Noi sappiamo
infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia".
Gv 9 Vs 29 Secondo tema.
Titolo:
Il peso del passato.
Argomenti: Scatare Dio in nome di
un opera di Dio – Offerta e consacrazione – Segno e proposta – Cielo e terra –
Tempo ed eterno – Passato: l’incompiuto e futuro – Il colloquio con Dio - La formazione del tempo nell’uomo – Il futuro
in Dio è presente – La vita viene dalla novità – La funzione dell’antico
testamento – La scure – Chiudersi sul passato – La scienza – Dio è sempre
davanti a noi – Dio è il presente – Illudersi di sapere – Il vero Pane – Il
sapere che ci impedisce di sapere – Incapaci di ascolto –
Il tempo è una
proiezione dell’eterno – La vera messa – Il passato e il futuro del segno – Il
problema in cui impegnarsi – Lo Spirito arriva attraverso la novità – Scartare
ciò che non si sa – Tutto ci parla di Cristo – Opporre la creazione a Dio –
Mosé e Cristo – Impegnarsi nel difficile – Vivere di tradizione – La funzione
della messa – Le due parti del segno – Solo Dio realizza – La promessa di Dio –
Aperti all’impossibile – I profeti formano la fame non la conoscenza -
5/Giugno/1988 Casa di preghiera
Fossano.
- Esposizione Luigi Bracco -
Siamo giunti al versetto
29 del capitolo nono di San Giovanni.
Qui ci troviamo con queste parole dette dai farisei a quell'uomo che era
stato cieco dalla nascita e che Gesù aveva guarito in giorno di sabato.
Grande scandalo per i farisei, poiché in giorno di sabato non si potevano
fare miracoli!
Questi farisei di fronte alla proposta del cieco guarito: "Volete
forse anche voi diventare suoi discepoli?", avevano risposto: "Sii
discepolo di Costui, noi siamo discepoli di Mosè".
Adesso aggiungono la ragione, il motivo: "Noi sappiamo che Dio ha
parlato a Mosè ma, Costui non sappiamo di dove sia".
La proposta del cieco nato abbiamo visto, era carica di insinuante ironia,
quel cieco era stato cieco negli occhi ma aveva tanta luce nell'anima.
Tutto ciò che è nel Vangelo, tutto ciò che riguarda la vita di Gesù,
riguarda noi personalmente, e in tutto dobbiamo sempre chiederci che cosa Dio
vuole dire a noi, quale lezione vuole darci per la nostra vita essenziale, che
cosa soprattutto ci vuole significare di Sé, perché Dio in tutte le cose che
opera e che fa e che fa dire, significa a noi qualche cosa di Sé.
Dio parla noi di Sé, poiché comunicandoci Sé, crea in noi le condizioni per
la comunione e quindi per la vita.
La vita eterna cioè la vita vera, contrapposta alla vita fasulla che
facciamo noi, sta nel conoscere Dio.
Allora anche qui, di fronte a queste parole, dobbiamo chiederci che cosa
Dio vuole dirci di Sé, facendoci ascoltare questi farisei scrupolosi della
legge, discepoli di Mosè, che cosa vuole significare a noi di Sé in costoro che
contrappongono Mosè a Lui, a Uno che non sapevano di donde fosse o se lo
sapevano, era Uno "qualunque" che veniva da Nazareth, di cui
conoscevano padre, madre, fratelli e sorelle.
Implicitamente dicevano: "Chi ce lo fa fare a lasciare la legge, a
lasciare Mosè, a lasciare la tradizione dei padri per seguire uno
sconosciuto?".
Non a caso questo sconosciuto era Dio!
E allora qui dobbiamo chiederci il perché, proprio per questa
contraddizione, perché in nome di Mosè, in nome della legge, scartano Dio!
Anche Gesù dirà ai suoi discepoli: "Verrà il giorno in cui vi
manderanno a morte credendo con ciò di rendere gloria di Dio, e ciò faranno
perché non hanno conosciuto (non hanno conosciuto!) né il Padre né Me".
A tanto si giunge quando non si conosce, quando non si mette la conoscenza
di Dio al di sopra di tutto, la ricerca di Dio al di sopra di tutto!
Ci deve essere una lezione e una lezione per la nostra vita essenziale in
questo fatto.
Gesù vuole insegnarci qualche cosa di essenziale per la nostra vita, poiché
adesso noi sappiamo che Costui, che loro non sapevano, donde fosse, era Dio.
E allora perché in nome di Mosè scartano Dio?
Loro non sanno che scartano Dio, eppure scartano Dio.
Vuol dire che può avvenire anche nella nostra vita.
Mosè certamente era un'opera di Dio, a Mosè aveva parlato Dio e come
succede che un certo momento in nome di un'opera di Dio si scarti Dio?
Può succedere anche nella nostra vita: in nome di una regola, in nome di un
dovere, in nome della volontà stessa di Dio, noi scartiamo Dio!
Qui in nome di una cosa passata: "A Mosè ha parlato Dio", in nome
di quello che sapevano: "Noi sappiamo che", si compie un rifiuto.
Ci troviamo di fronte a un passato che rifiuta il presente.
Ci troviamo con un sapere che rifiuta di sapere.
Se Dio ci presenta questi avvenimenti, non ce li presenta perché noi
abbiamo a giudicare il popolo ebreo o i farisei e a condannarli dicendo:
"Se ci fossimo stati noi allora, noi avremmo.....".
Non è così perché Dio ci presenta gli avvenimenti, i fatti del Vangelo,
come ci presenta gli avvenimenti e i fatti ancora oggi.
Nel Regno di Dio, nel Regno della Verità non c'è il tempo e non ci sono
distanze.
Quello che Dio ci presenta, lo presenta quindi per noi.
Non lo presenta perché sia oggetto di giudizio da parte nostra, perché Dio
stesso dice: "Non giudicate".
Ci presenta gli avvenimenti, i fatti e poi dice a noi: "Non
giudicate".
Allora cosa dobbiamo fare?
"La lezione è per voi".
"L'avvenimento lo dovete prendere su di voi", come Cristo ha
preso su di Sé le nostre colpe.
Qui ci fa capire una cosa molto grande: gli avvenimenti, i fatti
attorno a noi, sono per noi e siamo noi che dobbiamo prendere su di noi la
lezione: "È per me".
In tutte le cose dobbiamo dirci: "Questo è per me, Signore che cosa mi
vuoi dire? Che cosa mi vuoi significare?".
E la lezione diventa preghiera, diventa dialogo, colloquio con Dio.
È esattamente quello che Dio vuole.
Dio fa tutto per convocarci alla sua Presenza, per invitarci ad ascoltare
Lui a dialogare con Lui.
Noi siamo fatti della Presenza di Dio.
Noi siamo fatti in coppia: Lui e noi.
Noi siamo fatti essenzialmente dal Tu e il Tu di Dio.
Dobbiamo imparare a vivere in questa coppia, perché Lui parla con noi in
tutto, dentro e fuori di noi, e noi dobbiamo imparare a colloquiare con Lui in
tutto, perché soltanto dall'ascolto di Dio, noi possiamo giungere alla
conoscenza di Dio, possiamo giungere cioè alla vita, alla vita eterna.
È soltanto nell'ascolto di Dio che noi possiamo entrare, fare il salto
nell'infinito di Dio.
Dio è un infinito.
Abbiamo detto molte volte che Dio è un infinito perché è Uno.
Infinito non è un numero grandissimo, perché per quanto noi aggiungiamo
numeri a numeri, non arriviamo mai all'infinito.
Non si può fare il salto dal numero che è finito per quanto grande sia,
all'infinito.
L'infinito è uno e l'uno è infinito.
Ora, non si può passare da noi finiti a Lui infinito, se Lui infinito non
parla a noi.
Nessuno può salire in alto, nessuno può entrare nell'unità se l'unità non
viene a noi, se l'altro non discende al nostro livello.
È solo la parola che fa da trait d'union, è solo la parola che fa da ponte:
è la Parola dell'infinito, è la Parola di Dio che fa da ponte per il nostro
passaggio dal finito all'infinito.
Né noi avvertiremo il finito se non avessimo già presente l'infinito.
Come non avvertiremo il tempo se non avessimo già presente l'eterno.
Non avvertiremo il frammento se non avessimo presente il tutto.
Noi lo avvertiamo, però non possiamo passare.
Ci siamo posti le domeniche scorse il problema di come sia possibile che
l'eterno, l'infinito, in noi assuma l'aspetto del tempo.
Come si forma in noi il tempo?
Il tempo è relativo solo a noi, non a Dio.
Dio è tutto presenza, Dio è eterno.
Come succede che quest'eternità a contatto con una creatura diventi tempo?
Poiché siamo fatti in coppia con Dio, il problema della vita è un problema
di coppia, un problema di relazione, nel problema di coppia c'è il problema del
parlare.
Il problema di chi parla e il problema di chi ascolta, il problema cioè del
colloquio.
La fecondità della coppia viene proprio data da questo colloquio.
Però la Parola di Dio va capita, e non capita nel nostro finito ma capita
nell'infinito di Dio, ed è per questo che siamo in coppia, ed è per questo che
Dio è presente in noi.
Perché se l'infinito non fosse presente in noi, noi non potremmo
assolutamente capire ciò che riguarda l'infinito, ciò che riguarda l'eterno.
A un cane noi possiamo parlare da mattina a sera di Dio ma non può ricevere
assolutamente niente: riceve l'osso.
Quindi noi possiamo intendere l'infinito, l'eterno, l'Assoluto, la Verità,
in quanto questa è presente in noi.
Ma non basta che sia presente, bisogna che parli a noi.
Non bastano le sue Parole, bisogna intendere le sue Parole nell'infinito di
Dio, nel Pensiero di Dio.
Per questo non basta credere, non basta ricevere, non basta ascoltare,
bisogna riportare tutto a Dio, perché soltanto nel riporto a Dio si ha la luce,
l'intelligenza.
Tutta la creazione arriva a noi alla fase dell'offertorio.
Poi bisogna passare dall'offertorio alla consacrazione.
Tutte le cose si fermano nelle nostre mani, tutte le Parole che Dio fa arrivare
a noi, noi dobbiamo elevarle, portarle sull'altare di Dio e l'altare di Dio è
la nostra mente e su quest’altare dobbiamo offrirle a Dio, affinché Dio ci
riveli la sua luce, il suo Verbo, il suo Pensiero e li faccia suoi.
Perché soltanto quando Lui ci manifesta il suo Pensiero, in quest'offerta
che non avviene senza di noi, si può formare la comunione tra noi e Dio.
Tutto il mondo può celebrare messe, ma se noi non celebriamo questa Messa
interiore nella nostra mente, tutto il resto non vale, anzi ci rimprovera
perché tutto avviene affinché noi abbiamo a fare questo.
Allora come sorge il tempo e che cosa significa il tempo in noi?
Il rapporto di coppia è un rapporto di parola.
Dio parla perché soltanto parlando, comunica Sé.
Abbiamo visto che la Parola di Dio che arriva a noi è composta da due
elementi, da due fattori.
C'è un aspetto che si fa sentire, Dio parlando si fa sentire da noi, è
l'aspetto esteriore, è quello che s’imprime su di noi, il segno.
Ma poi nella Parola di Dio c'è un altro fattore che il più importante
ed è la proposta.
Nella Parola di Dio c'è sempre una proposta: Dio ci propone qualcosa di Sé.
Abbiamo un fatto innegabile, la creazione di Dio s'impone su di noi, noi
non possiamo non vedere e anche se vogliamo rifiutare, noi rifiutiamo quello
che abbiamo già visto.
Quindi le cose arrivano a noi indipendentemente da noi.
Quindi c'è tutto un mondo che arriva a noi senza di noi, indipendentemente
da noi e questa è la creazione di Dio, questo è il primo termine della Parola
di Dio.
Poi abbiamo il secondo termine della Parola di Dio che è la proposta,
sempre contenuta nella stessa Parola di Dio, nella creazione stessa di Dio, in
quello che arriva a noi.
Ora, proprio perché è proposta, qui non si giunge a ciò che Dio ci propone,
non si giunge alla conoscenza, alla luce senza di noi.
Così abbiamo questi due grandi elementi: mondo che arriva a noi senza di
noi, mondo che non arriva a noi senza di noi, ma ci è proposto.
Dio all'inizio ha formato l'uomo di cielo e di terra.
In ognuno di noi c'è questo cielo e c'è questa terra.
Ma non si entra in cielo senza di noi.
La terra l'abbiamo senza di noi.
Dio ce la fa arrivare senza di noi: fa splendere il suo sole sui buoni e
sui cattivi, manda la sua pioggia sui giusti e sugli ingiusti.
Nel cielo non si entra senza di noi.
Sant'Agostino dice: "Chi ti ha creato senza di te non ti salva senza
di te".
Allora succede che quel segno che arriva a noi senza di noi, se non viene
raccolto e riportato in Dio, forma il nostro passato.
È quel segno che è proposta di Dio a noi e nel quale noi non entriamo senza
di noi che forma il nostro futuro.
Allora qui abbiamo il tempo.
Il tempo è un aspetto dell'eternità di Dio che colloquia con noi.
Direi meglio il tempo significa l'incompiuto che si forma in noi dal
parlare di Dio, quando noi non riportiamo a Dio quello che è di Dio, non
raccogliamo in Dio quello che Dio ci fa arrivare.
Allora in noi si forma il passato e il futuro.
Noi siamo fatti tutto di passato e di futuro, mentre il presente
sfuma, anzi abbiamo detto che il presente rischia di diventare l'esperienza
d’impossibilità di rivivere il passato ed esperienza d’impossibilità di capire
quello che Dio ci ha promesso e può essere una condanna.
Ma abbiamo anche visto che il futuro se noi lo riportiamo a Dio diventa
presente: e lì la meraviglia del colloquio con Dio!
Tutto ciò che nella creatura è futuro, per mezzo di Dio diventa presente.
Avevamo preso come parola guida la dichiarazione: "Saranno tutti
ammaestrati da Dio".
È un tempo futuro.
Riportando a Dio questo futuro, abbiamo visto che è un presente: "Sono
tutti ammaestrati da Dio".
Ecco il passaggio dal futuro al presente.
Il futuro si recupera in presenza ma, solo per mezzo di Dio.
Senza Dio il futuro resta futuro e noi siamo tagliati fuori, anzi, il futuro
rischia di diventare senza speranza, esperienza d’impossibilità.
È solo con Dio che il futuro diventa presente.
Abbiamo visto quindi già l'altra domenica il rapporto tra il futuro e il
presente.
Qui oggi invece ci viene presentato il rapporto tra il passato e il
presente, perché qui ci troviamo con questi farisei che dicono: "Noi
sappiamo che Dio ha parlato Mosè (passato), ma Costui non sappiamo di dove sia
(presente)".
Quindi abbiamo una situazione passata e una situazione presente e abbiamo una
situazione di anime, di creature, che in nome del passato rifiutano il
presente, in nome di ciò che sanno rifiutano ciò che non sanno.
San Giovanni della croce dice: "Se vuoi arrivare a ciò che non sai,
supera tutto ciò che sai".
Basta questa semplice parola per farci capire tutto l'errore che noi
facciamo quando, in nome di ciò che sappiamo, rifiutiamo ciò che non sappiamo,
perché per arrivare a sapere quello che non sappiamo, dobbiamo superare tutto
quello che sappiamo.
Quelli che erano stati invitati alla cena, a un certo momento rifiutano
l'invito perché: "Ho i buoi, i campi, la moglie".
Buoi, campi, moglie, sono creature di Dio, com’è creatura di Dio Mosè,
quindi sono cose buone.
Per loro erano un dovere.
Erano il dovere!
Su questo "dovere", Gesù dice: "Non gusteranno la mia cena
in eterno".
Non hanno detto: "Noi dobbiamo andare a rubare", hanno detto:
"Noi abbiamo i campi, i buoi, la moglie", come noi potremo dire:
"Noi abbiamo le nostre regole, noi abbiamo i nostri doveri, noi abbiamo i
nostri impegni, non possiamo venire, abbici per giustificati".
Gesù dice "No, nessuna giustificazione, entreranno tutti voi no".
