I suoi genitori
parlavano così, perché avevano paura dei giudei; perché i Giudei si erano messi
d'accordo che chiunque riconoscesse Gesù per il messia, fosse scacciato dalla
sinagoga.
Gv 9 Vs 22 Primo tema.
Titolo: Le
ghiande e il Natale.
Argomenti: Dio abita nell'uomo. La
solitudine di Adamo. La solitudine scelta di
Maria. La solitudine dell'uomo sta
nel non essere compreso. L'uomo non può separarsi da una presenza. L'uomo vive in quanto è pensato. Natale: presenza di Dio
compatibile col pensiero dell’io.
20/Dicembre/1987 Casa di preghiera Fossano.
Ci troviamo nel versetto 22 del capitolo nono di San
Giovanni.
Si dice: "I suoi genitori parlavano così perché
avevano paura dei giudei, perché già i giudei si erano messi d'accordo affinché
chiunque riconoscesse Gesù come Messia, fosse scacciato dalla sinagoga".
Qui ci troviamo con della gente: i genitori del cieco
nato, dominati dalla paura, paura verso quella che era l'autorità di allora.
La paura era determinata dal fatto che sarebbero stati
scacciati dalla sinagoga.
Già domenica scorsa abbiamo visto come l'uomo di fronte a
Dio sia essenzialmente solo.
Solo di fronte ai veri problemi della vita, solo
soprattutto di fronte alla morte.
Anzi abbiamo visto come la solitudine in cui viene a
trovarsi l’uomo di fronte alla morte, sia rivelazione di quello che veramente
l'uomo è in tutta la sua vita: solo.
Il passaggio dalla solitudine all'ansia, alla paura è breve.
Però abbiamo anche detto che l'uomo non è mai solo,
perché in realtà l'uomo è costituito dalla presenza di Dio: l'uomo è
portatore della Presenza di Dio, Dio abita nell'uomo, la Verità abita
nell'uomo, nell'interno dell'uomo.
Dio non è un essere che si muova nel tempo, nello spazio,
per cui questa Presenza è una Presenza permanente nell'uomo.
L'uomo è a contatto con Dio, quindi se è a contatto con
Dio, non è solo.
Allora c'è il problema: e solo o non è solo?
C'è questa solitudine dell'uomo o non c'è?
Ci troviamo con tre temi che occuperanno le prossime
domeniche.
Il primo tema è la solitudine o non solitudine dell'uomo
e quindi quello che Dio vuole significarci, perché tutto è lezione di Dio,
tutto è annuncio, tutto è segno di Dio per il nostro cammino verso la Verità,
per cui in ogni segno Dio comunica noi qualche cosa, per farci avanzare nel suo
Regno, nella conoscenza di quello che Lui è.
Abbiamo detto che il primo tema è quello della solitudine
o non solitudine dell'uomo.
Il secondo tema sarà la paura: che cosa Dio rivela di Sé
nella paura dell'uomo, perché l'uomo ha paura e perché ci sia questo problema.
In realtà l'uomo è dominato dalla paura.
La paura dell'uomo è nata già nel giardino terrestre.
Il terzo tema, che sarà la conclusione degli altri due,
sarà la vera religione.
Ora dobbiamo soffermarci sul primo, questo rapporto che
passa tra solitudine o non solitudine dell'uomo.
In realtà l'uomo non è mai solo.
Però l'uomo sente, esperimenta la solitudine.
La realtà si coglie con l'intelligenza.
Invece la solitudine si sente, è un sentimento.
Bisogna chiedersi come mai, mentre in realtà l'uomo non è
mai solo, l'uomo faccia esperienza, quindi senta, subisca, questa solitudine,
questa sensazione di essere solo.
Se noi approfondiamo questa solitudine, ci accorgiamo che
ha tre volti.
Il primo volto della solitudine è in Adamo.
Già nel paradiso terrestre, prima del peccato, Adamo si
sentì solo.
Dio riconobbe: "Non è bene che l'uomo sia solo,
facciamogli un aiuto simile a lui" e creò la donna.
C'è una solitudine prima del peccato e c'è la solitudine
dopo il peccato, dopo che Dio diede ad Adamo un aiuto simile a lui.
Quindi c'è una solitudine che deriva dalla presenza di
una compagnia.
Poi abbiamo un terzo volto della solitudine ed è quello della
solitudine di Maria: "Si faccia di me secondo la tua Parola".
È la solitudine di chi vuole essere solo.
È la solitudine scelta, decisa, voluta.
La solitudine grande, quella che pesa sull'uomo è la seconda, è quella che Adamo ed Eva, pur essendo insieme,
esperimentarono, provarono in conseguenza del peccato.
Il peccato è l'io dell'uomo che si considera autonomo,
che non tiene conto di Dio.
L'io è anche una creatura, come tutte le creature e come
tale è una Parola di Dio e come tutte le Parole, va mantenuta legata a Dio.
Anche l'io dell'uomo, come tutte le creature, per
giustizia va mantenuto unito a Dio, perché: "L'uomo non divida quello che
Dio ha unito".
Tutte le creature sono di Dio, l'uomo è tenuto a
mantenerle unite a Dio per giustizia.
Il primo peccato, il peccato originale, è il peccato che
sta a fondamento di tutti gli altri mali, per questo si chiama originale, è il
peccato dell'autonomia dell'uomo, dell'uomo che pensa a se stesso senza tenere
conto di Dio.
L'uomo che pensa se stesso senza tenere conto di Dio è
l'uomo che perde l'intelligenza, perché l'intelligenza sta nel riferire ogni
cosa alla sua causa e siccome Dio è il Creatore, quindi è Causa di tutto,
l'intelligenza sta nel riferire ogni cosa a Dio.
Quando consideriamo una cosa in modo autonomo, separato
da Dio, noi perdiamo l'intelligenza: per cui dobbiamo dire, possiamo dire, che
la nostra intelligenza è Dio.
Come noi trascuriamo Dio, perdiamo l'intelligenza.
Ma abbiamo detto prima che la Realtà si trova solo con
l'intelligenza, quella Realtà in cui l'uomo non è mai solo.
Se l'uomo perde l'intelligenza, perde la consapevolezza
di non essere solo e se la perde, comincia a esperimentare la solitudine.
La solitudine è conseguenza del peccato.
La solitudine grande non è determinata dall'essere soli,
è quella che Adamo ed Eva hanno provato dopo il peccato.
Prima Adamo ha esperimentato la solitudine, non aveva un
compagno con cui colloquiare, un compagno simile a lui, aveva un Maestro,
aveva Dio, ma quando l'uomo è in cammino ha bisogno di un compagno e Dio lo
riconosce.
Quindi abbiamo la solitudine che non pesa sull'uomo anzi,
è necessario che l'uomo la esperimenti.
Dio poteva creare quest'aiuto simile ad Adamo già fin
dall'inizio della creazione, quando creò tutte le cose, compreso Adamo,
riconobbe che tutto era molto buono, era fatto molto bene.
Il giorno dopo però, troviamo Adamo che esperimenta la
solitudine e Dio che dice: "Non è bene".
Abbiamo già riflettuto su questo fatto altre volte,
siccome Dio non si contraddice, evidentemente era necessario che Adamo
esperimentasse questa solitudine, per poter riconoscere veramente ciò che gli
sarebbe stato di aiuto.
Avuto quest’aiuto, qui Adamo incomincia a esperimentare
la vera solitudine, perché da quell'aiuto ne derivò il momento cruciale, il
momento in cui "quella donna che Tu mi hai dato mi ha offerto questo cibo
proibito".
In conseguenza di questo, pur essendo insieme, Adamo ed
Eva hanno esperimentato la solitudine.
La vera solitudine dell'uomo non è data dall'assenza ma, dalla presenza.
La solitudine non c'è perché l'uomo non ha nessuno ma, è
data da colui o coloro che l'uomo ha con sé.
