Gv 8 Vs 25 Primo
tema. Essi dunque dicevano: “Chi sei tu?”, Gesù rispose loro: “Sono quello che
vi ho dichiarato fin da principio”.
Titolo: L'uomo è
un essere interrogato da Dio.
Argomenti: Il
passaggio obbligato del Pensiero di Dio. Il
nostro io sfugge all'interrogazione. L'interrogazione
rivela una insoddisfazione. L'uomo
è fatto per capire. L'uomo
capisce di non capire perché porta la Luce in sé. L'uomo
interroga perché è interrogato. L'opera
di Dio per condurre l'uomo a conoscerlo. La
passione d'assoluto diventa passione di unità.
5/Maggio/1985
Fossano.
Siamo al versetto 25.
Qui i farisei rivolgendosi a Gesù gli chiedono: "Chi
sei Tu?", Gesù rispose loro: "Sono Colui che parla a voi il
Principio".
Ci fermiamo alla prima parte.
Ci fermiamo cioè all'interrogazione di questi i farisei,
questa interrogazione rivolta a Gesù: "Chi sei tu?".
Abbiamo visto le domeniche precedenti l'affermazione di Gesù: "Se non
credete che Io sono, morirete nei vostri peccati".
Abbiamo visto come qui Gesù si presenti come passaggio obbligato, come porta
attraverso la quale noi possiamo sfuggire alla morte.
C'è questo rischio, si parla di salvezza appunto perché c'è un rischio di morte
là, dove non ci fosse rischio, non si parlerebbe di salvezza.
Ora, in quanto si parla fra noi di salvezza, vuol dire che incombe su di noi
questo rischio di morte.
Questo rischio di morte, lo dice Gesù, sta nell’appartenere al
"quaggiù".
Abbiamo visto che noi
decidiamo la nostra appartenenza attraverso la dedizione del nostro
pensiero.
Gesù dicendoci: "Se non credete che Io sono", ci rivela come, solo se
noi possiamo dedicare il nostro pensiero al Pensiero di Dio, possiamo
evitare la morte.
Cristo essendo Pensiero di Dio tra noi, è rivelazione del
Pensiero di Dio in noi, cioè e rivelazione della Presenza di Dio in noi.
Solo dedicando il nostro pensiero al Pensiero di Dio, possiamo essere liberati
dalla nostra schiavitù a questo mondo, possiamo essere liberati
dall'appartenenza a questo mondo ed entrare nell'appartenenza al mondo di Dio,
nell'appartenenza al cielo, nell'appartenenza al "lassù".
Il passaggio obbligato è la dedizione del nostro pensiero al Pensiero di Dio.
Di fronte a questa dichiarazione di Gesù: "Se non credete che Io
sono", i farisei rispondono: "Chi sei tu?", interrogano.
Gesù li aveva provocati dicendo: "Se non credete che Io sono", loro
sapevano chi Lui era, era il figlio di Giuseppe e di Maria, veniva da Nazareth.
Quindi quando lui fa questa dichiarazione loro rispondono: "Chi sei
tu?", quasi a dire: "Chi pretendi di essere?".
Ma c'è questa scena che Dio ci presenta e la scena sta
in questi uomini che interrogano e che interrogano Gesù, chiedendogli chi Egli
sia.
L'argomento di oggi è proprio il significato o la lezione
che Dio vuole dare a noi perché in tutte le scene c'è una Parola di Dio, c'è
una lezione per la nostra vita interiore.
Ecco allora che di fronte a questa lezione di Dio, di uomini che interrogano il
Figlio di Dio e gli chiedono: "Chi sei Tu?", questo già ci
preannuncia una grande tappa della nostra vita, la tappa in cui noi ci porremo
o meglio qualcuno porrà in noi questa interrogazione, l'interrogazione al
Pensiero stesso di Dio che portiamo in noi, al Dio in noi.
Questa interrogazione: "Chi sei Tu", preannuncia già questa tappa
alla quale noi andiamo incontro.
Di fronte a questa Parola di Dio, di fronte a questa
scena di uomini che interrogano, noi dobbiamo chiederci quale lezione e quale
significato Dio vuole comunicare alla nostra vita interiore.
Il primo passaggio che ci si presenta di fronte a questa scena è questo: perché
l'uomo interroga?
Cosa ci deve essere nell'uomo perché l'uomo interroghi e
cos'è una interrogazione?
L'animale non interroga.
