HOME


"Ma ora come veda, non lo sappiamo, né conosciamo chi gli ha aperto gli occhi; interrogate lui, dica lui ciò che lo riguarda, ne ha l'età.".

Gv 9 Vs 21 Primo tema.


Titolo: La via della luce.


Argomenti: I limiti del sapere umano-scienze: invito a rivolgersi a Dio.  Il “come attraverso cui l’uomo giunge alla Luce. Cosa vuole dire vedere? Il vedere è un rapporto tra l'interno e l'esterno. Guardando da Dio si forma la capacità di vedere.


 

22/Novembre/1987 Casa di preghiera Fossano.


Stiamo al versetto 21 del capitolo nono di San Giovanni.

Qui i genitori dicono: "Ma come ora vede noi, non lo sappiamo, né conosciamo chi gli ha aperto gli occhi, interrogatelo, dica lui ciò che lo riguarda, ne ha l'età".

Anche qui dobbiamo chiederci quale lezione Dio vuole dare a noi, attraverso la scena di questi genitori dell'uomo che era nato cieco che, interrogati dai farisei rispondono in questi termini.

Prima hanno detto ciò che sapevano, adesso dicono ciò che non sanno.

Che cosa sapevano?

Sapevano che costui è veramente loro figlio e che è nato cieco.

Che cosa non sanno?

Non sanno come adesso veda, non sanno chi gli abbia aperto gli occhi.

Poi fanno una proposta: "Interrogatelo, dica lui come ciò è avvenuto, ne ha l'età".

In questi tre termini c'è il riepilogo della voce di tutto il mondo, di tutte le creature.

Ci sono cose che le creature dicono, ci sono cose che le creature non possono dire.

Ci sono cose che le creature sanno, ci sono cose che le creature non sanno.

Però da tutte le creature giunge a noi una sollecitazione: "Interrogate, cercate di capire che cosa vi dicono".

Ogni uomo è responsabile di ciò che Dio gli fa e lui solo sa quello che Dio gli fa.

Ci sono quindi questi due grandi piani, annunciati nelle altre domeniche: il piano delle cose che le creature sanno e il piano di ciò che non sanno e non possono sapere.

Abbiamo visto che è molto importante sia il significato di ciò che gli uomini sanno, sia significato di ciò che gli uomini non sanno, poiché sia ciò che l'uomo sa, sia ciò che l'uomo non sa, in quanto è così, è voluto da Dio.

Se è voluto da Dio, ha un suo significato.

Quindi c'è il significato di ciò che l'uomo sa, e c'è il significato di ciò che l'uomo non sa.

Il significato di ciò che l'uomo sa, tende verso un limite, un muro.

Qui i genitori dicono di sapere che costui è il loro figlio e che è nato cieco e in questo rivelano che le creature sanno che rapporto c'è tra loro e il mondo, sanno il rapporto che c'è tra creatura e creatura e questo è rappresentato dalle scienze.

Ma tutto ciò che l'uomo sa, va verso un muro.

Le scienze concludono davanti a un muro: l'uomo non sa il perché delle cose, non sa come le cose avvengano ("Come ora veda, noi non lo sappiamo").

Questo è il muro di tutte le scienze, nessuna scienza può giustificare come Dio crea, come Dio opera tutte le cose.

C'è un limite ed è molto importante capire il significato di questo limite.

Due sono i limiti: il limite di tutto ciò che l'uomo sa (le scienze) e il limite di tutto ciò che l'uomo non sa.

Questi limiti non sono stati posti da Dio come muri perché l'uomo non vada oltre.

Qualcuno ha addirittura interpretato il peccato originale come un desiderio di conoscenza.

L'uomo è stato creato per conoscere, Dio è luce, Dio non ama le tenebre e se qualcuno è nelle tenebre e dice di essere con Dio è menzognero dice San Giovanni (la vita eterna è conoscere Dio).

E quando non si conosce che si fanno i delitti in nome di Dio, credendo di rendere gloria di Dio: "Perché non hanno conosciuto". Gerusalemme viene condannata perché non ha conosciuto l'ora in cui è stata visitata, quindi non conoscere diventa un peccato nella vita di ogni uomo.

D'altronde se Dio creando l'uomo, ha posto nell'uomo il desiderio della Verità e la nostra anima è sostanzialmente desiderio di Verità, passione di Verità, e l'uomo sente la passione dell'Assoluto, Dio non inganna l'uomo.

Dio è fedele e se fa sentire all'uomo, il bisogno della Verità è perché vuole dare questa Verità all'uomo.

Abbiamo ascoltato l'ultimo messaggio della Madonna a Medjugorie, in cui dice che Dio vuole concedersi in tutta la sua pienezza. Ora quando si dice "in tutta la sua pienezza”, vuol dire niente escluso, quindi Dio vuole farsi conoscere.

È questione di fedeltà da parte di Dio.

Dio, in tutte le sue opere fa sentire una grande promessa all'uomo, la promessa di concedere ciò di cui gli fa sentire il bisogno.

Dio creando l'uomo ha posto nell'uomo il bisogno di conoscere la Verità, è una promessa, e Dio certamente è fedele.

Quindi il problema della conoscenza è essenziale.

Allora perché ci sono i limiti?

Qual è la funzione dei limiti?

È molto importante comprenderne il significato.

Abbiamo detto che due sono i limiti nella vita dell'uomo: il limite di ciò che conosce e il limite di ciò che non conosce.

Il limite di ciò che conosce (quindi tutte le scienze) è determinato dal muro.

A un certo momento l'uomo si trova nell’impossibilità di attingere, di capire il significato delle cose.

Questo perché?

Perché si deve formare nell'uomo l'interesse per le cose del cielo.

Per cui l'uomo a un certo momento deve fare il passaggio, che è un passaggio meraviglioso, dalla conoscenza delle cose della terra che conclude con un muro, alla conoscenza delle cose del cielo.

La conoscenza delle cose del cielo non può essere donata all'uomo se l'uomo non ha interesse per essa.

I doni maggiori, la conoscenza di Dio, possono essere dati solo là, dove sono richiesti.

"Chiedete e vi sarà dato, domandate e vi sarà aperto".

È la condizione necessaria.

Dio ha in mano un'infinità di doni che non può dare agli uomini perché nessuno sale a chiederglieli, a volerli.

