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Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete”. Gv 7 Vs 28 Primo tema.


Titolo: Con la  sua Parola Gesù evidenzia la falsa sicurezza dei Giudei.


Argomenti: L’insopportabilità della parola di Cristo – Le false sicurezze – Il vero sapere è desiderio di sapere – La chiave che illumina l’anima – La parola e la presenza – La conoscenza della Verità e la libertà – La fede in Dio creatore – La circoncisione – Il Battesimo – Il desiderio di Dio – Il dialogo di Dio con l’uomo – Ingannati dall’apparenza – Dio è la sola autorità – Autorità e Verità -


 

15/ Agosto /1982



 Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete”. Gv 7 Vs 28 Secondo tema.


Titolo: La falsa sicurezza sgorga da un giudizio superficiale.


Argomenti: La lezione di Dio nell’errore dell’uomo – Assolutizzare un segno – Le false sicurezze –Giudicare secondo le apparenze – La forza della Madonna – Il sogno testimonia il destino – La sicurezza del denaro – Vivere senza cercare Dio – La parvenza di verità – La passione data dall’assenza  - Il passare delle cose -  Le api e la natura- 


 

16/ Agosto /1982



 Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete”. Gv 7 Vs 28 Terzo tema.


Titolo:  Lui non ci parla di Sè, ci parla di un Altro.


Argomenti: Niente viene da sé – La televisone di Dio – La perdita dell’interesse per conoscere Dio – Cristo rivelatore dell’opera di Dio – Le false sicurezze – Le due realtà – Ritorno alla cecità – L’interrogazione specifica a Dio – La via della Luce - Il dialogo personale di Dio con l’uomo – Giuseppe e i suoi fratelli – Pane specifico per fame specifica – Le interpretazioni orizzontali dell’uomo -


 

22/ Agosto /1982


Oggi fermiamoci in modo particolare su questa affermazione di Gesù: “Io non sono venuto da Me stesso”.

È Parola di Dio.

E se è Parola di Dio, è in rapporto personale con ognuno di noi.

E allora dobbiamo chiederci quale significato, quale lezione, Dio ha voluto dare a noi affermando: “Io non sono venuto da Me stesso”.

Evidentemente lo dice a chi si ferma a Lui, o ritiene di conoscerlo.

Di conoscerlo per quello che Lui si presenta.

Per ciò che di Lui vediamo o per ciò che di Lui tocchiamo.

Notiamo che queste parole Grsù le disse nel tempio ad alta voce.

Il tempio è ognuno di noi.

È soprattutto il nostro mondo interiore.

Ed è dentro di noi che Gesù fa sentire ad alta voce.

La Parola di Dio convince.

Questo è il segno della voce alta.

E Gesù fa sentire ad alta voce, convince, che Egli non è venuto da Se stesso.

Cosa vuol dire questo “Non essere venuto da se stesso”?

Nelle sue parole, abbiamo la sintesi e quindi la grande rivelazione di tutta l’opera di Dio.

Cristo essendo Pensiero del Padre è conclusione di tutta l’opera di Dio.

Tutta l’opera di Dio è un parlare, un comversare con noi.

Cristo è la conclusione di tutta l’opera che Dio fa con noi e in noi.

Conclusione e quindi anche rivelazione.

Cioè in Lui, noi capiamo che tutte le cose e tutte le creature non vengono da se stesse a noi.

Dire che non vengono da se stesse, significa che vengono a noi mandate da un altro.

L’errore grande che noi sempre facciamo, che gli uomini fanno nella loro vita è sempre quello di considerare le cose e le creature come se operassero da se stesse, quello che esse operano.

O come se gli uomini quando parlano, parlassero da se stessi.

E non ci rendiamo conto che noi facciamo l’errore che farebbe una persona non istruita, primitiva, se gli si presentasse un apparecchio televisivo.

Vedendo questo apparecchio con le immagini che fa, quel tale direbbe che quella televisione produce da se stessa quelle immagini.

E si fermerebbe all’apparecchio televisivo e direbbe che quell’apparecchio è un produttore di figure, di immaginmi di parole.

Non potrebbe pensare che ci sia una trasmittente.

Eppure quell’apparecchio lì, non parla da sé e non raffigura se stesso.

Le figure non è l’apparecchio che le produce.

L’apparecchio capta le trasmissioni di una trasmittente.

