Rispose
Gesù: "Se io mi glorifico da me stesso, la mia gloria è niente; chi mi glorifica è il
Padre mio, che voi dite di essere il vostro Dio".
Gv 8 Vs 54 Primo tema.
Titolo: Il
buco nero dell'unificazione nel pensiero dell'io.
Argomenti: Contrapporre
l'esperienza alla parola di Dio. I
nostri sensi fanno capo al pensiero dell'io. Il
rapporto tra l'essere e il glorificare. La
vera gloria ognuno la riceve da Dio. L'uomo
porta la verità in sé. Gli
uomini si glorificano tra di loro.
Parlare
è glorificare. Il
niente è un concetto relativo, relativo
a ciò che cerchiamo e al luogo dove cerchiamo. Parlando di sé, l'uomo si riduce a niente. Per la passione di unità, l'uomo può unificare o in Dio o
nella sua esperienza. Dio
premia l'interesse, non i talenti.
Vivendo,
l'uomo riduce la vita a un unico pensiero o il nulla o Dio. Il pensiero che tende a affermare se stesso si annienta.
6/Luglio/1986
Casa di preghiera. Fossano.
Siamo
al versetto 54.
Gesù
rispose ai giudei: "Se Io mi glorifico da Me stesso, la mia gloria è
niente, chi mi glorifica è il Padre mio che voi dite, essere il vostro
Dio".
Oggi
ci fermiamo alla prima parte di questo versetto.
Gesù
dice: "Se Io mi glorifico da Me stesso, la mia gloria è niente".
Risponde
a una provocazione.
La
provocazione era: "Chi pretendi di essere?".
Risponde
a una provocazione, perché di fronte alla sua affermazione: "Se qualcuno
custodisce la mia Parola, non vedrà la morte in eterno", i giudei avevano
ribadito: "Vediamo bene che sei posseduto da un demonio" e avevano
messo a confronto quello che Lui aveva affermato con: "Abramo è morto,
anche i profeti sono morti e Tu chi pretende di essere?".
Avevano
opposto alle sue Parole, Parole di Dio, quella che e l'esperienza di tutti gli
uomini.
L'esperienza
di tutti gli uomini è la morte.
Come
l'esperienza di tutti gli uomini è il silenzio di Dio, è l'assenza di Dio,
questa è la vera esperienza che tutti gli uomini fanno, subiscono: esperienza
esistenziale, nolenti e non capiscono.
Poiché
l'esperienza della presenza di Dio, si può fare solo nel Pensiero di Dio, nel
pensiero del nostro io non si fa esperienza di Dio ma si fa l'esperienza
dell'assenza di Dio, della morte di Dio, del vuoto, del silenzio di Dio.
Molti,
facendo questa esperienza, dicono: "Vedete che Dio non esiste".
Alla
Parola di Dio che dice: "Io sono", alla Parola di Dio che dice:
"Chi custodisce la mia Parola non vedrà la morte", si contrappone
alla Parola di Dio, l'esperienza dell'uomo, la nostra esperienza e di qui ne
deriva il criterio di verità e il criterio di validità.
Dobbiamo
dare validità a ciò che i nostri sensi ci fanno e sperimentare?
Teniamo
presente che se i nostri sensi ci fanno esperimentare un certo mondo, anche
questo è creazione di Dio, anche questo è opera di Dio.
Comunque
dobbiamo dare validità all'esperienza che i nostri sensi ci fanno fare, alla
realtà del mondo, alle vicende del mondo, alla morte, all'assenza di Dio, alle
esperienze che i nostri sensi ci fanno fare?
Oppure
dobbiamo dare validità alla parola di Dio, al Pensiero di Dio, a Dio che dice:
"Io sono"?
Dobbiamo
dare validità a quello che vediamo con i nostri occhi o dobbiamo dare validità
a quello che portiamo dentro di noi?
Abbiamo detto che l'uomo si trova il portatore di questi due grandi dati: il Pensiero di
Dio in se stesso e l'esperienza nel mondo.
Ma
abbiamo anche detto che questi due dati sono in conflitto uno con l'altro.
Ci
deve essere anche una ragione di questo conflitto.
Il
primo problema che nasce è questo: a quale dei due dobbiamo dare maggior
valore?
A
quello che dicono i nostri sensi o a quello che dice il Pensiero di Dio in noi?
E
noi, le domeniche scorse abbiamo visto, che l'esperienza dei nostri sensi fa
capo al pensiero di noi stessi, al pensiero del nostro io.
Basta
considerare questo che l'esperienza dei nostri sensi fa capo al nostro io, per
cui, noi diciamo: "Questo è vero perché io l'ho visto così, questo è vero
perché io l'ho ascoltato, questo è vero perché io l'ho toccato" ma la
testimonianza non va oltre al pensiero del nostro io.
I
nostri sensi fanno capo al nostro io.
Ma
abbiamo anche visto che il nostro io non è un principio di verità.
Il
nostro io e ne abbiamo delle prove quotidiane, anche nel nostro stesso mondo,
il nostro io non è il creatore, non ha in sé la ragione delle cose non può
quindi dire: "Le cose sono perché io le vedo ed io le sento".
C'è
sempre qualche cosa di diverso, qualche cosa che ci sopravanza, che ci supera
che noi non vediamo, che noi non tocchiamo per cui limita l'affermazione del
pensiero del nostro io a una certa relatività: "Questo è vero perché i
miei sensi..." ma non oltre.
Cioè
io non posso dire: "Questo è vero in tutto, quello che io ho visto, quello
che io toccato vale per tutto".