Ecco il significato del primo limite: Dio limita le strade del mondo, limita il tuo sapere, perché tu abbia davvero interesse per le cose del cielo, a innalzare il tuo desiderio alla conoscenza di Dio.

Poi c'è l'altro limite di cui bisogna capire il significato: il limite delle cose che non sappiamo.

C'è certamente tutto un campo di cose di cui l'uomo non può parlare, perché non sa.

Qual è il significato di questo limite?

Evidentemente se nessun uomo può rispondere a certi interrogativi, il significato sta nel fatto che c'è un invito a rivolgerci altrove. Se a un certo momento tutte le creature non possono rispondere all'interrogativo che si forma nell'animo umano, questo è segno che l'animo umano non deve più rivolgersi alle creature ma a Dio.

Quindi là, dove le creature non possono dire il significato, c'è l'invito da parte di Dio all'anima dell'uomo a rivolgersi a Lui, perché Lui solo può dire ciò che le creature non possono dire, Lui solo può dire il perché, il come di tutto ciò che fa, perché la ragione di tutte le cose che accadono nella nostra vita è nel Creatore, è nell'Intenzione, nel Pensiero del Creatore.

Tutta la creazione è fatta nel Pensiero di Dio per il Pensiero di Dio.

Questo ci rivela che non dobbiamo rassegnarci ai limiti, ma dobbiamo andare oltre.

I limiti hanno un significato profondo ed è di quello di formare l'interesse per ciò che non sappiamo e per indicarci il luogo in cui noi possiamo trovare ciò che non sappiamo.

Quindi i limiti non ci sono dati per farci arrestare, non per farci rassegnare, ma per farci andare avanti.

Ma non solo: Dio ci indica attraverso il limite di ciò che le creature non possono dire, il luogo in cui possiamo trovare ciò di cui abbiamo bisogno, la risposta.

Per questo a un certo momento i genitori dicono: "Questo noi non lo sappiamo, interrogate lui".

A un certo momento tutte le creature dicono: "Questo lo so, questo non lo so, interroga".

Ma chi interrogare?

Interroga Dio, perché soltanto interrogando Dio tu, potrai ottenere la risposta a quella fame, a quella sete, a quel bisogno di Verità che Dio stesso ha posto in te.

Colui che ha creato il bisogno di Sé in te, è ancora Lui che si è riservato a Sé e a nessun altro la risposta di questo bisogno.

Ogni uomo è affidato personalmente a Dio e ogni uomo è tenuto quindi a non dare il nome di maestro a altro o altri.

"Saranno tutti ammaestrati da Dio".

In Dio non c'è tempo, non c'è il futuro, quindi quel "saranno" è soltanto un annuncio da parte di Dio, per dire a noi una cosa di cui dobbiamo prendere coscienza oggi, per dire a noi che tutti gli uomini sono ammaestrati da Dio.

Il tema di questa sera è la via della luce.

Il problema è come ora quel cieco ci veda.

Nessun uomo sa come si passa dalla cecità alla luce, attraverso quali vie la luce giunga in un'anima.

Questo cieco rappresenta ogni uomo, perché ogni uomo nasce cieco e ogni uomo ha bisogno di trovare la luce e chi aprirà gli occhi all'uomo?

In quest'uomo è rappresentato ogni uomo ed è simbolico anche il "come" attraverso il quale questo cieco nato è stato guarito.

Ha incontrato Gesù che gli fece del fango in giorno di sabato, glielo pose sugli occhi, gli disse: "Va a lavarti nella piscina di Siloe". Lui ha creduto alla Parola di Gesù ed è andato, si è lavato, e ora vede.

Tutte lezioni di Dio.

Quel cieco nato, rappresenta ogni uomo, quindi in questa trama attraverso cui è venuto a vedere, c'è qualche cosa sul "come" Dio opera per portarci alla luce.

Ha creduto alla Parola, è andato a lavarsi nella piscina di Siloe (si è purificato in ciò che è "mandato da Dio") e ha visto. "Siloe" significa "mandato da Dio".

Il momento magico in cui ha acquistato la vista, è stato un momento in cui si è lavato.

Il problema è capire cosa vuol dire a lavarsi in queste acque di Siloe, lavarsi in queste acque che rappresentano ciò che viene da Dio, perché questo è segno di Dio, è creazione di Dio, e tutto quello che viene da Dio, viene come un miracolo a noi.

C'è una lezione profonda ma, non c'è la luce per farci capire spiritualmente il significato.

Anche se ci aiuta, perché traccia certi segni.

Bisogna incontrare Gesù.

Bisogna lasciarci coprire di fango gli occhi, perché non sappiamo di avere gli occhi pieni di terra, crediamo di vedere.

Quindi abbiamo bisogno che Dio ci accechi.

Poi abbiamo bisogno di sentire da Lui la Parola, di credere a questa Parola e abbiamo bisogno di andare a lavarci nella piscina di Siloe.

Il momento magico.

Il cieco nato dirà: "Sono andato, mi sono lavato e ora ci vedo".

Ma quello che dice rappresenta un miracolo.

Con Dio e in Dio non ci sono atti magici.

Dio opera convincendo.

La luce è convinzione, la luce fa vedere, fa capire, giustifica.

Quindi il modo in cui opera Dio nella nostra anima non è in modo magico.

Il modo magico Dio lo opera nella creazione, negli avvenimenti.

Tutti gli annunci di Dio si concludono in assenza di Dio, ma la conoscenza si conclude in presenza.

Il che vuol dire che bisogna passare dall'annuncio all'intelligenza.

Ma se si parla d’intelligenza, non si parla di atto magico, qui c'è la partecipazione che per essere tale deve essere consapevole, per cui si dice: "È così".

Dio con un miracolo ha dato la luce a un cieco nato ma, questo è soltanto un segno per dirci che la luce viene da Lui.

Quando la luce viene da Dio e illumina l'anima, non è più un atto magico, è una partecipazione consapevole dei figli di Dio.

Tutti noi siamo chiamati a diventare figli di Dio.

I figli di Dio nascono da Dio consapevolmente, quindi si rendono conto per partecipazione personale, non c'è l'atto magico.

Per questo noi viviamo nel mistero e ci troviamo nella notte, fintanto che non attingiamo le cose dal Principio Creatore, da Dio, da ciò che Egli è.

Perché il punto di luce é Dio Creatore.

Quindi il problema è renderci conto di cosa vuol dire vedere.

Apparentemente è abbastanza semplice perché noi vediamo con gli occhi.

