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Voi mi cercherete, e non mi troverete; e dove sono io, voi non potrete venire. Gv 7 Vs 34 Undicesimo tema.


Titolo: Ora è il Padre ad essere intermediario tra noi e il Cristo.


Argomenti: Cristo non si identifica con il suo corpo – La molteplicità delle cose – I segni sono luoghi – Luogo soggettivo e oggettivo – Il luogo come causa – La nascita consapevole – L’interesse per conoscere l’assoluto – L’incontro con Cristo -


 

7/ Febbraio /1983


 

Pinuccia B.: Riassunto dell’incontro di ieri: Il passaggio dal tempo futuro al presente ci evita di pensare ad un trasferimento di luogo e di rinviare l’impegno con l’Assoluto ad un futuro.

Eligio: Eppure Lui dice: “Mi cercherete”, non dice: “dovete cercarmi adesso”.

Luigi: Ma siccome loro non Lo cercano adesso, Lui dice che verrà un giorno in cui Lo cercheranno, costretti dagli eventi. Il rimedio deve essere messo subito. Lui propone: “dove Io sono”: cercatemi subito. Ma gli altri rinviano e non si impegnano a cercarLo, per questo dice loro: "Mi cercherete e non Mi troverete". Dicendo: “dove Io sono” li impegna adesso perché non dice: “dove Io sarò”. Dicendolo al presente impegna subito noi su questo luogo dove Lui attualmente è.

Eligio: Quindi a non dilazionare.

Luigi: Aggiungendo “non potete venire”, li mette in crisi, perché essi erano presenti fisicamente a Lui, e come mai allora dice “non potete venire?”.  Quindi vuol evitare loro l’errore di identificare il Suo Io con la Sua presenza fisica.

Anche per noi la nostra presenza fisica non si identifica con la nostra presenza spirituale, perché noi viviamo molto di più là dove siamo col pensiero che là dove siamo con la presenza fisica: quindi il nostro io evidentemente non si identifica con la nostra presenza fisica.

Pinuccia B.: Dicendoci questo ci impegna subito su un piano spirituale. Noi però corriamo il rischio di sbagliare luogo, a motivo del nostro interesse che è sempre conseguenza di una valutazione: per cui noi non possiamo trovarci in un luogo senza un nostro interesse.

Luigi: I luoghi sono dati a noi senza di noi, perché essendo intermediari, debbono essere presenti a noi: tutta la creazione è un dato a noi senza di noi, quindi per noi rappresenta un luogo; però noi non possiamo essere in un luogo senza un nostro interesse; poiché essendo i luoghi molti, i molti luoghi sollecitano noi a delle scelte. Però in quanto noi facciamo delle scelte, abbiamo sempre una motivazione, quindi un interesse, che ci fa essere in un luogo anziché in un altro, ci fa scegliere una cosa piuttosto che un’altra. Ad esempio, se ho una cassetta sola da ascoltare, bene, se ne ho due, già mi si propone una scelta: e per quale motivo tu scegli questa anziché quella? Ecco, per la scelta (siccome deve procedere da me) ci deve essere una motivazione, un interesse, per cui io preferisco questo all’altro: quindi profondamente mi suscita un pensiero. La molteplicità delle cose provoca in noi un pensiero, ci porta a pensare.

Pinuccia B.:…perché ci provoca alla scelta, e quindi ci forma all’amore. Ma perché chiamiamo i segni “luoghi”?

Luigi: I segni sono luoghi perché sono tutta una concessione successiva di Dio a noi per provocare da noi un risveglio, una ricerca di Lui. È Lui che si abbassa fino a quel punto in cui scatta il mio interesse, per cui io afferro quello che mi piace. Lui si è abbassato al punto tale per cui “mi piace”, lo afferro. Ma come lo afferro, già mi mette in movimento.

-                Tutti i dati di Dio non sono l’Essere, sono segni dell’Essere; e in quanto sono segni sono luoghi, cioè intermediazioni. Ora mi debbo portare in un luogo per trovare un essere: l’essere io non lo vedo,  il luogo invece lo vedo.

-                Stoltezza è cercare una cosa in un luogo dove essa non è, così se cerco l’Assoluto nelle cose esterne, transitorie, apparenti, sono stolto. L’Assoluto occupa un luogo ben preciso. Bisogna pensare per fare un’opera di scarto e di scelta: in quest’opera di scarto si forma in me la vita, l’amore, il pensiero, la ricerca positiva, l’interesse.

-                Cristo è un luogo in cui l’Assoluto “è aggancio”: conoscenza relativa, ma in Cristo non trovo l’Assoluto in Sé (“è necessario che Lui passi”), perché l’Assoluto non Lo possiamo trovare nelle cose esteriori. Nel campo relativo al mio io, al mio bisogno, il luogo è quello che può soddisfare il mio bisogno: presenza fisica in cui parla però l’Io Divino. Ad un certo momento questo Io Divino si distingue talmente dal corpo che mi fa sparire il corpo per portarmi unicamente all’Io Divino, e questo Io Divino lo trovo unicamente nel Padre. Infatti nella Sua presenza fisica io non trovo l’Assoluto, se no non avrebbe detto: “è necessario che Io me ne vada”. L’Io di Cristo deriva dall’Assoluto. Infatti nel piano dell’Assoluto, cioè nel piano non più relativo al nostro bisogno, il luogo diventa Causa. Quindi abbiamo un luogo relativo al mio bisogno e che mi dà una conoscenza relativa al mio bisogno (luogo è la persona che mi parla di ciò che mi interessa: per questo Cristo è il luogo dell’Assoluto) ed un luogo in Sé che mi dà la conoscenza vera, la conoscenza dell’Assoluto in Sé.

-                Cristo quindi non è il luogo in cui c’è l’Assoluto, ma viene per portarmi all’Assoluto; per cui adesso Lui mi parla di un altro luogo e mi fa passare dal luogo relativo al mio bisogno al luogo in Sé, cioè alla Causa: per cui questo luogo qui (segno) è segno della Causa, tant’è vero che i veri luoghi sono la causa dell’esistenza di una cosa: il melo è causa delle mele per cui il luogo delle mele è il melo.

-                Noi generalmente ci fermiamo al luogo come risposta al nostro bisogno; se invece questo luogo è un luogo fedele, come fedele è Cristo, allora mi aggancia attraverso il mio bisogno, e poi mi capovolge i termini. Me li capovolge appunto perché Lui è fedele, e ad un certo momento mi porta a scoprire il luogo in cui Egli è (“Dove abiti?” “Venite e vedete”).

-                Questo passaggio è tutta opera di Cristo. Noi siamo condotti: impegnandoci in questo arriviamo a Pentecoste. A Pentecoste, per opera del Cristo, erano tutti raccolti in uno stesso luogo, non materiale, ma in quello di cui aveva parlato Cristo (“Vado a prepararvi un luogo, affinché dove Io sono siate anche voi e possiate vedere”): è lì che abbiamo l’opera divina, cioè abbiamo Dio che manda il Suo Spirito (che scende dall’Alto: quindi è opera di Dio): “Restate lì fintanto che il Padre non vi manderà Lo Spirito”. Condotti  da Cristo arriviamo a quel luogo da cui ad un certo momento abbiamo una creazione nuova, una nascita nuova. Attualmente noi conosciamo in funzione dei nostri bisogni, desideri (anche se sono desideri veri, secondo Dio), là invece noi conosciamo in funzione della Causa Divina: qui entriamo in una conoscenza vera, perché è una conoscenza per Causa. Cioè, io conosco questo perché la causa è quella. Conoscendo la Causa ho la possibilità di capire l’effetto, ma fintanto che non conosco la Causa, sì conosco l’effetto, però non mi rendo conto perché l’effetto è così.  Ad esempio noi portiamo la fame di Assoluto, però non riusciamo a renderci conto perché siamo fame di Assoluto. Per fede diciamo: sì, Dio ci ha posto questa fame, è creazione di Dio, però non possiamo capire. Noi capiremo soltanto quando conoscendo Dio in Sé, per quello che Lui si rivela, ci renderemo conto perché in noi c’è questa fame di Assoluto. Diventa così un bisogno consapevole che discende da Dio, è una creatura nuova che nasce consapevolmente; però dato che si nasce solo consapevolmente, c’è il rischio, se noi non ci impegniamo in quel luogo, di non nascere, perché la nascita non avviene senza di noi, per cui richiede da parte nostra l’essere in quel luogo lì: il Padre, quel “dove” del Cristo, la Sua Causa. Per cui, impegnati in quello, ad un certo momento siamo portati a capire che questo “dove” Lui è è la Causa, è ciò da cui trae l’Essere.

-                Come impegnarci? È Lui che ci guida. Lui ci conduce in quanto ci parla di-, e se noi cerchiamo di capire quello che Lui dice a noi, cercando di capire siamo condotti. È Lui che ci conduce là. Per cui ci vuole questo “permanere”, questa pazienza di permanere nelle Sue parole, perché le Sue parole mi conducono là, là dove Lui riceve l’Essere e dove anche noi possiamo ricevere l’Essere.

Pinuccia B.: Cfr. argomento dell’incontro del 28/11/75; il vedere la Gloria dipende dall’essere in un certo luogo: “Voglio che dove sono Io, siano anch’essi… affinché vedano la mia Gloria”.   Bisogna seguire Cristo tenendo alto l’interesse per Dio, superando il proprio io…

Eligio: Tutto ciò che per noi non è presenza di Cristo non è intermediazione tra noi è l’Assoluto? Ci vuole cioè la presenza personale del Cristo, visto che solo l’Io del Cristo è Divino?

Luigi: Tutto è opera di Dio, quindi tutto è intermediazione. Ciò che infirma non è il “dato”, ma l’intenzione che parte da me (l’interesse) che disunisce il dato da Dio per unirlo al mio interesse. Allora qui il dato non mi porta più a Dio, anzi diventa motivo di distrazione da Dio; però da parte di Dio il dato è collegarmi con Lui, tant’è vero che noi non dobbiamo disunire niente della creazione di Dio (giustizia essenziale). Se mettiamo in ogni cosa il nome di Dio, anche se siamo dispersi, questo ci conduce al Cristo, che è al centro della creazione (e quindi di tutte le intermediazioni). Dando questa valutazione giusta, questo forma in me l’interesse per Dio che sfocia in Cristo; per cui Cristo diventa la sintesi, la vetta di tutti i segni dati a me, è il dato-sintesi.

Eligio: E quindi la creazione Dio ce la dà perché la riportiamo a Lui e così giungere a Lui: però questo ritorno ha un passaggio obbligato, una intermediazione: Cristo.

Luigi: Certamente, perché noi non possiamo andare direttamente a Dio: “Dove Io sono voi non potete venire”. Noi possiamo fare l’errore di cercare una persona scavalcando l’indirizzo, cercandola in tutto l’universo: è una ricerca inutile, a vuoto. Noi abbiamo delle segnalazioni, cioè i “dati” di Dio che a poco per volta ci convogliano verso questo luogo in cui c’è la risposta al nostro bisogno di Assoluto. Ma mi convogliano se io li leggo col Pensiero di Dio, cioè se li leggo sempre uniti a Dio, cioè cercando l’intenzione, il Pensiero di Dio. Questo poco per volta forma in me l’interesse per l’Assoluto (prima ho solo il bisogno), cioè mi fa capire quanto ho bisogno di conoscere la Verità, perché questa risolve tutto. Come io metto questo bisogno di conoscere la Verità al disopra di tutti gli altri miei bisogni, io sono preparato per incontrare il Cristo, cioè sono attratto dal Padre.

Quindi tutti i dati della creazione servono a far maturare in me l’interesse per Dio e a preparare l’incontro con Cristo, unica intermediazione (se li tengo uniti al Pensiero di Dio): “Erano tuoi (anime attratte da Dio), Tu li hai dati a Me, affinché Io li porti a Te”: ecco l’intermediazione. Ma prima bisogna che “siano tuoi”, cioè che ci sia questo amore per Dio, che è maturato attraverso questa giustizia. Cioè a cavallo della passione per l’assoluto si è posto l’interesse per l’Assoluto personale. Questo interesse personale adesso mi consegna al Figlio, perché finalmente ho trovato quello che risponde al mio interesse. Per questo è difficile parlare di incontro con Cristo ad una persona che non ha ancora maturato l’interesse per il Padre posto al disopra di tutto: non può agganciarsi. Bisogna che si sia formata prima la convinzione che tutti i problemi in lei si risolvono soltanto in quanto conosce Dio: qui si è formato l’interesse per Dio posto al disopra di tutto, e allora qui si è pronti ad incontrare il Cristo.

Quindi nel disegno di Dio tutti i dati della creazione hanno questa “convergenza” al Cristo. Questo avviene se io i dati li mantengo uniti alla Causa, se no, se vi proietto i miei interessi, questi dati non mi conducono al Cristo. È sempre guardando alla Causa che si forma in me questa raccolta dei dati in Cristo, perché questa raccolta dei dati in Cristo avviene in noi attraverso la formazione dell’interesse per Dio. È l’interesse per Di che ci conduce a questa convergenza dei dati in Cristo.

Eligio: Come posso ad esempio collegare una malattia a Dio e nello stesso tempo a Cristo?

Luigi: Perché, come ogni altra cosa, la debbo accettare da Dio sapendo che c’è una lezione per me, e questa la risolvo solo se conosco il Pensiero di Dio; vado a cercare dove posso trovare il Pensiero di Dio; il Pensiero di Dio è il Cristo che parla con me: soltanto Colui che mi parla del Pensiero di Dio mi dà la possibilità di risolvere la mia malattia; ma se c’è tutto questo collegamento  che avviene solo in quanto ragiono con Dio; se  attribuisco la mia malattia ad altro non posso arrivare al Cristo, perché non cerco il Pensiero di Dio; se non approfondisco e non cerco il Pensiero di Dio faccio del romanticismo; se so che è di Dio sono tenuto, perché sono amministratore, ad amministrare la cosa secondo il Pensiero di Dio. Il Pensiero del Padrone è il Cristo, l’intermediatore.

Pinuccia B.: Cristo, luogo, ci fa fare un capovolgimento, perché ci parla di un altro luogo da cui Lui trae l’Essere e parlandocene ce lo fa pensare, ci conduce così al Padre.

Luigi: È lì che poi noi verifichiamo che: “Io e il Padre siamo una cosa sola”, e verifichiamo la validità e verità di tutte le parole che ora dice e che non capiamo, perché per noi la presenza fisica è oggetto di conoscenza e ci fermiamo ad essa, e non capiamo il suo linguaggio.

Nino: Non avevo notato prima di ieri che Cristo si presenta a noi come un segno qualunque che ci spinge al Padre come gli altri segni se li colleghiamo a Dio.

Luigi: Sì, si presenta come uno tra tanti (cfr. nozze di Cana), ad un certo momento gli eventi Lo mettono in evidenza.

Pinuccia B.: Questo luogo è una Realtà personale che posso trovare solo attraverso il pensiero e in rapporto personale e se ho l’attrazione del Padre.

Luigi: Se no ci fermiamo a metà strada (sentimenti, modi di essere) e ci illudiamo di essere col Cristo. Cristo ci impegna soprattutto l’intelletto. S. Tommaso dice che si arriva a Dio con l’intelletto.

Pinuccia B.: Comunque il capovolgimento che ci fa fare il Cristo è questo: prima Lui è intermediario tra il nostro bisogno di Assoluto e Dio, poi presenta il Padre come intermediario tra noi e Lui, il Figlio.

Eligio: È difficile intendere una Causa uguale a intermediazione.

Luigi: E invece la Causa è la vera intermediazione dell’effetto per intendere l’effetto. Soltanto in quanto tu conosci la causa conosci veramente l’effetto, quindi la causa diventa la vera intermediazione dell’effetto. “Padre glorifica tuo Figlio onde tuo Figlio glorifichi Te”.

Nino: È una risposta che convince.

Eligio: La intermediazione è sempre comunque un mezzo e non puoi dire che il Padre è un mezzo. Come posso dire che la Causa è uguale a mezzo?

Nino: La Causa è mezzo per capire tutto quello che deriva da essa.

Pinuccia B.: Quest’affermazione di Gesù è un invito ad impegnarci col Padre; ed è importante perché solo conoscendo il Padre possiamo conoscere il Figlio “affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre”; solo conoscendo gli effetti possiamo restare in tutto nella Causa.


Voi mi cercherete, e non mi troverete; e dove sono io, voi non potrete venire. Gv 7 Vs 34 Dodicesimo tema.


Titolo:  L’impotenza dell’uomo a raggiungere la Verità.


Argomenti: La passione d’assoluto caratterizza l’uomo – Il nostro interesse determina il nostro luogo – Il luogo di Cristo, la Causa – La conoscenza vera – Dio vuole salvare tutti – Lassù e quaggiù – Corpo e persona – Il frammento e il tutto – L’angelo con la spada di fuoco – Il superamento del pensiero dell’io – Oggettività e soggettività – La presenza di un altro – L’attenzione a Cristo – Condotti da Cristo.


 

20/ Febbraio /1983


Luigi: Siamo ancora al versetto 34 in cui Gesù dice: “Mi cercherete e non Mi troverete: dove Io sono voi non potete venire”. Abbiamo visto la prima parte: “Mi cercherete e non mi troverete”, abbiamo visto in queste ultime domeniche: “Dove Io sono”, e adesso ci rimane da meditare, se Dio lo vuole, quest’ultima affermazione: “voi non potete venire”.

Quando abbiamo parlato del “dove Io sono” abbiamo visto come qui Gesù ci faccia passare, facendoci pensare, al luogo da cui Egli è, al luogo da cui Lui riceve l’esistenza, l’Essere, cioè il Padre. Ci fa passare dal luogo inteso in relazione al pensiero del nostro io, al luogo in sé. Abbiamo visto che il luogo inteso in relazione al pensiero del nostro io è un intermediario tra noi e l’oggetto che cerchiamo, per cui andando in un certo luogo, noi abbiamo la possibilità di trovare ciò che cerchiamo. Se però Lo cerchiamo in luoghi sbagliati, noi sprechiamo tutta la nostra vita. E questo è l’errore della maggior parte di noi: passiamo tutta la vita a cercare l’Assoluto dove non si può trovare. Non possiamo fare a meno di cercare l’Assoluto, poiché la passione dell’assoluto è ciò che caratterizza l’uomo: la passione per la verità lo caratterizza perché è un effetto. L’uomo è essenzialmente il portatore di un effetto: effetto della presenza di Dio in lui, prima che lui se ne renda conto, consapevole. Dio è presente a noi senza di noi, prima di noi: per questa Presenza Sua a noi, noi subiamo la passione dell’assoluto. Per questa passione di assoluto, noi, in tutti i luoghi in cui veniamo a trovarci, cerchiamo l’assoluto. Cerchiamo il denaro, e lo cerchiamo con la passione dell’assoluto; cerchiamo la creatura e la cerchiamo con la passione dell’assoluto; cerchiamo la carriera, cerchiamo la casa, cerchiamo i beni e cerchiamo tutto con la passione dell’assoluto.

Però abbiamo anche visto che c’è qualcosa in noi che ci fa sbagliare luogo; abbiamo visto che quello che ci fa sbagliare luogo è l’interesse che portiamo in noi. L’interesse cavalca il cavallo dell’assoluto. L’interesse è sempre personale. La passione dell’assoluto è in noi senza di noi. E quello che ci conduce a trovarci in un luogo piuttosto che in un altro è l’interesse che noi portiamo: l’interesse che abbiamo in noi. Questo interesse ci fa cercare in luoghi diversi quello che quei luoghi non possono contenere. Abbiamo visto che l’Assoluto non può essere contenuto nelle cose esteriori, nelle cose che passano, non può essere contenuto nel pensiero di noi stessi, e tutti questi luoghi, fintanto che sono luoghi di vita per noi, sono luoghi sbagliati. Luoghi sbagliati significa che ci fanno consumare tutta la vita inutilmente, e noi giungeremo al termine confessando: “ho sprecato tutta la mia vita in niente”. Ecco: “ho cercato mele su un larice, per tutta la vita, ho sprecato la mia vita.  Ho cercato stelle alpine in un campo di grano tutta la vita: ho sprecato la mia vita”. Fintanto che il nostro interesse personale non coincide con la ricerca di Dio, noi non possiamo fare a meno di venire a trovarci in luoghi sbagliati.

Ora però qui Gesù afferma che dove Lui è noi non possiamo andare. Quel “dove”, abbiamo detto, è il luogo da cui Lui riceve l’Essere, da cui Egli dipende, da cui il Suo Io riceve l’esistenza, riceve l’Essere. E quindi ci presenta il luogo come “Causa”, non più come luogo relativo al nostro io, come intermediario tra noi e ciò che cerchiamo; ma ci presenta il luogo da cui Lui riceve l’Essere, da cui Lui è, come la Causa di Sé.

Abbiamo detto che questa è la vera conoscenza. La vera conoscenza si ha nella conoscenza della causa di una cosa. Fintanto che noi ci troviamo con gli effetti non abbiamo la possibilità di vera conoscenza. Possiamo sì passare dagli effetti alla causa per astrazione, ma restiamo sempre nell’incertezza, nel dubbio: siamo noi che pensiamo.

Noi, per giungere alla certezza, abbiamo bisogno che la Causa si riveli a noi, e di vedere gli effetti come una conseguenza di quella Causa.

Però qui Gesù dice: “Voi non potete venire”. Gesù ha altre affermazioni che ci aiutano in questo commento, quando dice: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”, e ci rivela che nel luogo in cui Egli è, il Padre, nessuno da solo può andare. Dice ancora: “Io sono di lassù, voi siete di quaggiù, voi siete della terra, Io sono del Cielo”, per rivelare questa impossibilità al passaggio.

È necessario soffermarci perché ci sono dei significati profondi in questa affermazione di Gesù.

Teniamo presente che Gesù quando parla è sempre il Verbo di Dio Incarnato: tutto ciò che Egli dice lo dice per noi, quindi lo dice per salvarci: lo dice per condurci in quel luogo in cui Lui è, non lo dice per escluderci, ma lo dice per condurci; quindi tutte le sue lezioni sono parole molto importanti per la nostra vita se sono recepite, custodite, capite.

Ora Lui dice: “Io sono di lassù, voi siete di quaggiù”.   Cos’è questo “lassù” e cos’è questo “quaggiù”? Quel “lassù”, l’abbiamo visto, è il “dove” Lui è, dove cioè Lui riceve l’Essere, cioè il Padre. Ma dice: “voi siete di quaggiù”, ed essendo di quaggiù non potete passare quassù: non potete venire. Ecco, cosa vuol dire? Cos’è questo nostro essere “quaggiù”? In realtà noi ci accorgiamo di una cosa: che noi non vediamo la Verità, cioè noi non vediamo ciò che le cose veramente sono, ciò che gli esseri veramente sono. Noi vediamo l’apparenza, vediamo gli effetti, riceviamo delle impressioni, vediamo i corpi: non vediamo quello che le creature veramente sono. L’essere sfugge a noi. Quindi “voi siete di quaggiù”  vuol dire che noi vediamo soltanto gli effetti della creazione di Dio, ma Dio non Lo vediamo. Vediamo i corpi ma non vediamo le persone, tanto che noi confondiamo sempre le persone con i corpi, e abbiamo visto come invece Gesù qui ci educhi a non confondere il Suo Io con la Sua presenza fisica. Cioè noi vediamo i passi, le impressioni che Dio lascia in noi nella nostra vita, attraverso le Sue opere, ma non vediamo Lui.

Ora, il fatto di non vedere la Verità e di vedere soltanto i segni della Verità, gli effetti quindi della Verità che parla a noi, perché tutta la creazione è parlare di Dio a noi, dico: il vedere gli effetti, ma non vedere la Causa, ci rende impotenti, ci rende incapaci di passare dagli effetti alla Causa. Ritornando all’esempio dell’indirizzo, se noi abbiamo una lettera con un indirizzo sopra, per quanto leggiamo l’indirizzo, non è che questo ci renda capaci di trovare la persona che è segnalata in quello. Dico: per quanto noi leggiamo l’indirizzo. Che cosa si richiede? L’indirizzo è un segno, è un effetto. Ma, poniamoci con una lettera in mano in una città sconosciuta; città sconosciuta vuol dire che non conosciamo la pianta della città, quindi non conosciamo le vie. Noi possiamo avere quella lettera con tutte le indicazioni necessarie per trovare una persona: ci troviamo nell’impossibilità di trovare quella via. Che cosa si richiede perché  noi possiamo trovare la via, cioè per leggere un indirizzo e andare a quel posto segnalato? Si richiede che in noi ci sia la conoscenza della città, cioè che abbiamo già interiorizzato la pianta della città. Soltanto se in noi abbiamo presente le vie della città, abbiamo la possibilità di leggere l’indirizzo e andare là dove l’indirizzo ci segnala. Ma se non abbiamo in noi il “tutto”, cioè la pianta della città, per quanto leggiamo l’indirizzo, non possiamo arrivare. Un postino per recare una lettera deve già avere dentro di sé la pianta di tutte le vie della città, altrimenti non può recare la sua corrispondenza. Questo ci fa capire che noi possiamo passare dal frammento al tutto, solo ed in quanto abbiamo presente il “tutto”. Ma se noi abbiamo presente solo il frammento, se abbiamo presente soltanto il segno, siamo nella impossibilità di passare dal segno, dal frammento al “tutto”, dal segno, dall’effetto alla Causa; noi ci troviamo nell’impossibilità di passare dalla creazione a Dio. È necessario prima avere interiorizzato il tutto. Soltanto se noi abbiamo presente il “tutto” allora possiamo passare dal frammento al tutto, e possiamo vedere il frammento inserito nel “tutto”; nel caso diverso, ci troviamo nell’impossibilità.