Sono queste presenze che fanno sentire, esperimentare la
solitudine all'uomo quando non lo comprendono.
Cioè arriva un momento in cui l'uomo non si sente
conosciuto da coloro che ha presenti.
La solitudine vera è quella dell'uomo che non si sente
capito, compreso, conosciuto nella sua parte principale, nella sua intenzione
fondamentale, nel suo pensiero.
Abbiamo detto che se l'uomo pensa a se stesso in modo
autonomo, perde la presenza di Dio ma, perdendo la presenza di Dio cade nella
presenza di ciò che non è Dio, cioè nella presenza delle creature, poiché
l'uomo è fatto, è costituito dalla presenza e non può vivere senza presenza.
La vita dell'uomo è proprio costituita dalla comunione e
questa presuppone una presenza.
Ne deriva che quando l'uomo, pensando a se stesso, senza
tenere conto di Dio, perde la Presenza di Dio, per cui la Presenza di Dio
diventa astratta, cade schiavo di altre presenze e in quanto schiavo non può
più separarsene anche se gli fanno esperimentare la solitudine, anche se non lo
capiscono, non lo comprendono.
L'uomo schiavo non può più separarsi e non si separa.
Qui l'uomo inizia un cammino di morte, perché la
solitudine incomincia a incrinare tutte le sue facoltà, dal volere, al pensare,
all'amare.
L'uomo non può separarsi da chi lo sta distruggendo
esperimentando di non essere capito, conosciuto.
L'uomo non può separarsi da una presenza, perché la
presenza per lui è motivo di vita.
Per questo, pur attraverso tutta questa esperienza di
solitudine, di morte, l'uomo non può separarsi da colui che gli sta infliggendo
la morte.
Tutto questo è conseguenza del fatto che l'uomo perdendo
la Presenza di Dio resta dominato dal sentimento.
L'uomo perde la Presenza di Dio in quanto non raccoglie
tutto in Dio, quindi in quanto perde l'intelligenza o meglio la presenza
dell'intelligenza.
Tutto questo accade perché l'uomo non raccoglie in Dio.
Gesù dice: "Chi come non raccoglie disperde, chi
invece raccoglie riceve mercede di vita eterna".
L'uomo in questa solitudine che si sta scavando, perché è
data da ciò che lui ha presente, ha la possibilità di salvezza?
Qualcuno si è stupito del tema di
oggi, abbiamo accennato alle ghiande.
La grande solitudine che ha esperimentato il figliol
prodigo (che significa la solitudine di ogni uomo) è stata proprio quando
vedeva che i maiali di cui lui era guardiano si nutrivano di ghiande e lui
aveva fame e sospirava di poter mangiare quelle ghiande ma, dice il Vangelo:
"Non c'era nessuno che gliene desse".
Si sentiva non compreso nel suo bisogno.
Le ghiande le poteva mangiare, le poteva prendere, ma non
c'era nessuno che provvedesse al suo bisogno, perché l'uomo si nutre d'amore,
si nutre di comprensione e questa è l'essenza della vita.
L'uomo non ha bisogno di beni materiali, di ghiande sotto
tutti gli aspetti ma, ha bisogno di qualcuno che pensi a lui, che lo conosca
nel suo bisogno, nella sua fame.
L'uomo ha bisogno di essere pensato, l'uomo vive in
quanto è pensato, in quanto è conosciuto.
Noi il più delle volte non ci rendiamo conto ma, se siamo
capaci di pensare, di vivere, di sostenere le difficoltà della vita, di
lottare, di amare, è perché siamo pensati.
Il giorno in cui scopriamo di non essere pensati, il
giorno in cui scopriamo che non c'è più nessuno che pensa a noi, noi cominciamo
a subire le disfatte della vita, non siamo più capaci di intraprendere niente,
né di volere, né di amare.
E tutto questo è lezione di Dio per farci capire quanto
per noi sia prezioso restare nel Pensiero di Dio, non abbandonare Dio, non
trascurarlo.
L'uomo che sta esperimentando questa solitudine
determinata dalle presenze che non pensano a lui, ha una salvezza?
L'unica è il Natale.
Cosa rappresenta il Natale?
Rappresenta la manifestazione o meglio l'annuncio di
Colui che è presente nell'uomo ma che è incompatibile con il pensiero dell'uomo
in modo autonomo, incompatibile perché non può essere conosciuto nel pensiero
dell'io.
Abbiamo detto che l'uomo perde la conoscenza di Dio per
il suo io autonomo da Dio, perché nel pensiero del suo io, l'uomo non può
assolutamente conoscere Dio.
Dio si conosce soltanto nel Pensiero di Dio.
Quindi c'è incompatibilità tra il Pensiero di Dio e il
pensiero dell'io dell'uomo considerato come centro, come staccato da Dio.
Il che vuol dire che l'uomo nel pensiero del suo io, non
può entrare nel cielo di Dio.
Non entrare nel cielo di Dio vuol dire non giungere
all'esperienza della Presenza di Dio, quella sola Presenza che è efficace,
perché l'uomo è salvato dalla presenza.
Invece nel pensiero del suo io, l'uomo è compatibile con
le creature ma, le creature a un certo momento gli fanno esperimentare la
solitudine che lo distrugge, poiché non c'è nessuna creatura che possa
comprendere l'uomo.
Infatti, la grande comprensione dell'uomo è solo in Dio.
Sant'Agostino dice: "Signore Tu ci hai fatti per Te,
il nostro cuore si riposa soltanto in Te, trovando Te".
Dicendo questo, ed è vero, ci rivela che non ci può
essere creatura che possa comprendere l'uomo.
Allora ritorniamo qui: l'uomo con una creatura, si rovina
si distrugge.
C'è una salvezza?
La salvezza è data soltanto se Colui che è Presente
all'uomo, incompatibile con l'io dell'uomo, si rende presente là, dove le cose
sono compatibili con l'io autonomo dell'uomo.
Cioè soltanto se Dio si rende compatibile nel regno
dell'uomo, può salvare l'uomo.
Ora Dio è infinito e come può l'infinito rendersi
presente nel finito?
Il problema del Natale: l'infinito,
l'Assoluto, l'eterno, si rende presente, si annuncia come segno.
Natale è un segno di quella Realtà che l'uomo porta con
sé ma che, non può esperimentare perché avendo pensato a se stesso in modo
separato da Dio, ha perso: la Presenza di Dio.
Solo se Dio si annuncia là, dove l'uomo esperimenta la
sua solitudine, in mezzo a tutte le sue presenze, le creature, solo lì Dio
offre all'uomo la via della salvezza, se l'uomo però è attento al segno.
Ma cosa vuol dire essere attenti al segno?
Il segno è annuncio e in quanto tale, va capito.
Quindi la via della salvezza sta nel fatto di ricevere il
segno e di capire che cosa Dio vuol far capire attraverso questo segno.
Il Natale non sta nel fare festa, non sta nel fare auguri
e non sta nel mangiare panettoni, come non sta nel fare dei riti.
Il Natale sta nel capire il segno che Dio dà agli uomini
nella solitudine degli uomini.
Perché attraverso tale segno, Dio dice all'uomo: "Io
sono con te, per liberarti dalla solitudine".
Però è segno e come tale va capito perché soltanto
adesso, se l'uomo cerca di capire la Realtà, quella presenza che il segno ci
annuncia, segno che l'uomo non può ignorare perché il segno arriva l'uomo
indipendente dall'uomo, ottiene il rapporto con quella Presenza di Dio che lo
libera dalle presenze di morte che lo stanno distruggendo.
Gesù nasce indipendentemente dall'uomo, non per opera di
un uomo.
E ciò vuol dire che il segno s’impone a noi
indipendentemente da noi, per cui l'uomo non può ignorarlo, si annuncia la
Presenza di un essere che è in noi indipendentemente da noi.