E fintanto che noi ci troviamo in questa categoria, non entriamo.
Questo Lui lo dice non per escluderci, ma per includerci, perché Lui vuole
che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità.
Se Lui vuole che tutti si salvino, anche quando dice "Tu non gusterai
la mia cena", lo dice per salvarmi.
Tutte le sue Parole, anche le sue Parole di condanna: "Meglio per te
non essere nato", sono parole cariche di speranza, perché sono fatte in
un’intenzione ed è l'intenzione che illumina le parole, non sono le parole che
illuminano l'intenzione.
E quando uno sa che l'Intenzione di Dio è che vuole salvare tutti, questa
Intenzione deve illuminare tutte le Parole di Dio e anche se Dio mi dicesse:
"Meglio per te non essere nato", questa è una Parola d'amore,
perché è carica di un'intenzione: l'intenzione di salvarmi.
Per cui verso Dio non dobbiamo mai e non ci deve essere mai un senso di
disperazione, perché Dio qualunque segno ci dà, ce lo dà carico di questa sua
intenzionalità, ed è una intenzionalità eterna, assoluta: "Dio vuole che
tutti si salvino".
Dobbiamo chiederci: che cosa succede che noi ha un certo momento opponiamo
qualcosa a Dio, perché la creatura oppone a Dio?
Come qui questi farisei oppongono le loro sicurezze, il loro sabato a Gesù,
e in nome del sabato dicono: "Costui è un peccatore", perché?
"Perché non osserva il sabato".
Aveva dato la luce, aveva dato la vista a un uomo cieco dalla nascita, però
il miracolo non contava.
Contava l'osservanza del sabato, la legge.
Già, ecco è in nome della legge che si manda a morte Cristo, si uccide lo
spirito.
Questo succede a ognuno di noi, in nome della nostra istituzione o del
nostro istituto o in nome dei nostri doveri, noi ci priviamo del tempo per Dio
e mandiamo quindi a morte Dio, perché spiritualmente parlando, si manda a morte
quando si fa fuori una persona dal nostro pensare, dal nostro interesse, dal
nostro tempo.
Noi facciamo fuori Dio perché Dio è una preoccupazione, un grande problema:
Dio è un infinito, una cosa difficile, molto difficile e noi non abbiamo mai
tempo per Lui.
Quando non si ha tempo, si fa fuori, perché noi diciamo con molta
educazione: "Non abbiamo tempo", perché non osiamo dire: "Non
m'interessa", non osiamo dire: "Non ho amore per quello".
Ma davanti a Dio noi non possiamo barare, davanti a Dio noi dovremmo dire
il nostro amore necessariamente.
Allora cosa succede dentro di noi perché a un certo momento si formi
quest’opposizione?
In nome di quello che sappiamo, rifiutiamo quello che non sappiamo.
Abbiamo anche visto che Dio, lo Spirito di Dio arriva a noi proprio
attraverso quello che non sappiamo.
Non arriva a noi attraverso quello che sappiamo, perché Dio è un infinito
ed essendo infinito trascende noi, ci supera e supera tutte le nostre
conoscenze e ci mantiene in vita proprio in quanto parla a noi di quello che
ancora non sappiamo, perché è proprio parlando di quello che noi non sappiamo
che ci impegna.
Quello che è vecchio non c'interessa più, un libro letto una volta non lo
leggiamo più.
Quello che abbiamo vissuto non ci dà più vita.
La vita viene a noi attraverso la novità.
E allora dobbiamo essere molto attenti perché la novità è tale proprio
perché supera tutto quello che noi sappiamo.
Siamo noi e solo noi che nel pensiero del nostro io rendiamo le cose
vecchie, che diciamo: "Questo lo so, questo l'ho già visto, questo l'ho
imparato, di questo sono sicuro".
È nel pensiero del nostro io.
È nel pensiero del nostro io che si forma il passato e il futuro e perdiamo
il presente.
Ora, il vero grande peccato è proprio quello di considerare noi stessi, il
nostro io in modo autonomo, senza tenere conto di Dio.
Qui si forma l'opposizione.
Allora si oppone Mosè a Gesù, mentre Gesù dirà: "Scrutate le
scritture, parlano di Me".
E se parlano di Lui, non può essere che le scritture siano in opposizione a
Lui.
Non può essere che Mosè sia in opposizione a Cristo.
Mosè è per Cristo.
Nella trasfigurazione tutti i profeti, sintetizzati in due figure Mosè ed
Elia, appaiono convergenti su Cristo: stanno colloquiando con Cristo.
Tutto il mondo sta colloquiando con Cristo.
Tutto si ricapitola qui.
Quante volte opponiamo in mondo a Dio, il mondo di Dio a Dio!
Se il mondo è fatto da Dio, è fatto per Dio, non perché noi lo opponiamo
Dio.
Opponendo i nostri doveri, i nostri impegni nel mondo a Dio, un giorno noi incontreremo
il mondo che ci smentirà, il mondo stesso ci smentirà.
Qui di fronte a questi farisei anche Mosè si ergerà a smentirli, perché
Mosè ha parlato del Cristo.
I primi discepoli quando incontrarono Cristo dissero: "Colui del quale
hanno parlato Mosè e i profeti noi l'abbiamo trovato".
Avevano capito qualche cosa.
Nella loro ignoranza avevano capito infinitamente di più di quello che
avevano capito questi farisei, perché questi farisei avevano capito un Mosè
opposto a quest'Uomo che veniva da Nazareth e che parlava di Dio.
I primi discepoli invece avevano capito che Mosè parlava di Lui, lo avevano
visto come Colui che rispondeva alla loro fame, al loro bisogno di Dio.
La funzione di tutto l'antico testamento, come la funzione anche di tutta la
creazione e anche di tutta la cronaca dei nostri giorni, è di formare in noi il
problema dell'Assoluto, di formare in noi il problema di Dio, di formare in noi
la fame di Dio, fame di Verità.
E chi ha intelletto, chi ha capito il senso di tutte le cose che accadono
attorno a noi, porta dentro il suo animo questa fame di Assoluto, questo
bisogno di Assoluto, questo bisogno di trovare qualcuno che parli di Dio.
E quando ha trovato questo qualcuno che parla di Dio, esclama:
"Abbiamo trovato".
Ecco quello che ci fa identificare il Cristo.
Cristo non è venuto dicendo: "Sono il Figlio di Dio", non l'aveva
scritto sul berretto, sulla fronte, è il cuore, è quello che portiamo dentro di
noi, se lo portiamo, che ci fa identificare il Cristo.
"Voi stessi dite che Io sono" dice Gesù, voi stessi con la vostra
fame.
Con la vostra fame ma, anche con la vostra tristezza di vita, con la vostra
insoddisfazione, con la vostra noia, con la vostra angoscia, con una vostra
morte, "Voi dite che Io sono".
Tutte le creature che amino o che bestemmino, che credano o che rifiutino
di credere, tutte le creature a una voce dicono: "Tu solo sei, noi non
siamo, noi siamo in quanto partecipiamo".
Ecco perché tutto il passato visto nel pensiero del nostro io ci porta via
il presente, perché impedisce a noi di credere alla novità, ci porta via la
novità e portandoci via la novità, ci porta via il futuro.
Quando si porta via il futuro a una persona, si porta via la speranza, si
uccide, perché l'uomo è fatto essenzialmente di speranza.
Non togliete mai la speranza a nessuna creatura!
Dio vuole che ci sia questa speranza.
Dio ci rispetta nel futuro.
Noi possiamo essere dei delinquenti, delle prostitute, tutto quello che si
vuole ma, non togliete mai la speranza a nessuno, perché Dio non toglie la
speranza.
Dio dice "Oggi sei così, domani sarai diverso, potrai essere
diverso", è Dio che ci costruisce.
Non dobbiamo voltarci indietro.
Il passato ci distrugge.
Il passato c'impedisce di aprirci alla novità e impedendoci di aprirci alla
novità ci toglie la speranza, ci toglie la via del futuro.
Ecco perché a un certo momento nell'io si forma la non più speranza.
Il presente è il momento di contatto della Parola di Dio in questa coppia
che noi siamo, il contatto della Parola di Dio con la nostra anima.
Il presente è formato quindi dall'attimo in cui ci arriva la proposta e
ogni proposta, volente o nolente, richiede da noi un sì o un no e noi lo
diciamo e non possiamo non dirlo.
Come diamo la risposta, il presente è finito.
Il presente è un attimo di questo cammino verso l'infinito di Dio.
Ora il momento è valorizzato è dato dal fine.
È il fine che dà valore al momento, è il futuro che dà valore al presente.
Se noi togliamo il futuro, il nostro presente perde di valore, non ha più
senso.
Là dove non c'è il fine, le cose perdono il significato e quando le cose
perdono il significato, non sono più sostenibili.
Una vita senza significato corre al ponte, non si sostiene più, c'è il
suicidio, tanto siamo fatti per il significato delle cose!
Ecco il passato staccato da Dio, quindi visto soltanto nel pensiero del
nostro io, portandoci via futuro, ci porta via anche il presente, quindi ci
porta via la capacità di vivere il presente, di vivere un senso, un significato
nel presente e quindi ci porta alla morte.
Ma nel Pensiero di Dio questo passato ha un significato che è quello che
dice Gesù: "La scure è ai piedi dell'albero".
Se l'uomo si separa da Dio, se l'uomo non riporta le cose a Dio, la scure è
ai piedi dell'albero.
Il peccato vero è il non riportare le cose a Dio, non basta accogliere le
cose da Dio, bisogna riportarle, perché è proprio in questo riporto che si fa
il salto nell'infinito, che si nasce dall'infinito di Dio e che s’incomincia
guardare dall'infinito di Dio.
Non riportando a Dio, noi separiamo il nostro finito dall'infinito, ci
separiamo dall'eterno, diventiamo delle isole e degli isolati.
E qui c'è la scure che opera al taglio.
Ma l'aspetto positivo è quello di farci capire che dobbiamo essere molto
attenti a quello che si annuncia a noi e che per noi è novità, perché lo
Spirito di Dio arriva a noi attraverso la novità.
Quindi non dobbiamo chiuderci su quello che sappiamo, non dobbiamo
chiuderci sul passato, non dobbiamo chiuderci su tutte le forme finite nel
nostro mondo ma, dobbiamo essere attenti allo Spirito che arriva a noi
annunciandoci, parlandoci cose che per noi sono novità, che ci superano.
Soltanto qui in noi abbiamo l'offerta da parte di Dio della sua vita
infinita.
- Conversazione -
A.: L’errore di fondo di questi farisei, che è poi
l’errore che ognuno di noi fa è affermare con sicurezza: “Noi sappiamo”.
Dicendo questo noi ci tagliamo fuori dalla possibilità di riconoscere e
accogliere la novità che viene da Dio.
Luigi: Bisogna avvicinarsi a Dio sempre non sapendo.
A.: Il peccato sta nel rifiutare la novità.
Rifiutando la novità si ripiegano sul passato,
inaugurando un processo di vecchiaia che li taglia fuori dal regno di Dio.
Luigi: Il passato nasce da un rapporto con il nostro io.
È il
nostro io che fa vecchia la cosa.
“Io l’ho
visto, l’ho toccato, l’ho esperimentato”.
Tutta la
scienza vive di questo passato.
La scienza
è basata sull’esperienza dell’uomo.
Dio invece
è il non-esperimentato.
Dio è il
“non conosciuto”.
A.: Di fronte a un segno di Dio, dicendo di sapere
m’impedisco di conoscere il pensiero di Dio nel segno.
Luigi: No, Dio si conosce solo in Dio e con Dio.
A.: Però mi parla attraverso fatti e creature.
Luigi: Sì ma io posso fermarmi ai fatti in un rapporto
orizzontale.
A.: Infatti: “Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio”,
loro rifiutano Dio in nome di segni di Dio, ma non si preoccupano di capire che
cosa Dio ha voluto significare in quei segni.
Si precludono la possibilità di mettersi in rapporto
personale con Dio.
Luigi: Si legge la lettera dell’opera di Dio, senza passare
allo spirito.
Noi
vediamo il segno di Dio ma non vediamo la proposta di Dio nel segno di Dio.
E non ci
impegniamo nella proposta di Dio e il peccato sta lì.
Nel segno
c’è la mano di Dio, c’è la presenza di Dio, tu non dividere il segno da Dio.
A.: Quindi il peccato è sostanzialmente un peccato di
autonomia del nostro io, del nostro pensiero da Dio, che si appropria di un
segno di Dio e lo strumentalizza e non domanda a Dio che cosa Dio vuole
significare di Sé attraverso quel segno.
Luigi: Solo che fermandomi al segno, il segno immediatamente
diventa passato, vissuto.
Il passato
mi porta via il futuro, perché mi porta via l’aspirazione al futuro (capire) e
mi annulla il presente quindi praticamente mi conduce alla morte.
Mi rende
impossibile il vivere.
Tant’è
vero che l’uomo vecchio, è un uomo tutto ripiegato su se stesso: “Ai miei
tempi”, è tutto voltato indietro.
Il bambino
invece è tutto aperto al futuro.
Dio è
sempre davanti a noi, non voltarti mai indietro.
Dio è
sempre davanti a te, quindi è un impegno che t’invita a superare tutto quello
che hai esperimentato, provato, conosciuto e a superare tutto quello che tu
sei.
A.: Quindi quella scure alla radice dell’albero è quel
passato fatto di proposte di Dio rifiutate, di Parole di Dio giunte a noi e non
prese in considerazione nel loro Pensiero, nel loro Spirito.
Questa è la scure, noi siamo giudicati da quelle Parole
che abbiamo rifiutato di approfondire.
Luigi: Perché in ogni parola di Dio c’è qualcosa che si fa
sentire da noi, che si riferisce a noi perché è in relazione al nostro io e c’è
poi lo Spirito di Dio, la Proposta di Dio, c’è quello che la Parola di Dio ci
propone di Sé.
Noi
dobbiamo arrivare alla Proposta, allo Spirito, all’Intenzione, al Significato.
E questo
si ottiene solo da Dio.
Perché
l’intenzione di Uno, viene solo da quell’Uno.
Allora in
ogni segno devo sempre risalire a Dio.
Altrimenti
io scorporo il segno da Dio e il segno scorporato da Dio mi porta alla morte.
A.: L’illusione dell’uomo sta nel ritenere di conoscere
il segno quando ha preso coscienza del suo aspetto esteriore, sensibile, ma non
conosce niente.
Luigi: Si perché la conoscenza che Lui ha, fa solo riferimento
ai sensi che hanno per centro l’io.
Ora, evidentemente
il punto fisso di riferimento non è il mio io.
Il punto
fisso di riferimento per la conoscenza è Dio, è l’assoluto.
Quindi la
vera conoscenza sta nel riferire tutte le cose a Duo e non al pensiero del
nostro io.
La cosa
non è vera perché tu la vedi e la tocchi.
Altrimenti
tu non vedi Dio e Dio non esiste, non vedi il pensiero, il pensiero non esiste.
Noi non
siamo il punto fisso di riferimento, altrimenti Dio sarebbe sottomesso al
nostro io.
La
creazione, i segni di Dio sono sottomessi al nostro io (in parte) per cui io
vedo e tocco, ma io non sono il metro, è Dio che si offre a me, mi tocca per
farmi alzare gli occhi a Lui e vedere quello che non puoi percepire con i sensi
ma con l’intelletto.
B.: Il presente è formato dall’attimo in cui mi arriva la
proposta.
Nell’attimo in cui mi arriva il segno questo segno
diventa già futuro in me.
Luigi: Immediatamente c’è un passato e c’è un futuro.
Il segno
che arriva a me indipendentemente da me, quello diventa passato, noi vedendo
una cosa, la cosa è già passata, io quando ascolto una tua parola o vedo un tuo
sorriso, vedo una cosa che è già passata, è già passato, non ti vedo in quella
che è la tua attualità.
E c’è
invece la parte futura che è la proposta.
Questa
proposta se io la riporto in Dio mi diventa la vera presenza.
Perché Dio
è il presente.
Ecco
perché tutte le cose che arrivano a me diventano passato, perché Dio è il
presente.