C’è sempre una trasmittente.

Ora, notiamo che l’universo è la televisione di Dio per noi.

L’errore grosso che noi facciamo è questo: noi di fronte a questo grande apparecchio riteniamo che sia l’apparecchio stesso a produrre le figure, le immagini, i suoni che noi vediamo e sentiamo.

E dimentichiamo che c’è una trasmittente.

Il centro di trasmissione è Dio.

Dio, attraverso tutte le creature che sono apparecchi televisivi, trasmette a noi i suoi programmi, trasmette a noi i suoi pensieri, trasmette a noi i suoi argomenti.

L’errore che noi facciamo, è quello di fermarci all’apparecchio, è quello di fermarci alle creature, è quello di fermarci alle cose e di considerare come se fossero le cose e le creature a fare e parlare.

Le conseguenze di questo nostro errore, sono anzitutto la falsa sicurezza che si forma in noi.

Per cui noi scambiamo come realtà operante, l’apparecchio televisivo.

E dimentichiamo la trasmittente.

Ma c’è un altro errore più grosso che ne consegue a questa falsa sicurezza.

È che noi ritenendo realtà la creatura, le cose e ritenendo che siano esse ad operare di per sé, noi perdiamo interesse per cercare e per conoscere Dio.

Questo è il danno più grosso.

Che deriva a noi dal fermarci in queste false sicurezze.

Quando noi riteniamo che la realtà sia quella che noi vediamo con i nostri occhi, cioè sia l’apparecchio televisivo.

E allora non ci preoccupiamo più di arrivare alla sorgente, di arrivare al centro di trasmissione e di cercare di capire quale sia il pensiero, il programma che ci viene comunicato: l’anima delle cose.

Noi molte volte ci chiediamo come mai, molte colte, ci sia indifferenza verso Dio, come mai non ci sia attrazione per Dio, come mai molte volte non sentiamo desiderio di conoscere Dio.

È sempre perché siamo fermi ad un altra realtà.

Noi siamo fatti per la grande realtà, ma la reatà è Dio.

E quando noi ci fermiamo ad una realtà inferiore, evcco che non abbiamo più bisogno di Dio, perché la nostra realtà è questa.

La realtà che c’impegna è quella di ogni giorno.

E questa realtà inferiore ci soffoca l’anima e il desiderio per Dio.

Ora, come possiamo uscire da questa falsa sicurezza?

Come possiamo reinserirci in questo interesse per Dio e per conoscere Dio, essendo Lui solo la vera realtà che parla con noi e che trasmette in noi?

Per cui tutte le creature sono soltanto mezzi di trasmissionme di un pensiero, il Pensiero di Dio, di un programma, di un argomento, il programma e l’argomento di Dio.

La risposta la troviamo qui in Cristo.

Quello che avviene in Cristo è rivelazione di quello che avviene nell’operare in tutte le cose nella nostra vita.

Noi tendiamo per natura a chiuderci in false sicurezze.

A fermarci alla realtà dei nostri occhi e dei nostri sensi.

Dio opera per sbloccare la nostra falsa sicurezza, per farci uscire da questa falsa sicurezza e per aprirci all’interesse per Dio.

Come?

Annunciandoci questo: “Io non sono venuto da Me stesso”.

Ci riporta nella relatività.

Tutte le cose non vengono a noi da se stesse.

È un Altro che le manda e che noi non conosciamo.

Ecco come Lui, riporta noi nella cecità.

Noi che credevamo di vedere, noi che credevamo di sapere.

Di fronte alla Parola di Gesù noi siamo riportati nella cecità: “Che voi non conoscete”.

“Chi mi ha mandato”.

Ci riporta cioè nella situazione di impoverimento e di bisogno di conoscere bisogno di sapere.

E ci apre alla via della Luce.

Noi a questo punto possiamo capire un poco, quale è la via attraverso la quale può essere accolta la Luce in noi.

Prima di tutto non fermarci mai alle cose che giungono ai nostri sensi, alle cose apparenti.

Secondo: sapere che in tutte le cose, c’è un essere che trasmette a noi un pensiero, un programma, un argomento.

Sapendo questo, proprio partendo dall’argomento dal tema che il Creatore ci offre attraverso le cose, noi abbiamo la possibiltà di orientarci, di salire a Lui per cercare presso di Lui, il pensiero, la luce su quel tema, su quell’argomento che Lui ci ha proposto.

