"Ma ora come veda, non lo sappiamo, né
conosciamo chi gli ha aperto gli occhi; interrogate lui, dica lui ciò che lo riguarda,
ne ha l'età.".
Gv 9 Vs 21 Primo tema.
Titolo: La
via della luce.
Argomenti: I limiti del sapere
umano-scienze: invito a rivolgersi a Dio. Il “come attraverso cui l’uomo giunge alla
Luce. Cosa vuole dire
vedere? Il vedere è un rapporto tra
l'interno e l'esterno. Guardando da
Dio si forma la capacità di vedere.
22/Novembre/1987
Casa di preghiera Fossano.
Stiamo al versetto 21 del capitolo nono di San Giovanni.
Qui i genitori dicono: "Ma come ora vede noi, non lo
sappiamo, né conosciamo chi gli ha aperto gli occhi, interrogatelo, dica lui
ciò che lo riguarda, ne ha l'età".
Anche qui dobbiamo chiederci quale lezione Dio vuole dare
a noi, attraverso la scena di questi genitori dell'uomo che era nato cieco che,
interrogati dai farisei rispondono in questi termini.
Prima hanno detto ciò che sapevano, adesso dicono ciò che
non sanno.
Che cosa sapevano?
Sapevano che costui è veramente loro figlio e che è nato
cieco.
Che cosa non sanno?
Non sanno come adesso veda, non sanno chi gli abbia
aperto gli occhi.
Poi fanno una proposta: "Interrogatelo, dica lui
come ciò è avvenuto, ne ha l'età".
In questi tre termini c'è il riepilogo della voce di
tutto il mondo, di tutte le creature.
Ci sono cose che le creature dicono, ci sono cose che le
creature non possono dire.
Ci sono cose che le creature sanno, ci sono cose che le
creature non sanno.
Però da tutte le creature giunge a noi una
sollecitazione: "Interrogate, cercate di capire che cosa vi dicono".
Ogni uomo è responsabile di ciò che Dio gli fa e lui solo
sa quello che Dio gli fa.
Ci sono quindi questi due grandi piani, annunciati nelle
altre domeniche: il piano delle cose che le creature sanno e il piano di ciò che
non sanno e non possono sapere.
Abbiamo visto che è molto importante
sia il significato di ciò che gli uomini sanno, sia significato di ciò che
gli uomini non sanno, poiché sia ciò che l'uomo sa, sia ciò che l'uomo non sa,
in quanto è così, è voluto da Dio.
Se è voluto da Dio, ha un suo significato.
Quindi c'è il significato di ciò che l'uomo sa, e c'è il
significato di ciò che l'uomo non sa.
Il significato di ciò che l'uomo sa, tende verso un
limite, un muro.
Qui i genitori dicono di sapere che costui è il loro
figlio e che è nato cieco e in questo rivelano che le creature sanno che
rapporto c'è tra loro e il mondo, sanno il rapporto che c'è tra creatura e
creatura e questo è rappresentato dalle scienze.
Ma tutto ciò che l'uomo sa, va verso un muro.
Le scienze concludono davanti a un muro: l'uomo non sa il
perché delle cose, non sa come le cose avvengano ("Come ora veda, noi non
lo sappiamo").
Questo è il muro di tutte le scienze, nessuna scienza può
giustificare come Dio crea, come Dio opera tutte le cose.
C'è un limite ed è molto importante capire il significato
di questo limite.
Due sono i limiti: il limite di tutto ciò che l'uomo sa
(le scienze) e il limite di tutto ciò che l'uomo non sa.
Questi limiti non sono stati posti da Dio come muri
perché l'uomo non vada oltre.
Qualcuno ha addirittura interpretato il peccato originale
come un desiderio di conoscenza.
L'uomo è stato creato per conoscere, Dio è luce, Dio non
ama le tenebre e se qualcuno è nelle tenebre e dice di essere con Dio è
menzognero dice San Giovanni (la vita eterna è conoscere Dio).
E quando non si conosce che si fanno i delitti in nome di
Dio, credendo di rendere gloria di Dio: "Perché non hanno
conosciuto". Gerusalemme viene condannata perché non ha conosciuto l'ora
in cui è stata visitata, quindi non conoscere diventa un peccato nella vita di
ogni uomo.
D'altronde se Dio creando l'uomo, ha posto nell'uomo il
desiderio della Verità e la nostra anima è sostanzialmente desiderio di Verità,
passione di Verità, e l'uomo sente la passione dell'Assoluto, Dio non inganna
l'uomo.
Dio è fedele e se fa sentire all'uomo, il bisogno della
Verità è perché vuole dare questa Verità all'uomo.
Abbiamo ascoltato l'ultimo messaggio della Madonna a
Medjugorie, in cui dice che Dio vuole concedersi in tutta la sua pienezza. Ora
quando si dice "in tutta la sua pienezza”, vuol dire niente escluso,
quindi Dio vuole farsi conoscere.
È questione di fedeltà da parte di Dio.
Dio, in tutte le sue opere fa sentire una grande promessa
all'uomo, la promessa di concedere ciò di cui gli fa sentire il bisogno.
Dio creando l'uomo ha posto nell'uomo il bisogno di
conoscere la Verità, è una promessa, e Dio certamente è fedele.
Quindi il problema della conoscenza è essenziale.
Allora perché ci sono i limiti?
Qual è la funzione dei limiti?
È molto importante comprenderne il significato.
Abbiamo detto che due sono i limiti nella vita dell'uomo:
il limite di ciò che conosce e il limite di ciò che non conosce.
Il limite di ciò che conosce (quindi tutte le scienze) è
determinato dal muro.
A un certo momento l'uomo si trova nell’impossibilità di
attingere, di capire il significato delle cose.
Questo perché?
Perché si deve formare nell'uomo l'interesse per le cose
del cielo.
Per cui l'uomo a un certo momento deve fare il passaggio,
che è un passaggio meraviglioso, dalla conoscenza delle cose della terra che
conclude con un muro, alla conoscenza delle cose del cielo.
La conoscenza delle cose del cielo non può essere donata
all'uomo se l'uomo non ha interesse per essa.
I doni maggiori, la conoscenza di Dio, possono essere
dati solo là, dove sono richiesti.
"Chiedete e vi sarà dato, domandate e vi sarà
aperto".
È la condizione necessaria.
Dio ha in mano un'infinità di doni che non può dare agli
uomini perché nessuno sale a chiederglieli, a volerli.