Sia che noi pecchiamo o che non pecchiamo, sia che lo
esaltiamo, lo cantiamo, lo glorifichiamo o lo bestemmiamo, sia che crediamo o
non crediamo, Lui è presente in noi indipendentemente da noi.
Perché Lui nel Natale si manifesta presente nell'uomo,
indipendentemente dall'opera dell'uomo.
Ciò vuol dire che l'uomo può agitarsi, può andare in alto
o in basso, a destra e manca, può fare tutto quello che vuole: la Realtà resta
ferma come un macigno.
Infatti, abbiamo detto che la grande Realtà dell'uomo è
questa: l'uomo non è solo.
Il Natale glielo dice nella solitudine dell'uomo, cioè
nella solitudine che l'uomo esperimenta con la presenza di tutte le creature,
perché sono le creature che gli fanno esperimentare la solitudine.
Quindi in questa solitudine Dio dice: "Io sono con
te".
Questo è un annuncio da tenere presente e che l'uomo deve
capire.
E se l'uomo per capire quello che gli è annunciato, non
per fare festa, ma per capire, si applica a quello che Dio gli manifesta,
succede che adesso uomo supera il pensiero del suo io.
Proprio quel pensiero del suo io che lo stava
distruggendo.
Qui adesso applicandosi all'annuncio che Dio è presente,
l'uomo supera il pensiero del suo io e se lo supera ha la possibilità di
ritrovare quella Presenza che, pensando a se stesso aveva perduto.
Cioè ha la possibilità di ritornare all'intelligenza di
quella Realtà in cui si trova, perché è la Realtà voluta da Dio.
L'uomo non è mai solo: è costituito dalla Presenza di
Dio.
Lunedì
21/Dicembre/1987
Luigi: L’uomo è fatto di presenza, o ha presente Dio o ha presente le creature,
non può stare senza presenza. Proprio perché non può stare senza
presenza, anche se la presenza della creatura diventa per lui una tortura, non
la può lasciare.
La prima presenza di Dio la può lasciare
perché è una questione d’intelligenza, quindi richiede un superamento del
pensiero del proprio io, la seconda presenza non la può mica lasciare, perché è
un fatto che s’impone: è un fatto di sentimento, quindi s’impone, lo subisce e
non lo può lasciare, anche se questo diventa per lui motivo di tortura,
tormento e morte.
Infatti nella Bibbia è detto che gli uomini
saranno tormentati dai loro idoli, avendo trascurato Dio hanno eletto altro da
Dio al posto di Dio (la creatura) e adesso vengono tormentati senza avere la
possibilità di separarsi.
Lo stesso nostro pensiero non sta su senza
una presenza...tu non puoi non pensare niente, per pensare devi avere un
oggetto cui rivolgere il tuo pensiero, noi siamo fatti essenzialmente di
pensiero ma pensiero di qualche cosa: o sei unito a Dio e allora sei fatto
dalla presenza di Dio o sei fatto da un segno di Dio.
Se ti togliessero tutte le presenze, tu
cadresti nel niente, quando dormi e perdi il contatto con le presenze, tu non
sai più di essere, il sapere di essere è determinato da una
presenza, è quindi la presenza dell’altro che mi fa essere, soltanto che in
quel segno che mi fa essere c’è la mia opera, per cui io divento figlio delle
mie opere ed è qui che non mi separo più: perché pensando la creatura, io nella
creatura io vedo me stesso.
La presenza della creatura è compatibile con il pensiero del
mio io, Dio non è compatibile con il pensiero del mio io, infatti io amo la
creatura perché trovo in essa qualche soddisfazione per il pensiero del mio io.
Invece Dio non è compatibile, per cui per conoscere Dio
si richiede il superamento del pensiero del nostro io, perché Dio si conosce
solo nel pensiero di Dio, non si conosce nel pensiero del nostro io.
La creatura si conosce nel pensiero del nostro io, non la
conosciamo mica però noi la esperimentiamo nel pensiero del nostro io, infatti
prendiamo delle cantonate con le creature perché non le conosciamo, se non
conosciamo Dio a maggior ragione non conosciamo le creature che sono opera di
Dio, però in quanto proiettiamo noi stessi sulle creature, noi immaginiamo di
conoscerle: sentimento, il sentimento è una cosa che noi subiamo quindi non
possiamo liberarcene.
Luigi: L’uomo ha bisogno di qualcuno che pensi a lui.
Luigi: Il Natale è compatibile con l’io dell’uomo perché è un
annuncio, segno, mentre la presenza di Dio è incompatibile. Infatti tutta la creazione
è segno di Dio, compatibile col pensiero dell’io dell’uomo.
Dio parla al pensiero del nostro io, la parola segno è
compatibile col pensiero dell’io, il pensiero di Dio non è compatibile col
pensiero dell’io dell’uomo.
Non puoi pensare contemporaneamente due cose.
Luigi: Cristo si presenta come segno ma il segno va capito. In
Cristo l’uomo esperimenta il segno ma non esperimenta la presenza di Dio,
esperimentando il segno “Cristo” ha la possibilità adesso di seguire questo
segno, cioè di impegnarsi a capire quello che è il significato di questo segno
qui.
E in quanto s’impegna si dedica a-, e in quanto si dedica
supera il pensiero del suo io.
Abbiamo uomini che hanno presente il pensiero di Dio e
uomini che hanno presente il pensiero dell’io.
Chi ha presente Dio cerca di capire.
Chi ha presente il pensiero del suo io cerca di
possedere.
Il Natale presentandoti il segno della presenza di Dio,
t’invita a capire questa presenza che ti è annunciata e in quanto t’invita a
capire ti rende partecipe dell’uomo che ha presente il pensiero di Dio, perché
cerca di capire, non cerca più di possedere.
Tu non cerchi di possedere il bambino Gesù ma cerchi di
capire il significato del bambino Gesù.
I suoi genitori parlavano così, perché avevano paura dei giudei; perché i Giudei si erano messi d'accordo che chiunque
riconoscesse Gesù per il messia, fosse scacciato dalla sinagoga.
Gv 9 Vs 22 Secondo
tema.
Titolo: La paura e il suo significato.
Argomenti: L’uomo che trascura Dio perde l’intelligenza e la consapevolezza della
realtà: l’uomo non è mai solo.
L’uomo autonomo da Dio
cerca nella creazione la giustificazione di sé portando la sua passione
d’assoluto. La solitudine è data dalla presenza di chi non ci comprende. La paura è data dalla
passione di assoluto mutata in passione di possesso nell’uomo autonomo da Dio
che cerca una creatura immutabile. La liberazione dalla solitudine e la
liberazione dalla paura. Legame forte-sentimento, legame debole-intelletto. La testimonianza che
l’uomo è fatto per l’assoluto.
27/Dicembre/1987 Casa di preghiera Fossano.
Ci soffermiamo ancora sul
versetto 22 in cui viene detto: "I suoi genitori parlarono così, perché
avevano paura dei giudei, perché i giudei si erano messi d'accordo che,
chiunque avesse riconosciuto Gesù per il Messia, fosse scacciato dalla
sinagoga".
Abbiamo visto che il tema
che ci viene presentato in questo versetto è la paura dei questi genitori di
quell'uomo cieco dalla nascita, guarito da Gesù il giorno di sabato e guarito
in quel modo da suscitare scandalo per i farisei.
Domenica scorsa abbiamo
fatto precedere questo argomento della paura, dal tema della solitudine
dell'uomo, come premessa per poter considerare il vero concetto della paura
che è un fattore dominante nell'essere umano.
Lo troviamo in moltissime
pagine della scrittura.
Gesù stesso raccomanda
sempre: "Non temete, non abbiate paura".
Prendiamo come parola guida
per oggi, l'affermazione di Gesù che dice: "Non abbiate paura piccolo
gregge, perché piacque al Padre mio dare a voi il Regno".