Dico: questa è lezione molto importante perché ci fa capire questa impossibilità che ci dice Gesù di “venire là dove Egli è”, cioè nella Causa, nel Padre, la Causa di Sé, Colui che gli dà l’Essere, gli comunica l’Essere, cioè il Tutto da cui Egli è effetto.

Abbiamo visto nelle letture della Bibbia di queste settimane che Dio quando cacciò Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, mise un cherubino, un Angelo all’entrata del Paradiso da cui li aveva cacciati, con una spada fiammeggiante, per impedire a coloro che erano stati cacciati di ritornare nel Paradiso Terrestre a nutrirsi dell’albero della Vita. Ecco, c’è questo Angelo che impedisce agli uomini di entrare nel Paradiso Terrestre, di passare al Tutto, per mangiare dell’albero della Vita, perché si mangia dell’albero della Vita, che è la Volontà del Padre, che è la conoscenza stessa di Dio, soltanto in quanto si entra in questo Paradiso, cioè in quanto si ha la possibilità di interiorizzare il Tutto, di avere in noi il Tutto, la Causa. Ma che cosa significa questo Angelo che impedisce l’ingresso agli uomini che hanno manifestato una autonomia da Dio, cioè che hanno dato luogo ad una manifestazione del pensiero di se stessi, e quindi sono stati schiavi del pensiero del loro io?  Che cosa rappresenta questo Angelo che impedisce agli uomini il passaggio? Questo Angelo è l’esigenza che Dio, la Causa, il Creatore di tutto presenta a noi: è la condizione perché l’uomo possa accedere al Tutto. Questa esigenza è il superamento del pensiero del nostro io. Ora notiamo: c’è un’impossibilità perché l’uomo, per poter superare il pensiero di se stesso, che è condizione per poter accedere al Tutto, alla Causa, deve avere presente il Tutto.

Il superamento dell’io è la condizione per conoscere la Causa, perché fintanto che l’uomo ritiene di essere autonomo, cioè di essere lui a pensare, di avere lui l’iniziativa, non può entrare nella Causa, non può conoscere la Causa, non può conoscere il Creatore, non può conoscere Dio.

Dico: l’uomo viene a trovarsi in questa situazione: per poter superare il pensiero di se stesso ha bisogno della presenza di un Altro; però per avere la presenza di un Altro ha bisogno di superare il pensiero di se stesso: il cerchio è chiuso. Ecco l’impossibilità.

S. Paolo diceva: “Chi mi libererà da questo corpo di morte?” . Noi ci troviamo in questo corpo di morte, poiché per accedere alla Causa, cioè per accedere alla presenza dell’Altro, dobbiamo superare il pensiero del nostro io, ma per superare il pensiero del nostro io, abbiamo bisogno della presenza dell’Altro. Senza la presenza dell’Altro noi non possiamo superare il pensiero di noi stessi. Ecco, a questo punto noi possiamo capire qual è l’invocazione che sale dalla creatura. La creatura invoca, dice S. Paolo: “Chi mi libererà da questo corpo di morte?”, cioè chi spezzerà il cerchio? Chi spezzerà il cerchio è solo Cristo, cioè è solo il Verbo di Dio che si incarna, che assume una presenza tra le cose, nel pensiero del nostro io; una presenza che dà a noi la possibilità di un aggancio fino a portarci a quella possibilità di superare, in nome di Lui, il pensiero di noi stessi. Ma è per questo che Gesù dice: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me” o, quando dice qui: “Dove Io sono voi non potete venire”.

Ecco, se abbiamo capito bene in che cosa consiste questa impossibilità, capiamo anche quanto sia grande per noi, quanto sia importante per noi accompagnarci con Cristo, poiché Cristo solo, Verbo di Dio incarnato, è Colui che se noi ci accompagniamo con Lui (da notare: se noi ci accompagniamo con Lui) dà a noi la possibilità di spezzare quel cerchio dal quale noi da soli assolutamente non possiamo uscire, perché veniamo sempre a trovarci di fronte a questo Angelo, con questa esigenza fiammeggiante che richiede a noi, per rientrare nel Paradiso Terrestre, il superamento del pensiero del nostro io. Ma tutte le volte che noi veniamo a trovarci di fronte a questo, noi siamo costretti a rientrare in noi e quindi a non poter andare avanti.

Pinuccia B.: Lettura appunti del 13/2/83 sull’annuncio del tema di oggi: “non Mi troverete”: L’uomo non può andare “dove” Cristo è, perché l’uomo dopo il peccato non può superare il pensiero del suo io. Cfr. l’Angelo con la spada di fuoco posto alla porta del Paradiso Terrestre per impedire all’uomo l’accesso all’albero della Vita.

Non potendo superare il pensiero del suo io, non può superare il soggettivismo e quindi non può entrare nell’oggettività che è certezza. L’oggettività è la Causa. È nell’oggettività, cioè nella conoscenza della Causa, che c’è la salvezza, perché è solo nell’oggettività che si attinge la certezza e si è liberati dal soggettivismo e quindi dal dubbio.

Noi possiamo solo partire dagli effetti; però non  si può conoscere la Causa e partire dagli effetti. La conoscenza che abbiamo degli effetti è relativa al nostro io, quindi non è vera conoscenza, per cui non ci libera dal soggettivismo, non ci fa entrare nella certezza, nell’oggettività. È solo conoscendo la Causa che si conoscono gli effetti, cioè solo se si parte dalla Causa (vedi argomento di domenica scorsa: “Dove Io sono”, dove, quel luogo da cui Cristo trae l’Essere).

Quindi ci troviamo in questa situazione: per entrare nell’oggettività l’uomo deve conoscere l’Essere; ma per conoscere l’Essere deve superare il pensiero dell’io; e per superare il pensiero dell’io ha bisogno della presenza dell’Essere. Quindi l’uomo viene a trovarsi in un cerchio chiuso: “non potete venire”. Cristo, Colui che discende dall’Alto, viene, entra e spezza questo cerchio: “Solo Colui che discende dall’Alto può salire in Alto” e quindi portare noi in Alto. Con Lui, fatto presente a noi, possiamo superare il pensiero dell’io, però dobbiamo affrettarci perché non sempre Lui sta con noi, il tempo è breve. Dobbiamo approfittare di questa Sua presenza tra noi per uscire con Lui da questo nostro cerchio. Possiamo giungere al “dove Lui è” solo se siamo condotti da Lui, cioè solo su iniziativa Sua, muovendoci sulle Sue parole. Condotti da Lui, la Sua presenza ci fa superare il soggettivismo ed entrare nell’oggettività, nella certezza, nella conoscenza della Causa. Ci fa giungere cioè a quel “dove Io sono”, nel Padre. Se no rimaniamo nel soggettivismo e quindi nel dubbio (soprattutto per quel che riguarda il nostro pensiero, parlare, ecc.: sono io che penso o è Dio in me? Perché ad esempio nel filo d’erba è più visibile l’oggettività).

Pinuccia B.: A me ha colpito molto questo pensiero: la necessità di superare il soggettivismo per entrare nell’oggettività, nella certezza e l’impossibilità in cui l’uomo si trova di entrare nell’oggettività e quindi di superare il soggettivismo che è causa di ogni dubbio (sono io o Dio?). Solo nell’oggettività c’è la certezza.

Luigi: Però noi non possiamo entrare in questa oggettività, noi da soli assolutamente non possiamo entrare; nel modo più assoluto non possiamo entrare nell’oggettività. Tutto quello che tocchiamo resta macchiato dal soggettivo, dal pensiero del nostro io.

Pinuccia B.: E quindi rimaniamo nel dubbio: sono io o un Altro che fa questo, che pensa questo, ecc.?

Luigi: Sì.

Pinuccia B.: Per essere sicuri abbiamo bisogno di appoggiarci a un qualcosa di oggettivo, in cui non c’entri per nulla il pensiero di noi stessi.

Luigi: Abbiamo bisogno che l’Altro parli. L’abbiamo anche visto ieri nella conversazione del sabato (cfr. Gv. 21,12): sapevano che era Lui, però sentivano il bisogno che Lui confermasse. Noi sappiamo che Dio esiste, ma c’è sempre questa frangia di soggettivo, di dubbio: sono io che penso, ecc. Perché noi tocchiamo con mano gli effetti, i segni, Lui non lo tocchiamo con mano. Lui non lo esperimentiamo, e da soli non possiamo liberarci da questo soggettivo. Dobbiamo essere condotti. Ecco, vede il Cristo che viene a noi, se Lo guardiamo, ci conduce proprio in quanto Lui parla, e allora parlando conduce noi in quel luogo in cui Lui si trova, ci conduce al Padre. Condotti, noi restiamo nell’oggettività; solo condotti.

Lui ci conduce ad essere come figli di Dio, ad essere dove Lui è. E allora lì vediamo la Sua Gloria: “Io vado a prepararvi un posto… vado a prepararvi un luogo”; ma è Lui che ci conduce, non noi che pensando scopriamo, troviamo, perché fintanto che siamo noi a pensare, noi a trovare, noi a ragionare, ecc., noi abbiamo sempre questa macchia di soggettività che ci rende incerti, non ci dà mai quella pace che deriva da “l’Altro che viene a me”. Cioè, fintanto che io desidero una persona, penso a quella persona, posso pensare a quella persona, posso desiderarla, ma sono io che penso a lei, sono io che la desidero, e invece quella persona chissà dov’è, chissà cosa pensa, cosa fa. Soltanto se quella persona viene, ecco, allora la sua venuta mi porta una novità. Ecco, c’è la novità, è la novità dell’essere che si rende presente.

La presenza dell’essere è sempre dono di Dio Creatore, non è frutto del nostro desiderio. Noi con tutto il nostro desiderio, con tutto il nostro pensare non possiamo dare l’esistenza a niente. È invece l’essere che viene a noi con la sua presenza, è questo che ci dà la pace. Questo non dipende più da noi.

Pinuccia B.: Ho associato quest’argomento con quello trattato nel Natale dell’81: il Natale come annuncio di oggettività.

Nino: Quando ci apriamo all’attrazione del Padre c’è già in noi un superamento dell’io.

Luigi: Non è sufficiente.

Nino: Già questo superamento iniziale è dono di Dio; ma il superamento totale avviene solo mangiando  e bevendo il sangue di Cristo.

Luigi: Certo, cioè è opera di un Essere che è presente a me nella situazione in cui mi trovo.

Nino: Cioè, devo arrivare a capire che quel pensiero che ho di Dio, quell’interesse per Dio è il Verbo di Dio in me.

Luigi: Sì, però da solo non posso arrivare a capirlo: sono sempre io che penso.

Nino: Certo, devo però assimilare tutto ciò che Lui ha detto e fatto fino alla Sua morte e risurrezione. Poi soprattutto è importante isolarci con Cristo ogni giorno (cfr. le tentazioni di Gesù nel deserto) per rivedere il nostro rapporto con Dio, per superare le tentazioni sull’io, e poi tenere presente che va superata la Sua presenza fisica per fermarmi con Lui Verbo.

Luigi: Restare con Cristo vuol dire restare non con la Sua espressione sentimentale, ma restare con tutto quello che Lui mi dice e se resto con quello che Lui mi dice allora Lui mi porta a questi passaggi.

Nino: Certo, tutto ciò che mi dice va interiorizzato.

Luigi: È quello che ho interiorizzato che mi dà la possibilità di…

Nino: È molto importante isolarci con Lui nel deserto, anche solo un’ora, o, nei momenti difficili, anche solo per un attimo.

Eligio: È evidente che da solo, nella nostra autonomia noi non possiamo arrivare là dove Lui è, perché nella nostra autonomia noi ci troviamo già in un luogo sbagliato.

Luigi: Il pensiero del nostro io ci porta sempre in luoghi sbagliati. Noi però possiamo anche fare l’errore di cercare Dio, di credere di arrivare a Dio senza passare attraverso il Cristo: ci troviamo con questo Angelo che ci sbarra la strada. E quanti hanno cercato la Verità! Hanno cercato la Verità, quindi sono stati attratti, però non l’hanno trovata. E Gesù stesso lo dice: “Molti cercheranno di entrare, ma non potranno”. Come mai? “Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete, beati gli orecchi che ascoltano quello che voi ascoltate, perché vi assicuro che molti cercheranno di entrare e non potranno: molti re e profeti desiderarono vedere… e non videro”. Siccome c’è la passione per l’assoluto, ad un certo momento questa passione per l’assoluto ci può portare alla ricerca della Verità Assoluta, alla ricerca di Dio e ci troviamo con la strada sbarrata: non troviamo! Perché? Perché ad un certo momento c’è questo Angelo che esige da noi il superamento del nostro io e noi da soli non possiamo superare il pensiero del nostro io. Cioè, abbiamo bisogno di una Presenza, di un’altra Presenza. Ora questa Presenza non può essere Dio, sia chiaro, dev’essere Dio Incarnato, cioè deve essere una Presenza al mio io, quindi presenza incarnata, che ad un certo momento mi farà fare il capovolgimento. Qui, dicendo queste parole, fa fare il capovolgimento perché Lui in un primo tempo ci fa passare dal luogo come intermediario tra il mio io e ciò che cerco al luogo come Causa di Sé; abbiamo il capovolgimento. Ora però questo capovolgimento è possibile soltanto alla Sua Presenza, cioè in quanto io ho presente la Sua presenza fisica; se io perdo la Sua presenza relativa al mio io, al livello del mio io, se perdo il contatto con questa Presenza, il capovolgimento mi è impossibile, perché è la presenza dell’Altro che me lo fa compiere.

Eligio: Cioè perdo praticamente l’indirizzo…

Luigi: Ecco, ho l’indirizzo tra le mani, ma non so dove sia quella via, perché è il Cristo che lo sa. Io non conosco la pianta della città, Lui la conosce; per cui “Nessuno può salire in alto se non Colui che discende dall’Alto”. Ora, Lui discende dall’Alto, noi siamo di quaggiù, noi siamo in basso. In basso vuol dire che siamo tra gli effetti, abbiamo soltanto il segno, cioè abbiamo soltanto l’indirizzo. Ho l’indirizzo, ma dove vado a cercarla io questa via? Io ho bisogno del “tutto” cioè ho bisogno della pianta della città; ho bisogno del “Tutto”, il Tutto che è poi la Causa, che è poi il Padre.

Pinuccia B.: Così come per ricostruire con le pietruzze sparse un mosaico, io debbo conoscere il disegno totale.

Luigi: Debbo conoscere il Tutto, il Padre. Ma dove lo trovo io questo? Soltanto in Colui che conosce il Padre. Per cui se mi trovo in una città sconosciuta andrò da chi conosce la pianta della città e gli dico: “Per favore, dov’è questa via?”. Ma lui in testa, per dirmi dov’è questa via, cosa deve avere? Deve avere tutta la città, perché mi deve dire: “lei attualmente si trova qui; questa via si trova là” e mi può indicare il cammino per raggiungerla; quindi deve avere in testa tutta la pianta della città, deve avere il “tutto” presente; allora mi conduce: ci troviamo in una città con un indirizzo in mano, ma non sappiamo dove andare a sbattere. Ecco, è soltanto Colui che viene a me e ha in testa tutta la città (dico città, ma ha in testa il Padre) che mi può portare; mi può, se io ho l’indirizzo, cioè se io sono attratto. Se non ho l’indirizzo è finito, non so dove andare, non mi interessa niente, è finito. Ma se ho l’indirizzo e sono con Lui, allora posso. È lì l’importanza del Cristo, perché soltanto con Lui possiamo superare il nostro io. Noi abbiamo la possibilità di superare il pensiero del nostro io che è la condizione per arrivare dove Lui è, è la condizione essenziale (l’Angelo che mi sbarra la strada: è sintomatico questo fatto) ed è possibile solo con la presenza di un Altro. La condizione per poter superare il pensiero del nostro io è la presenza di un Altro, altrimenti io sono sempre chiuso nella mia solitudine, chiuso nella solitudine del mio io; per quanto io mi sbatta sono chiuso in questa solitudine; per quanto io pensi, per quanto io cerchi, sono chiuso nella solitudine del mio io e nessuno mi può liberare da essa.

Pinuccia B.: Quest’Altro deve essere presente a me con una presenza relativa al mio io.

Luigi: È una presenza relativa al mio io, quindi una presenza di Dio Incarnato. La presenza che viene dal “Tutto”, cioè che viene dal Padre, ma che è relativa al mio io.

Pinuccia B.: Che io posso immaginare, con cui dialogare, e che mi viene da tutto quanto è scritto nel Vangelo, no?

Luigi: Certo, è una presenza relativa al mio io; ma è la presenza però che conta: la presenza di un Essere, per cui questo Essere deve essere nella Sua incarnazione così in comunione, così unito alla presenza fisica da fare quasi una cosa sola, cioè il Suo corpo e la Sua Persona devono essere talmente uniti da fare una cosa sola, per cui io confondo la Sua presenza fisica con il Suo Io. Sarà poi Lui che mi conduce ad un certo momento a distinguere…  ma io ho bisogno di questa presenza fisica, altrimenti non supero, sono sempre io, cioè resto chiuso nella corazza del soggettivismo e non ne esco.

Zina: Lei ha detto che il cerchio in cui ci troviamo è un cerchio di morte, perché l’uomo per poter superare il pensiero del proprio io ha bisogno di un altro.

Luigi: Certo, ha bisogno della presenza di un Altro; però per avere la presenza di un Altro deve superare il pensiero del proprio io: lei capisce che è un cerchio?

Zina: Ma questo Altro deve essere solo il Verbo Incarnato?

Luigi: Possiamo uscire dal cerchio solo se Dio si rende presente a noi. L’Altro deve essere una Presenza a me, quindi incarnata, una presenza fisica, come una creatura, ma che abbia la pianta della città in testa.

Perché le presenze sono tante, tutti gli uomini sono delle presenze, però non mi danno la possibilità di liberarmi dal pensiero del mio io. Cioè io mi trovo con delle creature in una città, alle quali mostro l’indirizzo, ma ciascuna di esse mi dice: “guarda che io sono straniero, non sono di questa città, non ho la pianta della città in testa, non conosco. Per cui, per quanto io interroghi, tutti gli altri uomini, tute le altre presenze, non mi liberano dal pensiero del mio io, perché non conoscono la città; quindi è necessario che io incontri Uno, una presenza fisica  incarnata quindi, ma che sia di quella città, cioè che abbia la città in testa e che mi dia allora la possibilità di arrivare là dove io voglio arrivare con quell’indirizzo. Ecco, mi dia quindi la possibilità di superare il pensiero del mio io. La presenza mi dà la possibilità di superarlo, di far attenzione all’Altro, a quello che mi dice l’Altro, ma l’Altro mi deve dire qualcosa, perché se l’Altro mi dice: “io non so”, io resto con il mio io.

Zina: Però bisogna avere interesse per ciò che dice a me.

Luigi: Certo, perché senza interesse, sarebbe come dire: io vado in città ma non ho nessuna lettera da portare, allora non ho nessuna via che mi interessi. No, devo avere un indirizzo: l’attrazione per Dio, e poi incontrare il Cristo.

Piero: È importante pensare a Gesù come pensiero.

Luigi: Sì, perché Lui è il Pensiero del Padre.

Piero: E le pagine del Vangelo sono per farci pensare.

Luigi: Sì, sono un invito al Pensiero del Padre. Però abbiamo bisogno della Sua presenza fisica. La presenza fisica è necessaria perché Lui prenda contatto con noi, perché noi non capiamo il linguaggio dello spirito se non abbiamo una presenza fisica. La presenza fisica ci crea l’aggancio; poi ascoltando Lui, seguendo Lui, noi abbiamo la possibilità di arrivare “dove Lui è”, perché “nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”; allora vuol dire che Lui scende a me, dà a me la possibilità di arrivare al Padre, di arrivare là dove io voglio arrivare. Però qui è importante capire questo concetto: “voi non potete venire”. Perché noi non possiamo venire? È perché noi non possiamo superare il pensiero del nostro io. Ora, il superare il pensiero del nostro io è la condizione essenziale per arrivare alla Causa, cioè per passare dall’effetto alla Causa, cioè per arrivare al campo oggettivo e sfuggire all’elemento soggettivo che portiamo in noi. Ora, chi mi dà la possibilità di superare il soggettivismo, quindi il pensiero del mio io, è l’Altro che parla a me; l’Altro che parla a me! Abbiamo bisogno di questa Persona Divina che parli a noi personalmente; ma per parlare a noi, ci deve agganciare in una forma di presenza a livello del nostro io, per cui deve presentarsi in una presenza fisica, perché io vedo soltanto presenze fisiche; cioè una presenza come effetto, perché le presenze fisiche che noi vediamo sono gli effetti, degli effetti, effetti di Dio. La creazione è tutta un effetto di Dio; ma noi dall’effetto non possiamo passare alla Causa, perché soltanto Colui che ha presente in Sé la Causa, può passare dall’effetto alla Causa. Cioè, in altri termini: io posso passare dal frammento al Tutto soltanto se ho presente il “Tutto”, ma se non ho presente il “Tutto”, trovando un frammento non posso passare al Tutto. Bisogna che dentro di me io abbia già presente il Tutto. Non posso cioè arrivare a portare una lettera ad un certo indirizzo, se non ho la pianta della città in testa. Così è lo stesso. Quindi non possiamo passare dall’effetto alla Causa: ecco l’impossibilità di passare se non viene Uno dalla Causa, cioè se non viene Uno da Dio a raccogliere il nostro bisogno; e allora questo Uno ci può portare su, se noi Lo seguiamo, è logico, perché se non Lo seguiamo, restiamo tali e quali.

Piero: Come creatura io non debbo far altro che porre il mio pensiero così pieno di caos alla Sua Presenza, poi è Lui che pensa a me.

Luigi: Sì, ma Lui pensa a me in quanto semina in me le Sue Parole, e poi mi invita a capire.

Piero: Cioè, trovo che il Vangelo è già scritto nel nostro pensiero.

Luigi: Certo…

Piero: Se ci lasciamo purificare il pensiero da Lui, immediatamente senti che questo pensiero è preso, ed è Lui stesso che ci porta ad approfondire le Sue Parole.

Luigi: Si capisce! E le troviamo già scritte in noi, per cui ora il pensiero in noi cammina con quelle. Non siamo più noi che pensiamo, ma è Lui che conduce. È Lui che conduce quando ci mettiamo a Sua disposizione. Ma bisogna avere questa attenzione rivolta a Lui, poi Lui conduce. Quando diciamo “a Lui”, diciamo una Presenza! Diciamo un Essere che è presente in noi senza di noi.

Pinuccia B.: Ed è questa attenzione alla Sua Presenza che ci porta nell’oggettività, vero?

Luigi: È questo che ci porta nell’oggettività.

Pinuccia B.: Perché allora lì ci muoviamo solo su iniziativa Sua ed allora non c’è più niente di nostro.

Luigi: L’importante è appunto essere condotti. Noi arriviamo in quanto siamo condotti, non in quanto scopriamo; perché allora lì non c’è niente di noi.

Rina: È indispensabile allora che noi ci muoviamo sulla Sua Parola che ci condurrà dove Lui è.

Pensieri conclusivi:

Cina: Lasciarmi condurre.

Rina: Solo se mi lascerò guidare dalla Sua Parola arriverò alla certezza.

Piero: Cercare di tornare come pensiero alla situazione di purezza, come Lui ci ha creati; tutto il resto viene fatto da Lui.

Luigi: Sì, Lui ci ha creati in ascolto di Sé. Noi dovremmo essere puro ascolto, allora Lui ci guida all’oggettività. Quando invece produciamo noi, di iniziativa nostra, autonomamente qualcosa, allora qui usciamo dal Paradiso Terrestre e allora tutto sparisce.

Zina: La cosa più importante è avere interesse per Lui, se no ci troviamo sempre in luoghi sbagliati: vediamo gli effetti, ma non…

Luigi: Certo, vediamo gli effetti, ma non possiamo superarli, non possiamo passare alla Causa; non possiamo passare dagli effetti alla Causa.

Nino: Però è già molto vedere quegli effetti come un segno, un invito al distacco: sono un campanello d’allarme.

Eligio: Mi muovo solo tra gli effetti di Dio, ma per capirne la Causa devo contemplare molto la figura di Cristo.

Mariuccia: Chiedo al Signore che mi faccia capire di stare con Lui.

Pinuccia B.: Ho la possibilità di uscire dal cerchio solo col Verbo Incarnato, devo affrettarmi e approfittare di questa Sua presenza provvisoria (“Non sempre avrete Me”).

Luigi: Sì, e camminare dietro di Lui fino al Padre, perché è Lui che mi conduce. Camminare con Lui!

