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Dopo questi avvenimenti, Gesù percorreva la Galilea, volendo evitare la Giudea, perché i giudei cercavano di farlo morire. Gv 7 Vs 1 Primo tema.


Titolo: Bussare e non entrare.


 

15.Novembre 1981


ARGOMENTI: Conoscere Dio nella fede (00.30). L’intenzione pura (22.00). La Giudea è il mondo interiore (26.00). La Galilea è il mondo esteriore (27.10). L’opera esterna (Galilea) di Gesù ha lo scopo di formare in noi l’intenzione pura (29.00). È nel pensiero dell’io che tutta l’opera di Dio viene a morire (31.20). Anche la morte di Cristo è opera esterna per purificare la nostra anima (32.50). L’azione in Galilea è azione di parabole (33.05). Concedersi vuol dire rivelarsi (33.30). L’amore vero (35.00). La fame specifica per Dio (36.00). Accogliere il Figlio unigenito di Dio (37.10). Cristo muore per farci morire a noi stessi (38.00). L’ultima parabola è la sua morte in croce (39.00). La Sua opera in Galilea ci permette di capire la Sua morte in croce (39.20). Dal sentito dire all’intenzione pura (44.00). Monte Tabor (46.50). Possedere (fare) quello che Cristo ci annuncia (48.20). Toccare con mano che il nostro io è deicida (50.20). Le lezioni esterne le accettiamo (52.00). Riconoscere il proprio peccato (1.01.00). Tulla la creazione è il Figlio che parla con noi (1.05.30). La rivelazione del Figlio unigenito di Dio (1.12.10). Sperimentare che noi siamo colpevoli della morte di Cristo (1.16.50). La fine del mondo, liberazione o rovina (1.17.50). Le 10 vergini: la preparazione (1.18.00). Anticipare il tempo dell’incontro con Dio: Amore (1.18.20). Cristo si concede a Pentecoste rivelandosi come unigenito Figlio di Dio, dopo aver formato in noi l’intenzione pura, che non si forma con la Sua morte (1.31.30). Bere il sangue di Cristo è un annuncio in attesa prendere consapevolezza della sua morte (1,34.00). Cristo morto è l’ultimo pensiero che ci rimane (1.36.00). La conclusione di tutta l’opera di Dio (1.37.00).


Eligio: Prima della Pentecoste è possibile avere una conoscenza di quello che Dio è in Sè?

Luigi: Sì ma solo per sentito dire, tu di fronte al sentito dire non lo puoi smentire.

Non puoi capire personalmente, perché solo a Pentecoste capisci personalmente, hai la visione, però in quanto ti arriva non lo puoi smentire, per cui ti vincola con un legame di fede, però la fede deve arrivare ad una luce personale.

Gli attributi di Dio non sono Dio.

Stamattina parlavo con dei testimoni di Geova che dicevano che Dio non può mandare la guerra perché Dio è buono, ecco un attributo di Dio che mi sottrae a una lezione di Dio, noi fondando la nostra fede su certi attributi di Dio, scartiamo delle lezioni di Dio.

L’attributo di Dio mi porta via la fede in Dio, infatti li ho liquidati dicendogli che non credono in Dio e ne sono rimasti scandalizzati: non potevano credere che un terremoto, una malattia, la morte fossero mandati da Dio.

In nome di un attributo di Dio si finisce col rifiutare Dio, perché proprio accettando da Dio quelle lezioni che non convengono a noi, noi cresciamo nella fede.

Se Dio mi manda la caramella dico che Dio è buono, ma anche se mi manda la medicina devo accettarla da Dio, la sua bontà la scopriro poi, io devo accettare tutto da Dio, anche quelo che non mi conviene, perché Lui è il Creatore.

“Uno solo è il Creatore, non avrai altro Dio all’infuori di Me”, e proprio in nome di questo, tu sei impegnato ad accettare tutto da Dio, quello che ti piace e quello che non ti piace.

Tutto viene dalla mano di Dio e in tutto c’è la mano di Dio.

Non posso dire che la parte del mondo che mi conviene è opera di Dio mentre la parte del mondo che non mi conviene è opera dell’uomo o del demonio, perché allora io scarto le lezioni di Dio più efficaci per cambiare me.

Quanto più noi ci avviciniamo alla causa di tutte le cose, tanto più abbiamo in noi un processo di armonizzazione di tutto, sempre per fede logicamente, cioè il mosaico comincia ad acquistare una certa fisionomia.

-        Esposizione Luigi Bracco –

Qui abbiamo tre pensieri che ci vengono presentati:  1 - “Dopo questi avvenimenti”, 2 – “Gesù percorreva la Galilea”. 3 – “Volendo evitare la Giudea” e giustifica questo: “Perché i Giudei cercavano di farlo morire”.

“Dopo questi avvenimenti”, quali avvenimenti?

Noi dobbiamo sempre tenere presente che tutto è parola di Dio ed è parola personale di Dio per ognuno di noi.

“Questi avvenimenti” sono gli avvenimenti del capitolo sesto, attraverso i quali Dio ci ha fatti approdare sul pensiero che la conoscenza di ciò che Dio è, richiede in noi l’intenzione pura: “Beati i puri di cuore, perché questi vedranno Dio”.