Quello
che ho visto, quello che ho toccato è relativo a me, non posso andare oltre.
Il
fatto stesso che il nostro io non abbia in sé la verità, la ragione delle cose,
già ci fa scartare come criterio di validità i dati della nostra esperienza.
Resta
l'altro dato, il dato di Dio, il Pensiero di Dio Creatore ma il Pensiero di Dio
Creatore siccome è un dato, nessuno lo può ignorare però nessuno ne fa
esperienza.
Non
lo ignoriamo, sappiamo che è Dio Creatore, sappiamo quindi che è Colui che ha
in Sé la ragione, la giustificazione di tutte le cose, però non lo
esperimentiamo e allora qui nasce il conflitto, quel conflitto che ha portato
questi giudei, questi farisei a disprezzare la Parola di Gesù: "Chi
pretendi di essere?".
Qui Gesù risponde a questa provocazione e risponde
dicendo: "Se
Io mi glorifico da Me stesso", "Chi pretendi di essere?".
"Se
Io mi glorifico da Me stesso".
Qui
pone un parallelo tra l'essere e il glorificare e intanto ci fa capire cosa
vuol dire glorificare.
Lui
non dice: "Io dico o non dico quello che sono", dice: "Se Io mi
glorifico".
Questo
ci fa capire che glorificare vuol dire ciò che un essere è.
Quindi
qui Gesù dice: "Io non dico da Me stesso quello che sono".
La
Gloria di uno è ciò che è questo uno.
La
vera gloria è ciò che uno è, in relazione a Dio.
Dio
solo è Colui che è.
Ogni
altro esistente è, in quanto è in relazione a Colui che è, in quanto partecipa
di Colui che è.
Quindi
conoscere la Gloria di uno, è conoscere ciò che un essere o un esistente è in
relazione a Colui che è, in relazione a Dio.
Il
che vuol dire che la vera gloria di ognuno, ognuno la riceve solo da Dio.
Per
questo Gesù si rifiuta alla domanda: "Chi pretendi di essere?", Gesù
si rifiuta di dire quello che Lui è.
Gesù
si rifiuta di dire quello che Lui è per uno scopo ben preciso.
Non perché Lui non glorifichi Se stesso o che la sua gloria sia niente,
perché Lui sa, donde viene e dove va, ma è in noi che se Lui glorifica Se
stesso la sua gloria è niente.
Perché
noi non sappiamo, donde Egli venga e dove Egli vada e non sapendolo, se Lui
l'affermazione di Sé la dice da solo, noi non abbiamo la possibilità di
verificare la verità di quello che Lui dice.
Ora
la caratteristica della Parola di Dio quando giunge all'uomo è questa: dà
all'uomo la possibilità di verificare la verità di quello che dice e questo
avviene perché ogni uomo porta in sé Dio e portando in sé Dio, ha la
possibilità di interrogare Dio, ha la possibilità di ascoltare Dio.
Sant'Agostino
parlava di un Maestro interiore, del Verbo interiore ed è questo che insegna
veramente all'uomo, questo è il vero Maestro degli uomini.
Ѐ
questo che ci convince e ci fa assentire alla Parola di Dio che arriva a noi
dall'esterno,
Per
cui quando la Parola di Dio arriva a noi, confrontandola con il Verbo interiore
che portiamo dentro di noi, noi diciamo: "Questo è vero".
Ora
noi non potremmo dire: "Questo è vero", se non portassimo in noi
stessi la stessa Verità.
Ѐ
questa la meraviglia, il tesoro che ogni uomo porta in sé.
Ogni
uomo ha la possibilità di attingere personalmente alla Verità, proprio perché
porta Dio in Sé, ha la possibilità di assentire e di dire: "Questo è
vero", è una forza enorme, perché rende l'uomo più forte di tutte le sue
esperienze nel mondo, di tutto ciò che gli dicono i sensi.
Anche
questa è una testimonianza della meraviglia del destino dell'uomo.
L'uomo
è destinato ad attingere personalmente, direttamente la Verità dalla bocca di
Dio.
Ecco
la grandezza che Dio ha voluto creare formando l'uomo.
Se
Gesù qui dice: "Se Io mi glorifico da Me stesso, la mia Gloria è
niente", l'ha detto per noi, in noi e nello stesso tempo ci ha fatto
capire (lo vedremo in seguito) che Lui riceve gloria dal Padre.
Tutte
queste cose le dice per noi, affinché anche noi abbiamo a capire che, poiché la
gloria è ciò che un essere è, così anche quello che noi siamo, noi non lo
possiamo dire e non lo dobbiamo dire, diremmo una menzogna.
Quello
che noi siamo, non siamo noi che lo possiamo dire ma, lo dobbiamo ricevere da-.
Lo
dobbiamo ricevere da Colui che è, dal Creatore.
La
Gloria, cioè l'essere di ognuno, dipende da ciò che egli è in relazione a Dio.
Quello
che ognuno è in relazione a Dio, viene da Dio e soltanto da Dio lo si può
trovare.
Ecco
quello che Gesù ha voluto dire, comunicare a noi, rifiutandosi di rispondere
alla provocazione di quei giudei: "Chi pretendi di essere?".
"Io
non mi glorifico da Me stesso"
Però gli uomini si glorificano da se stessi.
Allora
dobbiamo chiederci quale sia la lezione, quale sia il significato di queste
parole del Signore.
Il
Signore qui sta parlando a uomini che cercano la loro gloria gli uni dagli
altri.
Noi,
tutti uomini (lo dice Gesù stesso), stiamo elemosinando gloria gli uni dagli
altri, siamo mendicanti.
