E i suoi discepoli lo interrogarono dicendo:
"Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, da nascere cieco?".
Gv
9 Vs 2
Titolo:
I due perché.
Argomenti:
L'uomo
ama la luce. Perché
l'uomo interroga? Il bisogno
di unità. Il perché finale richiede la presenza di un essere
operante. La diversità d'intenzione tra noi e Dio provoca
l'interrogazione. Causa
& fine. Fine
& intenzione. L'interrogazione esprime il bisogno di interrogazione
dell'uomo.
21/Dicembre/1986
Casa di preghiera Fossano.
Siamo al versetto due del
capitolo nono.
Qui si dice: "I suoi
discepoli lo interrogarono dicendo: Maestro chi ha peccato? Lui o i suoi
genitori dal nascere cieco"
Gesù stava uscendo dal
tempio.
Quel tempio in cui aveva
trovato opposizione, contrasto alla luce che Egli portava nel mondo.
Lui stesso dice:
"Fintanto che sono nel mondo sono luce per il mondo".
Uscendo dal tempio, Gesù incontrò
un uomo cieco dalla nascita.
Abbiamo visto che in questo
uomo cieco c'era la significazione dell'uomo.
L'uomo autentico è povero
ed è cieco, perché la vita e la luce dell'uomo è Dio.
Nel capitolo settimo,
abbiamo visto la luce non accolta, non compresa.
Nel capitolo ottavo abbiamo
visto la luce contestata, il conflitto con la luce.
Qui finalmente troviamo
invece la luce amata.
Gesù trovò amore alla luce
del cielo.
Se l'uomo è creato cieco, è
perché la luce dell'uomo è Dio.
L'uomo è creato nell'amore
per la luce.
L'uomo cieco ama la luce,
desidera la luce, invoca la luce e la cerca con tutte le sue forze, perché
capisce che l'unico vero bene gli viene dalla luce.
Ma qui, proprio di fronte a
questo uomo cieco, i suoi discepoli interrogano Gesù e lo interrogano su chi ha
peccato: "Lui o i suoi genitori dal nascere cieco?".
Già possiamo capire come il
cieco non può avere peccato, perché se è nato cieco, non può la cecità essere
conseguenza del suo peccato.
Resta il problema dei suoi
genitori.
Gesù smentirà, quindi non
pone in relazione la cecità dell'uomo con il peccato originale.
Noi forse lo
giustificheremmo con il fatto del peccato originale.
Gesù qui no e lo vedremo in
seguito.
Però c'è il fatto di questa
interrogazione.
Sono discepoli di Gesù che
interrogano e interrogano sul peccato, sulla colpa.
Le pagine del Vangelo non
sono e non devono essere motivo di cultura.
Le pagine del Vangelo sono
lezioni di vita per ognuno di noi.
Di fronte alle scene e alle
parole del Vangelo, dobbiamo sempre chiederci, quale lezione, quale significato
per la nostra vita personale, Dio vuole comunicare a noi.
Soprattutto dobbiamo
chiederci che cosa Dio vuole fare sapere di Sé a noi in queste scene e in
queste parole.
Dobbiamo anche qui chiederci
il significato di questi discepoli che interrogano Gesù.
Sono discepoli di Gesù,
proprio perché interrogano Gesù.
Ognuno, interrogando il
proprio maestro, rivela chi è il proprio maestro.
In quanto questi discepoli
interrogano Gesù circa il peccato, già rivelano una deviazione.
Questi discepoli, rivelano
di non avere presente Dio.
Stanno cioè cercando la
causa motivante la cecità di quest'uomo: rivelano di non avere presente Dio.
È necessario approfondire.
Prima di tutto dobbiamo chiederci
perché l'uomo interroga.
Se interroga è perché è
spinto ad interrogare ma, cosa è che spinge l'uomo a porre interrogazioni?
Perché l'uomo chiede
perché?
L'uomo interroga per capire
ma, intanto se interroga è perché sente il bisogno di capire.
E che cosa vuole capire?
Capire vuole dire
giustificare.
Giustificare una cosa
nell'altra, quindi vuole dire stabilire dei rapporti.
L'uomo sente il bisogno di
stabilire dei rapporti.
Di fronte a due cose,
l'uomo non è soddisfatto.
Ha bisogno di stabilire un
rapporto tra una cosa e l'altra.
Quando noi diciamo che
l'uomo sente il bisogno di stabilire un rapporto, è perché sente il bisogno di
unificare, di dire che cosa è una cosa rispetto all'altra.
