Gli
dissero allora: "Dov'è tuo padre?". Rispose Gesù:
"Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche
il Padre mio".
Gv 8 Vs 19 Primo
tema.
Titolo: Le due
presenze che fanno interrogare.
Argomenti: L'annuncio
di una presenza invisibile. L'interrogazione
nasce dall'interno dell'uomo, rivela
interesse per capire. Dare
un giudizio prima di capire, rivela che non c'è amore per la Verità. S'interroga
perché si hanno due presenze. I
farisei interrogano perché il padre che avevano presente non corrispondeva con
quello che aveva presente Gesù. Le
presenze sensibili ci possono impedire di vedere le presenze spirituali. La
Parola di Dio ci invita a superare la realtà sensibile. A Dio
si giunge solo attraverso il pensiero.
6/Gennaio/1985
Fossano.
I farisei
chiedono a Gesù: "Dove è tuo Padre?".
C'era da
aspettarselo.
Gesù aveva
dichiarato che i suoi giudizi erano veri, perché portavano con sé la
testimonianza di due Persone e aveva richiamato la legge degli uomini che
diceva che la testimonianza di due persone è valida.
E aveva
detto che le due Persone che gli rendevano testimonianza erano: "Io che
parlo con voi e l'altra è il Padre che mi ha mandato".
Questa
interrogazione dei giudei c'era da aspettarsela, perché Gesù sì lo vedevano o
perlomeno credevano di vederlo, era presente materialmente davanti ai loro
occhi, lo potevano quindi vedere, lo potevano toccare, lo potevano ascoltare.
Ma Gesù
aveva affermato che c'era un Altro che rendeva testimonianza di quello che
stava dicendo ed era il Padre suo.
Qui nasce
il problema perché loro il Padre non lo vedevano.
E allora
nasce l'interrogazione: "Dove è il Padre tuo?".
L'interrogazione
che anche qui avviene attorno a Gesù, è una scena che Dio presenta a noi e se
la presenta ha un significato per noi.
Allora
dobbiamo interrogarci circa questo segno.
Abbiamo
degli uomini che interrogano Gesù e gli chiedono, dove sia il Padre suo, è una
lezione di Dio per noi.
È
l'argomento di questa sera: cercare di capire quello che Dio vuole comunicarci attraverso
quest'interrogazione che pone sulle labbra di coloro che stavano ascoltando
Gesù.
Teniamo ben fermi i termini di
questa scena, abbiamo un annuncio, una parola, un messaggio.
L'annuncio
è questo: "Due sono coloro che rendono testimonianza a Me di quello che
sto dicendo a voi", rendono testimonianza quindi rendono valido quello che
Lui sta dicendo.
Quindi
c'era un annuncio.
C'era una
presenza, una presenza corporea, una presenza fisica, la presenza fisica di
Gesù davanti agli occhi di coloro che ascoltavano, quindi una presenza visibile
e c'era una presenza invisibile che non si conosceva.
La
presenza visibile, partendo da ciò che gli uomini hanno davanti ai loro occhi,
dichiara una presenza invisibile.
In quanto
afferma, propone, invita ad alzare gli occhi a questa presenza invisibile ma,
qui gli uomini si trovano di fronte a una parete.
C'è un
annuncio, sì.
Questa
presenza visibile Gesù, quest'uomo (loro non sapevano che era Figlio di Dio)
parla a noi di uno che rende testimonianza di ciò che Egli sta dicendo e in
quanto rende testimonianza, è valido in quanto è presente.
Gesù
dichiara la presenza del Padre suo, perché un essere per rendere testimonianza
deve essere presente ma dove è?
Di fronte a una proposta si dà
sempre una risposta.
Qui la
risposta è un’interrogazione, bisogna vedere che
cosa c'è a fondo di questa interrogazione e perché lo interrogano.
Evidentemente
non basta che l'uomo ascolti cose dall'esterno, se noi diciamo queste stesse
parole a un albero o a un cane, non è che l'albero o il cane interroghino.
Quindi
evidentemente l'interrogazione non nasce dall'esterno, non nasce da quello che
arriva a noi, nasce da quello che c'è in noi.
Dobbiamo
chiederci cosa c'è dentro l'uomo per cui a un certo momento l'uomo sente il
bisogno di interrogare.
E che
valore ha l'interrogazione nella bocca dell'uomo.
Ed è
giusto interrogare?
Oppure
l'uomo deve stare muto, deve tacere, deve subire senza volgere interrogazioni?