Ecco il significato del primo limite: Dio limita le
strade del mondo, limita il tuo sapere, perché tu abbia davvero interesse per
le cose del cielo, a innalzare il tuo desiderio alla conoscenza di Dio.
Poi c'è l'altro limite di cui bisogna capire il
significato: il limite delle cose che non sappiamo.
C'è certamente tutto un campo di cose di cui l'uomo non
può parlare, perché non sa.
Qual è il significato di questo limite?
Evidentemente se nessun uomo può rispondere a certi
interrogativi, il significato sta nel fatto che c'è un invito a rivolgerci
altrove. Se a un certo momento tutte le creature non possono rispondere
all'interrogativo che si forma nell'animo umano, questo è segno che l'animo
umano non deve più rivolgersi alle creature ma a Dio.
Quindi là, dove le creature non possono dire il
significato, c'è l'invito da parte di Dio all'anima dell'uomo a rivolgersi a
Lui, perché Lui solo può dire ciò che le creature non possono dire, Lui solo
può dire il perché, il come di tutto ciò che fa, perché la ragione di tutte le
cose che accadono nella nostra vita è nel Creatore, è
nell'Intenzione, nel Pensiero del Creatore.
Tutta la creazione è fatta nel Pensiero di Dio per il
Pensiero di Dio.
Questo ci rivela che non dobbiamo rassegnarci ai limiti,
ma dobbiamo andare oltre.
I limiti hanno un significato profondo ed è di quello di
formare l'interesse per ciò che non sappiamo e per indicarci il luogo in cui
noi possiamo trovare ciò che non sappiamo.
Quindi i limiti non ci sono dati per farci arrestare, non
per farci rassegnare, ma per farci andare avanti.
Ma non solo: Dio ci indica attraverso il limite di ciò
che le creature non possono dire, il luogo in cui possiamo trovare ciò di cui
abbiamo bisogno, la risposta.
Per questo a un certo momento i genitori dicono:
"Questo noi non lo sappiamo, interrogate lui".
A un certo momento tutte le creature dicono: "Questo
lo so, questo non lo so, interroga".
Ma chi interrogare?
Interroga Dio, perché soltanto interrogando Dio tu,
potrai ottenere la risposta a quella fame, a quella sete, a quel bisogno di
Verità che Dio stesso ha posto in te.
Colui che ha creato il bisogno di Sé in te, è ancora Lui
che si è riservato a Sé e a nessun altro la risposta di questo bisogno.
Ogni uomo è affidato personalmente a Dio e ogni uomo è
tenuto quindi a non dare il nome di maestro a altro o altri.
"Saranno tutti ammaestrati da Dio".
In Dio non c'è tempo, non c'è il futuro, quindi quel
"saranno" è soltanto un annuncio da parte di Dio, per dire a noi una
cosa di cui dobbiamo prendere coscienza oggi, per dire a noi che tutti gli
uomini sono ammaestrati da Dio.
Il tema di questa sera è la via della luce.
Il problema è come ora quel cieco ci veda.
Nessun uomo sa come si passa dalla cecità alla luce,
attraverso quali vie la luce giunga in un'anima.
Questo cieco rappresenta ogni uomo, perché ogni uomo
nasce cieco e ogni uomo ha bisogno di trovare la luce e chi aprirà gli occhi
all'uomo?
In quest'uomo è rappresentato ogni uomo ed è simbolico
anche il "come" attraverso il quale questo cieco nato è stato
guarito.
Ha incontrato Gesù che gli fece del fango in giorno di
sabato, glielo pose sugli occhi, gli disse: "Va a lavarti nella piscina di
Siloe". Lui ha creduto alla Parola di Gesù ed è andato, si è lavato, e ora
vede.
Tutte lezioni di Dio.
Quel cieco nato, rappresenta ogni uomo, quindi in questa
trama attraverso cui è venuto a vedere, c'è qualche cosa sul "come"
Dio opera per portarci alla luce.
Ha creduto alla Parola, è andato a lavarsi nella piscina
di Siloe (si è purificato in ciò che è "mandato da Dio") e ha visto.
"Siloe" significa "mandato da Dio".
Il momento magico in cui ha acquistato la vista, è stato
un momento in cui si è lavato.
Il problema è capire cosa vuol dire a lavarsi in queste
acque di Siloe, lavarsi in queste acque che rappresentano ciò che viene da Dio,
perché questo è segno di Dio, è creazione di Dio, e tutto quello che viene da
Dio, viene come un miracolo a noi.
C'è una lezione profonda ma, non c'è la luce per farci
capire spiritualmente il significato.
Anche se ci aiuta, perché traccia certi segni.
Bisogna incontrare Gesù.
Bisogna lasciarci coprire di fango gli occhi, perché non
sappiamo di avere gli occhi pieni di terra, crediamo di vedere.
Quindi abbiamo bisogno che Dio ci accechi.
Poi abbiamo bisogno di sentire da Lui la Parola, di
credere a questa Parola e abbiamo bisogno di andare a lavarci nella piscina di
Siloe.
Il momento magico.
Il cieco nato dirà: "Sono andato, mi sono lavato e
ora ci vedo".
Ma quello che dice rappresenta un miracolo.
Con Dio e in Dio non ci sono atti magici.
Dio opera convincendo.
La luce è convinzione, la luce fa vedere, fa capire,
giustifica.
Quindi il modo in cui opera Dio nella nostra anima non è
in modo magico.
Il modo magico Dio lo opera nella creazione, negli
avvenimenti.
Tutti gli annunci di Dio si concludono in assenza di Dio,
ma la conoscenza si conclude in presenza.
Il che vuol dire che bisogna passare dall'annuncio
all'intelligenza.
Ma se si parla d’intelligenza, non si parla di atto
magico, qui c'è la partecipazione che per essere tale deve essere consapevole,
per cui si dice: "È così".
Dio con un miracolo ha dato la luce a un cieco nato ma,
questo è soltanto un segno per dirci che la luce viene da Lui.
Quando la luce viene da Dio e illumina l'anima, non è più
un atto magico, è una partecipazione consapevole dei figli di Dio.
Tutti noi siamo chiamati a diventare figli di Dio.
I figli di Dio nascono da Dio consapevolmente, quindi si
rendono conto per partecipazione personale, non c'è l'atto magico.
Per questo noi viviamo nel mistero e ci troviamo nella
notte, fintanto che non attingiamo le cose dal Principio Creatore, da Dio, da
ciò che Egli è.
Perché il punto di luce é Dio Creatore.
Quindi il problema è renderci conto di cosa vuol dire vedere.
Apparentemente è abbastanza semplice perché noi vediamo
con gli occhi.