È stata la conclusione, attraverso cui siamo giunti nel capitolo sesto.

L’intenzione pura è volere e desiderare Dio per ciò che Egli è, dopo questi avvenimenti Gesù percorreva la Galilea volendo evitare la Giudea.

Adesso abbiamo la possibilità di capire un fatto nuovo dell’opera di Dio: Gesù Figlio di Dio che percorre la Galilea ed evita la Giudea.

Lo giustifica dicendo che in Giudea cercavano di farlo morire.

Dopo avere capito che la conoscenza di Dio richiede in noi questa intenzione pura, abbiamo la possibilità di comprendere perché Gesù eviti la Giudea e si limiti invece a percorrere la Galilea.

Cioè abbiamo la possibilità di capire il messaggio di Gesù in terra di Galilea.

Dobbiamo soffermarci sulla Giudea, cioè cosa significa la Giudea.

La Giudea è il luogo in cui cercavano di fare morire Gesù ed in cui alla “sua ora” Lui andrà a morire.

Lui adesso evita di andare ufficialmente in Giudea.

La Giudea è la regione che ha per capitale Gerusalemme e Gerusalemme significa la nostra anima e Gesù Figlio di Dio viene a morire nella nostra anima, la morte di Gesù in croce significa la morte di Dio in noi quando non teniamo conto di Dio.

Se Gerusalemme significa la nostra anima, la Giudea che ha per capitale Gerusalemme, rappresenta il nostro mondo interiore.

La Galilea invece è quella regione che è al di fuori della Giudea e quindi significa il nostro mondo esteriore.

E Gesù che percorre la Galilea e si rifiuta di entrare in Giudea, è l’opera di Dio che bussa alla nostra porta ma che non entra e non entra quand’anche trovasse la porta aperta.

Quand’anche Lo invitassero ad andare in Giudea, quand’anche trovasse aperta la porta di casa nostra, Lui bussa ma non entra.

E questa è un po’ l’anima di questo capitolo.

Pinuccia: Però si bussa per entrare.

Luigi: Se anche noi lo invitiamo ad entrare Lui non entra.

Pinuccia: Ma allora perché bussa?

Luigi: Qual è la funzione di questo percorrere la Galilea da parte di Gesù?

Il suo percorrere la Galilea, è opera esterna, è il bussare di Dio alla porta del nostro mondo interiore.

Ma allora perché non entra?

Perché cercano di farlo morire.

Lui sa quello che c’è dentro casa nostra, Lui sa che se gli aprono la porta e lo invitano ad entrare è perché lo vogliono uccidere.

Allora perché Lui bussa e poi dopo non entra?

Perché cercano di farlo morire.

E perché cercano, cerchiamo di farlo morire?

Perché non abbiamo l’intenzione pura.

“Gesù non si concedeva a loro, perché sapeva quello che c’era nell’uomo”, nell’uomo in Giudea, non c’è l’intenzione pura, se si concedesse lo farebbero morire, si concederà quando sarà la sua ora, quando cioè avrà preparato qualcosa nell’uomo.

L’azione di Dio in Galilea, nel mondo esterno, ha lo scopo di formare in noi l’intenzione, quell’intenzione che è la condizione perché Lui possa entrare, in caso diverso non può entrare.

Pinuccia: Ma morirà ugualmente.

Luigi: Morirà quando sarà la sua ora: “Tutti i profeti vengono a morire in Gerusalemme”.

È nel nostro interno, nel pensiero dell’io che viene a morire tutta l’opera di Dio e quindi anche il Figlio di Dio viene a morire nella nostra interiorità, prima però Lui deve fare tutta la sua opera per cercare di farci approdare a quell’intenzione pura che è condizione necessaria per la salvezza.

Pinuccia: Ma Lui muore comunque in noi. Se l’intenzione pura si è formata noi non lo dovremmo uccidere.

Luigi: Tieni presente che qui abbiamo l’opera esterna di Gesù, che tende a formare in noi l’intenzione pura, per preparare noi alla Pentecoste, per preparare noi a ricevere il Figlio unigenito di Dio, arriverà il giorno in cui, proprio per formare in noi questa intenzione pura Lui si concederà alla morte, ma avrà già formato in noi quella fede tale per cui, attraverso la sua morte in noi si forma l’intenzione pura.

La sua morte è ancora un azione esterna per formare in noi l’intenzione pura.

Tutta l’azione di Gesù in Galilea, è un azione di parabole, cioè parla fuori per preparare l’interno.

“Gesù non si concedeva perché sapeva quello che c’era nell’uomo”, eppure Lui è venuto per salvare l’uomo e si concederà all’uomo, ma prima di concedersi lo prepara e allora qual’è il fine di tutta questa preparazione?

Formare nell’uomo la condizione o le condizioni necessarie per potere accogliere il Figlio unigenito di Dio.

Concedersi vuole dire rivelarsi, Lui si rivela come figlio dell’uomo, non come unigenito Figlio di Dio, come figlio dell’uomo, cioè come un altro io che però realizza in tutto la vita secondo Dio.

Quindi noi abbiamo una figura esemplare fino alla morte, sempre per formare in noi le condizioni per accettarlo, in caso diverso noi lo escluderemmo.