Forse
l'interrogazione è una pretesa?
Di fronte
a una proposta, noi abbiamo due possibilità.
Un sì o un
no.
Il nostro
parlare è sempre un sì o un no.
Di fronte
a una proposta abbiamo la possibilità di cercare di capire o quella di non
cercare di capire.
L'interrogazione rivela un
desiderio di capire.
S'interroga
in quanto si riconosce di non capire e si cerca di capire.
Oppure può
anche darsi che l'uomo non cerchi di capire, che non
abbia interesse per capire.
L'uomo che
non ha interesse per capire può rifiutare dicendo: "Sono cose che non mi
interessano, sono cose astratte, sono cose che non mi riguardano, che non mi
toccano", oppure può anche dire: "Ma io credo a tutto quello che mi
si dice, lo accetto" e apparentemente sembra in posizione giusta,
apparentemente....
Se andiamo
a fondo, colui che accetta senza cercare di capire, profondamente rivela di non
avere interesse.
In un modo
o nell'altro qui abbiamo l'uomo che dà un giudizio su quello che gli è stato
proposto.
Teniamo
presente che dà un giudizio prima di capire perché non s’interessa di capire.
Il fatto di dare un giudizio prima
di capire, rivela,
testimonia la nostra valutazione che parte dalla realtà relativa al nostro io,
quindi non testimonia amore per la verità.
Testimonia
che in noi c'è un interesse diverso dalla conoscenza della verità.
Sopratutto
testimonia che a noi non interessa capire.
Testimonia
che quello che viene detto a noi non serve a noi, poiché non è quello che sta
sopratutto a cuore a noi.
Noi nelle
cose che ci stanno veramente a cuore, sentiamo molto interesse per capire.
Quelle
cose che invece non si riferiscono al problema principale della nostra vita,
suscitano in noi un giudizio ancor prima di capire, perché tanto non ci
toccano.
Quando non
ci si apre a capire quello che ci viene proposto, quando non si interroga,
essendoci un giudizio che precede il capire c'è male.
Invece
l'interesse per capire, quindi l'interrogazione rivela il bene.
Gesù, la
Parola di Dio, parla a noi per svegliare in noi un interesse, un desiderio di
capire quello che ancora non vediamo.
Perché
soltanto avendo questo interesse per capire quello che ancora non capiamo, noi
apriamo la nostra anima a cose superiori.
Qui ci
troviamo di fronte a un’interrogazione.
Questi
farisei dicono a Gesù: "Dove è tuo padre?".
Notiamo da
cosa sorge questa interrogazione.
Quando
sorge un’interrogazione, si deve avere presente qualche cosa, perché la nostra
volontà non può volere una cosa che non abbia presente, la nostra volontà, il
nostro desiderio per volere, deve avere presente qualche cosa.
E allora
c'è da chiedersi so l’ha presente, perché interroga?
Il fatto è
che quando s’interroga è perché si hanno due presenze.
C'è una
presenza che è data dalla testimonianza dei sensi, da quello che vediamo e
tocchiamo e c'è una presenza che portiamo dentro di noi che è la presenza vera,
la presenza reale, la presenza dello spirito, la presenza di Dio.
Quando
s’interroga, è sempre perché si ha la presenza di qualcosa in noi, una presenza
però che non è soddisfatta cioè ci sono due cose che non riusciamo a
fondere insieme.
Qui
stavano interrogando: "Dove è tuo padre?",
evidentemente perché il padre che loro avevano presente non corrispondeva con
il Padre che aveva presente Gesù.
Ecco il
problema.
La presenza del padre loro
impediva a loro di capire la presenza del Padre di Gesù.
Questo ci
fa capire che la presenza in noi dei segni, di quello che testimoniano a noi i
nostri sensi, quello che abbiamo presente ai nostri occhi, ci fa correre il
rischio di non arrivare a scoprire la presenza invisibile che portiamo dentro
di noi.
Per loro
il concetto di padre era il concetto comune di padre, fisico, naturale.
Loro chiedono: "Dove è il tuo
padre?",
non si interessano di capire che cosa Gesù intenda per Padre: "È il Padre
che mi manda, è il Padre che mi fa parlare". È cioè il Padre che lo
motiva.
Gesù vuole
portarci qui, a scoprire che nell'intenzione con cui un essere parla c'è una
presenza.
