
l'uomo ha come intenzione non la creatura, ma ha come sua intenzione quello che
viene dall'Assoluto, quello che viene da Dio.
Qui è il significato di
quest'esperienza del niente che l'uomo fa, perché quando l'uomo è costretto a
fare l'esperienza del niente, si rende la vita insopportabile, perché l'uomo
non può sopportare il niente, non può nemmeno concepirlo, si rende la vita
insopportabile e la fuga dal suo presente.
Poiché l'uomo non potendo
sopportare il presente, quando ciò che ha presente per lui è senza significato
e non risponde più a quella che è sua intenzione principale, deve scappare,
deve fuggire.
Il significato di
quest'esperienza del niente è farci capire che la vita vale e realizza il
nostro destino solo in quanto la nostra intenzione deriva da ciò che noi
sappiamo essere Assoluto, non quando invece la nostra intenzione desidera,
cerca una realtà in cui si realizzi.
"Se costui non fosse da Dio, nulla
avrebbe potuto fare"
Gv 9 Vs 33 Riassunti
RIASSUNTI Domenica-Lunedì.
Argomenti: La scoperta del pensiero oggettivo di Dio in noi. Dio da oggetto a
soggetto. L’esperienza del nulla. Sapere e non
sapere l’assoluto. Noi possiamo parlare e ascoltare
solo il nostro fine. Ciò che sappiamo e non abbiamo presente.Il rimorso. Formati dal fine per cui viviamo. Soddisfatti dalla presenza. Subordinare tutto al
fine. Desiderare Dio e il mondo. La debolezza
dell’uomo. Unità e trinità. Scappare da- e
scappare per-.
16/Ottobre/1988 Casa di preghiera Fossano.