Ognuno di noi lo esclude, sia chiaro, non può accettare la rivelazione del Figlio unigenito di Dio.

Pinuccia: Non c’è la capacità.

Luigi: Lo uccidiamo, lo facciamo fuori, non lo accettiamo, perché diventa per noi un assurdo, una cosa impossibile.

Pinuccia: Perché non siamo ancora morti a noi stessi.

Luigi: Certo è logico.

Soltanto avendo capito la necessità di avere in noi l’intenzione pura, l’amore vero, lo possiamo accettare.

L’amore vero è quello che ama un essere per quello che è e non per quello che ha e l’intenzione pura è quella che dà a noi la capacità di accogliere Dio per quello che è e non per quello che ha, cioè per i suoi attributi.

Però perché si formi in noi questa intenzione pura, abbiamo bisogno di Uno che operi attorno a noi, non dentro, perché se entra dentro noi lo uccidiamo se non siamo preparati a Lui, se al cane gli offri un Rolex non sa cosa farsene, se gli offri un osso sa cosa farsene.

Fintanto che Dio non ha formato in noi questa fame di Sé, intenzionata, polarizzata su ciò che Dio è, Lui non può manifestarsi.

Non si tratta quindi di una fame generica, a un certo momento si deve formare in noi questo desiderio specifico: tutto dipende dal conoscere Dio per ciò che Egli è in Sé e allora si forma in noi l’intenzione pura, quest’unica cosa necessaria, quest’essenzialità della nostra anima che rende noi capaci di accogliere il Figlio unigenito di Dio, in caso diverso no.

Pinuccia: Accogliere il Figlio unigenito di Dio vuole dire accogliere Dio per ciò che Egli è?

Luigi: Soltanto avendo la possibilità di conoscere Dio per ciò che Egli è, abbiamo la possibilità di accogliere il Figlio unigenito di Dio.

Pinuccia: Prima si conosce il Padre e poi il Padre ci fa conoscere il Figlio.

Margherita: Non ho capito la necessità di morire di Gesù se in noi si è formata l’intenzione pura e quindi la capacità di accettarlo.

Luigi: No, perché questa capacità di accetarlo non c’è ancora.

Noi dobbiamo dalla sua morte, imparare a morire a noi stessi.

Lui muore ancora per formare in noi quest’intenzione pura, però viene già a morire dentro di noi.

Anche l’accogliere il suo parlare in parabole richiede sempre a noi l’attrazione per il Padre, quindi ci deve già essere questa fede iniziale, questo interesse per Dio, inquinato si capisce, però Lui a poco per volta, parlando in parabole, purifica in noi questa intenzione, fino a quel punto in cui Lui si offre a morire in noi, avendo oramai in noi la capacità della resurrezione, ma è ancora necessario che Lui si offra a morire, perché?

Perché dobbiamo fare l’ultimo atto e l’ultimo atto è quello di morire a noi stessi.

Per arrivare a percepire la necessità di quest’ultimo atto, di morire a noi stessi, è necessario che noi tocchiamo con mano l’ultima parabola del Signore: la sua morte in croce per colpa mia.

Pinuccia: E sono tutte le parole che Lui ha seminato prima che ci aiutano a superare quel momento.

Luigi: Certo, altrimenti io vedo la sua morte come una liberazione per me di uno che disturbava.

Pinuccia: Lui muore per tutti, però solo chi ha camminato con Lui in Galilea lo trova risorto.

Luigi: Infatti quando Lui risorge cosa dice a Maria? “Dì ai miei fratelli che tornino in Galilea, là mi vedranno”, cioè li invita a ritrovare tutto quello che Lui aveva seminato, come condizione per...

Pinuccia: ...superare quel momento e vederlo risorto.

Luigi: Certo per prepararsi a ritrovarlo risorto: “Allora mi vedranno”, invita ad un ripensamento.


Dopo questi avvenimenti, Gesù percorreva la Galilea, volendo evitare la Giudea, perché i giudei cercavano di farlo morire. Gv 7 Vs 1 Primo tema.


Titolo: Bussare e non entrare. II


 

17.Novembre 1981


MARTEDI: La rivelazione di Cristo nell’interno dell’uomo (4.00). Il parlare in parabole di Gesù (5.00). Confondere la presenza di Dio con la presenza di noi stessi (7.30) Partecipare consapevolmente al Principio (10.00). Dal sentito dire alla realizzazione dell’intenzione pura (17.00). Prendere consapevolezza che il sangue di Cristo è stato versato per me (20.00). Cristo mette ordine nella nostra matassa di pensieri (24.00) L’attrazione del mondo dell’io (29). Cristo in noi raccoglie nel Padre (30). Gli argomenti di Cristo e gli argomenti dell’io (31). Morire nella convinzione dell’intenzione pura (32,30). Il tradimento di Pietro in noi (36). Cristo risorto invita a ritrovare nella memoria il Suo parlare in Galilea per vederlo risorto (42.30). Il dato interno determina l’incontro col Cristo risorto (45). Quello che trattiene il Figlio di Dio dal rivelarsi a noi è l’intenzione impura che portiamo in noi (48). La capacità di risorgere con Cristo in Giudea, si forma con Cristo in Galilea (49). Ognuno Lo ritroverà risorto per le informazioni che porterà dentro di sé (50). A seconda delle informazioni che ascolti, determini il tuo domani (51). La differenza fra il non sapere e il sapere (55). Il concetto di Figlio unigenito di Dio (58). La glorificazione del Figlio prima di Pentecoste (1.05). La tragica impossibilità di ricevere la comunicazione del Figlio di Dio (1.16). Il possesso della Verità (1.19)


 

 

 


Dopo questi avvenimenti, Gesù percorreva la Galilea, volendo evitare la Giudea, perché i giudei cercavano di farlo morire. Gv 7 Vs 1 Secondo tema.