Chi ha gli occhi vede, chi non ha gli occhi non vede.

Però basta fare un piccolo passo che già ci troviamo davanti a un muro e non capiamo più.

Bisogna avere gli occhi per vedere?

Dio stesso dice: "Hanno occhi e non vedono" e questo ci fa pensare che si possono avere gli occhi e non vedere.

Se uno entra in una stanza buia, può anche avere gli occhi spalancati ma non vedere e inciampare.

Non basta avere gli occhi, ci vuole la luce.

Ma ci può essere la luce, si possono avere gli occhi e non vedere affatto.

Un neonato ha gli occhi aperti, c'è la luce ma non vede niente.

Un morto può avere gli occhi aperti, ci può essere la luce, ma non vede niente.

Si può fare un trapianto degli occhi da un morto a un vivo e gli occhi trapiantati nel vivo vedono.

Com'è possibile?

Sono tutte lezioni di Dio.

Evidentemente il vedere non dipende né dagli occhi, né dalla luce esterna.

Il vedere dipende dal fatto di essere vivi dentro.

Ma anche il neonato è vivo e non vede, guarda e non vede.

Ecco l'argomento del vedere.

Il vedere si forma dentro di noi a poco a poco.

Certo se ci sono gli occhi che sono mezzi, ci vuole la luce esterna ed è un mezzo, però se l'uomo è morto dentro, non bastano né gli occhi, né la luce esterna per farlo vedere.

Allora diciamo che il vedere è un rapporto tra ciò che è dentro e ciò che è fuori.

Ma quello che è dentro è dominante, se dentro si è morti, non c'è niente che ci possa far vedere.

Cosa vuol dire fuori, cosa vuol dire dentro?

Fuori è tutto quello che viene a noi senza di noi, dentro è ciò che non si forma senza di noi.

Ecco perché il neonato appena nasce non vede, perché il vedere si forma per mezzo della creatura.

Si vede con quello che c'è dentro e il dentro non si forma senza di noi.

Non basta che ci sia il mondo esterno, non basta avere gli occhi aperti, bisogna che si sia formato il dentro.

Dentro si forma per partecipazione.

Il vedere è un rapporto fra l'interno e l'esterno ma, l'interno non si forma senza di noi, e se dentro di noi, noi abbiamo il vuoto, noi vediamo niente, anche se fossimo in pieno sole.

Questo ci fa intuire una cosa stupenda: come ci sia l'inferno in cui non si vede niente, come ci sia il paradiso in cui si vede tutto.

Sia l'inferno, sia il paradiso non dipendono dall'esterno ma dall'interno.

Se uno dentro ha niente, non può vedere niente.

Tutto è in relazione a quello che porta dentro, e quello che una porta dentro non si è formato senza di lui.

Senza la partecipazione personale.

Questo ci fa capire che si arriva a un certo momento in cui il vedere richiede la responsabilità nostra e il vedere diventa una cosa personale.

Non basta mettere un bel quadro di fronte a una persona perché questa ne possa godere, tutto dipende da quello che tale persona ha interiorizzato.

Le vie del vedere passano attraverso la partecipazione personale dell'uomo.

Il principio della luce è Dio.

Vedere vuol dire giustificare, capire e la cosa è possibile soltanto con Dio e da Dio.

La capacità di vedere non si forma in noi senza di noi.

Ognuno vede in relazione al luogo in cui si trova.

Ogni luogo è un punto di vista, è un punto di osservazione.

Il vero punto di osservazione è Dio, e solo da Dio che si vede la Verità.

A Nicodemo che credeva di vedere (perché c'è anche l'illusione di vedere), Gesù dice che se non rinasce dall'alto non può vedere il Regno di Dio, non può vedere la Verità.

Ecco il luogo da cui si vede, l'alto è Dio: il luogo da cui si vede.

Allora capiamo anche cosa vuol dire che il Regno di Dio è dentro di noi.

Non aspettatevelo fuori perché se il Regno di Dio è vedere la Verità, ciò che ci rende capaci di vedere è quello che abbiamo interiorizzato.

Soltanto nella misura in cui siamo nati da Dio, noi abbiamo la possibilità di vedere.

Questo nascere da Dio è un fatto essenzialmente interiore e sta nel portarci nel luogo (il luogo di Dio) in cui si vede la Verità.

A questo punto dobbiamo chiederci: abbiamo la possibilità di portarci nel luogo in cui si vede?

Qui capiamo perché Dio ci ha dato il pensiero.

L'unica possibilità che abbiamo di trasferirci dal punto in cui ci troviamo, al punto in cui si vede è il pensiero.

Il punto in cui ci troviamo è quello che esperimentiamo nel pensiero del nostro io.

Ma nel pensiero del nostro io certamente non possiamo conoscere Dio, siamo chiusi fuori, impotenti.

L'uomo ha la possibilità di trasferirsi dal luogo in cui si trova, al luogo dal quale si vede la Verità?

L'unico mezzo dato all'uomo per trasferirsi da-,a-, è il pensiero.

Dio ci ha dato il pensiero per questo, non per conoscere le cose del mondo, non per vivere delle cose del mondo ma, per darci la possibilità di trasferirci dal luogo in cui esperimentiamo le cose del nostro io, al luogo da cui si vede la luce, la Verità.

L'uomo con il suo pensiero può pensare Dio.

Pensare Dio cosa vuol dire?

Vuol dire guardare le cose da Dio.

Questo vuol dire rinascere dall'alto, guardare le cose da Dio.

Soltanto nella misura in cui uno guarda da Dio, si forma in lui la capacità interiore di vedere.



"Ma ora come veda, non lo sappiamo, né conosciamo chi gli ha aperto gli occhi; interrogate lui, dica lui ciò che lo riguarda, ne ha l'età."

Gv 9 Vs 21 Secondo tema.


Titolo: Chi o che cosa?


Argomenti: Differenza tra persona e cosa. Cosificare le persone e personificare le cose. Vedere è un rapporto. L’intenzione che fa l'esterno deve essere nel nostro interno. L’intenzione diversa da Dio ci fa leggere male la creazione. Considerare Dio come persona. Essere persona e consapevolezza di essere persona. Strumentalizzare Dio. Amare Dio per quello che è, non per i suoi doni.


 

29/Novembre/1987 Casa di preghiera Fossano.