Pinuccia B.: E poi questo pensiero: la certezza la si ha solo nella conoscenza della Causa. Quando diciamo che la vera conoscenza la si ha solo nella conoscenza della Causa, ci riferiamo alla vera conoscenza del Figlio e di tutti gli effetti dalla Causa?

Luigi: Certo, solo conoscendo la Causa, quindi anche gli effetti: il Figlio, la creazione, noi stessi, cioè conosciamo veramente quello che sono le cose, l’essere delle cose. A noi attualmente sfugge l’essere delle cose. Perché sfugge? Perché sfugge a noi Dio, sfugge la Causa.

Pinuccia B.: La Causa, come dice Dio stesso a Mosè, è Colui che è. Lo sappiamo, ma per sentito dire, anche se ci pare di intuire che è così.

Luigi: È ancora un sentito dire. La conoscenza è un fatto personale. È un captare la verità di questo: “Io sono Colui che è”, è un constatarlo; ma questo avverrà a Pentecoste, e non siamo noi che lo constatiamo, è Dio che ce lo fa constatare.

Pinuccia B.. Dicendoci: “Io sono Colui che è”  ci annuncia ciò che dobbiamo arrivare a constatare.

Luigi: Ce lo annuncia e poi ce lo rivela. Ce lo rivela e quindi convince. Rivelando, convince: l’anima resta convinta; convinta perché ha capito ciò che Egli è.

Nino: Interiorizzando tutto ciò che ha detto e fatto Cristo l’anima è condotta a fermarsi solo col Pensiero di Dio ed è lì che scopre che non è più l’io che pensa ma è il Pensiero di Dio in lei. Lì c’è il superamento dell’io, no?

Luigi: Sì, ma è l’Altro che ti ha condotto a constatarlo.

Nino: Quei momenti, quelle mezz’ore, o quelle ore in cui riusciamo a raccoglierci nel Pensiero Suo, ci riempiono di speranza di arrivare a starvi a tempo pieno, perché sono momenti che ci colmano di gioia.

Luigi: La luce è gioia.


Voi mi cercherete, e non mi troverete; e dove sono io, voi non potrete venire. Gv 7 Vs 34 Tredicesimo tema.


Titolo: La Verità non dipende da noi.


Argomenti: Intelligenza e interesse - La passione che l’uomo non riesce a soddisfare – L’angelo con la spada fiammeggiante – Scegliere il male credendolo bene – Il superamento dell’io e la presenza dell’altro – L’oggettività della verità – Intossicati dai prodotti dell’io – L’impotenza dell’uomo – Il campo soggettivo – Cristo è il dato oggettivo -


 

27/ Febbraio /1983


Abbiamo visto l’ultima parte: “dove Io sono voi non potete venire” domenica scorsa. Gesù ci ha condotti ad approfondire questa impotenza dell’uomo ad andare dove Egli è, cioè dove Egli riceve l’Essere, il Suo stesso Principio, cioè l’impotenza dell’uomo ad andare al Padre.

D'altronde lo troviamo confermato in altri passi dove apertamente dice: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”, quindi ci ha confermato questo concetto. Ci resta da approfondire un annuncio nascosto in questa affermazione di Gesù; ed è quello che cercheremo di vedere, se Dio vuole, questa sera: è nascosto in questa impotenza dell’uomo. È un annuncio positivo da parte del Verbo di Dio per la nostra vita essenziale.

Intanto mi sembra che questa sia la realtà in cui si trova ogni uomo, questo problema esistenziale che è l’impotenza dell’uomo a conoscere la Verità, pur non potendosi sottrarre alla fede in Dio, poiché la Verità di Dio essendo superiore a noi si annuncia su di noi e non può essere smentita da noi.

Non può essere smentita però non può essere compresa. Non potendola smentire subiamo la passione, sentiamo il bisogno, ma non possiamo trovare il pane che risponde al nostro bisogno: questa è la conflittualità che ogni uomo porta con sé. Darà a questa conflittualità nomi diversi, ma se andiamo a fondo noi troviamo questo: l’uomo subisce una passione che non riesce a soddisfare. Qual è il significato di questa impotenza?

Abbiamo detto che dal momento che l’uomo porta con sé qualche cosa di autonomo, questo peccato originale che porta con sé, Dio ha posto un Angelo a sorveglianza dell’entrata del Paradiso Terrestre. Questo Paradiso Terrestre è proprio il luogo dell’oggettività, il luogo dll’essere con-.

Abbiamo visto domenica scorsa che questo Angelo che impedisce (ecco l’impotenza) all’uomo il ritorno nel Paradiso Terrestre, nel colloquio con Dio, rappresenta le condizioni per accedere alla Verità.

Queste condizioni sono sintetizzate nel superamento del nostro io, però perché questo superamento sia possibile si richiede la presenza di un Altro, ma la Presenza di un Altro richiede il superamento del nostro io: il cerchio è chiuso! “Chi ci libererà da questo corpo di morte?” . Per cui l’uomo viene a constatare la sua schiavitù, la sua tribolazione e la sua vanità, però non riesce a superarsi.

Per cui non è sufficiente che l’uomo constati la sua stoltezza per accedere alla Verità. L’uomo constata la sua stoltezza e ne resta schiavo.

L’uomo constata che una cosa gli fa male, ma questo non basta a liberarlo perché ne resta schiavo finché  non trova l’Altro: “Chi fa il male resta schiavo di esso”.

Si capisce che quando l’ha scelto non l’ha scelto come male, l’ha scelto perché non sapeva, e non sapeva perché non ha guardato Dio e non guardando Dio si diventa stolti, allora si sceglie il male credendo che sia bene. La nostra volontà in quanto sceglie, sceglie sempre il bene, ma la nostra volontà di per sé non è illuminante, non è intelligente. Ora, se noi non guardiamo Dio, non abbiamo l’intelligenza e così la nostra volontà sceglie e ritiene che sia bene e poi dice: “ah! Se avessi saputo!” Cosa è mancato? È mancato lo sguardo a Dio. Questo ci fa capire che noi da soli non siamo intelligenti e la nostra volontà da sola non è libera, per cui sceglie perché “quella cosa per me è bene”.

L’ubriacone si ubriaca perché ritiene che per lui quel bicchiere di vino sia un bene. Chiunque vuole una cosa, la vuole perché ritiene che per sé quella cosa è buona. A cose fatte constata il male che ne deriva, però non può liberarsene perché c’è la componente soggettiva di quello che lui ha scelto e proprio questa componente soggettiva gli impedisce di scavalcarsi perché per scavalcarsi ha bisogno di un Amore; per avere un Amore ha bisogno di un Altro, così finché non trova un Altro non può guarire. Il cerchio resta chiuso, cioè noi ci chiudiamo in un cerchio. Facciamo un’azione sbagliata, quell’azione sbagliata diventa in noi esigenza, è la droga. Per cui uno si accorge che la droga lo sta uccidendo, però non può uscire dal "giro". Si dice "giro" appunto perché un giro vizioso: siamo tutti drogati in quanto non tenendo presente Dio, tutte le cose che facciamo sono per noi principio di schiavitù e ci drogano.

In questa constatazione di impotenza però c’è un annuncio profondo di Dio, ed è un annuncio molto valido da parte di Dio e quindi c’è un’apertura, una via di salvezza.

Il Signore, facendoci toccare con mano il cerchio della soggettività, e diciamo soggettivo quello che dipende dal nostro io, ci evidenzia l’impossibilità assoluta di conoscere la Verità oggettiva perché la Verità non si conosce nel pensiero del nostro io, né in tutte le cose che hanno come riferimento il pensiero del nostro io. La soggettività macchia tutto ed arriva anche a macchiare lo stesso Pensiero di Dio. Proprio macchiandoci in questo modo ci rende impotenti ad entrare nel campo dell'oggettività e quindi della nostra pace. La nostra pace sta nell’oggettività perché il pensiero del nostro io non è luce e non giustifica niente, nemmeno un filo d’erba. Il nostro io è un effetto, è creatura e non Principio Creatore e quello che giustifica è il Principio Creatore. Tutto quello che fa riferimento al nostro io ci confonde, cioè ci porta nel campo della soggettività che diventa il nostro tormento, il nostro inferno, la nostra inquietudine che è proprio quella situazione esistenziale, conflittuale, descritta. Per cui noi abbiamo bisogno della Verità, sappiamo che soltanto nella Verità noi abbiamo la nostra pace, ma ci troviamo nella impossibilità di trovarla. Cosa lo impedisce? Sono i prodotti dell’io che lo impediscono. Però in questa impotenza c’è una rivelazione meravigliosa da parte di Dio ed è questa: la Verità non dipende dal nostro io. Cioè facendoci toccare con mano l’impotenza nostra nel pensare la Verità, ci rivela l’oggettività della Verità stessa. La Verità è indipendente da noi e questa indipendenza ce la fa constatare proprio la nostra impotenza, ma così  rivela l’oggettività della Verità. Ora, se noi abbiamo la possibilità di verificare un elemento oggettivo in noi, abbiamo una possibilità di salvezza perché quello che ci danna è il soggettivo, cioè quello che è in relazione al pensiero del nostro io.

Per questo ho voluto ancora soffermarmi su questo punto, perché in questo messaggio di Gesù, come in tutte le sue parole, c’è un aiuto per la salvezza, anche quando ci dice: “meglio per te non essere nato” o “guai a te”. La Parola del Cristo ha sempre un aspetto positivo per la nostra vita, non ha un aspetto di giudizio, anche quando ci dice “voi non potete venire”. Dio non parla per escluderci, anzi ci offre così ciò che noi da soli non possiamo trovare. La Parola di Dio ascoltata ci offre quell’appiglio oggettivo su cui noi possiamo far leva per superare tutto il nostro mondo soggettivo che ci sta avvelenando. Questo è l’elemento essenziale di ogni Parola di Cristo, per cui mentre Lui ci dice: “voi non potete venire”, ci apre la strada per poter andare.

 

Pensieri tratti dalla conversazione:

 

Luigi: (a Pinuccia B.): L’appiglio oggettivo ci viene dalla Persona di Cristo che con la sua Parola ce lo fa constatare. Perché noi abbiamo bisogno di constatare qualcosa di oggettivo che non dipenda da noi. Il soggettivo mi impedisce di riposarmi perché c’è il dubbio: sono io che lo penso. Anche per i santi o per coloro che hanno visioni il tormento è sempre questo: “è così o sono io che lo penso?” C’è sempre quella interferenza lì e l’anima cerca conferme perché non ha pace; allora c’è bisogno del confessore o direttore spirituale che dica: “sì, è così” oppure “no, è isterismo”. Fintanto che siamo intossicati dai prodotti del nostro io c’è questa inquietudine perché la pace non mi è data da quello che produco io, ma da quello che ricevo dall’Altro. Noi siamo creature fatte per l’ascolto e ascoltando Lui, Lui ci conduce a vedere la Verità; qui ci riposiamo.

Abbiamo bisogno di ricevere la Verità dall’Alto, non di produrla noi. Fintanto che la produciamo noi, per quanto ci avviciniamo alla Verità (e possiamo anche avvicinarci molto) è sempre macchiata da “sono io che lo penso”, mentre dobbiamo arrivare, e Dio ci conduce, a questa constatazione: “quando pensi Dio non sei tu che Lo pensi, ma è Lui che si fa pensare da te; il Pensiero di Dio in te è Pensiero di Dio, non è pensiero tuo”, ma questo lo ricevo da Lui, non è prodotto mio. Ecco perché Dio attraverso il peccato ci conduce all’impotenza, perché solo qui si rivela l’oggettività. Nel niente si rivela il Tutto. Nella situazione di peccato è assolutamente necessaria questa esperienza di impotenza: soltanto constatando la mia incapacità a trovare la luce, quando la luce si farà in me, capirò che effettivamente quella è dono di Dio perché “io con tutte le mie fatiche ero impotente”. Per questo Gesù dice: “Beati coloro che piangono”, cioè coloro che constatano l’impotenza. Beato colui che ha niente nelle mani. Noi il più delle volte pensiamo di dover arrivare a Dio con tanto nelle mani; no, dobbiamo arrivare a Dio con niente nelle mani. Solo arrivando a Dio con niente abbiamo la possibilità di ricevere.


Voi mi cercherete, e non mi troverete; e dove sono io, voi non potrete venire. Gv 7 Vs 34 Quattordicesimo tema.


Titolo: La nostra impotenza a raggiungere la Verità ci rivela l’oggettività della Verità.


Argomenti: Cosa è l’oggettività? – Universalizzare – Il Verbo interiore e la passione d’assoluto – I valori dell’uomo – La conoscenza è un rapporto – Il bene umano – Astrarre, idealizzare – La testimonianza degli uomini – L’uomo è menzognero – Deformare la verità – L’uomo è crocifisso – La Parola di Cristo – L’essere di Cristo – Il silenzio della creatura – Il silenzio cosmico -


 

28/ Febbraio /1983


 

Pinuccia B.: Il messaggio positivo di queste parole di Gesù: “Non potete venire”,  può essere colto solo riflettendo sull’impotenza che Gesù ci fa esperimentare nel raggiungere la Verità e interpretando nella Sua intenzione queste parole che confermano questa nostra impotenza. Infatti la Verità la si può conoscere solo nel Pensiero di Dio.

Luigi: Dal Pensiero di Dio.

Pinuccia B.: Abbiamo quindi bisogno di una Presenza oggettiva che entri in questo nostro cerchio chiuso e parli a noi. La Sua Parola è l’elemento oggettivo a cui possiamo afferrarci per far leva e uscire.

Luigi: Abbiamo bisogno di una Presenza oggettiva, di una Parola che non dipenda da noi.

Eligio: Anche la presenza di una persona umana non dipende da noi, esiste oggettivamente.

Luigi: Fino ad un certo punto. Anche il filo d’erba, ma fino ad un certo punto, perché ad un certo momento arriviamo a strumentalizzare tutto, oppure comprendiamo che l’esterno dipende dalla nostra testa, perché vediamo tutto con la nostra testa, ma cosa ne sappiamo noi delle cose? Infatti a noi sfugge la realtà delle cose; perché le conosciamo solo per quello che sono in relazione alla nostra testa, a quello che avviene nel nostro cervello, ma la realtà oggettiva di esse in sé e per sé non la possiamo cogliere. Noi vediamo solo il corpo, l’apparenza esterna di una persona ma non sappiamo chi essa sia. Noi però abbiamo bisogno di una presenza per superare il nostro io che sia oggettiva, assolutamente indipendente da noi; e invece noi scopriamo ad un certo momento che tutte le cose sono in relazione a noi, ai nostri sensi, sentimenti, ma al di là di questi sentimenti cosa c’è? cos’è veramente in sé la cosa? (Kant lo chiama il noùmeno: non possiamo coglierlo, sfugge a noi). Noi nel pensiero del nostro io non possiamo cogliere la cosa in sé. Anche S. Tommaso diceva: tutte le nostre idee passano attraverso i nostri sentimenti, i nostri sensi. Quindi noi pensiamo sempre in relazione ai nostri sensi, ma allora la Realtà in sé come la cogli? Noi lavoriamo sull’apporto dei nostri sensi e questo impedisce a noi il salto nell’oggettivo.

Eligio: Eppure le idee di bontà, di giustizia, amore, esistono indipendentemente da noi; esistono perché esiste Dio.

Luigi: Certo, è logico, c’è Dio in noi, quindi in conseguenza di questa presenza di Dio in noi abbiamo la possibilità di universalizzare. Ma proprio questa possibilità di universalizzare ci fa correre questo grande rischio: cioè noi estrapoliamo. A differenza degli animali, che restano nell’“hic et nunc”, in questa immediatezza, noi abbiamo invece la possibilità di universalizzare quello che tocchiamo, quello che vediamo, e facciamo dei concetti. Ma questi concetti, queste idee, non sono altro che un’universalizzazione di impressioni, di stati d’animo, ecc. che arrivano a noi.

Eligio: Ma le idee sono realtà universali.

Luigi: Queste idee vengono proprio in quanto in noi c’è il Pensiero di Dio. La presenza dell’Assoluto dà a noi questo. Però se noi non partiamo dall’Assoluto, queste idee non danno a noi la certezza della Verità in sé, non ci danno la possibilità di conoscerla, cioè restano astrazioni nostre e noi non usciamo da questo concetto di astrazione, perché: “sono io che…”. Certo, è per la presenza di Dio in me che ho la possibilità di universalizzare, cioè la possibilità di rendere infinita la cosa, ma io non mi rendo conto di questo.

Eligio: Quello che per Platone è l’iper uranio, per noi è il Verbo interiore, in cui queste idee hanno la loro verifica.

Luigi: Sì, d’accordo, ma appunto vedi che devo partire dal Verbo. Se non ho il Verbo interiore (cioè ce l’ho il Verbo interiore, ma se io non credo nel Verbo interiore), cioè se non parto da questo Principio, io continuo a subire l’effetto di questo Verbo interiore, perché il Verbo interiore c’è indipendentemente da me, subisco questo, come subisco la passione dell’assoluto, ma è proprio per questa passione dell’assoluto che io universalizzo le cose, cioè tendo a rendere assoluto quello che assoluto non è. Ora è questo il rischio, per cui il nostro io finisce per macchiare tutto senza il Pensiero di Dio. Proprio per questo fatto: perché lui è effetto del Verbo di Dio che porta in sé, quindi tende ad universalizzare tutto e a dire: tutto è così. Ecco, universalizza. Cioè rende assoluto quello che è soltanto relativo. No, tu hai esperimentato questo, tu l’hai esperimentato in questo campo; non dire però che tutto è così. Ad esempio non dire “tutti gli uomini sono così” perché hai esperimentato che uno è cattivo. Come mai noi possiamo universalizzare? Appunto perché tendiamo a rendere assoluto; assoluto vuol dire rendere infinito, cioè universalizzare; facciamo estrapolazione, dato proprio questa passione di assoluto che portiamo in noi, che è effetto della Presenza di Dio in noi. Però non possiamo oggettivare questo, anche se subiamo la passione dell’Assoluto. Questa passione è un effetto: non posso passare dall’effetto alla Causa. Posso passare dalla Causa all’effetto.

Eligio: Ma anche chi è lontano da Dio può oggettivare qualcosa, affermando per esempio che l’amore è un bene.

Luigi: Sì, ma questa oggettivazione è un’astrazione che fa, cioè universalizza un bene che ha esperimentato.

Eligio: Trova però una corrispondenza interiore.

Luigi: Questa corrispondenza interna che portiamo in noi è effetto di cui non possiamo cogliere la Causa se non partiamo dalla Causa. Cioè, soltanto conoscendo la Causa mi rendo conto dell’effetto; io porto in me questo effetto, non lo posso cancellare, perché è conseguenza della Causa, però non lo posso giustificare.

Eligio: Quindi questa oggettivazione (ad es. dicendo che la giustizia è un bene) non mi libera e non mi salva.

Luigi: No, perché questa oggettivazione è astrazione mia, è in relazione al mio io, per cui non mi libera dall’io.

Pinuccia B.: Solo se deriva da Dio mi libera, no? perché solo derivandola da Dio è un’affermazione oggettiva.

Luigi: Sì, perché non basta che lo affermiamo tutti. Non basta che siano gli uomini che dicano che la giustizia è un bene. Quando noi parliamo di qualità (giustizia, amore, ecc.) sono sempre espressioni di un essere, e qui è riferito sempre all’uomo: la bontà, la giustizia, anche la verità, ecc., sono sempre concetti riferiti all’uomo, per cui noi diciamo: “la giustizia è una cosa buona”, però riferita sempre all’uomo; quella non ci libera dall’io. Al momento opportuno quel concetto di giustizia non mi dà la possibilità di superare il pensiero di me stesso, e quindi vuol dire che non è il bene oggettivo: non è un bene oggettivo, è sempre subordinato al pensiero del mio io, non fa leva, non mi dà la possibilità di… Cioè ci manca il metro per poter misurare queste cose, e il metro può essere soltanto Dio. Perché se no noi stiamo ragionando su degli effetti e non possiamo cogliere l’anima delle cose, se non partiamo dalla Causa. “Nessuno può salire al Cielo se non Colui che discende dal Cielo”: non c’è la possibilità per noi. Tutte quelle astrazioni che noi facciamo: giustizia, bellezza, bontà, verità, ecc., sono astrazioni, sono universalizzazioni prodotte dal nostro io che porta in sé questa passione dell’assoluto. Per questa passione dell’assoluto io sono portato a dire: “tutto è così”, cioè universalizzo. Vedo un angolo di una cosa e dico: tutto è così. Quello è oggettivo? No, quello è universalizzazione di una mia esperienza. Esperimento la bontà con un piacere che ricevo, e allora dico: la bontà è un bene; universalizzo questo che ricevo... ma è sempre un’esperienza personale abbinata alla passione dell’assoluto. Questa passione di assoluto mi fa universalizzare la cosa, ma io non esco dal pensiero del mio io, non posso uscirne. Invece noi abbiamo bisogno nel modo più assoluto di un punto di appoggio che ci dia la possibilità di superare il pensiero del nostro io, cioè un punto di appoggio fuori di noi stessi. “In principio era il Verbo”: è il Verbo che parla.

Eligio: Eppure va attribuita al Verbo l’affermazione che tutti possiamo fare: che la giustizia è un bene.

Luigi: Sì, noi idealizziamo. Questa è idealizzazione. Tu dici: nasce dal Verbo. Nasce dal Verbo appunto se hai presente il Verbo; se tu non hai presente il Verbo quello che tu oggettivi, nasce dal tuo io, dal tuo io che porta questa passione dell’assoluto, per cui universalizza le cose, quindi è astrazione.

Pinuccia B.: Da qui si vede l’importanza enorme di tener presente il Principio oggettivo: il Verbo che parla. È solo questione di pensiero.

Luigi: Certo, è tutto solo questione di pensiero. La stessa affermazione detta da due persone per l’una è, a seconda se parte da Dio o da se stesso, realtà o astrazione. Se l’uomo parte da se stesso, non può nel modo più assoluto entrare nel Paradiso Terrestre, non può entrare nella realtà oggettiva; non può perché tutte le nostre conoscenze, tutti i nostri giudizi, sono sempre dei rapporti, e un rapporto è sempre in relazione a quel punto fisso di riferimento che tu hai. Quando tu dici la giustizia, la verità, la bontà, ecc., quale è il rapporto, cioè il punto fisso di riferimento a cui tu ti appelli per affermare queste idee? Se non parti dal Verbo affermi solo delle idee. Se parti dal Verbo siamo a posto! Se no sono astrazioni, costruzioni nostre (come il cielo di Platone, l’iperuranio, che egli immagina sia il luogo delle idee); sono astrazioni dell’uomo.

Eligio: Ma come fa l’uomo ad immaginare che la giustizia è un bene? Allora si può ipotizzare  un uomo che immagini che l’ingiustizia è un bene.

Luigi: E infatti per molti l’ingiustizia è un bene. In pratica questo per me è un bene. Molti infatti fanno anche dei delitti perché ritengono che per loro quello sia un bene; universalmente no, ma in questa situazione mia particolare, questo è un bene, e lo fanno come bene, altrimenti non riescono a farlo; la nostra volontà non scatta se non mossa da un bene, da un valore e da un valore buono. Ci sono carcerati che riescono attraverso riflessioni ecc., a giustificarsi al punto di quel tale che si sente rimordere la coscienza se ad esempio non fa la truffa quotidiana, o di quelli che dicono: “è la società, è l’ambiente che ci rende tali, per cui noi siamo giustificati, siamo stati costretti a fare questo delitto, a questi furti”.

Eligio: Magari da soli non pensano così.

Luigi: Può darsi, ma noi non abbiamo un metro per poter giudicare l’uomo. A noi sfugge l’elemento in sé…

Eligio: Però io non posso affermare che la giustizia, l’amore, la bontà, ecc., è un bene: sono delle idee che sono al di sopra di me, più forti di me.

Luigi: Sì, però questo amore, questa giustizia, bontà, bellezza, assume all’atto concreto degli aspetti tali per cui ti butta tutto in aria, e ad un certo momento trionfa il tuo io.

Eligio: Ma anche certi concetti teologici oggettivi possono all’atto pratico tradursi in tribunali d’inquisizione, ecc.

Luigi: Lo vedi? E questo cosa ti dice? Ti conferma appunto che noi non abbiamo la possibilità di superare il pensiero di noi stessi, e che quei concetti sono astrazioni nostre. È l’acqua che assume praticamente la forma del recipiente in cui tu la metti. Ora “Chi mi libererà da questo corpo di morte?” dice S. Paolo, per cui io parlo bene e faccio male. Come mai? Io desidero il bene e poi all’atto pratico…

Eligio: E allora quando parlo bene, faccio delle astrazioni?

Luigi: Faccio delle astrazioni, a meno che non deduca da Dio…

Eligio: Ma anche quando l’uomo è interessato fa delle astrazioni?

Luigi: Sì, perché l’interesse è sempre in relazione al nostro io.

Eligio: Anche quando ho interesse per Dio?