Noi
che ci crediamo ricchi, potenti, signori, in realtà (è la parola di Dio
che lo dice) siamo dei mendicanti, mendicanti di gloria gli uni dagli altri.
Elemosiniamo
un atto d'amore, elemosiniamo un po' di attenzione, elemosiniamo uno sguardo,
elemosiniamo sempre in continuazione qualche novità, qualche comunicazione,
qualche parola dagli altri.
Però
Gesù dice anche: "Come potete credere voi che mendicate la gloria gli uni
dagli altri?".
Ciò
vuol dire che fintanto che noi siamo mendicanti di tale gloria, non possiamo accedere
alla fede.
"Come
potete credere?" è impossibile.
Il principio della fede è proprio quello di non parlare,
di non glorificare noi stessi.
La
parola è una lente d'ingrandimento e quando parliamo di noi stessi, noi non
facciamo altro che ingrandire il nostro io, deformarlo e farlo uscire dalla sua
dimensione, gonfiarlo e il Signore dice chi si esalta sarà abbassato cioè, chi
si gonfia sarà sgonfiato.
Ecco
glorificare vuol dire parlare di-, e il parlare di-, è dire sempre un
glorificare, cioè è mettere una lente d’ingrandimento su qualche cosa e la
lente d'ingrandimento ci deforma, ci presenta diversi da quello che in realtà
noi siamo.
Per
cui non dobbiamo parlare di noi.
La
grande difficoltà sta lì, se non parliamo di noi di che cosa parliamo?
Proibito
all'uomo di parlare di sé, l'uomo diventa muto, non sa più che cosa dire.
Questo
ci fa verificare quanto grande sia la distanza nostra da Dio, la nostra
lontananza da Dio.
Perché
noi dovremmo imparare a parlare solo di Dio, a glorificare solo Dio, perché
solo glorificando Dio noi, restiamo nella Verità.
Teniamo
presente che noi possiamo parlare di noi stessi sia dicendo quanto noi siamo
bravi o ricchi, sia dicendo quanto siamo umili o poveri: è sempre un parlare di
noi.
Noi
possiamo parlare di noi stessi sia vestendoci di abiti lussuosi, sia vestendoci
da mendicanti: è sempre un parlare di noi e quindi è sempre un glorificarci, un
metterci in vetrina, un presentare noi stessi.
E
qui Gesù dice a noi: "Se io mi glorifico da Me stesso, la mia gloria è
niente".
Dice
questo per noi, per cui ci fa capire che parlando di noi tutto quello che noi
diciamo, è niente.
Possiamo chiederci che cosa voglia significare questo
"niente"
che ritorna molto sovente nel Vangelo: "Senza di Me non potete fare
niente", "Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente
è fatto di tutto quello che è fatto".
C'è
sempre questo "niente" che ritorna.
Questa
è una parola ma ogni parola significa una realtà, significa qualche cosa.
Che
realtà significa "niente"?
Il
niente è niente e se è niente non esiste, esiste l'Essere, esiste Dio, esiste
Colui che è, non esiste il niente.
Eppure
c'è la parola "niente".
In
quanto c'è, significa qualcosa.
Abbiamo
visto anche che presso Dio la morte non c'è, la morte è assenza, assenza di presenza.
Presso
Dio c'è la presenza.
Dio
è presente in tutto.
D'altronde
Gesù stesso dice ai giudei che Dio, è il Dio dei viventi, non è il Dio dei
morti.
Per
Lui tutti sono vivi, anche Abramo, anche Giacobbe, anche Isacco, anche i
profeti.
Gesù
dice: "Presso Dio tutti sono vivi".
Allora
anche tutti quelli che noi diciamo morti, presso Dio sono vivi.
Ѐ
parola di Dio, presso Dio tutti sono vivi.
Cioè
la morte non c'è.
Allora
perché si parla di morte?
La
morte è un'esperienza che noi facciamo e così anche il niente.
Il
niente essendo niente non esiste, esiste l'essere.
Ma
allora perché l'uomo fa esperienza del niente?
Questa
è un’esperienza che l'uomo fa, come fa esperienza della morte.
Il
niente poiché non esiste in assoluto, è un concetto relativo.
Relativo
a che cosa?
Noi
diciamo "niente" in quanto cerchiamo qualcosa che dobbiamo aver
presente in noi, perché se non l'avessimo presente, non lo cercheremmo,
cerchiamo qualcosa in un luogo in cui non lo troviamo.
Quindi
il niente non è niente, è niente in un luogo.
Non
solo ma il niente è sempre relativo a qualche cosa che abbiamo presente dentro
di noi, perché noi non potremmo costatare il niente se non avessimo presente
nella nostra memoria qualche cosa.
Se
noi non avessimo presente dentro di noi un essere, una persona, un oggetto noi,
avremmo sempre presente come esperienza dei sensi qualche cosa: i segni di Dio
che non sono niente.
Noi
diciamo "niente" in quanto abbiamo in noi, presente nella nostra
memoria, nella nostra mente qualcosa, e questo qualche cosa non lo vediamo
davanti ai nostri occhi e allora diciamo che non c'è niente.
Il niente è sempre relativo a ciò che noi stiamo cercando
e al luogo in cui stiamo cercando.
Allora
il niente è relativo a noi stessi, non c'è in assoluto.
In
assoluto c'è l'essere.
Qui
dice: "Se io mi glorifico da Me stesso, la mia gloria è niente", lo
dice per noi, quindi dice che quando tu uomo glorifichi te stesso la tua gloria
è niente.