È soltanto
in Dio che recupero tutto in presenza e recupero il passato e il futuro in
presenza.
B.: Ma non diventa presenza solo quando Dio mi fa capire
il segno?
Luigi: In Dio e da Dio
io passo dal futuro al presente.
“Saranno
tutti ammaestrati da Dio”, “In quel giorno conoscerete”, non c’è spostamento di
Dio, non è che Dio domani sarà il mio Maestro.
Dio è oggi
il tuo Maestro.
Ma per
capire che Dio oggi è il tuo Maestro, tu devi passare attraverso Dio.
Chi ti
converte il “saranno ammaestrati” in presenza è solo Dio.
Partendo
da Dio: Dio è fuori del tempo, Dio non è stato il creatore, è il creatore.
Ed è
questo che ti costruisce la grande meraviglia della vita.
Perché se
da Dio, tu capisci che oggi sei ammaestrata da Dio, allora Dio sta parlando con
te.
Oggi!
Qui c’è un
rapporto immediato.
Dio è il
Creatore, ma allora oggi, tutte le cose sono fatte da Dio.
Ecco che
questo mi conduce al colloquio e alla vera preghiera con Dio.
Rapporto
diretto con Dio.
Ma questo
è possibile solo con Dio.
Senza Dio
noi creiamo le lontananze da Colui che è presente.
Dio non si
sposta mica né nel tempo, né nello spazio.
Dio è
sempre presente.
“Sono le
vostre colpe che hanno creato le distanze”, le distanze con Colui che è
presente.
Vuol dire
che noi finiamo in un punto lontanissimo, che scompare nel niente.
Ma con
Colui che è presente, noi recuperiamo tutto.
Perché con
Dio tutto è presente e allora qui c’è il passaggio dal tempo all’eternità.
C.: Anche il passato può essere recuperato con Dio.
Luigi: Deve essere recuperato con Dio.
Il passato
è tale poiché è in rapporto al nostro io.
In Dio si
recupera tutto in presenza.
Poiché Dio
è il presente.
Il giorno
di Dio è un giorno eterno, perché è presenza.
Il passato
e il futuro sono solo relativi al nostro io, non sono relativi a Dio.
In Dio non
c’è il passato e il futuro, è tutto presente.
Ed è
soltanto attraverso Dio che noi recuperiamo tutto in presenza.
E.: Il futuro è un incompiuto?
Luigi: Come il passato, il futuro è un incompiuto.
Incompiuto
rispetto al compimento delle cose.
La
proposta di Dio è un incompiuto che arriva a me.
Cristo
viene a portare a compimento l’opera del Padre.
Il Padre
inizia l’opera.
La inizia
senza di noi.
Il
compimento non arriva senza di noi.
Allora se
il compimento non arriva senza di noi, può succedere che le cose in noi restino
incompiute.
Le cose
incompiute sono passato e futuro.
Tempo.
Sprofondiamo
nel tempo.
Il presente
è Dio.
Ma il
presente noi non possiamo coglierlo senza Dio.
Il sabato
senza sera, il compimento, la pace, “Sforzati di entrare in questa pace dice
San Paolo”.
Affrettati
ad entrare in questa pace, Dio ti ha mandato un invito.
Ecco
questa fretta e questa urgenza, perché le cose stanno bruciando.
La
proposta non resta.
La
proposta riceve o un si o un no.
È un
istante.
È il punto
di contatto tra il finito e l’infinito: la Parola di Dio che arriva a noi.
Lì è il
punto di passaggio.
F.: Cosa vuol dire capire la proposta di Dio?
Luigi: Sapendo che viene da Dio, da una Persona, io devo
cercare l’intenzione della proposta.
La
proposta sta lì.
Io non mi
devo accontentare: se uno mi manda un mazzo di fiori, non mi devo accontentare
del mazzo di fiori.
Cosa ha
voluto dirmi?
È una
persona che me lo manda, quindi ha una intenzione.
Perché mi
ha mandato il mazzo di fiori?
Devo
arrivare al pensiero che c’è dietro il mazzo di fiori.
Non devo
appropriarmi del dono.
Devo
cercare l’intenzione di Colui che mi ha mandato il dono.
Perché mi
ha mandato quel dono?
Il bambino
è tutto un perché.
Cosa è il
perché del bambino?
È la
ricerca della intenzionalità.
Tutte le
cose sono cariche d’intenzionalità, perché sono fatte da Dio.
Allora non
disgiungere l’opera dall’operatore.
Non
disgiungere il dono dal donatore.
Se
disgiungo me ne approprio.
Ma se non
disgiungo e vado a cercare il dono nel donatore, vado a cercare il pensiero,
l’intenzione, è lì la proposta.
Dio tutte le
cose che fa, le fa per sollecitare noi a conoscere il suo Pensiero, suo Figlio.
Perché
tutte le cose sono fatte nel suo Pensiero.
Anche noi
quando parliamo, parliamo per comunicare un pensiero.
Tutto è
segno di Dio.
A molta
maggior ragione, Dio opera tutte le cose per comunicare il suo Pensiero e il
suo Pensiero è suo Figlio.
Il suo
Pensiero però è generato da Lui, dal Padre.
Quindi
soltanto elevandoci a Lui e da Lui noi possiamo arrivare a ricevere la
comunicazione del suo Pensiero.
Qui
abbiamo poi la comunione.
H.: Noi crediamo di opporre i nostri doveri nel mondo a
Dio...
Luigi: Sì, qui opponevano la legge di Mosè.
H.: E un giorno il mondo ci accuserà, quando avviene
questo?
Luigi: Avviene nel tempo questo.
Noi, il
più delle volte, rinunciamo a Dio per piacere alle creature.
Arriva un
certo momento in cui noi non piaceremo né a Dio, né alle creature.
Né agli
uni, né all’altro.
A un certo
momento tutte le creature ci urleranno che loro appartengono a Dio e non a noi.
Noi
cerchiamo di piacere alla creatura, per possedere la creatura.
Ma a un
certo momento la creatura ci sfugge per la tangente e allora lì: porta chiusa.
“Io amavo
quella creatura perché volevo possederla”.
A un certo
momento la creatura ti dice: “Io non posso appartenerti, perché appartengo a
Dio”.
Volente o
nolente la creatura me lo dice, col cambiamento, la fuga, la delusione o la
morte.
A un certo
momento tutte le creature ti dicono: “Noi siamo di Dio” e se sono di Dio tu
alza le mani, non appropriartene.
Quindi
abbandonando Dio non avremo neppure la consolazione della creatura.
No,
nessuna creatura sarà per me.
Se noi
mettiamo Dio prima di tutto, tutto sarà per noi.
Ma se noi
abbandoniamo Dio, anche tutta la creazione ci rinnegherà.
Q.: Questi farisei, quel poco che credevano di sapere non
lo sapevano.
Luigi; Sono specchio per ognuno di noi.
Noi
abbiamo sempre la nostra esperienza nel mondo da opporre a Dio.
“Non
preoccuparti del mangiare e del vestire, tutto il resto ti sarà dato in
sovrappiù”, la nostra esperienza dice che non è vero.
Se un
magnate dell’industria mi dice di occuparmi di una cosa sola e che a tutto il
resto ci pensa lui, a lui ci credo.
Dio il
Creatore mi dice la stessa cosa e noi dubitiamo, perché?
Perché
l’industriale lo vediamo e lo tocchiamo.
W.: Però San Paolo dice anche che chi non lavora non
mangia.
Luigi: Parola esattissima come Parola di Dio.
Va
contemplata in Dio, in quel Dio che ti dice di non affannarti per avere il pane
che passa ma di affannarti per avere il
Pane che non passa: la conoscenza di Dio.
Come quando
Dio dice al profeta: “Mangia questo libro”, questo vuole dire mangiare.
Il vero
pane è quello che discende dal cielo e che dà vita al mondo.
È la
conoscenza di Dio, è di questo che ti devi nutrire, è per questo che devi
sudare, faticare e lasciare tutto il resto.
Perché
tutte le cose, essendo Parola di Dio vanno sempre intellette nel Pensiero di
Dio, non nel nostro pensiero.
Noi
diciamo di lavorare per volontà di Dio e poi quelli che giustificano la loro
assenza all’invito di Dio per dedicarsi ai buoi, ai campi e alla moglie vengono
maledetti da Dio.
“I campi e
i buoi” non sono forse la fatica del lavoro?
La
contraddizione.
X.: Bisogna accettare tutto da Dio...
Luigi: Soprattutto quello che mi sembra assurdo e impossibile.
Se la
Madonna avesse accettato solo ciò che era possibile, non avrebbe concepito.
Se la
Madonna avesse saputo (ritenuto di sapere) non avrebbe concepito.
Ha creduto
all’impossibile.
La Parola
di Dio ci presenta l’impossibile.
L’impossibile
per quello che è il nostro metro.
E bisogna
credere all’impossibile, perché presso Dio tutto è possibile.
Y.: Cosa rappresenta la scure?
Luigi: Perché sfrutta inutilmente la terra? Taglialo!
Ogni
attimo è una proposta di Dio che ti arriva e ti fa correre il rischio di
caricarti di passato.
Di non
farti passare nella vita.
Y.: Quindi la scure taglia questo passato?
Luigi: Il passato ti taglia dalla vita.
Mano a
mano che tu accumuli tu perdi la vita: è in nome di quello che sappiamo che noi
rifiutiamo quello che non sappiamo.
Per cui il
nostro sapere, a un certo momento ci chiude.
Tutte le
nostre esperienze che facciamo vivendo, ti separano dalla vita come la scure.
Il bambino
è tutto aperto alla vita, poi vivendo si ripiega tutto su se stesso: ha perso
il contatto con la vita: c’è stata la scure che ha tagliato.
Invece
bisogna riferire tutto a Dio, perché Dio ti recupera tutto.
Essendo un
infinito, in tutte le cose ti propone Se Stesso.
Quindi
t’impegna al superamento di tutto quello che tu sai.
Lo Spirito
è tutta una novità.
Non puoi
rattoppare l’abito vecchio.
Certo che
chi beve del vino vecchio si rifiuta al nuovo.
Certo col
vino vecchio ci sto bene, perché mi sono sistemato con la mia autorità, con la
mia istituzione e non ci accorgiamo che vivendo di passato, noi perdiamo la
vita.
E siamo
morti.
Allora
abbiamo l’uomo che anziché contemplare fa, opera.
Perché
tende a fare secondo quello che lui sa.
Non si
sforza più di capire.
Tende ad
agire.
K.: Costoro in nome di quello che sanno rifiutano Dio.
Luigi: L’importante è capire che lo Spirito di Dio arriva a noi
attraverso cose che non sappiamo.
Per cui
c’impegna.
K.: Mai
fermarsi alla lettera ma cercare lo spirito.
Einstein
diceva che è più facile spaccare l’atomo che spaccare il pregiudizio dell’uomo.
Il pregiudizio
è l’inganno del nostro io che si sposa con il nostro bisogno di assoluto.
È comodo,
non hai più bisogno di pensare.
M.: Questi farisei dicendo questo dimostrano di non
sapere niente.
Circa Mosè hanno solo informazioni per sentito dire,
tramandate di generazione in generazione.
Luigi: Si vantavano di essere discepoli di Mosè ma non erano
discepoli di Mosè.
Si
vantavano di essere figli di Abramo e non erano figli di Abramo.
M.: Avrebbero dovuto sapere che come Dio parla con Mosè,
Dio parla con tutti gli uomini...
Luigi: Appunto perché Dio aveva parlato con Mosè, dovevano
cercare il Pensiero di Dio in Mosè.
E non
fermarsi alla lettera della legge.
La legge
non salva mica.
Ciò che
salva è la conoscenza.
M.: Dio parla in ogni uomo, sono i rumori del mondo e
dell’io che ci impediscono di ascoltarlo.
Solo nel vero silenzio del pensiero dell’io possiamo
ascoltarlo e capire veramente qualcosa.
F.: L’errore più grosso che possiamo fare è ritenere di
sapere.
Luigi: È la chiusura.
P.: Il passato pesa perché è formato da un incompiuto, un
segno che noi non abbiamo riportato in Dio.
Quindi pesa su di noi perché è legato all’io e non a Dio.
E questo provoca la chiusura alla novità.
Ogni attimo è una proposta di Dio.
Luigi: Ad un certo momento noi diventiamo incapaci di ascolto.
A un certo
momento, noi siamo nella impossibilità di ascoltare.
Cioè noi
siamo in grado soltanto di ascoltare quello che riguarda il pensiero del nostro
io, i nostri interessi e nient’altro.
Se si
parla di noi siamo tutt’orecchi, se si parla di Dio non possiamo ascoltare,
Non
possiamo più ascoltare.
C’è
proprio la scure che ti taglia, tu non riesci più ad ascoltare.
Non puoi
smentire che Dio parla in tutto, neppure il demonio lo può smentire.
Il demonio
non può smentire Dio ma non è in grado di ascoltarlo.
P.: Quindi questa scure è questo passato che ci siamo
formati in noi, non riportando le cose in Dio.
Luigi: La caratteristica dell’uomo vecchio è l’incapacità
d’ascoltare.
Ascolta
solo più se stesso.
Sapendo
che Dio sta parlando con te, fai attenzione al tuo Maestro.
Ascoltando
Dio, tutto diventa presente.
Perché Dio
è il presente.
Ora questa
presenza di Dio è in ognuno di noi ed è proprio questa presenza di Dio che mi
fa passare tutte le cose che non raccolgo in Dio e che costituiscono il passato
e il futuro.
È la sua
presenza.
P.: Il passato è il segno incompiuto e il futuro la
Proposta di Dio...
Luigi: Soltanto che il passato mi porta via anche il futuro, il
fine, la speranza e mi porta via il presente.
Per cui a
questo punto sono assolutamente incapace d’ascolto.
- Pensieri conclusivi -
A.: In Dio sei recupera il passato e il futuro nel
presente. L’io è una fuga dalla realtà, dal presente.
B.: Già la fede mi fa recuperare una presenza, anche se
ancora non la conosco.
C.: Chiedo al Signore l’attenzione.
D.: Lo Spirito arriva a noi attraverso quello che non
sappiamo.
Luigi: Bisogna stare molto attenti a quello che magari a noi
pare impossibile, perché supera tutte le nostre conoscenze.
Sta
attento perché lì c’è lo spirito di Dio.
E.: Solo dall’ascolto di Dio possiamo arrivare alla
conoscenza di Dio.
Luigi: Sì, perché Dio si conosce soltanto per mezzo di Dio.
Noi
essendo finiti non possiamo giungere a Dio, infatti non lo vediamo e non lo
tocchiamo.
Il che
vuole dire che dobbiamo avere la possibilità di pensare Dio.
Solo nel
Pensiero di Dio noi possiamo conoscere Dio.
F.: Dio è Colui che propone e la proposta è Dio.
Dio è il proponente e il proposto.
Luigi: l’iniziativa è sempre di Dio, Lui è il Creatore.
Ed è Lui
che si comunica.
Per cui
noi diremo che è sempre stato tutto dono suo.
G.: Noi siamo un pensato di Dio.
Luigi: Dio vuole che noi diventiamo da pensato di Dio a
pensiero di Dio.
Siamo destinati
a diventare pensiero di Dio e a formare una cosa sola con il Pensiero di Dio.
H.: Il Maestro è Dio e l’allievo non può dire davanti al
Maestro di sapere.
La vera messa da fare è quella interiore in noi.
Luigi: Cristo muore in croce e ci rimprovera se non capiamo la
lezione: “Io sono morto per te, capisci quello che ti ho fatto?”.
Lui muore
affinché io abbia a morire a me stesso.
E se non
capisco la sua morte mi rimprovera.
- Riassunto – Lunedì – 6/giugno -
Luigi: Dobbiamo chiederci che significato
ha questo fatto che Dio ci presenta.
Ci troviamo con dei farisei, che
in nome di ciò che sannjo, rifiutano ciò che non sanno.
Loro effettivamente non sapevano
chi fosse Gesù e non potevano saperlo.
È lecito?
È Giusto in nome di ciò che si
sa, rifiutare ciò che non si sa?
