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Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva”. Gv 7 Vs 37 Primo tema.


Titolo: Il nuovo concetto di Festa.


Argomenti: L’ultimo giorno. Riposo da-,riposo per-. La pace è effetto di un giusto rapporto con Dio. Soggettivo-oggettivo. La scoperta oggettiva del pensiero di Dio in noi. La transitorietà del Cristo tra noi. Frustrare la parola di Cristo. Essere con=festa. Rivestire la parola di Dio del nostro mondo soggettivo. Il nostro essere è sapere l’Essere. Rapportare tutto a Dio. La chiusura nell’io. La proposta di Cristo e la risposta dell’uomo. Ezechiele. L’ordine interiore.


 

27/Marzo/1983


Qui si parla di ultimo giorno della festa.

La festa era quella dei Tabernacoli.

Ultimo giorno fa pensare che la festa stia passando.

Il concetto di festa è legato al concetto di riposo.

Riposo da che cosa e riposo per che cosa?

Normalmente si dice che la festa è riposo dai lavori servili e che sia sufficiente questo.

L’interpretazione del mondo è che la festa è data per recuperare le forze.

C’è anche una interpretazione religiosa della festa che si richiama al riposo del Creatore nel sabato, dopo avere fatto tutta la creazione.

Per cui secondo l’interpretazione religiosa, il giorno di festa bisogna andare a messa e compiere certi doveri.

Ma è tutto un concetto di festa inteso come assenza di occupazione nel mondo.

Invece quello che è sopratutto efficace nel concetto di festa è il riposo per-, per quale motivo?

Cioè essendo tutto opera di Dio, dobbiamo chiederci perché nell’ultimo giorno Dio si riposò.

Cioè tutto quello che Dio ha fatto, lo ha fatto per noi.

Se l’ha fatto per noi dobbiamo chiederci quale possa essere il significato di questo suo riposo.

Questo riposo di Dio è un invito all’uomo ad entrare nel riposo di Dio, nella pace di Dio.

C’è questo silenzio, questa assenza d’impegni nella creazione, affinché la nostra anima possa essere disponibile ad occuparsi delle cose di Dio, ad entrare nel riposo di Dio, nella pace di Dio.

San Paolo nella sua lettera agli ebrei dice: “Se tu oggi ascolti la parola di Dio affrettati ad entrare nel suo riposo, nella sua pace affinché non t’avvenga come avvenne a quegli ebrei che non poterono entrare nella terra promessa, perché mancò loro la fede”.

Qui ci fa capire che la fede è quel sostegno che ci deve condurre e introdurre nella terra promessa, cioè che ci deve introdurre nella pace del Signore.

Questa pace viene a noi dalla scoperta oggettiva della presenza di Dio tra noi e in noi.

Quando si parla di pace s’intende un accordo con-, un armonia con-.

L’accordo è presentare un rapporto tra due termini, tra due esseri.

L’elemento fondamentale del rapporto è sempre il termine fisso a cui si rapporta ogni cosa.

Nel rapporto ci sono due termini, uno è fisso e l’altro si misura su quello.

Quello fisso serve come misura per l’altro.

Tutto dipende da ciò che nel rapporto teniamo come punto fisso di riferimento.

Per cui possiamo stabilire in noi dei rapporti sbagliati, oppure possiamo stabilire dei rapporti giusti.

Il rapporto è sbagliato, quando il termine fisso a cui noi rapportiamo non è quello vero, se ad esempio noi abbiamo come termine fisso di rapporto il pensiero di noi stessi, tutto ciò che noi riferiamo al pensiero del nostro io, crea in noi dei rapporto sbagliati.

Perché il nostro io non è un punto fisso di riferimento.

Da questi rapporti sbagliati, ne deriva che le soluzioni sono sbagliate: anziché pace, noi troviamo inquietudine, noi troviamo incertezza, noi troviamo dubbi.

Lo sbaglio consiste nell’avere messo come punto fisso di riferimento a cui rapportare ogni dato, ogni cosa, ogni parola, ogni pensiero.

Ne consegue che le soluzioni sono sbagliate, quindi noi non troviamo la pace.

Questo è quello che ogni uomo verifica.

Noi tutti verifichiamo questa tristezza di vita in cui non troviamo un luogo di pace.

Quello che è difficile a noi è fare la diagnosi di questa malattia.

Cioè è difficile identificare il punto fisso di riferimento sbagliato che noi mettiamo nella nostra vita.

Certamente avendo come punto fisso di riferimento il pensiero del nostro io, noi riteniamo realtà, dato oggettivo, tutto quello che si riferisce al nostro io, ci appare realtà ma non è Realtà, sono effetti della Realtà e quindi tutti i nostri giudizi restano sbagliati.

Questo è il campo di soggettività, in cui noi veniamo a trovarci, un cerchio chiuso da cui noi da soli, assolutamente non ne possiamo uscire.

E poi c’è il rapporto giusto, il rapporto giusto è quando noi mettiamo come termine, come principio, come termine fisso di riferimento quello che veramente è, il termine fisso di riferimento è il Creatore.

Dio è il vero principio “In principio era il Verbo”.

Questo è il dato, il “Principio”.

Ci viene detto affinché ognuno di noi lo metta come principio, e non abbia quindi a stabilire dei rapporti sbagliati e non abbia a venirsi a trovare in situazione di impossibilità di entrare nella pace.

Se noi mettiamo come principio, quindi come termine fisso di riferimento, quello che è il vero Principio, cioè Dio, allora le soluzioni vengono giuste, allora noi entriamo nella pace di Dio.

E la pace di Dio vuol dire certezza, vuol dire riposo, vuol dire luce, vuol dire conoscenza.

E questa è la festa.

Ora, questo principio, questo punto fisso di riferimento è in noi, perché Dio abita in noi.

Dio creando l’uomo ha fatto dell’uomo il suo santuario, il suo tempio, la sua abitazione, la sua casa ma l’ha fatta senza di noi, per cui Dio è presente in noi, Dio è in noi senza di noi e forma la nostra stessa coscienza.

Noi non ci rendiamo conto ma il nostro sapere di essere è sapere l’Essere, è la presenza dell’Essere in noi.

Dio si è dato a noi senza di noi, però non si fa conoscere senza di noi.

Farsi conoscere per noi è entrare nella pace di Dio ma in questa pace noi non entriamo senza di noi, perché la pace è effetto di un rapporto giusto.

Non basta quindi avere  Dio presente in noi, bisogna rapportare a Dio, tutto quello che Dio ci presenta, le sue parole, i fatti, le opere, il pensiero stesso del nostro io.

Il pensiero stesso del nostro io, rapportato a Dio come Principio, come termine fisso di riferimento, è una cosa buona e c’illumina, ci porta nella pace.

Se invece il pensiero del nostro io viene posto come principio a  cui rapportare tutto diventa principio d’inquietudine, di tenebre e d’incertezza.