Ma cercando la luce specifica su quel tema, su quell’argomento che il Creatore ci ha proposto, attraverso quello che ci ha presentato, a poco per volta si forma in noi la conversazione con Dio e si forma quindi in noi la conoscenza di Dio.

Cioè la conoscenza, la via della Luce per Dio, richiede in noi, non soltanto una ricerca di Dio, ma richiede in noi una ricerca specifica di Dio.

Possiamo semplificare in questi termini, tutte le cose che arrivano a noi, sono un po’ come una malattia, questa malattia ha un rimedio specifico.

Soltanto prendendo bene coscienza di questa malattia, noi possiamo arrivare al rimedio specifico.

La Luce è il rimedio specifico per la malattia che si forma in noi, a contatto con le segnalazioni di Dio.

Però la Luce giunge a noi, soltanto se in noi si è formata la consapevolezza specifica di quello che veramente vogliamo.

Altrimenti la Luce non arriva a noi.

Quindi Dio opera in noi attraverso la comunicazione dei suoi programmi, attraverso le sue segnalazioni, attraverso le sue parole, per formare in noi la consapevolezza di quello che dobbiamo volere.

Affinché, consapevoli di quello che vogliamo, possiamo ineterrogare Dio, con una interrogazione ben precisa.

Ed è  proprio con questa interrogazione rivolta a Dio che la nostra anima è aperta a ricevere la Luce di Dio.

È quello che adombra San Giacomo quando dice: “Chi ha bisogno di sapienza la chieda a Dio che la dà con abbondanza, ma la chieda con fedeltà”.

Questa fedeltà è proprio arrivare a questa richiesta specifica.

A precisare bene in noi quello che veramente ci sta più a cuore.

Quella Luce di cui abbiamo veramente bisogno.

Per cui Dio semina in noi il bisogno specifico della Luce e poi Lui dà la luce a noi.


 Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete”. Gv 7 Vs 28 Quarto tema.


Titolo: La Via della Luce.


Argomenti: La difficoltà di restare nella Verità – L’argomento di dialogo con Dio: i nostri problemi – La continuità – La permanenza nella Parola e nella Luce – Le false sicurezze – Cristo è rivelatore dei nostri rapporti con Dio – La Luce è solo per il Figlio – L’attenzione a Dio – Le false autorità dei sentimenti – Uno solo è il Maestro – Abramo e Giuseppe -


 

24/ Agosto /1982



Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete”. Gv 7 Vs 28 Quinto tema.


Titolo: “Abramo desiderò vedere il mio giorno…”.


Argomenti: La conoscenza superficiale di Cristo – I doni maggiori – Il desiderio specifico di Dio – La fede di Abramo – La falsa sicurezza del luogo – Il ritorno dall’Egitto – La falsa sicurezza della ricchezza – La maturazione del desiderio di Dio in Abramo – Vedere il giorno del Signore – Giobbe -


 

29/ Agosto /1982


Restiamo ancora nel versetto 28.

Ci fermiamo nell’ultima parte in cui Gesù afferma: “Voi non conoscete Colui che mi ha mandato”.

E affermando questo, rompe la loro sicurezza.

Il parlare di Gesù  tende sempre a rompere le nostre false sicurezze e a rimetterci in movimento nel campo dello spirito.

Anche qui chiediamoci quale significato per la nostra vita personale possa avere questa affermazione di Gesù che la verità sta in questo conoscere Colui che lo ha mandato.

La Parola di Gesù, essendo una Parola di Dio è sempre una proposta.

Ed in quanto è proposta, è sollecitazione a passare dai segni ai significati.

E quando si parla di significati, si parla sempre dell’interpretazione dei segni secondo l’Autore dei segni.

Cioè secondo il Pensiero di Colui che opera in tutto, cioè secondo il Pensiero di Dio.

In quest’affermazione, il Figlio di Dio, propone a noi la conoscenza del Pensiero del Padre, che è quello che lo guida in tutto.

Che è quello che lo fa parlare.

Fintanto che noi non capiamo il motivo, l’intenzione, il movente che fa parlare il Cristo, in effetti noi non conosciamo il Cristo.

E ciò che conosciamo del Cristo, non è il Cristo.

Tanto che Gesù dice: “Chi vede Me, vede il Padre”.