Chi ha gli occhi vede, chi non ha gli occhi non vede.
Però basta fare un piccolo passo che già ci troviamo
davanti a un muro e non capiamo più.
Bisogna avere gli occhi per vedere?
Dio stesso dice: "Hanno occhi e non vedono" e questo
ci fa pensare che si possono avere gli occhi e non vedere.
Se uno entra in una stanza buia, può anche avere gli
occhi spalancati ma non vedere e inciampare.
Non basta avere gli occhi, ci vuole la luce.
Ma ci può essere la luce, si possono avere gli occhi e
non vedere affatto.
Un neonato ha gli occhi aperti, c'è la luce ma non vede
niente.
Un morto può avere gli occhi aperti, ci può essere la
luce, ma non vede niente.
Si può fare un trapianto degli occhi da un morto a un
vivo e gli occhi trapiantati nel vivo vedono.
Com'è possibile?
Sono tutte lezioni di Dio.
Evidentemente il vedere non dipende né dagli occhi, né
dalla luce esterna.
Il vedere dipende dal fatto di essere vivi dentro.
Ma anche il neonato è vivo e non vede, guarda e non vede.
Ecco l'argomento del vedere.
Il vedere si forma dentro di noi a poco a poco.
Certo se ci sono gli occhi che sono mezzi, ci vuole la
luce esterna ed è un mezzo, però se l'uomo è morto dentro, non bastano né gli occhi,
né la luce esterna per farlo vedere.
Allora diciamo che il vedere è un
rapporto tra ciò che è dentro e ciò che è fuori.
Ma quello che è dentro è dominante, se dentro si è morti,
non c'è niente che ci possa far vedere.
Cosa vuol dire fuori, cosa vuol dire dentro?
Fuori è tutto quello che viene a noi senza di noi, dentro
è ciò che non si forma senza di noi.
Ecco perché il neonato appena nasce non vede, perché il
vedere si forma per mezzo della creatura.
Si vede con quello che c'è dentro e il dentro non si
forma senza di noi.
Non basta che ci sia il mondo esterno, non basta avere
gli occhi aperti, bisogna che si sia formato il dentro.
Dentro si forma per partecipazione.
Il vedere è un rapporto fra l'interno e l'esterno ma,
l'interno non si forma senza di noi, e se dentro di noi, noi abbiamo il vuoto,
noi vediamo niente, anche se fossimo in pieno sole.
Questo ci fa intuire una cosa stupenda: come ci sia
l'inferno in cui non si vede niente, come ci sia il paradiso in cui si vede
tutto.
Sia l'inferno, sia il paradiso non dipendono dall'esterno
ma dall'interno.
Se uno dentro ha niente, non può vedere niente.
Tutto è in relazione a quello che porta dentro, e quello
che una porta dentro non si è formato senza di lui.
Senza la partecipazione personale.
Questo ci fa capire che si arriva a un certo momento in
cui il vedere richiede la responsabilità nostra e il vedere diventa una cosa
personale.
Non basta mettere un bel quadro di fronte a una persona perché
questa ne possa godere, tutto dipende da quello che tale persona ha
interiorizzato.
Le vie del vedere passano attraverso la partecipazione
personale dell'uomo.
Il principio della luce è Dio.
Vedere vuol dire giustificare, capire e la cosa è possibile
soltanto con Dio e da Dio.
La capacità di vedere non si forma in noi senza di noi.
Ognuno vede in relazione al luogo in cui si trova.
Ogni luogo è un punto di vista, è un punto di
osservazione.
Il vero punto di osservazione è Dio, e solo da Dio che si
vede la Verità.
A Nicodemo che credeva di vedere (perché c'è anche
l'illusione di vedere), Gesù dice che se non rinasce dall'alto non può vedere
il Regno di Dio, non può vedere la Verità.
Ecco il luogo da cui si vede, l'alto è Dio: il luogo da
cui si vede.
Allora capiamo anche cosa vuol dire che il Regno di Dio è
dentro di noi.
Non aspettatevelo fuori perché se il Regno di Dio è
vedere la Verità, ciò che ci rende capaci di vedere è quello che abbiamo
interiorizzato.
Soltanto nella misura in cui siamo nati da Dio, noi
abbiamo la possibilità di vedere.
Questo nascere da Dio è un fatto essenzialmente interiore
e sta nel portarci nel luogo (il luogo di Dio) in cui si vede la Verità.
A questo punto dobbiamo chiederci: abbiamo la possibilità
di portarci nel luogo in cui si vede?
Qui capiamo perché Dio ci ha dato il pensiero.
L'unica possibilità che abbiamo di trasferirci dal punto
in cui ci troviamo, al punto in cui si vede è il pensiero.
Il punto in cui ci troviamo è quello che esperimentiamo nel
pensiero del nostro io.
Ma nel pensiero del nostro io certamente non possiamo
conoscere Dio, siamo chiusi fuori, impotenti.
L'uomo ha la possibilità di trasferirsi dal luogo in cui
si trova, al luogo dal quale si vede la Verità?
L'unico mezzo dato all'uomo per trasferirsi da-,a-, è il
pensiero.
Dio ci ha dato il pensiero per questo, non per conoscere
le cose del mondo, non per vivere delle cose del mondo ma, per darci la
possibilità di trasferirci dal luogo in cui esperimentiamo le cose del nostro io,
al luogo da cui si vede la luce, la Verità.
L'uomo con il suo pensiero può pensare Dio.
Pensare Dio cosa vuol dire?
Vuol dire guardare le cose da Dio.
Questo vuol dire rinascere dall'alto, guardare le cose da
Dio.
Soltanto nella misura in cui uno guarda da Dio, si forma
in lui la capacità interiore di vedere.
"Ma ora come veda, non lo
sappiamo, né conosciamo chi gli ha aperto gli
occhi; interrogate lui, dica lui ciò che lo riguarda, ne ha l'età."
Gv 9 Vs 21 Secondo
tema.
Titolo: Chi
o che cosa?
Argomenti: Differenza tra persona e cosa.
Cosificare le persone e personificare le cose. Vedere
è un rapporto. L’intenzione che
fa l'esterno deve essere nel nostro interno. L’intenzione diversa da Dio ci fa leggere male la creazione. Considerare Dio come persona. Essere persona e consapevolezza di essere persona. Strumentalizzare Dio. Amare
Dio per quello che è, non per i suoi doni.
29/Novembre/1987 Casa di preghiera Fossano.