E quale colpa abbiamo noi se, in
nome di quello che sappiamo, rifiutiamo quello che non sappiamo.
Luigi: Il rapporto di coppia è dialogo.
Quindi tutto avviene in questo
dialogo qui.
Colloquio vuole dire scambio.
Luigi: Il tempo è una proiezione
dell’eterno.
Noi non avvertiremmo il tempo, se
non avessimo presente l’eterno.
Come tu non conosceresti il
frammento, se non avessi presente il tutto.
Tu capisci che una cosa è un
frammento, in quanto hai presente il tutto.
Se tu non hai presente il tutto,
per te un frammento è il tutto.
Ma tu percepisci il frammento, in
quanto hai presente il tutto.
Allo stesso modo, percepisci il
tempo, in quanto hai presente l’eterno.
Concepisci il finito, in quanto
hai presente l’infinito.
Allora tutto quello che è finito,
è comprensibile soltanto nell’infinito.
Tutto quello che è relativo, è
comprensibile solo nell’assoluto.
Luigi: Lo scopo della messa non è
celebrare una messa.
Lo scopo è capire che cosa una
messa dice a me cosa devo fare.
Perché quello che avviene fuori,
è lezione di Dio.
È lezione di Dio per insegnare a
me cosa devo fare dentro di me.
La vera realtà è dentro di noi,
quindi la vera messa avviene dentro di noi.
Luigi: Ci sono due termini nel segno:
il significato del segno al quale non arriviamo senza di noi rappresenta il
futuro e la parte sensibile del segno che arriva a noi indipendentemente da noi
attraverso i sendi rappresenta il passato.
Quello che arriva a noi senza di noi,
si allontana sempre più da noi, diventa sempre più passato all’infinito,
diventa un infinitesimo.
L’altra parte invece va verso un
futuro ma anche qui infinito, per cui a un certo momento diventa impossibile a
noi capire.
Il tempo è un incompiuto, è una
espressione d’incompiutezza.
Luigi: Bisogna impegnarsi soprattutto
in quello che ancora non sappiamo.
Non dobbiamo far prevalere quello
che sappiamo ma dobbiamo impegnarci in quello che non sappiamo, anche se questo
ci viene proposto da uno qualunque.
Perché la Verità ti può arrivare
attraverso chiunque.
Allora tu devi essere aperto a
quello che ancora non capisci, a quello che ancora non sai.
Perché proprio in quello che non
capisci, c’è il ponte per passare all’infinito.
Lo Spirito di Dio, arriva a te
attraverso quello che non sai, non attraverso quello che sai.
E se tu, in nome di quello che
sai, rifiuti quello che non sai, tu allontani da te e quindi perdi lo Spirito
di Dio e perdi l’occasione per passare all’infinito.
Luigi: Se ho come punto fisso di
riferimento il mio io, facendo riferimento ad esso le cose le ho già viste, già
esperimentate, già conosciute.
Ma il punto fisso di riferimento
è sempre l’io:“Io l’ho visto, io l’ho capito, io l’ho sperimentato” e qusto già
mi esclude dal regno di Dio.
L’io autonomo da Dio mi esclude
dalla Verità.
Il punto fisso di riferimento
deve essere Dio.
Avendo come punto fisso di
riferimento Dio, io sono aperto sempre alla novità.
Perché accolgo quello che capisco
ma soprattutto accolgo quello che non capisco e che Dio mi fa arrivare.
Quello che veramente mi fa essere
è quello che ancora non ho risolto e che m’impegna a pensare.
Quindi l’uomo vale per la
difficoltà del problema in cui s’impegna.
Luigi: Conversazione è convergere,
conversione
Ci fa capire che tutto converge
verso Dio, quindi Cristo è la pienezza dei tempi.
Cristo è il punto di conversione.
Se è il punto di conversione, è
anche il punto di illuminazione di tutte le cose.
Luigi: Arriverà Mosè, di cui loro si
ritengono discepoli e li sconfesserà come discepoli: “Voi non avete capito che
io parlavo di Cristo”.
Luigi: L’argomento centrale è che lo
Spirito di Dio, arriva a noi attraverso la novità, attraverso quello che tu
ancora non capisci, non sai.
Quindi tu ti devi impegnare.
Se tu invece scarti quello che
ancora non capisci, che non sai, in nome di quello che sai, tu scarti lo
spirito di Dio.
Come costoro.
Loro non sapevano mica chi fosse
Gesù, non lo conoscevano.
Certamente arrivava loro con un
parlare molto diverso dal parlare comune, parlava di Dio.
Loro, in nome di Mosè (passato)
rifiutano Lui (“Non sappiamo chi sia), cioè rifiutano Dio.
La lezione di Dio è questa.
Tu non puoi cancellare Dio da
Cristo.
Se tu annulli il problema di Dio
da Cristo, Cristo scompare.
Sapendo questo tu devi chiederti
perché Dio ci presenta questa scena di creature, di uomini come noi che, in
nome di ciò che sanno, scartano ciò che non sanno e guarda caso, in ciò che non
sanno c’è Dio.
Questo è per dire a noi di stare
attenti, perché in quello che non sappiamo c’è Dio.
Tu scartando quello che non sai,
quello che ancora non capisci, tu scarti il Figlio di Dio.
Cioè scarti l’offerta che Dio ti
fa, di passare dal finito all’infinito.
- Fine -
Noi sappiamo
infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia".
Gv 9 Vs 29 Primo tema.
Titolo: Fare o contemplare?
Agire o capire?
Argomenti: La trappola del Dio
che viene a noi – Il tempo nel pensiero dell’io – Intrappolati nel passato –
Separare da Dio – La fede di Abramo – L’eternità incompiuta in noi – Il volto
del passato – Fecondità e dialogo – La perdita dell’identità – L’autoritarismo
– L’uomo è creato per contemplare – Rendere assoluto l’esperimentato – Il letto
di Procuste – Contemplare in una unità – La fede accoglie tutto da Dio – La
pietra scartata – La morte spirituale – L’apertura alla novità – L’impossibile
di Maria – L’agire positivo – Il ruolo dei genitori – La legge è
serva – La vita è assimilazione - La
novità si ritira in profondità – Guardare dall’unità – La Verità comprende
tutto -
12/Giugno/1988 Casa di preghiera
Fossano.
- Esposizione Luigi Bracco -
Restiamo nel versetto 29 dove farisei dicono
al cieco guarito da Gesù: "Noi sappiamo che Dio ha parlato a Mosè, ma
Costui non sappiamo di dove sia".
Domenica scorsa abbiamo visto come contrapponendo Mosè a questo Sconosciuto
che aveva guarito in giorno di sabato un cieco dalla nascita, questi farisei
esclusero da sé lo Spirito di Dio che si annunciava loro e abbiamo visto come
lo Spirito di Dio giunga a noi attraverso la novità.
Una lezione per tutti gli uomini, per far capire come si può restare
intrappolati in quello che si è conosciuto, in quello che ha determinato il
nostro passato.
È la trappola in cui sono rimasti intrappolati questi farisei che, in nome
di Mosè hanno escluso Gesù e Gesù era proprio Dio in mezzo a loro.
Tutto quello che è avvenuto, è avvenuto per ognuno di noi personalmente,
per insegnarci la via e per insegnarci il comportamento che dobbiamo mantenere
su questa via, per evitare di cadere nella trappola, la trappola che è
costituita dal Dio che viene a noi.
Non che Dio venga a noi come una trappola ma, proprio perché viene a noi,
viene a far parte di noi.
Abbiamo visto che tutto ciò che viene a far parte di noi costituisce il
tempo che assume tre forme in noi, nel pensiero del nostro io: passato,
presente e futuro.
In Dio tutto è eterno, tutto è presente, non c'è tempo, però abbiamo visto
che il tempo è costituito dall'incompiuto dell'opera di Dio, cioè
dall'incompiuto dell'eternità che si annuncia a noi.
Il tempo è il volto dell'eternità quando quest'eternità in noi è incompiuta.
Dio parla a noi, in noi perché tutte le cose giungano al loro compimento
ma, il compimento non giunge a noi senza di noi.
Ed è proprio perché questo compimento non giunge a noi senza di noi, che le
cose in noi e per noi assumono l'aspetto dell'incompiutezza, fintanto che noi
stessi non ci dedichiamo a portare a compimento quello che Dio ha cominciato.
Così tutta l'opera di Dio assume l'aspetto di un'opera iniziata ma non
giunta al suo compimento.
È qui che si forma il tempo, è qui che si forma in
noi il passato e il futuro.
Il passato è il volto di tutte quelle cose che sono arrivate a noi senza di
noi, che sono entrate in noi senza di noi e che non sono state portate nel loro
compimento.
Poi abbiamo visto che in tutto quello che arriva a noi, c'è anche la
proposta di Dio e tutto quello che arriva a noi come proposta di Dio, quando
non è portato a compimento, per noi assume l'aspetto del futuro.
Noi possiamo restare intrappolati nel nostro passato.
Il passato è ciò che è stato vissuto da noi, vissuto da noi proprio perché
Dio si è annunciato a noi.
Come si annuncia a noi, determina il momento presente e come l'elemento
presente non è portato a compimento, subito passa nella categoria del passato:
per noi è vissuto.
Ora noi corriamo il rischio di cadere in questa trappola del passato che
per noi assume l'aspetto di contrapposizione a ciò che ci si presenta.
Non è che le cose siano contrapponibili: qui hanno contrapposto
Mosè a Gesù.
Dicono: "Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio, ma Costui non
sappiamo di dove sia, preferiamo quindi credere in Mosè e non in Costui".
Tanto più che Gesù aveva violato il sabato, per cui, sì, c'era stato un
fatto straordinario ma assumeva l'aspetto del demoniaco: non rispettava
la legge di Dio, non rispettava i comandanti di Dio, non rispettava la festa di
Dio, quindi le opere meravigliose che Lui faceva, i
miracoli che Lui faceva erano opera del demonio: l'illazione è facile.
Si arriva alla contrapposizione di Mosè a Gesù.
In realtà però questa contrapposizione non c'è perché Mosè è opera di Dio e
tutta l'opera di Dio non reca in sé contrapposizione.
Dio parla un linguaggio univoco dal principio della creazione fino alla
fine.
Allora dobbiamo chiederci dove e come si forma questa conflittualità?
Perché si forma?
Già il tempo di Paolo c'era chi diceva: "Io sono di Paolo, io sono di
Apollo, io sono di Cristo".
Ma da dove sorge questa contrapposizione? "Non siete stati battezzati
tutti in un unico battesimo?".
E Cristo non è uno solo per tutti?
E non siete stati destinati tutti allo stesso fine?
E perché allora c'è questa contrapposizione?
Perché c'è religione contro religione?
Perché c'è spiritualità contro spiritualità?
Ecco, la contrapposizione avviene soltanto nello spirito del nostro io,
quando disuniamo le cose da Dio.
Per la passione stessa di Assoluto che portiamo in noi, quando noi non
manteniamo le cose unite a Dio, queste cose diventano delle isole che si
contrappongono ad altre isole: le cose diventano separate, staccate.
E solo in Dio che c'è unificazione.
Se manteniamo le cose in Dio, nello Spirito di Dio, tutte le cose che
appartengono al nostro passato, perché non sono state ancora viste, portate a
compimento nel disegno di Dio, tutte queste cose che appartengono al nostro
passato hanno la funzione di portare noi nella fame, nel desiderio,
nell'interesse di capire il significato: "Abramo desiderò vedere ogni
giorno".
Avevamo detto, quando abbiamo parlato di questo che, Abramo desiderò vedere
il Pensiero di Dio nelle opere che Dio gli faceva.
Ecco che le opere che Dio faceva ad Abramo, erano in lui in
contrapposizione, in conflittualità, perché non erano portate nel loro
compimento.
Però lui che aveva fede (Abramo è caratterizzato per essere il padre della
fede) trasformava questa conflittualità dell'opera di Dio in passione, in
desiderio di vedere il giorno di Dio, di intendere il Pensiero di Dio.
Se in noi c'è la fede e la fede è quella che accetta tutto da Dio e che
tende a riportare tutto in Dio, a riferire tutto a Dio, questa fede forma in
noi, attraverso tutte le opere incompiute, attraverso tutte le opere che Dio fa
a noi, questa fede porta noi nella fame: "Manderò la mia fame sulla
terra".
Ecco, porta noi a questa fame.
È questa fame che adesso ci rende attenti alle opere che Dio ci presenta.
Questa fede che ci porta al passato verso un futuro e ci fa valorizzare
tutto quello che Dio ci manda come un completamento, perché Dio che inizia
tutta l'opera a poco per volta, se noi siamo attenti a Lui, raccoglie tutta la
sua opera, attraverso il suo Spirito, verso il compimento.
È vero che al compimento non si giunge senza di noi (c'è sempre un salto
nell'infinito da fare) però Dio attraverso tutto il suo parlare e tutto il suo
operare, conduce noi fin su quella soglia dove si tocca (possiamo dire si
tocca!) la sua Presenza, il suo Spirito, la sua Verità.
Se invece noi non maturiamo in questa fame, in questo desiderio, ecco che
le opere, i fatti del nostro passato assumono l'aspetto della contrapposizione:
ci portano via il futuro, ci portano via l'attenzione al presente.
Quando all'uomo viene sottratto il futuro,
l'uomo praticamente perde la fecondità della sua vita: anche lo stesso presente
incomincia diventare insopportabile, difficile, insostenibile, non più vivibile.
Quando l'uomo si trova in un presente non più vivibile, è segno che non
vede più il presente come un mezzo per il futuro, non è più ordinato a un fine,
qualcuno gli ha portato via il fine, gli ha portato via futuro.
Portando via il futuro all'uomo, gli si annulla anche la validità del
presente: il presente è un mezzo per il futuro.
E allora ecco che l'uomo è tutto ripiegato sul passato.
Ma proprio ripiegandosi sul passato, l'uomo incomincia a scoprire la
sterilità della sua vita.
Abbiamo detto che l'uomo è essenzialmente fatto in coppia con Dio, e Dio è
infinito.
La fecondità della vita viene dall'essere in coppia, dal mantenersi in
questa coppia, dall'ascoltare.
La coppia è determinata dalla comunicazione, dalla partecipazione dell'uno
all'altro.
Ci si mantiene in coppia in quanto c'è dialogo tra una parte e l'altra.
Il dialogo, nella coppia che ognuno di noi è con Dio, è comunicazione
dell'infinito che Dio è, con il nulla, con il finito che noi siamo.
La vita in noi è feconda nella misura in cui noi restiamo nel dialogo di
questa coppia, cioè nella misura in cui noi restiamo nell'ascolto, nella
ricezione della comunicazione dell'infinito che Dio riversa in noi.
Dalla comunicazione avviene l'intelligenza, avviene la comunione con
l'infinito.
Dio ci ha creati per formare una cosa sola con il suo infinito e questa
cosa sola è data dall'intelligenza di quello che Dio è.
Ma l'intelligenza di quello che Dio è, si forma in noi nella misura in cui
riceviamo, quindi ascoltiamo quello che Dio riversa di Sé su di noi.
Ora siccome noi siamo fatti essenzialmente di questa coppia, la nostra
identità viene dalla dedizione a quest’ascolto.
Come interrompiamo quest'ascolto dell'infinito che si comunica a noi,
rompiamo quello che noi siamo e quindi noi perdiamo l'identità: non sappiamo
chi siamo.
Non sappiamo più che siamo e non sappiamo più per cosa vivere.
Questo è un sintomo, o sono sintomi che il rapporto di coppia in noi è venuto
meno.
A questo punto noi non cerchiamo più di capire.
La situazione di rottura in questa coppia è esperienza di sterilità della
vita, è tutto ripiegamento sul passato, su quello che siamo stati.
Il volto di questa morte, il volto di questa
sterilità di vita è l'autoritarismo.
L'uomo a questo punto non tende più a ricevere.
Non tende più a capire, ma tende per la passione di Assoluto che porta in
sé, anche morto, tende a informare tutto di sé.
Qui è l'opera dell'autorità che impone.
Non abbiamo più l'uomo che accoglie, l'uomo che si offre, abbiamo l'uomo
che tenta di imporre quello che ha saputo, quello che ha vissuto, quello che è
stato il suo passato.