Tu
uomo quando parli di te stesso, il tuo parlare è niente e ti riduce a niente.
Quello
che gli uomini non sanno è questo: che più parlano di sé e più si riducono a
niente e verificano questo niente.
Come
avviene questo?
L'uomo
sostanzialmente è una passione di assoluto.
Una
passione di assoluto che portata nel campo dello spirito diventa passione di
unità.
Ecco,
è su questo campo che si verifica proprio quest’annullamento dell'uomo, per cui
l'uomo viene a toccare con mano, viene a fare esperienza del niente.
L'uomo dominato dalla passione dell'unità ha due vie per unificare: o quello di
unificare in quello che è oggetto della sua esperienza e dire: "Tutto è
così", oppure unificare nel Pensiero di Dio.
Ma
per unificare nel Pensiero di Dio, lui deve cercare in Dio il significato, la
ragione delle cose, altrimenti non può unificare.
Quindi
abbiamo l'uomo che, dominato dalla passione dell'assoluto, tende a fare delle
sua esperienza, un'esperienza assoluta e dire: "Tutto è così, perché io ho
toccato con mano che è così, ho esperimentato che è così", fa
estrapolazione, universalizza tutto.
Ma
universalizzando tutto, cioè rendendo tutto uguale alla sua esperienza, l'uomo
riduce immensamente il suo campo d'interesse, il suo campo di vita.
Infatti,
quando l'uomo ha detto: "Tutto è così" finisce di crearsi la grande
noia, non trova più vita in niente, perché "tutto è così".
"Ormai
ho conosciuto, tutto il mondo è così, tutti gli uomini sono così".
L'uomo
facendo questo si priva della vita, perché si priva della novità, si priva
dell'interesse.
Ora
la vita essenzialmente è interesse.
Tutta
la creazione, tutti i dati, tutti i segni che Dio ci fa arrivare, ce li fa
arrivare per formare in noi interesse per conoscere Lui.
Nella
parabola dei talenti, quando
Dio viene a chiedere la relazione circa i talenti che ha consegnato ai suoi
servi affinché li amministrassero, viene a cercare quanto interesse essi
abbiano saputo trarre dai talenti dati.
"Quanto
interesse", portato nel campo dello Spirito, Dio viene a cercare da noi
non i talenti che ci ha dato ma, quanto interesse abbiamo saputo trarre dai
talenti che ci ha dato, cioè quanto interesse abbiamo saputo trarre da tutto
ciò che Lui c'ha fatto arrivare giorno dopo giorno.
Da
tutte quelle notizie, quegli avvenimenti, quei fatti, quei doni, quei talenti
che Dio ha posto nella nostra vita.
Quanto
interesse abbiamo saputo trarre da queste cose per conoscere Lui.
Questo
è quello che Dio premia: l'interesse non i talenti.
E
l'interesse per conoscere Lui.
Vuol
dire che la vita nostra, non viene dai talenti che Dio ci dà, la vita nostra
viene dall'interesse che traiamo dai talenti che Lui ci dà, dall'interesse per
conoscere Lui.
Infatti
a seconda dell'interesse che ogni servo ha saputo trarre da quei talenti dati,
si è sentito o meno dire: "Entra nella gioia del tuo Signore".
Quell'uno
che per paura di perdere il talento avuto, non ha saputo trarre interesse per
conoscere Dio, forse per paura di perdere la sua fede, quello si è visto
spogliato anche del suo talento: "A chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà
tolto anche quello che ha".
Ecco,
quello che conta non è quello che si possiede: "A che vale possedere anche
tutto il mondo" dice San Paolo, quello che conta è l'interesse per
conoscere Dio che si trae da tutto ciò che Dio ci fa arrivare.
Nel
pensiero del nostro io noi trasformiamo tutti i doni che Dio ci fa arrivare in
desiderio di possesso e proprio in quanto li trasformiamo in desiderio di
possesso, noi ci priviamo della vita.
Non
tendendo a possedere quello che Dio ci presenta, quello che Dio ci fa arrivare,
creature, cose e tutto quanto, noi ci priviamo della vita.
Estinguiamo
la vita, quando noi possediamo una cosa, quella non ci dà più vita.
Questo
avviene nel pensiero dell'io.
Ecco
qui come l'uomo si scava la tomba, la morte.
Se
invece noi superiamo il pensiero del nostro io e tutti doni di Dio li riceviamo
da Dio e cerchiamo presso Dio il pensiero, il significato di quello che Lui ci
fa arrivare, qui adesso abbiamo l'interesse.
Ecco
che qui si forma la vita.
Abbiamo
detto che due sono le grandi vie attraverso cui gli uomini unificano e non
possono non unificare.
L'uomo
per la passione di assoluto deve estendere in assoluto tutte le cose, per la
passione di unità deve unificare.
In un modo o nell'altro, tutti gli uomini, tendono a ridurre la loro vita a
un unico punto e man mano che vivono, semplificano la loro vita in un unico
pensiero, in un'unica passione, in un unico amore unificante.
C'è
chi unifica possedendo e questa è la via dell'io, è la via che fondata
sull'esperienza e c'è chi unifica cercando il Pensiero di Dio e questa è la via
dello Spirito, la via di Dio.
La
via di Dio conclude nell'uno, nell'unità, Dio è uno solo e in quest’unità noi
troviamo l'infinito.
Un
infinito in cui c'è la luce, perché in Dio tutto si giustifica, tutto si
conosce.
Nella
via dell'io invece noi abbiamo la riduzione allo zero, al nulla, al niente.