Restiamo ancora nel versetto 21 del capitolo nono di San
Giovanni, dove i genitori del cieco guarito da Gesù dicono: "Ma come ora
veda noi, non lo sappiamo, né conosciamo chi gli ha aperto gli occhi,
interrogatelo, dica lui ciò che lo riguarda, ne ha l'età".
Prima questi genitori hanno detto quello che sapevano, sapevano
che costui veramente era loro figlio e che era nato cieco.
Adesso dicono quello che non sanno: "Come ora veda
noi non lo sappiamo".
Questo è stato l'argomento di domenica scorsa.
Adesso aggiungono: "Né conosciamo chi gli ha aperto
gli occhi", è l'argomento di questa domenica.
Dopo aver detto il "come", cioè che loro non
sapevano come ora vedesse, dicono: "Noi non sappiamo chi sia che gli ha
aperto gli occhi".
Anche noi dopo aver visto come, ciò cioè dopo aver visto
la via attraverso la quale l'uomo giunge a vedere, adesso abbiamo la
possibilità di capire chi apre gli occhi all'uomo.
Il tema di oggi è questo: chi apre gli occhi.
Basta quest’accenno, per avvertire subito un problema:
"chi" o "che cosa".
Qui i genitori dicono: "Non sappiamo chi gli ha
aperto gli occhi".
Fossero gli scienziati, chiederebbero "che
cosa" ha aperto gli occhi a quel cieco.
Molto probabilmente questi ultimi andrebbero a cercare il
motivo, la causa di ciò che era avvenuto in quell'uomo cieco, nella virtù del
fango che Gesù pose sugli occhi di quell'uomo, o nella fede che guarisce (aveva
ascoltato la Parola di Gesù e vi aveva creduto), oppure nella virtù dell'acqua
in cui si era lavato, l'acqua di Siloe.
Cioè gli scienziati cercherebbero "che cosa"
gli ha aperto gli occhi.
Siccome tutto è lezione e Parola di Dio per noi, anche
qui dobbiamo chiederci che cosa Dio ci voglia significare per la nostra vita
essenziale, poiché in tutto ciò che accade, in tutto ciò che avviene, c'è una
Parola di Dio per noi, per la nostra vita vera.
Dio fa tutto per condurci a vedere la Verità e siccome
Lui non fa niente di inutile, in ogni cosa dobbiamo cogliere quell'insegnamento
prezioso per il nostro cammino verso la conoscenza della Verità che è vita eterna,
tutto è pedagogia per la vita eterna.
Qui abbiamo uomini che dicono di non sapere chi abbia
aperto gli occhi.
La prima cosa da chiederci è questa: cosa significa
"chi" e cosa significa "che cosa"?
Il "chi" significa persona, il "che
cosa" significa cosa.
Dove sta la differenza tra una
persona è una cosa?
La persona è un esistente che ha in se stesso la ragione
di sé e di ciò che vuole, la ragione del suo fine.
Ogni persona si edifica nel suo fine ma, il fine l'ha in
se stessa.
Ogni vivente ha un fine.
La persona si caratterizza in questo: ha il suo fine in
se stessa.
La cosa invece è l'esistente che non ha il fine in sé.
Il movente l'ha altrove da sé.
La cosa è un mezzo per-, la persona invece non è mai un
mezzo per-.
Già qui possiamo capire quanti errori noi facciamo verso
le persone, perché le persone non possono essere utilizzate come mezzi per-,
senza offesa, poiché la persona ha in se stessa al fine, l'intenzione.
Utilizzare la persona come mezzo per un altro fine, è
offendere la persona, è sminuirla, e strumentalizzarla.
Così capiamo come noi possiamo cosificare le persone,
possiamo cosificare anche Dio, possiamo rendere Dio un mezzo, uno strumento.
E possiamo personalizzare le cose, cioè possiamo trasformare i fini in mezzi e possiamo trasformare i mezzi in
fini.
Quando noi viviamo per una cosa (abbiamo detto che
"cosa" è ciò che ha come fine altro da sé), la consideriamo come
fine, ecco che noi trasformiamo un mezzo in fine ed è errore, peccato.
Quando noi utilizziamo una persona per un fine diverso da
quello che è in quella stessa persona, noi commettiamo una colpa verso quella
persona, un errore.
Quindi quando noi utilizziamo Dio, ci rivolgiamo Dio, o
attendiamo da Dio qualche cosa per un fine nostro, noi strumentalizziamo Dio, noi
togliamo a Dio il carattere di persona e lo riduciamo a cosa.
Questo ci fa capire come, solo se noi siamo orientati a
Dio, abbiamo la possibilità di comportarci bene verso tutte le cose.
Per cui possiamo dire che il rapporto che passa tra il
mondo, le creature e noi, corrisponde al rapporto che passa tra noi e Dio.
Dio è persona, perché Dio ha in Se stesso la ragione di
Sé, il fine di Sé, la sua Intenzione.
Quindi quando si cerca la giustificazione in una cosa, di
un avvenimento (qui la guarigione di un uomo che era nato cieco), si fa un
errore grosso, perché non è nelle cose la giustificazione degli avvenimenti.
Le cose sono mezzi che hanno bisogno di essere
giustificati a loro volta, sono mezzi per un fine.
Quindi la giustificazione di tutto ciò che accade va
cercata nella persona, nella Persona Divina, ma non in Dio considerato come
cosa, in Dio considerato come Persona, e c'è una grande differenza.
Quindi il problema e del "chi".
È giusto chiederci: chi gli ha
aperto gli occhi?
Quando domenica scorsa abbiamo riflettuto sul fatto del
vedere, abbiamo notato che il vedere è una conseguenza del rapporto tra ciò che
l'uomo ha dentro di sé e ciò che l'uomo ha fuori di sé e che ciò che l'uomo ha
dentro di sé è l'elemento dominante per vedere le cose fuori.
Il che vuol dire che ogni uomo vede a seconda di ciò che
ha interiorizzato, di ciò che porta dentro di sé.
Non s’interiorizza niente senza la partecipazione
dell'uomo.
Tutto ciò che accade fuori dell'uomo, accade senza
l'uomo.
Ma tutto ciò che si forma nell'uomo non si forma senza
l'uomo.
Ora quello che si forma dentro l'uomo è il fattore
dominante nella visione dell'uomo stesso, per cui l'uomo vede in conseguenza di
quello che si è formato dentro di lui.
Per questo abbiamo detto che l'uomo alla nascita è cieco.
Man mano che partecipa, interiorizza, incomincia vedere.
Quindi la visione è la conseguenza di questi due fattori.