C'è il
Verbo di Dio che parla a noi e c'è l'Intenzione di questo Verbo di Dio che
parla a noi.
E qui
abbiamo le due testimonianze.
E Gesù
dice che il Padre suo è questa Intenzione, per noi l'intenzione è qualcosa che
si aggiunge, per Lui l'Intenzione è il Padre.
Gesù
parlando vuole condurci a scoprire questa Presenza che lo muove e che deve
essere la Presenza che muove noi.
Come per la
samaritana cui Gesù parla di un Acqua, e l'acqua che la samaritana aveva
presente, impediva alla samaritana di capire l'Acqua che Gesù aveva presente e
che le stava presentando.
È il
problema di ognuno di noi.
Ciò che
noi abbiamo presente, le presenze sensibili, ci fa correre il rischio di non
capire il vero significato di ciò cui Gesù parla a noi.
La Parola
di Dio parlando a noi, ci impegna a superare tutte le nostre conoscenze, perché
ci sta mettendo davanti una cosa che non è riscontrabile nelle nostre
conoscenze: "Il Padre mi rende testimonianza" e loro il padre non lo
vedevano.
Quindi se
per padre noi intendiamo quello che è testimoniato dai nostri sensi, non si
capisce più la parola di Gesù e allora si va alla ricerca: "Dove è tuo
padre?".
Avrebbero
dovuto chiedere: "Chi è tuo padre?".
La Parola di Dio ci invita a
superare quelle
che sono le nostre esperienze, le nostre conoscenze e tutta quella realtà in
cui noi abbiamo sistemato la nostra vita e anche tutte le nostre ragioni.
Perché
tutte le nostre ragioni sono fondate come ultima testimonianza su: "Quello
lo vedono i miei occhi, questo l'ho sentito con le mie orecchie, questo lo
tocco con le mie mani", quelli sono segni, non è la Realtà.
La Realtà
è Dio che parla con te.
Ora, Dio
che parla con te ti vuole portare dai segni che ti dà senza di te a ciò che non
ti può dare senza di te.
Perché i
doni maggiori non possono esserci dati senza di noi, se noi stessi non li
desideriamo, se noi stessi non interroghiamo.
Ecco l'importanza
dell'interrogazione, per
cui la vera fede ci deve portare a interrogare, ci deve portare a fare questo
salto di qualità dalle cose che sono testimoniate dai nostri sensi a quello che
si può conoscere soltanto per intelligenza attraverso il pensiero, quindi
attraverso la dedizione del nostro pensiero.
Senza la
dedizione del nostro pensiero a Dio, sono inutili tutte le nostre preghiere,
tutti i nostri sacrifici, tutti i nostri digiuni, tutto quanto.
Perché
l'unica via per ottenere i doni maggiori è il pensiero, è attraverso il pensiero
che Dio comunica Se Stesso, quindi è richiesta questa dedizione di pensiero.
Notiamo
che già il centro nell'antico testamento è questo trasferimento del popolo
ebreo attraverso il deserto verso la terra promessa e al centro di questo
trasferimento abbiamo il popolo che interroga: "Che cosa è questo?".
E sulla
vetta dell'antico testamento noi troviamo la Madonna, è Maria che di fronte
all'annuncio dell'angelo sta interrogando sul significato del saluto
dell'angelo, ecco l'interrogazione.
Nella preparazione
ultima all'incontro con il Cristo abbiamo Maria che s’interroga sul significato
del saluto dell'angelo.
Noi tutti
i giorni siamo salutati dagli annunci di Dio, perché tutti i fatti, tutta la
creazione, tutta la cronaca di ogni giorno è Dio che ci saluta, il problema è
che noi non cerchiamo il significato di questo saluto, cioè che cosa Dio ci
vuole significare di Sé.
L'interrogazione
sta qui.
Quello che
generalmente ci impedisce di passare a questo, è questo essere abbarbicati alla
realtà che è testimoniata dai nostri occhi, dai nostri sensi.
Gli dissero allora:
"Dov'è tuo padre?". Rispose Gesù:
"Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche
il Padre mio".
Gv 8 Vs 19 Secondo tema.
Titolo: La
conoscenza del Padre e del Figlio
Argomenti: La
conoscenza dei sensi non è vera conoscenza. Scambiare la
conoscenza relativa dei sensi per assoluta. Ogni cosa va rivestita di un pensiero e non deve essere il
pensiero del nostro io. Rendere
assoluto quello che è relativo al pensiero del nostro io. Le conseguenze del ritenere assoluta la realtà relativa. Chiudersi alla ricerca della Verità. Imporre agli altri la nostra visione. Dio ci acceca per provocare in noi l'interrogazione.