Quello
che Gesù qui dice: "Se Io glorifico Me stesso la mia gloria è
niente".
L'uomo
parlando di sé si riduce a niente.
Noi
sostanzialmente siamo pensiero di-.
Il
Figlio è Pensiero del Padre, è Pensiero di Dio ed è per questo che Lui dice:
"Io non glorifico Me stesso".
Lui essendo Pensiero di-, riceve la sua gloria, cioè riceve quello Lui è:
Pensiero di-, da-, da Colui che lo fa suo Pensiero e noi stessi, essendo
pensiero di-, non dobbiamo parlare di noi, perché parlando di noi, noi ci
facciamo pensiero del nostro pensiero ed è per questo che ci annulliamo.
Il
pensiero che tende ad affermare se stesso si annienta.
Il
pensiero si realizza in quanto pensa ad altro da sé.
L'uomo
si realizza in quanto si supera, in quanto quindi dimentica se stesso, è
pensiero di-.
Proprio
pensando ad altro riceve dall'altro l'essere.
Il
nostro vero essere noi lo riceviamo da Dio.
Noi
siamo creati per diventare Pensiero di Dio ma diventiamo quello che Dio ci ha
voluti, soltanto in quanto noi superando noi stessi pensiamo Dio.
Pensando
Dio, siamo fatti da Dio.
Ecco
Colui che dà a noi l'essere e dice quello che veramente noi siamo.
Se
invece noi pensiamo a noi, diventiamo pensiero del nostro pensiero: ci
annulliamo, diventiamo niente.
Proiettiamo
il nostro pensiero su tutti i doni di Dio ma proprio proiettando ed estendendo
il nostro pensiero, il pensiero del nostro io sul tutto di Dio, annulliamo
tutto, perché nel pensiero del nostro io non si giustifica niente.
Là
dove non c'è la giustificazione c'è il niente, non troviamo più la vita.
La
vita ci viene là nella conoscenza, là dove c'era giustificazione, la
giustificazione in Dio.
Il
pensiero del nostro io è un recettore, non è un creatore.
Il
nostro io non ha in sé la ragione di niente, riceve i doni di Dio ma non
giustifica niente.
Il
nostro io deve essere giustificato e deve trovare la sua giustificazione.
Quindi
noi proiettando il pensiero del nostro io su tutte le cose e lo proiettiamo
perché abbiamo la passione dell'assoluto e non possiamo farne a meno,
proiettando il pensiero del nostro io su tutti doni di Dio, su tutto
l'universo, su tutte le cose, cioè estendendo il pensiero del nostro io all'infinito,
noi ci riduciamo a zero, a niente.
Cioè
ci collassiamo nel nostro finito.
Ecco
il significato del buco nero, il nostro pensiero è come una stella che a un
certo momento collassa tutta su se stessa e diventa un annientamento di tutto
l'universo, perché tutto l'universo precipita in questo niente.
Ѐ
un segno del nostro io che parlando di sé, pensando a sé, si riduce a niente,
collassando tutto l'universo su se stesso.
Rispose Gesù:
"Se io mi glorifico da me stesso, la mia gloria è niente; chi mi glorifica è il Padre mio, che voi dite di
essere il vostro Dio".
Gv 8 Vs 54 Secondo tema.
Titolo: La glorificazione
del Figlio.
Argomenti: Unificando nel pensiero dell'io, ci
priviamo della vita. Unificando
nel Pensiero di Dio troviamo la vita. Il concetto
di luogo e di niente. L'autorità
è un luogo sbagliato per la ricerca di Dio. Noi non
possiamo conoscere l'essere fintanto che non giungiamo al Padre. Noi
possiamo valutare la verità delle parole che ci vengono dette.
13/Luglio/1986
Casa di preghiera. Fossano.
Restiamo
sempre nel versetto 54 in cui Gesù dice ai giudei: "Se Io mi glorifico da
Me stesso la mia gloria è niente, chi mi glorifica è il Padre mio che voi dite
essere il vostro Dio".
Abbiamo
visto domenica scorsa la prima parte di questo versetto: "Se io mi
glorifico da Me stesso, la mia gloria è niente".
Adesso ci
dobbiamo soffermare sulla seconda parte: "Chi mi glorifica è il Padre mio
che voi dite essere vostro Dio".
Anche qui
dobbiamo chiederci quale lezione, quale significato abbiano queste parole per
la nostra vita personale, perché le parole di Dio sono per ognuno di noi
personalmente e soprattutto che cosa Dio vuole significare di Sé a noi
attraverso queste sue parole.
Noi
abbiamo visto che la passione d'unità che portiamo in noi è testimonianza della
presenza di Dio, del Dio che regna.
Dio
regnando rende presente la sua presenza in ognuno di noi, anche se noi non ne
siamo consapevoli però, ne subiamo gli effetti, le conseguenze.
Per cui
siamo noi stessi portatori della passione d'assoluto, quella passione che ci fa
errare per tutta la vita in tanti sforzi inutili per cercare di rendere
assoluto ciò che assoluto non è e non può essere.
Questa
passione di assoluto che portata nel campo dell'intelletto diventa passione per
la verità e ci fa costruire tutte le scienze, nel campo dello spirito diventa
passione di unità.
Abbiamo
visto che questa passione di unità sfocia in due limiti: il niente o l'Uno,
l'Unità.
Il niente se noi rivolgiamo questa
passione di unità
al pensiero del nostro io e mettiamo il pensiero del nostro io al di sopra di
tutto, cercando di raccogliere tutto attorno al pensiero del nostro io.