Tiene fermo un termine e
vuole misurare l'altra cosa su quel termine lì.
Basta dire questo per
capire che l'uomo è sospinto dal bisogno di unificazione.
Quello che attrae l'uomo, quello che
gli fa sentire il bisogno di capire, quello che gli fa sentire il bisogno di
interrogare è il bisogno di unità.
Abbiamo già visto altre
volte che questo bisogno di unità è una espressione della sete di Assoluto che
l'uomo porta in sé.
La sete di Assoluto
dell'uomo è una testimonianza: "Voi stessi dite che io sono".
La sete di Assoluto è una testimonianza
che l'uomo porta in sé l'Assoluto e questo Assoluto è uno.
L'uomo non cercherebbe
l'Assoluto se non portasse già in sé l'Assoluto.
Proprio perché l'uomo porta
in sé l'Assoluto e questo Assoluto è uno, l'uomo sente il bisogno di unificare
tutto in questo uno.
Sente il bisogno di
rapportare tutto a questo uno.
Ed è proprio per questo
bisogno di rapportare tutto a questo uno, che l'uomo ha bisogno di capire.
Per cui di fronte alle cose
che gli si presentano, l'uomo non si accontenta della realtà delle cose ma, va
a cercare la giustificazione, il perché.
Qui questi discepoli stanno
cercando la causa della cecità di quest'uomo nato cieco.
Abbiamo già osservato nelle
domeniche precedenti che quando l'uomo cerca la causa fa della scienza.
Tutte le scienze sono
fondate sul rapporto causa-effetto e implicitamente trascurano il fine.
L'uomo fa della scienza
(conoscenza delle cause), perché riferisce tutte le cose al pensiero di se
stesso.
L'uomo nel pensiero del suo
io, esperimenta cause ed effetti.
Ma nel pensiero del suo io,
l'uomo non esperimenta la finalità.
La finalità è l'espressione
dell'intenzione di un essere che opera e solo se si ha presente l'essere che
opera, si va alla ricerca del fine per cui opera.
Direi che il fine è più
importante dell'opera stessa, perché è il fine che dà significato alle cose e
anche alle parole.
Infatti se vogliamo
intendere il parlare di qualcuno o l'operare di qualcuno, dobbiamo sempre
andare alla ricerca dell'intenzione che ha quest'uno, del fine che guida
quest'uomo a parlare in questo modo o a operare in quest'altro modo.
La ricerca del fine
presuppone sempre la presenza di un essere operante.
Per questo dico che questi
discepoli che, stavano interrogando sul peccato, sulla colpa per cui
questo uomo era cieco, davanti ai loro occhi non avevano presente Dio.
Ci
sono due perché nella vita dell'uomo.
C'è il perché attraverso il
quale l'uomo cerca la causa di una cosa che non può sopportare di per sé.
La cecità è un difetto, è
una negatività.
Con la cecità, noi abbiamo
tutte le negatività che esperimentiamo nel nostro mondo.
Anche la morte è una
negatività.
Ora, le negatività, non
sono sopportabili da sole.
Noi non le sopportiamo
perché abbiamo presente la Positività.
La positività, abbiamo
visto prima, è data dal Dio che opera tutte le cose.
Noi non sopportiamo le cose
finite.
Noi non sopportiamo la
molteplicità.
Noi non sopportiamo la
privazione.
Noi non sopportiamo la
volubilità, il cambiamento, non sopportiamo la morte.
Tutto questo ci rivela che
portiamo in noi l'Assoluto, portiamo in noi l'infinito.
Non è vero che arriviamo
all'infinito partendo dal finito.
È proprio perché abbiamo
presente l'infinito che arriviamo al finito.
E il finito, proprio perché
abbiamo presente l'infinito non lo sopportiamo.
Proprio perché noi abbiamo
presente l'Assoluto non sopportiamo il relativo.
Proprio perché noi abbiamo
presente l'eterno non sopportiamo il tempo.
Allora tutto il nostro
domandare, tutto il nostro interrogare, è cercare di vedere l'infinito nel
finito.
È cercare di vedere
l'eterno nel tempo e di giustificarli.
Perché soltanto quando noi
troviamo la giustificazione delle cose che passano, in ciò che non passa,
finalmente lì troviamo la pace.
Quindi il punto fisso di
riferimento in noi non sono le cose finite ma, è l'infinito.