Restiamo ancora nel versetto 21 del capitolo nono di San Giovanni, dove i genitori del cieco guarito da Gesù dicono: "Ma come ora veda noi, non lo sappiamo, né conosciamo chi gli ha aperto gli occhi, interrogatelo, dica lui ciò che lo riguarda, ne ha l'età".

Prima questi genitori hanno detto quello che sapevano, sapevano che costui veramente era loro figlio e che era nato cieco.

Adesso dicono quello che non sanno: "Come ora veda noi non lo sappiamo".

Questo è stato l'argomento di domenica scorsa.

Adesso aggiungono: "Né conosciamo chi gli ha aperto gli occhi", è l'argomento di questa domenica.

Dopo aver detto il "come", cioè che loro non sapevano come ora vedesse, dicono: "Noi non sappiamo chi sia che gli ha aperto gli occhi".

Anche noi dopo aver visto come, ciò cioè dopo aver visto la via attraverso la quale l'uomo giunge a vedere, adesso abbiamo la possibilità di capire chi apre gli occhi all'uomo.

Il tema di oggi è questo: chi apre gli occhi.

Basta quest’accenno, per avvertire subito un problema: "chi" o "che cosa".

Qui i genitori dicono: "Non sappiamo chi gli ha aperto gli occhi".

Fossero gli scienziati, chiederebbero "che cosa" ha aperto gli occhi a quel cieco.

Molto probabilmente questi ultimi andrebbero a cercare il motivo, la causa di ciò che era avvenuto in quell'uomo cieco, nella virtù del fango che Gesù pose sugli occhi di quell'uomo, o nella fede che guarisce (aveva ascoltato la Parola di Gesù e vi aveva creduto), oppure nella virtù dell'acqua in cui si era lavato, l'acqua di Siloe.

Cioè gli scienziati cercherebbero "che cosa" gli ha aperto gli occhi.

Siccome tutto è lezione e Parola di Dio per noi, anche qui dobbiamo chiederci che cosa Dio ci voglia significare per la nostra vita essenziale, poiché in tutto ciò che accade, in tutto ciò che avviene, c'è una Parola di Dio per noi, per la nostra vita vera.

Dio fa tutto per condurci a vedere la Verità e siccome Lui non fa niente di inutile, in ogni cosa dobbiamo cogliere quell'insegnamento prezioso per il nostro cammino verso la conoscenza della Verità che è vita eterna, tutto è pedagogia per la vita eterna.

Qui abbiamo uomini che dicono di non sapere chi abbia aperto gli occhi.

La prima cosa da chiederci è questa: cosa significa "chi" e cosa significa "che cosa"?

Il "chi" significa persona, il "che cosa" significa cosa.

Dove sta la differenza tra una persona è una cosa?

La persona è un esistente che ha in se stesso la ragione di sé e di ciò che vuole, la ragione del suo fine.

Ogni persona si edifica nel suo fine ma, il fine l'ha in se stessa.

Ogni vivente ha un fine.

La persona si caratterizza in questo: ha il suo fine in se stessa.

La cosa invece è l'esistente che non ha il fine in sé.

Il movente l'ha altrove da sé.

La cosa è un mezzo per-, la persona invece non è mai un mezzo per-.

Già qui possiamo capire quanti errori noi facciamo verso le persone, perché le persone non possono essere utilizzate come mezzi per-, senza offesa, poiché la persona ha in se stessa al fine, l'intenzione.

Utilizzare la persona come mezzo per un altro fine, è offendere la persona, è sminuirla, e strumentalizzarla.

Così capiamo come noi possiamo cosificare le persone, possiamo cosificare anche Dio, possiamo rendere Dio un mezzo, uno strumento.

E possiamo personalizzare le cose, cioè possiamo trasformare i fini in mezzi e possiamo trasformare i mezzi in fini.

Quando noi viviamo per una cosa (abbiamo detto che "cosa" è ciò che ha come fine altro da sé), la consideriamo come fine, ecco che noi trasformiamo un mezzo in fine ed è errore, peccato.

Quando noi utilizziamo una persona per un fine diverso da quello che è in quella stessa persona, noi commettiamo una colpa verso quella persona, un errore.

Quindi quando noi utilizziamo Dio, ci rivolgiamo Dio, o attendiamo da Dio qualche cosa per un fine nostro, noi strumentalizziamo Dio, noi togliamo a Dio il carattere di persona e lo riduciamo a cosa.

Questo ci fa capire come, solo se noi siamo orientati a Dio, abbiamo la possibilità di comportarci bene verso tutte le cose.

Per cui possiamo dire che il rapporto che passa tra il mondo, le creature e noi, corrisponde al rapporto che passa tra noi e Dio.

Dio è persona, perché Dio ha in Se stesso la ragione di Sé, il fine di Sé, la sua Intenzione.

Quindi quando si cerca la giustificazione in una cosa, di un avvenimento (qui la guarigione di un uomo che era nato cieco), si fa un errore grosso, perché non è nelle cose la giustificazione degli avvenimenti.

Le cose sono mezzi che hanno bisogno di essere giustificati a loro volta, sono mezzi per un fine.

Quindi la giustificazione di tutto ciò che accade va cercata nella persona, nella Persona Divina, ma non in Dio considerato come cosa, in Dio considerato come Persona, e c'è una grande differenza.

Quindi il problema e del "chi".

È giusto chiederci: chi gli ha aperto gli occhi?

Quando domenica scorsa abbiamo riflettuto sul fatto del vedere, abbiamo notato che il vedere è una conseguenza del rapporto tra ciò che l'uomo ha dentro di sé e ciò che l'uomo ha fuori di sé e che ciò che l'uomo ha dentro di sé è l'elemento dominante per vedere le cose fuori.

Il che vuol dire che ogni uomo vede a seconda di ciò che ha interiorizzato, di ciò che porta dentro di sé.

Non s’interiorizza niente senza la partecipazione dell'uomo.

Tutto ciò che accade fuori dell'uomo, accade senza l'uomo.

Ma tutto ciò che si forma nell'uomo non si forma senza l'uomo.

Ora quello che si forma dentro l'uomo è il fattore dominante nella visione dell'uomo stesso, per cui l'uomo vede in conseguenza di quello che si è formato dentro di lui.

Per questo abbiamo detto che l'uomo alla nascita è cieco.

Man mano che partecipa, interiorizza, incomincia vedere.

Quindi la visione è la conseguenza di questi due fattori.