Raccogliendo
tutto attorno al pensiero del nostro io noi, tendiamo, anziché a cercare di
capire il significato delle cose, noi cerchiamo di possedere le cose, di unire
le cose a noi, senza renderci conto che in questo tentativo di possesso delle
cose, delle creature noi ci priviamo della vita.
Poiché la
vita non viene, dice Gesù, dal possedere le cose.
Una cosa
quando è posseduta non è più desiderata, non è più oggetto di desiderio,
l'abbiamo esaurita nel possesso.
Quindi il
possesso diventa la grande tomba nella quale noi seppelliamo la nostra vita,
perché ci priviamo del desiderio.
La
vita sta essenzialmente nel desiderio.
Ma tutti
desideri di cose finite, si esauriscono nella finitezza stessa delle cose.
Soltanto
il desiderio dell'infinito, quel desiderio che si sostanzia in unificazione di
ogni cosa in Dio, quindi nella ricerca del significato delle cose nel Pensiero
di Dio, solo qui noi abbiamo la fame che cresce all'infinito perché Dio è un
infinito è l'unità, Dio è uno e il raccoglimento nell'uno diventa per noi
una vita infinita.
C'è sempre
qualche cosa da unificare in Dio vivendo con Dio, qualche cosa da capire di
Dio.
Però
abbiamo detto che quando noi mettiamo il pensiero del nostro io al di sopra di
tutto, inauguriamo una serie che ha per limite lo zero, il niente, il buco
nero.
Cioè noi
collassiamo tutto su noi stessi e ci priviamo della vita perdiamo la vita.
Invece la seconda via, quella
serie che ha come
limite l'unità, il raccoglimento nell'unità quindi nell'infinito è la via di
Dio cioè è la via che presuppone il Pensiero di Dio messo al di sopra di tutto.
Il fatto
stesso di dire: mettere il Pensiero di Dio al di sopra di tutto, ci fa già
intuire che il Pensiero di Dio è tra tanti pensieri che noi possiamo avere, ai
quali ci possiamo dedicare.
Essendo
uno tra tanti è un luogo.
Per cui il
Pensiero di Dio è il luogo in cui noi possiamo raccogliere tutto nell'unità,
trovare la nostra vita, trovare Dio.
La nostra
vita è nascosta in Dio.
Ne deriva
che il Pensiero di Dio è il luogo della nostra vita, è il luogo in cui noi
possiamo trovare la vita.
Dicendo
luogo abbiamo già visto altre volte, intendiamo ciò in cui noi possiamo trovare
qualche cosa.
Ma diciamo anche che fintanto che noi cerchiamo questo qualche cosa
in un altro luogo, (siccome il luogo è quello) noi verifichiamo il niente, noi
troviamo niente.
E così si formano in noi i due
concetti: il
concetto di luogo e il concetto di niente.
Il luogo è
uno tra tanti e ci fa capire quindi come la vita sia scelta di un luogo: andare
a cercare Dio in quel luogo in cui si può trovare ed evitare, quindi lasciare,
superare tutti gli altri luoghi, se vogliamo evitare il fallimento.
Il
concetto di niente, poiché il niente non esiste in assoluto, è relativo al
luogo.
Noi
verifichiamo il niente, in quanto cerchiamo una cosa là, dove non si può
trovare, dove non c'è e allora diciamo che c'è niente.
Quindi il
niente è una conseguenza di un errore di luogo, di una ricerca sbagliata in un
luogo.
Ho detto
molte volte che tutti gli uomini sono dei cercatori e dei cercatori terribili
di Dio, perché consumano tutta la loro vita in questa ricerca dell'assoluto,
però sbagliano luogo e sbagliando luogo trovano non Dio ma l'assenza di Dio,
trovano il silenzio di Dio, trovano il vuoto, trovano la morte.
Tutto
questo è il segno di un luogo sbagliato, segno della ricerca di Dio in un luogo
sbagliato.
Una delle
prime conseguenze del trovare niente è quella della perdita di significato
della nostra vita, poiché nel niente noi verifichiamo che stiamo vivendo per
niente, abbiamo trovato niente, abbiamo concluso niente.
Un’altra
conseguenza è la perdita d’identità, non sappiamo più chi siamo.
Quando non
sappiamo più per cosa viviamo, non sappiamo neppure più chi siamo: è la perdita
d’identità del nostro io, di noi stessi.
Con tutte
le conseguenze che ne derivano.
Questo è
un effetto della ricerca di Dio in un luogo sbagliato.
Qui
notiamo che non vanno mica alla ricerca della verità di ciò che Egli dice ma,
vanno alla ricerca dell'autorità per cui dice le cose che dice.
Ѐ un luogo
sbagliato perché la verità non dipende dall'autorità.
La verità
non dipende da chi la dice, da chi parla, dall'autorità di chi parla, è
piuttosto la verità che dà autorità a chi parla, a chi parla la verità.
Tutti gli
esseri ricevono autorità se dicono il vero, quindi dalla verità che dicono, non
dicono la verità per l'autorità che hanno ma, ricevono l'autorità da ciò che
dicono, massimamente Dio è la massima autorità perché dice la verità.
Quindi è
la verità che dà autorità alle cose.
Già i
padri antichi dicevano: "Guardatevi bene da quei luoghi in cui la verità è
fatta dipendere dall'autorità".
Teniamo
presente che quei luoghi sono dentro di noi, se noi facciamo dipendere la
verità dall'autorità di chi la dice, noi facciamo dipendere la prima massima
autorità, perché la verità è autorità di se stessa, da se stessa, è assoluta ed
essendo assoluta non dipende da nessuno e se noi la facciamo dipendere da
qualcuno, evidentemente questa non è più verità, perché dipende da qualcuno.