Non è il tempo ma è
l'eterno.
Non è il relativo ma è
l'Assoluto.
Abbiamo detto che, soltanto
se l'uomo supera il pensiero del proprio io e quindi ha presente Dio, interroga
sopra la finalità delle cose.
Altrimenti l'uomo va alla
ricerca della causa, della colpa o del peccato.
Noi ci stupiamo di fronte a
questi discepoli che interrogano circa il peccato.
Ci stupiamo perché sappiamo
che, subito dopo, Gesù risponderà che non c'è stato nessun peccato.
Quest'uomo non è nato cieco
per la colpa di qualcuno.
Ci stupiamo perché questi
discepoli, anziché interrogare di chi è la colpa, avrebbero dovuto chiedere, se
avessero tenuto presente Dio, perché Dio presentava loro quell'uomo cieco.
Di fronte a tutto quello
che si presenta ai nostri occhi, noi dobbiamo sempre tenere presente Dio,
perché tutto è creazione di Dio.
Dio è il Creatore e se Dio
è il Creatore, tutto quello che accade, è Dio che lo presenta ai nostri occhi.
E se lo presenta ai nostri
occhi, lo presenta per dire a noi qualche cosa: è Parola di Dio.
Noi diciamo, di fronte alle
letture della Bibbia e alle letture del Vangelo: "È Parola di Dio"
ma, tutto è Parola di Dio.
Tutta la creazione è Parola
di Dio.
La creazione è opera di Dio
ogni giorno e ogni giorno noi dovremmo dire: "È Parola di Dio".
Di fronte a ogni fatto, a
ogni avvenimento, noi dovremmo sempre dire: "È Parola di Dio".
E se è Parola di Dio, noi
dovremmo sempre chiederci: "Perché?".
Ecco il
"perché?".
"Perché Dio mi presenti
questo?".
"Perché Dio mi fai
arrivare questa parola?".
Ma questo
"perché?" non è causa, questo "perché?" è il fine.
"Per quale fine, Dio
mi presenti questo avvenimento?".
"Per quale fine, Dio
mi dici, mi fai arrivare questa parola?".
Ora, per poter interrogare
sul fine, dobbiamo avere presente l'intenzione e l'Intenzione di
Dio.
Dio opera in tutto per
manifestare Se Stesso.
Abbiamo detto che
l'interrogazione si forma in noi, in quanto c'è una diversità, tra l'infinito e
ciò che, attualmente abbiamo presente davanti ai nostri occhi.
Tra l'Assoluto e ciò che
abbiamo presente davanti ai nostri occhi.
Tra l'eterno e ciò che
abbiamo presente davanti ai nostri occhi.
È la diversità che provoca
in noi l'interrogazione, il "perché?".
La diversità che provoca in
noi l'interrogazione, nel campo dell'intenzione è
questa: quando tra l'Intenzione di Dio e l'intenzione nostra c'è una diversità.
Dio opera tutto per
manifestare Se Stesso, per farsi conoscere, per farsi pensare.
Quando in noi c'è una intenzione
diversa da Dio, Dio opera, davanti ai nostri occhi qualcosa, per suscitare in
noi l'interrogazione.
Per suscitare in noi il
bisogno di vedere la cosa dal punto di vista di Dio.
Quindi per dire a noi:
"Guarda che tu hai una intenzione diversa da Me".
Allora
quest'interrogazione, questo perché che domina nella vita degli uomini, è il
bisogno sostanziale che gli uomini hanno di vedere le cose dal punto di vista
di Dio.
Vedere le cose dal punto di
vista di Dio è contemplare.
Quindi il
"perché?", l'interrogazione, esprime il bisogno di contemplazione da
parte dell'uomo.
L'uomo è stato creato per
contemplare le cose in Dio e da Dio, cioè per formare una cosa sola con Dio ed
è per questo che l'uomo non sopporta tutte le cose che sono spezzate.
L'uomo non sopporta tutte
le cose che sono diverse, tutte le cose che non vede in relazione a Dio, come
Parole di Dio.
Qui, abbiamo trovato questi
discepoli che cercano la colpa.
Quante volte noi crediamo
di giustificare gli avvenimenti e i fatti, attribuendo la colpa a uno o
all'altro.
È l'errore dell'uomo.
E questa è una
testimonianza che l'uomo non tiene presente Dio.
È una testimonianza che
l'uomo vuole giustificare le cose nel pensiero del proprio io e non assumersi
la responsabilità degli avvenimenti.