Se Gesù raccomanda questo:
"Non abbiate paura", è perché l'uomo è paralizzato dalla paura,
soprattutto nell'avventura che unicamente vale vivere: l'avventura della
ricerca, della conoscenza di Dio.
Quando Gesù dice: "Non
preoccupatevi del mangiare del vestire, ma cercate prima di tutto il Regno di
Dio", invita a questa avventura.
L'uomo è stato creato per
cercare e per conoscere Dio.
Nel conoscere Dio sta la
vita eterna, la salvezza, la vita, l'amore, la pace, tutto.
Però è necessaria questa
raccomandazione continua: "Non preoccupatevi, non abbiate paura".
Perché questa
preoccupazione, questo timore, questa paura, ossessiona l'uomo al punto tale da
impedirgli di vivere?
Abbiamo detto che fu necessario considerare la solitudine dell'uomo.
L'uomo è un essere che si
trova solo di fronte alla morte e questa solitudine dell'uomo di fronte alla
morte rivela la situazione dell'uomo di fronte al vero problema, perché
quello che avviene nel punto della morte, questa solitudine a tu per tu con la
Verità di Dio, in cui Dio stesso porta l'anima dell'uomo per salvarlo, è
rivelazione della solitudine in cui l'uomo si trova di fronte ai veri problemi
della vita, di fronte al problema di Dio.
Qui non c'è nessuno che
possa supplirlo, perché non c'è nessuno che possa pensare, pregare, amare,
conoscere al posto dell'uomo.
Si entra nel Regno della
luce, nell'eternità, assumendosi la responsabilità personale, quindi pagando di
persona per la ricerca della conoscenza di Dio.
È un problema d'amore.
Domenica abbiamo
considerato tre aspetti di questa solitudine.
Abbiamo detto che c'è la
solitudine di Adamo prima del peccato, la solitudine di Adamo e di Eva dopo il
peccato e c'è la solitudine di Maria.
Ma quella che veramente
dobbiamo considerare, perché ogni uomo si trova nella situazione di peccato, è
la solitudine in cui vennero a trovarsi Adamo ed Eva.
Fa strano dire solitudine
di Adamo ed Eva proprio perché Dio diede ad Adamo una compagna, Eva, e Adamo
cominciò a esperimentare la vera grande solitudine, poiché la solitudine non è
data dall'essere soli ma, è data da chi abbiamo presente che non ci comprende,
è esperimentata dall'uomo quando non è capito, quando non è compreso.
La vera solitudine è determinata
da chi non comprende l'uomo.
L'uomo è essenzialmente un
bisogno di Assoluto, di infinito ed è qui che va compreso.
Succede allora che l'uomo,
quando trascura Dio, incomincia a fare esperienza di essere solo.
Abbiamo detto che a Dio si giunge
non per sentimento, non per sentito dire, non per intuizione ma, per
intelligenza e quando l'uomo trascura l'intelligenza, la ricerca della
conoscenza di Dio fallisce, la Verità si trova solo conoscendola.
In realtà l'uomo non è mai
solo poiché è fatto in coppia con Dio.
L'uomo è portatore di Dio,
per cui in Realtà nessun uomo è mai solo, anche nel peccato l'uomo non è mai
solo perché Dio è sempre con lui.
Dio non è uno che si sposti
da un luogo all'altro, quindi nella Realtà l'uomo non è mai solo, ma fa
esperienza di essere solo perché la Realtà è conoscibile solo per intelligenza
e quando l'uomo trascura Dio perde l'intelligenza delle cose e allora perde
anche la consapevolezza di non essere mai solo.
La nostra intelligenza è in
Dio, perché Dio è la Causa, la nostra intelligenza sta nel conoscere la Causa.
Quando l'uomo fa esperienza
di essere solo, sente di essere solo: è un sentimento, come è un sentimento che
la terra sia ferma o piatta o che il sole le giri attorno.
Questa è una conseguenza del
fatto che l'uomo si è staccato da Dio, dal fatto che l'uomo si è fermato al
pensiero del suo io.
Ma nel pensiero del suo io
l'uomo non dimette la sua passione di Assoluto, di infinito.
Questa passione di Assoluto
è proprio il sintomo, il segno, la testimonianza, che egli è portatore
dell'Assoluto, che l'Assoluto gli è presente (non sentirebbe bisogno se non
avesse presente ciò che causa questo bisogno).
Ora se l'uomo sente questo
bisogno di Assoluto è perché ha presente l'Assoluto.
Se l'uomo sente il bisogno
della Verità è perché è fatto per la Verità ed è attratto dalla Verità.
Essere attratto vuole dire
avere presente la Verità.
Trascurando l'intelligenza,
l'uomo si rivolge con questa passione di Assoluto alla creatura e dalla
creatura cerca, pretende, invoca quella comprensione che la creatura non gli
può dare ed è lì che l'uomo scopre la sua solitudine.
Invoca quell'amore, quella
comprensione che solo Dio gli può dare, poiché la passione dell'Assoluto può
essere compresa solo dall'Assoluto.
La passione dell'infinito
trova pace e comprensione solo nell'infinito.
La passione della Verità
può essere compresa soltanto dalla Verità.
Qui comincia il dramma
dell'uomo che elemosina la comprensione della sua passione di Assoluto, del suo
bisogno di infinito, d'amore, da una creatura che, essendo finita non lo può
comprendere.
Allora l'uomo esperimenta
la solitudine che è data dalla presenza di chi non lo può comprendere.
Però c'è ancora un altro
aspetto di questa passione di Assoluto.
L'uomo rivolgendosi alla
creatura, cerca nella creatura, oltre che la comprensione, il possesso
immutabile, che si lasci possedere come solo Dio può lasciarsi possedere.
L'uomo nel pensiero del suo
io converte la sua passione di Assoluto in passione
di possesso.
Unito a Dio l'uomo non
cerca di possedere le creature ma, cerca di capire il Pensiero di Dio nelle
creature, cerca di capire il significato di quello che Dio significa di Sé
nelle creature, perché questa è la vera passione dell'uomo che è orientato a
Dio, che cerca Dio.
Per cui la Presenza di Dio
in noi come motivo di vita, come intenzione, porta noi a cercare in tutto il
suo Pensiero, la sua Intenzione.
Questo è ciò che veramente
sta a cuore di chi cerca Dio, non interessa possedere le creature, possedere le
cose ma, interessa capire il Pensiero di Dio nelle creature, nelle cose.
L'uomo che pensa Dio sa che
tutto è opera di Dio, che nulla accade che non sia voluto da Lui.
Sapendo che tutto è voluto
da Dio, sa che tutto è segno di Dio, tutto è Parola di Dio e quando si ha
presente qualche cosa come segno, come parola, il vero grande bisogno che si
sente è capirne il significato.
Il significato diventa più
importante del segno stesso.
Lo spirito è più importante
della lettera, della parola.
Questo è ciò che l'uomo
orientato a Dio cerca prima di tutto, questa è la passione dell'Assoluto.
Se invece l'uomo trascura
Dio e trascura Dio in quanto non pensa Dio (a Dio si arriva con
l'intelligenza), non raccoglie in Dio, si ferma al pensiero di se stesso, al
pensiero del suo io (ciò che vede e tocca) e quando si vive pensando a noi,
questa passione di Assoluto in noi non è più passione di Verità, passione per
intendere il Pensiero di Dio ma, diventa passione per possedere la creatura.
È qui che l'uomo si apre
alla paura.
L'uomo tende a possedere la
creatura e non vuole perderla, perché per lui la creatura diventa motivo,
ragione di vita, di esistenza. Ma tutto ciò che non è Dio, è soggetto al tempo,
quindi è mutevole, quindi può essere perduto, portato via.
Qui troviamo la fonte della paura.
Mentre la solitudine è data
della presenza di chi non ci comprende, la paura è data dalla presenza di ciò
che si che si può perdere. Proprio perché l'uomo è portatore della passione
dell'Assoluto, il pensiero che ciò per cui vive possa essergli portato via,
possa cambiare, carica l'uomo di paura.