Ma uno di questi due fattori richiede la partecipazione
dell'uomo.
Tutto quello che accade fuori, è caratterizzato da
questo: accade indipendentemente dall'uomo.
Per cui l'uomo è sorpreso dagli avvenimenti, dai fatti.
Qui gli uomini sono sorpresi da quest’avvenimento, un
uomo cieco dalla nascita che acquista la vista, è un avvenimento accaduto
indipendentemente da loro, essi non sanno "come" e dicendo: "Non
sappiamo come", testimoniano che l'avvenimento è indipendente da loro, non
sono loro che l'hanno fatto.
La creazione, gli avvenimenti, tutti i fatti di ogni
giorno ci sorprendono, non sappiamo come arrivino noi, eppure arrivano.
Invece quello che si forma dentro di noi, non si forma
senza di noi, richiede la nostra partecipazione
In conseguenza di questo noi cominciamo a vedere.
Allora il problema è questo: che cosa ci deve essere
dentro di noi per vedere bene?
Noi diciamo che cosa, ma tenendo presente quello che
abbiamo detto prima, la persona, dobbiamo dire: "Chi deve esserci dentro
di noi per vedere bene?".
Quando diciamo così, diciamo persone e per persone intendiamo
coloro che hanno in se stessi, un'intenzione, una finalità che non le viene da
fuori di sé ma, che è in loro stessi, ed è questo l'elemento che caratterizza
la persona stessa.
Qui dobbiamo chiederci cosa deve formarsi in noi,
affinché noi possiamo vedere e intendere le opere del Creatore, come possiamo
intendere quello che avviene fuori indipendentemente da noi.
Quello che avviene fuori, fintanto che trova in noi, come
elemento interiore, qualche cosa che dipende da noi, certamente non è
comprensibile.
Per cui noi vediamo le cose fuori, restiamo sorpresi ma
non capiamo.
Perché non capiamo?
Perché quello che portiamo in noi dipende da noi.
Fin tanto che dipende da noi, non dà noi la possibilità
di capire quello che accade senza di noi.
La possibilità di capire ciò che accade senza di noi, si
forma in noi soltanto se in noi c'è la presenza di uno che è indipendente da
noi ma, che non è presente senza di noi.
Abbiamo detto che l'elemento si fa interiore a noi con la
partecipazione nostra, altrimenti non si fa interiore.
Tutto
il mondo esterno è un mondo che esiste indipendentemente da noi,
ma soltanto se noi abbiamo in noi ciò che è indipendente da noi, possiamo
intendere ciò che accade nel mondo esterno, altrimenti non possiamo intenderlo.
Infatti, per noi tutto è mistero, ma fino a quando?
Forse Dio ci ha creati per il mistero?
Per metterci di fronte un muro, a una parete?
No, Dio ci ha creati per la luce.
Ma se la luce dipende da ciò che abbiamo dentro, chi deve
esserci dentro di noi?
Evidentemente soltanto se dentro di noi c'è Colui che fa
quello che è fuori di noi.
Ma Costui è dentro di noi, solo se è partecipato da noi,
altrimenti non è dentro di noi.
Ed è partecipato da noi quando diventa la nostra
intenzione.
Noi interiorizziamo una cosa facendola nostra intenzione,
nostro fine.
Soltanto se Dio, in noi diventa nostra intenzione, nostro
fine, questo diventa in noi punto luce che dà noi la possibilità di
vedere, di capire le cose fuori di noi nella Verità, cioè secondo l'Intenzione
di Dio.
Non basta nemmeno il Pensiero di Dio, non basta dire:
"Io porto in me Dio, io attendo la luce da Dio", non basta dire:
"Io spero da Dio".
Dio deve essere in te come persona, altrimenti lo
consideri come mezzo per arrivare alla luce e Dio non ti dà la luce.
Tu devi considerare Dio come
persona.
Cosa vuol dire considerare Dio come persona?
Abbiamo detto che quello che caratterizza la persona è
l'intenzione.
Solo se in noi abbiamo presente nel nostro mondo
interiore l'Intenzione di Dio, il Fine di Dio, questo Fine dà noi la
possibilità di leggere, di capire quello che Dio fa arrivare noi. Questo punto
luce è persona, è "chi".
È "chi" in quanto è associato a una intenzione,
al pensiero, cioè al fine.
Tutte le cose sono state fatte e ancora oggi sono fatte
nel Pensiero di Dio, cioè nell'Intenzione di Dio, nel Fine voluto da Dio, quel
Fine che viene da Dio.
"Senza la sapienza da Te mandata nulla vale":
la sapienza da Te mandata è ciò che discende da Dio ed è il Fine di Dio, e
l'Intenzione di Dio.
Senza questa Intenzione di Dio, Dio in noi non è persona,
Dio in noi è mezzo, anche se lo supplichiamo da mattina a sera, noi
supplichiamo un mezzo, perché noi strumentalizziamo Dio per un nostro fine,
fosse anche la Luce.
Soltanto se noi teniamo presente Dio come persona, come
intenzione, come finalità, per quello che Lui vuole, per il fine che ha nel
creare tutte le cose, soltanto se in noi è presente questa finalità di Dio, noi
guardiamo le cose che arrivano a noi da Dio e noi abbiamo la possibilità di
leggere, di capire.
Ci siamo chiesti che cosa ci deve essere in noi per poter
vedere bene.
In noi deve essere il "chi", la Persona di Dio.
Ma siccome ogni parola che diciamo può essere fraintesa,
bisogna precisare che la persona è quell'esistente che ha in se stesso la
ragione di sé.
Soltanto conoscendo l'Intenzione, il Pensiero di Dio,
soltanto raccogliendo tutto nel Pensiero di Dio, abbiamo la possibilità di
salire al Padre.
Ma prima bisogna sottomettere tutto a questo Pensiero di
Dio, cioè all'Intenzione di Dio, perché questo dà noi la possibilità di leggere
bene, di vedere, di capire.
Lunedì
30/Novembre/1987
Luigi: La Madonna vive con il corpo in paradiso, nel cielo, ha spiritualizzato
tutto.
I nostri corpi? All’inizio Dio non ha creato la
morte, il che vuol dire che Adamo ed Eva erano destinati a spiritualizzare il
loro corpo.
Cristo risorto ha un corpo ma è spirito, una
dimensione del tutto diversa.
Il che vuol dire che c’è la possibilità.
Anche il corpo è in funzione dello spirito.
L’importante è vivere secondo lo spirito, poi
il corpo serve lo spirito meravigliosamente bene.
Il corpo è un ottimo servitore ma deve essere
servitore.
