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Rispose Gesù: "Se io mi glorifico da me stesso, la mia gloria è niente; chi mi glorifica è il Padre mio, che voi dite di essere il vostro Dio".
Gv 8 Vs 54 Primo tema.


Titolo:  Il buco nero dell'unificazione nel pensiero dell'io.


Argomenti:  Contrapporre l'esperienza alla parola di Dio. I nostri sensi fanno capo al pensiero dell'io. Il rapporto tra l'essere e il glorificare. La vera gloria ognuno la riceve da Dio. L'uomo porta la verità in sé. Gli uomini si glorificano tra di loro. Parlare è glorificare. Il niente è un concetto relativo, relativo a ciò che cerchiamo e al luogo dove cerchiamo.  Parlando di sé, l'uomo si riduce a niente. Per la passione di unità, l'uomo può unificare o in Dio o nella sua esperienza. Dio premia l'interesse, non i talenti. Vivendo, l'uomo riduce la vita a un unico pensiero o il nulla o Dio. Il pensiero che tende a affermare se stesso si annienta.


 

6/Luglio/1986  Casa di preghiera. Fossano.


Siamo al versetto 54.

Gesù rispose ai giudei: "Se Io mi glorifico da Me stesso, la mia gloria è niente, chi mi glorifica è il Padre mio che voi dite, essere il vostro Dio".

Oggi ci fermiamo alla prima parte di questo versetto.

Gesù dice: "Se Io mi glorifico da Me stesso, la mia gloria è niente".

Risponde a una provocazione.

La provocazione era: "Chi pretendi di essere?".

Risponde a una provocazione, perché di fronte alla sua affermazione: "Se qualcuno custodisce la mia Parola, non vedrà la morte in eterno", i giudei avevano ribadito: "Vediamo bene che sei posseduto da un demonio" e avevano messo a confronto quello che Lui aveva affermato con: "Abramo è morto, anche i profeti sono morti e Tu chi pretende di essere?".

Avevano opposto alle sue Parole, Parole di Dio, quella che e l'esperienza di tutti gli uomini.

L'esperienza di tutti gli uomini è la morte.

Come l'esperienza di tutti gli uomini è il silenzio di Dio, è l'assenza di Dio, questa è la vera esperienza che tutti gli uomini fanno, subiscono: esperienza esistenziale, nolenti e non capiscono.

Poiché l'esperienza della presenza di Dio, si può fare solo nel Pensiero di Dio, nel pensiero del nostro io non si fa esperienza di Dio ma si fa l'esperienza dell'assenza di Dio, della morte di Dio, del vuoto, del silenzio di Dio.

Molti, facendo questa esperienza, dicono: "Vedete che Dio non esiste".

Alla Parola di Dio che dice: "Io sono", alla Parola di Dio che dice: "Chi custodisce la mia Parola non vedrà la morte", si contrappone alla Parola di Dio, l'esperienza dell'uomo, la nostra esperienza e di qui ne deriva il criterio di verità e il criterio di validità.

Dobbiamo dare validità a ciò che i nostri sensi ci fanno e sperimentare?

Teniamo presente che se i nostri sensi ci fanno esperimentare un certo mondo, anche questo è creazione di Dio, anche questo è opera di Dio.

Comunque dobbiamo dare validità all'esperienza che i nostri sensi ci fanno fare, alla realtà del mondo, alle vicende del mondo, alla morte, all'assenza di Dio, alle esperienze che i nostri sensi ci fanno fare?

Oppure dobbiamo dare validità alla parola di Dio, al Pensiero di Dio, a Dio che dice: "Io sono"?

Dobbiamo dare validità a quello che vediamo con i nostri occhi o dobbiamo dare validità a quello che portiamo dentro di noi?

Abbiamo detto che l'uomo si trova il portatore di questi due grandi dati: il Pensiero di Dio in se stesso e l'esperienza nel mondo.

Ma abbiamo anche detto che questi due dati sono in conflitto uno con l'altro.

Ci deve essere anche una ragione di questo conflitto.

Il primo problema che nasce è questo: a quale dei due dobbiamo dare maggior valore?

A quello che dicono i nostri sensi o a quello che dice il Pensiero di Dio in noi?

E noi, le domeniche scorse abbiamo visto, che l'esperienza dei nostri sensi fa capo al pensiero di noi stessi, al pensiero del nostro io.

Basta considerare questo che l'esperienza dei nostri sensi fa capo al nostro io, per cui, noi diciamo: "Questo è vero perché io l'ho visto così, questo è vero perché io l'ho ascoltato, questo è vero perché io l'ho toccato" ma la testimonianza non va oltre al pensiero del nostro io.

I nostri sensi fanno capo al nostro io.

Ma abbiamo anche visto che il nostro io non è un principio di verità.

Il nostro io e ne abbiamo delle prove quotidiane, anche nel nostro stesso mondo, il nostro io non è il creatore, non ha in sé la ragione delle cose non può quindi dire: "Le cose sono perché io le vedo ed io le sento".

C'è sempre qualche cosa di diverso, qualche cosa che ci sopravanza, che ci supera che noi non vediamo, che noi non tocchiamo per cui limita l'affermazione del pensiero del nostro io a una certa relatività: "Questo è vero perché i miei sensi..." ma non oltre.

Cioè io non posso dire: "Questo è vero in tutto, quello che io ho visto, quello che io toccato vale per tutto".