Per farci capire che quello che vediamo di Lui, fintanto che non vediamo il Padre, non è Lui.

Qui evidentemente ci orienta al Pensiero del Padre.

Che è vita eterna, che è conoscenza di Dio come vero Dio, che è il fine, lo scopo per cui tutti noi siamo stati creati.

Però abbiamo già visto che i doni maggiori (conoscenza di Dio) non giungono a noi senza di noi.

Tutta la creazione, la nostra stessa esistenza, il pensiero del nostro io, la fede, tutto questo ci viene dato senza di noi.

Ma questi sono i doni minori.

La conoscenza, la sapienza, soprattutto la visione del Pensiero di Dio che è poi il Cristo, il Figlio di Dio, non giunge a noi senza di noi.

Cioè i doni maggiori debbono essere richiesti.

E vengono dati solo nella misura in cui sono richiesti.

È quello che dicevamo le domeniche scorse: bisogna sapere quello che si vuole.

Ci vuole questo desiderio specifico del dono maggiore per ricevere questo dono.

Altrimenti non siamo nella capacità di portarlo.

Se questa è la condizione, il primo tempo dell’opera di Dio tra noi è quello di portarci a desiderare quello che senza il nostro desiderio non possiamo ottenere.

Quindi è quello di formare in noi il desiderio specifico del dono di Dio.

La figura centrale di questo desiderio, l’abbiamo, attraverso la testimonianza stessa di Cristo in Abramo.

“Abramo desiderò...”: ecco il desiderio che si è formato.

“Abramo desiderò vedere il mio giorno, lo vide e ne esultò”.

In Abramo abbiamo una figura caratteristica.

Tanto caratteristica che Dio dice ad Abramo: “In te saranno benedette, tutte le nazioni della terra”.

Quindi Abramo è una figura di primaria importanza, nelle lezioni di Dio sulle varie tappe attraverso cui Dio fa maturare in noi il pensiero, il desiderio di vedere il suo giorno.

Vedere il suo Giorno è vedere il Pensiero di Dio.

Cristo essendo Figlio di Dio, è Pensiero di Dio.

Quindi in Abramo, si è formato il desiderio di vedere il Pensiero di Dio.

Dio dice ad Abramo: “In te saranno benedette”, cioè in te prenderanno significato, scopriranno il significato, tutte le genti.

Siccome il problema è quello di giungere al significato di tutte le cose, questa figura di Abramo balza in primo piano, proprio su questo argomento.

Perché Abramo arrivò a desiderare.

Che cosa è che lo condusse a desiderare?

Dobbiamo schematizzare queste tappe essenziali, attraverso cui Dio ha fatto maturare in Abramo, il desiderio di vedere il suo Pensiero, il Pensiero di Dio.

Ed è ciò che Dio opera in ognuno di noi se noi crediamo.

Perché Abramo è padre di tutti coloro che credono.

Cioè ci fa vedere come la fede, se è vera fede, tende a questa meta, tende a conoscere, tende a vedere il giorno del Signore.

Tende cioè a vedere il Pensiero di Dio.

Altrimenti quella che noi chiamiamo fede, è fede nominale, destinata a cadere, non vale e noi non siamo figli di Abramo.

Abramo è padre di tutti coloro che credono.

Proprio perché ha avuto una fede che lo ha condotto a desiderare di vedere il giorno del Signore.

Ora, osservando le tappe essenziali, caratteristiche della vita di Abramo, noi vediamo prima di tutto la sua chiamata: “Parti e vieni”.

“Parti dalla tua famiglia, dalla tua nazione, parti dal tuo mondo, dai tuoi parenti e vieni nel luogo che Io ti indicherò”.

Queste tappe qui è necessario vederle, perché noi in ognuna di esse, corriamo sempre il rischio di fermarci a una falsa sicurezza.

La prima falsa sicurezza è questa: il dato in cui ci troviamo.

Il mondo in cui Dio ci ha posto.

Noi diciamo che Dio ci ha posto in questo mondo, tra questa gente, tra queste esperienze e quindi dobbiamo vivere qui.

Ecco in Abramo, il primo passo è una smentita di questo.

Per cui Dio ci fa capire che questo è il dato, ma il dato va sempre superato.

Ecco quindi il passaggio dal dato a ciò che Dio mi segnala.

Ci deve sempre essere una partenza dal nostro mondo, al luogo dove la Parola di Dio, la Volontà di Dio ci segnalerà.