Come mai l'animale non interroga e l'uomo interroga?
Nessun animale si è mai rivolto all'uomo dicendogli:
"Chi sei tu?".
Già questo però ci fa capire una cosa: l'interrogazione non viene dall'esterno.
L'uomo e l'animale possono trovarsi nella stessa
situazione ambientale, nelle stesse condizioni d'ambiente, ma l'animale non
interroga e l'uomo invece interroga.
Questo già ci fa capire che non è dall'esterno che si
forma l'interrogazione in noi e allora è nell'interno.
Cosa ci deve essere nel nostro interno perché in noi si
formi questa interrogazione?
Da donde sorge e soprattutto perché sorge, perché l'uomo
interroga?
Noi potremmo dire che è il nostro io,
ma teniamo presente che il
nostro io anziché interrogare sfugge all'interrogazione.
Abbiamo quella lezione di Gesù nell'ultima cena, nel
discorso dell'ultima cena Gesù rimprovera i suoi discepoli, perché parlando
loro della Sua partenza tutti si sono rattristarsi e Lui dice: "Voi
anziché chiedermi dove vado", cioè anziché interrogare: "Voi perché
vi è detto queste cose", cioè perché me ne vado: " Vi siete
rattristati".
Questo rivela noi che il pensiero del nostro io, ci
impedisce d'interrogare, perché anziché interrogare si rattrista, perché pensa
a se stesso.
Il nostro io ci fa pensare a noi stessi: facendoci
pensare a noi stessi, anziché portarci a interrogare e quindi a desiderare di
conoscere, ci conduce invece a piangere su di noi.
L'interrogazione
è rivelazione di un'insoddisfazione.
L'uomo non interrogherebbe se non venisse a trovarsi in
una situazione di disagio.
Solo che nel pensiero dell’io, pensando a noi stessi in
una situazione di disagio, gli uomini incominciano a lamentarsi, piangere su se
stessi: "Io qui, ho là", anziché interrogare.
Per questo dico che il pensiero del nostro io non ci
porta a interrogare e allora cosa c'è dentro di noi che ci fa interrogare?
E soprattutto che cosa è l'interrogazione?
Subito
noi possiamo dire che l'uomo interroga quando non capisce.
Direi meglio, quando capisce di non capire.
Infatti, l'interrogazione ha bisogno di luce.
Il fatto di capire di non capire, rivela un'insoddisfazione, una situazione di pena da parte dell'uomo.
Ma già in quanto rivela una situazione di pena, denuncia
una grande cosa: l'uomo è fatto per capire.
L'uomo è fatto per la luce.
L'uomo non è fatto per la notte, per le tenebre, l'uomo è
fatto per la luce e quando capisce di non capire l'uomo soffre.
La sofferenza dell'uomo, la tristezza dell'uomo nel non
capire, rivela già questa grande cosa.
L'uomo è fatto per la luce, il suo destino è la luce, la
sua gioia è nella luce, la sua gioia è nel capire.
Ma
se andiamo un po' più a fondo noi troviamo in questa
costatazione del capire di non capire una grande cosa; cioè che cosa c'è
nell'uomo che gli fa capire di non capire?
È solo perché nell'uomo c'è già la luce, c'è già c'è la
Presenza di Colui che lo illumina.
Ѐ questa luce che gli fa capire di non capire, tutte le
volte che si scosta da questa Presenza.
Luce vera è quella che illumina ogni uomo che viene in
questo mondo, è questa luce vera che illumina ogni uomo ogni uomo la porta in
sé, l'ha in sé, è il Maestro interiore.
Proprio perché l'uomo ha la Presenza di questa luce in
sé, scopre e riconosce di capire di non capire tutte le volte che si allontana
da questa luce.
Ma allora dobbiamo dire che tutto ciò che si presenta
all'uomo é un allontanamento da questa luce interiore.
Noi abbiamo detto che l'uomo interroga e poi andando alla
ricerca di che cos'è che muove l'uomo all'interrogazione, scopriamo che l'uomo
porta in sé una luce e che per questa luce che egli porta dentro di sé, l'uomo
è sollecitato a interrogare.
Ma se è così allora dobbiamo dire che l'uomo, più che
interrogare è un essere interrogato dalla luce che porta dentro di sé, cioè da
questa Presenza che lui porta con sé.
L'uomo
interroga soprattutto perché è interrogato.