Quello che ho visto, quello che ho toccato è relativo a me, non posso andare oltre.

Il fatto stesso che il nostro io non abbia in sé la verità, la ragione delle cose, già ci fa scartare come criterio di validità i dati della nostra esperienza.

Resta l'altro dato, il dato di Dio, il Pensiero di Dio Creatore ma il Pensiero di Dio Creatore siccome è un dato, nessuno lo può ignorare però nessuno ne fa esperienza.

Non lo ignoriamo, sappiamo che è Dio Creatore, sappiamo quindi che è Colui che ha in Sé la ragione, la giustificazione di tutte le cose, però non lo esperimentiamo e allora qui nasce il conflitto, quel conflitto che ha portato questi giudei, questi farisei a disprezzare la Parola di Gesù: "Chi pretendi di essere?".

Qui Gesù risponde a questa provocazione e risponde dicendo: "Se Io mi glorifico da Me stesso", "Chi pretendi di essere?".

"Se Io mi glorifico da Me stesso".

Qui pone un parallelo tra l'essere e il glorificare e intanto ci fa capire cosa vuol dire glorificare.

Lui non dice: "Io dico o non dico quello che sono", dice: "Se Io mi glorifico".

Questo ci fa capire che glorificare vuol dire ciò che un essere è.

Quindi qui Gesù dice: "Io non dico da Me stesso quello che sono".

La Gloria di uno è ciò che è questo uno.

La vera gloria è ciò che uno è, in relazione a Dio.

Dio solo è Colui che è.

Ogni altro esistente è, in quanto è in relazione a Colui che è, in quanto partecipa di Colui che è.

Quindi conoscere la Gloria di uno, è conoscere ciò che un essere o un esistente è in relazione a Colui che è, in relazione a Dio.

Il che vuol dire che la vera gloria di ognuno, ognuno la riceve solo da Dio.

Per questo Gesù si rifiuta alla domanda: "Chi pretendi di essere?", Gesù si rifiuta di dire quello che Lui è.

Gesù si rifiuta di dire quello che Lui è per uno scopo ben preciso.

Non perché Lui non glorifichi Se stesso o che la sua gloria sia niente, perché Lui sa, donde viene e dove va, ma è in noi che se Lui glorifica Se stesso la sua gloria è niente.

Perché noi non sappiamo, donde Egli venga e dove Egli vada e non sapendolo, se Lui l'affermazione di Sé la dice da solo, noi non abbiamo la possibilità di verificare la verità di quello che Lui dice.

Ora la caratteristica della Parola di Dio quando giunge all'uomo è questa: dà all'uomo la possibilità di verificare la verità di quello che dice e questo avviene perché ogni uomo porta in sé Dio e portando in sé Dio, ha la possibilità di interrogare Dio, ha la possibilità di ascoltare Dio.

Sant'Agostino parlava di un Maestro interiore, del Verbo interiore ed è questo che insegna veramente all'uomo, questo è il vero Maestro degli uomini.

Ѐ questo che ci convince e ci fa assentire alla Parola di Dio che arriva a noi dall'esterno,

Per cui quando la Parola di Dio arriva a noi, confrontandola con il Verbo interiore che portiamo dentro di noi, noi diciamo: "Questo è vero".

Ora noi non potremmo dire: "Questo è vero", se non portassimo in noi stessi la stessa Verità.

Ѐ questa la meraviglia, il tesoro che ogni uomo porta in sé.

Ogni uomo ha la possibilità di attingere personalmente alla Verità, proprio perché porta Dio in Sé, ha la possibilità di assentire e di dire: "Questo è vero", è una forza enorme, perché rende l'uomo più forte di tutte le sue esperienze nel mondo, di tutto ciò che gli dicono i sensi.

Anche questa è una testimonianza della meraviglia del destino dell'uomo.

L'uomo è destinato ad attingere personalmente, direttamente la Verità dalla bocca di Dio.

Ecco la grandezza che Dio ha voluto creare formando l'uomo.

Se Gesù qui dice: "Se Io mi glorifico da Me stesso, la mia Gloria è niente", l'ha detto per noi, in noi e nello stesso tempo ci ha fatto capire (lo vedremo in seguito) che Lui riceve gloria dal Padre.

Tutte queste cose le dice per noi, affinché anche noi abbiamo a capire che, poiché la gloria è ciò che un essere è, così anche quello che noi siamo, noi non lo possiamo dire e non lo dobbiamo dire, diremmo una menzogna.

Quello che noi siamo, non siamo noi che lo possiamo dire ma, lo dobbiamo ricevere da-.

Lo dobbiamo ricevere da Colui che è, dal Creatore.

La Gloria, cioè l'essere di ognuno, dipende da ciò che egli è in relazione a Dio.

Quello che ognuno è in relazione a Dio, viene da Dio e soltanto da Dio lo si può trovare.

Ecco quello che Gesù ha voluto dire, comunicare a noi, rifiutandosi di rispondere alla provocazione di quei giudei: "Chi pretendi di essere?".

"Io non mi glorifico da Me stesso"

Però gli uomini si glorificano da se stessi.

Allora dobbiamo chiederci quale sia la lezione, quale sia il significato di queste parole del Signore.

Il Signore qui sta parlando a uomini che cercano la loro gloria gli uni dagli altri.

Noi, tutti uomini (lo dice Gesù stesso), stiamo elemosinando gloria gli uni dagli altri, siamo mendicanti.