Il pensiero di Dio è in noi, lo portiamo in noi.

Ogni uomo lo porta in sé ma la grande difficoltà è giungere alla scoperta oggettiva di questa presenza del pensiero oggettivo di Dio in noi.

Abbiamo visto l’impotenza dell’uomo a giungere nel luogo in cui si trova il Figlio, il luogo cioè in cui il pensiero di Dio ha l’essere, esiste indipendentemente da noi.

L’uomo è impotente da solo a giungere in questo luogo: “Dove Io sono, voi non potete venire”, cioè dove Lui ha l’essere.

Noi entriamo in questo luogo soltanto ascoltando la parola di Dio, è la parola di Dio che ci conduce a trovare questa presenza oggettiva di Dio, cioè indipendente da noi, cioè non riferita a noi.

Campo soggettivo è tutto ciò che si riferisce al nostro io come punto fisso di riferimento, per cui quando diciamo: “Questa cosa è così perché io la vedo così”, noi facciamo riferimento a un principio (il nostro io) che non è un principio e allora noi stabiliamo un campo di soggettività, di dubbio, d’incertezza da cui da soli non ne possiamo assolutamente uscire.

Soltanto se noi abbiamo la grazia, la possibilità di scoprire il vero principio e cominciare a guardare da questo punto di vista, dal punto di vista di Dio, noi cominciamo a stabilire questo campo di oggettività, in cui troviamo la nostra pace, in cui entriamo nella festa.

Ma abbiamo detto che c’è una festa che sta passando...se festa è avere la possibilità di stabilire questo rapporto con il vero Principio e se per potere stabilire questo rapporto con il principio è necessario giungere a individuare, a scoprire la presenza oggettiva del pensiero di Dio in noi, questo ci fa capire che soltanto con la presenza fisica del Cristo che parla con noi, con la sua parola noi, potendo giungere alla scoperta della presenza oggettiva del pensiero di Dio in noi, abbiamo la possibilità che è grazia, di stabilire dei rapporti giusti e quindi di entrare nella nostra pace, cioè nella pace di Dio.

Ho detto “possibilità”, perché non è detto che avendo scoperto la presenza del pensiero oggettivo di Dio in noi, si sia già entrati nella pace.

La pace viene nella misura e per quello che noi rapportiamo a questo dato oggettivo, a questo principio ed è tutto un lavoro interiore, perché questo principio è dentro di noi, quindi è tutto un lavoro di raccolta, di subordinazione di ogni cosa a questo dato oggettivo in cui noi abbiamo la possibilità di raccogliere tutto e raccogliendo possiamo trovare la nostra pace.

Ora, se la possibilità di entrare in questa festa ci viene data dalla presenza del Cristo che parla a noi, ecco che abbiamo un nuovo concetto di festa: il concetto di essere con-.

Cioè c’è una festa che è data dalla presenza di Cristo nel nostro mondo e fintanto che è nel nostro mondo.

Una festa che passa, perché Gesù stesso dice: “Non sempre avrete Me”.

“Fintanto che Io sono nel mondo, sono luce del mondo”, fintanto!

Quindi Lui entrando nel nostro mondo inaugura una festa, poiché inaugura un “essere con-“, soltanto se il Verbo di Dio entra nel nostro cerchio di soggettività in cui noi ci siamo chiusi, dà a noi la possibilità di spezzare questo cerchio e di uscire e di recuperare un dato oggettivo, di recuperare cioè il Principio che è poi il principio della nostra pace e della nostra salvezza.

Però questa presenza del Cristo tra noi è transitoria e la transitorietà da cosa è determinata?

La parola di Dio, cioè la presenza del Cristo tra i Giudei e la sua parola, siano state frustrate.
Mentre Gesù diceva: “Mi cercherete e non mi troverete...” Lui era il Verbo di Dio con loro che parlava a loro.

E quindi era una festa, essere con- è la festa, il paradiso terrestre era essere con-, l’impossibilità di essere con un altro, cioè essere soli, non è più festa: l’uomo che non riesce a uscire dal pensiero di se stesso, l’uomo che parla sempre con sé, anche quando parla con altri, è un essere che non può godere della pace, che non può godere della festa.

La festa è data dall’essere con un altro.

Se l’Altro viene a noi, in quanto è con noi, anche se è transitoriamente con noi, inaugura un giorno di festa. Però questa festa sta passando,  l’occasione temporanea offerta da questa presenza transitoria è determinata dal Cristo che parla a noi e dalla risposta che noi diamo.

Cioè il tempo di questa festa è determinato dallo spazio che passa tra la parola di Dio che arriva a noi e la ricerca da parte nostra del pensiero di Dio in essa o il rivestimento della parola stessa di Dio del pensiero del nostro io.

Come noi rivestiamo la parola di Dio della nostra realtà che ha come punto fisso di riferimento il pensiero del nostro io, noi usciamo dalla festa, la festa è terminata.

Qui questi giudei, hanno perso l’occasione del “Cristo con loro”.

Perché Cristo mentre diceva loro: “Mi cercherete e non mi troverete, dove Io sono, voi non potete venire” offriva loro l’occasione della scoperta oggettiva del pensiero di Dio in loro.

Poiché il parlare del Cristo è un parlare di salvezza, non è un parlare di giudizio o di condanna, mentre apparentemente sembra escluderli, realmente Lui apre una strada.

Però questa strada è necessario percorrerla e per percorrerla è necessario intendere le parole del Cristo che giungono a noi nel pensiero di Dio e non nel pensiero del nostro io.

Se noi intendiamo le parole di Cristo nel punto fisso di riferimento del pensiero del nostro io, noi proiettiamo sulle parole del Cristo il nostro campo di soggettività e quindi usciamo dalla festa.

Perdiamo cioè l’occasione della salvezza offertaci dal Cristo stesso.

Abbiamo visto in questi giorni un brano di Ezechiele che è molto interessante.

Nel capitolo 37 versetto 28 di Ezechiele: “Le genti sapranno che io sono il Signore che santifico Israele quando il mio santuario sarà in mezzo a loro per sempre”.

“Il mio santuario” è il suo pensiero, Dio abita nel suo pensiero.

Santificare vuol dire fare entrare nel giorno del riposo, della festa.

“Per sempre” cioè oggettivamente, non dipendente da loro.

Soltanto quando l’uomo sa, trova, per grazia della parola del Cristo che giunge a lui, trova questa presenza oggettiva del pensiero di Dio in sé, ha la possibilità di sapere che “Io sono il Signore”, per sempre, quindi indipendente dall’uomo.


-Cristo è composto di una presenza fisica: Uomo e di una presenza spirituale divina: Parola.

-La Parola di Dio deve essere associata allo spirito di Dio, al pensiero di Dio, associandola al pensiero dell’io falliamo.

L’occasione del passaggio è determinata dal Verbo incarnato che entra nel mio campo soggettivo.