Luigi: Allora no. Abbiamo detto che  portiamo in noi la passione dell’assoluto che è un effetto e abbiamo l’interesse: quello che determina tutto in noi è l’interesse. L’interesse può essere per Dio e può non essere per Dio. Questo interesse è sempre conseguenza di una valutazione. La valutazione è sempre soggettiva. Se questa valutazione coincide con Dio, con la passione dell’assoluto, allora ho l’intelligenza in me per cogliere il vero. Se non coincide, quello che affermo sono astrazioni mie. Ecco, sono universalizzazioni mie, per cui io metto il nome di ideale, mi muovo sotto questa etichetta, in nome del dovere ad esempio, e non mi accorgo che faccio rientrare sotto questa etichetta quello che è mio interesse; ma non esco dal mio interesse, non posso uscire dal mio interesse.

Eligio: Ma la creatura che ha interesse per Dio (anche se questo interesse subisce delle oscillazioni o debolezze) è in fase di astrazione nei confronti di Dio, della giustizia, ecc.?

Luigi: No. Se ho interesse per Dio, allora parto da Dio, ho un dato oggettivo, il dato di  Dio, e allora lì abbiamo deduzione dalla Causa, perché “Dio non sono io”, quindi qui ho un dato oggettivo da cui dedurre. Se sono fedele a questo Dio che ho messo come interesse di me stesso, allora questo mi dà luce, mi dà intelligenza per le scelte della vita, per i giudizi, e mi dà la luce, mi dà la conoscenza, mi porta alla conoscenza. Se non sono fedele, naturalmente non essendo fedele, io continuo a subire la passione dell'assoluto, ma in conseguenza di questa infedeltà, io cado nell'errore, cioè vado a finire in luoghi sbagliati. Questi luoghi sbagliati in cui vado a finire sono astrazioni mie, per cui confondo: chiamo bene quello che non è bene.  Cioè, all’atto pratico, io chiamo bello, vero, buono, ecc., ciò che… Eva ha visto il frutto proibito: l’ha visto nel concetto di bontà ed è stata attratta: eppure ha sbagliato, ha sbagliato luogo. Come mai succede questo? perché? Perché viene meno l’attenzione a Dio, viene meno lo sguardo a Dio. Chi dà a noi la possibilità di… è l’essere con, cioè l’essere con l’Altro (l’Altro maiuscolo è Dio). Ma per poco che il nostro sguardo devii da questo, proprio per la passione dell’assoluto da cui non possiamo allontanarci perché questa è una conseguenza della Presenza di Dio in noi, per questa passione di assoluto, finiamo in luoghi sbagliati; luoghi sbagliati che sono astrazioni. Sono luoghi sbagliati appunto perché non sono veri, non sono reali; per cui ad esempio l’uomo vede una donna e la idealizza. Perché? Perché proietta su di lei la sua passione di assoluto. La donna non è quella, è un’altra; difatti dopo troverà tutte le difficoltà perché si accorgerà che ha trovato un luogo sbagliato; non era quella che si immaginava lui; però lui si è immaginato qualche cosa. Questa immaginazione è stata sbagliata; è su un piano di astrazione.

Eligio: Sì, fa delle astrazioni l’uomo che idealizza la donna, perché usa tanto la fantasia, ma quando afferma che la giustizia è un bene, non vedo l’astrazione, perché queste idee sono superiori a noi, hanno la loro sede in Dio. Altrimenti scendiamo nelle opinioni; le opinioni sono fatti personali, le idee sono fatti universali, oggettivi, così almeno insegna la filosofia.

Luigi: Certo, se noi cadiamo in questo campo filosofico, è logico… ma non riusciamo più ad avere un punto oggettivo di riferimento, perché se colleghiamo tutto con Dio  allora abbiamo un punto chiaro, un punto luce di riferimento, e questo deve essere Dio. Ma non possiamo dire che esistono le idee ed esiste Dio; ma: esiste Dio. Non possiamo dire: esiste il cielo delle idee. No, esiste Dio. Dio è un Essere personale… poi esistono i rapporti con Dio.

Eligio: Dio è capace di idee.

Luigi: Dio è. Dio è il Creatore. Noi parliamo di idee e non sappiamo cosa siano le idee; parliamo di giustizia, verità, bontà, ecc. e non sappiamo cosa sono queste cose. Se invece parliamo di Dio per lo meno sappiamo: Dio è il Creatore, è un Essere personale (noi siamo persone, Lui è un Essere personale). Allora abbiamo un punto a cui riferire qualcosa, se no, tu parlando magari di giustizia, verità, di idee, hai una concezione; io magari ne ho un’altra, ecc., ma continuiamo a parlare su un terreno che non è stabile e non ci offre una pietra su cui edificare.

Eligio: Ma se tutti gli uomini, anche nel passato, dicono che la giustizia è un bene…

Luigi: Ma non basta, non basta. Gli uomini non fanno la Verità.

Eligio: Ma questo non conferisce oggettività alla giustizia?

Luigi: No, quello che dicono tutti gli uomini non è sufficiente per fare la Verità.

Eligio: Ma come potrebbero dire tutti nello stesso modo se non tutti avessero avuto Dio…

Luigi: Tutti hanno la passione di assoluto. Infatti guarda nel mondo, tutti quanti magari dicono: “senza  denaro non si può fare niente”, o “il denaro è un bene”. Il mondo approva.

Eligio: Non lo dicono per tutta la vita.

Luigi: Non basta quello che dicono gli uomini. Il Cristo stesso dice: “Io non ricevo testimonianza dagli uomini, non mi valgo degli uomini, non mi valgo della testimonianza degli uomini”. Cioè la testimonianza dell’uomo non è sufficiente, altrimenti noi avremmo un effetto che ci può confermare la Verità Assoluta, ma questo non è possibile, non posso passare alla Verità Assoluta (“non potete venire”); quello che dicono gli uomini non è sufficiente per fare una verità. La Verità discende da Dio.

Eligio: Sì, è evidente che la Verità non ha bisogno degli uomini.

Luigi: Il che vuol dire che la Verità discende da Dio, non sale dagli uomini. Gli uomini subiscono… E allora dobbiamo restare in questo rapporto: se è vero che gli uomini subiscono la Verità, allora tutto quello che dicono gli uomini lo dobbiamo vedere come questo effetto della Presenza di Dio in loro: come effetto. Ma effetto della presenza di Dio in loro non vuol dire che quello che loro dicono sia Verità; cioè non basta che l'uomo abbia la passione dell’assoluto per testimoniare l’Assoluto. L’uomo porta la passione dell’assoluto, però questa passione di assoluto lo può portare all’inferno, lo può far bestemmiare, gli può far dire grandi errori. Perché l’uomo può sbagliare? L’uomo sbaglia. Come mai l’uomo sbaglia? Perché ha la possibilità di sbagliare? Dobbiamo chiederci: quand’è che l’uomo dice la Verità e cosa succede nell’uomo perché l’uomo sbagli? L’uomo che sbaglia non è che voglia sbagliare.

Eligio: L’uomo non può dire la Verità e agire difformemente?

Luigi: Sì, ma adesso il problema è questo: che cosa si richiede, che cosa si rende necessario perché l’uomo dica la Verità. L’uomo da solo non può dire la Verità. L’uomo da solo dice sempre soltanto menzogne: l’uomo è menzognero. La creatura umana di per sé da sola è menzognera, cioè la creatura umana si caratterizza per il no, non per il sì. Si caratterizza in quanto è capacità di dire no. Il no è un errore. Il no è una deformazione della Verità. L’uomo può deformare. Per restare nella Verità ha bisogno dell’Altro, cioè ha bisogno di Dio. Se non ha presente Dio l’uomo non dice la Verità, non può dirla, cioè, dice una cosa soggettiva. Perché non può dirla? Perché quello che lui dice è ciò che esperimenta, ciò che vede sotto la sua angolatura: l’angolatura del suo io. Ma come la dice? La dice predicandola come Verità: ecco l’errore. L’errore di per sé non esiste. L’errore è soltanto una verità parziale universalizzata. Allora l’uomo ha soltanto questa possibilità: staccato da Dio, lui prende una verità parziale, cioè parziale vuol dire relativa al suo io e la universalizza: qui abbiamo l’errore.

Eligio: Vediamo nel Vangelo che perfino i demoni affermano una verità, quando dicono a Gesù: “Tu sei il Figlio di Dio”, ma non restano in essa, non la fanno propria.

Luigi: Ma Cristo non accetta, anzi Lui stesso impedisce loro di dirla. Essi non conoscono la Verità, perché quello che loro dicono, non lo dicono con convinzione, con conoscenza, con consapevolezza. Anche l’uomo, ad esempio Pilato, Caifa, dicono delle Verità, però a loro insaputa, non si rendono conto, perché indubbiamente è sempre Dio che fa parlare. Però l’uomo non è consapevole di quello che dice. Allora sì, anche il bambino può dire delle verità, ma non ne è consapevole perché è Dio che lo fa parlare, è uno strumento.

Eligio: Certo, per averne consapevolezza bisogna partire da Dio.

Pinuccia B.: Ed è proprio questa conoscenza consapevole che è oggettiva. È proprio quell’oggettività di cui abbiamo bisogno per uscire dal pensiero dell’io, dal relativo. Quando partiamo da Dio è scontata l’oggettività: non esiste più il problema dell’oggettività.

Luigi: Ma adesso il problema è questo: l’uomo ha la possibilità o no di raggiungere l’oggettività? Faccio appello all’interpretazione del Paradiso Terrestre: il Paradiso Terrestre è proprio il campo dell’oggettività. Era l’uomo che poteva colloquiare con Dio e quindi essendo in compagnia con Dio riceveva la Verità di Dio. In conseguenza di un atto di autonomia è stato cacciato. Cacciato, è stato impossibilitato a rientrare. Evidentemente qui abbiamo una situazione esistenziale dell’uomo, che è quella che esperimenta ogni uomo: l’uomo ha, sente il bisogno di questo rientro nel Paradiso Terrestre, cioè sente il bisogno della Verità, cerca questa Verità, subisce la passione di essa, non può trovarla. Quindi abbiamo questa situazione. La situazione esistenziale è una situazione subìta. L’uomo subisce questa situazione, questa tristezza: è un essere crocifisso, proprio crocifisso tra la passione per la Verità e l’impossibilità di trovare la Verità. È crocifisso tra cielo e terra. Ora, il Cristo che muore crocifisso è l’uomo, per cui l’uomo si ritrova. Perché l’uomo si ritrova? Ad un certo momento viene a ritrovarsi in questo Cristo Crocifisso. Il Cristo è il Verbo di Dio venuto a incarnarsi. Incarnarsi vuol dire che ha assunto su di sé la situazione umana, la situazione dell’uomo: se l’uomo è un crocifisso, Cristo ecco, ad un certo momento ha assunto questa situazione di crocifissione, crocifissione che è conflittualità, passione per- e impossibilità di-. Ma come mai? Forse che Dio ha fatto male le cose?

Eligio: Ma in Cristo non c’è conflittualità.

Luigi: No. Ha incarnato la conflittualità dell’uomo. Ha incarnato, quindi ha preso su di sé questa situazione per salvare l’uomo, per liberarlo: dargli un dato oggettivo, per liberarlo dalla sua solitudine, perché l’uomo è un essere crocifisso, ma solo, quindi senza punto d’appoggio, senza punto di riferimento.

Pinuccia B.: Dio non ci ha creati crocifissi; siamo noi che…

Luigi: Certo. Dio ci ha creati nel Paradiso Terrestre. Per un atto di autonomia noi siamo venuti a trovarci in conflitto. Siccome diventiamo figli delle nostre opere (chi fa il male resta schiavo di esso, schiavo vuol dire che non può più uscirne), avendo fatto un atto di autonomia, non può più uscirne. Noi adesso, per questo atto di autonomia, abbiamo creato una dipendenza da cui non possiamo più uscirne: non possiamo più uscirne pur sognando Dio! Ma il sogno che abbiamo di Dio non ci dà la certezza di Dio. Noi sentiamo la passione di Dio, noi pensiamo Dio, ma il pensare Dio non ci libera dalla realtà in cui ci troviamo. Anche satana nell’inferno pensa Dio, ma non si può riposare in Dio. Quindi il pensiero che satana ha di Dio non lo libera dalla situazione esistenziale in cui lui si trova. Ora, da che cosa è creata questa situazione esistenziale? Dai prodotti dell’io, da un fatto autonomo. Ora, questi prodotti dell’io autonomo sono soltanto delle imperfezioni, cioè sono soltanto dei dati, di Dio ancora, segni di Dio non riportati in Dio, per cui sono lasciati lì a metà strada. Tutto quello che l’uomo non raccoglie diventa per l’uomo motivo di tormento, motivo di conflitto; il che vuol dire che l’uomo subisce il danno di ciò che non ha raccolto in Dio. Quindi l’uomo porta una passione di assoluto e subisce la passione di ciò che non ha riportato in Dio (la subisce perché la sua passione è per l’assoluto). Ora questa situazione è una situazione di soggettività che impedisce all’uomo di riposarsi , cioè l’uomo non ha più la possibilità di riposarsi in un dato oggettivo, non riesce a entrare nella sua pace. La pace è un bene, ma non riesce a trovarla. La pace ci viene dalla possibilità di trovare un quid su cui noi possiamo riposarci, un quid di certezza. Quando non ho la possibilità di essere sicuro di niente, io sono inquieto, ognuno di noi è inquieto, non ha un dato su cui fondarsi. Ora, tutti i prodotti del nostro io sono dei semi di inquietudine che seminiamo noi. Tutte le parole che noi diciamo staccate da Dio, sono dei semi di inquietudine, quindi dei principi di tormento, principi di angoscia, di lacerazione interiore, di divisione; divisione che è poi morte con tutte le conseguenze.

Pinuccia B.. Mai come adesso si è parlato tanto di pace, ma…

Luigi: Non è possibile, perché per poter entrare nella pace bisogna partire da Dio. Fintanto che gli uomini non si convincono che debbono mettere Dio al suo posto nella loro vita prima di tutto, continueranno sempre soltanto a far delle grandi programmazioni, a far dei grandi progetti, dei grandi disegni, a far tante parole, ed esperimenteranno sempre il fallimento di tutto, sempre, non possono farne a meno, perché  esiste Dio!   Se l’uomo vuole trovare la sua pace deve partire da Dio, cioè deve mettere Dio al centro della sua vita, al centro dei suoi interessi (ecco l’interesse!). Dio deve diventare l’interesse dell’uomo; allora qui, mettendo Dio come interesse, entra nella sua pace, l’uomo trova la sua pace. Ma fintanto che l’uomo, pur parlando di Dio, pur pregando Dio, ha un altro interesse, questo altro interesse che lui ha, lo porta all’inquietudine.

Pinuccia B.: È già dono di Dio essere convinti che dobbiamo superare il soggettivismo e il capire che è proprio il soggettivismo che ci impedisce la conoscenza di Dio.

Luigi: Cristo dice: “Se non credete che Io sono, morirete nel vostro peccato”. Qual è questo “vostro peccato”?

Pinuccia B.: Cioè, se non credete in questa Realtà oggettiva (Io sono), morirete nel vostro soggettivismo?

Luigi: Certo.

Pinuccia B.: Cioè noi abbiamo bisogno di un appiglio oggettivo che non dipende da noi su cui far leva per superare il pensiero dell’io, e questo è il Verbo di Dio che parla con me?

Luigi: Noi nella Verità entriamo in quanto la riceviamo da un Altro. Noi entriamo nella Verità non per attività nostra, ma in quanto riceviamo da-, per recezione, altrimenti non entriamo. “Nessuno può venire dove Io sono”. Entriamo soltanto se il Verbo parla e quindi soltanto se io sono in ascolto del Verbo che parla, cioè di quel Verbo che era in principio: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”.   E il Verbo era Dio! Quindi questo Verbo che parla a noi è Dio che parla a noi. In principio era così! Dio ha fatto bene ogni cosa. Ora la creatura se ascolta il Verbo entra nella Verità: "Se ascolterete le mie parole conoscerete la Verità”: la creatura ascoltando, entra. Ma se trascura il Verbo, lei può fare delle idee, può fare delle costruzioni, può fare tutto quello che vuole, ma è sempre lei che rimescola la minestra, ma…si versa tutto addosso!

Pinuccia B.: Quando siamo convinti che è necessario superare il pensiero dell’io, allora incominciamo a desiderare di superarlo in tutto, ma lì constatiamo che ci è impossibile superarlo in tutto.

Luigi: E quella è la situazione di impotenza che Dio presto o tardi fa esperimentare a tutti; per cui l’uomo porta con sé la passione di una cosa, ma è impotente a raggiungerla.

Pinuccia B.: C’è una differenza tra chi subisce questa impotenza a raggiungere la Verità e capisce il perché e chi invece non lo capisce.

Luigi: Capire è tutta un’altra cosa, perché per capire ci vuole la luce e per avere la luce bisogna essere con Dio, altrimenti non si capisce: si subisce e non si capisce. L’uomo è un essere che subisce la Verità, ma non la capisce. Subisce la Verità, subisce tutte le opere di Dio, però non capisce. Tutta la creazione è Dio che parla con l’uomo, però l’uomo non capisce. Ecco, l’uomo è un essere che si trova in un paese straniero, sente parlare una lingua straniera, non capisce quello che gli viene detto. È lì tutta la sua tristezza. Ora, per capire bisogna che l’uomo sia con Dio, altrimenti assolutamente non può capire. La luce viene da Dio; la luce non viene da noi.

Pinuccia B.: Quindi se in questa duplice impotenza (a raggiungere la Verità e a superare il pensiero del nostro io), in questo cerchio chiuso in cui ci troviamo, Gesù ci dice: “Non potete venire”, illumina questa nostra situazione; se intendiamo le Sue parole nella Sua intenzione, perché ci rivela che la Verità non dipende da noi e ci offre una via oggettiva (Se stesso) per raggiungerla. Quindi attraverso questa duplice esperienza di impossibilità, Dio ci convince che la Verità è indipendente da noi.

Luigi: Ci convince se ascoltiamo la Sua Parola. Non basta l’esperienza nostra; bisogna ascoltare la Parola.

Pinuccia B.: Quindi quando Dio ci condurrà a vedere la Verità, saremo veramente convinti che questo è pura opera di Dio perché abbiamo esperimentato l’inutilità e l’impotenza dei nostri sforzi. E questa convinzione è appunto la condizione per entrare nel Regno di Dio.

Luigi: D’altronde se non è convinta di quello, non può ricevere la Verità. Se non è convinta che viene da Dio, non potrà conoscerla eternamente.

Pinuccia B.: Questo fa capire l’importanza enorme del nostro pensiero, l’importanza di tenere sempre lo sguardo a Dio, perché come lei diceva, per poco che ne distogliamo lo sguardo, già sbagliamo. Quando ci sarà dato di mai distogliere lo sguardo da Dio, ma di guardarlo costantemente? Non dico ancora di conoscerLo.

Luigi: No, no, di conoscerLo, perché il “costantemente” è una conseguenza della Verità conosciuta.

Pinuccia B.: Prima possiamo solo crescere in questo sguardo?

Luigi: Noi cresciamo nella misura in cui ci fermiamo col Cristo, seguiamo il Cristo, perché Cristo è il dato oggettivo tra noi, questa concessione per farci crescere fino a renderci capaci di ricevere la Verità, come Lui la riceve dal Padre, perché “dove Io sono siate anche voi”. Cioè Lui dice: “Io vado a prepararvi un posto, affinché dove sono Io siate anche voi e possiate vedere la mia gloria”. Per cui fa dipendere il vedere dall’essere in un certo luogo. Allora qui la funzione del Cristo è quella di portarci nel luogo in cui Egli è, affinché noi possiamo vedere. Vede che Lui fa dipendere il vedere dall’essere dove Lui è?: “affinché possiate vedere la mia gloria”. Fa dipendere quindi il vedere, la visione, dall’essere in un certo posto, nel posto in cui Egli è. Lui conduce noi in quel posto in cui Egli è, affinché anche noi possiamo vedere e quindi ricevere; altrimenti non è possibile. Per questo è molto importante non costruire su pensieri nostri o su quello che dicono gli uomini, ma approfondire, camminare sulla Parola del Cristo. È essenziale camminare sulla Parola del Cristo; direi non tanto ascoltare quello che dicono gli altri, anche se lo dicessero tutti gli altri: interessa molto quello che dice Cristo.

Pinuccia B.. Perché è la Realtà oggettiva cui appigliarmi per lasciarmi condurre alla Verità.

Luigi: E poi questo: che la Parola del Cristo è incentrata sul Padre; è incentrata su Dio; non è su un campo di astrazione; mentre invece gli uomini al massimo possono parlare in termini di universalizzazione, di generalizzazione, di astrazione. Sì, parlano di pace, parlano di bontà, parlano di amore, parlano di giustizia, ma ognuno la vede sotto una sua angolatura e quello non ci può salvare.

Eligio: Io stento un po’ ad entrare in questo concetto di oggettività.

Luigi: Ma è la mentalità filosofica, la cultura filosofica che ti fa trovare questa difficoltà.

Eligio: Sono convinto della necessità del rapporto tra l’anima e il Verbo esteriore e interiore per poter arrivare al Padre. Ma credo che ci siano delle verità minori, oggettive, affermate da tutti gli uomini e che sono un effetto della presenza di Dio in noi.

Pinuccia B.: Ma non sono quelle che ci fanno superare il soggettivismo.

Eligio: Certo, è solo il rapporto personale con Dio che ce lo fa superare, cioè l’attenzione al Principio che opera tutto. Per ne questa è l’oggettività che libera.

Pinuccia B.: Ma però devo arrivare a scoprire che cercando Dio non sono io che Lo cerco, ma è Lui che cerca me, cioè che questo rapporto è Lui che lo stabilisce.

Luigi: Certo.

Pinuccia B.: Arrivare all’oggettività, alla certezza vuol dire arrivare alla consapevolezza attuale e costante che tutto e sempre dipende da Dio?

Luigi: Certo.

Eligio: Ma arrivare alla consapevolezza attuale e sempre è già più difficile.

Pinuccia B.: Anzi impossibile. Infatti Gesù dice: “Voi non potete venire”, non dipende da noi.

Luigi: Certo. Infatti Gesù dice: “voi…”, cos’è questo voi? Perché dice “voi”? . “voi non potete venire”.

Pinuccia B.: Noi da soli: cioè dobbiamo essere condotti.

Luigi: Ecco, sono parole queste che tu non trovi in nessun uomo; non c’è nessun uomo che ti parli un linguaggio di questo genere e nessun uomo ti potrà mai parlare questo linguaggio, solo il Cristo: “Dove Io sono voi non potete venire;…io sono di lassù, voi di quaggiù”; ora però ti impegna a capire: cos’è questo “voi”? e cos’è questo “Io”? “dove Io sono”? cos’è questo “Io sono”? Cos’è questo “Io” e cos’è questo “voi” che Lui dice? Ora, evidentemente, mentre Lui parla noi riceviamo delle parole e lì per lì noi diciamo: “voi” siamo noi. Ma un momento: cosa vuol significare Lui, quando dice a noi: “Io” e quando dice a noi “voi”? Cos’è questo suo Io, perché dice “dove Io sono”.

Pinuccia B.: È il Creatore.

Luigi: Se noi andiamo a fondo, ad un certo momento cogliamo che in questo “voi” c’è tutto un mondo di insegnamento, di lezione che Dio ci dà, dicendoci: “guardate che voi, cioè nel pensiero del vostro io, siete preclusi, assolutamente non potete entrare, non potete venire”.

Eligio: Ma questo “voi” lo dice a persone che non cercano Lui per arrivare a Dio.

Luigi: No, lo dice anche agli Apostoli, anzi lo preciserà: “Come ho detto agli altri, lo dico anche a voi: viene il momento in cui Mi cercherete e non Mi troverete, ecc.”, però a loro dice anche: “Io vado a preparavi un posto… ma è necessario che passi, perché come la donna che deve avere il bambino deve soffrire…”, cioè è necessario questo tempo di tribolazione e sofferenza che è il tempo del superamento del pensiero del nostro io, del rinnegamento di noi stessi, senza del quale non si può entrare, non si può arrivare là dove Lui è.  Il Cristo stesso muore e sparisce come presenza fisica; “è necessario –dice- perché altrimenti lo Spirito di Verità non potrà venire in voi”, perché il mondo non può riceverlo e fintanto che siete mondo, non potete ricevere lo Spirito di Verità; il mondo non Lo vede e non Lo conosce, quindi non può riceverLo. È necessario questo travaglio. Ad un certo momento il nostro io si deve staccare da tutto questo mondo che vede e che conosce, dal Cristo stesso (“è necessario che Io me ne vada”), cioè dal Verbo Incarnato, “perché altrimenti lo Spirito non può venire in voi”. È proprio attraverso questo distacco che Lui prepara il nostro animo “affinché dove sono Io siate anche voi”: dove Io sono, cioè dove il mio Io acquista l’Essere. Perché noi adesso parliamo di io, ma noi l’Io non lo vediamo come Essere, perché non ci troviamo nel luogo dove Lui acquista l’Essere. E come noi arriveremo a vedere il Suo Io come Essere? È soltanto il Padre che conosce il Figlio, quindi è soltanto dal Padre che noi vedremo il Suo Io come Essere. Di qui vediamo la grande importanza del parlare del Cristo, perché non c’è nessun uomo che mi ha parlato e che mi potrà mai parlare in questi termini.

Pinuccia B.: Quindi ci obbliga a pensare quello che Lui dice, se Lo ascoltiamo.