Per la passione di Assoluto, perché l'uomo non può, rompendo questa coppia
in cui lui si trova, disdire la passione di Assoluto che porta in sé, perché la
passione di Assoluto è effetto della creazione di Dio, dell'opera stessa di
Dio, della Presenza stessa di Dio nella creatura.
E questa presenza di Dio non è annullabile dall'uomo: l'uomo non può
annullare la Verità.
La Verità è trascendente l'uomo, essa esiste indipendentemente dall'uomo,
l'uomo non può annullare la Verità.
L'uomo può rifiutare l'ascolto di Dio, non può annullare la Presenza di Dio.
Proprio perché non può annullare questa Presenza di Dio, l'uomo non può
annullare la passione di Assoluto che porta in sé.
Va all'inferno per questa passione di Assoluto, ma non la può annullare.
È proprio perché non può annullare questa passione di Assoluto, che è
passione di unità, che l'uomo tende ad affermare come Assoluto quello che per
lui è stato, in questo caso Mosè, oppure la legge, oppure un'istituzione,
oppure una regola, cioè tende ad affermare come Assoluto quello che per lui è
stato il passato o quello che lui ha capito.
Ecco, l'uomo corre il rischio di restare intrappolato in ciò che sa.
Per questo bisogna stare attenti perché lo Spirito di
Dio arriva a noi, attraverso quello che non sappiamo, quindi attraverso la
novità e bisogna avvicinarsi a Dio più non sapendo che sapendo.
Perché il nostro sapere, quello che noi riteniamo nostra sicurezza, che
viene dal nostro passato, perché noi vi abbiamo partecipato, perché noi
l'abbiamo visto, perché noi l'abbiamo esperimentato, proprio questo per noi
costituisce una trappola attraverso cui escludiamo quello che è diverso, quello
che non entra in questo schema.
Noi lo escludiamo, ma proprio escludendo quello che non entra, noi
escludiamo la vita per noi.
È lì che noi incominciamo a esperimentare la sterilità della vita, è
proprio il volto di questa sterilità è il volto dell'autorità.
E l'autorità che tende a fare il mondo secondo il suo principio, secondo un
suo schema.
Noi abbiamo quindi l'uomo che tende a capire ma, abbiamo anche l'uomo che
tende a fare, ad operare.
L'argomento di oggi è: fare o contemplare? Agire o capire?
Ecco, il volto della sterilità: è quello di fare.
Fare per raccogliere tutto in una unità.
Noi quando vogliamo riflettere sull'uomo, se sia stato creato per agire,
per fare o per contemplare, per capire, dobbiamo chiederci perché l'uomo
agisce, perché l'uomo fa.
Proprio osservando perché l'uomo fa, noi capiamo che l'uomo fa in quanto
vede che c'è qualche cosa che è diverso da quello che lui vorrebbe, quindi lui
fa per ridurre tutto a una sua unità di cui lui è il centro.
Ecco perché dico: il volto della sterilità assume il volto dell'autorità.
È l'uomo che si mette al centro, tende a sottomettere tutto a questo suo
punto di vista.
Ma perché tende a sottomettere tutto al suo punto di vista?
Perché tende a contemplare tutto in una unità.
Allora se l'uomo quando fa, quando agisce, fa e
agisce per arrivare a vedere tutto sotto un suo punto di vista, quindi per
contemplare tutto sotto un unico principio, diciamo: l'uomo non è stato creato
per fare, il fare è solo mezzo, l'uomo è stato creato per contemplare.
Il fine è la contemplazione di tutto in un'unica unità e qui abbiamo la
contemplazione della Verità, la conoscenza della Verità.
Ma abbiamo detto che su questo cammino, l'uomo può incorrere in una trappola
data dalla passione di Assoluto che egli porta in sé: l'uomo può affermare come
Assoluto quello che lui ha esperimentato, quello che lui ha capito, perché
anche quello che lui ha capito è un fatto esperimentato da lui.
Ecco, la trappola sta lì perché come lui ha esperimentato, ha capito,
adesso tende a fare tutto il mondo che è diverso, che non entra in quello che
lui ha capito, tende a farlo secondo quello che lui ha capito.
È il letto di Procuste, per cui si taglia via tutto ciò che sovrabbonda la
nostra misura, che non entra nella nostra misura.
Non siamo noi che dobbiamo fare il mondo secondo la nostra misura, secondo
quello che noi abbiamo capito, secondo nostro principio ma, siamo noi che
dobbiamo modificarci.
Per cui dobbiamo essere molto attenti a tutto quello che arriva a noi e che
non entra nella nostra misura, perché proprio in quello che arriva a noi non
secondo la nostra misura, lì c'è per noi un'offerta di vita, questa sta proprio
nell'affrontare quello che ancora non capiamo e non capiamo perché non entra in
quello che abbiamo capito.
Ora Dio, essendo un infinito, ci conferma quello che abbiamo capito ma,
contraddice anche quello che abbiamo capito: ci sono sempre le eccezioni.
È sempre in questa eccezione, in questo fatto che non rientra nel nostro
schema, nella nostra regola, nelle nostre istituzioni, nella legge, in Mosè,
nel tempio, proprio attraverso questi punti che non entrano, Dio offre a noi la
partecipazione alla sua vita, la partecipazione al suo infinito.
Quindi importante è non esercitare l'autorità ma servire quello che Dio fa
arrivare a noi, servire nel senso di cercare di comprendere, di assimilare
dedicandoci: è attraverso la dedizione, è attraverso questa offerta, questa
dedizione che si mantiene il rapporto di coppia fino al compimento dell'opera
che Dio ha iniziato con noi e che sta nel portarci alla contemplazione di tutte
le cose nella sua Verità, nel suo volto, nel suo Assoluto.
-
Conversazione -
A.: La
contrapposizione di Mosè a Gesù, è la contrapposizione che operiamo noi quando
contrapponiamo l’io a Dio a misuriamo i segni di Dio col nostro io...
Luigi: Misurandoli su quello
che sappiamo, con il nostro metro.
A.: Siccome è
difficile avere un metro certo, mi pare il metro con cui accostarci ai segni di
Dio sia la fede.
Così come
Abramo si accostò con fede a Dio e accettò tutte le proposte di Dio e vide un
futuro nel presente.
Così noi con la
fede, possiamo raccogliere il passato e intendere il presente come mezzo per
raggiungere il futuro.
Luigi: La fede mi fa accogliere
tutto da Dio.
Perché Dio è il Creatore.
Per cui accolgo e soprattutto accolgo quello
che non capisco, quello che per me è ignoto.
Non lo escludo perché io questo non l’ho mai
visto.
Noi arriviamo al punto di escludere quello
che non abbiamo mai visto: “Questo per me è impossibile, nella mia vita non ho
mai visto una cosa simile”.
Noi, in nome di quello che abbiamo vissuto,
in nome di quello che abbiamo esperimentato, in nome di quello che noi abbiamo
capito, noi rifiutiamo la novità.
E proprio nella novità ti arriva lo Spirito
di Dio.
Tu rifiuti Dio.
Loro hanno mandato a morte Cristo perché era
una novità.
Era una cosa che ai loro occhi sembrava
impossibile.
Non era impossibile, era la conclusione di
Abramo e di Mosé.
A.: Quindi la
fede, diventa l’unico mezzo che l’uomo ha per dialogare con l’infinito.
Luigi: Certo.
La fede che ti fa accogliere tutto dal Dio
Creatore.
A.: Fede che si
caratterizza essenzialmente nell’ascolto e nell’attenzione a Dio.
Luigi: Se noi accettiamo tutto
da Dio, anche quello che è passato, diventa per noi punto interrogativo; “Che
significato ha?”.
Quale è il pensiero di Dio in tutto quello
che Dio mi ha fatto vivere?
Non dico che le cose sono così, perché io le
ho viste così e le ho capite così nella mia ragione o nei mie studi magari
anche teologici.
Non posso dire che io ho capito le cose così,
quindi ciò che è diverso lo rifiuto.
No, proprio il diverso va assimilato.
Perché il diverso è Dio che te lo propone,
per farti andare più a fondo di quello che tu hai capito o credi di avere
capito.
A.: Se l’uomo
non fa questo l’uomo deve necessariamente imporre l’esperienza del passato e
diventa a utoritario, intollerante.
Luigi: Deve escludere quello
che non rientra nel suo schema, nei suoi studi.
A.: Non essendo
attento a quello che Dio mi comunica attraverso i segni, devo necessariamente
misurare questi segni con la mia esperienza e sbaglio.
Luigi: È la pietra scartata
che diventa per te la pietra su cui tu potevi edificare la tua vita.
Tu scarti, senza rendertene conto la tua
vita.
Per quello a un certo momento diventi morto.
E più diventi morto e più diventi
autoritario.
L’autoritarismo è segno della morte
spirituale che uno porta in sé: perché non assimila più.
Il morto è colui che non assimila più.
Quindi quando tu sei in posizione di non
potere più assimilare quello che è diverso da te, perché tu imponi al mondo
soltanto quello che sai tu, tu sei spiritualmente morto: non assimili più.
La vita viene dalla comunicazione, la
comunicazione è assimilazione.
Siccome si tratta di assimilare l’infinito,
l’infinito si presenta sempre con degli aspetti che per me sono nuovi.
Quando non assimilo più, sono in una
situazione di morte.
A.: Sì perché
essendoci nell’uomo la passione di assoluto, l’uomo non può fare a meno di
assolutizzare il suo sapere limitato.
Luigi: Non può farne a meno
per cui deve proiettare il suo sapere sul mondo e più proietta sé sul mondo e
più esclude da sé la vita.
A.: Quindi
bisogna partire dal non conoscere per potere interrogare.
Luigi: Quindi non agire, non
fare.
Perché agendo, facendo, modifichi la novità
secondo il tuo schema.
Imponi il tuo schema, agisci e fai le cose
secondo quello che capisci tu.
Tendi a rinchiudere tutto sotto il tuo punto
di vista.
E questa diventa l’azione.
No, cercca invece di capire proprio quello
che arriva a te e non rientra nel tuo schema.
Perché lì per te c’è una offerta di vita.
A.: La lezione
di ciò che noi non comprendiamo è di impegnarci ad uscire dallo schema della
nostra esperienza, affidarci alla fede, per aprirci a quei segni di Dio che
attiualmente non siamo in grado di capire.
Luigi: Sì, sapendo che in
quanto una cosa accade è voluta da Dio Creatore, la fede è quella.
A.: Devo
abbandonare la mia esperienza come metro di giudizio.
Luigi: Sì, per salire di un
gradino.
A.: Per aprirmi
all’ascolto di Dio.
Luigi: Quindi si va verso
l’integrazione del passato in qualche cosa sempre più di nuovo.
A.: C’è un
recupero del passato, per cui siamo liberati da tutti i fattori negativi del
passato e purificati da Dio, sempre se siamo in questa situazione di ascolto e
attenzione a Dio.
Luigi: Di apertura a Dio.
Questa apertura però viene solo da Dio, per
quanto io credo in Dio.
È Dio che mi mantiene aperto, invece nel
pensiero del mio io sono chiuso e allora divento autoritario, impongo.
Ma l’imposizione è già un effetto di
chiusura.
Maria si è aperta all’impossibile e ha
concepito il Verbo.
La concezione di Maria è segno, esemplare per
noi su quale è la condizione per arrivare a concepire la Verità, attraverso questa
apertura, anche a quello che ai nostri occhi è impossibile.
L’apertura all’impossibile viene soltanto
dalla fede.
La fede in Dio Creatore.
Per poco che io rompa questo rapporto di
coppia, immediatamente cado nel mio esperimentato, nel mio capito, nelle mie
convinzioni ed esercito l’autorità: chiusura.
Allora scendo nel campo dell’azione, per cui
modifico gli altri secondo il mio pensiero (sbagliato) e non secondo Dio.
B.: Non c’è
anche un agire in cui sono mossa da Dio?
Luigi: Vale in quanto agisco
per capire.
Se agisco non per modificare il mondo ma per
modificare me, in modo da arrivare a capire.
Se agisco per meditare, raccogliermi,
pregare, approfondire la Parola di Dio questo è un agire positivo.
Perché è un agire per capire.
Cioè il fine deve essere capire non agire.
Perché la vita vera sta nel conoscere.
La nostra pace non sta nell’agire ma nel
contemplare.
Noi agiamo in quanto le cose sono diverse da
come noi le vorremmo.
Allora ci diamo da fare, per farle come noi
le vorremmo.
Non fare il mondo come tu lo vuoi ma opera
per capire come Dio vuole il mondo e le cose.
E allora ti accorgerai che le cose sono già
tutte fatte.
E sono fatte molto bene.
Per cui non c’è più niente da fare, c’è
soltanto da capire.
Non cambiare il mondo, perché cambiando il
mondo distruggi te stesso.
Tentando di cambiare il mondo, tu distruggi
te stesso.
Cerca invece di capire perché il mondo è
fatto così.
Il mondo è fatto così da Dio, per te.
Per cambiare te, non perché tu abbia a
cambiare il mondo.
C.: C’è questo
bisogno di cambiare il mondo.
Luigi: Certo perché noi
vogliamo fare il mondo a immagine e somiglianza nostra e non capiamo che il
mondo è fatto da Dio per te perché tu capisca.
Cioè, se io sono a scuola, non devo
pretendere di cambiare la lezione del professore.
Il professore sta parlamdo per te.
Non pretendere che il professore parli come
vuoi tu e dica quello che vuoi tu.
Altrimenti non impari più niente, ti
distruggi.
C.: Però
l’autorità ha un ruolo da assolvere, partendo dal padre di famiglia...
Luigi: Il padre di famiglia
è padre di famiglia in quanto ascolta i figli.
Non in quanto impone sé ai figli.
Nei figli c’è la presenza di Dio e noi
dobbiamo stare molto attenti.
Se io sono in ascolto del mondo, dei figli,
delle creature, faccio l’opera migliore per me e per le ctreature stesse.
Quando io invece m’impongo dicendo magari:
“Lo faccio per il tuo bene”, io chiudo un anima, la soffoco.
C.: Ma quando i
figli deviano....
Luigi: Ma bisogna vedere
cosa vuole dire questo deviare.
Noi dobbiamo stare attenti, perché in tutto
c’è la mano di Dio: “Perché Dio mi fa questo?”.
“Perché Dio mi presenta mio figlio che fa
questo?”
Perché se io rifletto e accolgo la situazione
di mio figlio e prendo su di me la lezione di Dio e anche il peccato di mio
figlio, proprio prendendolo su di me, faccio l’opera di amore verso il figlio.
Se c’è qualcosa da cambiare nel mondo,
l’unico modo per cambiarlo, è prenderlo su di me.
Cioè Cristo per cambiare noi, per salvare
noi, non ha urlato contro di noi, ha preso su di Sé la nostra colpa.
E proprio prendendola su di Sé, a un certo
momento conquista tutti.
Cioè l’amore vince perdendo, non imponendosi.
Uno può anche dire: “Io per amore t’impongo
questo”, perché noi nel pensiero del nostro io riteniamo che siamo noi a dovere
fare, la vera opera d’amore invece è non imporsi.
C.: E allora
dove sta la funzione dell’educatore?
Luigi: La funzione
dell’educatore è lì: “Non dare a nessuno il nome di maestro”.
Tutti quanti noi dovremmo avere questa
coscienza: nessuno di noi è educatore, perché il vero educatore è Dio.
Ogni creatura è formata in coppia con Dio e
allora tieni presente che in ogni creratura, anche deviante, c’è Dio che sta
dialogando.
E allora la prima cosa da fare è rispettare
questo dialogo, perché Dio sta operando con ognuno di noi.
E Dio vuole salvare tutti.
È Dio che dà la vita ed è Dio che fa
crescere, non siamo noi che facciamo crescere.
Non siamo noi che possiamo cambiare le cose o
i figli.
Le creature cambiano, nella misura in cui noi
cambiamo i nostri rapporti con Dio.
Cioè nella misura in cui noi prendiamo su di
noi la situazione che Dio ci presenta nelle creature.