Poi abbiamo una seconda tappa.

Quando Abramo arriva nella terra promessa, Dio gli dice che quello è il luogo.

Teniamo sempre presente una cosa: tutte le Parole di Dio, hanno un significato infinito.

Il suo parlare è sempre nel campo dello Spirito.

Però essendo parola, quindi segno, viene sempre declassato dalla creatura ai livelli della creatura stessa.

Dio parla un linguaggio nel campo dello spirito e noi intendiamo il suo linguaggio nel campo materiale, temporale, limitato.

Qui adesso è Dio che mi ha fatto fare un passaggio, è Dio che mi ha condotto in un luogo, è Dio che mi ha assicurato questo luogo e quindi riteniamo che questa sia la volontà di Dio.

E noi identifichiamo la volontà di Dio con il luogo in cui la volontà stessa di Dio mi ha condotto.

Un altra falsa sicurezza.

Infatti Abramo, arrivato in terra promessa, ritiene di essere a posto, poiché ha raggiunto il luogo, in cui Dio lo ha condotto.

Lui ha ascoltato la volontà di Dio, la volontà di Dio lo ha condotto in terra promessa e Abramo riteneva di essere sicuro di fare la volontà di Dio.

Non passa molto tempo e per la carestia, lui è costretto ad andare in Egitto.

Rottura.

Dio rompe un altra falsa sicurezza di Abramo.

La chiamiamo la sicurezza del luogo.

Notiamo che è la sicurezza di un luogo in cui Dio ha condotto Abramo.

La Parola di Dio ha sempre un significato più profondo di quello che intendiamo noi.

Noi ci fermiamo alla superficie e Abramo ha ritenuto che quella regione definita geograficamente fosse la Volontà di Dio, mentre il Signore voleva ben altro e vedremo dove lo conduce.

Comunque ad un certo momento, Abramo subisce questa conflittualità; “Dio mi ha condotto qui, Dio mi ha reso impossibile restare qui per la carestia”.

Deve andare in Egitto, perché?

Ecco la contraddizione.

Cioè Dio ci dà dei doni e poi Dio si mette in opposizione ai suoi doni.

Dio sta formando Abramo e sta formando ognuno di noi.

E educa noi ai passaggi, mentre ci fa vedere anche i rischi.

Perché Abramo ha fatto il primo passaggio da Ur alla terra promessa per ubbidire al Signore.

E adesso Dio lo mette in crisi e lo costringe ad andare in Egitto.

Pensiamo a quello che deve succedere nell’animo, nella coscienza di uno che è stato condotto in un luogo, sulla Parola di Dio e poi da questo luogo è costretto ad andarsene via.

Mette in crisi tutte le sue sicurezze.

Mette in crisi la sicurezza del luogo, del luogo scelto su volontà di Dio.

Il primo passaggio.

Dall’Egitto, Abramo ritornerà poi nella terra promessa.

E ritorna con grandi ricchezze.

Queste grandi ricchezze, creano una guerra, una conflittualità tra lui e il suo parente.

Si devono dividere.

Non possono più stare assieme.

Lo dice espressamente la Bibbia: “Per le tante ricchezze”.

Dio aveva assicurato la benedizione.

La benedizione vuol dire star bene.

E qui abbiamo il superamento dell’altra sicurezza.

La sicurezza del benessere, della ricchezza che si ha restando con Dio o ubbidendo a Dio.

Tant’è vero che questa ricchezza crea la divisione, la guerra tra lui e Lot.

E lui dice: “Scegli tu dove vuoi andare, se tu vai a destra io andrò a sinistra, se tu vai a sinistra io andrò a destra”.

Ma poi abbiamo un altra grande rivelazione che Dio fa ad Abramo, Dio dopo avergli fatto superare queste false sicurezze di luogo e di benessere, incomincia a dirli una cosa molto importante.

Dice: “Io sarò la tua ricompensa”.

Abramo non è che colga la parola, perché la Parola di Dio per Abramo come per ognuno di noi è sempre un futuro ma proprio perché annuncia una verità già in essere che l’altro non coglie ancora, diventa una promessa.

Cioè avendo superato o per lo meno messo in crisi la sicurezza della ricchezza: “Io sarò la tua ricompensa”, anche se l’altro non capisce ancora.