Diciamo la luce, la presenza di questa luce che è vera
luce e che egli porta dentro di sé, di fronte a tutto ciò che si presenta
all'uomo gli dice:"Che cosa è questo? Sono forse Io questo?" e in
conseguenza di questo, l'uomo sente il bisogno di interrogare, perché riconosce
di non capire ciò che gli viene presentato e non capisce perché riconosce che
tutto ciò che gli si presenta non é quella luce interiore che egli porta dentro
di sé.
Quindi allora diciamo che l'interrogazione dell'uomo
sorge dalla differenza tra ciò che gli si presenta nel mondo esteriore, nel
mondo che arriva lui senza di lui e quella luce interiore che egli porta dentro
di sé.
E da questa differenza tra quello che lui porta dentro di
sé, e quello che arriva a lui, scatta questa interrogazione, questo bisogno di
capire, perché l'uomo si accorge di non capire.
Allora qui il problema si sposta, perché se noi scopriamo
che l'uomo interroga perché interrogato, allora noi dobbiamo chiederci perché
l'uomo è interrogato.
E come avviene questa interrogazione?
Evidentemente se l'uomo è stato creato per conoscere Dio,
tutto quello che accade, accade per condurre l'uomo a conoscere Dio.
Ma l'uomo non potrebbe certamente cercare Dio e occuparsi
di Dio se Dio per primo non abitasse nell'uomo, senza l'uomo.
Altrimenti l'uomo non capirebbe affatto,ci troveremmo con
l'animale.
Noi potremmo parlare di Dio da mattina a sera all'animale
ma, l'animale assolutamente non capirebbe nulla.
Perché l'animale non capisce e l'uomo capisce? O
perlomeno capisce di non capire?
L'uomo capisce di non capire perché ha questa luce
interiore, perché ha Dio in sé.
Ma allora vuol dire che Dio
per primo si concede l'uomo è poi opera per condurre l'uomo a conoscerlo.
Allora abbiamo questa grande opera di Dio: Dio che si
concede, Dio che abita nell'uomo, Dio che è presente nell'uomo e che è questa
luce interiore che l'uomo porta in sé, per cui l'uomo subisce la passione di
Assoluto e poi Dio opera e quindi abbiamo tutta la creazione di Dio, Dio opera
per far prendere coscienza all’uomo di quello che l'uomo porta con sé, cioè di
quello che Dio è.
Qui possiamo capire come Dio interroghi l'uomo è perché
lo interroghi.
Dio interroga l'uomo presentandogli tutti i suoi segni,
cioè tutta la creazione, tutte le creature e presentandogli tutte le creature
chiede all'uomo: "Sono io questo? Sono io questo?" e l'uomo, avendo
presente Dio, non può dire che la pietra è Dio, non può dire che l'albero è
Dio, non può dire che l'animale è Dio, non può dire che l'uomo è Dio.
L'uomo non potrebbe dire che tutte le creature non sono
Dio, se non avesse presente Dio.
Però Dio interroga l'uomo in tutta la creazione, per fargli prendere coscienza
di quello che Lui è.
L'uomo
di fronte a tutte le creature si sente interrogato da Dio,
anche se non ne è cosciente: "Che cosa è questo?" e l'uomo allora fa
tutti passaggi.
L'uomo non può dire che cos'è una pietra, che cos'è un
albero, che cos'è se stesso però certamente sa che non sono Dio.
A poco per volta, attraverso tutte queste creature che
Dio presenta all'uomo e che sono interrogazioni di Dio, Dio conduce l'uomo a
prendere coscienza di quello che Dio è, affinché l'uomo possa dedicare a Lui il
suo pensiero.
Perché l'uomo per dedicare il suo pensiero, deve
oggettivare in sé Dio stesso.
Soltanto giungendo a conoscere quello che Dio è, l'uomo
può dedicare a Dio il suo pensiero.
Abbiamo visto che soltanto dedicando a Dio il suo
pensiero, l'uomo può essere liberato dalla schiavitù del suo mondo. Abbiamo
detto che questa Presenza di Dio nell'uomo, questa luce si rivela nell'uomo in
un effetto: la passione dell'Assoluto.
Qui capiamo che questa passione dell'Assoluto sotto la
pressione delle interrogazioni di Dio, acquista un certo volto, diventa
passione di unità, passione di unificazione.
Per cui tutte le volte che l'uomo si trova di fronte a
dei fili staccati a dei fili che non riesce a unire, l'uomo patisce una
sofferenza per questa passione di unità e questa passione di unità
che è passione di Assoluto, è effetto della presenza di Dio nell'uomo.