Titolo: L’attesa per vedere il volto di Dio.


 

22.Novembre 1981 Vigna


ARGOMENTI: L’intenzione che ci guida nell’amore (2). I quattro gradi dell’amore (4). Solo l’intenzione pura può ricevere la rivelazione di Dio per ciò che Egli è (5).L’opera esterna di Cristo in Galilea per purificare il nostro interno (7). Mettere il Padre al suo giusto posto in noi (giustizia) (9). Il superamento del pensiero del nostro io non può avvenire se non vediamo Cristo morto in croce (11) Concedersi vuol dire manifestarsi (13). Cristo muore come figlio dell’uomo, non come Dio (17). Sperimentare che non sono io a pensare Dio (25). Riconoscere il proprio peccato (30). La creazione esterna è per educare il nostro mondo interno ad accogliere la rivelazione di Dio (31). L’amore volubile per i doni che Dio ci dà (34). L’amore stabile ama Dio per quello che Egli è (35). Fintanto che riteniamo di essere noi a pensare Dio non possiamo ricevere la rivelazione di quello che Dio è (41). Noi siamo dei pensati da Dio (42). Scoprire il senso, il fine della  vita (45). Il desiderio è conseguenza dell’aver scoperto l’importanza di una cosa (47). Le nostre parole ingannano e ci ingannano (1.01). L’intenzione pura si ha solo quando si vuole un essere per quello che egli è (1.02). Strumentalizzare Dio alla nostra volontà (1.04). La predicazione di Cristo in Galilea in parabole, segni (1.07). Arrivare alla consapevolezza di ciò in cui crediamo (1.10). Dio è (1.19).


Il tema di oggi è questo: Gesù che resta in Galilea e vuole evitare la Giudea, quale significato ha per la nostra vita spirituale?

Abbiamo visto che l’amore è vero quando ama uno per ciò che è e non per ciò che ha.

Per cui l’elemento determinante è l’intenzione che ci guida nell’amore.

San Tommaso dice: “Amerai Dio di un amore vero, quando lo amerai per ciò che Egli è e non per i suoi benefici, L’amore vero ama Dio in Sé e non per qualsivoglia altra considerazione. L’amore vero raggiunge Dio in quanto tale e non in considerazione di ciò che Egli dà all’uomo, come la conoscenza della Verità è l’inclinazione verso il bene”.

Dice San Bernardo: “Quando tu dici di Dio che è buono, grande, beato, sapiente, quanto tu dici di Dio si riassume in una parola “È”, in questo “È”, sono compresi tutti gli altri attributi, se li enumeri non aggiungi nulla, se li ometti non togli nulla”.

E sempre San Bernardo fa questa distinzione fra gli amori: “L’amore vero come intenzione pura e immune da qualsiasi motivazione secondaria” e sempre San Bernardo parla di quattro gradi di amore.

“Primo l’amore naturale con cui l’uomo ama se stesso per se stesso, secondo l’amore per cui l’uomo ama Dio ma per un profitto personale, l’amore con cui l’uomo ama Dio esclusivamente per Se stesso, costui ama autenticamente e di conseguenza non gli è difficile adempiere al comandamento dell’amore per il prossimo, quarto l’amore per cui l’uomo non si ama più, se non per amore di Dio”.

Noi abbiamo visto che soltanto l’intenzione pura rende la nostra anima capace di cogliere Dio per quello che Egli è, di ricevere la rivelazione di Dio per quello che Egli è.

È su questo sfondo che dobbiamo meditare sul perché Gesù se ne restava in Galilea ed evitava di andare in Giudea perché i Giudei cercavano di farlo morire.

Abbiamo confrontato questo passo con quello del secondo capitolo di San Giovanni in cui si dice che Gesù non si affidava agli uomini, perché sapeva quello che c’era e c’è nell’uomo.

Affidarsi, confidarsi, rivelarsi, vuole dire manifestarsi per quello che uno è, quindi Gesù non manifestava Se stesso, la sua persona per quello che Egli è, perché sapeva quello che c’era nell’uomo, sapeva che nell’uomo c’erano delle condizioni tali, per cui l’uomo non poteva sopportare, ricevere e comprendere la rivelazione del Figlio di Dio.

Quando abbiamo parlato della Giudea, abbiamo visto che essa rappresenta il nostro mondo interno.

Al centro della Giudea c’è Gerusalemme che rappresenta la nostra anima.

Quindi Gesù che non va in Giudea perché cercano di ucciderlo, significa che il Figlio di Dio parlando tra noi, non rivela Se stesso al nostro mondo interno, perché sa quello che c’è dentro di noi e sa che noi non possiamo sopportarlo.