Noi che ci crediamo ricchi, potenti, signori, in realtà (è la parola di Dio che lo dice) siamo dei mendicanti, mendicanti di gloria gli uni dagli altri.

Elemosiniamo un atto d'amore, elemosiniamo un po' di attenzione, elemosiniamo uno sguardo, elemosiniamo sempre in continuazione qualche novità, qualche comunicazione, qualche parola dagli altri.

Però Gesù dice anche: "Come potete credere voi che mendicate la gloria gli uni dagli altri?".

Ciò vuol dire che fintanto che noi siamo mendicanti di tale gloria, non possiamo accedere alla fede.

"Come potete credere?" è impossibile.

Il principio della fede è proprio quello di non parlare, di non glorificare noi stessi.

La parola è una lente d'ingrandimento e quando parliamo di noi stessi, noi non facciamo altro che ingrandire il nostro io, deformarlo e farlo uscire dalla sua dimensione, gonfiarlo e il Signore dice chi si esalta sarà abbassato cioè, chi si gonfia sarà sgonfiato.

Ecco glorificare vuol dire parlare di-, e il parlare di-, è dire sempre un glorificare, cioè è mettere una lente d’ingrandimento su qualche cosa e la lente d'ingrandimento ci deforma, ci presenta diversi da quello che in realtà noi siamo.

Per cui non dobbiamo parlare di noi.

La grande difficoltà sta lì, se non parliamo di noi di che cosa parliamo?

Proibito all'uomo di parlare di sé, l'uomo diventa muto, non sa più che cosa dire.

Questo ci fa verificare quanto grande sia la distanza nostra da Dio, la nostra lontananza da Dio.

Perché noi dovremmo imparare a parlare solo di Dio, a glorificare solo Dio, perché solo glorificando Dio noi, restiamo nella Verità.

Teniamo presente che noi possiamo parlare di noi stessi sia dicendo quanto noi siamo bravi o ricchi, sia dicendo quanto siamo umili o poveri: è sempre un parlare di noi.

Noi possiamo parlare di noi stessi sia vestendoci di abiti lussuosi, sia vestendoci da mendicanti: è sempre un parlare di noi e quindi è sempre un glorificarci, un metterci in vetrina, un presentare noi stessi.

E qui Gesù dice a noi: "Se io mi glorifico da Me stesso, la mia gloria è niente".

Dice questo per noi, per cui ci fa capire che parlando di noi tutto quello che noi diciamo, è niente.

Possiamo chiederci che cosa voglia significare questo "niente" che ritorna molto sovente nel Vangelo: "Senza di Me non potete fare niente", "Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è fatto di tutto quello che è fatto".

C'è sempre questo "niente" che ritorna.

Questa è una parola ma ogni parola significa una realtà, significa qualche cosa.

Che realtà significa "niente"?

Il niente è niente e se è niente non esiste, esiste l'Essere, esiste Dio, esiste Colui che è, non esiste il niente.

Eppure c'è la parola "niente".

In quanto c'è, significa qualcosa.

Abbiamo visto anche che presso Dio la morte non c'è, la morte è assenza, assenza di presenza.

Presso Dio c'è la presenza.

Dio è presente in tutto.

D'altronde Gesù stesso dice ai giudei che Dio, è il Dio dei viventi, non è il Dio dei morti.

Per Lui tutti sono vivi, anche Abramo, anche Giacobbe, anche Isacco, anche i profeti.

Gesù dice: "Presso Dio tutti sono vivi".

Allora anche tutti quelli che noi diciamo morti, presso Dio sono vivi.

Ѐ parola di Dio, presso Dio tutti sono vivi.

Cioè la morte non c'è.

Allora perché si parla di morte?

La morte è un'esperienza che noi facciamo e così anche il niente.

Il niente essendo niente non esiste, esiste l'essere.

Ma allora perché l'uomo fa esperienza del niente?

Questa è un’esperienza che l'uomo fa, come fa esperienza della morte.

Il niente poiché non esiste in assoluto, è un concetto relativo.

Relativo a che cosa?

Noi diciamo "niente" in quanto cerchiamo qualcosa che dobbiamo aver presente in noi, perché se non l'avessimo presente, non lo cercheremmo, cerchiamo qualcosa in un luogo in cui non lo troviamo.

Quindi il niente non è niente, è niente in un luogo.

Non solo ma il niente è sempre relativo a qualche cosa che abbiamo presente dentro di noi, perché noi non potremmo costatare il niente se non avessimo presente nella nostra memoria qualche cosa.

Se noi non avessimo presente dentro di noi un essere, una persona, un oggetto noi, avremmo sempre presente come esperienza dei sensi qualche cosa: i segni di Dio che non sono niente.

Noi diciamo "niente" in quanto abbiamo in noi, presente nella nostra memoria, nella nostra mente qualcosa, e questo qualche cosa non lo vediamo davanti ai nostri occhi e allora diciamo che non c'è niente.

Il niente è sempre relativo a ciò che noi stiamo cercando e al luogo in cui stiamo cercando.

Allora il niente è relativo a noi stessi, non c'è in assoluto.

In assoluto c'è l'essere.

Qui dice: "Se io mi glorifico da Me stesso, la mia gloria è niente", lo dice per noi, quindi dice che quando tu uomo glorifichi te stesso la tua gloria è niente.

Tu uomo quando parli di te stesso, il tuo parlare è niente e ti riduce a niente.

