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Gli dissero allora: "Dov'è tuo padre?". Rispose Gesù: "Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio".

Gv 8 Vs 19 Primo tema.


Titolo: Le due presenze che fanno interrogare.


Argomenti: L'annuncio di una presenza invisibile. L'interrogazione nasce dall'interno dell'uomo, rivela interesse per capire. Dare un giudizio prima di capire, rivela che non c'è amore per la Verità. S'interroga perché si hanno due presenze. I farisei interrogano perché il padre che avevano presente non corrispondeva con quello che aveva presente Gesù. Le presenze sensibili ci possono impedire di vedere le presenze spirituali. La Parola di Dio ci invita a superare la realtà sensibile. A Dio si giunge solo attraverso il pensiero.


 

6/Gennaio/1985  Fossano.


I farisei chiedono a Gesù: "Dove è tuo Padre?".

C'era da aspettarselo.

Gesù aveva dichiarato che i suoi giudizi erano veri, perché portavano con sé la testimonianza di due Persone e aveva richiamato la legge degli uomini che diceva che la testimonianza di due persone è valida.

E aveva detto che le due Persone che gli rendevano testimonianza erano: "Io che parlo con voi e l'altra è il Padre che mi ha mandato".

Questa interrogazione dei giudei c'era da aspettarsela, perché Gesù sì lo vedevano o perlomeno credevano di vederlo, era presente materialmente davanti ai loro occhi, lo potevano quindi vedere, lo potevano toccare, lo potevano ascoltare.

Ma Gesù aveva affermato che c'era un Altro che rendeva testimonianza di quello che stava dicendo ed era il Padre suo.

Qui nasce il problema perché loro il Padre non lo vedevano.

E allora nasce l'interrogazione: "Dove è il Padre tuo?".

L'interrogazione che anche qui avviene attorno a Gesù, è una scena che Dio presenta a noi e se la presenta ha un significato per noi.

Allora dobbiamo interrogarci circa questo segno.

Abbiamo degli uomini che interrogano Gesù e gli chiedono, dove sia il Padre suo, è una lezione di Dio per noi.

È l'argomento di questa sera: cercare di capire quello che Dio vuole comunicarci attraverso quest'interrogazione che pone sulle labbra di coloro che stavano ascoltando Gesù.

Teniamo ben fermi i termini di questa scena, abbiamo un annuncio, una parola, un messaggio.

L'annuncio è questo: "Due sono coloro che rendono testimonianza a Me di quello che sto dicendo a voi", rendono testimonianza quindi rendono valido quello che Lui sta dicendo.

Quindi c'era un annuncio.

C'era una presenza, una presenza corporea, una presenza fisica, la presenza fisica di Gesù davanti agli occhi di coloro che ascoltavano, quindi una presenza visibile e c'era una presenza invisibile che non si conosceva.

La presenza visibile, partendo da ciò che gli uomini hanno davanti ai loro occhi, dichiara una presenza invisibile.

In quanto afferma, propone, invita ad alzare gli occhi a questa presenza invisibile ma, qui gli uomini si trovano di fronte a una parete.

C'è un annuncio, sì.

Questa presenza visibile Gesù, quest'uomo (loro non sapevano che era Figlio di Dio) parla a noi di uno che rende testimonianza di ciò che Egli sta dicendo e in quanto rende testimonianza, è valido in quanto è presente.

Gesù dichiara la presenza del Padre suo, perché un essere per rendere testimonianza deve essere presente ma dove è?

Di fronte a una proposta si dà sempre una risposta.

Qui la risposta è un’interrogazione, bisogna vedere che cosa c'è a fondo di questa interrogazione e perché lo interrogano.

Evidentemente non basta che l'uomo ascolti cose dall'esterno, se noi diciamo queste stesse parole a un albero o a un cane, non è che l'albero o il cane interroghino.

Quindi evidentemente l'interrogazione non nasce dall'esterno, non nasce da quello che arriva a noi, nasce da quello che c'è in noi.

Dobbiamo chiederci cosa c'è dentro l'uomo per cui a un certo momento l'uomo sente il bisogno di interrogare.

E che valore ha l'interrogazione nella bocca dell'uomo.

Ed è giusto interrogare?

Oppure l'uomo deve stare muto, deve tacere, deve subire senza volgere interrogazioni?