Luigi: Ci obbliga a capire. Ma lei provi a capire quello che Lui dice… Ad un certo momento si accorge quanto deve faticare. Eppure se Lui parla, parla per farci capire, infatti dice: “Se resterete nelle mie Parole…” e la parabola del seminatore che è a fondamento di tutto, è la parabola dell’anima che deve cercare di capire quello che le viene seminato; infatti deve portare a compimento. Portare a compimento vuol dire cercare di capire, perché chi non cerca di capire perde la parola, perde il seme. Chi rende fecondo il terreno è il seme, la Parola. La Parola del Cristo ha un’importanza enorme, ma se noi ce ne rendessimo conto, noi 24 ore su 24, o meglio 25 ore su 24, resteremmo lì ad approfondirle, a meditarle, perché è tutto vita, è vita proprio che arriva a noi, è vita eterna, vita vera.

Pinuccia B.: Lei ha detto che Cristo è l’elemento oggettivo su cui costruire; e poi ha detto anche che Cristo con queste parole “non potete venire”, ci offre un elemento oggettivo su cui costruire. Allora la Sua Parola e Lui sono la stessa cosa?

Luigi: La Sua Parola è pane spezzato, cioè è la Sua Verità che è offerta alla nostra povertà. La Parola è un segno che arriva a noi, adeguato a noi.

Pinuccia B.: Questa Sua Parola: “non Mi troverete” è una parola specifica per farci scoprire l’oggettività della Verità?

Luigi: Per farci capire prima di tutto che noi ci troviamo in una situazione di impotenza; che in questa situazione di impotenza si rivela l’indipendenza della Verità, cioè si rivela che la Verità non è dipendente dalle creature. Ora la rivelazione dell’indipendenza della Verità da me come creatura, mi rivela l’oggettività, la presenza oggettiva della Verità in me, per cui… la Verità è presente oggettivamente in me.  È presente oggettivamente in me, però in me impotente a raggiungerla; per cui io subisco la passione di questa Verità, la passione di Assoluto, però non posso soddisfare questa passione di Assoluto. Quindi qui abbiamo il dilemma, il conflitto: io subisco una passione e non posso non subirla, ma non posso soddisfarla. Però proprio in quanto non posso soddisfarla, già mi presenta la via aperta: rivelandomi l’impossibilità mi rivela la possibilità. È lì la meraviglia della Parola di Dio! Mentre mi esclude, mi apre…

Pinuccia B.: Mi indica la via giusta. Cioè, se la Verità non dipende da te, lasciati condurre, ti porterò Io.

Luigi: Certo, infatti il fatto stesso che stiamo approfondendo… Come siamo giunti qui? Ascoltando! Ascoltando la Parola. Ascoltando la Parola, la Parola ci ha portati a scoprire un dato oggettivo, ma è la Parola che ci ha condotti, non siamo mica noi… La Parola ci ha portati, ascoltandola. Ascoltando, quindi è la Parola che ci ha condotti. Più noi ci fermiamo ad ascoltare la Parola e più questa ci conduce ad un pascolo di vita, cioè pascolo oggettivo. Mentre invece più parliamo noi (parlare noi o sentir parlare gli altri è sempre la stessa storia, perché l’altro è sempre un nostro io che parla, è sempre la stessa cosa), più ci sbrodoliamo tutto addosso, non possiamo farne a meno. Tutte le nostre parole, e tutte le parole degli uomini che lei sente è sempre un parlare di “io…io…”: si versano tutto addosso. È impressionante, perché tutti dicono io…io… io qui… io là…; ma viene da dire loro: guarda in che stato sei! Ti sbrodoli tutto addotto!

Pinuccia B.: C’è questo rischio di sbrodolarci tutto addosso anche parlando di Dio, se ne parliamo dal punto di vista dell’io.

Luigi: Dal punto di vista del nostro io, sì. È da notare che tutti gli uomini parlano di sé e poi ci sono tanti altri che parlano di quello che gli altri hanno detto di sé… e poi vogliamo cercare la Verità in mezzo! E questo lo fa la maggior parte dei giornali, proprio giornali cattolici!! Ma prima di tutto dovrebbero lasciar parlare il Cristo, dovrebbero parlare di Dio; cosa stiamo a parlare di politica, di ciò che fanno gli uni, ciò che fanno gli altri… cosa serve?  Se la vita viene dalla Parola di Dio, dal Cristo, la prima cosa dovrebbe essere quella di lasciar parlare Lui, lasciar parlare Lui in tutto.

Pinuccia B.: L’importanza di raggiungere l’oggettività sta proprio in questo: che fintanto che non la raggiungiamo ci rimarrà sempre il dubbio: sono io o no che…?

Eligio: Bisogna partire da Dio, perché Dio solo è il garante dell’oggettività.

Luigi: Certo.

Pinuccia B.: Ma l’oggettività è la Causa, Dio stesso, è l’Altro.

Luigi: Certo. Oggettivo è ciò che non dipende da noi; soggettivo è ciò che dipende da noi. Quindi fintanto che noi facciamo le cose partendo da noi, seminiamo dei dubbi. Oggettivo è quello che non dipende da noi. Ora, come faccio a trovare quelle che non dipende da me? Soltanto trovando il Creatore! Soltanto il Creatore! Cioè Colui che fa tutte le cose. Chi mi dà l’oggettività è Dio. È Dio che mi porta in questo campo di certezza; ma se io non guardo Dio, oppure tendo a Dio, ma parto dal mio io, cioè prima conosco l’uomo e dall’uomo cerco di salire a Dio…confusione!

Pinuccia B.: Quindi il rapporto autentico con Dio può avvenire solo in questa oggettività.

Luigi: Certo, cioè soltanto partendo da Dio.

Eligio: Cioè non è partendo dall’oggettività che posso salire a Dio.

Pinuccia B.: Si intende per oggettività non una cosa astratta, ma una Persona.

Luigi: È l’Altro.

Eligio: Dio è il garante dell’oggettività di tutte le conoscenze, ma le altre conoscenze non mi garantiscono di Dio.

Luigi: Tutto viene da Dio. Cioè si parla di oggettività in quanto teniamo presente il contrario di soggettività. Siccome noi siamo partiti da una situazione di impotenza (la situazione d’impotenza è una situazione soggettiva, situazione del nostro io), per questo siamo passati al concetto di oggettivo: proprio perché noi nella situazione di impotenza siamo chiusi in un cerchio di soggettività; ed è questo cerchio di soggettività che ci porta nei dubbi e nell’incertezza, perché il nostro io è un principio di incertezza, perché è effetto. Allora se io invece faccio del mio io principio di qualche cosa, naturalmente non essendo principio di niente, dà luogo a incertezza e confusione. Il mio io è soltanto principio che riceve, non è principio di niente. Il Principio è Dio. Allora io debbo partire dal Principio per cogliere la verità delle cose. Se invece partiamo dal nostro io, e implicitamente noi partiamo sempre dal nostro io, seminiamo in noi questo cerchio soggettivo che ci impedisce poi di attingere un quid di oggettivo. E ad un certo momento il nostro io riesce a macchiare il Pensiero stesso di Dio; a macchiarLo, cioè ad infirmarLo di soggettività, per cui: “sono io che penso Dio”. Tutto il principio dell’ateismo sta lì: “Dio non esiste: è l’uomo che pensa Dio”.

Pinuccia B.: E questo soggettivismo impedisce proprio il rapporto autentico con Dio, perché se sono io che Lo penso, allora dialogo con una proiezione del mio io.

Luigi: Certo.

Eligio: Dio Lo possiamo pensare solo col Pensiero di Dio che ci è stato dato. Quindi l’idealismo compie la presunzione di pensare Dio con il pensiero dell’io, e quindi relativizza tutto.

Luigi: Certo. Dio si conosce soltanto in Dio. È ciò che dice S. Agostino: “La luce si conosce soltanto nella Luce; la Verità si conosce soltanto nella Verità; la Vita viene soltanto dalla Vita, e Dio viene soltanto da Dio”: Dio da Dio. Dio non viene dall’io. Dio viene da Dio. E allora cosa succede? che se voglio conoscere Dio debbo poter guardare Dio. Quindi ho la possibilità di guardare Dio, di pensare Dio (e ho la possibilità di questo se Dio viene in casa mia, si dona), o altrimenti è chiusa la partita, non ne parliamo nemmeno, non c’è nessuna possibilità, perché Dio è Dio! Egli dice: “Io sono in Cielo, voi siete in terra; Io sono lassù, voi siete quaggiù”. Niente da fare quindi. O voi avete la possibilità di guardare a Me, in quanto io vengo a trovarvi, oppure non potete. Se Lui viene a trovarmi ho la possibilità di guardare a Lui, e allora se sono fedele, guardando Lui, da Lui allora incomincio a camminare in questo campo di oggettività, di certezza: ma da Lui! Ma se io non guardo Lui me lo sogno!

 

Pensieri conclusivi:

Eligio: L’oggettività è posta da Dio e non dall’io.

Pinuccia B.: Gesù rivelandoci con queste parole che la Verità non dipende da noi, ci invita ad aspettarla da Lui.

Luigi: Ci rivela la via, ci apre la strada.

Pinuccia B.: che è ascolto. Quindi è molto importante stare alla scuola del Cristo e cercare di capire le Sue parole, senza illuderci di averle già capite. Ad esempio quell’ “Io sono” e “voi” si intuisce che c’è  tutto un mondo lì sotto che noi dobbiamo ancora ricevere.

Luigi: Sì, la Verità si annuncia come segno, un segno che contiene tutto, però per me è segno, per cui, quando Lui mi dice: “Io sono, dove Io sono”, per me sono due parolette “io” e “sono”, ma… provi a capirle!

Pinuccia B.: Sì, mi rendo conto di non aver mai capito cosa volesse dire cercare di capire il Vangelo.

Luigi: Lo so, è lì il guaio. Noi siamo cristiani, parliamo di Cristo e poi…

Pinuccia B.: Bisogna proprio seguire parola per parola  il parlare di Cristo e non soltanto tener presente il suo messaggio globale; cioè lasciarci condurre proprio da Lui seguendo progressivamente le Sue Parole, che sono proprio una scala.

Luigi: Egli infatti dice: “sarete veri Miei discepoli se resterete nelle Mie Parole. Camminate dietro di Me… ancora per poco la Luce è con voi… camminate”. È tutto invito a camminare con Lui. E cosa vuol dire camminare con Lui? Vuol mica dire andare in Palestina e cercare di vederLo là; ma   “camminate dietro di Me” è proprio seguire tutte le Sue parole cercando di capirle.

Pinuccia B.: E tener presente, come sempre lei ci fa osservare, che se siamo giunti a meditare queste parole, è proprio Lui che ci ha condotto, seguendo le Sue Parole.

 

Appendice (11/3/1983):

Se ho la possibilità di trovare in me un elemento oggettivo su cui far leva, ho la possibilità di uscire dal cerchio. Questo elemento oggettivo in me è Cristo con la Sua Parola che me lo fa trovare, perché dicendomi: “non potete venire”, mi rivela che la Verità Assoluta che è in me, è indipendente da me. Se Lui non parlasse, non scoprirei questa oggettività, ma esperimenterei solo la mia impotenza.

Dom.: Allora l’elemento oggettivo su cui far leva è l’oggettività della Verità in noi o è Lui (l’Altro) che parla a noi?

Luigi: è già la Parola di Dio che ci ha portati a scoprire questa oggettività della Verità. È Lui che dicendo: “Non potete venire” ci ha condotti a scoprire questa oggettività della Verità. È solo ascoltando Lui, quindi la scoperta di questa oggettività diventa per noi motivo di pace (la Verità non dipende da noi ma nemmeno la scoperta della sua oggettività dipende da noi).

Dom.: In che modo, rivelandoci l’oggettività della Verità, Gesù ci apre la via per giungere ad essa?

Luigi: Perché è già la Sua Parola che ci ha portati a scoprirla. La via quindi è Lui stesso che parla, se noi Lo ascoltiamo; la via è far leva sulla Sua Parola, far leva sull’oggettività della Verità che la Sua Parola ci ha fatto scoprire.

Dom.: Cosa vuol dire far leva sull’oggettività della Verità?

Luigi: Vuol dire riposare in essa; riposare vuol dire contemplare questa oggettività, cioè guardare da essa. Anche se non abbiamo ancora raggiunto la conoscenza della Verità, ci è possibile guardare da essa, da questa sua oggettività. Contemplare l’oggettività della Verità, questo ci dà la possibilità di guardare da-.

Dom.: Ma allora far leva su un elemento oggettivo non vuol dire lasciarci condurre da esso?

Luigi: Ci siamo lasciati condurre, se no non avremmo scoperto questo elemento oggettivo, cioè non avremmo scoperto l’oggettività della Verità. Far leva su, vuol dire allora riposarci in essa, contemplare, guardare da-. È la base per costruire…

Dom.: La possibilità di pensare Dio è il più grande tesoro; ma come mai non è sufficiente per liberarci e raggiungere la Verità?    Anche satana pensa Dio, ma….

Risp.. È un tesoro che possiamo però perdere, perché le nostre scelte personali, i prodotti del nostro io (tutte opere non compiute, cioè non raccolte in Dio), controbilanciano l’attrazione dell’Assoluto che è in noi (anche satana ce l’ha) e ci impediscono così la dedizione al Pensiero di Dio fino a quel punto che è necessario per entrare nella conoscenza; perché diventiamo figli delle nostre opere che pesano su di noi e col loro peso ci ricacciano sempre indietro e ci impediscono la dedizione fino a quel punto necessario. L’attrazione per l’Assoluto si sente, ma  non si arriva mai alla conoscenza, al riposo nel Pensiero di Dio, perché per il peso delle nostre opere torniamo sempre indietro. “Se vuoi avere la vita eterna, va, vendi tutto e segui Me”. Ecco, bisogna lasciare. E lasciare, vendere tutto vuol dire dedicarci al Pensiero di Dio, dedicarci a portare tutto a compimento nel Pensiero di Dio, raccogliere tutto in Dio. Fintanto che ho la possibilità di vendere tutto per dedicarmi a-, ho la possibilità di continuare in questo cammino verso la conoscenza; se no, a poco a poco finisco di perdere questo tesoro: la possibilità di pensare a Dio, o meglio, di riposarmi nel Pensiero di Dio (cfr. il giovane ricco), cioè di riportare tutto a Dio, di amare quindi.

Il pensare a Dio e non poterci fermare in questo Pensiero è l’inferno; e l’inferno lo esperimentiamo fintanto che siamo su questa terra.

Non dobbiamo pensare a noi stessi, se no ci carichiamo di paura, ma far conto su Dio (“anche se tremo di paura, Signore, faccio conto su Te”) e impegnarci nell’essenziale, riportare tutto a Dio.


Voi mi cercherete, e non mi troverete; e dove sono io, voi non potrete venire. Gv 7 Vs 34 Quindicesimo tema.


Titolo: Oggettività del Pensiero di Dio in noi.


Argomenti:


 

13/ Marzo /1983


Gv. 7, 34: “…non Mi troverete”. “Cristo parlando mi porta a scoprire l’oggettività del Pensiero di Dio presente in me, quindi quando penso Dio non sono io che Lo penso, ma è il Pensiero di Dio in me che si presenta: posso pensare Dio solo col Pensiero di Dio”.

 

Pinuccia B.: È determinante questa scoperta di un elemento oggettivo in noi, a cui le parole di Gesù “non potete venire” ci hanno condotto, perché facendo leva su questo elemento oggettivo abbiamo la possibilità di superare il nostro soggettivismo e raggiungere il campo dell’oggettività che è certezza.

Luigi: La luce eterna, la pace viene a noi proprio attraverso l’oggettività. Fintanto che noi portiamo in noi il pensiero del nostro io, del nostro io che pensa, anche nei riguardi di Dio, Dio per noi non è un motivo di pace; per noi Dio non è motivo di certezza. Allora questo dubbio può diventare un dubbio eterno da cui noi non possiamo uscire: noi da soli non ne usciamo, perché: “Dove Io sono, voi non potete venire”: dove Io sono, cioè in questa pace, in questa contemplazione, voi non potete venire. Abbiamo visto anche il motivo per cui noi non possiamo andare, cioè il motivo per cui non possiamo uscire da questa soggettività, anche nei riguardi di Dio. Apparentemente dovrebbe bastare il filo d’erba (è oggettivo, non l’ho fatto io). Ma ad un certo momento nemmeno il pensiero dell’esistenza stessa di Dio ci può dare pace, perché il nostro io può offuscare anche il Pensiero stesso di Dio in noi, cioè lasciarci nel dubbio (sono io che Lo penso o…). Non Lo possiamo annullare, perché nemmeno satana può annullare Dio, però ci permane il dubbio, per cui non possiamo riposarci, non possiamo avere quella certezza che dà pace.

Eligio: Gesù dice: “Cercate il pane che il Figlio dell’uomo vi darà, perché in Lui il Padre ha posto il suo sigillo”. Se la sua Parola ha il sigillo del Padre, quella è un segno oggettivo, ma non è sufficiente.

Luigi: Certo. Tutto è segno oggettivo: basta il filo d’erba!

Eligio: Hai detto la volta scorsa che le affermazioni oggettive dell’uomo non valgono perché sono di pertinenza al campo filosofico.

Luigi: Il campo filosofico è un campo umano; anche il campo filosofico rientra nelle grandi opere di Dio, quindi è un argomento umano e come tale deve essere considerato. Però non è detto che quello che la filosofia dice oggettivo, sia veramente oggettivo. Gli universali, le idee universali, a cui tu hai accennato, sono estrapolazioni di esperienze, di conoscenze nostre. Siccome in noi abbiamo la passione dell’assoluto, proprio per questa passione dell’assoluto, noi siamo portati ad universalizzare tutto. Ad esempio in campo geometrico, la retta. La retta in realtà non esiste; la retta, cioè tutto questo susseguirsi di punti all’infinito, non esiste; le parallele, in realtà, non esistono. Però noi siamo portati ad assolutizzare, cioè ad universalizzare, per cui diciamo: questo è all’infinito. Come mai noi abbiamo la possibilità di trasformare un fatto osservato nei limiti (ad es. due cose che mantengono la stessa distanza per un certo tempo o in un certo spazio) al di là dei suoi limiti e di vederlo all’infinito? Per cui teorizzo e dico: in assoluto questo è… e faccio la regola. Ora, perché questo? Appunto perché in noi abbiamo questa passione dell’assoluto che tende ad universalizzare tutto. Ora se noi le cose le considerassimo soltanto nei loro limiti finiti, non ci sarebbe niente di male. L’animale considera ogni cosa nei limiti finiti. Ecco, si muove in questi limiti e non c’è niente di male. Il male in noi viene in quanto tendiamo a rendere assoluto quello che è relativo. Ora proprio perché tendiamo a rendere assoluto quello che è relativo, universalizziamo tutto, cioè tendiamo praticamente a rendere assoluto quello che è relativo, universalizziamo tutto. Cioè tendiamo praticamente a rendere assoluta ad esempio la creatura, il denaro, una nostra esperienza. Ho fatto l’esperienza di una cosa e dico: “tutto è così”. Cioè universalizziamo la cosa. Quello che è stato valido un certo giorno, un certo tempo io non debbo universalizzarlo. Ora come mai invece c’è questa passione? Proprio perché in noi portiamo la passione dell’assoluto, tendiamo a rendere assoluto.

Parlando in assoluto ci sobbarchiamo ad una fatica enorme per cercare di rendere assoluto quello che assoluto non può essere. Amo una creatura? Tendo a voler questa creatura assoluta come Dio. Siccome questa creatura non può essere assoluta come Dio, mi sobbarco ad una fatica infinita, in cui logoro tutta la mia vita, per tendere a renderla come Dio, mentre invece non può essere Dio.

Eligio: Nel campo della conoscenza umana, però certe affermazioni hanno un carattere oggettivo, ad esempio un sillogismo la cui conclusione è: il dottore è un uomo.

Luigi: E anche nel campo della conoscenza umana, quando hai detto: “è un uomo”, che cosa hai dici? Noi non sappiamo che cosa sia un uomo; così anche quando parlo di cane, di filo d’erba… non so cosa siano; sono tutte conoscenze relative, cioè non mi possono dare pace, non sono un luogo di pace. Il luogo di pace è là dove io ho una conoscenza che non dipende da me, che non dipende dal mio pensiero, su cui posso costruire, cioè ho una pietra su cui posso edificare un edificio, indipendente da me. Allora mi riposo in quello, perché  non dipende da me! Ma in tutto quello che dipende da me o dalle mie conoscenze, essendo relative a me, siccome il mio io non è una verità giustificante perché non crea niente, tutto quello che conosco in relazione al mio io mi lascia nel dubbio, non mi dà pace, perché il mio io non crea, non è Creatore. Cos’è che mi dà pace? Noi diciamo: è la Verità che mi dà pace, la conoscenza della Verità. Ma perché? Che cos’è questa Verità che dà pace? Dà pace perché in essa posso giustificare tutto. Quindi è soltanto Colui che è Principio Creatore che ha in Sé la ragione di tutte le cose.

Eligio: Ma l’uomo non conosce questo Principio Creatore, pur credendo in Lui, e quindi non conosce le cose da Lui fatte. Le potrebbe conoscere solo partendo da Lui.

Luigi: Certo, vedi allora che confermi che c’è questa impotenza dell’uomo a conoscere la Verità? Cioè l’uomo ha fame di Verità, ha fame di Assoluto e si trova però contemporaneamente nell’impotenza di giungere a trovare la Verità, a trovare l’Assoluto. E tutti quegli assoluti su cui Lui punta, scambiandoli per l’assoluto, diventano dei luoghi sbagliati.

Eligio: Ma allora tu fai sinonimo tra l’Assoluto e l’oggettivo?

Luigi: L’Assoluto per essere assoluto deve avere questa caratteristica: deve essere indipendente dal mio pensiero, indipendente dal mio io, appunto deve essere oggettivo. Precisiamo i termini: soggettivo è quello che è in relazione al mio pensiero; oggettivo è quello che è indipendente dal mio pensiero. Ora soltanto ciò che è indipendente dal mio pensiero diventa per me un luogo di pace; in caso diverso no. Tutto quello che è in relazione al mio pensiero, quindi anche Dio in quanto io Lo vedo in relazione al mio pensiero, non è per me un luogo di pace, non può essere un luogo di pace. Perché? Perché siccome il punto fisso di riferimento è il mio io, cioè il mio pensiero, questo mio pensiero, non essendo creatore, non giustifica niente. Quindi siccome io non posso giustificare niente, non posso fare il filo d’erba (ad esempio), resto inquieto. Ho bisogno quindi di trovare un principio oggettivo, noi diciamo la Verità, la Verità in quanto tale; tale, ma indipendente dal mio pensiero. Un principio che non abbia il mio pensiero come punto fisso di riferimento per cui : “io penso, quindi sono”; no, è sbagliato. Perché allora io prendo come punto fisso di riferimento, di rapporto questo mio io; questo mio io non essendo creatore, mi mette in un dubbio eterno. Quindi io debbo derivare il mio io da quel Principio, non derivare quel Principio dal mio io. Io debbo derivare il mio io dalla Verità, non la Verità dal mio io; non debbo partire dall’uomo per arrivare alla Verità, ma debbo partire dalla Verità per arrivare all’uomo; non posso, ecco, partire dal relativo per arrivare all’Assoluto. Allora debbo partire dall’Assoluto. Ma se non ho la possibilità di arrivare all’Assoluto, è chiuso! non c’è niente da fare ed io mi trovo in questa impotenza: è quell’impotenza di cui parla il Signore: “Dove Io sono voi non potete venire”: dove Io sono, cioè in questa pace, in questa certezza, in questa conoscenza del Principio, cioè del Padre, voi non potete venire. Lì è esclusivo. Dico però: in questa affermazione di Gesù, ci deve essere (ed è quello che abbiamo visto l’altra domenica) una ragione illuminante, perché tutte le parole che Lui dice non le dice per escluderci. Qui, apparentemente, ci esclude, perché dice: “voi non potete venire”. Chiuso! Ora, tutto quello che Lui dice, invece lo dice per introdurci, quindi lo dice per salvarci, cioè lo dice per portarci nella sua pace; ma dov’è allora in questa affermazione l’offerta della sua pace? Abbiamo detto: l’offerta della sua pace sta in questo: proprio constatando la nostra impotenza verso la Verità, noi constatiamo che la Verità è indipendente da noi. La nostra impotenza ci fa toccare con mano che la Verità, l’Assoluto è indipendente: ma essendo indipendente è oggettivo.

Pinuccia B.: Io però non l’attingo quell’oggettivo lì.

Luigi: No, è la Parola di Dio che mi fa esperimentare questo. Abbiamo detto che è il Cristo (la Parola di Dio) che parlando ci introduce nel Paradiso Terrestre (cioè in questo luogo oggettivo). Se Lui non parlasse noi constateremmo soltanto l’impotenza, cioè ad un certo momento noi arriveremmo a dire, come molti sono arrivati a dire: “io ho cercato, non ho trovato; quindi la Verità non esiste”. Noi lo diciamo a parole: non esiste; però ci rimane sempre il dubbio, perché non possiamo avere la pace nemmeno in questo. Però noi arriviamo a dire questo. E non mi accorgo che anche lì faccio un altro errore: “io ho cercato, non ho trovato, quindi…”: ecco la deduzione che apparentemente sembra logica, oggettiva, e che invece è sbagliata, perché non sono io il principio della Verità, non sono io che cercando la posso trovare… Ecco qui allora la Parola di Cristo che mi illumina: “Mi cercherete, non mi troverete”. Cioè, la Verità non dipende dall’uomo. Si entra nel Regno della Verità non con la ricerca nostra, non per iniziativa nostra o per programmazione nostra, ma per donazione della Verità stessa. È la Verità che si dona.