Qui è la fonte della paura.
La paura paralizza l'uomo.
Questa paura è un sintomo,
un effetto, ed essendo un effetto è perfettamente inutile dire a una persona di
non avere paura.
È perfettamente inutile far
leva sulla volontà per vincere la paura.
La paura paralizza la
volontà.
La paura si cura soltanto
se si toglie la causa di essa e la causa della paura è la presenza di ciò che
si può perdere.
La grande perdita è la
morte e nessuno può ignorare che c'è la morte.
Basta il pensiero della
morte, anche se questo lo rinviamo di parecchi anni, basta questo pensiero per
frustrarci nella paura in continuazione.
Dio si è incarnato per
liberare coloro che giacevano all'ombra della morte.
Tutti gli uomini sono
paralizzati proprio dal fatto che hanno paura della morte.
Paralizzati nella ricerca
di Dio, nella conoscenza di Dio, paralizzati sul cammino per occuparsi di Dio.
È la morte, questo pensiero
che consiste nella paura di perdere ciò che si ha, che affanna e preoccupa, per
cui ogni uomo corre tutti i giorni per rinviare la morte il più possibile,
lavora, stipula assicurazioni, fa mutui, ricorre a medici, fatica, fa
tutto per rinviare la morte.
L'uomo è tutto dominato dal
pensiero di rinviare la morte e in questo suo pensiero esaurisce tutta la sua
vita.
A un certo momento si
accorge di non aver vissuto perché ha avuto paura, perché non ha avuto tempo di
cercare Dio in cui è la vita.
Nel conoscere Dio sta la
nostra vita.
La paura si può curare
soltanto in quanto si trova la causa che la determina, quindi soltanto in
quanto si offre alla creatura come ragione di vita ciò che non è soggetto al
tempo, ciò che non è soggetto a mutamento.
Soltanto se l'uomo si
orienta a vivere per Dio, ad amare ciò che non è soggetto a mutamento, ciò che
non è soggetto a morte, ciò che non è soggetto al tempo, ciò che non gli può
essere portato via in alcun modo, solo lì l'uomo può essere liberato dalla
paura. In caso diverso come l'uomo che soffre la solitudine e soffre la
solitudine a causa di chi non lo comprende, non può liberarsi da questa
presenza e preferisce soffrire di incomprensioni ma non perdere quella
presenza, così l'uomo è disposto a tremare di paura per tutta la vita e oltre ancora
ma non può separarsi dalla causa della sua paura.
Ci sono due legami che
trattengono l'uomo, uno è il legame con la Verità, con Dio.
Questo è un legame molto
debole perché è il legame dell'intelligenza che richiede il pensiero e l'uomo può
non pensare a Dio, può trascurare la ricerca e il raccoglimento in Dio.
È un legame debole perché è
costituito dalla dedizione della creatura.
C'è invece un legame
fortissimo che l'uomo non può spezzare ed è il legame che unisce l'uomo alla
creatura quando trascura Dio. Questo è un legame che l'uomo non può nel modo
più assoluto rompere.
L'uomo preferisce tutte le
pene dell'inferno piuttosto che perdere l'unione con
quella creatura in cui ha posto la ragione della sua vita che è la ragione del
suo essere.
Ecco perché gli uomini sono
disposti a patire qualunque cosa ma non sono disposti a perdere la presenza di
ciò per cui vivono, quella presenza che li tortura con l'incomprensione, che li
tortura con la paura ma, non hanno la possibilità di liberarsi. L'importante è
cogliere il significato sia della solitudine dell'uomo, quando non pensa Dio,
non raccoglie Dio, sia significato della paura dell'uomo.
Sia l'uno che l'altra
testimoniano una grande cosa all'uomo: egli è fatto per l'Assoluto, per Dio,
per conoscere Dio e solo trovando Dio, l'uomo trova la sua pace, trova la
liberazione dalla paura.
Solo trovando Dio trova la
comprensione.
L'uomo è un essere nudo, è
un essere che patisce l'effetto di una presenza, non ha in sé alcuna
giustificazione.
L'uomo non è giustificato
perché non giustifica niente neppure un granello di sabbia o neppure un filo
d'erba.
L'uomo non ha in sé la
ragione di niente ed è per questo che per esistere ha bisogno sempre di trovare
una giustificazione altrove da sé.
L'uomo è nudo e ha bisogno
di trovare una giustificazione e questa o la trova in Dio o la trova della
creatura ma, se la trova nella creatura si apre al tormento, perché non c'è
nessuna creatura che lo possa comprendere, perché non c'è nessuna creatura che
non sia mutevole.
Solo Dio ha quelle
caratteristiche di infinito, di verità, di immutabilità, di eternità che
possono comprendere l'uomo e dagli pace e quindi liberarlo dalla paura.
Lunedi 28/Dicembre/1987
Luigi: Bisogna precisare che in realtà l’uomo non è mai solo, poiché è in coppia
con Dio, l’uomo è portatore della presenza di Dio.
Questa è la
realtà, però la realtà si coglie solo con l’intelligenza.
Se l’uomo non
pensa a Dio non scopre la vera realtà, non scoprendo la realtà, lui esperimenta
la solitudine, cioè la non realtà, però
la sente, la subisce.
Per cui c’è un
apparenza che è sentimento che inganna l’uomo.
Come l’uomo che
si ferma ai suoi sentimenti ritiene che la terra sia ferma, sia piatta e che il
sole giri attorno alla terra, questa è apparenza sentimento.
La realtà è ben
diversa.
Però la realtà
si coglie con l’intelligenza.
Tutto è lezione
di Dio per farci capire che se noi ci fermiamo ai sensi, noi non percepiamo la
realtà e restiamo ingannati.
L’uomo
fermandosi al sentimento s’accorge di essere solo ma questo è sentimento, può
darsi però che questo sentimento lo conduca alla paura e alla morte.
Solo con
l’intelligenza si coglie la realtà, solo con l’intelligenza si giunge a Dio e
da Dio si vede che l’uomo non è mai solo ma che l’uomo è sempre con Dio,
presenza eterna ed è una presenza che ti comprende, perché noi abbiamo la
presenza dell’assoluto e dell’infinito, il che vuol dire che possiamo essere
compresi soltanto dall’assoluto e dall’infinito.
Allora se noi
proiettiamo questa passone d’assoluto e d’infinito verso la creatura, restiamo
delusi perché la creatura essendo finita non ci può comprendere, allora noi
esperimentando di trovarci con una creatura che non ci comprende esperimentiamo
la solitudine.
La solitudine
abbiamo detto che non è data dal fatto di essere soli, la solitudine è data
dall’essere con qualcuno che non ti capisce o perlomeno che non comprende il
tuo bisogno essenziale.
Il bisogno
essenziale di ogni uomo è il bisogno di assoluto, d’infinito, di verità.
L’uomo questo bisogno,
non lo può certamente trovare compreso della creazione, perché la creazione è
finita, soltanto in Dio ecco perchè l’uomo esperimenta la sensazione di
solitudine.
Luigi: Se l’uomo tiene presente Dio sente il bisogno di capire.
Quindi il
bisogno di capire deriva da Dio.
Se noi teniamo
presente che Dio è creatore, noi in tutte le cose che incontriamo sentiamo il
bisogno di capire il pensiero di Dio, il significato, noi cerchiamo il
significato.
Ma questo
desiderio di significato ci viene dal fatto che teniamo presente che Dio è
creatore.
Allora qui
abbiamo il desiderio di capire che è una conseguenza del fatto che teniamo
presente Dio creatore.
Se non teniamo
presente Dio creatore, noi di fronte alle cose e alle creature e agli
avvenimenti, noi sentiamo la passione di possesso.