Ma uno di questi due fattori richiede la partecipazione dell'uomo.

Tutto quello che accade fuori, è caratterizzato da questo: accade indipendentemente dall'uomo.

Per cui l'uomo è sorpreso dagli avvenimenti, dai fatti.

Qui gli uomini sono sorpresi da quest’avvenimento, un uomo cieco dalla nascita che acquista la vista, è un avvenimento accaduto indipendentemente da loro, essi non sanno "come" e dicendo: "Non sappiamo come", testimoniano che l'avvenimento è indipendente da loro, non sono loro che l'hanno fatto.

La creazione, gli avvenimenti, tutti i fatti di ogni giorno ci sorprendono, non sappiamo come arrivino noi, eppure arrivano.

Invece quello che si forma dentro di noi, non si forma senza di noi, richiede la nostra partecipazione

In conseguenza di questo noi cominciamo a vedere.

Allora il problema è questo: che cosa ci deve essere dentro di noi per vedere bene?

Noi diciamo che cosa, ma tenendo presente quello che abbiamo detto prima, la persona, dobbiamo dire: "Chi deve esserci dentro di noi per vedere bene?".

Quando diciamo così, diciamo persone e per persone intendiamo coloro che hanno in se stessi, un'intenzione, una finalità che non le viene da fuori di sé ma, che è in loro stessi, ed è questo l'elemento che caratterizza la persona stessa.

Qui dobbiamo chiederci cosa deve formarsi in noi, affinché noi possiamo vedere e intendere le opere del Creatore, come possiamo intendere quello che avviene fuori indipendentemente da noi.

Quello che avviene fuori, fintanto che trova in noi, come elemento interiore, qualche cosa che dipende da noi, certamente non è comprensibile.

Per cui noi vediamo le cose fuori, restiamo sorpresi ma non capiamo.

Perché non capiamo?

Perché quello che portiamo in noi dipende da noi.

Fin tanto che dipende da noi, non dà noi la possibilità di capire quello che accade senza di noi.

La possibilità di capire ciò che accade senza di noi, si forma in noi soltanto se in noi c'è la presenza di uno che è indipendente da noi ma, che non è presente senza di noi.

Abbiamo detto che l'elemento si fa interiore a noi con la partecipazione nostra, altrimenti non si fa interiore.

Tutto il mondo esterno è un mondo che esiste indipendentemente da noi, ma soltanto se noi abbiamo in noi ciò che è indipendente da noi, possiamo intendere ciò che accade nel mondo esterno, altrimenti non possiamo intenderlo.

Infatti, per noi tutto è mistero, ma fino a quando?

Forse Dio ci ha creati per il mistero?

Per metterci di fronte un muro, a una parete?

No, Dio ci ha creati per la luce.

Ma se la luce dipende da ciò che abbiamo dentro, chi deve esserci dentro di noi?

Evidentemente soltanto se dentro di noi c'è Colui che fa quello che è fuori di noi.

Ma Costui è dentro di noi, solo se è partecipato da noi, altrimenti non è dentro di noi.

Ed è partecipato da noi quando diventa la nostra intenzione.

Noi interiorizziamo una cosa facendola nostra intenzione, nostro fine.

Soltanto se Dio, in noi diventa nostra intenzione, nostro fine, questo diventa  in noi punto luce che dà noi la possibilità di vedere, di capire le cose fuori di noi nella Verità, cioè secondo l'Intenzione di Dio.

Non basta nemmeno il Pensiero di Dio, non basta dire: "Io porto in me Dio, io attendo la luce da Dio", non basta dire: "Io spero da Dio".

Dio deve essere in te come persona, altrimenti lo consideri come mezzo per arrivare alla luce e Dio non ti dà la luce.

Tu devi considerare Dio come persona.

Cosa vuol dire considerare Dio come persona?

Abbiamo detto che quello che caratterizza la persona è l'intenzione.

Solo se in noi abbiamo presente nel nostro mondo interiore l'Intenzione di Dio, il Fine di Dio, questo Fine dà noi la possibilità di leggere, di capire quello che Dio fa arrivare noi. Questo punto luce è persona, è "chi".

È "chi" in quanto è associato a una intenzione, al pensiero, cioè al fine.

Tutte le cose sono state fatte e ancora oggi sono fatte nel Pensiero di Dio, cioè nell'Intenzione di Dio, nel Fine voluto da Dio, quel Fine che viene da Dio.

"Senza la sapienza da Te mandata nulla vale": la sapienza da Te mandata è ciò che discende da Dio ed è il Fine di Dio, e l'Intenzione di Dio.

Senza questa Intenzione di Dio, Dio in noi non è persona, Dio in noi è mezzo, anche se lo supplichiamo da mattina a sera, noi supplichiamo un mezzo, perché noi strumentalizziamo Dio per un nostro fine, fosse anche la Luce.

Soltanto se noi teniamo presente Dio come persona, come intenzione, come finalità, per quello che Lui vuole, per il fine che ha nel creare tutte le cose, soltanto se in noi è presente questa finalità di Dio, noi guardiamo le cose che arrivano a noi da Dio e noi abbiamo la possibilità di leggere, di capire.

Ci siamo chiesti che cosa ci deve essere in noi per poter vedere bene.

In noi deve essere il "chi", la Persona di Dio.

Ma siccome ogni parola che diciamo può essere fraintesa, bisogna precisare che la persona è quell'esistente che ha in se stesso la ragione di sé.

Soltanto conoscendo l'Intenzione, il Pensiero di Dio, soltanto raccogliendo tutto nel Pensiero di Dio, abbiamo la possibilità di salire al Padre.

Ma prima bisogna sottomettere tutto a questo Pensiero di Dio, cioè all'Intenzione di Dio, perché questo dà noi la possibilità di leggere bene, di vedere, di capire.

Lunedì 30/Novembre/1987

Luigi: La Madonna vive con il corpo in paradiso, nel cielo, ha spiritualizzato tutto.

I nostri corpi? All’inizio Dio non ha creato la morte, il che vuol dire che Adamo ed Eva erano destinati a spiritualizzare il loro corpo.

Cristo risorto ha un corpo ma è spirito, una dimensione del tutto diversa.

Il che vuol dire che c’è la possibilità.

Anche il corpo è in funzione dello spirito.

L’importante è vivere secondo lo spirito, poi il corpo serve lo spirito meravigliosamente bene.