Eligio: Ma perché non posso considerare oggettive certe affermazioni universali (ad esempio: il dottore è un uomo), non dico nel piano dell’Essere, ma nel piano della conoscenza umana?

Luigi: Non sono quelle conoscenze che ti fanno superare l’io, perché sono sempre conoscenze relative alla nostra esperienza; infatti noi non sappiamo cosa siano le cose in sé; non sappiamo che cos’è un uomo.

Eligio: Ma che cos’è un uomo io lo so solo partendo dall’Essere.

Luigi: Ecco! Il problema è questo! A noi interessa questa conoscenza, quest’oggettività qui. Perché quello che ci infirma è il soggettivo. Non sei convinto che ciò che infirma l’uomo è il soggettivo?

Eligio: Quello che infirma è indagare come creatura il campo del Creatore, perché siamo su piani diversi.

Luigi: No, la creatura è stata creata proprio per indagare il Creatore, per cercare il Creatore, perché porta la fame dell’Assoluto.

Eligio: Ma può conoscerLo solo col Pensiero del Creatore e partendo dal Creatore.

Luigi: Ecco! Può sbagliare luogo. Quindi quello che infirma la creatura è il luogo sbagliato. Se cerco stelle alpine in un campo di grano rendo vana e inutile tutta la mia vita: il luogo è sbagliato. Dovevo capire prima che il luogo era sbagliato! Questo infirma la mia vita. Non infirma la mia vita il cercare stelle alpine. Cioè, le stelle alpine e il campo di grano non infirmano la mia vita; sono validi tutte e due; il cercare le stelle alpine in un campo di grano, questo infirma la mia vita. Ma come mai c’è questo errore in me? Bisogna arrivare a capire questo: l’errore deriva dal pensiero di me stesso in quanto non guardo Dio, quindi ecco, vedi che cadiamo nel campo soggettivo? Cioè, noi staccati da Dio, andiamo a finire in luoghi sbagliati, cioè scambiamo l’Assoluto per le creature.

Eligio: Cioè della creatura faccio l’essere.

Luigi: Ecco, come mai si produce questo? Perché in noi c’è la fame di assoluto. Questa fame di assoluto però è cieca da sola, e allora se io non guardo Dio, questa fame di assoluto mi porta in luoghi sbagliati, ma sempre a cercare l’Assoluto. I luoghi non sono sbagliati di per sé. I luoghi sono sbagliati in quanto io certo l’Assoluto là dove l’Assoluto non può esserci. Quindi tutta questa opera del Cristo è quella di condurci a cercare l’Assoluto là dove l’Assoluto è, e non altrove, non in luoghi sbagliati. Quindi è tutto un processo di educazione per incentrare il nostro pensiero di creatura in quel luogo in cui l’Assoluto è; ma evidentemente quel luogo ci deve essere dato, in qualche modo ci deve essere dato, perché se non ci fosse dato, per noi sarebbe inattingibile nel modo più assoluto. Quel luogo è dato a noi!

Eligio: Quel luogo che è sede dell’Essere.

Luigi: Quel luogo che è sede dell’Essere, che è Padre del Figlio in noi! È in noi! Soltanto che noi abbiamo difficoltà a centrare il nostro pensiero su di Lui. Noi prima di centrare il nostro pensiero su questo luogo, ci rivolgiamo a tutti gli altri luoghi. Ora, l’opera del Cristo è quella di condurci a incentrare il nostro pensiero, la nostra attenzione in quel luogo preciso, da cui viene a noi la Luce. Noi esperimentiamo due fatti, abbiamo visto in questo v. 34, due fatti essenziali: la passione dell’assoluto e l’impotenza. La passione dell’assoluto che cosa ci ha rivelato? Ci ha rivelato la Presenza di Dio in noi. Cioè, abbiamo detto: la passione dell’assoluto che caratterizza l’uomo è un effetto della Presenza di Dio non conosciuto; cioè, Dio creando l’uomo, ha fatto dell’uomo la sua abitazione, senza l’uomo, per cui Dio abita nell’uomo anche senza l’uomo, cioè senza che l’uomo Lo conosca, prima che l’uomo Lo conosca. Per cui l’uomo porta con sé un mistero più grande di sé. Per la Presenza di Dio in noi, per la presenza di questo mistero più grande di noi in noi, noi portiamo in noi la passione dell’Assoluto dalla quale non possiamo assolutamente staccarci, perché questa passione dell’assoluto è costituita dal nostro stesso essere, che è dato dalla Presenza di Dio in noi. Noi non lo sappiamo. Io dico: “io ho la coscienza di essere”. Cos’è questa coscienza di essere? Questa coscienza di essere non è altro che la Presenza di Dio in te. Tu sai l’Essere, tu hai presente l’Essere, però non Lo vedi, perché per vederLo devi nascere da Lui. Fintanto che tu non nasci da Lui, tu non Lo vedi, però Lo porti in te, perché Dio ti ha creato senza di te, e avendoti creato senza di te, e quindi non cosciente della Sua Presenza in te, tu porti in te la passione dell’assoluto, cioè la passione di Lui; la passione di Lui che è ricerca, per cui la creatura cerca il Creatore. È passione di Dio la creatura! “Il nostro cuore è inquieto – dice S. Agostino – fintanto che non trova Dio, fintanto che non si riposa in Dio!” E perché è inquieto? Perché ricerca Dio in luoghi sbagliati, per cui è continuamente insoddisfatto. Perché ovunque uno si volge domanda: “sei tu il mio Dio? sei tu il mio Dio? sei tu il mio Dio?” e tutte quelle creature, quegli esseri, quelle manifestazioni, quei segni di Dio ai quali la creatura si rivolge chiedendo: sei tu il mio Dio? tutti rispondono: “No, io non sono il tuo Dio, cerca più in alto! No, noi non siamo il tuo Dio”. Quindi noi, dal momento che non siamo illuminati, perché portiamo la presenza di Dio in noi, ma non conosciamo Dio, noi scambiamo per Dio tutto quello che incontriamo. E a tutti quelli che incontriamo, se noi andassimo a fondo, se riuscissimo a vedere quello che noi diciamo ad ogni creatura, ad ogni notizia, ecc. che arriva a noi, noi scopriremmo che diciamo sempre questo: “sei tu il mio Dio? sei tu il mio Dio? sei tu il mio Dio? sei tu l’Essere?” Dicendo questo però incominciamo ad illuderci che questo veramente sia il mio Dio. Ad un certo momento quella creatura dice: “no, io non sono il tuo Dio, non posso essere il tuo Dio”. Me lo dice deludendomi, me lo dice morendo, me lo dice cambiando, me lo dice mutando, subendo tutti i condizionamenti, i limiti della creatura, del segno; per cui il segno si presenta apparentemente con le caratteristiche dell’Essere, della Realtà, e poi ad un certo momento diventa non più realtà, e mi dice quindi: “non sono io il tuo Dio”. E perché c’è la morte? Perché tutte le cose nascono e muoiono? Appunto perché debbono dire a noi: “noi non siamo il tuo Dio, cerca più in alto!”. Ma dove allora devo cercare? Ecco, vedi? A questo punto noi abbiamo esperimentato questa passione dell’assoluto che rivela la presenza di Dio, ma la presenza di Dio è Cristo che me la fa notare, e poi esperimento l’impotenza a trovare l’Assoluto. Ora questa impotenza a trovare l’Assoluto mi fa esperimentare l’oggettività di questo Assoluto, cioè l’indipendenza di Esso. Per cui l’Assoluto è presente in me ed è indipendente da me. Adesso dobbiamo tirare le fila, da questi due termini: cioè, l’Assoluto, Dio, è presente in me, ed è indipendente da me.

A questo punto noi non possiamo fare altro che dedurre, perché col pensiero del nostro io certamente noi non possiamo conoscere Dio: l’Assoluto è presente in noi, è un concetto spirituale, ed è oggettivo: oggettivo, cioè, è indipendente da me, indipendente da me vuol dire che è presente in me ma non dipende dal mio pensiero, cioè non dipende dal pensiero del mio io e non dipende da tutto ciò che io posso pensare, da tutti i pensieri che posso avere. Tu capisci che se Dio è presente in me, ma non dipende da nessun mio pensiero (il mio io non è fatto di altro che di tutto ciò che io posso pensare), cioè non dipende da tutto ciò che io posso pensare: a questo punto mi resta soltanto un principio solo: è il Pensiero stesso di Dio, cioè: l’Assoluto si rivela soltanto nell’Assoluto, Dio si rivela soltanto in Dio; cioè posso conoscere Dio soltanto pensando Dio e in nessun altro modo, perché Dio è presente in me, ma non dipende da me: allora sono io che debbo dipendere da quello! Soltanto nella misura in cui dipendo da quello, posso attingere quello.

Nino: In pratica si tratta di scoprire la nostra relatività e chiederci: come posso io finito avere un pensiero infinito? Ecco l’obiettività…

Eligio: Questo Pensiero è Dio che ce l’ha dato e ce lo troviamo in mezzo a tanti altri pensieri. Ma avere questo Pensiero non è sufficiente perché io pensi Dio.

Nino: Ma è Dio che si fa pensare da me.

Luigi: Comunque il tema è questo: avendoci fatto toccare con mano che Dio è presente in noi e che è indipendente da noi, dà a noi una possibilità: la possibilità di agganciarci ad un dato oggettivo indipendente da noi. Io l’ho toccato con mano, mi ha fatto toccare con mano che Dio è presente in me senza di me, indipendente da me. Ma allora ho un dato! Un dato su cui posso costruire tutto: è il Pensiero di Lui!  che è indipendente da me! Allora il problema non è “lo scoprire Dio”, ma è scoprire quello che sono io in Dio, è scoprire quello che è relativo a Dio, perché Dio è presente. Il problema adesso è: Dio è presente in te obiettivamente, indipendente da te. Indipendente da te! Ma allora ho trovato un dato oggettivo! È la Parola del Cristo! Qui mi ha fatto trovare un dato oggettivo! È la Parola del Cristo! Da solo non l’avrei trovato certamente. È la Parola del Cristo che, parlando a me, mi fa toccare con mano ciò che è oggettivo. Senza di Lui io non l’avrei toccato; con Lui lo tocco. E dico: proprio scoprendo la mia impotenza, scopro l’indipendenza di quello che io cerco, da me; ma scoprendo l’indipendenza da me, di quello che io cerco, ho trovato tutto, cioè ho trovato il punto fondamentale sul quale io posso edificare il mondo oggettivo.

Eligio: Indipendenza come Essere, non come conoscenza, no?

Luigi: Indipendente da me come Essere, ma come principio oggettivo di conoscenza. Perché il problema grosso per noi, per ogni creatura, per gli angeli come per gli uomini, il problema grosso è quello di uscire dalla soggettività, perché la soggettività può infirmare tutto, anche Dio: non Dio in Sé, ma Dio nella nostra anima può essere infirmato dal pensiero del nostro io. Ora, infirmando col pensiero del mio io il Pensiero di Dio che porto in me (infirmarlo vuol dire: sono io che penso Dio), io divento soggetto di dubbio eterno, da cui non esco, non posso uscire, perché sono figlio di questo, per cui l’uomo che fa il male, da solo non può più uscirne; l’uomo non può perdonarsi da solo; ha bisogno dell’Altro; l’Altro lo può perdonare, ma l’uomo da solo non si perdona, non si può perdonare, non esce dal suo male.

Eligio: Allora l’uomo che fa il male è l’uomo che pur avendo in sé il Pensiero di Dio, trattiene in sé tutti gli altri pensieri tranne quello di Dio.

Luigi: Sì, l’uomo addirittura fa del Pensiero di Dio un prodotto del suo io dicendo: questo Dio che è Creatore di tutte le cose, sono io che Lo penso: a questo punto l’uomo ha il dubbio su tutto. Ora da questo dubbio che è prodotto del mio io, io non ne posso uscire assolutamente: mi chiudo in un cerchio da cui assolutamente non ne posso uscire. È l’impotenza dell’uomo! Dicevamo prima che sull’entrata del Paradiso Terrestre troviamo questo Angelo con la spada di fuoco che impedisce l’accesso. Ora che cosa rappresenta questo Angelo? Rappresenta le condizioni per entrare in compagnia di Dio, nell’ascolto di Dio, cioè nell’ascolto in quanto io creatura ascolto Lui che parla a me: non io che parlo a Lui, ma Lui che parla a me! Ma cos’è che mi impedisce di entrare in questo rapporto: Lui sta parlando con me, non sono io che parlo a Lui, per cui quando prego non sono io che parlo, ma io sto ascoltando Lui che parla a me?   Ma quando posso essere sicuro di questo? C’è l’Angelo che mi dice: qui (in questa sicurezza) si entra soltanto superando il pensiero del proprio io. Ma per superare il pensiero del mio io ho bisogno di un Altro, perché da me solo, per quanto io faccia dei salti mortali, non mi libero dal pensiero del mio io, e non mi libererò mai, eternamente non mi libererò; perché questo è creatura di Dio, non posso annullarmi. Quindi per superarmi ho bisogno di un altro (Dio), ma per vedere l’Altro, io debbo superare me stesso, e qui il cerchio è chiuso, non ne esco assolutamente; sono impotente perché per superare il mio io ho bisogno dell’Altro, per avere presente l’Altro devo superare il mio io, io di lì non ne esco, non ne posso uscire.

Pinuccia B.: Chi mi farà uscire è la Parola del Cristo vero!

Luigi: L’ho detto: è soltanto la Parola del Cristo che arriva a me, cioè è la Presenza di un Essere: non basta la Parola! Un Essere! che entra nel mio cerchio chiuso; quindi che assume la vestigia di un essere (la vestigia: un corpo), attraverso cui mi fa arrivare quella Parola che ad un certo momento mi fa passare dall’altra parte.

Pinuccia B.: E che è questa parola che oggi stiamo meditando.

Luigi: Che è questa.

Rina: Cioè, un Essere del cui Pensiero in me deve esistere il pensiero.

Luigi: Ma quello mi è dato! Mi è già dato prima, senza di me. Però io porto con me Dio, ma non mi basta, perché questo non mi libera dal pensiero dell’io, perché ad un certo momento dico: sono io che penso Dio, ed ho un dubbio…

Eligio: E invece solo con il Pensiero di Dio posso pensare Dio e non con il pensiero con cui penso le creature.

Luigi: Si capisce. Però tu questo lo afferri soltanto in quanto c’è Chi viene dall’Alto che te lo fa constatare, altrimenti tu non lo constati. Soltanto Colui che viene dall’Alto ti può far constatare questo, altrimenti da solo tu dici: “sono io che penso Dio, come penso l’albero, come penso la creatura, ecc.”

Pinuccia B.: Quindi l’elemento oggettivo è questa certezza: quando penso Dio non sono io che Lo penso.

Luigi: Sì, ma Chi è che la porta qui? Perché non basta che io glielo dica: ha bisogno di essere convinta; e ciò che la convince è questa Parola che le dice: “guarda che tu non puoi, sei impotente”. Effettivamente io sono impotente. Ecco: “Mi cercherete e non mi troverete”, “dove Io sono voi non potete venire”: ma lo constatiamo tutti, lo constata tutto il mondo, tutti gli uomini constatano questa impotenza. Ma Cristo non viene per farmi constatare la mia impotenza, non viene per scacciarmi, non viene per giudicarmi, non viene per distruggermi. No, ma viene per salvarmi; ma salvarmi cosa vuol dire? Portarmi a conoscere, cioè portarmi dove Lui è; tanto è vero che noi sappiamo le parole successive, dove Lui dirà: “Io vado a prepararvi un posto affinché dove sono Io siate anche voi”, quindi anche questa parola deve essere vista in quella luce: deve essere rivelatrice di un qualche cosa di positivo; quindi non debbo fermarmi al “tu non puoi venire, sei escluso! via! Il campo dell’assoluto è escluso da te”. No! qui ci deve essere un aspetto positivo, ed è meraviglioso questo perché io esperimentando la mia impotenza nei riguardi dell’Assoluto, scopro l’oggettività dell’Assoluto in me, presente nel mio io. Ma se è presente nel mio io, allora io posso accedere a questo! ma posso accedere attraverso questa rivelazione che Cristo mi ha fatto. Allora è il Cristo che mi ha fatto fare il salto nel Paradiso Terrestre.

Eligio: Quindi il Pensiero di Dio nell’uomo non gli è sufficiente per dargli la possibilità di pensare a Dio?

Luigi: No, per questo deve passare attraverso la constatazione d’impotenza, e non basta ancora.

Eligio: Non è sufficiente, però è condizione necessaria.

Luigi: È condizione necessaria. È necessaria la presenza del Verbo Incarnato che, sempre nella sua intenzionalità (la sua intenzione è quella di portarmi in cielo, e quindi di riaprirmi quella porta, quel cielo chiuso, che si era chiuso) mi dice: “non puoi venire dove Io sono”. La sua intenzione è portarmi a quel “Dove Io sono”, per cui Lui si è vestito di una presenza umana, perché io la Presenza Divina non posso coglierla. Quindi si è vestito di una presenza umana. Allora la presenza umana è in relazione al pensiero del mio io; ma in questa presenza umana, “corpo”, Lui parla come Figlio di Dio, ed è la Parola del Figlio di Dio, questa, che mi fa fare il salto. Per cui io attraverso l’aggancio della sua presenza fisica (presenza, dico, perché ho bisogno dell’Altro, perché senza l’Altro io non esco dal pensiero di me stesso), sono condotto alla sua presenza spirituale.

Eligio: Allora Cristo si incarna, prende una presenza che è in relazione al pensiero del mio io, perché io abbia la possibilità di pensare Dio col Pensiero di Dio?

Luigi: Si capisce, certo.

Eligio: Quindi la Sua presenza fisica deve partire dal pensiero del mio io.

Luigi: Certo, perché io sono chiuso nel soggettivismo. E questo al fine di farmi prendere consapevolezza che in me c’è il Pensiero di Dio. Questo è essenziale. Cristo discende nel pensiero del mio io, cioè si fa figlio dell’uomo. Capisci il concetto del figlio dell’uomo?

Eligio: È affinché l’uomo capisca che ha in sé il Pensiero di Dio?

Luigi: Si capisce, certo.

Zina: Ci aggancia.

Luigi: Ci aggancia, altrimenti noi da soli non possiamo. E noi siamo sempre soli anche se abbiamo attorno a noi dei miliardi di uomini, perché nei miliardi di uomini vedo sempre soltanto il mio io, perché sono soltanto uno specchio del mio io; gli uomini non mi parlano il Verbo di Dio, per cui gli uomini non fanno altro che confermare il mio io; tutti danno ragione al mio io, perché sono altrettanti io. Quindi io avessi anche attorno miliardi di uomini sono solo, sono chiuso nel pensiero del mio io, sono riconfermato nel pensiero del mio io; e in quanto sono confermato nel pensiero del mio io, io non posso accedere al regno dell’oggettività, cioè non posso entrare in questo paradiso di colloquio con Dio; colloquio con Dio nel senso di creatura che ascolta Dio: che ascolta Dio, non che parla con Dio.

Eligio: E perché diciamo: “il regno dell’oggettività” e non “il regno dell’Essere”?

Luigi: Sì, è la stessa cosa. Certamente è la stessa cosa; ma diciamo oggettivo perché siamo partiti dal fatto che quello che rovina l’uomo è la soggettività, cioè il pensiero del proprio io. Soggettivo è ciò che è in relazione al pensiero del mio io; oggettivo è ciò che è indipendente dal pensiero del mio io. Ho bisogno di trovare il campo dell’indipendenza dal pensiero del mio io per non infirmarlo col pensiero del mio io; perché il pensiero del mio io non è principio dell’Essere, ma è prodotto eventualmente dall’Essere; può diventare figlio dell’Essere, ma non principio dell’Essere. Ora tu capisci che fintanto invece che io vedo le cose in relazione al pensiero del mio io, sono nell’impotenza, perché ho un rapporto sbagliato.

Eligio: Insomma, finché io vedo le cose in relazione al pensiero del mio io, io non penso col Pensiero di Dio.

Luigi: Ma certamente, anche quando penso Dio, nota bene: anche quando penso Dio, anche quando prego Dio; per cui prego Dio, ma parlo io. Vado a trovare un amico, e anziché sentire quello che l’amico mi ha da dire, parlo tutto di me, e appena ho finito di parlare di me, mentre dovrei mettermi ad ascoltare quello che l’altro ha da dirmi, saluto e me ne vado. Io non ho fatto altro che riversare sull’altro tutto di me, ma non ho ricevuto niente dall’altro. Ora noi nei riguardi di Dio, anche quando preghiamo, facciamo lo stesso, siamo noi che parliamo e non ci mettiamo in posizione di ascolto. Ma fintanto che noi non ci mettiamo in posizione di ascolto, cioè facciamo silenzio e lasciamo parlare Dio, Dio non può riversare niente di Sé in noi; perché Dio riversa qualche cosa di Sé in noi nella misura in cui ci svuotiamo di noi e cioè facciamo silenzio su tutto e diciamo: Signore, parla che io ti ascolto, qualunque cosa tu mi dica io la prendo da te.  Allora qui abbiamo la creatura che sta ricevendo da: ecco, abbiamo il campo dell’oggettività. Ora noi entriamo in Dio, nella conoscenza di Dio, non per le parole nostre, cioè è Dio che parlando a me riversa in me Se stesso e quindi si fa conoscere. Quindi noi conosciamo Dio solo nella misura in cui riceviamo le parole di Dio, non in quanto parliamo noi a Dio, ma in quanto lasciamo che Dio parli a noi: parlando, Lui riversa Se stesso a noi. Ma la grande difficoltà è entrare in questo silenzio, in cui io taccio tutto di me, ignoro me, non mi conosco e lascio che sia Dio a parlare di Sé a me.

Eligio: Ma come è possibile non parlare di noi se non conosciamo Dio? Com’è possibile non parlare noi, nella preghiera, se non Lo conosciamo? Se posso ascoltare solo se mi svuoto di me, come faccio a svuotarmi di me se non conosco Dio?

Luigi: Soltanto se ignoro me stesso. Soltanto ignorando me stesso posso ascoltare. Non debbo pensare a me, e allora ad un certo momento Dio parlando a me, crea me, mi porta a conoscere me, quello che io sono in Lui; ma questo è tutta opera sua; qui abbiamo una nascita nuova, abbiamo un io nuovo che nasce da Dio, ma per opera di Dio, cioè per opera dell’ascolto di Dio; è un io tutto diverso da questo io che si sbrodola tutto addosso.

Nino: Ci pare difficile, ma c’è gente che è arrivata a questo senza nessuna cultura.

Luigi: Non importa la cultura, non interessa. L’importante è che il suo io faccia silenzio. Non è un problema di cultura.

Eligio: Questo non toglie che questo concetto di oggettività sia difficile a captarsi… per esempio quando diciamo che nella preghiera non dobbiamo parlare noi…

Luigi: Cioè noi siamo arrivati al campo dell’obiettività (tu chiedi perché trattiamo il concetto di oggettivo) unicamente perché, abbiamo detto, quello che rovina l’uomo è il soggettivo, cioè è quello che è in relazione al pensiero del nostro io. Dico questo perché satana si è rovinato da questo. Ora il pensiero del nostro io può diventare un satana; ognuno di noi, ogni pensiero dell’io può diventare un demonio. Ora in che cosa consiste questo? La caratteristica del demonio è questa: che non può conoscere Dio, cioè non può trovare pace in Dio; non trova pace, non c’è luogo di pace per lui. Perché? Perché è tormentato da un dubbio; questo dubbio può ricadere su ognuno di noi. E il dubbio è questo: è Dio che pensa a me o sono io che penso Dio? E tu non ne esci, da solo non ne esci.

Eligio: Ma il peccato di satana, cioè il “non serviam” non è ben più grave che affermare la propria soggettività? Cioè il non riconoscere Dio come Creatore e se stesso come creatura?

Luigi: Certo, si capisce, ma è proprio questo il peccato del soggettivismo; il “non serviam” è la stessa cosa, è il soggettivo: “sono io che penso Dio”. Cosa vuol dire non riconoscere il Creatore?

Eligio: Vuol dire: sono io che sono Dio.

Luigi: Quindi è la stessa cosa.

Nino: Basta guardarci attorno per vedere la rovina a cui ci porta l’io (suicidi, droga, omicidi, ecc.) Nel Pensiero di Dio queste cose non avvengono più.