Nel pensiero
del nostro io noi tendiamo a possedere, non a capire, a noi interessa poco
capire e interessa molto possedere.
Tenendo
presente Dio in noi si forma ha questa passione d’assoluto che acquista la
forma del desiderio di capire.
La passione
d’assoluto qui si configura in desiderio di capire.
Se invece noi
non teniamo presente Dio restiamo nel pensiero del nostro io e nel pensiero del
nostro io questa passione d’assoluto assume la configurazione di possesso.
Il bambino in tutte
le cose cerca di capire: “Perché? Perché? Perché?”, arriva un momento in cui
non cerca più di capire, cerca di lavorare, guadagnare: abbiamo il
bambino che ha perso il carattere del bambino, è il pensiero dell’io che a
questo punto prevale.
Allora questo è un test col
quale continuamente possiamo verificarci: se noi di fronte a ogni avvenimento,
di fronte a ogni creatura, noi sentiamo il bisogno di capire che cosa Dio vuole
dirci, questo è segno che in noi c’è la presenza del pensiero di Dio dominante.
Se invece noi di fronte a
ogni avvenimento, cosa o creatura il primo stimolo che sentiamo è quello di
possedere o giudicare, è segno che noi siamo fermi al pensiero del nostro io.
Luigi: La
creatura è una presenza sensibile perché è creazione di Dio, però ogni creatura
ha la caratteristica di essere soggetta a mutamento.
Nella creatura abbiamo
sempre la sensazione di poterla perdere, appunto perché la creatura è soggetta
a mutamento, cambia in continuazione, c’è la spada di Damocle della morte che le pende sulla testa e questo ci fa
sentire la precarietà di ciò che noi amiamo e per cui viviamo.
Quando uno vive per una
cosa che è soggetta a perire, che può perdere o che può essere portata via da
qualcuno ecco che qui si forma la paura.
La paura è determinata
dalla presenza di una cosa che puoi perdere.
Quindi la solitudine è data
dalla presenza di una cosa o di una persona che non ti capisce, la paura invece
è data dalla presenza di una cosa o di una persona che puoi perdere.
Perché l’uomo avendo la
passione d’assoluto, tende a possedere in assoluto e la morte o il mutamento
sono un assurdo per lui: la passione d’assoluto vuole un bene eterno, una cosa
che rimanga sempre.
Anche la paura è un test
per dirti: “Vedi hai posto la tua vita in qualcosa che non è assoluto”, è una
sollecitazione di Dio per dirti che devi cercare l’assoluto nell’Assoluto e non
nella creatura.
Luigi: Se vivi
per difenderti dalla morte, la tua partita è persa certamente fin dall’inizio:
tu fai una fatica immane per evitare una cosa che certamente arriva e allora tu
dici di essere vissuto invano.
Quindi la vita non sta nel
difendersi dalla morte, sia ben chiaro, quindi tutta quella vita che noi
costruiamo per proteggerci e difenderci da tutte quelle cause che tendono a
portarci alla morte, tutta qesta vita è una vita sprecata.
La Vita non sta nel
difenderci dalla morte, la vita sta nell’imparare a vivere.
La morte si vince vivendo e
vivere vuol dire cercare Dio, quindi se tu cerchi Dio superi la morte ma se tu
ti difendi dalla morte la partita è già persa.
Luigi: L’unione
con Dio richiede la dedizione del pensiero e l’uomo può non dedicare il
pensiero a Dio, per questo è un legame debole, perché lo puoi spezzare con
molta facilità.
La Verità tra noi che è poi
il Natale, Gesù bambino che nasce in una grotta ed è affidato alle mani din una
creatura, ti rivela la debolezza estrema di questa Presenza perché è affidata
alle tue mani.
Una cosa grandissima,
affidata a una creatura debolissima ti fa costatare la tua estrema debolezza,
perché è affidata a te che sei molto molto debole.
La fragilità di un bambino
appena nato che è affidato alle braccia di una creatura che probabilmente non è
capace di portarlo: così è il pensiero di Dio in noi, per questo dico che è un legame
debole, appunto perché la creatura è debole: può non dedicare a Dio il pensiero
o non dedicarlo in quella misura che il pensiero di Dio richiede.
Luigi: Il legame
sentimentale è invece forte, l’uomo va all’inferno pur di non spezzare questo
legame che ha con la creatura, per cui la creatura ti carica d’incomprensione e
di paura, eppure tu non spezzi il legame che ti lega con lei, preferisci anche
le pene dell’inferno, pur di non spezzare questo legame, perché hai la tua
ragione di vita lì.
I suoi genitori parlavano così, perché
avevano paura dei giudei; perché i Giudei si erano messi d'accordo che chiunque
riconoscesse Gesù per il messia, fosse
scacciato dalla sinagoga.
Gv 9 Vs 22 Terzo
tema.
Titolo: La vera religione.
Argomenti: Considerare le
creature autonome da Dio. Il legame forte
dipende dall’io non dalle cose. L'intelligenza è l'unica via per giungere a Dio. Trovare l’Esistente non dipendente da-. La liberazione dalla paura.
Spezzare il legame forte con la creatura. Fare Dio oggetto della nostra vita. Cristo si rende presente in ciò che io ho presente.
3/gennaio/1988 Casa di preghiera Fossano.
Siamo il versetto 22 del capitolo nono di San Giovanni.
Qui si dice: "I suoi genitori parlarono così perché
avevano paura dei giudei, perché già i giudei si erano messi d'accordo che,
chiunque avesse riconosciuto Gesù come Messia fosse scacciato dalla
sinagoga".
I suoi genitori, ossia i genitori del cieco nato, guarito
da Gesù in giorno di sabato.
Il tema di oggi è la vera religione.
Abbiamo considerato le domeniche precedenti, prima il
tema della solitudine di cui fanno esperienza gli uomini.
Poi abbiamo considerato il tema della paura anche questa,
esperienza fondamentale degli uomini.
Sono proprio questi due temi che adesso ci aprono (tutto
è opera di Dio per la nostra salvezza: "Mostraci o Signore la tua via
sulla nostra terra") la via per scoprire, trovare la vera religione, il
vero rapporto con Dio e giungere così alla salvezza.
Perché: "Dio vuole che tutti si salvino e giungano a
conoscere la Verità".
Per cui la salvezza sta nel conoscere la Verità.
Abbiamo detto che sia la solitudine, sia la paura sono
sentimenti che gli uomini esperimentano.
Abbiamo anche detto che la solitudine è un sentimento che
deriva dalla presenza di chi non ci comprende.
La paura è un sentimento che deriva dalla presenza di ciò
o di chi possiamo perdere.
Sono sentimenti, quindi sono sintomi e come sintomi
rappresentano la dipendenza da una causa.
La causa è, per la solitudine la presenza di ciò o di chi
non ci comprende e per la paura la causa è la presenza di ciò o di chi si può
perdere o di chi può portarci via ciò per cui noi viviamo.
Dobbiamo chiederci: esistono queste creature che
provocano in noi queste esperienze di solitudine e di paura e forse la causa,
la colpa sta in esse?
Forse Dio non ha fatto bene tutto?
Ma se Dio ha fatto tutto bene, non ha voluto né la
solitudine, né la paura dell'uomo.
Allora da cosa nasce questa esperienza?
Tale esperienza non nasce dalle cose ma, nasce dal
rapporto che noi stabiliamo con le cose.
Nasce cioè dal fatto che noi viviamo per le cose o per le
creature da cui poi deriva a noi quest'esperienza di solitudine e di paura. Per
cui la colpa non sta nelle creature.
Le creature sono messaggere di Dio e tutte le creature ci
annunciano Dio, tutte le creature dicono a noi: "Noi non ci siamo fatte da
sole, un Altro ci ha fatte".
Quindi tutte le creature sono buone e tutto quello che
arriva a noi è buono, perché le creature arrivano da Dio e recano un messaggio
di Dio.