E allora fintanto che in noi non si è formata quest’intenzione pura, Egli opera dall’esterno di noi, attorno a noi in Galilea appunto ed opera per purificare il nostro interno.

Il che vuole dire che Lui si rivelerà a noi soltanto quando dentro di noi, il Padre sarà stato messo al suo giusto posto.

Quindi Gesù parla in Galilea, affinché il Padre trovi nella nostra anima, nei nostri pensieri, il posto che gli spetta.

Quando il Padre sarà al suo posto dentro di noi, anche il Figlio allora si affiderà a noi e rivelerà a noi quello che Egli è, perché soltanto allora noi avremo la capacità di accogliere la sua rivelazione e di comprenderla.


Dopo questi avvenimenti, Gesù percorreva la Galilea, volendo evitare la Giudea, perché i giudei cercavano di farlo morire. Gv 7 Vs 1 Secondo tema.


Titolo: L’attesa per vedere il volto di Dio.


 

23.Novembre 1981


Argomenti: Conoscenza di Dio nella fede: il Figlio parlando incentra l’attenzione sul Padre purificando intenzione (9). Cristo è una presenza fisica tra tante presenze fisiche, l’attenzione è purificazione (12). La pura attenzione a Dio (13). Recuperare alla memoria il Suo messaggio in Galilea, condizione per vederlo risorto (19). Il parlare in parabole (bussare) e il parlare aperto (20). Il mistero è il bussare di Dio (22). L’opera di Cristo in Galilea è per risvegliare il desiderio per Dio (24). La molteplicità di interessi rende impuro il nostro pensiero (25). La Samaria (26). “Va a dire ai miei apostoli che mi vedranno in Galilea” (27). Ognuno scopre il Cristo risorto per quello che porta in sé di Lui, Cristo non risorge per tutti (28). I segni esterni attraverso cui Cristo risorto si fa riconoscere (29). Interiorizzare la verità prima che si manifesti (30). In tutte le cose c’è Dio (32). La pecora dispersa in una molteplicità di interessi (33). Tutta la nostra vita dipende dalla conoscenza di Dio (34). Cristo sottomette (annulla) tutti i valori alla conoscenza del Padre (35). La nostra volontà è dipendente dal valore soggettivo delle cose (36). La componente soggettiva nella conoscenza della verità (37). Imparare a dimenticarci (41). Il parlare di Cristo in Galilea, fa leva su Dio creatore (44). La sola opera dell’uomo è l’incompiuto (46). Il vero nome (48)



Ora  la festa dei giudei, la festa dei tabernacoli era vicina. GV 7 VS 2


Titolo: Il lavoro e la festa.


 

29/Novembre/1981


ARGOMENTI: Il Vangelo è una grammatica della nostra vita (3). Giorni di lavoro e di festa (4). La terra è introduzione al cielo di Dio (6). La vita è comunione (7). Il lavoro necessario per mangiare (8). La terra d’Egitto (9). Il lavoro è pedagogia per la festa di Dio(10). La festa è Dio che entra nel suo riposo per sollecitare noi a entrare nella conoscenza di Lui(11). La festa ci è data per recuperare i segni dei giorni di lavoro (13). Mangiare e assimilare (14). La comunione con Dio richiede lavoro (15). Il lavoro materiale è segno del lavoro spirituale (16). La festa ci libera da- per essere liberi per Dio (17). La festa dei tabernacoli (tende) ricorda il passaggio dall’Egitto (sicurezza, schiavitù) verso la terra promessa (provvisorietà) (18). Mentre parla Cristo in Galilea (esterno) si avvicina la liberazione dall’Egitto (21) Il lavoro è segno della dedizione per conoscere Dio (24). La festa è un segno che invita a entrare nel sabato (26). La liberazione dai condizionamenti. (31). Il sabato deve assorbire tutti i giorni (32). La vera vita viene dal nostro donarci a Dio (34). Il peccato sta nel fare il lavoro come fine (35). La festa che ci piomba addosso (39). Il campo materiale è segno del campo spirituale (41). Il lavoro è per l’uomo, non viceversa (42) Il lavoro materiale è segno del vero lavoro spirituale da fare con Dio (49). Credere l’Egitto la nostra patria (56). L’intenzione nel fare le cose (57). La difficoltà è un potenziamento (1.00).

Il significato del sonno e della notte (1.06)


Abbiamo visto perché Gesù se ne stava in Galilea ed evitava la Giudea e che cosa significhi quest’opera che Gesù fa in terra di Galilea.

La Galilea è tutto il nostro mondo esteriore, in cui Dio opera per formare in noi l’intenzione pura con cui noi non amiamo Dio per quello che ha, ma lo amiamo per quello che è in Sé.

Questa è la condizione per poterlo veramente conoscere e esperimentare.

Questa è tutta l’opera che Gesù fa in terra di Galilea, nel nostro mondo esterno, poiché in Giudea, nel nostro mondo interno si cerca di ucciderlo.

E fintanto che nel nostro interno non si forma questa intenzione pura, noi non siamo in grado di accogliere il Verbo di Dio e Dio stesso non si confida: “Gesù non si confidava loro perché sapeva quello che c’era nell’uomo”.