-Il pensiero dell’io è la capacità di unirsi al pensiero di Dio. Quando pensiamo Dio non siamo noi che pensiamo Dio ma siamo noi che ci uniamo al pensiero di Dio.

Capire vuol dire costatare, noi portiamo in noi un effetto di cui non conosciamo la causa, però la parola di Dio mi porta a scoprire la causa dell’effetto che porto in me e senza di Lui io non arrivo a questo.

Costatare è la sintesi di due fattori: l’effetto che portiamo in noi e la conoscenza della causa, la causa è Dio e soltanto il Figlio di Dio mi può portare a trovare la causa, però questa causa m’illumina perché io ho l’effetto: l’impotenza a trovare Dio.


Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva”. Gv 7 Vs 37 Secondo tema.


Titolo: La festa sta passando.


Argomenti: Il Pensiero oggettivo di Dio in noi – La scoperta dell’omicidio di Cristo – La metà della festa – Rivestire Dio dell’io – Perdere la festa – Uccidere Dio pregando – Il lavoro servile – Il Verbo esteriore e il Verbo interiore – Costatare ciò che la fede annuncia – L’impotenza a scoprire l’Essere – La diagnosi della tristezza – Il riposo del Sabato – Il dubbio della soggettività – L’illusione dell’obbiettività – Lo spirito nella parola – Persona fisica e Parola di Cristo -


 

28/Marzo/1983


Pinuccia B.: ….. questa frase di Ezechiele: “Le genti crederanno che Io sono il Signore e che santifico Israele quando il mio Tempio sarà per sempre in mezzo a loro”. Cioè, santificherò Israele (santificare vuol dire farlo entrare nella festa, nel riposo) quando il mio Tempio sarà per sempre in mezzo a loro. Cioè, il mio Pensiero, il mio Santuario. Quando uno ha scoperto questa Presenza oggettiva del Pensiero di Dio in sé ha la possibilità del “sempre”. Ed è questo rapporto personale, proprio perché si scopre Dio proprio come una persona in noi. La presenza oggettiva è una Persona che non dipende da noi, quindi è un punto fisso di riferimento a cui rapportare tutto ciò che arriva a noi, tutto. Quindi si è sempre con…

Luigi: Abbiamo la possibilità di essere con-, in quanto abbiamo la possibilità di riferire tutto a-. Quando non abbiamo la possibilità allora non possiamo essere sempre con-. Però Dio può essere con noi e allora attraverso il Verbo incarnato parla con noi e di tanto in tanto si fa esperimentare con la sua Presenza… però ci sorprende in questa Presenza, ma noi non possiamo essere con Lui come Lui è con noi. Per essere con Lui dobbiamo trovare la Sua presenza oggettiva e allora questo diventa un “sempre” per noi, perché è indipendente da noi, perché quello invece che è in relazione a noi è temporaneo. Quello che è relativo è sempre temporaneo; quello che è indipendente da noi appartiene alla sfera eterna.

Pinuccia B.: Quindi questa presenza sensibile che Dio di volta in volta, ogni tanto ci sorprende e ce la dà, non è ancora la presenza oggettiva. È una presenza sensibile che è Tabor, va e viene.

Luigi: Certo. Non è sempre perché è relativa. Dio può parlare con qualunque creatura. Quindi può farsi toccare con mano da qualunque creatura, però non è un sempre. Come sul Tabor, non è un sempre. È sempre, quando dà alla creatura la scoperta indipendente, quindi oggettiva.

Pinuccia B.: Però non è ancora Pentecoste questa presenza oggettiva, è il cammino però che conduce alla Pentecoste.

Luigi: Dà la possibilità, perché non possiamo arrivare al Padre se non attraverso il Figlio. Il Figlio è questo Pensiero di Dio. Ora, se il Figlio non dà a noi questo Pensiero oggettivo di Dio in noi in cui noi possiamo soffermarci, noi non possiamo arrivare al Padre, quindi non possiamo arrivare a Pentecoste.

Pinuccia B.: Quindi questa esperienza della scoperta della Sua presenza oggettiva, non di quella che va e viene, presuppone l’aver già superato la tappa della passione e della risurrezione?

Luigi: No, presuppone l’essersi soffermati con il Cristo e l’aver ottenuto per mezzo di Lui la luce sulle sue Parole, su certe sue Parole, quelle Parole che ti conducono a quella scoperta oggettiva.

Pinuccia B.: Presenza che dura sempre, che permane sempre.

Luigi: Certo.

Pinuccia B.: Ma se permane sempre allora vuol dire che uno deve già aver preso coscienza di aver ucciso Cristo e di essere già risorto.

Luigi: No, permane… dà la possibilità. La permanenza deriva dal raccoglimento in quel dato oggettivo che il Cristo ci ha condotti a scoprire. In quanto uno raccoglie; raccogliendo arriva poi a Pentecoste, però bisogna raccogliere. La Presenza oggettiva dà la possibilità di raccogliere in un dato presente in noi.

Pinuccia B.: Quindi questa scoperta può avvenire prima della morte del Cristo.

Luigi: Ma la morte di Cristo noi la scopriamo sempre a posteriori perché è dall’inizio che noi … noi constatiamo di aver compiuto, quando lo scopriamo è già sempre tardi. È proprio attraverso la morte del Cristo che si giunge poi a questa dedizione alla Parola del Cristo per giungere a questa Luce, perché altrimenti non si dedica quel tanto da arrivare lì.

Pinuccia B.: Però la scoperta della Presenza oggettiva è prima di questa esperienza della morte del Cristo, di questa scoperta, perché è vero che noi uccidiamo Cristo molto prima, noi quando lo scopriamo è già sempre tardi.

Luigi: Anche quando scopriamo questo l’abbiamo già ucciso.

Pinuccia B.: …questa presenza oggettiva. Abbiamo già scoperto di averlo ucciso, ci rendiamo già conto del come?

Luigi: No!! possiamo anche già aver intuito per lo meno….

      


Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva”. Gv 7 Vs 37 Terzo tema.


Titolo: Vedere la solennità di Dio.


Argomenti: La pace è data da un rapporto determinato dal metro: Dio o io-. Incapacità dell’uomo a trovare in sé un dato oggettivo. Il Verbo, il Principio si sottomette all’uomo parla all’io dell’uomo; festa che passa. Il Verbo incarnato annulla i valori diversi da Dio e sottomette tutto al Padre, anche Se stesso. Annullamento dei valori: disperazione o Cristo. L’ultima parola del Cristo tra noi: pensiero di Dio in posto al di sopra di tutto. Dio con Cristo occupa una pagina della nostra storia che siamo destinati a incontrare. Mai voltarsi indietro. Il purgatorio.


 

3/ Aprile /1983


Oggi dobbiamo fermarci su questa affermazione: “Il giorno che era il più solenne”, l’ultimo giorno della festa e quale significato possa avere per noi quest’affermazione: “L’ultimo giorno della festa era il più solenne”.