13/Gennaio/1985 Fossano.
Abbiamo visto
la prima parte di questo versetto.
Qui abbiamo la risposta di Gesù
che si divide in due campi.
Prima di
tutto dice: "Voi non conoscete né Me, né il Padre" e poi abbiamo
questa meravigliosa testimonianza di Gesù che ci apre un grande campo: "Se
conoscete Me, conoscereste anche il Padre mio".
Qui ci
troviamo di fronte a delle persone, dei farisei che hanno una certa sicurezza,
hanno una certa conoscenza.
Loro sono
sicuri di chi sia il padre suo e chiedono dove è.
E Gesù
invece dichiara che loro non conoscono né Lui, né suo Padre.
Di una
cosa loro erano sicuri, di conoscere Lui, lo avevano presente, lo ascoltavano,
lo vedevano con i loro occhi, lo potevano toccare con le loro mani.
Eppure
Gesù dice loro che non lo conoscono.
Questa
dichiarazione di Gesù ci impegna a superare tutte quelle che sono le conoscenze
sensibili, cioè le conoscenze che sono testimoniate dai nostri sensi.
Ci fa
pensare che tutto quello che noi vediamo e tocchiamo e
anche tutte quelle persone che vediamo e tocchiamo non le conosciamo.
Ci fa
capire che c'è una conoscenza secondo i sensi ma, questa conoscenza secondo i
sensi non è la vera conoscenza.
Anche qui
dobbiamo chiederci quale significato, quale lezione la Parola di Dio vuole dare
a noi per la nostra vita personale, per la nostra vita essenziale, per i nostri
rapporti con Dio.
Tutte le
parole che dice Gesù, essendo Parole di Dio sono lezioni per noi, per la nostra
vita personale.
E quando i
farisei chiedono dove è suo Padre, risponde: "Voi non conoscete né Me, né
mio Padre", quindi parte da una negazione di quella conoscenza che era la
più palese a loro: la sua presenza fisica.
Come a
dire che tutti noi che crediamo di conoscerci per le nostre presenze fisiche,
in realtà non ci conosciamo.
La
conoscenza sensibile non è vera conoscenza.
Perché al
centro di tutte le conoscenze sensibili, c'è il pensiero del nostro io.
Già questo
ci fa pensare che c'è tutto un campo di conoscenze, che ha come punto fisso di
riferimento il pensiero del nostro io e il pensiero del nostro io non è un metro
di giudizio valido per la realtà.
Gesù ci
sta facendo capire che tutto quello che noi riteniamo certo, sicuro, valido in
realtà noi non lo conosciamo.
Sta cioè
negando una nostra certezza, una nostra sicurezza.
Ai farisei
che erano sicuri di conoscerlo, perché lo avevano presente fisicamente, Lui
dice: "Non mi conoscete".
Con questo
Lui nega validità a tutte quelle che sono le conoscenze secondo i nostri sensi.
C'è quindi
una presenza ai nostri sensi che può illuderci, che può darci una certezza che poi
tale non è.
Tutto
quello che si riferisce ai nostri sensi, ha come punto di riferimento il nostro
io.
Infatti,
noi diciamo: "Di questo sono sicuro perché l'ho visto io", quindi
punto fisso di riferimento è il pensiero del nostro io.
Certamente
il pensiero del nostro io, non è il punto fisso di riferimento delle cose.
Quindi
abbiamo una conoscenza che è relativa al nostro io e non è vera conoscenza.
E c'è
un’altra conoscenza ma, è una conoscenza che il nostro io naturalmente non vede
e qui abbiamo la vera conoscenza.
E allora
dobbiamo chiederci che valore abbia questa conoscenza secondo i sensi e perché
ci sia.
E dobbiamo
chiederci dove, come, quando possiamo attingere la vera conoscenza.
Ora, fintanto che siamo nel campo relativo e riteniamo
che quello che vediamo noi sia vero, quello ha una certa ragione, una certa
giustificazione.
La
conoscenza attraverso i sensi non è che sia tutta illusione, ha una sua
validità ma una validità relativa, poiché anche in questa c'è una testimonianza
di Dio.
Attraverso
i sensi noi percepiamo l'universo, percepiamo i fatti, percepiamo tutte le
cose, tutto entra in noi attraverso i cinque sensi.