Il corpo è un ottimo servitore ma deve essere servitore.

Se tu vivi per lo spirito di Dio, non hai mica bisogno di curare il corpo, il corpo ti segue bene.

Come mezzo funziona bene, incomincia a funzionare male quando io comincio a guardarlo e a vivere per esso.

Luigi: Possiamo crederci molto religiosi e intanto trattiamo Dio come una cosa.

Come possiamo anche personificare le cose: se noi viviamo per una cosa, quella cosa per noi ha il fine in sé e quindi diventa persona.

Per cui possiamo fare due errori, strumentalizzare le persone, cioè cosificarle e personificare le cose: io posso vivere per il corpo e vivendo per il corpo, il corpo diventa il mio fine, allora a questo punto qui io personifico il corpo e faccio un errore perché il corpo è un mezzo, quindi è cosa, strumento.

Luigi: Dio essendo il Creatore ha in Sè la ragione di tutto ciò che esiste, quindi soltanto in Dio io posso trovare la ragione, la giustificazione e quindi la Luce su tutto ciò che esiste.

Cos’è la verità? La verità ciò in cui è la ragione di una cosa.

Luigi: Noi diciamo tante parole ma cosa vuol dire dentro e fuori?

Fuori è tutto ciò che arriva a noi senza di noi, dentro è ciò che non si forma in noi senza di noi.

Evidentemente quello che accade indipendentemente da me, è giustificato in qualcosa che è indipendente da me, certamente il filo d’erba esiste indipendentemente da me, perché non sono io che faccio il filo d’erba, allora la giustificazione di quel folo d’erba è in qualcosa che è indipendente da me e fintanto che io considero il filo d’erba come dipendente da me, io non potrò mai capire il filo d’erba.

Luigi: Io ho presente Dio come persona in quanto ho presente la sua intenzione, il suo fine.

La persona è caratterizzata dal fatto di avere in se stessa il suo fine, non fuori di sè, allora io considero Dio come persona in quanto tengo presente il fine che ha Dio, l’intenzione che ha Dio, il pensiero di Dio.

Ma se considero Dio in Sè ma non tengo presente il suo fine, io non lo considero come persona.

Nel pensiero del mio io, non posso intendere il filo d’erba, mentre in Dio come fine, lo posso intendere poiché se Dio fa il filo d’erba lo fa in un fine.

Conoscendo l’intenzione di una persona, io posso conoscere tutte le opere di quella persona ma fintanto che non conosco l’intenzione di una persona, io non capisco le opere che fa quella persona, quindi è l’intenzione che m’illumina.

Il filo d’erba, deve entrare nell’intenzione di colui che fa il filo d’erba.

Se ti vedo camminare su una strada, fintanto che non so dove tu vuoi andare, io non capisco perché tu cammini su quella strada, lo posso sapere solo quando tu mi riveli il tuo fine.

Luigi: Se io guardo una creatura, o io rispetto l’intenzione di quella persona o altrimenti considero quella persona secondo la mia intenzione.

O io rispetto l’intenzione dell’altro o applico la mia intenzione sull’altro, ma già leggendo il giornale soffermandoti su certi articoli e rifiutandone altri applichi già una intenzione.

Luigi: “La sapienza mandata da Dio”, quindi la sapienza è il pensiero di Dio, è il fine di Dio, è il Figlio di Dio, è il Verbo: mandato da-.

Luigi: Dio ha in Se stesso la ragione di Sé, la sua intenzione sgorga da Lui, ma se io vedo una bella macchina, io sono mosso dalla macchina, adesso la macchina non sgorga dalla mia intenzione ma la mia intenzione sgorga dalla macchina.

Vedi il capovolgimento come avviene?

Per cui io sono motivato da una causa esterna a me.

E compio un errore.

Perché sono motivato dall’esterno.

Mentre invece la persona ha in se stessa la motivazione.

Dio ha in Se stesso la motivazione di Sè, quindi l’intenzione di Dio sgorga da quello che Dio è, non sgorga perché Dio vede la bella macchina.

Io invece vedo la bella macchina, vedo la creatura, vedo una bella casa, quindi il mio desiderio è determinato da un fatto esterno.

Cercando invece l’intenzione di Dio mi comporto bene secondo le cose, perché tutte le cose le vedo secondo Dio.



"Ma ora come veda, non lo sappiamo, né conosciamo chi gli ha aperto gli occhi; interrogate lui, dica lui ciò che lo riguarda, ne ha l'età."

Gv 9 Vs 21 Terzo tema.


Titolo: Ciò che ci riguarda.


Argomenti: La solitudine dell’uomo di fronte alla morte. L'uomo interroga ed è interrogato. La responsabilità dell'uomo di fronte alla luce. Persona e cosa. Interiorizzare Dio. La responsabilità dell'uomo. Conoscenza e possesso.


 

6/Dicembre/1987 Casa di preghiera Fossano.


Restiamo ancora nel versetto 21, dove i genitori di quest'uomo cieco dalla nascita e guarito da Gesù dicono: "Come ora veda, noi non sappiamo, né conosciamo chi gli ha aperto gli occhi, interrogate lui, dica lui ciò che lo riguarda, ne ha l'età".

Nelle domeniche precedenti ci siamo soffermati nella prima parte di questo versetto: "Come ora veda noi, non lo sappiamo".

Poi nella seconda parte: "Né conosciamo chi gli ha aperto gli occhi".

Oggi dobbiamo soffermarci su ciò che i genitori concludono: "Interrogatelo, dica lui ciò che lo riguarda ne ha l'età".

Prima questi genitori hanno detto ciò che sapevano: "Sappiamo che costui è veramente nostro figlio e che è nato cieco".

Poi hanno detto quello che non sapevano: "Come ora veda noi, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli abbia aperto  gli occhi".

Adesso, terzo passaggio dicono: "Interrogate lui".

Sappiamo, non sappiamo, interrogate lui.

Con questo il cerchio si chiude.

I farisei avevano interrogato quel cieco, poi non soddisfatti si erano rivolti ai genitori, i genitori adesso ripresentano la situazione iniziale dicendo: "Interrogate lui".

È la vicenda di ogni uomo: prima noi ci rivolgiamo alle creature, dalle creature ci rivolgiamo ai superiori, poi i superiori ci ritornano alle creature e il cerchio si chiude.

Non si può dire altro.

Qui dicono: "Interrogatelo, dica lui ciò che lo riguarda".