L'uomo allora interroga chiede: "Chi sei tu?" a
tutte le cose perché è in attesa della venuta di Dio, è in attesa di incontrare
Dio ma, quest’attesa di incontrare Dio, è attesa di una grande unificazione.
Per cui tutte le creature, essendo creature sono finite,
sono espressioni separate da Dio ed essendo espressioni, segni separati da Dio
sollecitano l'uomo a questo bisogno di unificazione, a questo bisogno di
raccogliere tutto in un'unica unità.
Cioè l'uomo interroga perché sta cercando di vedere in
tutto e in tutti il volto di Dio, quel volto di luce che lui porta dentro di
sé.
Gv 8 Vs 25 Secondo tema. Essi dunque dicevano: “Chi sei tu?”, Gesù rispose loro: “Sono quello che vi
ho dichiarato fin da principio”.
Titolo: Discedere da Dio e
raccogliere in Dio.
Argomenti: La presenza di Dio e i segni di Dio – L’uomo interroga
perché interrogato – La nascita della
parola nell’uomo – Esistente e segno
dell’esistente – Segni e parole – Il vero nome e valore delle cose – Parole di
uomini e parole di Dio – La parola è richiamo ad
una presenza – Raccolta e
distrazione – Operazioni negative e
positive – La funzione della
parola di Dio – La parola di Dio ci
purifica – Purezza e molteplicità di pensiero -
12/Maggio/1985
Abbiamo visto l’anima dell’interrogazione sta nella
presenza della Luce che l’uomo porta dentro di sé.
Non troveremo mai nessun animale che chieda all’uomo:
“Chi sei tu?”.
E allora ci siamo chiesti che cosa ci sia di diverso
nell’uomo, da farli sentire il bisogno di interrogare Colui che gli parla.
Perché l’uomo interroga?
Che cosa c’è nell’uomo che lo fa interrogare.
Abbiamo visto che questa interrogazione dell’uomo, è
frutto della presenza in lui della Luce assoluta.
Nell’uomo abbiamo il confluire di due grandi fattori.
Prima di tutto la presenza di Dio, la presenza della Luce
assoluta, quella che illumina ogni uomo che viene in questo mondo e poi l’apporto
dei sensi, i dati, i segni che arrivano all’uomo attraverso i sensi.
E questi dati essendo segni, sono relativi e di fronte ad
essi, la Luce che l’uomo porta dentro di sé, gli fa sentire il bisogno di
chiedere che cosa siano questi segni.
Abbiamo visto che se l’uomo interroga è perché prima di
tutto è interrogato.
L’uomo interrogato, sente il bisogno d’interrogare.
Cioè andando a fondo, Dio presenta all’uomo i segni di
Sé, che sono tutte le creature e i fatti, e presentandoli all’uomo, lo
interroga e gli chiede: “Che cosa è questo? Cioè che cosa questo ti dice di
Me?”.
Poiché il Dio che portiamo dentro di noi è il Creatore e
quindi parla in tutto.
E parlando in tutto, significa a noi qualcosa di Sé.
E presentandoci le creature, presentandoci i segni di Sé,
c’interroga: “Che cosa questo ti dice di Me? Chi sono Io?”.
L’uomo sentendosi interrogato a sua volta interroga.
L’uomo interroga perché prima di tutto è interrogato.
In questa forma d’interrogazione, l’uomo va alla ricerca
del rapporto tra il segno e la Luce che porta dentro di sé.
E proprio da quest’interrogazione nasce la parola
dell’uomo.
Parlare vuole sempre dire significare qualcosa di sé.
Noi come tutte le creature non parliamo soltanto con la bocca,
noi diamo segni di noi attraverso il nostro modo di vestire, il volto, il
gesticolare, attraverso tante cose, direi che tutto è messaggio, tutto è segno
di noi.
Tutte le creature danno dei segni di sé.
Ogni creatura è costituita da due elementi: da quello che
essa è e dai segni che essa dà.
Già il fumo è segno del fuoco e il grado di un termometro
è segno di una temperatura, e così tutto.
In tutte le cose c’è l’esistente e il segno
dell’esistente.
Anche la parola è un messaggio, anche la parola è un segno.
Il segno annuncia a noi qualcosa di diverso da sé e
quindi anche la parola è segno.
Però non tutti i segni sono parole.