La colpa sta nel fatto che noi ci fermiamo alle creature,
noi ci dedichiamo alle creature ed è soltanto da questo fatto che deriva a noi
l'esperienza di solitudine e di paura.
Dico dipendenza, sintomo, un fatto che noi subiamo e in
quanto lo subiamo, forma in noi un legame forte che noi non possiamo spezzare,
tra noi e ciò cui ci dedichiamo.
Gesù precisa tale fatto dicendo: "Chi fa il peccato
resta a schiavo di esso".
Fare il peccato vuol dire separare la creatura dal Creatore,
cioè non riportare la creatura al Creatore, disunire.
Il peccato sta nel trascurare Dio, non considerare che
Dio è il Creatore di tutte le cose, per cui Dio è Colui che parla a noi in
tutte le cose.
E se è Lui che parla a noi in tutte le cose, ogni cosa va
sempre tenuta presente nel suo rapporto con Dio.
Per cui in tutte le cose, noi dobbiamo sempre cercare il
Pensiero di Dio.
Se noi non consideriamo le creature come opera di Dio, le consideriamo staccate da Dio, in modo autonomo
e pecchiamo.
Se noi pensiamo a noi stessi senza tenere conto di Dio,
senza cercare il significato, il Pensiero di Dio nel creare noi stessi,
facciamo un peccato che ci rende schiavi.
Il peccato non lo crea Dio, parte da noi quando ci
fermiamo alle creature anziché salire al Creatore.
Quando ci fermiamo alle creature, viviamo per loro e si
forma un legame di schiavitù.
È un legame forte perché non possiamo spezzarlo.
Noi, infatti, diventiamo figli delle nostre opere.
Facendo il peccato diventiamo figli del nostro peccato.
L'uomo è essenzialmente fatto dalla Realtà del Dio
Creatore, perché l'uomo è portatore di questa Realtà.
Dio è presente nell'uomo e l'uomo non lo può ignorare,
perché nessuno di noi può dire: "Sono io che ho fatto il filo
d'erba".
Per cui l'uomo è essenzialmente fatto dal Pensiero di Dio
Creatore, dalla creazione di Dio e da se stesso che ha presente questa
creazione.
L'uomo è costituito da questi tre grandi fattori.
Vivendo e fermandosi alle creature, vivendo per ciò che
non Dio, l'uomo viene a trovarsi formato da queste tre situazioni che
sperimenta: la solitudine, la paura, un legame forte.
È la situazione di ogni uomo.
Ricordiamo bene che il legame forte non dipende dalla
natura delle cose, perché noi siamo portati a ritenere che il legame forte
dipenda da ciò che vale di più: non è così.
Noi forse ci siamo stupiti a sentir dire che il nostro
legame con Dio è un legame debole, Dio è il valore maggiore, quindi il legame
con Lui sembrerebbe essere il legame più forte: no, è il legame più debole per
la creatura.
Il legame forte è quello che la creatura stabilisce tra
il proprio io e l'oggetto cui si dedica il proprio io, ciò cui noi ci
dedichiamo, perché lì si stabilisce un legame di schiavitù, di dipendenza, che
non dipende più da noi.
Dipende da noi stabilirlo e stabilirlo è un peccato ma
poi sfugge al nostro controllo.
Per cui il peccato sta in un'opera che non è portata a
compimento.
Tutta l'opera di Dio è via per farci giungere a un
compimento e il compimento si realizza dentro di noi e sta nel riportare, nel
raccogliere, tutte le cose in Dio per conoscere Dio.
Per cui tutta la creazione in noi geme e soffre in attesa
di essere riportata al suo Signore, a Dio.
Ma se noi non riportiamo a Dio, il difetto è nostro, solo
nostro.
Qui nasce il peccato, la colpa.
Qui nasce il legame che noi non possiamo più rompere
perché diventiamo figli di questo, dipendenti da questo.
In quanto dipendenti più pensiamo al nostro io e più
questo legame si rafforza perché il nostro io tende a essere.
Più pensiamo a noi stessi e più vogliamo essere e più
vogliamo essere e più rafforziamo questo legame di dipendenza da ciò che ci fa
essere, perché noi traiamo vita ed essere da ciò per cui viviamo, dal nostro
fine e se noi viviamo per una creatura limitata, quindi una creatura che non ci
può comprendere, noi patiamo la solitudine, facciamo esperienza di solitudine.
E se noi viviamo per ciò che possiamo perdere, se viviamo
per ciò che muta, facciamo esperienza di paura.
Sono esperienze queste che noi subiamo e dalle quali non
possiamo sottrarci, per cui restiamo legati necessariamente a chi ci fa fare
esperienza di solitudine e a chi ci fa fare esperienza di paura e non possiamo
separarci.
Sappiamo che cosa è che ci fa patire questa paura ma, non
siamo in grado di separarci perché per noi è motivo di vita, è motivo di
essere.
Tutto quello che accade, in quanto accade, è opera di Dio
per aprire a noi, sulla nostra terra, la via verso la salvezza.
Quindi anche quello che noi è sperimentiamo di paura per
ciò che possiamo perdere, quello che noi sperimentiamo come forza che noi non
possiamo rompere, come legame che ci tiene uniti a ciò che ci fa soffrire,
tutto questo in quanto noi lo patiamo è opera di Dio ed essendo opera di Dio è
ancora per aprire a noi la via della salvezza sulla nostra terra.
Dobbiamo chiederci il significato sia di quest'esperienza
di solitudine, sia della paura, sia di questo legame forte che ci rende
dipendenti da ciò che ci fa sperimentare la solitudine e la paura.
Abbiamo detto che la solitudine è conseguenza del fatto
che noi siamo legati a ciò o a chi non ci capisce ma, proprio perché ci fa
patire questo, già testimonia che noi siamo creati, fatti, per trovare uno che
ci capisca, che si comprenda, per trovare uno che ci giustifichi.
La sofferenza e l'esperienza della solitudine che l'uomo
prova, testimoniano che gli uomini sono fatti, destinati, a trovare la presenza
di uno che li comprenda.
Per cui fintanto che non lo trovano, patiscono.
Anche l'esperienza della paura (abbiano detto che la
paura è l'esperienza causata dalla nostra unione con ciò o con chi possiamo
perdere) ci significa e testimonia che noi siamo creati per trovare la presenza
di chi non possiamo più perdere.
Allora dobbiamo chiederci: cos'è questa presenza che può
comprendere noi, che può giustificare noi?
Cos'è questa presenza che noi possiamo possedere al punto
da non avere più alcun timore di perdere?
Tutto ciò che reca con sé il senso che possiamo perdere,
è perché dipende da-, e fin tanto che noi amiamo ciò che è dipendente dà-,
evidentemente ciò che è dipendente, subisce le conseguenze, e noi subiamo la
sensazione della paura.
Così fintanto che noi amiamo la creatura, essendo la
creatura limitata, noi che siamo portatori di una passione infinita, portatori
di una passione per l'Assoluto, per la Verità, certamente non possiamo trovare
la comprensione in ciò che è finito.
Quindi soltanto trovando l'esistente che non dipende da nessun altra cosa, quindi
esistente indipendente, quindi Assoluto, solo trovando l'esistente Assoluto e
solo trovando l'esistente infinito, noi troviamo quella presenza che ci può
comprendere e che noi possiamo possedere senza il minimo timore di perdere.
Solo lì troviamo la pace, la liberazione dalla paura e la
liberazione dalla tristezza, dall'incomprensione e dalla non giustificazione.
Ma questo essere Assoluto, infinito, indipendente da tutto, quindi eterno,
trascendente tutto, quindi trascendente anche il tempo, trascendente lo spazio,
trascendente tutto ciò che noi vediamo, tocchiamo, questo essere può essere
raggiunto soltanto per una via sola.
Perché trascende tutto quello che noi vediamo e
tocchiamo.