Noi ci illudiamo di essere maestri ed
educatori, ci illudiamo di cambiare il mondo.
È tutta una gonfiatura.
È Dio che opera e Dio deve fare tanto lavoro
per convincerci che noi non siamo capaci a fare niente e che il più delle
volte, noi roviniamo soltanto quello che Lui sta facendo.
Tutte le cose che Lui ci presenta sono per
noi.
Non perché noi diciamo: “Io sono padrone dei
miei figli e adesso li faccio come voglio io”.
Noi che non siamo neppure capaci a fare un
unghia di nostro figlio.
D.: Come Dio
contraddice le nostre sicurezze?
Luigi: Perché ci fa vedere
che le cose non rientrano nello schema di quello che noi crediam o di avere
capito.
Ad esempio qui questi giudei arano sicuri di
Mosè, del tempio e arriva Gesù che contraddice le loro sicurezze.
“Nel sabato non si può curare nessuno”,
proprio di sabato Gesù guariva i malati.
Ecco la contraddizione.
Gesù era uno che non rientrava nel loro
schema.
Uno schema teologico, uno schema di
struttura.
Gesù buttava in aria la legge, eppure la
legge era voluta da Dio.
Per farci capire che non è la legge che
salva.
La legge è una serva, per aiutare gli uomini
ad arrivare allo Spirito.
Quindi non devi fare della legge un monumento
a cui devi misurare tutte le cose.
Ecco che Gesù butta in aria lo schema della
legge, che si riassume poi nel sabato.
E Lui non rispetta il sabato.
Per i giudei è un demonio e invece era Dio.
Cristo contraddice quegli schemi in cui noi
ci siamo fossilizzati.
Perché noi corriamo il rischio di restare
chiusi in una trappola.
Per cui noi vediamo il mondo secondo i nostri
paraocchi, secondo i nostri preconcetti.
E tutto quello che non rientra nei nostri
preconcetti lo definiamo “demonio”.
E Dio fa questo ancora per salvarci.
Per farci uscire da questa fossilizzazione,
da questa conchiglia in cui noi ci chiudiamo.
E.: L’autorità
è data dalla Verità...
Luigi: La Verità opera
convincendo.
Però richiede da parte nostra questa apertura,
questa umiltà, questo ascolto.
Noi ci troviamo con un essere che ci sovrasta
infinitamente.
E allora non parlare: taci.
Se noi ci troviamo con uno che la sa molto
più lunga di noi, un professorone, non andiamo mica a dirgli come stanno le
cose, perché prendiamo dell cantonate solenni.
Ci mettiamo lì tranquilli e ci mettiamo ad
ascoltarlo, se vogliamo imparare qualche cosa.
Non ci permettiamo di dire nulla perché
quello sa molto più di noi.
Invece di fronte a Dio: “Se Dio ci fosse!”,
“Dio non doveva permettere quello!”, stai tranquillo, lascia parlare Dio.
Dio parlando ti comunica il suo infinito, tu
vuole rendere partecipe del suo infinito.
Ti vuole portare al livello in cui Lui si
trova.
Ma stai cheto, stai tranquillo, stai umile e
ascolta.
F.: La vera
autorità è quella che aiuta a crescere verso l’incontro personale con Dio.
Luigi: Quindi è quella che
serve.
Infatti Gesù dice: “Nel mondo l’autorità
esercita imponendo, tra voi non deve essere così, chio più in alto sta, più
deve servire”.
Ma servire che cosa?
Cosa vuole dire servire?
Servire vuole dire aiutare le anime a
conoscere Dio, a scoprire la Verità personalmente.
Quindi non a distoglierle dalla conoscenza e
dalla ricerca di Dio.
F.: La ricerca
di Dio deve crescere dentro di noi, poi sarà Dio se vuole ad aiutarci a fare
crescere gli altri...
Luigi: Quella non deve
essere la preoccupazione nostra.
La nostra preoccupazione deve essere quella
di assimilare tutto quello che Dio ci fa arrivare.
Perché soltanto assimilando si vive.
Si vive in coppia con Dio, in quanto io
assimilo quello che l’altro comunica a me.
Si vive nella coppia, in quanto c’è dialogo.
Nel dialogo c’è sempre uno che parla e
l’altro che ascolta, che riceve, che assimila.
Quindi
assimilando si crea l’unione tra il superiore che parla e l’inferiore
che ascolta.
Nella coppia uomo-Dio, l’uomo è la creatura
che parte dal niente.
Assimilando tutto quello che Dio mi fa
arrivare, Dio mi porta nel suo infinito.
E arrivata all’infinito la creatura riconosce
che è stato tutto dono d’amore di Dio.
G.:
Contrapporre a Dio le nostre conoscenze è un passaggio obbligato?
Luigi: Nell’errore.
Mandare a morte Cristo è un passaggio
obbligato.
Mandare a morte vuole dire fare fuori.
È necessario che io perda una Persona per
scoprine la sua importanza.
Siccome noi non siamo intelligenti, noi
scopriamo l’importanza di una cosa, soltanto quando l’abbiamo persa.
Dobbiamo fare esperienza della perdita, della
morte di Dio tra noi, per capire l’importanza di Dio.
Dovremmo capirlo prima ma siccome non lo
capiamo, ecco che Dio stesso si offre a farci fare l’esperienza della sua
morte.
Lui che è immortale, Lui che non può morire,
ha “costruito” noi in modo tale che noi nel pensiero del nostro io possiamo
fare l’esperienza della morte di Dio, del suo silenzio, della sua perdita.
Per cui io faccio l’esperienza di vivere
senza Dio.
Vivendo senza Dio, capisco l’importanza di
Dio.
H.: Abbiamo due
figure emblematiche: questi giudei che escludono quello che non sanno e Maria
che non esclude quello che non sa: “Sia fatto di me secondo la tua Parola”.
M.: La creatura
deve solo fare attenzione a non rompere questo rapporto di coppia con Dio,
soprattutto in quelle proposte che non rientrano nei nostri schemi.
Luigi: La vita è
assimilazione e quindi io assimilo quello che Dio mi offre e Dio mi offre
quello cha ancora non so.
L’assimilazione richiede quindi sempre un
superamento di tutto quello che già ho assimilato.
Tutto quello che ho già assimilato
costituisce il mio corpo, la mia situazione, ma io vivo in quanto assimilo,
quello che ancora non ho assimilato, che mi supera.
N.: Per quale
motivo un uomo agisce? Per arrivare a contemplare nell’unità.
Luigi: Soltanto che l’uomo,
nel pensiero di sé, tende a contemplare tutto nella sua unità, si fa centro e
nella sua unità opera una riduzione, cioè esclude tutto ciò che non rientra
sotto il pensiero del suo io.
Opera per riduzione.
Riduzione per riduzione, a un certo momento
arriva allo zero.
Mentre invece bisogna arrivare all’unità per
comprenzione, non per esclusione, per riduzione.
Per cui i poli diventano riduzione verso lo
zero o comprensione verso l’infinito.
N.: E intanto
anche l’agire dell’uomo rivela il destino per cui è stato creato...
Luigi: Per contemplare tutto
nell’unità.
Perché in un modo o nell’altro, l’uomo tende
a questo.
-
Pensieri conclusivi -
A.: La
presunzione è chiusura a capire le opere di Dio, mentre il sapere di non
sapere, è apertura a Dio.
B.: Dio è
novità e soltanto nella novità possiamo conoscere Dio.
C.: Rivolgersi a
Dio con la convinzione di non sapere.
Luigi: Sì, perché il vero
sapere mi viene solo da Lui.
D.: La via
giusta è quella di riferire tutto al Padre.
E.: Valutare il
presente come attimo in cui la Parola di Dio giunge a noi.
Luigi: È l’offerta di Dio
per farci salire di un gradino.
Quindi ogni giorno attraverso le cose che Dio
ci presenta e che noi ancora non capiamo, Dio ci invita a salire più su.
F.: Tutto ci
viene da Dio e tutto va riportato in Dio.
G.: La via
della conoscenza non esclude nulla.
Luigi: Ma comprende tutto.
Mentre invece la via dell’autorità esclude
tutto quello che non rientra nei suoi schemi lo esclude.
H.: Ogni volta
che ci allontaniamo da Dio perdiamo la nostra identità.
L.: La mia
preoccupazione deve essere solo quella di capire.
M.: Tutto va
riportato a Dio con la nostra partecipazione.
Luigi: Sì, perché tutto
quello che Dio fa arrivare a te senza di te, non lo illumina senza di te.
E allora ci vuole questa dedizione che è
soprattutto attenzione.
Umile attenzione a Dio che diventa il vero
vivere.
La vera vita sta nell’intelligenza.
Noi siamo fatti per l’intelligenza e la vita
sta nell’intelligenza.
Quando noi escludiamo l’intelligenza, abbiamo
già seminato le uova della nostra morte in noi.
Noi riteniamo che la vita cosista solo nel fare
e la nostra giornata viene annullata dal nostro fare.
Noi crediamo di fare grandi opere e invece
stiamo annullando tutta la nostra vita.
N.: Le
contarietà e le contraddizioni di cui Dio spesso ci fa fare esperienza nella
nostra vita, è per risvegliarci dal sonno dogmatico delle nostre abitudini, con
le quali diventiamo autoritari e soprattutto sono un test dell’amore per farci
uscire dal pensiero di noi stessi, per aprirci alla contemplazione del fare di
Dio.
Dobbiamo
smettere di ritenerci noi i protagonisti.
Luigi: Noi vogliamo essere i
protagonisti della storia, delle famiglie, di noi stessi e invece dobbiamo solo
imparare a rispettare il vero Protagonista: Dio e a glorificarlo in tutto.
Perché più glorifichiamo Lui e più noi
viviamo.
O.: I segni di Dio
che non rientrano nei miei schemi, sono le offerte più preziose e la Madonna è
un esempio per questo.
Luigi: Per quello la Madonna
è la Madre, perché è fondamentale per la nostra vita essenziale.
P.: Noi nel
nostro io non sopportiamo le contraddizioni e quindi tendiamo ad imporre il
nostro punto di vista.
Luigi: Le contraddizioni
sono sopportabili soltanto con il Pensiero di Dio.
Senza il Pensiero di Dio non le possiamo
sopportare e le dobbiamo escludere, fare fuori.
P.: Nel
Pensiero di Dio, le contraddizioni hanno lo scopo di formare in noi la fame, il
desiderio di capire.
Per ricomporre
tutto nell’unità di Dio.
Luigi: Escludendo le
contraddizioni noi ci priviamo della vita: “Avete mandato a morte la vostra
vita”, dice Pietro dopo la morte di Gesù.
P.: Nella
contraddizione c’è una offerta di vita.
- Fine -
Noi sappiamo
infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia".
Gv 9 Vs 29 Terzo tema.
Titolo: La spiaggia estrema.
Argomenti: Intrappolati
nel passato – Azione o contemplazione – La fame d’assoluto – Il salto
nell’infinito – La fame d’assoluto - La novità che viene da Dio – Fecondità e
sterilità – Tempo: l’incompiuto nella creatura – La terra porta a compimento –
Recuperare il tempo – Rivivere il passato – La persona anziana - -
19/Giugno/1988 Casa di preghiera
Fossano.
Restiamo
ancora nel versetto 29.
I farisei
dicono a quel cieco guarito da Gesù: "Noi sappiamo che Dio ha parlato a
Mosè ma, Costui non sappiamo di dove sia".
Abbiamo visto
come questi farisei siano stati intrappolati dal loro passato, da ciò che essi
sapevano, e come proprio in nome di ciò che sapevano, scartarono la Verità che
si annunciava a loro, che si rivelava a loro attraverso una novità, poiché
abbiamo detto che lo Spirito di Dio si annuncia a noi sempre attraverso qualche
cosa di nuovo.
È nel
pensiero del nostro io che noi facciamo vecchie tutte le cose, e in nome di
quelle vecchie scartiamo la novità e finiamo di scartare la nostra stessa vita.
Così le
domeniche scorse ci siamo soffermati a considerare il peso del passato, cioè il
peso di quello che noi sappiamo, di quello che noi esperimentiamo.
Di qui
siamo qui siamo poi passati a considerare se la vita dell'uomo consista
nell'azione o nella contemplazione.
Per molto
tempo e per molti anni si è sempre affermato che la vita stia nel fare, che
l'uomo vale in quanto fa e che quello che conta non è la teoria, non è tanto il
sapere ma il fare.
Ma ormai
siamo giunti a un'epoca in cui stiamo tutti esperimentando quali conseguenze
sull'umanità, sulla nostra stessa vita abbia recato questo predominio del fare
sul capire, perché proprio attraverso il fare si sta distruggendo ogni
possibilità di vita nel mondo stesso.
In tutto
c'è la mano di Dio che sta operando per ricondurci su quella soglia nella quale
noi stessi dobbiamo confessare in che cosa consiste la Verità.
L'uomo è
essenzialmente fatto per la contemplazione.
È stato
creato per la vita eterna e la vita eterna, ha detto Gesù, ed è Parola di Dio,
sta nel conoscere Dio come vero Dio.
Noi
abbiamo trascurato la Parola di Dio e lo stiamo pagando duramente, però la
Parola di Dio ci dichiara che noi siamo stati creati non per il fare, non per
l'agire, non per cambiare le cose, ma per capire, per conoscere, per contemplare
Dio.
Abbiamo
visto che l'uomo è essenzialmente fatto in coppia, è fatto dalla Presenza di
Dio.
Proprio
per questa presenza di Dio l'uomo porta in sé questa fame di Assoluto, fame di
Verità che lo caratterizza e lo distingue tra tutte le creature.
Questa
fame di Assoluto è la sintesi di tutta la creazione di Dio.
Tutta
l'opera di Dio si conclude in una creatura che ha fame di verità, fame di
Assoluto, fame di conoscere Dio, quindi fame di contemplazione.
Contemplare
vuol dire guardare tutte le cose da un punto di vista.
Contemplare
Dio vuol dire guardare tutte le cose dal punto di vista di Dio.
Noi siamo
fatti in coppia con Dio, perché se non fossimo fatti in coppia con Dio, non
potremmo alzare lo sguardo Dio e guardare le cose da Dio, non potremmo pensare
Dio.
Ma proprio
perché siamo fatti così, abbiamo la possibilità di pensarlo e di guardare dal
Pensiero di Dio.
Però se
siamo fatti in coppia con Dio, non siamo Dio e allora si richiede a ogni uomo,
per giungere a soddisfare la sua fame, per trovare la sua vita, per giungere a
quella contemplazione per la quale è stato creato, un salto nell'infinito.
Cosa vuol
dire un salto nell'infinito?
È il
passaggio da tutte le cose che l'uomo vede, tocca, sa, cioè da tutto quello che
forma il suo passato, il suo esperimentato, al Pensiero di Dio per guardare le
cose da Dio, perché soltanto per mezzo di Dio si vede la luce di Dio.
La luce
viene dalla luce, la vita viene dalla vita, la verità viene dalla verità, Dio
viene da Dio.
Questo
salto nell'infinito non avviene senza di noi, non avviene automaticamente, ma
avviene per partecipazione consapevole quindi, per decisione, per scelta.
Per scelta
perché Dio è Dio, perché non siamo noi i creatori.
Allora è
per giustizia che dobbiamo superare tutto quello che vediamo e tutto quello che
tocchiamo e alzare il nostro pensiero, il nostro sguardo a Dio e vedere le cose
dal suo punto di vista e non dal nostro punto di vista, perché quando guardiamo
le cose dal nostro punto di vista, noi partiamo sempre su
iniziativa nostra.
È soltanto
guardando le cose dal punto di vista di Dio che noi ci muoviamo su iniziativa
di Dio.
Teniamo
presente la grande importanza di ciò che abbiamo considerato quando abbiamo parlato
del manto della vergine: l'importanza del restare nell'iniziativa di Dio.
Ora
possiamo precisare che si resta nell'iniziativa di Dio soltanto se si guarda
dal punto di vista di Dio.