Il fumo è segno del fuoco ma non è la parola del fuoco.
Quindi ci sono dei segni che sono semplicemente segni e
ci sono dei segni che sono parole.
Qui Gesù dice: “Io sono Colui che parlo a voi il
Principio”.
Per approfondire dobbiamo cercare di capire cosa
significhi il parlare.
La parola nasce dall’interrogazione e l’interrogazione
nasce da un rapporto con la Luce assoluta che portiamo dentro di noi.
La parola è proprio parola, perché nasce dall’assoluto
che portiamo dentro di noi.
Solo l’uomo parla.
Nessun animale interroga o chiede: “Chi sei tu?”.
La parola nasce da questa presenza del Tu in noi, da
questo Tu che parla a noi, in conseguenza del quale, noi parliamo.
E parlando, non facciamo altro che significare il
rapporto tra Colui che parla a noi e le sue parole o i suoi segni.
Quindi la parola nasce dall’assoluto ed esprime qualcosa
dell’assoluto, di Dio.
Quindi chi parla predica l’assoluto.
Per predicare l’assoluto, evidentemente bisogna averlo
presente, chi non l’ha presente non può parlare ma non può neppure capire colui
che gli parla dell’assoluto.
Se noi parliamo di Dio ad un cane, il cane non può capire
le nostre parole.
E perché non le può capire? Non le può capire perché non
ha presente l’assoluto.
Se paliamo di Dio ad un uomo, l’uomo può capire quello
che gli diciamo e perché può capire?
Può capire perché ha presente l’assoluto.
Allora la condizione per parlare è quella di avere
presente Dio, ma la condizione per capire le parole è anche avere presente Dio.
È vero che l’uomo può trascurare Dio, può non tenere
conto di Dio e allora le sue parole cominciano a vestirsi di niente.
Ci sono uomini che parlano molto ma non dicono niente.
Infatti Dio dice che senza di Lui facciamo niente e
allora tutte le parole che diciamo senza tenere presente Lui, non dicono
niente, e a questo punto, la parola è solo segno, solo rumore, solo fumo.
La parola è veramente parola solo in quanto parte dalla
presenza di Dio e annuncia qualcosa di Dio.
Adamo, ci dice la Bibbia, ha dato il vero nome alle cose,
alla presenza di Dio.
Soltanto alla presenza di Dio, noi possiamo parlare e
quindi dare il vero nome alle cose.
Ma qui ci fa anche capire che le cose valgono in quanto
sono poste in rapporto a Dio.
E valgono per quello che significano a noi di Dio.
Il che vuole dire che le parole valgono in quanto
cerchiamo in esse, quello che esse ci significano di Dio.
Però teniamo presente che sia la capacità di parlare di
Dio, sia la capacità d’ascoltare parlare di Dio, richiede sempre la presenza di
Dio.
Qui nasce però un problema: qual è lo scopo del parlare?
Perché se la parola nasce dalla presenza di Dio e se il
capire la parola richiede la presenza di Dio, dobbiamo chiederci a che cosa
serve parlare?
Abbiamo visto che ci sono parole di uomini e parole di
Dio.
Precisiamo che abbiamo la parola o le parole di Dio in
quanto si annuncia Dio, si presenta Dio, si fa pensare Dio.
Quando invece gli uomini non tengono conto di Dio parlano
di sè, presentano sè, ma è sempre una presentazione.
Quindi la parola è sempre un richiamo ad una presenza.
La parola c’invita a guardare a-.
Ma se la parola per essere intelletta richiede già la
presenza, allora a cosa serve portare uno alla presenza di una cosa che ha già
presente?
Qui si parla di parola rivolta a-, proprio in quanto l’uomo
può distrarsi da-.
L’uomo è un essere che può distrarsi da Dio.
E allora la parola di Dio ha la funzione di raccogliere l’uomo
dalla sua dispersione, per concentrarlo alla presenza di Colui che ha presente.
Perché l’uomo ha presente Dio ma lo può trascurare.
E l’uomo trascura Dio, tutte le volte che non raccoglie
nella conoscenza di Dio i segni di Dio: “Solo chi con Me raccoglie riceve
mercede di vita eterna”.
Tutte le volte che l’uomo non raccoglie in Dio, subisce
distrazione da Dio, proprio a motivo di quei segni che Dio gli ha mandato e che
lui non ha raccolto in Dio.
E allora qui subentra la funzione del parlare di Dio.