Luigi: Se non c’è Dio, anche l’andare in Chiesa diventa una droga; tutto può diventare una droga, se non c’è Dio, se non c’è questo rapporto: io creatura taccio, lascio parlare Dio. Se non c’è quindi questo rapporto che è il rapporto autentico: Dio è Colui che parla, la creatura è quella che ascolta, tutto in noi diventa motivo di droga, anche le cose più sante: il lavoro, la famiglia, la casa, la Chiesa, la religione, la società, tutto diventa droga per noi, da cui non ne usciamo perché il Principio liberatore è soltanto Dio, ma Dio in questo rapporto: Dio è il Creatore, quindi Dio è Colui che parla, la creatura è colei che ascolta. Nell’universo c’è soltanto un Essere che parla: il Verbo  di Dio; tutta la creatura è sintetizzata nella Madonna. La Madonna è Colei che ascolta. La creatura è orecchio che ascolta, la disponibilità che ascolta: “sia fatto di me secondo la tua Parola”. Quindi la Madonna non parla; chi parla è il Verbo. Ora, la Madonna  rappresenta ogni creatura, cioè rappresenta ognuno di noi. Colui che parla nell’universo è il Verbo, non siamo noi a parlare. Fintanto che siamo noi a parlare, noi ci troviamo in luoghi sbagliati e quindi ci sbrodoliamo tutto addosso, perché non facciamo altro che riversare su di noi soltanto sempre il pensiero del nostro io, quindi non riceviamo da Dio, ci stacchiamo da Dio. Cioè, tutto è segno di Dio, però su questi segni di Dio noi riversiamo il pensiero del nostro io, e allora, tutto, anche le creature stesse di Dio diventano per noi motivo di distacco da Dio, cioè droga, un cerchio chiuso, da cui non ne usciamo: quindi l’impotenza. E non basta constatare, come si diceva la volta scorsa, che le creature ci avvelenano, non basta  constatare che ci suicidiamo, perché anche quando noi abbiamo constatato che la cosa è male, che ci fa male, noi non possiamo liberarcene, per cui siamo avvinghiati a questo male e non possiamo uscirne.

Nino: Vediamo che sbagliamo tutto, ma non possiamo trovare la via di uscita.

Luigi: Non possiamo assolutamente. La via di uscita dal nostro soggettivismo è l’ascolto… È uscito un titolo di un giornale con un titolo stupendo: “Qui nel silenzio cosmico potremo scoprire da dove noi veniamo”. Cioè, stanno costruendo in Abruzzo sotto il Monte Gran Sasso a 1550m. di profondità, delle cavità, stanzoni enormi dal prof. Zichicci, per cui dicono: “qui in questo silenzio cosmico, a 1500 m. sprofondati nella roccia, non più disturbati da niente, noi scopriremo da dove veniamo”: intesa spiritualmente la frase è stupenda, meravigliosa, ma contiene un errore enorme, perché possiamo dire che questo è un luogo sbagliato; questa affermazione è un luogo sbagliato. Spiritualmente è una cosa bellissima: perché nel silenzio cosmico, cioè nel silenzio di tutto, della creatura, noi scopriremo il luogo da cui noi veniamo: è quello che dice Cristo. Cioè quando la creatura fa silenzio di tutta se stessa e tutto l’universo tace, come dice l’Apocalisse: “ad un certo momento prima della grande rivelazione di Dio c’è un silenzio universale di mezz’ora”: tutto l’universo tace. È il silenzio che prelude alla grande rivelazione dell’Essere, alla rivelazione di Dio come Colui che è, come Colui che parla: il Verbo, quello che era in principio e che si rivela a noi. Noi stiamo andando verso il principio: quello che era in principio noi lo ritroveremo all’ultimo: “Ero Io che parlavo con te e tu hai capito niente”. Quindi la frase è vera nello spirito, ma intesa come l’intendono, nel campo della scienza, è un luogo sbagliato. Cosa vuol dire luogo sbagliato? Troveranno la delusione: non troveranno il luogo da cui noi veniamo, è pacifico: stanno cercando mele su un larice, non le troveranno.

Nino: Individueranno magari un’altra causa seconda e non faranno altro che spostare il problema.

Luigi: Certamente. Però vedi con quale facilità noi arriviamo, scivoliamo su dei piani sbagliati. È il pensiero del nostro io che ci fa dire: “Noi scopriremo”; no, tu non scopri niente. È Dio che ti fa scoprire. Allora stai attento ai luoghi sbagliati. Ecco, è tutto lì; perché evidentemente noi stiamo cercando all’esterno la Verità; ecco, qui il luogo sbagliato è questo: noi crediamo di trovare fuori di noi, all’esterno, la verità, il principio da cui noi veniamo. E qui abbiamo un errore fondamentale, perché la Verità tu non la puoi trovare fuori di te, perché la Verità è dentro di te. Allora lascia il mondo esterno; è inutile che tu ti agiti tanto a scrutare, ad analizzare il mondo esterno: più tu lo analizzi, più lo distruggi. Lascia il mondo esterno così com’è e rientra in te stessa. Però la Verità è in te ma è senza di te, è indipendente da te; quindi devi superare il pensiero di te stesso,  devi far tacere tutto di te e tutti i tuoi pensieri, cioè ad un certo momento ti devi isolare nel Pensiero di Dio perché la Verità ti verrà dal Pensiero di Dio che è in te; tra tanti pensieri che sono in te c’è anche il Pensiero di Dio: punta su quello! La Verità ti verrà da quello: dal Pensiero di Dio che è in te. Cioè ritornando all’esempio della cartolina o della lettera con l’indirizzo, noi abbiamo detto: con l’indirizzo io non riesco a vedere la vita, non riesco ad arrivare, se non ho dentro di me la pianta della città, la conoscenza della città. Ora dico: noi abbiamo la possibilità di conoscere la pianta della città. La pianta della città è già dentro di noi, cioè la città di Dio è già dentro di noi. Ecco, noi abbiamo la possibilità di studiare questa pianta della città; studiando questa pianta abbiamo la possibilità di recapitare la lettera. Cioè, conoscendo il Tutto io adesso posso riportare i frammenti nel Tutto. Cioè, soltanto dall’Alto si può discendere verso gli effetti e riportarli in cielo. Per questo, soltanto il Cristo, soltanto il Figlio di Dio che discende dal Tutto, cioè dal Padre (il mio Tutto, il nostro Tutto), soltanto discendendo dal Tutto verso la creatura, può prendere la creatura, effetto, coccio, frammento, e riportarla nel Tutto. Man mano che noi saliamo al Tutto, anche noi siamo fatti capaci di passare dagli effetti al Tutto: allora qui abbiamo il dialogo con Dio, restando sempre uniti a Dio.

Eligio: Quindi soltanto il Figlio di Dio Incarnato può dare a noi la possibilità di mettere in funzione il Pensiero di Dio che è in noi.

Luigi: Solo Lui, solo Lui! Perché “Nessuno può venire al Padre senza di Me”.

Eligio: Neanche il Pensiero di Dio in Sé? L’Essere, la Verità?

Luigi: Niente, no, perché noi siamo macchiati dai nostri prodotti, cacciati dal Paradiso Terrestre. Nel Paradiso Terrestre c’era questo, ma dal momento che è scattato qualcosa di autonomo, questo qualcosa di autonomo che è scattato, mi ha chiuso e mi ha fratturato, cioè io sono un frammento, ognuno di noi è un frammento, ma un frammento che non ritrova più il suo Tutto e non può inserirsi nel Tutto, perché soltanto Colui che ha presente il Tutto mi può riportare il frammento nel Tutto. Cioè Colui che ha presente il mosaico può prendere le tesserine che si sono perdute in mezzo al campo e reinserirle nel mosaico; avendo presente tutto il quadro può inserire ogni tesserina al suo posto; perché ha presente tutto il mosaico. Ma se io non ho presente tutto il quadro, tutte le tesserine in giro sono un caos, una confusione enorme: non riuscirò mai a ricostruire il quadro.

Eligio: Quindi le migliori pratiche di pietà se non tengono conto del Cristo, non possono darci la possibilità di pensare a Dio?

Luigi: Certo, è logico, perché “Senza di Me non potete fare niente”. Cristo l’ha detto apertamente: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”, e ancora: “Nessuno può salire in alto, cioè nel cielo di Dio, se non Colui che discende dall’Alto”. Lui discendendo dall’Alto non lascia mica l’Alto, non dimentica mica il Tutto, discende per noi. Allora Lui parlando a noi, frammenti, ci dice: “guarda che io so dove metterti, dove sistemarti nel quadro”. Ecco Lui ha la possibilità, perché Lui ha la visione del Tutto. Noi non abbiamo la visione del Tutto: noi ci agitiamo, ma per quanto ci agitiamo, siamo come un miliardo di scimmie che battono su un miliardo di macchine: per quanto battano non tireranno mai fuori la Divina Commedia. Ecco, ci vuole il Pensiero, ci vuole il Tutto presente.

Pinuccia B.: Quindi Cristo rivelandoci l’oggettività del Pensiero di Dio in noi, ci rimette nella situazione del Paradiso Terrestre, cioè di dialogo con Dio, di ascolto di Dio, che non è ancora la conoscenza di Dio, ma ne è la condizione.

Luigi: Certo. Col Cristo noi possiamo cominciare a dire: “Quando penso a Dio, non sono io che penso Dio; cioè, io penso Dio col Pensiero di Dio”. Qui ho un punto oggettivo in me! È lì la meraviglia! Ho un punto fondamentale in me: non è un pensiero mio il Pensiero di Dio, ma è Pensiero di Dio!  non è pensiero mio! È lì la grande distinzione! Perché noi nel pensiero del nostro io diciamo: “questo è pensiero mio”; così come io penso ad esempio un cane, un uomo, una donna, ecc., penso anche Dio: sono io che penso. Qui Cristo mi porta a scoprire: no, quando tu pensi Dio, tu lo pensi col Pensiero di Dio: è di Dio il Pensiero! non è tuo! E allora qui la cosa è molto diversa. Ho qui un elemento che non dipende più da me.

Pinuccia B.: Scoperto questo, si tratta d’imparare a far leva su questo elemento oggettivo.

Luigi: Si capisce, è logico.

Pinuccia B.: E incominciare a far leva su questo punto vuol dire raccoglierci in questo punto?

Luigi: Tu puoi incominciare a guardare da-, cioè cominciare a guardare da quel punto. Non è più un guardare a-, ma un guardare da-. Far leva è guardare da-. Cfr.. “Mandala dal cielo Tuo santo e dal trono della Tua Maestà” : mandala da-. Ecco, questo venire da-. In un primo tempo noi stiamo guardando a-, ma ad un certo momento, qui, avendo trovato un dato oggettivo, cominciamo a guardare da-. Bisogna imparare a guardare da-, e sempre con l’assistenza di Cristo, il Figlio di Dio che mi muove e che mi fa vedere da quel punto. Però qui io non sono più solo, cioè c’è in me la Presenza di Dio, scoperta come Realtà oggettiva: è questo il fatto meraviglioso! È una Realtà oggettiva: non è una realtà pensata da me.

Pinuccia B.: È Gesù stesso.

Luigi: Sì.

 

Pensieri conclusivi:

Cina: Imparare a stare in silenzio.

Rina: Devo cercare la Verità sapendo che non dipende da me trovarla.

Luigi: Ma dipende da Dio; però Dio è in noi, e quindi soltanto in quanto guardo Dio. Però quello che è essenziale e di cui dovremo convincerci proprio bene è questo fatto: che la vera preghiera è ascoltare Dio che parla e non parlare noi; perché fintanto che parliamo noi, sostanzialmente non preghiamo, ma ci versiamo tutto addosso perché parliamo di noi; e questo non è pregare e allora non otteniamo niente. Quando invece noi entriamo in vera preghiera, tutto quello che ascoltiamo lo riceviamo: l’abbiamo già ricevuto!

Nino: Più supero il mio io, più faccio posto al Pensiero di Dio in me.

Giovanna: Stare in ascolto di Lui che parla.

Luigi: È molto difficile per noi restare in ascolto.

Eligio: Chiedo luce al Signore per capire questa oggettività che coincide con l’Assoluto per capire che l’oggettività che credevo potesse esistere in un piano inferiore di conoscenza rientra ancora nell’ambito della soggettività.

Zina: Tener presente l’importanza del Verbo Incarnato che scende al livello dell’uomo.

Luigi: Al livello del pensiero dell’uomo.

Zina: Ed è in questo modo che riesce a tirarlo fuori dal cerchio chiuso.

Luigi: Certo, se ha capito bene il cerchio chiuso, allora capisce bene l’Incarnazione, e quanto è importantissima l’Incarnazione.

Mariuccia: Lasciarmi condurre da Cristo.

Pinuccia B.: Tirando le fila dei dati che constatiamo in noi, arriviamo a scoprire la presenza dell’Assoluto in noi, e l’indipendenza da noi di questa Presenza.

Luigi: I due dati sono questi: la passione dell’Assoluto e l’impotenza. La passione dell’Assoluto rivela la presenza di Dio in noi; l’impotenza ci rivela l’oggettività di questa presenza.

Pinuccia B.: Per cui la conclusione da trarre è questa: quando penso Dio non sono io che Lo penso.

Luigi: Ma è Dio che si fa pensare.

Pinuccia B.: Posti questi due dati, deduco che è Dio in me che si fa pensare, Cristo ci ha condotti qui.

Luigi: Sì, è Dio che ci ha condotti qui.

Pinuccia B.: Però ora il problema è imparare a restare in ascolto (cioè a far leva su questo); ascolto che vuol dire guardare da questo punto oggettivo e non muovermi da questo.

Luigi: Ascoltare è guardare da-; perché nell’ascolto si ascolta la Parola dell’Altro. Ascoltando la Parola dell’Altro, ecco, si guarda da-.

Pinuccia B.: E allora non sono più io che penso, perché vedo dal punto di vista suo.

Luigi: Si capisce. È Dio che mi fa pensare…

Pinuccia B.: Il difficile è restare lì. Quindi il punto su cui far leva per uscire dal nostro soggettivismo è sempre la Parola del Cristo o è ciò che mi ha portato a scoprire adesso “questa” Parola del Cristo? Perché tanto è oggettiva la parola, la presenza del Cristo quanto è oggettivo il Pensiero di Dio in me.

Luigi: Devo far leva su… perché quello che mi ha portato a scoprire la Parola del Cristo, è questo Pensiero di Dio in me, che è in me senza di me, quindi oggettivo in me e che io non posso attingere col pensiero del mio io. Per cui, fintanto che io parto dal pensiero del mio io, non attingerò mai quello. L’attingo proprio facendo un salto: dal pensiero del mio io a quel Pensiero là, quindi partendo da Dio, cioè partendo da Dio Creatore: Dio crea, io ricevo, ad un certo momento ricevo anche il Pensiero di Dio in me. Io sono creatura che sta ricevendo. Il Creatore è Colui che sta donando. Tra tutto quello che ricevo, ricevo anche il Pensiero di Dio. Ma il Creatore è sempre Dio. Quindi tutto quello che hai tu, lo hai ricevuto dal Creatore, tutto, anche il Pensiero di Dio; quindi non attribuirlo a te, non attribuire niente a te, allora sei in posizione di ascolto.

Pinuccia B.: Ma il cerchio allora è già aperto lì.

Luigi: Ma è Lui che l’ha aperto, mica io.

Pinuccia B.: È la sua Presenza incarnata; Lui che parlando mi ha portato a scoprire l’oggettività del Pensiero di Dio in me.

Luigi: È Lui, appunto. Quindi stiamo attenti a non sottovalutare la cosa, perché Lui apre, e noi diciamo: “è facile questo”. E già! Ma prova un po’ ad arrivarci da solo! Se tu non hai ascoltato Lui, tu non arrivi mica a quello. Noi siamo creature, Lui è il Creatore. Se Lui è il Creatore, tutto quello che noi abbiamo, l’abbiamo ricevuto da Lui. Anche il Pensiero di Dio in noi, l’abbiamo ricevuto da Lui, quindi non è prodotto nostro; è da Lui, come il filo d’erba, come l’albero, ecc., anche il Pensiero di Dio l’abbiamo ricevuto da-, viene da-.

Pinuccia B.: Se non tengo presente questo, finisce di essere infirmato dall’io anche il Pensiero di Dio e allora è finito tutto.

Luigi: Resta infirmato tutto, tutto. E allora sono io che penso, sono io che…, ecc., è finito! Non ho più un dato su cui edificare qualcosa, e allora entro nel caos.

Zina: Quand’è che cessiamo di assolutizzare le cose? Quando usciamo dal cerchio, grazie all’ascolto del Cristo, oppure avviene ancora prima?

Luigi: Questo processo di assolutizzazione ci può condurre all’inferno; ma se invece incontriamo il Cristo e seguiamo il Cristo, possiamo uscire…

Zina: Però questa fine dell’assolutizzazione delle cose relative deve precedere o è postposto all’uscita dal cerchio?

Luigi: È postposta. Noi prima passiamo attraverso tutti questi errori di assolutizzazione; dopo cessa questo processo di assolutizzazione, perché guardando le creature da Dio, esse diventano tutte segni di Dio; non c’è più il rischio di assolutizzarle. A questo punto non c’è più niente dell’universo, del mondo, di quello che dicono gli uomini che possano portare via la creatura, perché tutto quello che le arriva lo riceve da Dio, lo vede come segno di Dio, e cerca lo Spirito di Dio in tutto; ma quando cerca lo Spirito di Dio in tutto è in preghiera in tutto; non c’è più nulla che la porti via dal Pensiero di Dio. La creatura corre il rischio di essere portata via dalle cose del mondo, dagli uomini, dalle parole degli uomini, fintanto che non è entrata in questo rapporto; ma come entra in questo, lei stessa è un lievito che a questo punto riesce a trasformare tutta la farina, fa lievitare tutto, perché qualunque cosa le accada, di bello, di buono, di santo e di malvagio, ecc., lei tutto assimila in Dio, perché tutto lo vede come mandato da Dio, come segno di Dio, come opera di Dio e cerca lo Spirito di Dio, e allora siamo a posto! Capisce? Sta già entrando nel cielo di Dio! anche la terra diventa un corpo appartenente al cielo di Dio.

Pinuccia B.: A questo punto non siamo ancora alla Pentecoste, ma riuniti nel Cenacolo in un solo Pensiero, no?

Luigi: Sì, si sta arrivando a questo unico luogo.

Pinuccia B.: Ma prima ci deve essere questa morte, questo silenzio dell’io, questo tacere di tutto il nostro mondo.

Luigi: Certo, altrimenti non c’è niente da fare.


Voi mi cercherete, e non mi troverete; e dove sono io, voi non potrete venire. Gv 7 Vs 34 Sedicesimo tema.


Titolo: Dio in noi indipendentemente da noi.


Argomenti: Le verità oggettive – Essere e conoscenza – Il roveto ardente – Il dubbio sull’oggettività di Dio – Il mondo che parla in noi – La purificazione del pensiero – Il paradiso terrestre – Superare il soggettivo – La vera giustizia del Figlio – Forza centrifuga e centripeta – La fede di Satana – Luogo e visione – I luoghi sbagliati della conoscenza di Dio -


 

14/ Marzo /1983


Pinuccia B.: sintesi dei pensieri dell’incontro precedente: Noi abbiamo bisogno di riposarci in una verità oggettiva, perché la pace ci viene solo da una verità conosciuta, dove non c’è il pensiero del nostro io. Quindi la conoscenza che dipende in qualche modo dal mio io non è un luogo di pace perché dipende dall’io.

Eligio: Ma c’è un campo dell’Essere e un campo della conoscenza. Il campo della conoscenza ha delle verità oggettive, il campo dell’Essere non ha delle verità oggettive, ha l’Essere. L’Essere ci dà la pace, le verità oggettive ci danno una certa tranquillità sul piano della conoscenza, ma non è la conoscenza dell'Essere, non è la conoscenza di Dio. Noi abbiamo bisogno di essere, non di conoscere. A me pare che dal piano oggettivo non passo all’Essere; dall’Essere posso passare al piano oggettivo. Io non riesco a convincermi che è il piano oggettivo che mi dà la tranquillità; è l’Essere che mi dà la certezza.

Nino: Il piano oggettivo ti mette nella disposizione di poter ricevere.

Eligio: Ma di per sé non mi risolve la certezza.  Mi è difficile far coincidere questa oggettività con l’Essere; per me c’è un’oggettività che non mi introduce sul piano dell’Essere e che però rimane oggettività. Comunque so che è Dio che ci conduce alla Verità.

Luigi: Cfr. art. “Le buisson ardent”: il roveto ardente. Al centro di questo roveto ardente si rivela l’Essere, Colui che è. Questo “buisson ardent” rappresenta tutto l’universo. Tutto l’universo è questo cespuglio che brucia, al centro del quale si rivela l’Essere.

Pinuccia: (Riassunto) L’uomo ha fame della Verità, però esperimenta l’impotenza a conoscere la Verità oggettiva, che gli darebbe la possibilità di conoscere quello che sono le cose in sé. Questa impotenza che l’uomo esperimenta viene illuminata dalla parola di Cristo, perché il Cristo dicendo: “voi non potete venire”, getta un fascio di luce su questa esperienza. Se non ci fosse la sua Parola noi la esperimenteremmo solo in modo negativo, quindi o ci chiuderemmo nello scoraggiamento o arriveremmo a dire: la verità non esiste oppure: è inaccessibile. Se Gesù ci dice: “voi non potete venire”, queste sue parole vanno intese nella sua intenzione che non è quella di giudicarci o di escluderci. Quindi alla luce della sua intenzione siamo condotti da Lui stesso a scoprire l’aspetto positivo di questa impotenza.

Nino: Io direi che quello che ci porta lì è proprio il suo dirci: “Senza di Me non potete fare niente”. Collegando questo con “Dove Io vado voi non potete venire” e “tutto ciò che è fatto diventa niente senza di Me”, queste cose  collegate mi aprono l’orizzonte.

Pinuccia B.: Però queste parole specifiche: “Voi non potete venire” ci mettono una realtà meravigliosa che può essere un punto di partenza per un cammino nuovo, che cioè ci rivela l’indipendenza della realtà oggettiva da noi pur essendo in noi.

Luigi: Ci rivela l’indipendenza  della Verità in noi,  pur essendo in noi. Quest’indipendenza rivela l’oggettività della Verità.

Eligio: Se Gesù non dicesse: “Non potete venire dove Io sono”  noi potremmo cadere nell’errore della soggettività della Verità?

Luigi: Sì.

Eligio: Se noi partissimo dalla Verità che è superiore a noi, che ci trascende, noi non potremmo cadere in questo errore, non ci sarebbe possibile. Se noi partissimo dalla giustizia essenziale, non potremmo mai cadere in questo errore. La giustizia essenziale non possiamo porla noi, né a livello della conoscenza, meno ancora a livello dell’Essere.

Nino: Nella giustizia essenziale tu sei già uscito dal soggettivo!

Eligio: Ma allora il problema che ci poniamo ora, che valore ha? Conferma se mai il problema attuale, conferma cioè l’oggettività della giustizia essenziale. Posto il problema della giustizia essenziale e posto il problema che Dio è il Creatore ed io sono creatura… non comprendo tutto questo problema dell’oggettività…!

Pinuccia B.: Ma noi riusciamo a restare in questa oggettività, in questo Pensiero? il problema è restare!

Eligio: In quanto al restare noi dobbiamo essere attratti da Dio Creatore, da questa Causa, quindi incontreremo Cristo che ci porta a questa Causa…

Pinuccia B.: …che ci fa uscire dalla soggettività, perché quello che ci impedisce di restare è la soggettività.

Eligio: Che cosa possiamo conoscere noi oggettivamente quando abbiamo riconosciuto che Dio è la Causa del nostro esistere, che cosa possiamo conoscere oggettivamente? Niente! Se io posso pensare Dio solo col Pensiero di Dio, o io baro oppure io non posso conoscere la Causa. Non posso conoscere Dio se non col Pensiero di Dio.

Luigi: Però debbo essere sicuro che questo Pensiero di Dio non dipende da me, che non sono io che Lo penso.

Eligio: Se io Lo pongo come Causa non può dipendere da me…

Nino: Ma allora hai già superato tutta quella fase lì!

Luigi: Il problema dell’oggettività è un problema grosso e lo si trova in tutti i campi e anche nella vita spirituale. Infirma molto! Uno dei dubbi più tremendi, anche in S. Giovanni della Croce, S. Teresa d’Avila…. S. Teresa d’Avila ha tribolato parecchio perché ha trovato sempre teologi e confessori che dissuadevano. Lei era convinta che fosse Dio a parlare in lei, e invece gli altri la dissuadevano. Ha tribolato parecchio fintanto che non è arrivata ad uno che ha confermato: “questo è Dio che parla in te”. Ora il dubbio grande… perché man mano che si ascolta Cristo, Cristo conduce a questo rapporto personale tra la nostra anima e Dio e ad un certo momento lì scatta fuori questa incertezza, questo dubbio: “sono io che penso, o effettivamente è Dio che parla a me”. Sono io che me lo immagino, sono io che fantastico, sono io che parlo o è lui che parla. Dove sono i confini, dove sono le frange tra queste ombre e queste luci? Dov’è la luce e dov’è la mia ombra?