Quello che gli uomini non sanno è questo: che più parlano di sé e più si riducono a niente e verificano questo niente.

Come avviene questo?

L'uomo sostanzialmente è una passione di assoluto.

Una passione di assoluto che portata nel campo dello spirito diventa passione di unità.

Ecco, è su questo campo che si verifica proprio quest’annullamento dell'uomo, per cui l'uomo viene a toccare con mano, viene a fare esperienza del niente.

L'uomo dominato dalla passione dell'unità ha due vie per unificare: o quello di unificare in quello che è oggetto della sua esperienza e dire: "Tutto è così", oppure unificare nel Pensiero di Dio.

Ma per unificare nel Pensiero di Dio, lui deve cercare in Dio il significato, la ragione delle cose, altrimenti non può unificare.

Quindi abbiamo l'uomo che, dominato dalla passione dell'assoluto, tende a fare delle sua esperienza, un'esperienza assoluta e dire: "Tutto è così, perché io ho toccato con mano che è così, ho esperimentato che è così", fa estrapolazione, universalizza tutto.

Ma universalizzando tutto, cioè rendendo tutto uguale alla sua esperienza, l'uomo riduce immensamente il suo campo d'interesse, il suo campo di vita.

Infatti, quando l'uomo ha detto: "Tutto è così" finisce di crearsi la grande noia, non trova più vita in niente, perché "tutto è così".

"Ormai ho conosciuto, tutto il mondo è così, tutti gli uomini sono così".

L'uomo facendo questo si priva della vita, perché si priva della novità, si priva dell'interesse.

Ora la vita essenzialmente è interesse.

Tutta la creazione, tutti i dati, tutti i segni che Dio ci fa arrivare, ce li fa arrivare per formare in noi interesse per conoscere Lui.

Nella parabola dei talenti, quando Dio viene a chiedere la relazione circa i talenti che ha consegnato ai suoi servi affinché li amministrassero, viene a cercare quanto interesse essi abbiano saputo trarre dai talenti dati.

"Quanto interesse", portato nel campo dello Spirito, Dio viene a cercare da noi non i talenti che ci ha dato ma, quanto interesse abbiamo saputo trarre dai talenti che ci ha dato, cioè quanto interesse abbiamo saputo trarre da tutto ciò che Lui c'ha fatto arrivare giorno dopo giorno.

Da tutte quelle notizie, quegli avvenimenti, quei fatti, quei doni, quei talenti che Dio ha posto nella nostra vita.

Quanto interesse abbiamo saputo trarre da queste cose per conoscere Lui.

Questo è quello che Dio premia: l'interesse non i talenti.

E l'interesse per conoscere Lui.

Vuol dire che la vita nostra, non viene dai talenti che Dio ci dà, la vita nostra viene dall'interesse che traiamo dai talenti che Lui ci dà, dall'interesse per conoscere Lui.

Infatti a seconda dell'interesse che ogni servo ha saputo trarre da quei talenti dati, si è sentito o meno dire: "Entra nella gioia del tuo Signore".

Quell'uno che per paura di perdere il talento avuto, non ha saputo trarre interesse per conoscere Dio, forse per paura di perdere la sua fede, quello si è visto spogliato anche del suo talento: "A chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha".

Ecco, quello che conta non è quello che si possiede: "A che vale possedere anche tutto il mondo" dice San Paolo, quello che conta è l'interesse per conoscere Dio che si trae da tutto ciò che Dio ci fa arrivare.

Nel pensiero del nostro io noi trasformiamo tutti i doni che Dio ci fa arrivare in desiderio di possesso e proprio in quanto li trasformiamo in desiderio di possesso, noi ci priviamo della vita.

Non tendendo a possedere quello che Dio ci presenta, quello che Dio ci fa arrivare, creature, cose e tutto quanto, noi ci priviamo della vita.

Estinguiamo la vita, quando noi possediamo una cosa, quella non ci dà più vita.

Questo avviene nel pensiero dell'io.

Ecco qui come l'uomo si scava la tomba, la morte.

Se invece noi superiamo il pensiero del nostro io e tutti doni di Dio li riceviamo da Dio e cerchiamo presso Dio il pensiero, il significato di quello che Lui ci fa arrivare, qui adesso abbiamo l'interesse.

Ecco che qui si forma la vita.

Abbiamo detto che due sono le grandi vie attraverso cui gli uomini unificano e non possono non unificare.

L'uomo per la passione di assoluto deve estendere in assoluto tutte le cose, per la passione di unità deve unificare.

In un modo o nell'altro, tutti gli uomini, tendono a ridurre la loro vita a un unico punto e man mano che vivono, semplificano la loro vita in un unico pensiero, in un'unica passione, in un unico amore unificante.

C'è chi unifica possedendo e questa è la via dell'io, è la via che fondata sull'esperienza e c'è chi unifica cercando il Pensiero di Dio e questa è la via dello Spirito, la via di Dio.

La via di Dio conclude nell'uno, nell'unità, Dio è uno solo e in quest’unità noi troviamo l'infinito.

Un infinito in cui c'è la luce, perché in Dio tutto si giustifica, tutto si conosce.

Nella via dell'io invece noi abbiamo la riduzione allo zero, al nulla, al niente.

Quello che Gesù qui dice: "Se Io glorifico Me stesso la mia gloria è niente".

L'uomo parlando di sé si riduce a niente.