E poi gli dice: “Cammina alla mia presenza e sii perfetto”.

E ad un certo momento Dio dice: “Io non posso nascondere il mio pensiero ad Abramo”.

Abbiamo detto che il tema di oggi è come Dio ha formato in Abramo il desiderio di vedere il suo Pensiero.

È proprio questo impegno a restare alla sua presenza che a un certo momento lo costringerà a cercare il Pensiero di Dio.

Perché lui credeva che il pensiero di Dio fosse di farlo andare in terra promessa, lui credeva che il pensiero di Dio fosse farlo stare bene, lui credeva di assicurarsi una discendenza e tutte queste sicurezze, Dio gliele abbatte.

All’ultimo gli dà un figlio e gli dice che attraverso quel figlio la sua discendenza è assicurata.

L’unigenito.

Cioè ha sintetizzato, ha raccolto tutte le sue promesse, tutta la sua opera in un unico figlio.

Ma arriva il momento in cui rompe anche questa sicurezza.

Gli chiede il sacrificio di questo unico figlio.

Abramo  non esita a sacrificare il suo unico figlio.

E il Signore dirà, a conclusione di tutta la vicenda: “Poiché tu non mi hai rifiutato il tuo unigenito”.

Proprio qui Dio fa maturare in Abramo questo interrogativo: “Ma allora quale è il tuo pensiero?”.

Mi assicuri una terra promessa, mi assicuri una benedizione quindi un benessere, mi assicuri una discendenza e poi mi togli tutto, ma allora quale è il tuo pensiero???

Ecco come Dio ha fatto maturare in Abramo questo.

Dio lo ha fatto maturare, mettendolo in crisi su tutti i doni che Dio aveva fatto ad Abramo.

Tutti sono stati doni di Dio fatti ad Abramo, soprattutto l’ultimo, il figlio unigenito che Abramo e Sara, non potevano assolutamente avere, perché erano oramai di cento anni.

Quindi tutti i doni di Dio, sono doni che ad un certo momento Dio mette in opposizione a Sé, per impegnare Abramo, e ogni uomo, superandoli a cercare il Pensiero di Dio.

“Ma allora quale è il tuo pensiero, quale è il tuo fine?!”.

Tutto questo nella Bibbia non lo vediamo, perché tutto quello che è nella Bibbia viene rivelato in Cristo.

Cristo ci dirà: “Abramo desiderò vedere il mio giorno”.

Dio condusse Abramo, formò in Abramo il desiderio di vedere il Pensiero di Dio.

Lo condusse attraverso questo e allo stesso tempo ci insegnò come la fede, quando è vera fede, ci deve condurre al superamento di tutti i doni di Dio, per arrivare a desiderare di vedere il Pensiero di Dio.
L’unigenito figlio di Abramo, rappresenta il nostro pensiero, rappresenta il pensiero di ogni uomo.

E fintanto che l’uomo non dedica il suo pensiero a Dio, non può giungere a conoscere Dio.

La condizione essenziale per arrivare a vedere il Pensiero di Dio, a conoscere il giorno del Signore (dono maggiore) è quello di avere in noi il desiderio specifico di questo.

Questo desiderio specifico, non si ha se non dedichiamo a Dio il nostro pensiero.

Quindi Dio ci conduce di dono in dono e poi si mette in opposizione ai suoi stessi doni, noi corriamo il rischio in ogni dono, di fermarci al dono stesso, perché lo consideriamo volontà di Dio.

Noi possiamo fermarci al primo dono, la prima sicurezza: la mia famiglia.

E non partire.

Ma anche partendo, successivamente noi possiamo fermarci a tutti i doni di Dio, che l’ubbidienza a Dio ci conduce.

Dio ci conduce a dei doni ma poi ci mette in opposizione ai doni stessi per formare in noi il desiderio di Lui.

Noi fermandoci ai doni (voluti da Dio) ci impediamo la maturazione di quel desiderio che è la condizione per giungere a conoscere il giorno di Dio, cioè per giungere a conoscere Dio.


Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Gv 7 Vs 28 Sesto tema.


Titolo: Abramo maturò il desiderio di vedere il Pensiero di Dio attraverso il superamento dei doni.


Argomenti: Dedicare il pensiero a Dio – Lo speco di Maria – La morte è sollecitazione a pensare la Vita – Leggere materialmente le parole spirituali – La svalutazione – L’ambiguità dei segni – Scavare la Parola – I condizionamenti del pensiero – Dio proposto e imposto – Morire al pensiero dell’io.