Forse l'interrogazione è una pretesa?

Di fronte a una proposta, noi abbiamo due possibilità.

Un sì o un no.

Il nostro parlare è sempre un sì o un no.

Di fronte a una proposta abbiamo la possibilità di cercare di capire o quella di non cercare di capire.

L'interrogazione rivela un desiderio di capire.

S'interroga in quanto si riconosce di non capire e si cerca di capire.

Oppure può anche darsi che l'uomo non cerchi di capire, che non abbia interesse per capire.

L'uomo che non ha interesse per capire può rifiutare dicendo: "Sono cose che non mi interessano, sono cose astratte, sono cose che non mi riguardano, che non mi toccano", oppure può anche dire: "Ma io credo a tutto quello che mi si dice, lo accetto" e apparentemente sembra in posizione giusta, apparentemente....

Se andiamo a fondo, colui che accetta senza cercare di capire, profondamente rivela di non avere interesse.

In un modo o nell'altro qui abbiamo l'uomo che dà un giudizio su quello che gli è stato proposto.

Teniamo presente che dà un giudizio prima di capire perché non s’interessa di capire.

Il fatto di dare un giudizio prima di capire, rivela, testimonia la nostra valutazione che parte dalla realtà relativa al nostro io, quindi non testimonia amore per la verità.

Testimonia che in noi c'è un interesse diverso dalla conoscenza della verità.

Sopratutto testimonia che a noi non interessa capire.

Testimonia che quello che viene detto a noi non serve a noi, poiché non è quello che sta sopratutto a cuore a noi.

Noi nelle cose che ci stanno veramente a cuore, sentiamo molto interesse per capire.

Quelle cose che invece non si riferiscono al problema principale della nostra vita, suscitano in noi un giudizio ancor prima di capire, perché tanto non ci toccano.

Quando non ci si apre a capire quello che ci viene proposto, quando non si interroga, essendoci un giudizio che precede il capire c'è male.

Invece l'interesse per capire, quindi l'interrogazione rivela il bene.

Gesù, la Parola di Dio, parla a noi per svegliare in noi un interesse, un desiderio di capire quello che ancora non vediamo.

Perché soltanto avendo questo interesse per capire quello che ancora non capiamo, noi apriamo la nostra anima a cose superiori.

Qui ci troviamo di fronte a un’interrogazione.

Questi farisei dicono a Gesù: "Dove è tuo padre?".

Notiamo da cosa sorge questa interrogazione.

Quando sorge un’interrogazione, si deve avere presente qualche cosa, perché la nostra volontà non può volere una cosa che non abbia presente, la nostra volontà, il nostro desiderio per volere, deve avere presente qualche cosa.

E allora c'è da chiedersi so l’ha presente, perché interroga?

Il fatto è che quando s’interroga è perché si hanno due presenze.

C'è una presenza che è data dalla testimonianza dei sensi, da quello che vediamo e tocchiamo e c'è una presenza che portiamo dentro di noi che è la presenza vera, la presenza reale, la presenza dello spirito, la presenza di Dio.

Quando s’interroga, è sempre perché si ha la presenza di qualcosa in noi, una presenza però che non è soddisfatta cioè ci sono due cose che non riusciamo a fondere insieme.

Qui stavano interrogando: "Dove è tuo padre?", evidentemente perché il padre che loro avevano presente non corrispondeva con il Padre che aveva presente Gesù.

Ecco il problema.

La presenza del padre loro impediva a loro di capire la presenza del Padre di Gesù.

Questo ci fa capire che la presenza in noi dei segni, di quello che testimoniano a noi i nostri sensi, quello che abbiamo presente ai nostri occhi, ci fa correre il rischio di non arrivare a scoprire la presenza invisibile che portiamo dentro di noi.

Per loro il concetto di padre era il concetto comune di padre, fisico, naturale.

Loro chiedono: "Dove è il tuo padre?", non si interessano di capire che cosa Gesù intenda per Padre: "È il Padre che mi manda, è il Padre che mi fa parlare". È cioè il Padre che lo motiva.

Gesù vuole portarci qui, a scoprire che nell'intenzione con cui un essere parla c'è una presenza.

C'è il Verbo di Dio che parla a noi e c'è l'Intenzione di questo Verbo di Dio che parla a noi.