Noi sostanzialmente siamo pensiero di-.

Il Figlio è Pensiero del Padre, è Pensiero di Dio ed è per questo che Lui dice: "Io non glorifico Me stesso".

Lui essendo Pensiero di-, riceve la sua gloria, cioè riceve quello Lui è: Pensiero di-, da-, da Colui che lo fa suo Pensiero e noi stessi, essendo pensiero di-, non dobbiamo parlare di noi, perché parlando di noi, noi ci facciamo pensiero del nostro pensiero ed è per questo che ci annulliamo.

Il pensiero che tende ad affermare se stesso si annienta.

Il pensiero si realizza in quanto pensa ad altro da sé.

L'uomo si realizza in quanto si supera, in quanto quindi dimentica se stesso, è pensiero di-.

Proprio pensando ad altro riceve dall'altro l'essere.

Il nostro vero essere noi lo riceviamo da Dio.

Noi siamo creati per diventare Pensiero di Dio ma diventiamo quello che Dio ci ha voluti, soltanto in quanto noi superando noi stessi pensiamo Dio.

Pensando Dio, siamo fatti da Dio.

Ecco Colui che dà a noi l'essere e dice quello che veramente noi siamo.

Se invece noi pensiamo a noi, diventiamo pensiero del nostro pensiero: ci annulliamo, diventiamo niente.

Proiettiamo il nostro pensiero su tutti i doni di Dio ma proprio proiettando ed estendendo il nostro pensiero, il pensiero del nostro io sul tutto di Dio, annulliamo tutto, perché nel pensiero del nostro io non si giustifica niente.

Là dove non c'è la giustificazione c'è il niente, non troviamo più la vita.

La vita ci viene là nella conoscenza, là dove c'era giustificazione, la giustificazione in Dio.

Il pensiero del nostro io è un recettore, non è un creatore.

Il nostro io non ha in sé la ragione di niente, riceve i doni di Dio ma non giustifica niente.

Il nostro io deve essere giustificato e deve trovare la sua giustificazione.

Quindi noi proiettando il pensiero del nostro io su tutte le cose e lo proiettiamo perché abbiamo la passione dell'assoluto e non possiamo farne a meno, proiettando il pensiero del nostro io su tutti doni di Dio, su tutto l'universo, su tutte le cose, cioè estendendo il pensiero del nostro io all'infinito, noi ci riduciamo a zero, a niente.

Cioè ci collassiamo nel nostro finito.

Ecco il significato del buco nero, il nostro pensiero è come una stella che a un certo momento collassa tutta su se stessa e diventa un annientamento di tutto l'universo, perché tutto l'universo precipita in questo niente.

Ѐ un segno del nostro io che parlando di sé, pensando a sé, si riduce a niente, collassando tutto l'universo su se stesso.



Rispose Gesù: "Se io mi glorifico da me stesso, la mia gloria è niente; chi mi glorifica è il Padre mio, che voi dite di essere il vostro Dio".
Gv 8 Vs 54 Secondo tema.


Titolo:  La glorificazione del Figlio.


Argomenti:  Unificando nel pensiero dell'io, ci priviamo della vita. Unificando nel Pensiero di Dio troviamo la vita. Il concetto di luogo e di niente. L'autorità è un luogo sbagliato per la ricerca di Dio. Noi non possiamo conoscere l'essere fintanto che non giungiamo al Padre. Noi possiamo valutare la verità delle parole che ci vengono dette.


 

13/Luglio/1986  Casa di preghiera. Fossano.


Restiamo sempre nel versetto 54 in cui Gesù dice ai giudei: "Se Io mi glorifico da Me stesso la mia gloria è niente, chi mi glorifica è il Padre mio che voi dite essere il vostro Dio".

Abbiamo visto domenica scorsa la prima parte di questo versetto: "Se io mi glorifico da Me stesso, la mia gloria è niente".

Adesso ci dobbiamo soffermare sulla seconda parte: "Chi mi glorifica è il Padre mio che voi dite essere vostro Dio".

Anche qui dobbiamo chiederci quale lezione, quale significato abbiano queste parole per la nostra vita personale, perché le parole di Dio sono per ognuno di noi personalmente e soprattutto che cosa Dio vuole significare di Sé a noi attraverso queste sue parole.

Noi abbiamo visto che la passione d'unità che portiamo in noi è testimonianza della presenza di Dio, del Dio che regna.

Dio regnando rende presente la sua presenza in ognuno di noi, anche se noi non ne siamo consapevoli però, ne subiamo gli effetti, le conseguenze.

Per cui siamo noi stessi portatori della passione d'assoluto, quella passione che ci fa errare per tutta la vita in tanti sforzi inutili per cercare di rendere assoluto ciò che assoluto non è e non può essere.

Questa passione di assoluto che portata nel campo dell'intelletto diventa passione per la verità e ci fa costruire tutte le scienze, nel campo dello spirito diventa passione di unità.

Abbiamo visto che questa passione di unità sfocia in due limiti: il niente o l'Uno, l'Unità.

Il niente se noi rivolgiamo questa passione di unità al pensiero del nostro io e mettiamo il pensiero del nostro io al di sopra di tutto, cercando di raccogliere tutto attorno al pensiero del nostro io.

Raccogliendo tutto attorno al pensiero del nostro io noi, tendiamo, anziché a cercare di capire il significato delle cose, noi cerchiamo di possedere le cose, di unire le cose a noi, senza renderci conto che in questo tentativo di possesso delle cose, delle creature noi ci priviamo della vita.