Perché se l'avvenimento
accade è Dio che ce lo fa giungere.
Fosse anche lontanissimo,
in quanto giunge ai nostri occhi, giunge alla nostra coscienza, giunge alla
nostra mente, è Dio che ce lo fa giungere.
E se Dio lo fa giungere a
noi, è perché noi non siamo senza responsabilità di quel fatto.
Dio parla per rivelare a
noi la diversità di intenzioni fra la sua intenzione e la nostra e quindi per
far sentire a noi il bisogno di unificazione.
Il bisogno quindi di
riportarci nel Pensiero di Dio, per contemplare, per osservare ogni cosa dal
punto di vista di Dio.
Soltanto qui noi troviamo
la luce e quindi la pace, perché siamo stati creati per questo.
Alcuni
pensieri tratti dalla conversazione.
Siccome Dio opera sempre con
un fine, la domanda da fare a Dio, non va posta con il "perché?"
causale, ma con il "perché?" finale.
Cioè, se io tengo presente
una persona, cerco sempre l'intenzione di quella persona.
Invece se cerco la causa, vuol
dire che non ho presente la persona divina che opera tutto, che è la causa di
tutto.
La difficoltà sta in
questo: per tenere sempre presente la persona divina, devo superare il pensiero
del mio io.
Fintanto che siamo nel
pensiero dell'io, il nostro "perché?" è causale: si cerca la causa,
dimenticando che è Dio la causa di tutto.
Per cui c'è anche una
ricerca di conoscenza che ci può portare molto lontano da Dio e che finisce con
l'essere cultura, scienza, che costituisce l'orgoglio, perché come punto fisso
di riferimento ha il pensiero dell'io.
Il pensiero dell'io,
esperimenta cause ed effetti ma non tiene presente i fini.
Perché per potere
contemplare i fini, devo avere presente la persona divina.
Per cui la vera religione
non è cultura.
La vera religione non è
dottrina ma,rapporto personale con Dio.
Il che richiede il
superamento del pensiero del nostro io.
Se superiamo l'io e teniamo
presente la persona divina, noi passiamo dal "perché?" causale, al
perché finale.
Andiamo cioè sempre alla
ricerca dell'Intenzione di Dio.
Per cui, come già abbiamo
visto, anche qui ci sono sempre questi due mondi: uno riferito all'io e l'altro
a Dio.
Ci sono due acque, come
abbiamo visto nell'episodio della Samaritana.
Ci sono due nascite come
abbiamo visto nell'episodio di Nicodemo.
Ci sono due pani, come
nella moltiplicazione dei pani.
Ci sono due cibi: "Io
ho un cibo che voi non conoscete".
Abbiamo sempre questa
duplicità e così anche ci sono due perché.
C'è un perché che sorge dal
pensiero del nostro io, che patisce la passione dell'Assoluto: è il perché
causale.
C'è invece il perché che
nasce dal Pensiero di Dio (se abbiamo superato il pensiero del nostro io) ed è
il perché finale.
Questo è quello che ci
conduce a contemplare le cose da Dio e ci conduce quindi alla conoscenza di
Dio.
vSe cerco il perché della
morte di Cristo, se capisco la lezione di Cristo morto, Lui si fa ritrovare
vivo e allora mi fa capire che Lui è morto per dare a me la possibilità di
risorgere, quindi per la vita: ecco che scatta l'amore.
"Perché Tu sei morto
per me".
wDio non ci abbandona mai e
corregge sempre le nostre interrogazioni, facendoci passare dal perché causale
a quello finale.
Lo fa dicendoci che la
cronaca di ogni giorno (la torre crollata di Siloe) è un fatto per noi, personalmente
per ognuno di noi.
"Perché Io vi dico che
se non farete penitenza, perirete tutti allo stesso modo", cioè se non
capite il significato per voi, perirete tutti allo stesso modo.
Ecco che allora la lezione
va intesa per me, perché è Parola di Dio per me.
Così la lezione di Noè e
tutto quanto.
Tutto va quindi assimilato
in Dio e da Dio.
Ecco la lezione di Dio come
ci cambia.
xNoi non sentiremmo il
bisogno di unità (di unificare) se non avessimo già presente l'unità.
Quindi il bisogno di capire
(si tende a unificare per capire) rivela in noi questo bisogno di unità.
In noi c'è già la presenza
dell'unità ed è in questa unità che noi sentiamo il bisogno di unificare,
raccogliere tutto, proprio per restare uniti a quell'Uno lì.