E qui abbiamo le due testimonianze.

E Gesù dice che il Padre suo è questa Intenzione, per noi l'intenzione è qualcosa che si aggiunge, per Lui l'Intenzione è il Padre.

Gesù parlando vuole condurci a scoprire questa Presenza che lo muove e che deve essere la Presenza che muove noi.

Come per la samaritana cui Gesù parla di un Acqua, e l'acqua che la samaritana aveva presente, impediva alla samaritana di capire l'Acqua che Gesù aveva presente e che le stava presentando.

È il problema di ognuno di noi.

Ciò che noi abbiamo presente, le presenze sensibili, ci fa correre il rischio di non capire il vero significato di ciò cui Gesù parla a noi.

La Parola di Dio parlando a noi, ci impegna a superare tutte le nostre conoscenze, perché ci sta mettendo davanti una cosa che non è riscontrabile nelle nostre conoscenze: "Il Padre mi rende testimonianza" e loro il padre non lo vedevano.

Quindi se per padre noi intendiamo quello che è testimoniato dai nostri sensi, non si capisce più la parola di Gesù e allora si va alla ricerca: "Dove è tuo padre?".

Avrebbero dovuto chiedere: "Chi è tuo padre?".

La Parola di Dio ci invita a superare quelle che sono le nostre esperienze, le nostre conoscenze e tutta quella realtà in cui noi abbiamo sistemato la nostra vita e anche tutte le nostre ragioni.

Perché tutte le nostre ragioni sono fondate come ultima testimonianza su: "Quello lo vedono i miei occhi, questo l'ho sentito con le mie orecchie, questo lo tocco con le mie mani", quelli sono segni, non è la Realtà.

La Realtà è Dio che parla con te.

Ora, Dio che parla con te ti vuole portare dai segni che ti dà senza di te a ciò che non ti può dare senza di te.

Perché i doni maggiori non possono esserci dati senza di noi, se noi stessi non li desideriamo, se noi stessi non interroghiamo.

Ecco l'importanza dell'interrogazione, per cui la vera fede ci deve portare a interrogare, ci deve portare a fare questo salto di qualità dalle cose che sono testimoniate dai nostri sensi a quello che si può conoscere soltanto per intelligenza attraverso il pensiero, quindi attraverso la dedizione del nostro pensiero.

Senza la dedizione del nostro pensiero a Dio, sono inutili tutte le nostre preghiere, tutti i nostri sacrifici, tutti i nostri digiuni, tutto quanto.

Perché l'unica via per ottenere i doni maggiori è il pensiero, è attraverso il pensiero che Dio comunica Se Stesso, quindi è richiesta questa dedizione di pensiero.

Notiamo che già il centro nell'antico testamento è questo trasferimento del popolo ebreo attraverso il deserto verso la terra promessa e al centro di questo trasferimento abbiamo il popolo che interroga: "Che cosa è questo?".

E sulla vetta dell'antico testamento noi troviamo la Madonna, è Maria che di fronte all'annuncio dell'angelo sta interrogando sul significato del saluto dell'angelo, ecco l'interrogazione.

Nella preparazione ultima all'incontro con il Cristo abbiamo Maria che s’interroga sul significato del saluto dell'angelo.

Noi tutti i giorni siamo salutati dagli annunci di Dio, perché tutti i fatti, tutta la creazione, tutta la cronaca di ogni giorno è Dio che ci saluta, il problema è che noi non cerchiamo il significato di questo saluto, cioè che cosa Dio ci vuole significare di Sé.

L'interrogazione sta qui.

Quello che generalmente ci impedisce di passare a questo, è questo essere abbarbicati alla realtà che è testimoniata dai nostri occhi, dai nostri sensi.



Gli dissero allora: "Dov'è tuo padre?". Rispose Gesù: "Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio".

Gv 8 Vs 19 Secondo tema.


Titolo: La conoscenza del Padre e del Figlio


Argomenti: La conoscenza dei sensi non è vera conoscenza. Scambiare la conoscenza relativa dei sensi per assoluta. Ogni cosa va rivestita di un pensiero e non deve essere il pensiero del nostro io. Rendere assoluto quello che è relativo al pensiero del nostro io. Le conseguenze del ritenere assoluta la realtà relativa. Chiudersi alla ricerca della Verità. Imporre agli altri la nostra visione. Dio ci acceca per provocare in noi l'interrogazione.