Poiché la vita non viene, dice Gesù, dal possedere le cose.

Una cosa quando è posseduta non è più desiderata, non è più oggetto di desiderio, l'abbiamo esaurita nel possesso.

Quindi il possesso diventa la grande tomba nella quale noi seppelliamo la nostra vita, perché ci priviamo del desiderio.

La vita sta essenzialmente nel desiderio.

Ma tutti desideri di cose finite, si esauriscono nella finitezza stessa delle cose.

Soltanto il desiderio dell'infinito, quel desiderio che si sostanzia in unificazione di ogni cosa in Dio, quindi nella ricerca del significato delle cose nel Pensiero di Dio, solo qui noi abbiamo la fame che cresce all'infinito perché Dio è un infinito è l'unità, Dio è uno e  il raccoglimento nell'uno diventa per noi una vita infinita.

C'è sempre qualche cosa da unificare in Dio vivendo con Dio, qualche cosa da capire di Dio.

Però abbiamo detto che quando noi mettiamo il pensiero del nostro io al di sopra di tutto, inauguriamo una serie che ha per limite lo zero, il niente, il buco nero.

Cioè noi collassiamo tutto su noi stessi e ci priviamo della vita perdiamo la vita.

Invece la seconda via, quella serie che ha come limite l'unità, il raccoglimento nell'unità quindi nell'infinito è la via di Dio cioè è la via che presuppone il Pensiero di Dio messo al di sopra di tutto.

Il fatto stesso di dire: mettere il Pensiero di Dio al di sopra di tutto, ci fa già intuire che il Pensiero di Dio è tra tanti pensieri che noi possiamo avere, ai quali ci possiamo dedicare.

Essendo uno tra tanti è un luogo.

Per cui il Pensiero di Dio è il luogo in cui noi possiamo raccogliere tutto nell'unità, trovare la nostra vita, trovare Dio.

La nostra vita è nascosta in Dio.

Ne deriva che il Pensiero di Dio è il luogo della nostra vita, è il luogo in cui noi possiamo trovare la vita.

Dicendo luogo abbiamo già visto altre volte, intendiamo ciò in cui noi possiamo trovare qualche cosa.

Ma diciamo anche che fintanto che noi cerchiamo questo qualche cosa in un altro luogo, (siccome il luogo è quello) noi verifichiamo il niente, noi troviamo niente.

E così si formano in noi i due concetti: il concetto di luogo e il concetto di niente.

Il luogo è uno tra tanti e ci fa capire quindi come la vita sia scelta di un luogo: andare a cercare Dio in quel luogo in cui si può trovare ed evitare, quindi lasciare, superare tutti gli altri luoghi, se vogliamo evitare il fallimento.

Il concetto di niente, poiché il niente non esiste in assoluto, è relativo al luogo.

Noi verifichiamo il niente, in quanto cerchiamo una cosa là, dove non si può trovare, dove non c'è e allora diciamo che c'è niente.

Quindi il niente è una conseguenza di un errore di luogo, di una ricerca sbagliata in un luogo.

Ho detto molte volte che tutti gli uomini sono dei cercatori e dei cercatori terribili di Dio, perché consumano tutta la loro vita in questa ricerca dell'assoluto, però sbagliano luogo e sbagliando luogo trovano non Dio ma l'assenza di Dio, trovano il silenzio di Dio, trovano il vuoto, trovano la morte.

Tutto questo è il segno di un luogo sbagliato, segno della ricerca di Dio in un luogo sbagliato.

Una delle prime conseguenze del trovare niente è quella della perdita di significato della nostra vita, poiché nel niente noi verifichiamo che stiamo vivendo per niente, abbiamo trovato niente, abbiamo concluso niente.

Un’altra conseguenza è la perdita d’identità, non sappiamo più chi siamo.

Quando non sappiamo più per cosa viviamo, non sappiamo neppure più chi siamo: è la perdita d’identità del nostro io, di noi stessi.

Con tutte le conseguenze che ne derivano.

Questo è un effetto della ricerca di Dio in un luogo sbagliato.

Uno dei luoghi sbagliati è proprio quello di questi farisei, di questi giudei che stanno cercando l'autorità di Cristo: "Chi pretendi di essere".

Qui notiamo che non vanno mica alla ricerca della verità di ciò che Egli dice ma, vanno alla ricerca dell'autorità per cui dice le cose che dice.

Ѐ un luogo sbagliato perché la verità non dipende dall'autorità.

La verità non dipende da chi la dice, da chi parla, dall'autorità di chi parla, è piuttosto la verità che dà autorità a chi parla, a chi parla la verità.

Tutti gli esseri ricevono autorità se dicono il vero, quindi dalla verità che dicono, non dicono la verità per l'autorità che hanno ma, ricevono l'autorità da ciò che dicono, massimamente Dio è la massima autorità perché dice la verità.

Quindi è la verità che dà autorità alle cose.

Già i padri antichi dicevano: "Guardatevi bene da quei luoghi in cui la verità è fatta dipendere dall'autorità".

Teniamo presente che quei luoghi sono dentro di noi, se noi facciamo dipendere la verità dall'autorità di chi la dice, noi facciamo dipendere la prima massima autorità, perché la verità è autorità di se stessa, da se stessa, è assoluta ed essendo assoluta non dipende da nessuno e se noi la facciamo dipendere da qualcuno, evidentemente questa non è più verità, perché dipende da qualcuno.