Ora succede
che noi certe volte, per comodo nostro, per evitare la nostra responsabilità
personale nel cercare, nel riconoscere la verità di quello che ci viene detto,
per nostra distrazione dalla passione, dall'amore per la verità, noi la
facciamo dipendere da un'autorità ma con questo noi denunciamo che non abbiamo
amore per la verità, è la ricerca di una giustificazione alla nostra
sottrazione alla passione per la verità.
Qui dicono: "Chi pretendi di
essere?".
"Con
quale autorità dici queste cose?", dicono altrove.
"Chi
ti autorizzato a insegnare, a parlare? Noi sappiamo che Costui è uno che viene
da Nazareth, questo è il Figlio del falegname, chi pretende di essere?".
Siamo
sempre sullo stesso piano, il voler far dipendere la verità delle cose che uno
dice da ciò che quell'uno è.
Teniamo
presente che ciò che uno è, nessuno lo può sapere perché ciò che uno è, è la
sua Gloria ma, ciò che uno è, è ciò che è in relazione con Colui che è, con
Dio, con l'essere, con il Padre.
Il che
vuol dire che l'essere di ognuno dipende dal Padre, dalla relazione che ha con
il Padre e quindi solo il Padre, solo Dio, solo l'essere può rivelare ciò che
ognuno è, né a noi è dato saperlo fintanto che non giungiamo al Principio, che
non giungiamo al Padre.
Ѐ dal
Padre e per mezzo del Padre che noi possiamo intendere ciò che uno è.
Solo nel
Padre noi conosceremo chi è il Figlio.
Quindi noi
non possiamo conoscere l'essere.
Ecco
quindi il luogo sbagliato: cercare la verità nell'autorità.
L'autorità
è un luogo sbagliato per trovare la verità.
La verità
si trova solo in se stessa.
Si trova
solo nel Pensiero della Verità, nel Pensiero di Dio, cercarla altrove è
cercarla in un luogo sbagliato ed è costatare il niente.
Ĕ questo
l'errore di questi giudei che, anziché preoccuparsi di cercare di capire la
verità delle parole di Dio dicono: "Costui non è da Dio perché non
rispetta il sabato, quindi tutte le cose che dice sono menzogne, non è da
Dio".
E allora
"arriva fare miracoli per opera del demonio": "Tu sei un
indemoniato".
Noi non possiamo
conoscere che cosa è un essere, perché questo è dato soltanto dal rapporto con
Dio, dalla relazione che ha con Dio ma, noi però possiamo conoscere le parole
di verità che quell'essere dice.
Cioè noi possiamo valutare la
verità delle
parole che ci vengono dette se, le rapportiamo a Dio perché in noi c'è Dio ed
essendo Dio in noi, avendo in noi il Maestro interiore, avendo in noi il Verbo
interiore, noi possiamo riportare tutte le parole che giungono a noi a questo
Verbo interiore e da questo rapporto capire, conoscere se sono verità, parole
di verità o se invece sono menzogne.
Noi non
possiamo che conoscere che cosa un essere è, ma possiamo conoscere la verità
delle cose che quell'uno dice.
Noi
possiamo conoscere la verità delle parole che ci dice magari un delinquente o
che ci dice un bambino, noi non sappiamo chi siano il delinquente o il bambino
però, le parole che giungono a noi, se noi le riportiamo in Dio, possiamo
intendere se sono secondo Dio o se non sono secondo Dio.
Quindi
possiamo riconoscere le parole.
Per questo
Gesù quando questi dicono: "Chi pretendi di essere?", cioè in pratica
gli chiedono: "Con quale autorità fai queste cose? Chi ti ha dato il
"diploma" per parlare al popolo, alla gente? Chi di autorizzato? Chi
pretendi di essere?" per questo Gesù si rifiuta di dire chi Egli è.
Un giorno
gli fanno anche la domanda precisa: "Dicci con quale autorità Tu fai
queste cose?", Lui risponde: " Vi farò anche Io una domanda, il
battesimo del Battista veniva dal cielo o è opera degli uomini?".
"Ah
non lo sappiamo".
"Nemmeno
Io vi dico con quale autorità faccio queste cose".
Anche qui
Gesù si rifiuta di dire chi Egli è: "Se Io mi glorifico da Me stesso, la
mia gloria è niente" e con ciò ci ha dato una grande lezione, un grande
insegnamento.
Lui, il
Figlio di Dio dice a noi: "Se Io mi glorifico da Me stesso, la mia gloria
è niente", quanto più a maggior ragione noi, se ci glorifichiamo da noi
stessi, se cerchiamo il nostro prestigio, se cerchiamo di difendere il nostro
onore se cerchiamo di difendere la nostra gloria nel mondo, tutto questo è
niente, perché?
Perché
l'essere non viene da noi.
Non siamo
noi che possiamo predicare l'essere su noi stessi, è un Altro che può dire a
noi quello che noi siamo ed è valido soltanto in quanto è l'Altro che rivela e
dice a noi quello che noi siamo.
Per questo
Gesù dice: "Chi mi glorifica è il Padre mio".
Glorificare
abbiamo detto, è rivelare ciò che un essere è, quindi chi rivela quello che io sono,
non sono né io, né voi e non c'è quindi nessun uomo che possa dire quello che
io sono.
Chi dice
quello che io sono è soltanto il Padre o "Colui che voi dite essere il
vostro Dio".
In un
altro luogo Gesù dice: "Nessuno conosce il Figlio se non il Padre".