 

13/Gennaio/1985  Fossano.


Abbiamo visto la prima parte di questo versetto.

Qui abbiamo la risposta di Gesù che si divide in due campi.

Prima di tutto dice: "Voi non conoscete né Me, né il Padre" e poi abbiamo questa meravigliosa testimonianza di Gesù che ci apre un grande campo: "Se conoscete Me, conoscereste anche il Padre mio".

Qui ci troviamo di fronte a delle persone, dei farisei che hanno una certa sicurezza, hanno una certa conoscenza.

Loro sono sicuri di chi sia il padre suo e chiedono dove è.

E Gesù invece dichiara che loro non conoscono né Lui, né suo Padre.

Di una cosa loro erano sicuri, di conoscere Lui, lo avevano presente, lo ascoltavano, lo vedevano con i loro occhi, lo potevano toccare con le loro mani.

Eppure Gesù dice loro che non lo conoscono.

Questa dichiarazione di Gesù ci impegna a superare tutte quelle che sono le conoscenze sensibili, cioè le conoscenze che sono testimoniate dai nostri sensi.

Ci fa pensare che tutto quello che noi vediamo e tocchiamo e anche tutte quelle persone che vediamo e tocchiamo non le conosciamo.

Ci fa capire che c'è una conoscenza secondo i sensi ma, questa conoscenza secondo i sensi non è la vera conoscenza.

Anche qui dobbiamo chiederci quale significato, quale lezione la Parola di Dio vuole dare a noi per la nostra vita personale, per la nostra vita essenziale, per i nostri rapporti con Dio.

Tutte le parole che dice Gesù, essendo Parole di Dio sono lezioni per noi, per la nostra vita personale.

E quando i farisei chiedono dove è suo Padre, risponde: "Voi non conoscete né Me, né mio Padre", quindi parte da una negazione di quella conoscenza che era la più palese a loro: la sua presenza fisica.

Come a dire che tutti noi che crediamo di conoscerci per le nostre presenze fisiche, in realtà non ci conosciamo.

La conoscenza sensibile non è vera conoscenza.

Perché al centro di tutte le conoscenze sensibili, c'è il pensiero del nostro io.

Già questo ci fa pensare che c'è tutto un campo di conoscenze, che ha come punto fisso di riferimento il pensiero del nostro io e il pensiero del nostro io non è un metro di giudizio valido per la realtà.

Gesù ci sta facendo capire che tutto quello che noi riteniamo certo, sicuro, valido in realtà noi non lo conosciamo.

Sta cioè negando una nostra certezza, una nostra sicurezza.

Ai farisei che erano sicuri di conoscerlo, perché lo avevano presente fisicamente, Lui dice: "Non mi conoscete".

Con questo Lui nega validità a tutte quelle che sono le conoscenze secondo i nostri sensi.

C'è quindi una presenza ai nostri sensi che può illuderci, che può darci una certezza che poi tale non è.

Tutto quello che si riferisce ai nostri sensi, ha come punto di riferimento il nostro io.

Infatti, noi diciamo: "Di questo sono sicuro perché l'ho visto io", quindi punto fisso di riferimento è il pensiero del nostro io.

Certamente il pensiero del nostro io, non è il punto fisso di riferimento delle cose.

Quindi abbiamo una conoscenza che è relativa al nostro io e non è vera conoscenza.

E c'è un’altra conoscenza ma, è una conoscenza che il nostro io naturalmente non vede e qui abbiamo la vera conoscenza.

E allora dobbiamo chiederci che valore abbia questa conoscenza secondo i sensi e perché ci sia.

E dobbiamo chiederci dove, come, quando possiamo attingere la vera conoscenza.

Ora, fintanto che siamo nel campo relativo e riteniamo che quello che vediamo noi sia vero, quello ha una certa ragione, una certa giustificazione.

La conoscenza attraverso i sensi non è che sia tutta illusione, ha una sua validità ma una validità relativa, poiché anche in questa c'è una testimonianza di Dio.

Attraverso i sensi noi percepiamo l'universo, percepiamo i fatti, percepiamo tutte le cose, tutto entra in noi attraverso i cinque sensi.