Già questo ci fa capire come a un certo momento, ogni uomo viene a trovarsi solo di fronte al vero problema: "Dica lui ciò che lo riguarda".

Non c'è nessuna creatura che possa rispondere per noi, nemmeno i genitori, nemmeno i superiori, nemmeno le istituzioni.

L'uomo di fronte ai veri, grandi problemi della vita è sempre solo, come è solo di fronte alla morte anzi, proprio la morte ci fa capire la solitudine dell'uomo.

L'uomo certamente di fronte alla morte è solo, il problema è essenzialmente suo.

Ma la morte rivela la nudità in cui si trova l'uomo in tutta la sua vita.

L'uomo è un essere che, nella sua solitudine è interrogato.

Interroga, (l'uomo è essenzialmente interrogazione) ed è a sua volta interrogato.

Le interrogazioni poste dall'uomo formano la filosofia, la scienza e tante religioni.

L'uomo che invece riceve le interrogazioni, è sollecitato a convertirsi e a entrare nella Vita.

Gli interrogativi posti all'uomo formano la contemplazione, la vita interiore, la vita spirituale, la vita eterna.

L'uomo entra della vita eterna (e questo è il vero problema dell'uomo), ricevendo interrogazioni e chi pone interrogazioni all'uomo, è Colui che fa l'uomo, è Dio stesso.

Qui dicono: "Dica lui ciò che lo riguarda".

Ciò che riguarda quest’uomo che era stato guarito da Gesù dalla sua cecità: era al problema della luce.

Tutte le creature ci pongono di fronte a questo grande problema.

Ogni uomo deve dire ciò che lo riguarda e ciò che veramente riguarda ogni uomo è il problema della luce, poiché l'uomo è cieco dalla nascita e questa cecità è causata dalla Presenza di Dio in lui, presenza non conosciuta, non capita.

Il problema di oggi è questo: poiché l'uomo subisce interrogazioni sulla luce su ciò che lo riguarda, quale responsabilità ha l'uomo di fronte alla luce?

Le domeniche scorse abbiamo visto il problema del vedere, qual è la condizione per arrivare a vedere.

Poi abbiamo visto il problema di chi apre gli occhi all'uomo.

Il vedere (bisogna tenerlo presente perché è questo che ci conduce a capire la responsabilità che ha l'uomo di fronte alla luce) è costituito da un rapporto tra ciò che l'uomo ha dentro e ciò che l'uomo riceve fuori.

Se l'uomo dentro non ha niente, non vede niente.

Ciò che l'uomo ha dentro, è fattore dominante per vedere, per cui il vedere è essenzialmente determinato da ciò che l'uomo ha dentro di sé.

Abbiamo fatto una distinzione tra il dentro e il fuori.

Fuori e ciò che arriva all'uomo senza l'uomo.

Dentro è ciò che non si forma nell'uomo senza l'uomo.

Allora l'elemento interiore, il fattore dominante per la visione, per aprire gli occhi, non si forma nell'uomo senza la partecipazione dell'uomo.

Ci siamo chiesti che cosa ci deve essere nell'uomo perché possa vedere.

Vedere la verità vuol dire capire, giustificare.

Abbiamo detto che due sono le "posizioni" che ci possono essere nell'uomo: "chi" o "che cosa".

Qui avevano chiesto: "chi" gli ha aperto gli occhi ma, il più delle volte l'uomo, nel suo mondo di esperienze, quindi in tutto il mondo della scienza, non chiede "chi" apre gli occhi all'uomo.

La scienza chiede "che cosa" apre gli occhi all'uomo.

Allora abbiamo fatto la distinzione tra "chi" e "che cosa".

Il "chi" significa la persona, il "che cosa" significa la cosa, lo strumento.

La persona si caratterizza per l'intenzione, mentre la cosa è uno strumento.

Ogni persona è tale, in quanto ha un'intenzione, può essere un'intenzione sbagliata ma, una persona è tale in quanto ha in sé un’intenzione.

Abbiamo visto anche il rischio che corre l'uomo nello strumentalizzare le persone o nel personificare le cose.

L'uomo che scambia il mezzo per fine (i mezzi abbiamo detto sono le cose), lo considera persona, per cui la cosa diventa intenzione dell'uomo.

L'uomo può anche sbagliare strumentalizzando le persone, facendo servire le persone ai suoi fini, quindi togliendo alle persone il pensiero, l'intenzionalità.

Strumentalizzando le persone ai suoi fini, l'uomo cosifica le persone.

Cioè c'è un processo di cosificazione nell'universo, da parte di tutta l'umanità.

Sono errori, perché la persona va considerata come persona e la cosa come cosa.

I mezzi sono mezzi e quindi vanno usati come strumento per un fine.

Le persone hanno in se stesse il fine.

Basta questo per capire come non si possa usare una persona per nessuna istituzione al mondo, non c'è nessuna struttura, nessuna nazione, società che possa giustificare il fine di una persona.

La persona ha in se stessa il suo fine e deve essere trattata per questo.

Dio rispetta ogni persona come persona, per questo Dio opera convincendo, non imponendo, perché si entra nel Regno della Verità come persone, non come strutture o istituzioni o cose.

Ci siamo chiesti chi deve esserci nel mondo interiore dell'uomo, perché l'uomo possa vedere.

Che cosa o chi apre gli occhi all'uomo?

Aprire gli occhi vuol dire vedere, capire, giustificare.

Si giustifica in quanto si vede un'intenzione.

Soltanto se in noi è presente quell'Intenzione che giustifica tutto quello che arriva noi senza di noi, noi possiamo avere in quella luce, la visione, la giustificazione di tutte le opere cui assistiamo.

Perché noi siamo fatti spettatori di opere che non sono fatte da noi.

Non siamo noi i creatori.

Un altro è il Creatore.

Ma proprio per questo, solo se noi abbiamo presente l'Intenzione, il Pensiero del Creatore, abbiamo la possibilità di vedere, capire, giustificare le opere del Creatore.

Questo ci fa capire perché c'è la notte nella nostra vita, perché ci sono le tenebre e il mistero.

La notte e il mistero ci saranno e possono esserci eternamente, fintanto che in noi c'è un'intenzione diversa da quella che opera attorno a noi.

Solo se noi mettiamo in noi quell'Intenzione che opera tutte le cose che sono fatte senza di noi, noi possiamo attingere la luce. Quello che apre a noi gli occhi è questa Intenzione, questo Pensiero.