Se tu vivi per lo spirito di Dio, non hai
mica bisogno di curare il corpo, il corpo ti segue bene.
Come mezzo funziona bene, incomincia a
funzionare male quando io comincio a guardarlo e a vivere per esso.
Luigi: Possiamo crederci molto religiosi e intanto
trattiamo Dio come una cosa.
Come possiamo anche personificare le cose: se
noi viviamo per una cosa, quella cosa per noi ha il fine in sé e quindi diventa
persona.
Per cui possiamo fare due errori,
strumentalizzare le persone, cioè cosificarle e personificare le cose: io posso
vivere per il corpo e vivendo per il corpo, il corpo diventa il mio fine,
allora a questo punto qui io personifico il corpo e faccio un errore perché il
corpo è un mezzo, quindi è cosa, strumento.
Luigi: Dio essendo il Creatore ha in Sè la ragione di tutto ciò che esiste,
quindi soltanto in Dio io posso trovare la ragione, la giustificazione e quindi
la Luce su tutto ciò che esiste.
Cos’è la
verità? La verità ciò in cui è la ragione di una cosa.
Luigi: Noi diciamo tante parole ma cosa vuol dire dentro e fuori?
Fuori è tutto
ciò che arriva a noi senza di noi, dentro è ciò che non si forma in noi senza
di noi.
Evidentemente
quello che accade indipendentemente da me, è giustificato in qualcosa che è
indipendente da me, certamente il filo d’erba esiste indipendentemente da me,
perché non sono io che faccio il filo d’erba, allora la giustificazione di quel
folo d’erba è in qualcosa che è indipendente da me e fintanto che io considero
il filo d’erba come dipendente da me, io non potrò mai capire il filo d’erba.
Luigi: Io ho presente Dio come persona in quanto ho presente la sua intenzione,
il suo fine.
La persona è
caratterizzata dal fatto di avere in se stessa il suo fine, non fuori di sè,
allora io considero Dio come persona in quanto tengo presente il fine che ha
Dio, l’intenzione che ha Dio, il pensiero di Dio.
Ma se considero
Dio in Sè ma non tengo presente il suo fine, io non lo considero come persona.
Nel pensiero
del mio io, non posso intendere il filo d’erba, mentre in Dio come fine, lo
posso intendere poiché se Dio fa il filo d’erba lo fa in un fine.
Conoscendo
l’intenzione di una persona, io posso conoscere tutte le opere di quella
persona ma fintanto che non conosco l’intenzione di una persona, io non capisco
le opere che fa quella persona, quindi è l’intenzione che m’illumina.
Il filo d’erba,
deve entrare nell’intenzione di colui che fa il filo d’erba.
Se ti vedo
camminare su una strada, fintanto che non so dove tu vuoi andare, io non
capisco perché tu cammini su quella strada, lo posso sapere solo quando tu mi
riveli il tuo fine.
Luigi: Se io guardo una creatura, o io rispetto l’intenzione di quella persona o
altrimenti considero quella persona secondo la mia intenzione.
O io rispetto
l’intenzione dell’altro o applico la mia intenzione sull’altro, ma già leggendo
il giornale soffermandoti su certi articoli e rifiutandone altri applichi già
una intenzione.
Luigi: “La sapienza mandata da Dio”, quindi la sapienza è il pensiero di Dio, è
il fine di Dio, è il Figlio di Dio, è il Verbo: mandato da-.
Luigi: Dio ha in Se stesso la ragione di Sé, la sua intenzione sgorga da Lui, ma
se io vedo una bella macchina, io sono mosso dalla macchina, adesso la macchina
non sgorga dalla mia intenzione ma la mia intenzione sgorga dalla macchina.
Vedi il
capovolgimento come avviene?
Per cui io sono
motivato da una causa esterna a me.
E compio un
errore.
Perché sono
motivato dall’esterno.
Mentre invece
la persona ha in se stessa la motivazione.
Dio ha in Se
stesso la motivazione di Sè, quindi l’intenzione di Dio sgorga da quello che
Dio è, non sgorga perché Dio vede la bella macchina.
Io invece vedo la
bella macchina, vedo la creatura, vedo una bella casa, quindi il mio desiderio
è determinato da un fatto esterno.
Cercando invece
l’intenzione di Dio mi comporto bene secondo le cose, perché tutte le cose le
vedo secondo Dio.
"Ma ora come veda, non lo
sappiamo, né
conosciamo chi gli ha aperto gli occhi; interrogate
lui, dica lui ciò che lo riguarda, ne ha l'età."
Gv 9 Vs 21 Terzo tema.
Titolo: Ciò
che ci riguarda.
Argomenti: La solitudine dell’uomo di fronte alla morte. L'uomo interroga ed è interrogato. La
responsabilità dell'uomo di fronte alla luce. Persona e cosa. Interiorizzare Dio. La responsabilità dell'uomo. Conoscenza e possesso.
6/Dicembre/1987 Casa di preghiera
Fossano.
Restiamo ancora nel versetto 21, dove i genitori di quest'uomo
cieco dalla nascita e guarito da Gesù dicono: "Come ora veda, noi non
sappiamo, né conosciamo chi gli ha aperto gli occhi, interrogate lui, dica lui
ciò che lo riguarda, ne ha l'età".
Nelle domeniche precedenti ci siamo soffermati nella
prima parte di questo versetto: "Come ora veda noi, non lo sappiamo".
Poi nella seconda parte: "Né conosciamo chi gli ha
aperto gli occhi".
Oggi dobbiamo soffermarci su ciò che i genitori
concludono: "Interrogatelo, dica lui ciò che lo riguarda ne ha
l'età".
Prima questi genitori hanno detto ciò che sapevano:
"Sappiamo che costui è veramente nostro figlio e che è nato cieco".
Poi hanno detto quello che non sapevano: "Come ora
veda noi, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli abbia aperto gli
occhi".
Adesso, terzo passaggio dicono: "Interrogate
lui".
Sappiamo, non sappiamo, interrogate lui.
Con questo il cerchio si chiude.
I farisei avevano interrogato quel cieco, poi non
soddisfatti si erano rivolti ai genitori, i genitori adesso ripresentano la situazione
iniziale dicendo: "Interrogate lui".
È la vicenda di ogni uomo: prima noi
ci rivolgiamo alle creature, dalle creature ci rivolgiamo ai superiori, poi i
superiori ci ritornano alle creature e il cerchio si chiude.
Non si può dire altro.
Qui dicono: "Interrogatelo, dica lui ciò che lo
riguarda".