Eligio: Però quando pongo questa domanda non sono più né nella giustizia essenziale, né nella consapevolezza, per quanto è dato di consapevolezza alla natura umana, dell’Essere. Se mi faccio quelle domande, direi che sono nel soggettivismo. E allora non esiste l’oggettività. Se l’oggettività vuol dire riconoscere l’Essere, vuol dire che posso pensare l’Essere soltanto col pensiero dell’Essere,  su questa oggettività, sul piano della conoscenza siamo perfettamente d’accordo, ma sul piano del riconoscere che l’Essere è, e io sono effetto dell’Essere, qui non vedo più il rapporto oggettività, soggettività.

Luigi: Tu stesso molte volte ti sei trovato di fronte a questo dilemma: ma se conoscessi la volontà di Dio! Se sapessi qual è la volontà di Dio! Vedi che resta il dubbio? Ora noi siamo proprio giocati da questa incertezza.

Eligio: Hai detto se conoscessi! Siamo sul piano della conoscenza! I dubbi non sono sul piano dell’essenza, ho dubbi sul piano della conoscenza.

Luigi: Certo! Ma è proprio questo dubbio qui che infirma la nostra vita, per cui ci rende deboli nelle nostre scelte. Perché: se conoscessi la volontà di Dio! E quando siamo incerti noi restiamo in balìa di eventi diversi, di volontà diverse, di segnalazioni…

Eligio: Incerti no. L’alcolizzato è certo che il vino gli fa male, eppure lo beve! Siamo su piani diversi!

Luigi: Ma anche lì: l’ubriaco è giocato dalla sua soggettività. Lui non si rende mica conto. Il drogato lo stesso!  E tanto o poco siamo tutti un po’ drogati, in quanto non abbiamo questa percezione netta della Parola di Dio, della Volontà di Dio, di Dio che parla. Che cosa rende noi incerti? Tutte le scelte che noi abbiamo fatto nella nostra vita, non le abbiamo mica abbandonate e ci giocano! Parlano in noi, pesano in noi! Ora, il peso proprio di queste scelte che abbiamo fatto confondono in noi la volontà di Dio, perché parlano in noi. Quindi c’è Dio che parla in noi ma ci siamo anche noi che parliamo! E noi parliamo per tutte le parole che abbiamo dette precedentemente senza Dio. Cioè tutto quello che noi abbiamo scelto senza tener conto di Dio, non è dimenticato, opera dentro di noi e parla dentro di noi e impedisce a noi di percepire la parola pura di Dio. Non siamo in quella situazione di purezza per cui faccio la giustizia essenziale e io percepisco l’Essere. No! Tu intellettualmente riconosci che l’Essere Assoluto…. Però all’atto pratico resti giocato dalle parole che senti dentro di te.

Eligio: Però  posso dire che quello che chiamo oggettività mi manca sul piano della conoscenza, ma sul piano della percezione dell’Essere non ho dubbi, che l’Essere è Dio e che io sono l’effetto.

Luigi: Certo. Io quando dico Dio è l’Essere, e la Causa…

Eligio: Poi la mia vita va a ramengo…

Luigi: Perché va a ramengo? Non dovrebbe andare a ramengo! In situazione di purezza c’è una semplicità tale per cui Lui è e io percepisco tutto da Lui!

Eligio: Sono le nature angeliche su questo piano, che possono agire in questo modo!

Luigi: Appunto! Allora vedi che noi siamo giocati da un soggettivismo. Noi siamo chiamati ad una natura angelica, sia chiaro! Però attualmente noi siamo giocati da questa soggettività, cioè da tutto questo carico che portiamo in noi di scelte fatte precedentemente senza tener conto di Dio, o per lo meno fatte non secondo quella causalità prima che è Dio, che è l’Essere Assoluto. Per cui quando dico una parola non secondo Dio, questa parola adesso dentro di me, eternamente me la porto, a meno che Dio me la assorba nel suo Cielo. Se me la assorbe nel suo Cielo allora questa è superato! Ma se non me la assorbe nel suo Cielo questa parola me la porto eternamente. E cosa vuol dire questo? Che tutte le volte che giunge a me una Parola di Dio si contrappone questa mia parola e impedisce a me di giungere alla conoscenza di Dio. Per cui io resto attratto da Dio ma resto ritratto, portato giù dalla mia parola, quella parola che non posso dimenticare. Per cui abbiamo sempre questo processo di tentativo di ascensione perché la passione di assoluto non possiamo annullarla e nello stesso tempo una forza contraria che mi porta giù perché l’altra parola mi infirma la Parola di Dio.

Eligio: Se teniamo presente il piano della fede che è un misto di oggettività nel senso che tu dici e di soggettività, quindi di debolezza che infirma quanto dall’Essere mi deriva….

Luigi: Questo è sul piano della fede. La fede però è movimento, cammino, cammino verso questa grande purificazione, cioè verso quel luogo in cui la nostra anima diventa talmente semplice… S. Agostino dice che Gesù è venuto a curare il nostro occhio che è malato per renderlo talmente limpido da percepire la luce. Il sole continua sempre a splendere, sia che il mio occhio sia sano, sia che sia malato, quello splende sempre, ma è il mio occhio che è malato! Il Cristo viene a curare il mio occhio per renderlo capace di sopportare la luce del sole e di guardare, di vedere la luce! Ora, attraverso la fede (se non crediamo niente da fare!) in cui c’è questa interferenza di oggettivo e soggettivo, c’è questo processo di purificazione dell’occhio fino a quel punto tale in cui il nostro sguardo diventa tanto semplice da poter riconoscere la Parola di Dio senza più l’interferenza delle nostre parole. Allora l’anima si riposa perché è certa: questa è Parola di Dio! Questo è Pensiero di Dio, qui è entrata nel campo oggettivo, cioè nel Paradiso Terrestre.

Eligio: Nel Paradiso Terrestre si attinge l’Essere?

Luigi: Certamente! Tutte le sere Adamo colloquiava con l’Essere.

Eligio: Allora perché lo chiami campo oggettivo? È nell’Essere.

Luigi:  Sì, appunto, non c’era questo carico del pensiero del nostro io (e delle cose che sono in dipendenza dal pensiero del nostro io) che impedisce a noi di ricevere da Dio quello che è di Dio, cioè di ricevere l’Essere, di riposarci nell’Essere. Com’è scattato un atto autonomo è finito il Paradiso Terrestre. Perché cosa vuol dire questa esclusione dal Paradiso Terrestre? Vuol dire incapacità di ascoltare la Parola di Dio oggettivamente, per cui si resta infirmati: è Dio che parla o sono io che parlo? È questo dubbio qui! Certo Dio esiste, ma nelle mie scelte pratiche devo tener conto di …. altrimenti io muoio di fame! Non dipendo tutto dall’Essere.

Eligio:  Il Vecchio Testamento che impegna molto l’io ha delle proposizioni che sono oggettive, direi dove non è che sia esaltato l’io e sia messo al posto di Dio, dove Dio è tenuto al suo posto e dove l’oggettività è salva. Mi pare che noi stiamo facendo delle confusioni tra l’oggettivo, l’Essere e il piano dell’io. Il Vecchio Testamento ha delle verità oggettive, pur tuttavia non dà la possibilità di percepire l’Essere e nello stesso tempo tiene a bada il soggettivo, tiene a bada l’io.

Luigi: Ma tu vedi che questo popolo in continuazione sbanda da tutte le parti e Dio deve intervenire per richiamarlo in continuazione. Eppure portava questo grande tesoro: “Io sono Colui che è”, ma nonostante questo non era sufficiente perché continuamente sbandava. Evidentemente non c’era quella oggettività, quella pace da potersi riposare in questa verità, perchè continuamente si è sbandati dietro tanti interessi, dietro tante lotte…: è il pensiero del nostro io, il pensiero del popolo. D’altronde il popolo stesso ebraico ha mandato a morte il Cristo proprio nel pensiero dell’io: “io sono il popolo eletto” e non ha potuto riconoscere il Verbo di Dio. Perché non l’ha potuto riconoscere? Eppure portava la rivelazione fatta da Dio a Mosè. Ha mandato a morte il Cristo in nome di Dio. Che cos’è che l’ha accecato a quel punto? Ecco, dicendo: io sono il popolo eletto, questo l’ha accecato. Qui c’è il soggettivo, il soggettivo che rende ciechi!

Eligio: Questo popolo ha fatto propria un’affermazione di Abramo, non per ragioni soggettive, ma per ragioni oggettive, di valore.

Luigi: Bisogna tener presente questo: il concetto di oggettività nasce dal concetto di soggettività, è la conseguenza. Dal momento che questo soggettivo può portare all’inferno (è il nostro peccato) ecco che salta fuori il problema dell’oggettività. C’è questa possibilità del superamento del soggettivo? Ora, evidentemente quando Gesù dice: “Dove Io sono voi non potete venire” stabilisce un certo rapporto; cioè: voi, chi siete voi? voi  nella vostra soggettività, nel pensiero del vostro io,  non potete venire dove sono Io. Dove Lui è? Lui è il Figlio del Padre, cioè Lui è in questa dipendenza pura, giusta, di Figlio del Padre. Lui riceve tutto dal Padre, riporta tutto al Padre. In Lui non c’è alcun dubbio, nel Figlio di Dio non c’è alcun dubbio, Lui si riposa in questa certezza: Dio è suo Padre. Per noi invece in questo rapporto non è possibile entrare. Ecco: “Dove Io sono voi non potete venire”, cioè voi non potete venire in questo rapporto di pura oggettività in cui Gesù riconosce che tutto in Lui viene dall’Essere, dal Padre. Per noi invece è terribilmente difficile poter riconoscere in questa purezza che tutto viene a noi da Dio.

Pinuccia B.: Cioè tutto di noi dovrebbe essere assorbito nel Cielo di Dio, tutto di noi.

Luigi: Certo!

Pinuccia B.: Però in questa situazione di soggettività abbiamo bisogno del Cristo. Lei diceva prima: dico una parola nel pensiero dell’io e magari sono attratta da Dio ma sono controbilanciata da questo.

Luigi: L’attrazione di Dio non la posso annullare. Costituisce l’inferno, perché non possiamo annullarla, però non possiamo seguirla.

Pinuccia B.: Non possiamo seguirla perché abbiamo tutti i prodotti del nostro io che ci tirano indietro.

Luigi: Abbiamo due forze: la forza centrifuga e la forza centripeta. Cioè la forza centrifuga è l’attrazione per Dio  e abbiamo l’attrazione centripeta che ci porta di nuovo indietro. Ad un certo punto proprio dall’equilibrio di queste due forze io comincio a girare su me stesso in modo circolare. Lei vede tutto l’universo è tutto fatto di cerchi ed è tutto segno. Ognuno di noi fosse capace a vedersi vede che è dominato da due forze: la forza centrifuga, cioè l’attrazione verso Dio, verso il sole e la forza centripeta, cioè il pensiero del nostro io. Dalla composizione di queste due forze nasce il moto circolare. Il moto circolare nasce dalla composizione di due forze. Ora se lei annulla la forza centripeta non può altro che proiettarsi in una attrazione netta e pura sul centro. Ma che cos’è che ad un certo momento mi costringe a girare su me stesso? Sono le due forze, la componente di due forze.

Pinuccia B.: Però lei ha detto una cosa molto importante prima, cioè ha detto: a meno che Dio non assorba nel suo Cielo tutti i prodotti del nostro io. Questo vuol dire il Verbo di Dio che prende su di Sé  tutti questi prodotti del nostro io?

Luigi: Li prende su di Sé nella misura in cui noi ascoltiamo Lui. Non li prende su di Sé automaticamente.

Pinuccia B.: Cioè ci fa capire che li prende su di Sé solo se noi Lo ascoltiamo.

Nino: Il male  diventa bene solo in Lui.

Luigi: Ma non è che automaticamente tutto il male che io ho fatto mi diventi bene. No, automaticamente il male resta male. Nessuno di noi da solo si può perdonare, le colpe che noi facciamo noi non le possiamo cancellare nel modo più assoluto. Solo Cristo se io credo in Lui, se Lo seguo e Lo ascolto, ad un certo momento  mi capovolge la situazione.

Pinuccia B.: Mi dice: sono Io che te l’ho fatto fare.

Luigi: Me lo fa vedere. Non mi dice parole. Lui me lo verifica. Come mi verifica questo: “Mi cercherete e non mi troverete”. Abbiamo detto che qui si rivela quel punto verginale che portiamo in noi. Il punto verginale quando è stato detto è stato creduto, ma qui abbiamo la possibilità di una verifica. La verifica da che cosa è data? Dalla nostra impotenza. Per cui noi portiamo in noi qualche cosa che non dipende da noi e che è irraggiungibile da noi, nel pensiero dell’io.

Pinuccia B.: La verifica viene dalla passione di assoluto che esperimentiamo e dall’impotenza.

Luigi: Io non posso annullare la passione di assoluto  e non posso non verificare la mia impotenza. Nell’inferno si verifica in stato di purezza queste due forze: attrazione dell’assoluto e impotenza. Satana non si può riposare in Dio, quindi non può conoscere Dio. Quella situazione infernale di non possibilità di riposare in Dio, perché non possibilità di conoscenza di Dio, è la componente di queste due forze: “Mi cercherete (attrazione) e non mi troverete (impotenza)”. Ecco: “dove Io sono non potete venire”.

Eligio: Questo “Mi cercherete e non mi troverete” lo dice a persone che tuttavia sono attratte da Dio. Satana lo rifiuta Dio.

Luigi: Satana è attratto da Dio, nessuno si può sottrarre dall’attrazione di Dio. Dio è il massimo centro di attrazione. Il fuoco dell’inferno è costituito dall’attrazione di Dio. Dio è l’Essere e non c’è alcuna creatura che si possa sottrarre all’attrazione di Dio. Tutti sono attratti da Dio. È l’esempio della gravitazione universale e anche questa è ancora un segno. Dio regna anche nell’inferno. Come regna? Proprio con questa attrazione! Anche Satana è attratto da Dio ma non può conoscere Dio. Ecco la conflittualità! Ma perché non può conoscere Dio? Lui pensa Dio, ma non può conoscerLo. Satana crede in Dio, sia chiaro! Non può non credere perché non può smentirlo! Non può riposarsi in Dio. E perché non può riposarsi. Non può avere quella certezza. E allora lì c’è un’altra componente che entra in gioco. E questa componente noi la verifichiamo perché tutte le volte che noi parliamo autonomamente o facciamo una scelta autonoma questa ricade su di noi e ce ne accorgiamo. Non siamo più liberi! C’è un principio di inferno in noi. Verifichiamo proprio questo perché noi capiamo che  tutte le volte, prima di dire una parola, noi ci sentiamo liberi, ma appena  abbiamo detto una parola non ci sentiamo più liberi. Vede che allora noi siamo condizionati dai nostri prodotti. Portato all’estrema conseguenza noi siamo condizionati dai nostri prodotti, siamo resi incapaci di conoscere Dio.

Pinuccia B.: Di lì capiamo l’importanza di scoprire una elemento oggettivo su cui far leva e ricostruire  tutto, cioè ci porta fuori da questa soggettività.

Luigi: Sì, ma questa scoperta è il Cristo che ce la fa fare, non siamo noi. È Cristo che ascoltato ci porta a: “Io vado a prepararvi un posto, un luogo, affinchè dove sono Io siate anche voi e possiate vedere…”. La visione è dunque una conseguenza dell’essere in quel posto. Fintanto che Io non arrivo in quel posto non vedo la sua Gloria.

Quindi noi abbiamo: 1) la situazione dell’io; 2) posto 3) visione. La visione è condizionata dal posto.

Pinuccia B.: Il posto è il campo dell’oggettività, la conoscenza della Causa.

Luigi: Per cui Cristo parlando a noi ci porta in quella posizione in cui Egli è, così pura, così netta; di sguardo puro verso il Padre, da diventare capaci di ricevere la rivelazione del Padre. Addirittura Lui per portarci in quel posto deve sparire come umanità, come presenza fisica “altrimenti lo Spirito non può venire in voi”. Sono argomenti che con pazienza richiedono approfondimento, perché sono argomenti molto delicati nella formazione della capacità della nostra anima di poterci riposare nella contemplazione della Verità di Dio

Pinuccia B.: Io ho intuito che è un argomento fondamentale, però è sempre difficile.

Luigi: La difficoltà non infirma la Verità.

Pinuccia B.: (continuazione riassunto): In queste parole c’è una ragione illuminante e si tratta di un’offerta della sua pace. L’impotenza ci fa constatare che la Verità è indipendente da noi, quindi è oggettiva. È solo la sua Parola che ce la fa constatare, cioè è Cristo che parlando ci conduce nel Paradiso Terrestre, cioè ci introduce nell’oggettività. Non basta l’esperienza dell’impotenza, noi ci chiudiamo in questa impotenza e questo sarebbe un errore, perché noi diremmo: io ho cercato e non ho trovato, quindi la Verità non c’è. Facciamo un errore perché il nostro io non è il principio della Verità.

Si entra nella Verità non per dedizione nostra, per iniziativa nostra ma per donazione della Verità stessa a noi. Ciò che infirma la conoscenza è l’io, quindi noi facciamo l’errore, sempre a causa dell’io, di cercare l’assoluto dove l’assoluto non c’è. L’opera del Cristo è tutto questo processo di educazione per centrare il nostro pensiero in quel luogo che è dato a noi, che è Padre del Figlio e che è in noi. Luogo da cui viene a noi la Luce.

Qui volevo fare una domanda. Cristo ci educa per centrare il nostro pensiero in quel luogo, cioè centra il nostro pensiero sul Pensiero di Dio. Questo nostro pensiero che cos’è?

Eligio: Cosa può essere il nostro pensiero se non desiderio di Dio, se non effetto della presenza di Dio in noi per poter guardare quel luogo in cui è Cristo!

Pinuccia B.: Quindi non è nostro! Cioè un giorno scopriremo che anche quando pensiamo l’albero non siamo noi che lo pensiamo. Sì, perché lei dice: quando penso Dio non posso dire che sono io che penso Dio come penso l’albero, ma anche questa capacità di pensare l’albero non viene da me.

Luigi: Ah, certo! Se il pensiero è incentrato su Dio è Pensiero di Dio; l’albero invece è un pensiero incompiuto. L’albero è un segno e pensare l’albero è un pensiero incompiuto che non è arrivato al compimento. Quindi è un movimento soltanto. Se porto il pensiero dell’albero in Dio, in Dio intenderò il significato, il segno dell’albero e non penserò più all’albero, ma al significato, a quello che Dio ha voluto dirmi con l’albero. Per cui c’è la Parola di Dio che è Verbo e c’è la parola di Dio a me che non è Verbo. L’albero non è il Verbo di Dio, mentre abbiamo la Parola di Dio che è Verbo di Dio.

Pinuccia B.: Quindi il nostro pensiero è una potenza.

Luigi: Comunque importante è parlare di Dio, non del nostro pensiero. Lei non giunge a conoscere Dio conoscendo il pensiero del suo io, altrimenti sbaglia strada, sbaglia luogo….

Pinuccia B.: (continua riassunto) Approfondendo questo versetto 34 abbiamo visto due fatti: che in noi c’è la passione dell’assoluto che non possiamo cancellare e che ci rivela la presenza di Dio in noi; questa passione dell’assoluto è un effetto e non possiamo cancellarla perché è costitutiva del nostro essere. Infatti la coscienza di essere ci è data dalla presenza di Dio in noi, È Cristo che mi fa notare questa Presenza, rivelata dalla passione dell’assoluto e me la fa notare con queste parole: “Mi cercherete e non mi troverete”. Il secondo fatto è l’impotenza che esperimentiamo che ci rivela l’oggettività dell’assoluto che è in noi, cioè che l’Assoluto è indipendente da me.

Quindi abbiamo: Dio che è in noi, che è indipendente da noi. Tirando le fila da questi due fatti, se non dipende dal pensiero del mio io, non mi resta che il Pensiero di Dio, cioè Dio si conosce solo in Dio. Posso conoscere Dio solo col Pensiero di Dio e solo nel Pensiero di Dio, pensando Dio.

Luigi: Cioè, solo se in me ho il Pensiero di Dio ho la possibilità di conoscere Dio. Cioè nessuno di noi può arrivare a conoscere Dio senza il pensiero di Dio…

Pinuccia B.: che ci è dato e che è oggettivo in noi. Dio è in me ma non dipende da me, quindi sono io che devo dipendere da quello, solo dipendendo da Lui posso attingere da Lui.

Eligio: La presenza di Dio in noi in un certo senso è legata alla nostra esistenza. Noi non esistessimo non potrebbe Dio essere legato a noi, quindi indipendentemente da noi, vuol dire indipendentemente dalla consapevolezza nostra, dal nostro pensiero che non lo può porre.

Luigi: Certo, certo. Il nostro io è costituito da quello. Noi portiamo in noi senza saperlo Dio. Per giungere a saperlo è necessario che noi superiamo il pensiero del nostro io e partiamo da Dio Creatore. Dio è in noi senza di noi; la conoscenza di Lui non viene in noi senza di noi. È presente in noi senza di noi in quanto Dio richiede da noi la dedizione nostra a Lui. Il pensiero del nostro io ad un certo punto deve superarsi e cominciare a guardare Dio, a predicare Dio.

Pinuccia B.: (continua riassunto) Quindi noi abbiamo la possibilità di agganciarci ad un fatto oggettivo, presente in noi, perché mi ha fatto toccare con mano che Dio è in me ed è indipendente da me, per cui posso agganciarmi su un fatto oggettivo su cui costruire: il Pensiero di Dio. Il problema allora è scoprire l’io, il relativo del mio io in Dio, non viceversa. Scoprendo l’impotenza e quindi l’indipendenza di Dio da me, ho scoperto tutto, cioè il punto fondamentale su cui costruire il mondo oggettivo, principio oggettivo di conoscenza. Perché posso uscire dalla soggettività che infirma in me anche il Pensiero di Dio, solo facendo leva su questo Pensiero di Dio oggettivo in me. L’uomo da solo non può uscirne. Quindi è la presenza dell’Essere…se non fosse Cristo, Verbo incarnato che entra in questo cerchio e parla e mi rivela questo, io non potrei uscirne da questo cerchio.

Luigi: No, nel modo più assoluto dal momento che in me c’è qualcosa di autonomo da Dio. Cioè noi non possiamo perdonarci. Noi siamo immortali. E cosa vuol dire che siamo immortali? Vuol dire che tutte le cose che facciamo restano eterne in noi, ce le portiamo con noi, a meno che Dio le assorba nel suo Cielo.

Pinuccia B.. Cioè ce le fa vedere fatte da Lui.

Luigi: Già. Ma noi dobbiamo seguire Lui, altrimenti non le assorbe nel suo Cielo.

Pinuccia B.: È proprio la nostra soggettività che gioca. Oltre che farci fare degli errori, ci impedisce poi di vederli in Dio. È lì l’inferno! Per questo è importante arrivare all’oggettività. Proprio per essere liberati da questo! Se uno esperimenta il peso della soggettività, desidera arrivare all’oggettività, perché è l’unica valvola di liberazione.

Nino: È proprio questa esperienza personale di schiavitù nel soggettivismo che mi induce a tanta preghiera per incontrarmi col Pensiero di Dio in me.

Eligio: Il pensiero dell’Essere mi fa scoprire il mio soggettivismo e i miei errori.

Luigi: La schiavitù del soggettivismo (situazione che possiamo chiamare con altro nome) è un’esperienza di ogni uomo; il dubbio è in ogni uomo…

Eligio: Certo, la Realtà è questa: Dio è Colui che è e che fa essere; io lo posso conoscere solo se sono aperto, se ascolto.

Luigi: Se ricevi tutto da Lui.

Eligio: Per me è chiaro che la mia soggettività, cioè la mia iniziativa è un elemento di rottura con Dio, perché è Lui che fa, io posso solo disfare.

Pinuccia B.: La conclusione di ieri comunque è che la creatura è al suo posto, nel giusto rapporto con Dio se ascolta Colui che parla…

Luigi: Cioè noi possiamo giungere a conoscere Dio soltanto con Dio, cioè soltanto ascoltando Dio. Per questo è necessario morire a noi stessi, cioè dobbiamo ignorarci. È sbagliato dire: conoscendo me stesso io giungo a conoscere Dio. Ci sono tanti luoghi sbagliati per la conoscenza di Dio: il nostro io, il mondo esterno, ma anche la conoscenza di me stesso è un luogo sbagliato. La vita eterna è la visione unitaria di tutto in Dio, allora qui ci riposiamo nella Verità. La Verità comprende tutto e giustifica tutto. Aver la possibilità di contemplare tutto in Dio siamo nella vita eterna. Quando invece noi viviamo di cose parziali, saltando da una cosa all’altra, qui siamo nelle tenebre, fratturati. Il tempo è segnato proprio da queste fratture perché non possiamo unificare tutto. Noi viviamo in frammenti, ma questi frammenti già chiedono, invocano di essere portati nell’unità. Ecco, c’è questa tensione verso la vita eterna. Tutte le cose sono in tensione verso la vita eterna, cioè verso la conoscenza di Dio. Però questa grande unificazione in Dio può fallire in noi, perché la forza può venir meno, cioè la donna incinta nel momento in cui deve dare alla luce il figlio non ha la forza sufficiente. Cioè noi possiamo essere attratti, siamo necessariamente attratti però possiamo non avere quella dedizione tale per arrivare fino al compimento, fino alla maturazione. È il seme del seminatore che viene perduto lungo la strada.