Tutto
appartiene alla creazione di Dio, è Dio che parla a noi, per cui ha una certa
validità.
Ma
l'errore è quando noi scambiamo questa conoscenza relativa per conoscenza
assoluta.
Tutte le
cose che arrivano a noi, arrivano a noi con il sigillo di un pensiero di un
altro.
Non siamo
noi che facciamo queste cose, è un altro che scrive in noi.
È un altro
che imprime nella nostra anima, nel pensiero del nostro io, queste conoscenze,
queste parole, questi segni e noi dobbiamo sempre tenere presente quest’altro.
Ogni cosa va accolta da Lui e va
riferita a Lui e in ogni cosa dobbiamo cercare il suo Pensiero.
In quanto
dobbiamo cercare il suo Pensiero, non dobbiamo ritenere certezza assoluta
quello che vediamo con i nostri occhi.
Perché
tutto deve essere rivestito di un pensiero e questo pensiero non deve essere il
pensiero del nostro io.
Se invece
noi rivestiamo le cose del pensiero del nostro io per cui diciamo: "Questa
cosa è così perché io la vedo così", noi adesso scantoniamo.
Perché noi per la nostra passione
d'Assoluto che
portiamo in noi, tendiamo a rendere Assoluto, tutto quello che vediamo e che
tocchiamo, quindi tendiamo a considerare come un Assoluto, le cose che vediamo
e tocchiamo, quindi le riferiamo al pensiero del nostro io e non cerchiamo più
il Pensiero di Dio.
Qui c'è
una prevaricazione, noi tendiamo a rendere Assoluto quello che è semplicemente
relativo al pensiero di noi stessi.
Quindi c'è
un segno che arriva a noi, ai nostri sensi e arriva a noi al pensiero del
nostro io, opera di un Altro e c'è da parte nostra l'errore di volere rendere
Assoluto quello che vediamo e che tocchiamo.
E adesso qui
c'è la Parola di Dio che nega questo nostro assoluto, che noi abbiamo fatto
assoluto.
Noi
diciamo: "Questo lo conosco perché lo vedo e lo sento così" e abbiamo
la Parola di Dio che dice: "Tu non conosci".
Ecco
l'Opera di Dio che opera sulla nostra opera.
Abbiamo Dio che ci manda i segni,
noi che travisiamo
rendendoli assoluti e adesso c'è la Parola di Dio che opera su di noi e annulla
il giudizio che noi abbiamo fatto.
Per cui
noi tendiamo a chiuderci in questo giudizio e a escludere tutto il resto.
Facciamo
l'errore dei farisei che non hanno chiesto chi fosse il Padre cui Gesù faceva
appello, hanno domandato dove fosse.
Quali sono
le conseguenze di questo errore che facciamo ritenendo Assoluto quello che
vediamo e che tocchiamo?
Già il
bambino, le prime nozioni che incontra nella sua vita terrena, immediatamente
le trasforma tutte in Assoluto, fa parlare i pezzi di legno e le bambole,
imprime in tutto quella passione d'Assoluto, cioè quella presenza di Dio che
porta in sé, la trasfigura in tutto.
Ora, dico
quali sono le conseguenze di questo fatto?
La
conseguenza su un piano molto "rudimentale" è questa passione
d'Assoluto che tutti esperimentano, in quanto quello che amano lo amano come se
fosse Assoluto.
Chi ama il
denaro lo ama come se fosse Assoluto, chi ama la creatura la ama come se fosse
assoluta e noi tendiamo a rendere Assoluto tutto quello che esperimentiamo ma,
questo errore ci porta in piani anche molto più sottili.
Nel campo
dello spirito, noi tendiamo a rendere assolute anche le nostre conoscenze
spirituali, le nostre esperienze spirituali.
La
conseguenza è che quando riteniamo sicura una cosa, ci chiudiamo alla ricerca,
alla conoscenza, non cerchiamo più, non ci interessa più altro, perché abbiamo
visto, abbiamo toccato con mano.
C'è il rischio di chiuderci
all'interrogazione, alla ricerca, di chiuderci a capire oltre perché "abbiamo già
capito".
Noi
vivendo continuamente corriamo il rischio, chiamando Assoluto quello che
esperimentiamo di chiuderci a un’ulteriore ricerca.
È come
andando in montagna, uno ritiene in continuazione di essere giunto sulla vetta,
poi vede sempre un punto più alto.