Ora succede che noi certe volte, per comodo nostro, per evitare la nostra responsabilità personale nel cercare, nel riconoscere la verità di quello che ci viene detto, per nostra distrazione dalla passione, dall'amore per la verità, noi la facciamo dipendere da un'autorità ma con questo noi denunciamo che non abbiamo amore per la verità, è la ricerca di una giustificazione alla nostra sottrazione alla passione per la verità.

Qui dicono: "Chi pretendi di essere?".

"Con quale autorità dici queste cose?", dicono altrove.

"Chi ti autorizzato a insegnare, a parlare? Noi sappiamo che Costui è uno che viene da Nazareth, questo è il Figlio del falegname, chi pretende di essere?".

Siamo sempre sullo stesso piano, il voler far dipendere la verità delle cose che uno dice da ciò che quell'uno è.

Teniamo presente che ciò che uno è, nessuno lo può sapere perché ciò che uno è, è la sua Gloria ma, ciò che uno è, è ciò che è in relazione con Colui che è, con Dio, con l'essere, con il Padre.

Il che vuol dire che l'essere di ognuno dipende dal Padre, dalla relazione che ha con il Padre e quindi solo il Padre, solo Dio, solo l'essere può rivelare ciò che ognuno è, né a noi è dato saperlo fintanto che non giungiamo al Principio, che non giungiamo al Padre.

Ѐ dal Padre e per mezzo del Padre che noi possiamo intendere ciò che uno è.

Solo nel Padre noi conosceremo chi è il Figlio.

Quindi noi non possiamo conoscere l'essere.

Ecco quindi il luogo sbagliato: cercare la verità nell'autorità.

L'autorità è un luogo sbagliato per trovare la verità.

La verità si trova solo in se stessa.

Si trova solo nel Pensiero della Verità, nel Pensiero di Dio, cercarla altrove è cercarla in un luogo sbagliato ed è costatare il niente.

Ĕ questo l'errore di questi giudei che, anziché preoccuparsi di cercare di capire la verità delle parole di Dio dicono: "Costui non è da Dio perché non rispetta il sabato, quindi tutte le cose che dice sono menzogne, non è da Dio".

E allora "arriva fare miracoli per opera del demonio": "Tu sei un indemoniato".

Noi non possiamo conoscere che cosa è un essere, perché questo è dato soltanto dal rapporto con Dio, dalla relazione che ha con Dio ma, noi però possiamo conoscere le parole di verità che quell'essere dice.

Cioè noi possiamo valutare la verità delle parole che ci vengono dette se, le rapportiamo a Dio perché in noi c'è Dio ed essendo Dio in noi, avendo in noi il Maestro interiore, avendo in noi il Verbo interiore, noi possiamo riportare tutte le parole che giungono a noi a questo Verbo interiore e da questo rapporto capire, conoscere se sono verità, parole di verità o se invece sono menzogne.

Noi non possiamo che conoscere che cosa un essere è, ma possiamo conoscere la verità delle cose che quell'uno dice.

Noi possiamo conoscere la verità delle parole che ci dice magari un delinquente o che ci dice un bambino, noi non sappiamo chi siano il delinquente o il bambino però, le parole che giungono a noi, se noi le riportiamo in Dio, possiamo intendere se sono secondo Dio o se non sono secondo Dio.

Quindi possiamo riconoscere le parole.

Per questo Gesù quando questi dicono: "Chi pretendi di essere?", cioè in pratica gli chiedono: "Con quale autorità fai queste cose? Chi ti ha dato il "diploma" per parlare al popolo, alla gente? Chi di autorizzato? Chi pretendi di essere?" per questo Gesù si rifiuta di dire chi Egli è.

Un giorno gli fanno anche la domanda precisa: "Dicci con quale autorità Tu fai queste cose?", Lui risponde: " Vi farò anche Io una domanda, il battesimo del Battista veniva dal cielo o è opera degli uomini?".

 "Ah non lo sappiamo".

 "Nemmeno Io vi dico con quale autorità faccio queste cose".

Anche qui Gesù si rifiuta di dire chi Egli è: "Se Io mi glorifico da Me stesso, la mia gloria è niente" e con ciò ci ha dato una grande lezione, un grande insegnamento.

Lui, il Figlio di Dio dice a noi: "Se Io mi glorifico da Me stesso, la mia gloria è niente", quanto più a maggior ragione noi, se ci glorifichiamo da noi stessi, se cerchiamo il nostro prestigio, se cerchiamo di difendere il nostro onore se cerchiamo di difendere la nostra gloria nel mondo, tutto questo è niente, perché?

Perché l'essere non viene da noi.

Non siamo noi che possiamo predicare l'essere su noi stessi, è un Altro che può dire a noi quello che noi siamo ed è valido soltanto in quanto è l'Altro che rivela e dice a noi quello che noi siamo.

Per questo Gesù dice: "Chi mi glorifica è il Padre mio".

Glorificare abbiamo detto, è rivelare ciò che un essere è, quindi chi rivela quello che io sono, non sono né io, né voi e non c'è quindi nessun uomo che possa dire quello che io sono.

Chi dice quello che io sono è soltanto il Padre o "Colui che voi dite essere il vostro Dio".

In un altro luogo Gesù dice: "Nessuno conosce il Figlio se non il Padre".