Gesù sa quello che c’è dentro l’uomo.

Su questo sfondo, adesso si annuncia, che fa festa dei Giudei, la festa dei tabernacoli, delle capanne era vicina, dobbiamo chiederci cosa il Signore voglia significare a noi con questo.

Teniamo sempre presente che il Vangelo è una grammatica per insegnare a noi ad intendere il significato delle parole e delle opere di Dio che Dio fa in tutto, soprattutto nella nostra vita giorno dopo giorno.

Qui abbiamo un tratto di questa grammatica attraverso il quale Gesù ci insegna a passare dai segni ai significati.

Tenendo presente che tutto è opera di Dio per noi, noi dobbiamo cercare di capire la ragione, il significato di questo fatto, cioè del fatto che mentre Gesù opera in Galilea ed evita la Giudea, la festa dei giudei era vicina.

Dobbiamo cercare di approfondire questo concetto di festa e di questa festa che si fa vicina, mentre Gesù sta operando in Galilea.

Il concetto di festa è rapportato al giorno di lavoro, nella nostra vita e già fin dalla creazione, noi abbiamo i giorni di lavoro ed i giorni di festa, Dio ha fatto così il mondo.

Dio ha operato per sei giorni e poi il settimo giorno, il sabato si riposò e sabato, sabbath in ebraico vuole proprio dire riposare.

Dio ha fatto così e le cose Dio non le fa a caso.

Siccome tutte le cose sono fatte per un fine e il fine è Dio stesso, dobbiamo chiederci quale sia lo scopo, la funzione per noi dei giorni di lavoro e dei giorni di festa.

In questa vita che ci è data senza di noi che quindi ci è imposta, ci viene proposta una vita nella quale non entriamo, non nasciamo senza di noi.

Il cielo e la terra, abbiamo presenti questi due grandi mondi che sono presenti nella nostra stessa vita e che noi stessi portiamo dentro di noi.

Abbiamo un cielo e abbiamo una terra, la terra è il mondo in cui ci troviamo senza di noi, il cielo è quello che ci viene proposto ma nel quale non entriamo senza di noi.

Però tutto quello che avviene in terra, essendo opera di Dio, appartiene al mondo dei segni, per educarci, per insegnarci ad entrare nel cielo di Dio, in quella vita in cui non si nasce senza di noi.

La terra in cui noi siamo è pedagogia al cielo, direi che è introduzione al cielo.

Questa vita in cui ci troviamo, è una introduzione al cielo di Dio.

E dobbiamo preoccuparci d’intendere i segni nei quali ci troviamo.

Qui in terra, in questa vita che ci è data senza di noi, tutti noi esperimentiamo che da soli non viviamo, non viviamo, la nostra esistenza è partecipazione, la nostra vita è comunione: per vivere è necessario mangiare, cioè è necessario assimilare, comunicare, entrare in comunione con-, la vita è assimilazione.

Ma questa assimilazione, questa vita nel campo dei segni, richiede da parte della creatura un lavoro, cioè senza lavoro non si mangia: chi non lavora non mangia.

Dio ci presenta le noci, però non ce le apre, se vogliamo mangiare dobbiamo aprirle le noci.

E così per qualunque cosa, i frutti sono sugli alberi e dobbiamo raccoglierli, ma anche solo il mangiare, il masticare, il digerire è una fatica, è un lavoro che dobbiamo compiere, questo ci fa capire che la vita non viene a noi senza una partecipazione nostra, richiede una partecipazione nostra, poco o tanto richiede una nostra partecipazione, un nostro lavoro.

Abbiamo detto che sulla terra la vita ci è imposta e quindi anche quest’assimilazione, questa comunione, questo lavoro, questa fatica ci sono imposti.

Cioè noi sulla terra esperimentiamo che per vivere, subiamo una certa servitù, subiamo una certa schiavitù, subiamo la dipendenza dalle cose, cioè siamo in terra di schiavitù, siamo in terra d’Egitto.

E questi sono i giorni di lavoro nel campo della vita imposta.

Però sulla nostra terra c’è anche il giorno di festa.

Questo ci fa capire, ed è essenziale, che Dio non ci ha creati per lavorare, per mantenere o coltivare la terra, lo scopo non è questo, cioè l’uomo non è in funzione della terra, come l’uomo non è in funzione della società, come l’uomo non è in funzione delle nazioni e degli stati.

Piuttosto è la terra che è in funzione dell’uomo, ed è il lavoro che è in funzione dell’uomo.

Tutta l’opera di Dio sulla nostra terra, in questa vita che ci è imposta è pedagogia.

In quanto si parla di pedagogia, si parla di educazione dell’uomo ad un fine.

Quindi il lavoro e i giorni di lavoro, sono pedagogia per la festa e non è la festa un giorno di riposo, perché l’uomo riacquisti le forze per lavorare nei giorni di lavoro, non dobbiamo capovolgere i termini.

L’uomo non è stato creato per lavorare, l’uomo è stato creato per la festa di Dio.

Ora che cosa è questa festa di Dio?

La festa è il sabato di Dio, cioè è Dio che entra nel suo riposo.