 

30/ Agosto /1982



 Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete”. Gv 7 Vs 28 Settimo tema.


Titolo: Il significato del sacrificio di Isacco.


Argomenti: Essere da Dio – Il pensiero unigenito – Il pensiero nasce dall’essere – Generazione e creazione – Morire a noi stessi – La benedizione di Dio – Il pensiero dell’io – Il parlare di Dio – La trasfigurazione – Il desiderio specifico – Vedere il Pensiero di Dio – La dedizione del pensiero a Dio – Il pensiero dell’io è la creazione che prende coscienza di sé – La schiavitù del pensiero -


 

5/ Settembre /1982


Il figlio unigenito è il nostro pensiero, su cui converge tutta la creazione, poi Dio chiede a noi di offrirgli il nostro pensiero, il sacrificio.

Se non risparmiamo il nostro pensiero, cioè se lo dedichiamo a Lui, allora Lui lo benedirà facendolo suo e allora ci rivela il Pensiero che viene da Lui.

Il problema centrale di oggi, su cui riflettere e meditare è cosa è un pensiero.

E quale è la condizione per conoscere un pensiero.

Perché il pensiero è ciò che nasce da ciò che uno è.

Per cui noi non possiamo assolutamente arrivare a conoscere il Pensiero di Dio, se non avviene questo salto, cioè se non si passa attraverso la conoscenza di quello che Dio è.

Perché è da ciò che Dio è che nasce il Pensiero di Dio.

Cioè preciso: il pensiero è ciò che nasce da ciò che uno è.

Soltanto dedicandoci a conoscere Dio, lì abbiamo la possibilità di scoprire il Pensiero di Dio.

Per cui si richiede la dedizione da parte nostra, altrimenti non arriviamo a conoscere il pensiero dell’altro.

Noi conosciamo il nostro pensiero, non possiamo conoscere il pensiero dell’altro, se non ci dedichiamo all’altro.

Nella misura in cui ci dedichiamo all’altro e conosciamo l’altro, allora giungiamo a conoscere il pensiero dell’altro.

Perché il pensiero dell’altro è generato.

Il concetto di generazione nasce da ciò che uno è.

Il pensiero nasce da ciò che uno è, e quindi è generato.

Qui abbiamo il concetto di generazione.

Mentre invece la creazione, non viene da ciò che uno è.

Ma viene da ciò che uno non è.

È l’affermazione di Dio nella creatura, nel pensiero del nostro io.

Per cui l’atto creativo, lo esperimentiamo senza partecipazione nostra.

Il pensiero invece non lo esperimentiamo senza la partecipazione nostra.

Per cui si richiede la dedizione.

Per questo dico che il pensiero, nasce per generazione da ciò che uno è.

Siccome però l’uomo non si conosce, fintanto che non nasce da Dio, noi non sappiamo nemmeno cosa sia il nostro pensiero.

In tutte le sue opere, il Signore ha scritto delle tappe, per la nostra vita personale con Lui, per aiutarci ad arrivare alla nostra meta.

Se noi le consideriamo preziose e le approfondiamo, queste tappe ci aiutano molto a camminare, altrimenti noi andiamo avanti a tentoni.
E indubbiamente falliamo la meta.

Quello che Dio ha chiesto ad Abramo, è quello che chiede ad ognuno di noi.

È necessario che noi trasportiamo quella richiesta fatta da Dio ad Abramo nella nostra vita personale.

E allora dobbiamo cercare di capire cosa possa significare per noi questo figlio unigenito di Abramo.

Cosa possa significare il figlio unigenito di Abramo e cosa possa significare la richiesta del sacrificio di questo figlio unigenito, e il fatto che in conseguenza di non avere risparmiato il suo figlio unigenito abbia ricevuto la benedizione di Dio.

Benedizione di Dio che ci viene poi rivelata da Cristo: vedere il giorno di Cristo.

“Perché non hai risparmiato”, il che vuole dire che se anche noi non risparmieremo in nostro figlio unigenito, riceveremo la benedizione di Dio.

Dio non fa mica differenze di persone!

Dio vuole salvare tutti quindi non fa nessuna differenza di persona.

Quindi se anche noi non risparmieremo il nostro figlio unigenito, anche noi giungeremo a vedere il giorno del Signore.