Il che vuol dire che non può essere raggiunto attraverso
i nostri sensi, non può essere raggiunto attraverso gli occhi, gli orecchi e
tutto ciò che appartiene al tempo o allo spazio.
Il che esclude la possibilità di arrivare a esperimentare
la presenza di questo essere infinito, Assoluto, indipendente, trascendente,
attraverso i sentimenti, attraverso le intuizioni del pensiero del nostro io.
Questo esclude anche tutto ciò che appartiene al mondo
che noi possiamo vedere e toccare, al mondo che fa capo in sentimenti: noi non
possiamo trovarlo attraverso tali vie.
Possiamo soltanto trovarlo attraverso il pensiero è solo
se Dio, l'Assoluto, l'eterno, l'infinito dà noi la possibilità di questo
Pensiero. Ecco perché l'uomo ha questa passione di Assoluto: perché è portatore
di questo Pensiero.
L'uomo può giungere a trovare l'infinito che può
comprendere l'uomo stesso, può trovare l'Assoluto che non dipende da nessun
altro per cui può dare certezza, sicurezza all'uomo, e quindi liberarlo da ogni
paura, può trovare questo solo attraverso la via dell'intelligenza.
Questo Essere Assoluto è la Verità.
La Verità è quell'Essere che giustifica ogni cosa, che ha
in Sé la ragione di ogni cosa, che trascende tutto.
Ma la Verità si trova solo conoscendola e la conoscenza è
effetto d’intelligenza.
Però abbiamo detto che c'è un legame forte, un legame che
l'uomo non può spezzare ed è un legame che lo lega a ciò che l'uomo ha
presente.
L'uomo in quanto si è legato alla creatura anziché al Creatore,
ha presente la creatura, perché la creatura è diventata per lui motivo di vita,
quindi diventa la ragione del suo esistere e del suo vivere, anche se l'uomo si
carica di paura, anche se si carica di solitudine.
Ma l'uomo è legato alla creatura e anche se può (ha la
possibilità perché portatore del Pensiero di Dio) capire che soltanto in Dio
può trovare la sua pace, la sua sicurezza, Colui che nessuno può toglierli, e
non può perdere nel modo più assoluto, si trova nell'impossibilità di raggiungerlo
per il legame forte che lo tiene legato alla creatura di cui è schiavo.
È il legame con ciò che ha presente e ha presente ciò per
cui vive e ciò per cui vive non è Dio.
È qui che dobbiamo chiederci come sia possibile all'uomo spezzare questo legame forte con ciò
che ha presente, perché l'uomo è salvato da ciò che ha presente o è dannato da
ciò che ha presente.
È salvato se trova la presenza della Verità ma, deve
trovare la Verità come presenza.
Ma fintanto che l'uomo ha presente ed è legato con un legame
forte con ciò che non è la Verità, quindi con la creatura, chi lo può liberare,
chi può dare all'uomo la possibilità di giungere a quella Presenza, per
giungere alla quale l'uomo deve rompere questo legame?
L'uomo può essere salvato solo attraverso una presenza.
È qui che si può capire l'importanza dell'incarnazione
del Verbo di Dio.
L'incarnazione, cioè Dio che si rende presente in ciò che
l'uomo ha presente.
L'uomo ha presente la creatura anziché il Creatore,
perché per avere presente il Creatore, dovrebbe aver messo il Pensiero
d'intelligenza al di sopra del sentimento.
Ma quando capisce questo, l'uomo è già legato, ha già una
vita, ha già un legame forte con la creatura.
L'uomo che ha presente la creatura non ha più presente il
Creatore e il Creatore per lui diventa una cosa astratta, non una realtà
presente.
Soltanto se Dio, l'Assoluto, l'eterno si rende presente
in quel mondo creato che l'uomo ha presente, soltanto così può offrire all'uomo
la possibilità, attraverso questa Presenza che è una presenza nel campo dell'io
dell'uomo(presenza di creatura), di rompere il legame con ciò che l'uomo ha
presente, e condurre l'uomo, attraverso la sua Presenza incarnata alla Presenza
dello Spirito, a quella conoscenza che si attinge soltanto attraverso l'intelletto
e che attinta diventa presenza e quindi diventa salvezza per l'uomo.
Qui si scopre la vera religione.
La vera religione non sta nel dare un
culto a Dio o nel compiere un dovere perché lui è Creatore, il Signore.
La vera religione sta nell'avere Dio come motivo di vita,
come preoccupazione, oggetto di vita.
Perché soltanto se noi l'abbiamo come oggetto di vita, si
stabilisce con Dio quel legame forte che invece noi avevamo stabilito con le
creature facendole oggetto di vita.
Abbiamo detto che il legame forte si determina in quanto
c'è la partecipazione del nostro io, è dal nostro io che scaturisce questo
legame forte in quanto noi ci dedichiamo per-.
Il legame forte non dipende dalle cose in sé o dagli
esseri, ma è determinato da ciò cui noi ci dedichiamo come scopo di vita e
soltanto se noi abbiamo la possibilità di avere Dio come scopo della nostra
vita, oggetto di vita, soltanto così e nella misura in cui ci dedichiamo a Dio
come nostro fine, si stabilisce con Dio quel legame forte che è la vera
religione.
Religione vuol dire legame.
Fin tanto che il nostro legame forte è con le creature,
anche se fossimo religiosissimi, anche se seguissimo tutti i comandamenti,
tutte le regole, appartenessimo a tutti gli istituti che si vuole, noi siamo
sempre determinati, condizionati non dalla nostra religiosità ma, dal legame
forte che abbiamo con ciò per cui noi viviamo.
È questo che determina tutto nell'uomo.
Tutto il resto è cornice e in quanto è cornice, non serve
a niente.
Bisogna arrivare ad avere invece il legame forte con Dio
quindi ad avere Dio come scopo di vita.
Adesso Dio non diventa più cornice ma quadro, quadro di
vita e il mondo, le creature diventano cornice.
La vera religione non sta quindi in tutto ciò che può
essere sentimento, regola, dovere, ma sta nell'avere questo rapporto, questo
legame forte con Dio che deriva dall'avere Dio come scopo della nostra vita.
Quindi come oggetto, preoccupazione di conoscenza.
Dio è Verità e si trova solo conoscendolo e soltanto se
noi facciamo della conoscenza di Dio l'oggetto della nostra vita, lo scopo
della nostra vita, e questo può avvenire soltanto attraverso il Cristo che si
rende presente attraverso ciò che abbiamo presente, soltanto se noi facciamo di
Dio lo scopo della nostra vita, realizziamo quello che è il vero rapporto con
Dio, cioè la vera religione.
I suoi genitori parlavano così, perché avevano paura dei giudei; perché i
Giudei si erano messi d'accordo che chiunque riconoscesse Gesù per il messia, fosse scacciato dalla sinagoga.
Gv 9 Vs 22
RIASSUNTI
Argomenti: La grandezza dell’amore di Dio. Il coraggio per vivere con Dio: la paura di perdere.
Rientrare in se stessi.
Avere presente Dio
come fine.
Il Giudizio è la risposta alla proposta. La
creatura cosciente e il superamento dell’io. Angeli e demoni. Il rapporto diretto dell’anima con Dio. Alimentare
l’anima. Legame forte-legame di verità.
L’attesa attiva. Vegliare sulla parola di Dio.
Il legame forte condiziona tutto. Cristo ci propone
Dio come scopo di vita. Il mezzo e il fine.
Vivere per conoscere
Dio. Determinati ciò per cui viviamo. La possibilità di diventare figli di Dio. La presenza fisica di
Cristo e le sue parole divine. Quadro e cornice. La verità o la si
conosce o no. Il desiderio ci fa appartenere. Esperimentare Dio è
effetto di pensiero semplice. Dio vuole solo il pensiero. Spettatori del mondo.
10/gennaio/1988 Casa di preghiera Fossano.