Tutte le
volte che noi guardiamo dal punto di vista dell'uomo, dal punto di vista di
quello che noi sappiamo, di quello che abbiamo esperimentato, quindi dal punto
di vista del nostro passato, l'iniziativa cade in mano nostra e tutte le volte
che noi operiamo, pensiamo, parliamo o scegliamo di iniziativa nostra, perdiamo
il contatto con Dio e quando si perde contatto con Dio, cioè si perde il
contatto con il Principio, si va a morire molto, molto lontano da Dio.
Succede
allora che siccome questo salto nell'infinito non avviene senza di noi, tutta
l'opera che Dio fa, può restare in noi un'incompiuta, cioè può giungere a noi e
non portare noi a fare questo passaggio all'infinito di Dio, in modo da
guardare da Dio le cose.
È proprio
nell'incompiuto di Dio che avviene nella creatura che non fa il salto
nell'infinito, sorge il tempo, sorge passato, sorge il futuro, mentre il
presente diventa sempre più un'esperienza d’incapacità di capire quello che Dio
ci presenta.
Soprattutto
diventa incapacità di percepire la novità che Dio ci presenta.
Noi
tendiamo in questo incompiuto a giudicare anche la novità che Dio ci presenta
per classificarla e riportarla nel nostro passato, cioè noi facciamo entrare la
novità che è infinita, perché è un annuncio d’infinito, nel nostro finito, la
classifichiamo nelle categorie che noi abbiamo esperimentato nel nostro passato
ed è così che noi ci priviamo della vita.
È così
nella nostra vita noi esperimentiamo la sterilità.
Nella
nostra vita ci sono i concetti di fecondità e di sterilità e questo proprio
perché siamo fatti in coppia.
La fecondità
viene dall'unione della coppia in quanto c'è l'unione della coppia.
Noi siamo
fatti in coppia con Dio.
La
fecondità della vita viene quando c'è comunione, unione con Dio.
Se non c'è
quest’unione con Dio, anziché la fecondità della vita, noi e sperimentiamo la
sterilità della vita.
Sterile è
ciò che non produce niente e non fa niente.
Gesù
l'aveva annunciato, la Parola di Dio l'ha annunciato: "Senza di Me non
potete fare niente".
Così nel
prologo di San Giovanni si dice: "Senza di Lui è fatto niente tutto ciò
che è fatto".
Ecco la
sterilità: l'esperienza del niente.
C'è nella
vita di ogni uomo questa esperienza di sterilità, perché c'è quest'esperienza
del niente: "La mia vita è servita niente o la mia giornata è servita
niente".
Quante
giornate servono a niente!
È perché
non c'è l'unione della coppia.
Anche
questo è opera di Dio per convincerci, per farci capire in che cosa consiste la
fecondità della vita.
E c'è il tempo.
Abbiamo
detto che là dove c'è l'incompiuto c'è il tempo.
Il tempo
passa a senso unico e in quanto passa a senso unico, va verso una meta.
Dobbiamo
chiederci: qual è questa meta verso la quale il tempo ci conduce?
Il tema di
oggi è la spiaggia estrema.
Il tempo
ci conduce verso una spiaggia estrema.
Il
pensiero guida di oggi è: la terra porta a compimento quello che si semina in
essa.
La terra è
il tempo.
Il tempo
porta a compimento quello che seminiamo in esso, cosa vuol dire seminare?
Noi
seminiamo in quanto ci dedichiamo a-.
Se ci
dedichiamo a Dio, seminiamo Dio nella nostra terra.
Dedicandoci
ad altro da Dio, seminiamo altro da Dio nella nostra
terra.
Tutto
quello che noi seminiamo viene portato nella nostra terra a un compimento.
Il tempo
che passa a senso unico porta a compimento quello che noi abbiamo seminato.
Cosa vuol
dire portare a compimento?
Al frutto.
È portare
a costatare, a verificare, a vedere ciò che è, quello che noi abbiamo seminato,
per cui possiamo dire che il tempo è lo sviluppo di quello che noi stessi
abbiamo seminato.
La Parola
di Dio è il vero seme.
Se noi
seminiamo Dio (e abbiamo detto che si semina nella vita in quanto ci dedichiamo
a-, in quanto dedichiamo il nostro pensiero a Dio) il tempo porta a compimento,
porta al frutto, cioè ci porta a costatare ciò che vale, ciò che noi abbiamo
seminato.
Ma se noi
seminiamo altro da Dio, il tempo ci porta a costatare quello che vale, quello
che è quello che noi abbiamo seminato e noi ce lo troviamo di fronte.
È facile
capire che questo tempo che passa a senso unico, ci conduce a un dilemma estremo.
Il dilemma
estremo è questo: o il niente o la conoscenza di Dio.
Il tempo
ci mette con le spalle il muro, per cui all'inizio della nostra vita, come
avvenuto nell'umanità, ci sono tanti valori: la famiglia, il lavoro, l'onore,
la patria, tanti valori nei quali noi abbiamo giustificato per lunghi anni la
nostra vita e il valore di essa.
Abbiamo
creduto di giustificarla, perché tutto il mondo ci giustificava, per cui i
buoi, i campi, la moglie, hanno assunto dei grandi valori: valori di
giustificazione: "Abbimi per giustificato".
Così
quanto si è giustificato in nome del progresso!
Importante
è progredire, produrre, fare!
Un uomo
vale in quanto fa!
Quanti di
questi valori abbiamo visto crollare!
È crollato
il mito del progresso perché anche la stessa industria, anche lo stesso
operare, anche lo stesso fare, a un certo momento entra in contraddizione con
le esigenze stesse della vita: entra in conflitto, per cui quello che doveva
servire per la vita, è diventato un veleno per la vita.
La scienza
stessa: "L'importante è progredire nella scienza"!
Anche qui,
questo mito quanto è crollato!
Adesso si
sta correndo disperatamente a cercare di porre dei limiti alla scienza, perché
ci stiamo accorgendo che proprio la scienza sta distruggendo la vita.
E così
tanti di questi valori nei quali abbiamo ritenuto di potere giustificare
l'esistenza dell'uomo, la vita stessa dell'uomo, sono crollati e stanno
crollando.
È il
tempo!
Il tempo
che passa e che conduce l'umanità, come conduce ogni uomo, di fronte a questo
dilemma estremo: o niente o la conoscenza di Dio.
Cioè ci
conduce su quest'estrema spiaggia, dove dobbiamo riconoscere che senza
l'impegno con Dio, senza la conoscenza di Dio non è possibile sostenere la
nostra vita: tutto è distrutto.
E noi
stessi facciamo l'esperienza di questo niente.
È Dio che
opera nel tempo.
Dio
operando nel tempo conduce noi attraverso l'annullamento di tutti quei valori
nei quali abbiamo creduto di giustificare la nostra esistenza, quell'esistenza che
Dio ci ha dato per conoscere Lui, per cui vale in quanto si cerca si conosce
Lui.
Dio ci
conduce all'evidenziazione di quello che era già stato detto nel principio e
che noi avremmo dovuto seminare nella vita: avremmo dovuto seminare la ricerca
e la conoscenza di Dio come scopo della vita.
Avendo
seminato altro da Dio, attraverso il tempo stesso della vita, ci conduce qui,
di fronte a questo dilemma.
È l'ultima
offerta: o il niente o la conoscenza di Dio.
Tutto
questo crollo di valori di cui già Gesù aveva parlato, parlando della fine dei
tempi (e noi stiamo assistendo alla fine dei tempi), tutto questo crollo di
valori Gesù stesso lo aveva annunciato dicendo: "Vedrete gli astri del
cielo cadere, conflitti, terremoti, distruzioni" cioè questa fine dei
valori nei quali noi sosteniamo la nostra vita è opera di Dio per condurci a
costatare quello che noi stessi avremmo dovuto fare, credendo alla Parola di
Dio, credendo a Dio avremmo dovuto mettere prima di tutto Dio.
Per cui la
nostra vita a questo punto diventa una corsa contro il tempo: prima che il
tempo ci distrugga tutto e ci conduca su questa spiaggia estrema, prima che ci
schiacci come le mosche si schiacciano contro i vetri perché attratte dalla
luce.
E noi
siamo attratti dalla passione di Assoluto e non ci rendiamo conto che, se noi
ci schiacciamo contro i vetri, è appunto per la passione di Assoluto, perché
non vediamo qual è la via per evitare il muro del vetro, e la nostra vita
finisce schiacciata lì.
Prima che
il tempo ci conduca a schiacciarci di fronte a queste vetrate (creature non
raccolte in Dio), dobbiamo recuperare quello che noi non abbiamo raccolto in
Dio, dobbiamo recuperare il tempo.
Recuperare
il tempo vuol dire recuperare quello che in noi è rimasto incompiuto, perché il
tempo nasce da ciò che è incompiuto in noi e non si recupera il tempo se non
recuperando l'incompiuto.
Incompiuto
in quanto non è riportato a Dio, non è raccolto in Dio, cioè in quanto non ci
ha condotto a questo salto nell'infinito di Dio, per contemplare tutte le cose
da Dio: perché tutto ciò che in noi non ha condotto noi a contemplare le cose
nell'unità di Dio, a guardare le cose da Dio, rappresenta l'incompiuto in noi e
questo incompiuto ci precipita nel tempo che ci conduce su quella spiaggia
estrema.
Prima di
essere condotti lì, noi dobbiamo recuperare il tempo, dobbiamo cioè recuperare
tutto quello che d’incompiuto è rimasto in noi, riportarlo in Dio per vedere
ogni cosa da Dio.
Noi sappiamo
infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia".
Gv 9 Vs 29
RIASSUNTI
Argomenti: La
vera e la falsa conoscenza – Le sicurezze dell’adulto – I punti fissi di
riferimento – Dio unico punto di riferimento – Assolutizzare l’esperienza –
Tutte le strade devono condurre a Cristo – Appropriarsi della creazione – La
contemplazione – Passato, futuro e Presente – L’intenzione dell’altro –
Affogare nell’incompiuto – Lo Spirito di novità – L’angoscia del nulla -
26/Giugno/1988 Casa di preghiera
Fossano.
A.: Questi farisei, in nome della legge rifiutavano Dio,
cioè in nome di un mezzo rifiutavano il Fine, è un rischio grande quando ci
affidiamo alla nostra esperienza e rifiutiamo la novità di Dio.
Altro grave errore è ritenere di sapere e ritenere di non
avere bisogno di null’altro.
Quando diciamo di sapere ci riferiamo a delle conoscenze
che hanno l’io come punto fisso di riferimento e non Dio.
La vera conoscenza deve sempre fare riferimento a Dio,
però la vera conoscenza non dice mai “Io so”.
Luigi: Perché Dio è un infinito, per cui ha sempre delle novità
per noi.
Quindi è
sempre “impegnante”.
Ti impegna
sempre in un superamento di tutto quello che già hai saputo.
A.: Poiché tutto è fatto da Dio, non si deve rifiutare
nulla, non si deve contestare nulla.
Luigi: Cercando di capire il significato delle cose in Dio, c’è
sempre un accrescimento della conoscenza di Dio.
A.: Non solo, una conseguenza di questa presunzione di
conoscenza, è una situazione di conflitto, noi vediamo Mosè che viene
contrapposto a Cristo.
Luigi: Sì, perché si tende a distruggere il nuovo in nome del
vecchio, del già conosciuto e c’è l’azione.
A.: C’è la proposta da parte di Dio e c’è la reazione
nostra.
Questi farisei in realtà volevano mantenere la loro
posizione di potere e i loro privilegi.
C’è quindi questa posizione di irrigidimento intorno al
pensiero del proprio io.
La vera conoscenza non è riferimento a un bagaglio di
cognizioni costruite attorno alla nostra esperienza o al pensiero del nostro io
ma è un dialogo con l’infinito.
Luigi: Un’apertura crescente.
A.: Che consiste essenzialmente in ascolto.
Luigi: Se tu hai vero interesse per Dio, sei in un’apertura
crescente, continua.
Per cui
sei capace di accogliere sempre di più e non rifiuti nulla.
Mentre
invece, colui che si è trincerato in difesa opera per annullare tutto ciò che
non rientra nel suo punto di vista.
A.: Quindi
la vera fede è accoglimento di ogni segno nel superamento dell’esperienza.
Abbiamo il
rovescio di quello che è l’atteggiamento di questi farisei.
Cioè non
dobbiamo far nessun conto della nostra esperienza, ma superando l’esperienza
stessa interroghiamo se siamo in situazione d’ascolto.
Qui è la
fede che interroga e contempla.
Ed è nella
possibilità di acquisire la vera conoscenza.
B.: Dio deve abbattere tutte le nostre sicurezze, per
farci alzare gli occhi a Lui.
Luigi: Noi tendiamo a fare di ogni segno un idolo.
Cioè un
posto di sicurezza, un posto di potere, Dio opera per abbattere questi nostri
idoli per portarci nel campo dell’ascolto, della vita.
Il bambino,
all’inizio non ha sicurezze ma è tutto attento a ricevere.
E Gesù
dice che se non torniamo come bambini non possiamo entrare nel regno dei cieli.
Che
diversità c’è tra il bambino è l’adulto?
L’adulto
ha acquisito, attraverso le sue esperienze, le sue conoscenze, tutto un mondo
dietro il quale si è trincerato.
E senza
accorgersene, si è chiuso in una botte.
E non c’è
più l’apertura.
Perché lui
ritiene di sapere ed esclude tutte le cose che non rientrano nel suo sapere.
E allora abbiamo
l’uomo che entra in azione, per annullare tutto quello che è diverso dal suo
pensiero.
Tornare
come bambini vuole dire avere questa apertura, questa meraviglia verso tutto
quello che ti arriva a te.
Perché in
tutto, in quanto è opera di Dio, c’è un infinito che ti trascende e che
richiede da te di essere accolto, di essere ascoltato e di essere capito.
Noi nel
pensiero del nostro io, invece facciamo dei segni di Dio un punto fisso di
riferimento, mentre quei segni, erano un mezzo per portarci ad avere Dio come
punto fisso di riferimento.
Perché Dio
è il punto fisso di riferimento.
Infatti
noi ci accorgiamo che quando una creatura sta morendo, noi vediamo che vengono
a mancare in quella, tutti i punti fissi di riferimento.
Non
conosce più come prima.
È Dio che
gli sta annullando tutti i punti fissi di riferimento e la prepara per avere un
unico punto di riferimento.
Nella
città di Dio, nella città eterna, tutte le cose hanno come unico punto fisso di
riferimento Dio.
Dio è
l’unico sole, Dio è l’unico tempio.
Dio è
l’unico essere che illumina, non ci sono più altre luci.
Nella vita
naturale noi conosciamo: “Questo è mio padre, quella è mia sorella” ma è tutto
un conoscere sempre riferito all’io.
In tutte
le cose noi facciamo riferimento al nostro io: “Questo è avvenuto prima di me,
questo non c’è ancora”.
Noi
scopriamo il passato in quanto lo riferiamo al nostro vissuto.
È sempre
tutto riferito al nostro io.
Tutti
questi punti di riferimenti scadono e la vera conoscenza la si ha in quanto:
“Questo è così, perché Dio è così”.
Altrimenti
non entriamo nella vita eterna.
La vita
eterna vuole dire riferire tutto a Dio e vedere in tutto la significazione di
Dio.
Quindi c’è
tutto questo lavoro da fare.
Noi invece
tendiamo a dire che tutto è secondo il nostro esperimentato.
I segni
sono soltanto dei dati per metterti in movimento verso la conoscenza di Dio.
Noi
tendiamo a trincerarci dietro la nostra esperienza: “Questa è la verità, questa
è la realtà, il cielo è lontano la nostra realtà è questa”.
Il nostro
punto fisso di riferimento è “piedi per terra”, “la realtà è questa”.
Arriva il
momento in cui Dio ti distrugge la terra e allora tu vaneggi, non capisci più
niente.
Perché
venendoti a mancare i punti fissi di riferimento non sai più chi sei.
Non
conosci più nessuno, perché Dio ti ha abbattuto tutti i tuoi punti fissi di
riferimento.
E allora
sei lì in attesa di scoprire il vero punto di riferimento: Dio.
Per cui
quando ti accorgi che Dio sta abbattendo tutto, alza gli occhi al cielo, perché
Dio ti sta annunciando il vero punto di riferimento, il vero punto luce da cui
guardare e intendere veramente tutte le cose.