In quanto si parla di “ultimo giorno” della festa è implicito un passare, un tramontare della festa stessa ed abbiamo anche visto il significato di questo.

Qui è affermato che quest’ultimo giorno della festa era il più solenne.

Il concetto di solennità, evidentemente qui è legato al concetto di sviluppo della festa e il concetto di sviluppo è rapportato al concetto di festa.

Abbiamo visto che la festa è un riposo da- ed è un riposo per-.

Il riposo da-, sono le opere servili che hanno per centro il pensiero del nostro io.

Tutto quello che noi facciamo nel e per il pensiero del nostro io è opera servile.

Nella festa, tutte queste opere servili debbono cessare, perché la festa esige e richiede da parte nostra l’impegno ad entrare nella pace di Dio.

Questo ci fa pensare che tutto quello che è avvenuto precedentemente, è avvenuto come premessa per questo giorno per l’ultimo giorno.

Tutta la creazione è stata fatta in sei giorni, l’ultimo giorno, Dio si riposò da tutte le opere fatte, ma quel riposo di Dio è una segnalazione per l’uomo, un invito all’uomo, ad entrare nel riposo di Dio, a trovare la pace di Dio, quindi ad uscire dal pensiero del suo io, ecco la cessazione a tutte le opere servili, ed a cercare di entrare nella pace di Dio.

Quindi il concetto essenziale di festa non sta tanto nel riposo da-, quanto nel riposo per-.

Cioè tu uomo devi sospendere tutto quel campo d’interessi che ha per centro il pensiero del tuo io e preoccuparti di entrare nella pace di Dio, cercare la pace di Dio.

Se noi riposassimo anche da tutte le opere servili ma non ci rendessimo conto dell’impegno che dobbiamo avere per volere lo scopo di Dio, noi indubbiamente falliremmo la festa.

Quello che dà valore alla nostra festa è quindi questo riposare per-.

Anche il sabato è fatto per l’uomo, anche il riposo di Dio dell’ultimo giorno, è stato fatto per l’uomo, affinché l’uomo cerchi questa pace.

Nel concetto di pace c’è il concetto di armonia, di accordo.

E il concetto di accordo presuppone sempre due termini e il rapporto tra questi due termini.

E l’uomo ha la possibilità di sbagliare questo rapporto.

In un rapporto tutto è determinato da ciò che mettiamo come punto fisso di riferimento, il metro.

Se noi sbagliamo il punto fisso di riferimento, tutti i nostri rapporti sono errati.

Se noi poniamo il pensiero del nostro io come punto fisso di riferimento, tutti i nostri rapporti sono sbagliati e noi non possiamo entrare nella pace.

La tristezza, l’inquietudine, l’angoscia sono tutte conseguenze di un rapporto sbagliato e il rapporto è sbagliato perché non abbiamo messo come punto fisso di riferimento quello che va messo, cioè Dio e non l’io.

Il punto fisso di riferimento ci è annunciato: “In principio era il Verbo”.

Dio ci annuncia questo non per una informazione di cultura generale, lo annuncia per la Vita, perché tutte le parole che Dio dice sono vita per noi.

E io quanto Dio dice: “Io sono  il Principio”, lo dice per la nostra Vita, quindi lo dice perché noi sappiamo che dobbiamo mettere Lui come principio: ecco il punto fisso di riferimento.

Quindi il punto fisso di riferimento ci è dato: “Io sono il Principio, mettimi quindi come principio”.

Se noi però trascuriamo la Parola di Dio, noi mettiamo altro come principio.

L’altro da Dio è sempre relativo, noi mettiamo il relativo come assoluto e tutti i nostri rapporti, quindi tutti i nostri giudizi sono sbagliati, in conseguenza le scelte sono sbagliate e noi ce la sogniamo la pace del Signore e quindi ce lo sogniamo di entrare nella Festa.

In conseguenza di questi rapporti sbagliati (concetto di autonomia) viene a trovarsi in un cerchio chiuso da cui certamente non ne può uscire.

Questa Festa è rappresentata dal paradiso terrestre, ma come l’uomo dà inizio ad un rapporto autonomo (l’io e non Dio come metro), l’uomo è cacciato dal paradiso terrestre, cacciato dalla Festa e diventa schiavo del suo errore, del suo peccato e non ne può più uscire.

Questa incapacità a uscire da questo cerchio, è l’incapacità dell’uomo a trovare un punto oggettivo su cui fare affidamento.

Prima lo aveva ma avendo inaugurato scelte differenti ha perso la possibilità di identificarlo, pur avendo ancora questo punto di oggettività in sé.

Pur non potendolo negare, ha perso la possibilità di trovare in sé questo Verbo che è in principio di tutte le cose, come punto fisso di riferimento, come dato oggettivo, come dato indipendente dal pensiero del nostro io, quindi come dato assoluto che ogni uomo porta con sé.

Soltanto se il Verbo stesso di Dio entra in questo cerchio chiuso, si sottomette alla creatura, può offrire all’uomo la possibilità di uscire da questo cerchio.

Qui capiamo che si presentano a noi due concetti di festa.

Se il concetto di festa è essere con un altro, noi abbiamo il concetto di festa senza tramonto che è l’essere con Dio ma questo presuppone il punto fisso di riferimento oggettivo, cioè indipendente da noi.

Il concetto di festa è sempre un “essere con-“.

Ma con la venuta di Dio nel cerchio chiuso dell’uomo c’è un altro concetto di festa: Dio con l’uomo.

È sempre un essere con ma è Dio sottomesso all’uomo.

Non è più un rapporto vero, è Dio che entra nel cerchio chiuso dell’uomo, si accompagna con l’uomo, quindi è festa per l’uomo, perchè è con un altro.

Però è un altro concetto di festa perché qui non abbiamo l’uomo sottomesso al Principio.

Abbiamo il Principio che si sottomette all’uomo, per salvare l’uomo, perché l’uomo da solo non può più uscire dal suo cerchio, dal suo bozzolo, non può più uscire dal pensiero del suo io.

La prima festa è la creatura sottomessa al Principio che ha come punto fisso di riferimento Dio.

Questo è un rapporto giusto, vero, quindi intramontabile, sarà eternamente vero, invece questo secondo rapporto del Dio che si sottomette all’uomo è un rapporto non vero, quindi è un rapporto transitorio, non può permanere, è un offerta straordinaria diciamo.

Quindi qui abbiamo una festa che passa, soggetta al tempo.

Ed abbiamo visto che proprio perché soggetta al tempo, quindi transitoria, deve provocare in noi la preoccupazione di affrettarsi ad entrare nella pace di Dio, affrettarsi a conoscere il Signore.

Cioè dobbiamo approfittare di quest’offerta perché non sarà ripetuta.