Tutto appartiene alla creazione di Dio, è Dio che parla a noi, per cui ha una certa validità.

Ma l'errore è quando noi scambiamo questa conoscenza relativa per conoscenza assoluta.

Tutte le cose che arrivano a noi, arrivano a noi con il sigillo di un pensiero di un altro.

Non siamo noi che facciamo queste cose, è un altro che scrive in noi.

È un altro che imprime nella nostra anima, nel pensiero del nostro io, queste conoscenze, queste parole, questi segni e noi dobbiamo sempre tenere presente quest’altro.

Ogni cosa va accolta da Lui e va riferita a Lui e in ogni cosa dobbiamo cercare il suo Pensiero.

In quanto dobbiamo cercare il suo Pensiero, non dobbiamo ritenere certezza assoluta quello che vediamo con i nostri occhi.

Perché tutto deve essere rivestito di un pensiero e questo pensiero non deve essere il pensiero del nostro io.

Se invece noi rivestiamo le cose del pensiero del nostro io per cui diciamo: "Questa cosa è così perché io la vedo così", noi adesso scantoniamo.

Perché noi per la nostra passione d'Assoluto che portiamo in noi, tendiamo a rendere Assoluto, tutto quello che vediamo e che tocchiamo, quindi tendiamo a considerare come un Assoluto, le cose che vediamo e tocchiamo, quindi le riferiamo al pensiero del nostro io e non cerchiamo più il Pensiero di Dio.

Qui c'è una prevaricazione, noi tendiamo a rendere Assoluto quello che è semplicemente relativo al pensiero di noi stessi.

Quindi c'è un segno che arriva a noi, ai nostri sensi e arriva a noi al pensiero del nostro io, opera di un Altro e c'è da parte nostra l'errore di volere rendere Assoluto quello che vediamo e che tocchiamo.

E adesso qui c'è la Parola di Dio che nega questo nostro assoluto, che noi abbiamo fatto assoluto.

Noi diciamo: "Questo lo conosco perché lo vedo e lo sento così" e abbiamo la Parola di Dio che dice: "Tu non conosci".

Ecco l'Opera di Dio che opera sulla nostra opera.

Abbiamo Dio che ci manda i segni, noi che travisiamo rendendoli assoluti e adesso c'è la Parola di Dio che opera su di noi e annulla il giudizio che noi abbiamo fatto.

Per cui noi tendiamo a chiuderci in questo giudizio e a escludere tutto il resto.

Facciamo l'errore dei farisei che non hanno chiesto chi fosse il Padre cui Gesù faceva appello, hanno domandato dove fosse.

Quali sono le conseguenze di questo errore che facciamo ritenendo Assoluto quello che vediamo e che tocchiamo?

Già il bambino, le prime nozioni che incontra nella sua vita terrena, immediatamente le trasforma tutte in Assoluto, fa parlare i pezzi di legno e le bambole, imprime in tutto quella passione d'Assoluto, cioè quella presenza di Dio che porta in sé, la trasfigura in tutto.

Ora, dico quali sono le conseguenze di questo fatto?

La conseguenza su un piano molto "rudimentale" è questa passione d'Assoluto che tutti esperimentano, in quanto quello che amano lo amano come se fosse Assoluto.

Chi ama il denaro lo ama come se fosse Assoluto, chi ama la creatura la ama come se fosse assoluta e noi tendiamo a rendere Assoluto tutto quello che esperimentiamo ma, questo errore ci porta in piani anche molto più sottili.

Nel campo dello spirito, noi tendiamo a rendere assolute anche le nostre conoscenze spirituali, le nostre esperienze spirituali.

La conseguenza è che quando riteniamo sicura una cosa, ci chiudiamo alla ricerca, alla conoscenza, non cerchiamo più, non ci interessa più altro, perché abbiamo visto, abbiamo toccato con mano.

C'è il rischio di chiuderci all'interrogazione, alla ricerca, di chiuderci a capire oltre perché "abbiamo già capito".

Noi vivendo continuamente corriamo il rischio, chiamando Assoluto quello che esperimentiamo di chiuderci a un’ulteriore ricerca.

È come andando in montagna, uno ritiene in continuazione di essere giunto sulla vetta, poi vede sempre un punto più alto.