Ecco la
caratteristica del Figlio e quindi anche la caratteristica di tutti coloro che
vogliono essere figli di Dio.
Gesù
queste cose le dice per noi, per insegnare a noi come ci si comporta da figli
di Dio.
Un figlio
di Dio certamente non si comporta glorificando se stesso, difendendo il proprio
nome o credendo di essere qualcuno o vantando di essere un'autorità o credendo
di possedere noi la verità per l'autorità che abbiamo.
Tutti
questi sono luoghi sbagliati e dicono niente.
Non
convincono nessuno, perché l'unico Essere che convince le anime e dà pace, è
Dio.
Le nostre
anime sono fatte per Dio e possono essere convinte solo da Dio.
Se Dio
apre, non c'è nessuno che possa chiudere ma se Dio non apre, non c'è nessuno al
mondo che possa aprire.
Cioè se Dio
illumina, non c'è nessuna cosa al mondo, nessuna autorità del mondo che possa
ottenebrare la Luce che Dio ha dato all'anima.
Ma se Dio
non illumina, tutte le parole degli uomini di tutto il mondo, non possono
illuminare la nostra anima, quindi non possono convincerci.
Chi
glorifica è il Padre e chi dice a noi, a ognuno di noi quello che noi siamo, è
il Padre e soltanto guardando il Padre noi possiamo ricevere, ascoltare dal
Padre, quello che noi siamo, quindi conoscerci.
In caso
diverso non ci conosciamo.
"Chi
mi glorifica è il Padre" e noi lo intendiamo come rivelazione di quello
che il Figlio è e ci rivela anche un'altra grande cosa, ci rivela l'opera che
il Padre sta facendo.
Non
glorifica soltanto in quanto dice quello che il Figlio è ma il Padre, essendo
Creatore opera la glorificazione del Figlio.
Il che
vuol dire che conduce gli avvenimenti, la vita di tutte le creature, di tutti
gli esseri, verso questo grande fine: la glorificazione del Figlio suo.
Cioè la rivelazione
del Pensiero suo, del Pensiero di Dio.
La
conclusione di tutta l'opera del Padre, nella conclusione di tutto l'universo,
nella conclusione della vita di ognuno di noi, c'è questa grande meta: il
Pensiero di Dio.
Conclusione,
fine, meta di tutto ciò che avviene, di tutto ciò che esiste, anche della vita
e di tutti pensieri di ognuno di noi.
Noi stiamo
camminando (qualcuno ha detto correndo con la velocità di un treno
direttissimo) verso questo grande Fine, verso questa riduzione all'unità del
Pensiero di Dio, della presenza del Pensiero di Dio.
Però prima
di giungere a questa Presenza, è necessario l'anticipo da parte nostra, un
salto, una conoscenza di questo Pensiero, prima che Questo si manifesta in modo
chiaro.
Ĕ
necessario cioè che da parte nostra ci sia un salto nel Padre, per conoscere
dal Padre (nel Padre, dal Padre) questo suo Figlio, questo Pensiero.
Perché
soltanto così, se noi l'avremo interiorizzato, l'avremo conosciuto in noi, sarà
data noi la possibilità di sopportare questa riduzione di tutte le cose a
quest’unico Pensiero, a questa grande Unita, a questa presenza in noi.
Perché la
presenza, la rivelazione della presenza in noi del Pensiero di Dio, di per sé
non è illuminante.
Bisogna
tenere molto presente che il Pensiero di Dio in noi si fa costatare ma, non è
illuminante.
Perché il
Pensiero di Dio è opera del Padre e l'opera è illuminata soltanto dalla sua
Sorgente, dalla sua Causa.
Quindi è
illuminata soltanto dal Padre e solo se noi, prima che questo Pensiero
s'imponga su di noi, avremo fatto il salto, il salto di qualità nel Padre, per
vedere dal Padre il Figlio suo noi, avremo la possibilità di sopportare questa
Presenza, perché avremo la possibilità d'intenderla.
Ognuno avrà
la capacità di sopportare solo la presenza nella misura in cui avrà la
capacità d'intenderla.
Ma se il
Pensiero di Dio si presentasse a noi senza che noi ci sia la possibilità di
intenderlo, noi non potremo sopportare questa Presenza.
Eppure
sarà una presenza che s’imporrà, perché è opera del Padre.
Ĕ quello
che dice il Signore qui: "Chi mi glorifica", glorificare vuol dire
evidenziare e una cosa è evidenziata in quanto è messa al di sopra di tutto e
quindi è ridotto tutta all'unità.
Però
quando questo arriva, bisogna che in noi già trovi la capacità di intenderlo.
La
capacità di intenderlo ci viene dal Padre.
A questo
punto noi possiamo intendere queste tre grandi tappe che Gesù annuncia dicendo:
"Padre glorifica tuo Figlio" e il Padre risponde: "L'ho
glorificato è ancora lo glorificherò".
Seconda
tappa: "Padre glorifica tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi
Te".
Soltanto
se il Padre rivela a noi suo Figlio, nel suo Figlio, cioè nel suo Pensiero, nel
Pensiero del Padre, noi possiamo conoscere il Padre.
Terza
tappa: "Padre glorifica tuo Figlio di quella gloria e che Egli ebbe prima
che il mondo fosse".
Qui a
questo punto Gesù ci orienta a quel grande rapporto che richiede la veglia
infinita, poiché richiede il superamento di tutte le cose (prima che il mondo
fosse), per conoscere il rapporto tra Padre e Figlio nell'assoluto stesso
dell'essenza di Dio.