Ma dire intenzione, pensiero, è dire persona.

Poiché abbiamo detto che quello che caratterizza la persona è l'intenzione.

Le cose ricevono intenzioni dal di fuori di sé, la persona ha l'intenzione dentro di sé.

Ciò che apre gli occhi all'uomo è l'intenzione e questa intenzione deve essere quella di Colui che fa tutte le cose senza l'uomo. Evidentemente chi apre gli occhi all'uomo è il Creatore, è Dio in quanto Dio è interiorizzato.

Non basta esclamare: "Dio, Dio", perché i nostri occhi si aprano.

Dio deve essere interiorizzato in noi.

Interiorizzare Dio, vuol dire conoscere Dio nella sua Intenzione.

Di più nel suo Pensiero.

Non sono Dio ma Dio e il suo Pensiero.

Non basta che io conosca una persona, perché capisca quello che fa quella persona.

Solo il giorno in cui conosco l'intenzione di quella persona, il pensiero di quella persona, ho la possibilità di capire il significato di tutto quello che fa quella persona.

Quello che illumina è l'intenzione.

Non basta avere presente un essere, ci vuole l'essere più l'intenzione dell'essere per avere la luce.

Visto questo, abbiamo la possibilità adesso di renderci conto della responsabilità che l'uomo ha di fronte alla luce, poiché la luce non viene all'uomo senza la partecipazione personale dell'uomo, perché richiede questa interiorizzazione, e se richiede questo, l'uomo corre il rischio delle tenebre eterne, di non giungere mai alla luce, di non vedere, perché la luce non si forma senza di lui. La luce richiede questo dato interiore.

Sappiamo anche come ci sia differenziazione nel Regno di Dio, nella luce della Verità, tra persona e persona, poiché la luce è in relazione a quello che ognuno ha interiorizzato.

Qui scaturisce il concetto di responsabilità.

La responsabilità viene dal fatto che l'uomo è interrogato.

Sono le interrogazioni fatte all'uomo che introducono l'uomo nella luce, nella contemplazione, nella conoscenza.

Ma quando l'uomo subisce interrogazioni, si assume una responsabilità, quella della risposta.

Quando è interrogato, l'uomo deve dare una risposta: sì o no.

Ed è il parlare essenziale dell'uomo.

Gesù infatti dice: "Il vostro parlare sia sì, sì, no, no, il resto viene dal maligno".

Nell'essenza tutto il parlare dell'uomo è dire sì o no su ciò cui è interrogato.

Per dire sì, deve avere presente Dio, altrimenti non lo può dire.

Dire no, è non tenere conto di Dio.

Ma le creature sostanzialmente dicono no.

Per cui la creatura, che vive nel pensiero del suo io, naturalmente dice no a Dio e dicendo no, si chiude alla luce.

La condizione per poter dire sì e quella della Presenza di Dio.

Noi non possiamo dire sì, se non alla presenza di Dio.

Il sì, scaturisce dalla Presenza in noi di Dio, quindi dalla fede in Dio.

Quando l'uomo è interrogato, dà una risposta ed è in questa risposta che si assume la responsabilità della Verità stessa.

Non c'è nessuna istituzione, nessuna autorità che possa garantire la Verità all'uomo.

La responsabilità della Verità sta nell'uomo stesso.

È l'uomo che, di fronte alla Verità, dice sì o no.

Nessuno può dire sì o no al suo posto, perché è un processo d’interiorizzazione e solo attraverso questo processo, l'uomo giunge a vedere.

Nessuno dal di fuori, istituzioni, maestri, eccetera, può sostituirsi all'uomo nel dire sì.

Per questo l'uomo è il solo di fronte alla morte.

La morte non è altro che l'allontanamento dell'uomo da tutto ciò che non è Dio, per porre l'uomo di fronte alla Verità, di fronte a Dio.

Qui l'uomo è solo, com’è solo di fronte alla morte.

La morte è annullamento di ogni altro valore, di ogni punto fisso di riferimento per mettere l'uomo in diretto rapporto con l'unico punto fisso di riferimento del cielo: Dio.

Nella fine si rivela ciò che l'uomo è, sostanzialmente anche quando è immerso nel mondo, in mille problemi, con tutti i suoi punti di riferimento che ha e su cui fa conto, l'uomo è solo di fronte al problema della Verità, di fronte a Dio.

È lui che deve assumersi la responsabilità della Verità, di riconoscere la Verità, perché soltanto in quanto si assume questa responsabilità di riconoscere personalmente la Verità, solo in se stesso ha la condizione per vedere.

Qui possiamo dividere gli uomini in due grandi classi: uomini che hanno interesse per vedere e uomini che hanno interesse per possedere.

Al centro dell'interesse del possedere abbiamo il pensiero dell'io.

Al centro del problema del vedere c'è Dio.

Fintanto che l'uomo non supera il pensiero di sé, anche se è religiosissimo, anche se appartiene a comunità e sante istituzioni, se non supera il pensiero del suo io, è condizionato da questa situazione: tende a possedere.

Solo in quanto l'uomo muore a se stesso, dimentica sé per riferire le cose a Dio, solo lì scaturisce nell'uomo stesso la passione per vedere e non più la passione per possedere.

A questo punto l'uomo non è più interessato per possedere, ma per vedere, per capire.

Perché da Dio si rende conto che la vita vera sta nel conoscere la luce, com’era nel principio: "In principio la luce era la vita degli uomini".

È qui che avviene la nascita, l'inizio della vita interiore, spirituale.

L'uomo incomincia veramente a vivere, quando incomincia sentire il bisogno di capire, di conoscere personalmente la Verità.



"Ma ora come veda, non lo sappiamo, né conosciamo chi gli ha aperto gli occhi; interrogate lui, dica lui ciò che lo riguarda, ne ha l'età."

Gv 9 Vs 21


RIASSUNTI Domenica-Lunedì.


Argomenti: Il regno di Dio è in noi. La capacità di vedere è data dall’intenzione. La luce viene da Dio. L’interiorizzazione è personale. La parola di Dio ci rende responsabili. Soltanto Dio è. Felicità e Dio.

 

Le illusioni degli uomini. Cosa vuol dire interiorizzare. Vegliare. La presenza della persona m’interroga. Dio e i doni di Dio.


 

13/Dicembre/1987 Casa di preghiera Fossano.