Quello che vediamo o esperimentiamo anche nel campo spirituale, dobbiamo evitare di ritenerlo Assoluto.

I rapporti con Dio sono rapporti che richiedono continuamente un superamento di noi stessi, quindi il superamento di tutto quello che esperimentiamo e che conosciamo.

C'è un’altra conseguenza, non cercando più di conoscere e di capire: noi tendiamo ad agire, noi tendiamo a fare, secondo quello che noi riteniamo Assoluto, cioè ad affermare sugli altri la nostra esperienza, la nostra mentalità, le nostre convinzioni, il nostro comportamento in modo da renderlo anche Assoluto per gli altri.

Ognuno di noi può verificare questo errore su se stesso: fintanto che noi scambiamo per Assoluto ciò che Assoluto non è, noi parliamo sempre di noi, anche nel campo dello spirito, parliamo del nostro io: "Io ho esperimentato questo, io ho fatto questo", siamo sempre nel campo dell'io come punto fisso di riferimento.

L'opera di Dio invece tende a farci uscire da questa situazione qui e quindi ci presenta una parola che ci acceca, ci acceca in quella certezza, in quella luce che noi ritenevamo assoluta.

Qui abbiamo quello che Gesù afferma in un altro luogo: "Io sono venuto per dar la vista ai ciechi e per accecare coloro che vedono".

Fintanto che noi non arriviamo alla Luce vera che è Luce eterna, che è conoscenza del Padre, fintanto che noi non arriviamo a questo, noi dobbiamo sempre aspettarci la Parola di Dio che ci acceca, ci acceca per farci uscire da questa situazione di stallo in cui noi riteniamo di avere conosciuto, riteniamo di essere nella certezza e quindi ci priviamo di un cammino successivo.

La Parola di Dio accecandoci cosa provoca in noi?

Provoca in noi l'interrogazione, ecco l'apertura.

Perché l'interrogazione è l'anima per potere approdare alla vera conoscenza.

Quel bene Assoluto, quella conoscenza maggiore che è poi la conoscenza di Dio come vero Dio, si attinge soltanto attraverso la ricerca personale.

I doni maggiori vengono dati soltanto a coloro che li cercano e li cercano di proposito, in modo specifico, in caso diverso non possono essere dati.

È proprio attraverso l'interrogazione che si perviene a quella conoscenza della presenza di Dio che qui Gesù definisce così: "Se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio".

È un campo meraviglioso, perché è un test per misurare la conoscenza di Dio.

Fintanto che noi non arriviamo a esperimentare che la conoscenza che abbiamo del Cristo è la stessa conoscenza che abbiamo del Padre, tutta la conoscenza che abbiamo di Gesù è una conoscenza relativa, quindi non è una conoscenza nella Luce vera.

Quando conosceremo nella Luce vera, noi riscontreremo la verità di queste parole: si conosce il Figlio, soltanto in quanto si conosce il Padre, non si può conoscere il Figlio senza il Padre.

Quella di Gesù è una dichiarazione stupenda e meravigliosa, perché non c'è nessun segno in cui si possa riscontrare questo.

Non c'è nessun punto della creazione in cui si possa riscontrare questo fatto.

Noi conosciamo figli e conosciamo padri ma non c'è l'identità, non è che la conoscenza del figlio sia legata alla conoscenza del padre, soltanto nel campo di Cristo e del Padre.

Si conosce veramente Cristo, soltanto in quanto si conosce il Padre.



“Ed è scritto nella vostra propria legge che la testimonianza di due persone è vera, Ora, io rendo testimonianza di me stesso,  e anche il Padre, che mi ha mandato, mi dà testimonianza". Gli dissero allora: "Dov'è tuo padre?". Rispose Gesù: "Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio".

Gv 8 Vs 17 - 19 Riassunti


Riassunti


Argomenti: Passaggio dal segno alla presenza del Padre e del Figlio – L’interrogazione dell’uomo è opera di Dio – La vera conoscenza viene dal Padre – Il dialogo di Dio con l’uomo – Il linguaggio del peccato – La consapevolezza del  male in noi – La conoscenza del Padre e del Figlio – Le interrogazioni specifiche – Dubbio e interrogazione – Gli animali – Salomè – Cogliere il Verbo -


 

20/Gennaio/1985  Fossano.