Dunque Cristo è con noi ma è con noi perché è entrato in questo cerchio chiuso dell’uomo, cioè in questo rapporto sbagliato dell’uomo, in cui l’uomo ha come punto fisso di riferimento il pensiero di sé.

Cristo che è entrato in questo cerchio chiuso dell’uomo cosa fa? Cosa dice? Come opera in questa festa che passa?

Perché Cristo si è sottomesso all’uomo come Uomo, però parla sempre come Dio.

Se Cristo fosse soltanto uomo non potrebbe spezzare il cerchio dell’io dell’uomo.

Lui spezza il cerchio dell’uomo, in quanto assume l’apparenza di uomo, però parla all’uomo come Dio.

Quindi la parola è quella di Dio e il vestito è quello dell’uomo.

Quello che conta è la Parola che arriva all’uomo che è in un rapporto sbagliato.

In quanto questa Parola arriva all’uomo, dà all’uomo la possibilità di un ascolto, perché parla all’io dell’uomo.

Però questo Verbo che è sottomesso a noi e che parla a noi che cosa dice? Che cosa opera?

Il Verbo è Figlio di Dio e in quanto figlio di Dio parla di una cosa sola, parla e glorifica il Padre.

Quindi il Verbo di Dio incarnandosi, sottomettendosi all’uomo come uomo, viene a parlare all’uomo del Padre.

Ma cosa vuole dire parlare all’uomo del Padre?

Vuol dire annullare nell’uomo, il valore di tutto ciò che l’uomo ritiene valido e importante.

Quindi Cristo parlando tra noi, annulla tutti quei valori per cui noi viviamo e che abbiamo messo al posto di Dio e recupera ogni cosa al Padre.

L’opera del Verbo di Dio incarnato è quella di recuperare tutto al Padre, di sottomettere tutto al Padre.

E noi vediamo con quanta insistenza Cristo, da sua Madre alla giustizia, all’amore o all’autorità umana, tutto annulla, perché tutto sottomette al Padre: “Una cosa sola è necessaria”

Anche le cose che agli occhi nostri, agli occhi della società, del mondo sono giustificate, in Cristo troviamo l’annullamento, poiché sottomette tutto al Padre e quando avrà sottomesso tutto al Padre, sottometterà anche se stesso al Padre.

L’opera essenziale di Cristo è proprio l’annullamento di tutti quei valori che gli uomini ritengono importanti, giusti, validi, per sottomettere tutto al Padre.

Tutto questo avviene in un giorno di festa, cioè nel giorno in cui Dio è con noi.

Un giorno di festa che passa perché non è il vero giorno di festa.

Però questo giorno di festa è la condizione essenziale per entrare nell’altro giorno di Festa che è senza tramonto.

È la condizione essenziale.

Vediamo proprio qual è lo scopo del Cristo, lo scopo del Verbo di Dio incarnato.

Viene per darci la possibilità di entrare in quel giorno di festa in cui Dio si è riposato e che non ha più avuto tramonto e che rappresenta la vita eterna, cioè l’uomo sottomesso a Dio.

Mentre invece  nel primo giorno di festa abbiamo Dio che è sottomesso all’uomo.

Ma sottomesso all’uomo come Dio, recupera tutto al Padre.

“L’ultimo giorno di festa era il più solenne”.

Cosa succede nel Verbo di Dio che parla a noi annullando tutti i nostri valori?

Teniamo sempre presente che la Parola di Dio è superiore all’uomo e sia che l’uomo creda o meno, essendo la parola di Dio superiore all’uomo ha la forza di annullare i valori dell’uomo.

E l’uomo non può più essere illuso di fronte alla Parola di Dio.

Dio gli svuota di valore la sua vita.

Dio parlando svuota di valore la nostra vita per recuperarci al Vero Valore.

Tutto questo svuotamento di valori, non è mica per portarci alla disperazione o al suicidio.

Questo avviene anche se l’uomo fa resistenza, perché la Parola di Dio dimostra all’uomo che lui sta vivendo per niente.

E l’uomo di fronte a un valore che ha perduto il suo valore l’uomo non lo può più sopportare.

Perché la vita senza significato, vissuta per una cosa che non vale, l’uomo non la può sopportare.

Per cui volente o nolente, attraverso il parlare del Cristo, l’uomo è portato o alla disperazione o di fronte all’unica cosa essenziale.

E non possiamo farne a meno.

Perché la Parola di Dio è superiore e noi non possiamo resistere di fronte alla parola della Verità.

Ogni uomo nella vita esperimenta uno svuotamento di valori, lui non lo sa perché ma è il Verbo di Dio che nella nostra vita sta parlando a noi.

Noi le chiamiamo esperienze, lezioni della vita, la vecchiaia ma invece è tutta opera del Verbo di Dio e parlando con noi annulla tutti quei valori dietro i quali ci siamo illusi, ce li svuota per cui noi non possiamo più vivere per quelli.

E allora siccome noi portiamo sempre la fame d’assoluto, non possiamo farne a meno, poichè è l’elemento costitutivo dell’uomo stesso, noi siamo costretti ad approdare a quel termine che Dio presenta come unico valore.

All’ultimo noi troviamo il “giorno solenne”.

Solenne è ciò che viene portato al di sopra di tutto.

Quello che impediva a noi di vedere la solennità, la gloria di Dio erano tutti i valori sbagliati che avevamo nella nostra vita.

Il Verbo di Dio parlando a noi e annullando tutti questi valori ha rimesso in evidenza il Vero Valore.

All’ultimo apparirà davanti ai nostri occhi quello che era già in principio.

Ecco perché in conseguenza di tutto il parlare di Cristo con noi sottomesso a noi, all’ultimo giorno della festa balza evidente questo giorno più solenne.

È quello che dice già Isaia: “Nell’ultimo dei tempi il monte di Dio sarà elevato al di sopra di tutti gli altri monti”, ecco questo Pensiero di Dio che viene elevato al di sopra di tutti gli altri valori.

“E tutte le genti incontrandosi diranno: saliamo al monte del Signore”.

Quindi noi stiamo andando verso una conclusione, volenti o nolenti.

Questa conclusione che è rappresentata dall’ultimo giorno, cioè dall’ultima parola del Cristo tra noi.

In questo ultimo giorno, in questo fine, si vedrà chiaramente questo monte, cioè questo Pensiero di Dio in noi, posto al di sopra di tutti gli altri pensieri, al di sopra di tutti gli altri valori.

E tutte le creature non ci diranno con parole di salire al monte del Signore ma con la loro vita e i loro affanni ci diranno di salire al monte del Signore.

Perché soltanto da Lui potremo avere quella Luce per riconoscere il sentiero della Vita.


Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva”. Gv 7 Vs 37 Quarto tema.


Titolo: Evidenziazione dei valori.