La
spiaggia estrema.
Infatti
l’ultimo conflitto è tra Dio e il nostro io.
E se noi
non mettiamo Dio prima di tutto, noi entriamo nella notte, una notte che può
essere eterna, perché non abbiamo più nessuna possibilità.
Adesso noi
abbiamo tante giustificazioni al disimpegno con Dio, perché c’è una certa
realtà che ci sostiene.
Ma questa
realtà sensibile è destinata ad essere abbattuta.
Questo ci
fa capire che la realtà che attualmente noi costatiamo, è soltanto un mezzo per
farci camminare verso la conoscenza di Dio, ma non dobbiamo costruirci sopra.
Noi
dobbiamo costruire su Dio, non sui segni di Dio.
Noi
costruiamo la nostra vita sui segni di Dio che sono temporanei e allora Dio ce
la abbatte per salvarci l’anima.
C.: Ma le conoscenze ricevute da bambini su Dio servono?
Luigi: Non è mica da escludere, sono sollecitazioni, mezzi, è
opera di Dio.
Mosè è
mica da escludere.
La legge è
mica da escludere.
Ma non
dobbiamo fare di Mosè o della legge un nostro punto fisso di riferimento.
Tutti i
nostri dati terreno nostri, sono pedagoghi, cioè sono mezzi, strade per
condurci al Cristo.
Se io
condotto davanti a Cristo oppongo Mosè o la legge a Cristo, evidentemente c’è
qualcosa di sbagliato in me.
Se
percorro la strada per andare a Torino e poi alla periferia di Torino
preferisco restare sulla strada anziché entrare in Torino, c’è qualcosa di
sbagliato in me.
Perché la
strada, tu la stavi percorrendo per arrivare a Torino.
Tutta la
creazione, tutto quello che noi esperimentiamo nella nostra vita, sono sentieri
che conducono a Cristo.
“Abbiamo
trovato Colui di cui hanno parlato Mosè e i profeti”.
Gli
apostoli avevano capito che Mosè e i profeti avevano parlato del Cristo.
Come mai
gli apostoli dicono questo e i farisei oppongono Mosé a Cristo?
Non sono
forse tutti uomini creati da Dio?
Come mai
qualcuno ascoltando Mosè e i profeti è arrivato a individuare il Cristo e altri
ascoltando Mosè e i profeti oppongono questi a Cristo?
L’uomo è
sempre lo stesso e allora c’è qualcosa di sbagliato nell’uomo che oppone Mosè,
i campi i buoi e la moglie a Cristo.
D.: Bisogna avere la consapevolezza che costantemente noi
siamo fatti da Dio...
Luigi: Bisogna avere la consapevolezza che Dio è il Creatore.
Se Dio è
il creatore, io devo sempre cercare il significato presso Dio di quello che Lui
mi fa arrivare.
E non
intendere le cose nel pensiero del mio io.
Devo
superarmi.
Perché è
Lui il creatore.
Non devo
rivestire le cose dei miei interessi, dei miei fini, del mio pensiero ma devo,
in tutto cercare il Pensiero di Dio.
Perché è
Lui il creatore.
Le cose
non sono mie.
Le cose
sono di Dio.
E se le
cose sono di Dio, io devo sempre riportarle a Dio.
Devo
sempre cercare in Dio il significato delle cose, che cosa Lui mi vuole dire di
Sé.
Perché Lui
è il Creatore, è Lui che mi sta parlando.
Invece noi
non abbiamo interesse per Dio e allora osservando la creazione e le creature,
tendiamo ad appropriarcene: “Questo mi fa comodo, questo mi piace, questo mi è
utile”.
E ce ne
facciamo sgabello per i nostri piedi.
E.: Vedere le cose in Dio è contemplare?
Luigi: No, vedere le cose in Dio è giustizia, perché vengono da
Dio.
Quindi mi
piaccia o non mi piaccia, devo accoglierle da Dio: è un atto di giustizia.
Cercare il
Pensiero di Dio in esse è ancora atto di giustizia.
Conoscere
il Pensiero di Dio è contemplare.
Cioè
guardare dal punto di vista di Dio è contemplazione.
Prima è
atto di giustizia.
È per atto
di giustizia che io non devo appropriarmi delle cose di Dio o delle parole di
Dio.
Non devo
appropriarmene, perché sono di Dio.
Ora,
quando una cosa è di un altro, è per giustizia che io non devo appropriarmene,
ma devo rispettare che la cosa è dell’altro.
La vita non
è mia, è di Dio, il tempo non è mio, è di Dio.
La mia
intelligenza, la mia volontà e tutte le creature non sono mie, sono di Dio.
Allora in
tutte le cose devo sempre occuparmi come amministratore.
Allora
cosa devo fare della mia giornata?
Perché la
mia giornata non è mi ma è di Dio.
Allora
come devo utilizzare la giornata.
L’intelligenza,
il pensare come lo devo usare dato che appartengono a Dio?
Le
creature non sono mie, sono di Dio, come devo comportarmi verso esse?
Allora
questa è giustizia.
Con questa
giustizia entriamo nel cammino della ricerca di Dio.
Io cerco
Dio per giustizia, perché devo riportare le cose a Dio, poi c’è l’incontro con
Cristo, fino ad arrivare alla conoscenza del Pensiero di Dio.
Quando per
grazia di Dio posso guardare da Dio, lì incomincia la contemplazione delle cose
in Dio.
La
contemplazione è quando uno guarda da un punto di vista.
Quando tu
Sali su una montagna, dalla vetta guardi dall’alto, contempli la vallata.
Tu
contempli quando guardi da un punto fisso.
Tutto dipende
dal punto di vista con cui tu guardi.
Perché
quando uno guarda dal punto di vista del suo interesse, anche Lui contempla.
Ma
contempla le cose dal punto di vista del suo interesse.
E lì
comincia il disastro.
Fintanto
che io sono in ricerca sono in cammino, ma quando io comincio a contemplare, io
mi sistemo in un punto fisso di riferimento e allora comincio a giudicare dal
mio punto di vista, mentre invece devo guardare dal punto di vista di Dio.
Altrimenti
sono fuori dalla verità e allora incomincio a giudicare tutto.
Se invece
guardo dal punto di vista di Dio, accolgo tutto da Dio e riferisco tutto a Dio.
F.: Tutti questi errori sono dovuti al voltarci indietro.
Luigi: Tutti gli avvenimenti, sono per farci guardare avanti.
E in Dio
si recupera tutto, perché il passato diventa presente e il futuro diventa
presente, si raccoglie tutto in presenza.
Ma questo
soltanto in Dio.
F.: Senza Dio invece il passato resta morto.
Luigi: Tu guardando al passato cosa fai?
Tendi a
rivivere quello che hai vissuto.
E la tua
vita diventa ripetitiva.
Ma più
diventa ripetitiva e più tu perdi quello che hai vissuto.
Perché non
ritroverai mai l’esperienza che hai vissuto in un punto della tua vita passata.
È come se
tu volessi recuperare ieri: tu non puoi.
Ti riduci
a niente, perché ogni ripetizione ti dà meno vita.
Tu hai
fatto una certa esperienza e in quel punto in cui tu l’hai fatta era dono di
Dio, quindi novità e tu godi di questa ma se tu il giorno dopo vuoi rivivere la
stessa situazione ricevi qualcosa di meno e a ogni ripetizione ricevi meno,
fino ad annullarla.
Per cui
non devi cercare di recuperare il passato cercando di riviverlo, vai avanti
verso Dio e in Dio ritroverai tutto con qualcosa di più.
N.: Noi siamo passione d’assoluto e quando ci fermiamo alla
nostra esperienza passata, noi assolutizziamo questa esperienza.
E ci priviamo delle lezioni di Dio, non vediamo più il
fine, il presente ci sfugge.
Siamo dei vecchi anzitempo.
Luigi: Sì, perché il passato diventa il mio fine.
Io tendo a
rivivere qualcosa del passato.
La persona
anziana è sempre ripiegata sul passato.
N.: Tendiamo a rendere assolute, quello cose di cui
abbiamo fatto esperienza e commettiamo un errore gravissimo: perché noi
tendiamo a diventare degli autoritari e imporre il nostro conosciuto e tendiamo
a fare gli altri, bambini in primis, secondo il nostro punto di vista.
O.: Ogni giorno c’è un annuncio di Dio per noi, ma chi è
disposto ad accoglierlo?
P.: Dobbiamo cercare il significato delle cose in Dio.
Luigi: È difficile.
Perché è
molto più facile attribuire alle cose il nostro significato.
È molto
facile rivestire gli altri delle mie intenzioni.
È molto
difficile invece arrivare ad avere la pazienza, per arrivare a capire quale è
l’intenzione dell’Altro.
Questo mi
richiede attenzione, ascolto, disponibilità, intelligenza.
Io sono
naturalmente portato a giudicare.
Noi siamo
portati a proiettare la nostra esperienza, le nostre conoscenze, cioè noi siamo
molto portati a mettere l’etichetta: classifichiamo.
Mentre il
Signore ci dice di non giudicare.
Cerca
piuttosto quello che Dio ti vuole significare attraverso quello.
E
ovviamente questo diventa difficile, perché si tratta di alzare gli occhi a
Dio, riferire la cosa a Dio e cercarne l’intenzione.
E solo
nella misura in cui io conosco una persona, ho la possibilità di capire il
pensiero di quella persona.
Più due si
vogliono bene e più intuiscono il pensiero dell’altro.
Tutto
dipende dalla conoscenza.
Se tu non
conosci Dio è difficilissimo arrivare al Pensiero di Dio.
Quindi
cerca prima di tutto a conoscere Dio, perché più tu conosci Dio e più tu sarai
facilitato nel conoscerne il pensiero.
“Sforzatevi
di entrare” perché la porta è stretta, il cammino è difficile, Lui non ti fa
mica dei complimenti.
Il cammino
è difficile, proprio perché è un problema di conoscenza.
La
conoscenza richiede molto impegno, in qualunque campo, per arrivare a conoscere
qualcosa, dobbiamo impegnarci molto.
E più il
problema è difficile e più richiede impegno.
Dio è un
infinito, quindi immaginiamoci un po’.
E meno
m’impegno, più difficoltà trovo.
Quindi la
difficoltà è data dal fatto che io conosco poco Dio.
Q.: Il tempo rappresenta l’incompiuto dell’uomo, cioè non
riportato in Dio, perché in Dio tutto è compiuto.
In Dio tutto è compiuto, per questo è tutto presente.
Luigi: Quindi per noi passato e futuro rappresenta
l’incompiuto, cioè quello che in noi è rimasto incompiuto rispetto a Dio.
Q.: Cioè il passato non l’abbiamo raccolto, e il futuro
dobbiamo ancora raccoglierlo.
Luigi: Certo.
Soltanto
che per raccogliere in Dio, dobbiamo mettere l’interesse per Dio al di sopra di
tutto, altrimenti non ho mai tempo.
Vedendo
che la cosa è difficile rinvio sempre e le cose si accumulano.
A un certo
momento, quando vedo che ho un oceano di segni da raccogliere in Dio desisto.
Q.: E l’interesse per Dio scatta quando uno vede
l’urgenza di questo lavoro, altrimenti affoga nell’incompiuto.
Luigi: Ogni lavoro rinviato ti complica il problema.
Ogni
problema rinviato è un problema aggravato.
E se non
hai tempo adesso pensa un po’ quando il problema sarà aggravato!
R.: Dio c’interroga e noi tendiamo a rispondere sempre
secondo quello che abbiamo esperimentato.
Luigi: Non dobbiamo far valere quello che abbiamo conosciuto.
Perché
quello che noi abbiamo conosciuto è ancora da conoscere.
Mi devo
avvicinare a Dio più non conoscendo che conoscendo.
Non devo
far valere quello che ho esperimentato, conosciuto.
La vita
con Dio è una novità continua.
Lo Spirito
di Dio è uno spirito che rinnova la faccia della terra.
Cioè che
fa nuove tutte le cose.
È Spirito
di novità, appunto perché t’impegna a superare tutto quello che tu hai
conosciuto, per attingere quello che ancora non conosci.
Se tu
attingi a quello che tu hai conosciuto, fai rientrare il nuovo nel vecchio e
riduci tutto a niente.
“Chi ha
bevuto il vino vecchio rifiuta il nuovo”.
Invece
devi assorbire il vecchio nel nuovo.
Dio
c’interroga e Dio ci dà la risposta.
- Pensieri conclusivi -
A.: Dio svuota la mia vita vissuta nell’assolutizzare le mie
esperienze, anche quelle con Dio e lo fa per recuperarmi.
Io posso però sprecare la mia vita cercando di imporre
quella che è la mia esperienza.
Luigi: per cui il male non sta nelle creature ma sta
nell’assolutizzare le creature, cioè nel farle fine del mio vivere e pensare.
B.: La conoscenza è novità.
Luigi: La vita eterna infatti è conoscenza e la vita eterna è
una novità continua.
Con Dio,
per l’eternità, c’è una novità continua.
L’infinito
ti recupera in continuazione tutto in novità.
C.: Rimanere sempre aperti alla novità di Dio.
D.: Vivere il presente e sperare nel futuro.
E.: Vedere la
creazione come se ogni giorno, fosse il primo giorno della nostra vita.
Luigi: Infatti per il bambino, ogni giorno è una novità.
F.: L’attenzione continua a Dio è indispensabile.
Luigi: Per poco che noi ci scostiamo da Dio, noi immediatamente
cadiamo nel pensiero del nostro io.
È
necessario pregare sempre cioè guardare sempre Dio.
“Senza di
Me fate niente”, per poco che ci stacchiamo da Lui, immediatamente cadiamo nel
vortice di questo niente.
G.: Non dobbiamo sprecare la vita...
Luigi: Arriva un momento in cui paghiamo molto caro il nostro
disimpegno da Dio, perché non riusciamo più a liberarci dai nostri pensieri.
H.: Se ho interesse per Dio non mi ripiego sul passato ma
sono aperta alla novità.
Luigi: Io non posso ignorare Chi mi sta parlando tutti i
giorni.
W.: Dio m’invita a superare la mia esperienza, formata da
tutti i segni che Lui mi ha fatto pervenire
(che io ho legato al mio io), per entrare nella vera conoscenza.
E il mezzo è la fede.
Luigi: La fede mi mantiene in collegamento, perché la cosa
viene da Dio.
Mentre se
ripiego sulla mia esperienza m’accorgo che non ho più fede.
Il mondo
che entra in me mi porta via la fede.
Perché il
mondo o io lo assorbo in Dio e allora la fede diventa conoscenza, oppure il
mondo che è entrato in me mi porta via la fede.
E quando
avrei bisogno della fede, m’accorgo che l’ho persa.
Tu vedi
che il volto di tante persone vecchie è soltanto più il volto dell’angoscia del
nulla.
Il nulla
non produce niente, il nulla produce angoscia.
Perché il
nulla, portato nel campo dell’assoluto che è l’uomo, rende la cosa
insopportabile e produce l’inferno.
Z.: Nel campo dello Spirito non possiamo mai dire di
sapere.
Luigi: Nicodemo si avvicina a Gesù dicendo: “Noi sappiamo”, e
Gesù lo contraddice subito.
Noi non
sappiamo.
Y.: Nella realtà di Dio si può entrare solo con il
Pensiero di Dio.
Luigi: Questo è molto importante, perché quello è il passaggio
obbligato.
Solo se io
mi raccolgo nel Pensiero di Dio.
V.: Cercare ogni giorno il significato da Dio.
Luigi: Sì, perché ogni giorno è una grazia che Dio ci fa, per
darci la possibilità di conoscere qualche cosa di Lui.
Non
bisogna sprecarlo.
S.: Se non raccolgo il presente in Dio, questo diventa passato
che io oppongo alla Verità di Dio.
Luigi: Sono le mie tenebre che non accolgono la luce che si
annuncia.
Le tenebre
sono il mio passato, in nome delle quali rifiuto la novità della luce di Dio.
S.: Se non si raccoglie in Dio, si assolutizza quello che
non si è raccolto e lo si oppone all’assoluto di Dio.
- Fine -