Ma quando abbiamo parlato di questo sabato, abbiamo anche detto che Dio entra nel suo riposo, nella sua pace, per sollecitare noi ad entrare nella sua pace.

Tant’è vero che San Paolo dice: “Se tu uomo oggi odi la Parola di Dio affrettati ad entrare nella sua pace, affinché non ti avvenga, ciò che avvenne al popolo ebreo che fu costretto a vagare per 40 anni nel deserto, fino all’estinzione di quella generazione che non ebbe fede e non si sforzò di entrare”.

Questa è l’anima dei giorni di lavoro.

I giorni di lavoro sono giorni di segni di Dio su di noi: oggi se tu odi la Parola di Dio, affrettati ad entrare nel suo riposo, cioè affrettati ad entrare nella sua festa, affrettati a passare nel sabato del Signore.

Affrettatati cioè a contemplare i segni di Dio nel loro significato, cioè affrettati a conoscere Dio.

Questo ci fa capire che tutta l’opera che Dio fa, la fa per sollecitare noi ad entrare nella conoscenza di Lui, a cercare la conoscenza di Lui, a contemplare Lui ed a imparare a vivere nella sua contemplazione.

Quindi la festa ci è data per recuperare i segni dei giorni di lavoro, perché tutto quello che avviene, che ci viene imposto (campo di servitù) rappresenta nei segni, ciò che deve avvenire nel campo dello spirito e abbiamo visto che nei giorni di lavoro i segni sono questi: tu uomo per vivere devi mangiare (segni), tu uomo se vuoi Vivere devi assimilare la Parola di Dio (spirito).

Il mangiare ti è imposto, sei schiavo e non sai perché, però conosci che se non mangi deperisci e muori e questo t’insegna che la vita ti viene dall’assimilazione, dalla comunione con ciò che non sei tu.

Questo ci rivela che la vita nel campo dello spirito è partecipazione a Dio e che questa partecipazione non avviene senza di noi, quindi ci richiede quello che nel campo dei segni è il lavoro, la fatica, richiede da noi questa dedizione alla Parola di Dio, in modo di entrare nella pace di Dio, entrare nella conoscenza della sua Verità, perché conoscere la Verità di Dio è la nostra pace, nella sua Luce è la nostra pace e la nostra vita.

Tutto questo non avviene senza di noi, ecco per cui noi ci troviamo in un campo di servitù, di dipendenze in cui la vita è significata a noi, attraverso questo lavoro, questo sacrificio, questa dedizione, questa fatica che l’uomo deve sobbarcarsi per potere restare in vita e creascere in vita.

Ma l’uomo non è fatto per il lavoro.

Questo che avviene sulla nostra terra con il lavoro è segno di quello che deve avvenire (e che non avviene senza di noi) nella festa del Signore.

Per cui il giorno di festa non è un giorno di riposo, è un giorno in cui Dio ci libera dalla fatica del lavoro, in cui Dio ci dice di non faticare per mangiare, questo giorno è un giorno che tu devi dedicare al Signore.

Quindi è un giorno che ci libera dal mondo per essere liberi per Dio.

Non dobbiamo vedere la festa soltanto come una liberazione da- e quindi di riposo, è sbagliato.

Questo è il giorno del riposo di Dio, quindi è il giorno in cui noi dobbiamo cercare di entrare nella pace di Dio, nel riposo di Dio, altrimenti la nostra festa è frustrata, non serve.

Quindi Dio nel giorno di festa ci solleva, ci libera da tutta quella che è la nostra servitù al corpo e agli elementi del mondo, alla materia, affinchè noi possiamo essere liberi per entrare in quella vita nella quale non si entra senza di noi.

Qui noi capiamo che i giorni di lavoro sono pedagogia per quel vero lavoro che deve avvenire nel giorno della festa.

Qui si parla della festa dei tabernacoli (tende, capanne) in Giudea e dice che era vicina mentre Gesù restava in Galilea, volendo evitare la Giudea.

Questa festa delle capanne, era una celebrazione che il Signore aveva ordinato al suo popolo, affinché si ricordassero del loro pellegrinaggio quando liberati dall’Egitto si dirigevano verso la terra promessa, poi invece furono costretti a vagare per 40 anni sotto le tende.

Quindi la tenda è simbolo di abitazione provvisoria, simbolo di provvisorietà.

Questa era la festa degli ebrei, cioè la festa del popolo che ha al centro della sua vita il tempio, come centro della sua vita Dio.

Si celebrava per ripresentare alla memoria del popolo, alla memoria di ogni uomo, la transitorietà di tutte le cose sulla terra.

Si era in Egitto, terra di schiavità, giorni di lavoro, e in terra d’Egitto c’erano delle sicurezze, le sicurezze dei nostri giorni di lavoro; si fa conto sul denaro, sulle nostre forze, si fa conto sulla salute, si fa conto sulla casa, noi non ci rendiamo conto ma siamo in terra d’Egitto, cioè in terra di servitù.

Ma noi non siamo stati creati per l’Egitto, noi non siamo stati creati per il lavoro, per mantenere le cose, i terreni, le case o le istituzioni, noi non siamo stati creati per questo, piuttosto è l’Egitto che è stato creato per questo e allora arriva un momento in cui il popolo è sollecitato da Dio a partire ed a uscire da queste sicurezze per aaffrontare il pelegrinaggio e la transitorietà verso la terra promessa.