Argomenti: Gli effetti della Parola – Il paradiso terrestre – I falsi valori umani – La pace è avere un rapporto corretto – L’annullamento dei valori – Il Verbo è il Pensiero del Padre – Privilegiare il Pensiero di Dio – L’isolamento nel Pensiero di Dio – Dio si rivela solo nel suo Pensiero – Padre e Pensiero del Padre – Tutto è fatto nel Pensiero di Dio – La perdita di significato -


 

4/ Aprile /1983



Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva”. Gv 7 Vs 37 Quinto tema.


Titolo: La festa e il suo significato spirituale.


Argomenti: Festa: riposo da-, riposo per-, essere con-. Riposo da tutte le opere servili. L’incapacità di riposare. La giustizia essenziale. Il niente e il tutto. La tessera e il mosaico. La festa è l’occasione per modificare il rapporto con Dio, che modifica i nostri giorni servili.  Impegnadoci a capire Cristo superiamo l’io. Non conosciamo la persona. La fede sentimentale in Cristo. La notte è festa. Dio si conosce solo in Dio. Le tre tappe della festa. La tristezza di far dipendere le cose da noi.


 

10/ Aprile /1983 Vigna


Negli ultimi incontri abbiamo considerato l’argomento della festa e il suo divenire.

Il tema di oggi è la festa e il suo significato per la nostra vita essenziale, per la nostra vita spirituale.

Bisogna tenere presente quello che già abbiamo considerato e cioè i diversi aspetti della festa.

Il primo concetto di festa è riposo da-.

E indubbiamente questo ha un significato molto importante per la nostra vita spirituale.

Solitamente la festa come riposo da-, è considerato un mezzo per recuperare le forze per ritornare a lavorare.

Se fosse così, la festa sarebbe a servizio dei giorni di lavoro.

Dobbiamo sempre riportarci nel principio per avere la Luce di Dio ed intendere il significato delle cose.

Nel principio, il riposo del Signore, il sabato, la festa non fu a servizio dei giorni di lavoro, ma i sei giorni di lavoro furono a servizio del riposo, della pace di Dio.

Quindi qui sorge il problema della festa per-.

Qui c’è il secondo concetto di festa: riposo per-.

Se non è per ricostruire le forze e tornare a lavorare, a cosa serve la festa?

I sei giorni della creazione furono di sera e di mattina, mentre il sabato fu senza sera.

Per significare a noi che quello è il giorno conclusivo, è il giorno cui gli altri giorni servono.

E se quindi la meta, lo scopo, il fine va cercato nella festa, noi dobbiamo capovolgere la nostra prima interpretazione della festa e dire che i giorni di lavoro servono per i giorni di festa.

La festa serve per entrare nella pace di Dio.

Dio dopo avere compiuto la creazione entrò nel suo riposo ed è un offerta ad ognuno di noi a trovare la pace di Dio.

Qui si apre il grande problema della pace.

Abbiamo visto che la pace è accordo, è armonia.

Quando si parla di accordo s’intende un rapporto fra due termini e bisogna avere la presenza di questi due termini.

Non solo, ma bisogna anche rispettare l’ordine di questi due termini, cioè bisogna mettere come termine fisso nel rapporto, quello che è il vero termine fisso.

L’errore che commettiamo noi nella nostra vita è che poniamo come termine fisso nella nostra vita il pensiero del nostro io, in conseguenza tutti i nostri rapporti, anche i rapporti con Dio sono sbagliati.

Conseguenza di questi rapporti sbagliati è l’inquietudine nostra, l’incertezza, il dubbio, la vanità del tutto, l’angoscia, la morte.

Se invece poniamo Dio come termine fisso a cui rapportare ogni cosa e soprattutto il pensiero dell’io, i nostri rapporti sono giusti.

Dio entrò nella sua pace per invitare noi ad entrare nella sua pace.

Se noi poniamo come termine fisso quello che è il vero termine fisso Dio, allora i rapporti sono giusti e in conseguenza di questa giustizia ne viene la Luce, la certezza, la vita, la vita eterna.

Perché si va allora di conferma in conferma, non si è più smentiti da niente, poiché essendo tutto opera di Dio, allora tutto ci conferma nella verità di Dio.

Però Dio abita dentro di noi e questo ordine va fatto dentro di noi, quindi c’è questo ordine interiore da fare.

La festa quindi è il rientrare dentro di noi, per stabilire questo ordine interiore, perché la pace è una conseguenza di questo ordine interiore.

Abbiamo detto che per potere stabilire quest’ordine è necessaria a noi la presenza di due termini: uno l’abbiamo ed è il pensiero del nostro io, l’altro termine è il Pensiero di Dio e il Pensiero di Dio sfugge a noi.

Generalmente non abbiamo presente Dio, soprattutto non l’abbiamo presente come termine fisso a cui rapportare ogni cosa.

Qui c’è il cerchio chiuso in cui ogni uomo si trova e qui l’importanza del Cristo come Verbo di Dio incarnato che entra in questo cerchio chiuso per dare a noi la possibilità di scoprire quel termine divino oggettivo che portiamo in noi, che è il Pensiero stesso di Dio e dare a noi la possibilità di stabilire quell’ordine interiore corretto che c’introduce poi nella pace di Dio.

E allora qui abbiamo una terza espressione della festa: la festa vista come essere con-.

Quindi abbiamo tre termini della festa da tenere presente, prima la festa come riposo da-, poi la festa come riposo per- e poi la festa come essere con-.

Ma per arrivare  a questa festa intesa come essere con-, si richiede la rivelazione e quindi la scoperta da parte nostra della presenza oggettiva in noi del Pensiero di Dio, alla cui scoperta, noi non possiamo arrivare se non per mezzo del Cristo.

Cristo il Verbo di Dio venendo tra noi, inaugura quindi per noi, un concetto di festa che è provvisorio, perché è Lui che si sottomette alla creatura per essere con la creatura.

L’ultimo aspetto della festa è questo essere con-.

Quindi Cristo che si sottomette alla creatura inaugura una festa con la creatura, però evidentemente è una festa soggetta a transizione, poiché è sottomissione di Dio all’uomo.

Questa sottomissione di Dio all’uomo, evidentemente non è un rapporto giusto e quindi non può durare.

È un offerta necessaria per noi, per entrare nella vera festa, però è un offerta passeggera.

Se noi non ci affrettiamo ad approfittare di questa occasione, la perdiamo.

Noi abbiamo visto qui come questi ebrei hanno perso l’occasione di questa offerta che Cristo faceva loro per entrare nella pace di Dio, interpretando le parole di Cristo in modo soggettivo.

Per cui non è stato loro possibile passare dal loro mondo soggettivo, al mondo oggettivo che offriva loro il Cristo.

E quindi hanno perso l’occasione, la possibilità di trovare quel punto fisso di riferimento oggettivo in se stessi cui incominciare a riferire ogni cosa, per inaugurare il vero giorno del riposo e della pace di Dio.