Per non perderlo.
Perché se io non tendo a
capire (cioè a unificare in-), perdo la presenza di quell'uno.
È per l'attrazione di
quell'uno che cerco di capire, cioè cerco di rapportare, di unificare, di
giustificare le cose in quell'Uno.
Sempre per poter restare
alla presenza di quell'Uno.
Altrimenti perdo il
contatto con l'Uno.
yFintanto che in noi non
c'è sintonia tra l'Intenzione di Dio e la nostra intenzione, Dio mi presenterà
sempre delle cose che non sopporto.
E questo deve diventare
motivo di preghiera, motivo di dialogo con Dio, per farmi elevare la mente a
Dio.
È Dio che mi presenta delle
occasioni per pensarlo.
Mi sollecita, mi chiama ad
andare a Lui.
Dovrebbe essere una gioia
essere continuamente chiamati.
E Lui ci chiama, attraverso
tutto il negativo che presenta ai nostri occhi: guerre, sofferenza, morte.
Se vedo tutto come opera di
Dio, opera che Dio fa per richiamarmi alla sua presenza, il fatto stesso della
sua presenza, della sua amicizia, mi fa vincere la tristezza dell'avvenimento
stesso.
zSe io avessi la stessa Intenzione
di Dio, non gli chiederei più il perché finale, il "perché?" rivela
che c'è una diversità fra la mia e la sua intenzione.
Il "perché?" è
una espressione di dislivello fra la mia e la sua intenzione.
Se invece c'è la sintonia,
non c'è più il "perché?", perché tu capisci.
La coincidenza delle due
intenzioni diventa luce.
La luce è data da due poli
che si avvicinano: lì scatta la scintilla.
Perché ci sia la luce in
me, non basta il Pensiero di Dio, bisogna che ci sia la coincidenza tra il
Pensiero di Dio e il mio pensiero.
Quando c'è coincidenza
scatta la luce e tu vedi, prima no.
Quando c'è la coincidenza
la cosa s'illumina: capisci e vedi la presenza di Dio che ti sta parlando.
{Non c'è differenza tra il
"perché?" finale e il chiedere: "Che cosa mi dici di Te?".
Le due cose coincidono,
perché Dio in tutte le cose ci parla di Sé.
Dio opera per manifestare
Se Stesso.
Dio opera per farsi
conoscere, questa è la vita eterna.
E questo è l'unico fine da
parte di Dio.
Io ho la stessa sua
intenzione quando gli chiedo: "Cosa mi vuoi far conoscere di Te?".
Ma se sono inquinato, non
sono in grado di ricevere quello che Lui mi vuole dire di Sé.
Lui opera per rendermi
capace di ricevere quello che io desidero: conoscere Lui.
È così che si capiscono i
segni di Dio (Betlemme, Calvario eccetera...).
Si capiscono chiedendo:
"Che cosa mi dici di Te" e questo è il "perché?" finale.
|Per potere conoscere la
finalità, dobbiamo avere presente la persona divina che opera, perché la
finalità è sempre legata a un intenzione e l'intenzione è legata sempre a una
persona, a quello che una persona è.
È solo dalla persona che
posso conoscere la sua intenzione.
L'intenzione mi porta alla
finalità e allora se cerco la finalità in tutte le cose, ho la vera intenzione
sui segni.
}Bisogna sottomettere tutto
a Dio, perché tutto è di Dio.
Cerca quindi in tutto il
Pensiero di Dio, altrimenti tu attribuisci il tuo pensiero alle cose.
È proprio sottomettendo
tutto al Pensiero di Dio che tu cammini spiritualmente,
Allora c'è tutto un lavorio
nella tua mente, per sottomettere tutto al Pensiero di Dio, cioè per cercare in
tutto il Pensiero di Dio, altrimenti ci fermiamo alle nostre impressioni, ai
nostri sentimenti.
La vita spirituale sta qui,
in questo volere sottomettere tutto al Pensiero di Dio, in modo da potere dire:
"Perché penso questo? Perché faccio questo?", perché Dio è così,
perché Dio è così.
Quando tu puoi giustificare
in Dio cammini con Dio e lì sei nella luce.
E i suoi discepoli lo interrogarono dicendo:
"Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, da nascere cieco?".
Gv
9 Vs 2
Titolo:
I due perché.
II
Argomenti:
22/Dicembre/1986
Casa di preghiera Fossano.