Già questo ci fa capire come a un certo momento, ogni
uomo viene a trovarsi solo di fronte al vero problema: "Dica lui ciò che
lo riguarda".
Non c'è nessuna creatura che possa rispondere per noi,
nemmeno i genitori, nemmeno i superiori, nemmeno le istituzioni.
L'uomo di fronte ai veri, grandi problemi della vita è
sempre solo, come è solo di fronte alla morte anzi, proprio la morte ci fa
capire la solitudine dell'uomo.
L'uomo certamente di fronte alla morte è solo, il
problema è essenzialmente suo.
Ma la morte rivela la nudità in cui si trova l'uomo in
tutta la sua vita.
L'uomo è un essere che, nella sua solitudine è
interrogato.
Interroga, (l'uomo è essenzialmente interrogazione) ed è
a sua volta interrogato.
Le interrogazioni poste dall'uomo formano la filosofia,
la scienza e tante religioni.
L'uomo che invece riceve le interrogazioni, è sollecitato
a convertirsi e a entrare nella Vita.
Gli interrogativi posti all'uomo formano la contemplazione,
la vita interiore, la vita spirituale, la vita eterna.
L'uomo entra della vita eterna (e questo è il vero
problema dell'uomo), ricevendo interrogazioni e chi pone interrogazioni
all'uomo, è Colui che fa l'uomo, è Dio stesso.
Qui dicono: "Dica lui ciò che lo riguarda".
Ciò che riguarda quest’uomo che era stato guarito da Gesù
dalla sua cecità: era al problema della luce.
Tutte le creature ci pongono di fronte a questo grande
problema.
Ogni uomo deve dire ciò che lo riguarda e ciò che
veramente riguarda ogni uomo è il problema della luce, poiché l'uomo è cieco
dalla nascita e questa cecità è causata dalla Presenza di Dio in lui, presenza
non conosciuta, non capita.
Il problema di oggi è questo: poiché l'uomo subisce interrogazioni sulla luce su ciò che lo riguarda, quale
responsabilità ha l'uomo di fronte alla luce?
Le domeniche scorse abbiamo visto il problema del vedere,
qual è la condizione per arrivare a vedere.
Poi abbiamo visto il problema di chi apre gli occhi
all'uomo.
Il vedere (bisogna tenerlo presente perché è questo che
ci conduce a capire la responsabilità che ha l'uomo di fronte alla luce) è
costituito da un rapporto tra ciò che l'uomo ha dentro e ciò che l'uomo riceve
fuori.
Se l'uomo dentro non ha niente, non vede niente.
Ciò che l'uomo ha dentro, è fattore dominante per vedere,
per cui il vedere è essenzialmente determinato da ciò che l'uomo ha dentro di
sé.
Abbiamo fatto una distinzione tra il dentro e il fuori.
Fuori e ciò che arriva all'uomo senza l'uomo.
Dentro è ciò che non si forma nell'uomo senza l'uomo.
Allora l'elemento interiore, il fattore
dominante per la visione, per aprire gli occhi, non si forma nell'uomo senza la
partecipazione dell'uomo.
Ci siamo chiesti che cosa ci deve essere nell'uomo perché
possa vedere.
Vedere la verità vuol dire capire, giustificare.
Abbiamo detto che due sono le "posizioni" che
ci possono essere nell'uomo: "chi" o "che cosa".
Qui avevano chiesto: "chi" gli ha aperto gli
occhi ma, il più delle volte l'uomo, nel suo mondo di esperienze, quindi in
tutto il mondo della scienza, non chiede "chi" apre gli occhi
all'uomo.
La scienza chiede "che cosa" apre gli occhi
all'uomo.
Allora abbiamo fatto la distinzione tra "chi" e
"che cosa".
Il "chi" significa la persona, il "che
cosa" significa la cosa, lo strumento.
La persona si caratterizza per l'intenzione, mentre la
cosa è uno strumento.
Ogni persona è tale, in quanto ha un'intenzione, può
essere un'intenzione sbagliata ma, una persona è tale in quanto ha in sé
un’intenzione.
Abbiamo visto anche il rischio che corre l'uomo nello
strumentalizzare le persone o nel personificare le cose.
L'uomo che scambia il mezzo per fine (i mezzi abbiamo
detto sono le cose), lo considera persona, per cui la cosa diventa intenzione
dell'uomo.
L'uomo può anche sbagliare strumentalizzando le persone,
facendo servire le persone ai suoi fini, quindi togliendo alle persone il
pensiero, l'intenzionalità.
Strumentalizzando le persone ai suoi fini, l'uomo
cosifica le persone.
Cioè c'è un processo di cosificazione nell'universo, da
parte di tutta l'umanità.
Sono errori, perché la persona va considerata come
persona e la cosa come cosa.
I mezzi sono mezzi e quindi vanno usati come strumento
per un fine.
Le persone hanno in se stesse il fine.
Basta questo per capire come non si possa usare una
persona per nessuna istituzione al mondo, non c'è nessuna struttura, nessuna
nazione, società che possa giustificare il fine di una persona.
La persona ha in se stessa il suo fine e deve essere
trattata per questo.
Dio rispetta ogni persona come persona, per questo Dio
opera convincendo, non imponendo, perché si entra nel Regno della Verità come
persone, non come strutture o istituzioni o cose.
Ci siamo chiesti chi deve esserci nel mondo interiore dell'uomo,
perché l'uomo possa vedere.
Che cosa o chi apre gli occhi all'uomo?
Aprire gli occhi vuol dire vedere, capire, giustificare.
Si giustifica in quanto si vede un'intenzione.
Soltanto se in noi è presente quell'Intenzione che
giustifica tutto quello che arriva noi senza di noi, noi possiamo avere in
quella luce, la visione, la giustificazione di tutte le opere cui assistiamo.
Perché noi siamo fatti spettatori di opere che non sono
fatte da noi.
Non siamo noi i creatori.
Un altro è il Creatore.
Ma proprio per questo, solo se noi abbiamo presente
l'Intenzione, il Pensiero del Creatore, abbiamo la possibilità di vedere,
capire, giustificare le opere del Creatore.
Questo ci fa capire perché c'è la notte nella nostra vita,
perché ci sono le tenebre e il mistero.
La notte e il mistero ci saranno e possono esserci
eternamente, fintanto che in noi c'è un'intenzione diversa da quella che opera
attorno a noi.
Solo se noi mettiamo in noi quell'Intenzione che opera
tutte le cose che sono fatte senza di noi, noi possiamo attingere la luce.