Dio parla per raccoglierci da tutte le nostre distrazioni
e portatci alla sua presenza.
C’è però la parola di Dio che arriva a noi e c’è l’opera
del raccogliere alla presenza di Dio.
Può restare alla presenza di Dio, soltanto Colui che può
raccogliere nella presenza di Dio.
L’uomo può essere raccolto nella presenza di Dio, per
opera di Dio o per opera di coloro che parlano di Dio.
L’uomo può essere portato alla presenza di Dio, però può
non avere la capacità di restare alla presenza di Dio.
Può restare alla presenza di Dio, non colui che è
raccolto alla presenza di Dio, ma colui che può raccogliere nella presenza di
Dio.
C’è diversità.
Il raccogliere nella presenza di Dio, direi che è un
operazione “negativa”.
Le operazioni negative si possono fare solo in quanto uno
ha imparato a fare le operazioni positive.
In matematica si può fare la sottrazione solo se si ha
già imparato a fare l’addizione e lo stesso con divisione e moltiplicazione.
Con Dio è lo stesso, può raccogliere in Dio, soltanto
colui che ha fatto l’azione positiva: discendere da Dio.
Solo colui che discende da Dio, ha la possibilità di
raccogliere in Dio.
Colui che non discende da Dio, non può passare dai segni
ai significati, non può passare dai segni al Creatore.
Dio può raccogliere alla sua presenza chiunque, però
quando si è raccolti alla presenza di Dio non si può restare in essa se non si
è capaci di raccogliere nella presenza di Dio.
Qui la parola di Dio ha la funzione di raccoglierci,
dalla nostra dispersione nell’unità di Dio.
Dio è già presente ma noi quando siamo dispersi lo
abbiamo presente in mezzo a tante altre cose presenti.
Dio che parla con noi, ci raccoglie da questa dispersione
nell’unità della sua presenza.
E allora noi costatiamo che la parola di Dio ci convoca
alla sua presenza, raccogliendoci dalle nostre dispersioni.
Questa è la funzione del parlare di Dio.
La parola è comunicazione ma a fondo la comunicazione sta
nel raccogliere una creatura dalla dispersione in cui si trova e portarla alla
presenza di quel pensiero che gli vogliamo comunicare, ma quel pensiero che gli
vogliamo comunicare deve già essere presente nella creatura, altrimenti quella
creatura non può capire e non può essere raccolta.
E allora abbiamo tutta questa operazione di
semplificazione, di riduzione, di purificazione.
Il Signore quando parla ai suoi apostoli dice: “Voi siete
puri (resi semplici) a motivo delle parole che vi ho detto”.
Ecco la parola di Dio, se ascoltata ci rende semplici
nella presenza di Dio.
Quindi l’assenza di Dio è determinata in noi dalle
impurità, dalla molteplicità di presenze.
Quindi non abbiamo l’assenza di Dio in assoluto, Dio non
è mai assente da noi, abbiamo però una molteplicità di presenze: c’è la
presenza di Dio e la presenza di tanti altri, ecco la molteplicità delle
presenze costituisce in noi una assenza.
La parola di Dio ci fa passare da questa dispersione
nella molteplicità, all’unità.
La parola di Dio fa questo: “Parla a noi il Principio”.
Il Principio di tutte le cose è il Creatore, è Dio.
Parlare vuole dire convocare alla presenza.
La caratteristica del Figlio di Dio, del Verbo è questa:
quella di convocarci alla presenza del Creatore, del Padre.
Mentre invece la creatura, l’uomo quando parla si ferma a
metà strada, non convoca alla presenza.
Quindi qui abbiamo la possibilità di riconoscere quand’è
che noi siamo con il Figlio di Dio, quand’è che ascoltiamo il Verbo di Dio e
quand’è invece che siamo con gli uomini e ascoltiamo gli uomini.
La caratteristica del Figlio di Dio è quella di condurci
nel Principio, del ricondurci in continuazione a questo Principio.
Quindi se noi stiamo ascoltando una parola e questa parola
ci convoca a riconoscere la presenza in noi del Creatore, dell’Assoluto, questo
è il Figlio di Dio.
Se noi stiamo ascoltando delle parole che invece ci
portano a contemplare la presenza di altro, qui non siamo con il Figlio di Dio.
Qui Gesù dichiarando: “Io sono Colui che parlo a voi il
Principio”, dà a noi il metro, la possibilità di riconoscere se noi siamo con
Lui o se non siamo con Lui.