Dovremmo considerare in modo particolare il primo aspetto del riposo da-, come condizione per entrare nella pace di Dio.

Perché per entrare nella pace di Dio che è lo scopo della festa, si richiede il riposo da tutte le nostre opere.

Le opere servili sono tutte quelle opere che hanno come scopo il pensiero del nostro io o per lo meno che hanno come punto fisso di riferimento il pensiero del nostro io.

Avendo escluso il concetto di festa come riposo per ricominciare a lavorare.

Perché la festa non è a servizio del lavoro, perché il nostro fine non è il lavoro, ma è il nostro lavoro nel mondo che è a servizio della festa.

Quindi i sei giorni di lavoro servono per entrare nella festa di Dio, per entrare nella pace in Dio.

E la lezione che ne deriva da questo riposo da-.


Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva”. Gv 7 Vs 37 Sesto tema.


Titolo: Le due feste.


Argomenti: Nella festa ci viene offerta la possibilità di pensare Dio. Utilizzare bene la festa.Il rapporto ingiusto del Dio sottomesso all’uomo. Figli delle parole che diciamo. L’impossibilità di ascoltare un pensiero diverso dal nostro. La transitorietà di Cristo. Chi è stato illuminato una volta non può esserlo una seconda. Tommaso.


 

11/ Aprile /1983



Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva”. Gv 7 Vs 37 Settimo tema.


Titolo: La Seconda Festa.


Argomenti: Entropia: il nostro pensiero mantiene le cose. La presenza di Dio è condizione necessaria perché l’uomo possa dedicarsi a Dio. Cristo, Dio sottomesso all’uomo entra nel campo soggettivo dell’uomo per rendersi presente. Prima festa: Dio sottomesso all’uomo. Seconda festa: uomo sottomesso a Dio. Il desiderio dell’acqua di fronte all’acqua: le due risposte della creatura. Il pensiero di Dio in noi.


 

17/ Aprile /1983


Siamo sempre nel giorno della festa che si dice che era il più solenne e qui Gesù levatosi in piedi, disse ad alta voce: “Chi ha sete venga a Me e beva”.

E stasera dobbiamo fermarci su questa seconda parte del versetto.

Siamo nel giorno della festa e abbiamo visto che per festa s’intende un tempo libero dai lavori servili, dal mondo che ci occupa e occupa soprattutto la nostra mente, i nostri pensieri, per dedicarci a-.

È un tempo straordinario ed è un tempo transitorio.

Straordinario, grazia di Dio, perché non è rapportato a quella che è la situazione della creatura.

La situazione della creatura, fintanto che non conosce Dio è una situazione di servitù, di schiavitù e quindi non è una creatura che possa disporre liberamente del suo tempo.

Se in questa situazione di servitù Dio concede alla creatura del tempo libero, questo è grazia, è un fatto straordinario.

Dio concede questo tempo libero alla creatura perché essa ne aprofitti per progredire nella conoscenza di Dio.

Evidentemente se Dio offre la festa per progredire nella conoscenza di Dio, è necessario che la creatura dedichi a Dio il suo pensiero.

Fintanto che la creatura si trova nei lavori servili, il pensiero della creatura si dedica a questi lavori servili.

Tutte le cose si mantengono, crescono in quanto noi dedichiamo a loro il pensiero.

Non sono le cose che mantengono il nostro pensiero ma è il nostro pensiero che mantiene le cose.

Se noi trascuriamo una cosa, quella si disfa, si degrada, scompare.

Una casa, un terreno, una macchina, qualunque cosa richiede dedizione di pensiero, altrimenti si consuma, si logora, si rovina.

C’è un processo di degradazione nell’universo.

C’è la legge dell’entropia, cioè della degradazione di tutte le cose.

È il nostro pensiero che mantiene le cose, però il nostro pensiero in quanto deve mantenere le cose si deve dedicare ad esse e in quanto si dedica ad esse, non può dedicarsi a Dio.

Ecco allora il tempo di grazia, ecco allora la festa, questo regalo che Dio pone al “personale di servizio”, quindi agli uomini, affinché in questo tempo possano liberamente dedicare il loro pensiero non alle cose, non al mondo, non a se stessi ma a Dio.

Dedicando il pensiero a Dio, abbiamo una progressione nella conoscenza di Dio.

Il semplice pensiero di Dio già ci pone di fronte a questa grandezza di mistero e alla grandezza della nostra ignoranza e quindi ci riporta già alla nostra dimensione e già questo è un progredire.

Mentre invece fintanto che noi ci occupiamo del mondo, noi generalmente ci gonfiamo e ci esaltiamo, confrontandoci con gli altri ci riteniamo qualcuno.

Invece come noi pensiamo Dio, il Pensiero di Dio ci riporta alla nostra situazione di povertà che è la nostra vera dimensione.

L’uomo che esperimenta la propria cecità di fronte alla Verità di Dio, è un uomo che ha fatto un passo nella Luce, per grazia di Dio.

Tutto avviene per grazia di Dio, basta pensare Dio che già si forma in noi qualcosa.

E Dio allora ci concede di tanto in tanto, questi giorni di riposo dai lavori servili, affinché noi dedichiamo il pensiero a Lui.

Da parte di Dio, il riposo dato è affinché noi possiamo dedicare il nostro pensiero a Lui e quindi crescere nella conoscenza di Lui.

Però la condizione perché il nostro pensiero possa dedicarsi a Dio è quella di avere presente l’oggetto a cui si dedica.

Senza la presenza di Dio l’uomo non ha la possibilità di dedicarsi a Dio, fa delle astrazioni, però non ha la possibilità di dedicarsi.

L’uomo però ha perso il contatto con l’esperienza della presenza di Dio.

L’uomo è una fame d’assoluto, però è anche una impotenza ad esperimentare l’assoluto, cioè ad esperimentare la presenza di Dio, pur non potendola negare.

La presenza di Dio è la condizione essenziale perché il nostro pensiero possa dedicarsi a Dio.

Qui siamo venuti a scoprire l’esistenza di due feste.

L’uomo avendo perso l’esperienza della presenza di Dio, ha perso la possibilità di entrare nel riposo di Dio, quel riposo che è senza sera, senza tramonto e che inaugura in noi la vita eterna.

È il sabato senza sera che è conclusione di tutta l’opera di Dio.

L’uomo avendo perso l’esperienza della presenza di Dio, ha perso questa festività qui e non ci sarebbe altra possibilità per Lui, se Dio non avesse inaugurato un altra presenza di Sé nel mondo, una presenza di Sé apparentemente ingiusta, poiché si è sottomesso all’uomo e abbiamo il Cristo.

Dio per rendere presente all’uomo la sua presenza, entra nel campo soggettivo dell’esperienza dell’uomo, assume un corpo umano ed abbiamo il Dio tra noi, il Cristo.

Questa festa però abbiamo detto che è transitoria.