Ecco la caratteristica del Figlio e quindi anche la caratteristica di tutti coloro che vogliono essere figli di Dio.

Gesù queste cose le dice per noi, per insegnare a noi come ci si comporta da figli di Dio.

Un figlio di Dio certamente non si comporta glorificando se stesso, difendendo il proprio nome o credendo di essere qualcuno o vantando di essere un'autorità o credendo di possedere noi la verità per l'autorità che abbiamo.

Tutti questi sono luoghi sbagliati e dicono niente.

Non convincono nessuno, perché l'unico Essere che convince le anime e dà pace, è Dio.

Le nostre anime sono fatte per Dio e possono essere convinte solo da Dio.

Se Dio apre, non c'è nessuno che possa chiudere ma se Dio non apre, non c'è nessuno al mondo che possa aprire.

Cioè se Dio illumina, non c'è nessuna cosa al mondo, nessuna autorità del mondo che possa ottenebrare la Luce che Dio ha dato all'anima.

Ma se Dio non illumina, tutte le parole degli uomini di tutto il mondo, non possono illuminare la nostra anima, quindi non possono convincerci.

Chi glorifica è il Padre e chi dice a noi, a ognuno di noi quello che noi siamo, è il Padre e soltanto guardando il Padre noi possiamo ricevere, ascoltare dal Padre, quello che noi siamo, quindi conoscerci.

In caso diverso non ci conosciamo.

"Chi mi glorifica è il Padre" e noi lo intendiamo come rivelazione di quello che il Figlio è e ci rivela anche un'altra grande cosa, ci rivela l'opera che il Padre sta facendo.

Non glorifica soltanto in quanto dice quello che il Figlio è ma il Padre, essendo Creatore opera la glorificazione del Figlio.

Il che vuol dire che conduce gli avvenimenti, la vita di tutte le creature, di tutti gli esseri, verso questo grande fine: la glorificazione del Figlio suo.

Cioè la rivelazione del Pensiero suo, del Pensiero di Dio.

La conclusione di tutta l'opera del Padre, nella conclusione di tutto l'universo, nella conclusione della vita di ognuno di noi, c'è questa grande meta: il Pensiero di Dio.

Conclusione, fine, meta di tutto ciò che avviene, di tutto ciò che esiste, anche della vita e di tutti pensieri di ognuno di noi.

Noi stiamo camminando (qualcuno ha detto correndo con la velocità di un treno direttissimo) verso questo grande Fine, verso questa riduzione all'unità del Pensiero di Dio, della presenza del Pensiero di Dio.

Però prima di giungere a questa Presenza, è necessario l'anticipo da parte nostra, un salto, una conoscenza di questo Pensiero, prima che Questo si manifesta in modo chiaro.

Ĕ necessario cioè che da parte nostra ci sia un salto nel Padre, per conoscere dal Padre (nel Padre, dal Padre) questo suo Figlio, questo Pensiero.

Perché soltanto così, se noi l'avremo interiorizzato, l'avremo conosciuto in noi, sarà data noi la possibilità di sopportare questa riduzione di tutte le cose a quest’unico Pensiero, a questa grande Unita, a questa presenza in noi.

Perché la presenza, la rivelazione della presenza in noi del Pensiero di Dio, di per sé non è illuminante.

Bisogna tenere molto presente che il Pensiero di Dio in noi si fa costatare ma, non è illuminante.

Perché il Pensiero di Dio è opera del Padre e l'opera è illuminata soltanto dalla sua Sorgente, dalla sua Causa.

Quindi è illuminata soltanto dal Padre e solo se noi, prima che questo Pensiero s'imponga su di noi, avremo fatto il salto, il salto di qualità nel Padre, per vedere dal Padre il Figlio suo noi, avremo la possibilità di sopportare questa Presenza, perché avremo la possibilità d'intenderla.

Ognuno avrà la capacità di sopportare solo la presenza nella misura  in cui avrà la capacità d'intenderla.

Ma se il Pensiero di Dio si presentasse a noi senza che noi ci sia la possibilità di intenderlo, noi non potremo sopportare questa Presenza.

Eppure sarà una presenza che s’imporrà, perché è opera del Padre.

Ĕ quello che dice il Signore qui: "Chi mi glorifica", glorificare vuol dire evidenziare e una cosa è evidenziata in quanto è messa al di sopra di tutto e quindi è ridotto tutta all'unità.

Però quando questo arriva, bisogna che in noi già trovi la capacità di intenderlo.

La capacità di intenderlo ci viene dal Padre.

A questo punto noi possiamo intendere queste tre grandi tappe che Gesù annuncia dicendo: "Padre glorifica tuo Figlio" e il Padre risponde: "L'ho glorificato è ancora lo glorificherò".

Seconda tappa: "Padre glorifica tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi Te".

Soltanto se il Padre rivela a noi suo Figlio, nel suo Figlio, cioè nel suo Pensiero, nel Pensiero del Padre, noi possiamo conoscere il Padre.

Terza tappa: "Padre glorifica tuo Figlio di quella gloria e che Egli ebbe prima che il mondo fosse".

Qui a questo punto Gesù ci orienta a quel grande rapporto che richiede la veglia infinita, poiché richiede il superamento di tutte le cose (prima che il mondo fosse), per conoscere il rapporto tra Padre e Figlio nell'assoluto stesso dell'essenza di Dio.