Gesù fa derivare la conoscenza da questo “essere da-“: “Io lo conosco perché sono da Lui”.

Essere generato da-.

Evidentemente non risparmiando il pensiero, noi arriviamo alla conoscenza, cioè a questa generazione del Pensiero di Dio dal Padre.

Cioè al giorno del Verbo di Dio.

Il morire a noi stessi ci viene molto illuminato nella tappa di Abramo.

Sta nel non risparmiare il nostro figlio unigenito.

Ora, non risparmiare vuole dire dedicare.

Nella misura in cui uno dedica.

Abbiamo visto che il figlio unigenito rappresenta il pensiero di Abramo.

Perché nel figlio c’è tutto il pensiero dell’io di Abramo.

Quindi il figlio unigenito è il nostro pensiero.

Dio chiede ad Abramo il sacrificio del figlio unigenito.

Cioè Dio chiede ad ognuno di noi, l’offerta del nostro pensiero, la dedizione del nostro pensiero.

Noi adoperiamo il nostro pensiero per le cose nostre, per i nostri affari, per il nostro mondo, per i nostri impegni.

Dio chiede a noi il sacrificio di questo figlio unigenito, del nostro pensiero.

Cosa vuole dire questo?

Chiede a noi di dedicare a Lui, il nostro pensiero.

Cosa vuole dire dedicare a Dio il nostro pensiero?

Vuol dire offrirgli il nostro pensiero.

Se gli offriamo il nostro pensiero come Abramo, otteniamo la benedizione.

Quale è il significato di questa benedizione?

Abbiamo Cristo che ci dice in cosa consiste questa benedizione.

Perché Abramo desiderò vedere.

Non avendo risparmiato il suo pensiero, desiderò vedere.

E avendo desiderato di vedere vide.

Vide il giorno del Signore.

Lo vide e tripudiò di gioia.

Dedicandosi a Dio il nostro pensiero diventa luce polarizzata.

Io posso dedicare il mio pensiero al footbal, ai francobolli, alla lirica, però ho un pensiero.

Ma il pensiero lo abbiamo.

Questo pensiero lo posso dedicare a mille cose e allora diventa pensiero molteplice, disperso, però è sempre il mio pensiero.

Cosa è questo pensiero?

È figlio unigenito, perché è pensiero di me stesso.

Noi non sappiamo cosa sia questo pensiero del nostro io.

Noi non possiamo sapere, perché noi siamo creature e nella creazione noi siamo ignoranti.

Appunto perché Dio ci crea senza di noi e il pensiero di noi, noi l’abbiamo senza di noi.

Solo dall’Essere abbiamo la conoscenza di quello che siamo.

Quando nasceremo da Dio, capiremo cosa è questo nostro pensiero.

Nella creazione noi siamo ignoranti, nella generazione invece noi siamo illuminati.

Perché nella generazione si parte dall’Essere.

Per questo dico che il pensiero nasce da ciò che uno è.

Fintanto che non arriviamo a ciò che Dio è, noi non prendiamo conoscenza, quindi è questo da-.

Però questo pensiero che nasce da quello che siamo e noi non sappiamo cosa siamo, lo abbiamo questo pensiero e come lo abbiamo!

E possiamo rivolgerlo solo a Dio o a mille interessi.

Il pensiero dell’io è unigenito e Dio chiede a noi di non risparmiargli questo figlio unigenito nostro.

E Dio mi chiede questo pensiero e questa è la condizione per arrivare alla benedizione di Dio.

Benedizione è Dio che fa suo il mio pensiero e mi rivela suo Figlio, ma è un altro discorso.

L’importante è capire questo passaggio.

Dio prima mi chiede di riportargli le creature, le cose, poi arriva il giorno in cui Dio chiede a me di riportargli il mio pensiero che è figlio unigenito di quello che sono io.


 Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete”. Gv 7 Vs 28 Ottavo tema.


Titolo: Rapporto tra il sacrificio del figlio unigenito e la conoscenza del giorno del Signore.


Argomenti: Il pensiero unigenito disperso – La coscienza di essere – La fedeltà di Abramo – La dedizione del pensiero a Dio – La Madonna e Abramo – La passione figlia del pensiero – Generazione e creazione – Affidarsi a un altro Pensiero -


 

6/ Settembre /1982