Quello che
vediamo o esperimentiamo anche nel campo spirituale, dobbiamo evitare di
ritenerlo Assoluto.
I rapporti
con Dio sono rapporti che richiedono continuamente un superamento di noi
stessi, quindi il superamento di tutto quello che esperimentiamo e che
conosciamo.
C'è un’altra conseguenza, non
cercando più di
conoscere e di capire: noi tendiamo ad agire, noi tendiamo a fare, secondo
quello che noi riteniamo Assoluto, cioè ad affermare sugli altri la nostra
esperienza, la nostra mentalità, le nostre convinzioni, il nostro comportamento
in modo da renderlo anche Assoluto per gli altri.
Ognuno di
noi può verificare questo errore su se stesso: fintanto che noi scambiamo per
Assoluto ciò che Assoluto non è, noi parliamo sempre di noi, anche nel campo
dello spirito, parliamo del nostro io: "Io ho esperimentato questo, io ho
fatto questo", siamo sempre nel campo dell'io come punto fisso di riferimento.
L'opera di
Dio invece tende a farci uscire da questa situazione qui e quindi ci presenta
una parola che ci acceca, ci acceca in quella certezza, in quella luce che noi
ritenevamo assoluta.
Qui
abbiamo quello che Gesù afferma in un altro luogo: "Io sono venuto per dar
la vista ai ciechi e per accecare coloro che vedono".
Fintanto che noi non arriviamo alla Luce vera che è Luce eterna,
che è conoscenza del Padre, fintanto che noi non arriviamo a questo, noi
dobbiamo sempre aspettarci la Parola di Dio che ci acceca, ci acceca per farci
uscire da questa situazione di stallo in cui noi riteniamo di avere conosciuto,
riteniamo di essere nella certezza e quindi ci priviamo di un cammino
successivo.
La Parola
di Dio accecandoci cosa provoca in noi?
Provoca in
noi l'interrogazione, ecco l'apertura.
Perché
l'interrogazione è l'anima per potere approdare alla vera conoscenza.
Quel bene
Assoluto, quella conoscenza maggiore che è poi la conoscenza di Dio come vero
Dio, si attinge soltanto attraverso la ricerca personale.
I doni
maggiori vengono dati soltanto a coloro che li cercano e li cercano di
proposito, in modo specifico, in caso diverso non possono essere dati.
È proprio
attraverso l'interrogazione che si perviene a quella conoscenza della presenza
di Dio che qui Gesù definisce così: "Se conosceste me, conoscereste anche
il Padre mio".
È un campo
meraviglioso, perché è un test per misurare la conoscenza di Dio.
Fintanto
che noi non arriviamo a esperimentare che la conoscenza che abbiamo del Cristo
è la stessa conoscenza che abbiamo del Padre, tutta la conoscenza che abbiamo
di Gesù è una conoscenza relativa, quindi non è una conoscenza nella Luce vera.
Quando
conosceremo nella Luce vera, noi riscontreremo la verità di queste parole: si
conosce il Figlio, soltanto in quanto si conosce il Padre, non si può conoscere
il Figlio senza il Padre.
Quella di
Gesù è una dichiarazione stupenda e meravigliosa, perché non c'è nessun segno
in cui si possa riscontrare questo.
Non c'è
nessun punto della creazione in cui si possa riscontrare questo fatto.
Noi
conosciamo figli e conosciamo padri ma non c'è l'identità, non è che la
conoscenza del figlio sia legata alla conoscenza del padre, soltanto nel campo
di Cristo e del Padre.
Si conosce
veramente Cristo, soltanto in quanto si conosce il Padre.
“Ed è
scritto nella vostra propria legge che la testimonianza di due persone è vera,
Ora, io rendo testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi
ha mandato, mi dà testimonianza". Gli dissero allora: "Dov'è tuo padre?". Rispose Gesù: "Voi non
conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre
mio".
Gv 8 Vs 17 - 19
Riassunti
Riassunti
Argomenti: Passaggio dal segno
alla presenza del Padre e del Figlio – L’interrogazione dell’uomo è opera di Dio – La vera conoscenza
viene dal Padre – Il dialogo di Dio con l’uomo – Il linguaggio del peccato – La consapevolezza
del male in noi – La conoscenza del
Padre e del Figlio – Le interrogazioni specifiche – Dubbio e interrogazione – Gli animali – Salomè – Cogliere il Verbo -
20/Gennaio/1985 Fossano.