Transitoria perché non è giusto che Dio si sottometta all’uomo.

Dio si sottomette all’uomo per dare all’uomo la possibilità di un rapporto di presenza e quindi la possibilità di passare alla seconda festa.

Nella seconda festa si entra soltanto in quanto l’uomo è sottomesso a Dio.

Quindi abbiamo la prima festa in cui Dio si sottomette all’uomo (Cristo) per essere con l’uomo e attraverso questo, dare all’uomo la possibilità di sottomettersi a Dio, e quindi di entrare nella vera festa che è senza tramonto.

Allora questa festa con Cristo, è premessa ed è condizione dell’altra, è in funzione dell’altra.

Non dobbiamo quindi accontentarci di essere con Cristo, non dobbiamo accontentarci di rapporti sentimentali con Lui, dobbiamo sempre considerare che la venuta del Cristo è in funzione della nostra entrata nella seconda festa.

Diciamo che Dio si sottomette all’uomo, affinché l’uomo abbia la possibilità di sottomettersi a Dio.

Il vero e giusto rapporto avviene qui.

La vera festa avviene qui, quando l’uomo si sottomette a Dio, però per sottomettersi a Dio ha bisogno di esperimentare la presenza di Dio.

Qui allora abbiamo il terzo concetto della festa, da libertà da-, a libertà per-, a libertà con-.

Parlo di libertà perché non è mai un rapporto obbligato.

Infatti noi possiamo sprecare tutto, possiamo sprecare la festa del Dio che viene a sottomettersi a noi e possiamo sprecare la libertà da- e la libertà per-.

Possiamo sprecare tutto perché con Dio si richiedono sempre dei rapporti di consapevolezza e quindi dei rapporti liberi.

Cristo, Dio con noi, venendo e parlando a noi, offre a noi la possibilità di accedere alla festa e come?

Quello che impedisce a noi di esperimentare la presenza di Dio, sono i valori di disturbo che si formano in noi nel nostro campo soggettivo, in quanto viviamo pensando a noi.

Tutto quello che noi facciamo pensando a noi, parlando di noi, operando per noi, diventa per noi motivo di lontananza da Dio.

“Sono i vostri peccati che hanno creato le distanze tra Me e voi”.

Dio è sempre con noi però a questo punto non possiamo più esperimentare la sua presenza.

Non possiamo negare che Lui sia presente in tutto, però ci troviamo nella impotenza di esperimentare la sua Presenza.

Questa impotenza impedisce a noi di accedere al giorno del suo riposo.

Cristo venendo tra noi, non è soltanto uomo ma è soprattutto Dio, Dio con un corpo umano, quindi parla come Dio.

Parlando come Dio tra noi, Lui annulla, cancella, distrugge tutti i valori di disturbo che il pensiero del nostro io staccato da Dio ha creato. Come?

In quanto Lui riporta e sottomette tutto a Dio.

Dio che viene tra noi, opera questo grande lavoro con noi, attraverso la sua Parola.

E insegna a noi a vedere tutte le cose sottomesse al Padre.

“Non preoccupatevi del mangiare e del vestire, cercate prima di tutto il regno di Dio, una sola cosa è necessaria”.

C’è sempre questo lavoro continuo di Cristo di sottomettere tutto a Dio.

Questo lavoro non avviene attraverso la sua presenza fisica  ma attraverso la sua parola, se viene ascoltata (libertà con-) e Dio opera la purificazione in noi.

Sono le sue parole che ci purificano.

Adesso possiamo capire cosa vuole dire questa purificazione, è l’eliminazione di tutti i valori di disturbo in noi che impediscono a noi di esperimentare il Dio con noi, di esperimentare la presenza di Dio.

Eliminando tutti i valori di disturbo e riportando ogni nostro problema direttamente a Dio, ecco che ristabilisce dei rapporti diretti tra le cose e Dio.

In questi rapporti diretti, abbiamo l’evidenziazione di quello che Dio è e di quello che noi siamo.

Ed è quello che Cristo dice qui: “Chi ha sete venga a Me e beva”.

Ecco, noi siamo sete, Lui è sorgente.

Lui è l’acqua che disseta.

Questo avviene attraverso l’evidenziazione dei due termini che portiamo nella nostra vita.

Noi nella nostra vita portiamo un bisogno di assoluto testimonianza della presenza di Dio in noi senza di noi.

Questo è segno che in noi portiamo questi due termini: la passione d’assoluto e l’assoluto.

Questo avviene alla conclusione della festa.

Cioè tutta la festa (Dio con noi, Cristo) va verso una conclusione e al tramonto di questa festa, noi ci troviamo con Cristo che si alza in piedi e dice ad alta voce.

“Si alza in piedi” è quel monte che si alza al di sopra di tutti gli altri monti.

Il parlare ad “alta voce” si fa sentire da tutti, quasi urla nella nostra vita ciò che Egli è (acqua) e ciò che noi siamo (sete).

Si direbbe alla conclusione di questa festa che tutto sia fatto, compiuto, cioè l’unione è fatta...

In quanto Lui parlando con noi, ha rivelato a noi quello che noi siamo (bisogno) e quello che Dio è (risposta al nostro bisogno) sembra tutto fatto, perché l’acqua è il compimento dell’assetato, deve solo attingere e dissetarsi.

Apparentemente.

Siamo sempre nel campo dei segni, perché questa prima festa rientra tutta nel campo dei segni di Dio e Cristo stesso è un segno di Dio, poiché è Dio sottomesso alla creatura.

Il Dio sottomesso alla creatura è finalizzato ad uno scopo diverso, perché non è un rapporto giusto il Dio sottomesso alla creatura.

Il rapporto vero sta nella creatura sottomessa a Dio.

Se in questa festa in cui Dio è sottomesso alla creatura, Dio conduce la creatura a scoprire, ad individuare quello che è la creatura e quello che è Dio e quindi a farci scoprire il dato oggettivo in noi, l’acqua a cui possiamo attingere non abbiamo l’opera conclusa, essendo nel campo dei segni.

Tant’è vero che la creatura di fronte a questi due termini: la sorgente e la sete può bere ma può anche distruggere la sorgente, la causa della sete, illudendosi di non avere più sete.

Abbiamo le due possibili risposte della creatura, appunto perché ci troviamo nel campo dei segni.


Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva”. Gv 7 Vs 37 Ottavo tema.


Titolo: Acqua e sete.


Argomenti: Il Pensiero di Dio si rende presente nel pensiero dell’io – La grazia della festa transitoria – Libertà da/per/con – La purificazione dell’io e di Dio in noi – La sottomissione a Dio – Rapporto io e Dio  - La parola di Cristo è Apocalisse – Il bisogno dell’anima – I vignaioli – Uccidere Dio in noi – Il Maestro interiore – La scoperta del Pensiero oggettivo di Dio in noi -  


 

18/ Aprile /1983