Quello che apre a noi gli occhi è questa Intenzione, questo Pensiero.
Ma dire intenzione, pensiero, è dire persona.
Poiché abbiamo detto che quello che caratterizza
la persona è l'intenzione.
Le cose ricevono intenzioni dal di fuori di sé, la
persona ha l'intenzione dentro di sé.
Ciò che apre gli occhi all'uomo è l'intenzione e questa
intenzione deve essere quella di Colui che fa tutte le cose senza l'uomo.
Evidentemente chi apre gli occhi all'uomo è il Creatore, è Dio in quanto Dio è
interiorizzato.
Non basta esclamare: "Dio, Dio", perché i
nostri occhi si aprano.
Dio deve essere interiorizzato in noi.
Interiorizzare Dio, vuol dire conoscere Dio nella sua
Intenzione.
Di più nel suo Pensiero.
Non sono Dio ma Dio e il suo Pensiero.
Non basta che io conosca una persona, perché capisca
quello che fa quella persona.
Solo il giorno in cui conosco l'intenzione di quella
persona, il pensiero di quella persona, ho la possibilità di capire il
significato di tutto quello che fa quella persona.
Quello che illumina è l'intenzione.
Non basta avere presente un essere, ci vuole l'essere più
l'intenzione dell'essere per avere la luce.
Visto questo, abbiamo la possibilità adesso di renderci
conto della responsabilità che l'uomo ha di fronte alla luce, poiché la luce
non viene all'uomo senza la partecipazione personale dell'uomo, perché richiede
questa interiorizzazione, e se richiede questo, l'uomo corre il rischio delle
tenebre eterne, di non giungere mai alla luce, di non vedere, perché la luce
non si forma senza di lui. La luce richiede questo dato interiore.
Sappiamo anche come ci sia differenziazione nel Regno di
Dio, nella luce della Verità, tra persona e persona, poiché la luce è in
relazione a quello che ognuno ha interiorizzato.
Qui scaturisce il concetto di
responsabilità.
La responsabilità viene dal fatto che l'uomo è
interrogato.
Sono le interrogazioni fatte all'uomo che introducono
l'uomo nella luce, nella contemplazione, nella conoscenza.
Ma quando l'uomo subisce interrogazioni, si assume una
responsabilità, quella della risposta.
Quando è interrogato, l'uomo deve dare una risposta: sì o
no.
Ed è il parlare essenziale dell'uomo.
Gesù infatti dice: "Il vostro parlare sia sì, sì, no,
no, il resto viene dal maligno".
Nell'essenza tutto il parlare dell'uomo è dire sì o no su
ciò cui è interrogato.
Per dire sì, deve avere presente Dio, altrimenti non lo
può dire.
Dire no, è non tenere conto di Dio.
Ma le creature sostanzialmente dicono no.
Per cui la creatura, che vive nel pensiero del suo io,
naturalmente dice no a Dio e dicendo no, si chiude alla luce.
La condizione per poter dire sì e quella della Presenza
di Dio.
Noi non possiamo dire sì, se non alla presenza di Dio.
Il sì, scaturisce dalla Presenza in noi di Dio, quindi
dalla fede in Dio.
Quando l'uomo è interrogato, dà una risposta ed è in
questa risposta che si assume la responsabilità della Verità stessa.
Non c'è nessuna istituzione, nessuna autorità che possa
garantire la Verità all'uomo.
La responsabilità della Verità sta nell'uomo stesso.
È l'uomo che, di fronte alla Verità, dice sì o no.
Nessuno può dire sì o no al suo posto, perché è un
processo d’interiorizzazione e solo attraverso questo processo, l'uomo giunge a
vedere.
Nessuno dal di fuori, istituzioni, maestri, eccetera, può
sostituirsi all'uomo nel dire sì.
Per questo l'uomo è il solo di fronte alla morte.
La morte non è altro che l'allontanamento dell'uomo da tutto
ciò che non è Dio, per porre l'uomo di fronte alla Verità, di fronte a Dio.
Qui l'uomo è solo, com’è solo di fronte alla morte.
La morte è annullamento di ogni altro valore, di ogni
punto fisso di riferimento per mettere l'uomo in diretto rapporto con l'unico
punto fisso di riferimento del cielo: Dio.
Nella fine si rivela ciò che l'uomo è, sostanzialmente
anche quando è immerso nel mondo, in mille problemi, con tutti i suoi punti di
riferimento che ha e su cui fa conto, l'uomo è solo di fronte al problema della
Verità, di fronte a Dio.
È lui che deve assumersi la responsabilità della Verità,
di riconoscere la Verità, perché soltanto in quanto si assume questa
responsabilità di riconoscere personalmente la Verità, solo in se stesso ha la
condizione per vedere.
Qui possiamo dividere gli uomini in due
grandi classi: uomini che hanno interesse per vedere e uomini che hanno
interesse per possedere.
Al centro dell'interesse del possedere abbiamo il
pensiero dell'io.
Al centro del problema del vedere c'è Dio.
Fintanto che l'uomo non supera il pensiero di sé, anche
se è religiosissimo, anche se appartiene a comunità e sante istituzioni, se non
supera il pensiero del suo io, è condizionato da questa situazione: tende a
possedere.
Solo in quanto l'uomo muore a se stesso, dimentica sé per
riferire le cose a Dio, solo lì scaturisce nell'uomo stesso la passione per
vedere e non più la passione per possedere.
A questo punto l'uomo non è più interessato per
possedere, ma per vedere, per capire.
Perché da Dio si rende conto che la vita vera sta nel
conoscere la luce, com’era nel principio: "In principio la luce era la
vita degli uomini".
È qui che avviene la nascita, l'inizio della vita
interiore, spirituale.
L'uomo incomincia veramente a vivere, quando incomincia
sentire il bisogno di capire, di conoscere
personalmente la Verità.
"Ma ora come veda, non lo sappiamo, né conosciamo chi gli ha aperto
gli occhi; interrogate lui, dica lui ciò che
lo riguarda, ne ha l'età."
Gv 9 Vs 21
RIASSUNTI Domenica-Lunedì.
Argomenti: Il regno di Dio è in noi. La capacità di vedere è data dall’intenzione. La luce
viene da Dio. L’interiorizzazione è personale.
La parola di Dio ci rende responsabili. Soltanto Dio
è. Felicità e Dio.
Le illusioni degli
uomini. Cosa vuol
dire interiorizzare. Vegliare. La presenza
della persona m’interroga. Dio e i doni di Dio.
13/Dicembre/1987 Casa di preghiera Fossano.