La festa dei tabernacoli è questa, è questa avventura, è questo passaggio dall’Egitto verso la terra promessa, sapendo che il luogo in cui ci troviamo è provvisorio, la nostra casa è una tenda e la tenda si monta alla sera per passare la notte e al mattino si disfa.

Quindi le nostre case, il nostro mondo, i nostri luoghi devono avere questa provvisorietà.

Mentre Gesù percorreva la Galilea, questa festa si avvicinava: mentre Dio parla attorno a noi, nel nostro mondo esterno per formare in noi l’intenzione pura, in modo da orientarci a cercare Dio per quello che Egli è, si avvicina questa festa per noi, si avvicina cioè questa uscita, questa liberazione dall’Egitto e si affaccia davanti ai nostri occhi la festa di Dio, cioè il giorno in cui capiamo che tutte le cose ci vengono date da Dio per farci entrare nella sua pace, per farci entrare nel suo riposo, per farci entrare nella sua conoscenza, è questo che si fa vicino.

Perché è la Parola di Dio, in Galilea, esterna, attorno a noi che preparando questa intenzione pura, ci fa vicina questa festa in cui noi partiamo dal nostro Egitto, dalla nostra terra di schiavitù, per trasformare tutta la nostra vita in quella che è la domenica del Signore, la festa, la pace, la conoscenza di Dio per cui siamo stati creati.

 

Ci eravamo chiesti quale era il significato, per la nostra vita personale di questa festa dei giudei che si avvicinava, tutte le cose vanno sempre riportate nel significato presso Dio.

Dio operando con noi, educa noi alla vita essenziale e ci libera dalla nostra vita di schiavitù.

Noi molte volte riteniamo che Dio ci abbia creati per lavorare e Dio parlando con noi ci libera da queste convinzioni sbagliate, no l’uomo non è stato creato per lavorare e guadagnare, l’uomo è stato fatto per il giorno del Signore, è stato cretao per entrare nella conoscenza di Dio.

Quindi la Parola di Dio in Galilea ci aduca a scoprire prima di tutto quale è l’orientamento e nello stesso tempo ci rivela qualcosa di Dio, ci rivela ciò che Dio è per noi, e Dio è il nostro fine, è la nostra vita.

Però essendo nostro fine e nostra vita, richiede da parte nostra una partecipazione personale, non è un fatto automatico, richiede da parte nostra la dedizione che sul piamo dei segni, sul piano della nostra terra è significata dal lavoro, dalla fatica per vivere.


Ora  la festa dei giudei, la festa dei tabernacoli era vicina. GV 7 VS 2


Titolo: Il lavoro e la festa.


 

1/Dicembre/1981


MARTEDI: Il parlare di Cristo ci libera dall’assoluto nelle cose (3). Tutto è segno. Il segno è tale in quanto mi rimanda a qualcos’altro (7). Noi non possiamo fare a meno di considerare reale la materia e lo spirito astratto (24). La parola di Cristo mi avvicina allo spirito parlandomi nella realtà materiale (25) Il lavoro è la fatica che devo fare per vivere: comunione (26). Il lavoro è rendere assimilabile (vita) ciò che non è vita (27). Cristo mi trasferisce in Dio la realtà esterna (28). Nel mondo interiore c’è attrazione per Dio e molta dispersione (29). Cristo purifica il nostro tempio interiore (31). Il rapporto essenziale con Dio ci libera dal rapporto essenziale con la creazione (33). Il rapporto libero con la creazione (35). La libertà presso Dio (38). I valori s’impongono non sono in mano nostra (39). Il tormento della festa con il crollo dei valori(41). La noia della festa (42). Il valore deve rispondere a un bisogno e Cristo opera nel mondo esterno per formare in me il bisogno di Dio (43). Prima che i valori crollino devo avere scoperto il vero Valore (44). Sperimento prima il valore di Dio, in quanto è risposta a un mio bisogno (45). La scoperta del vero valore avviene con Cristo in Galilea (48). Il lungo discorso di Cristo (50). La festa dei tabernacoli, della provvisorietà (52). La vicinanza della festa (53). La parola di Dio è già realtà (54). Cristo in Galilea parla gli avvenimenti prima che questi siano realtà (55). La forza della parola di Dio (1.00)



E i suoi fratelli gli dissero: “Parti di qua e vai in Giudea affinché i tuoi discepoli vedano le opere che fai” Gv 7 Vs 3


Titolo: La tentazione della festa.


 

6/Dicembre/1981


ARGOMENTI: L’opera di Cristo in Galilea per formare in noi l’intenzione pura (2). La festa dei tabernacoli, liberazione dalla schiavitù si avvicina (3). Pellegrini dell’assoluto (5). La tentazione della festa che si avvicina (7). L’apparenza buona della tentazione (8). Le tentazioni nel deserto (9). L’anima della festa sta nella liberazione per occuparsi di Dio (11). La liberazione transitoria della festa (13). Il rapporto con Dio (14). La festa vista nella nostra intenzione (15). Vedere solo la festa come liberazione dal lavoro (16). Le feste del mondo col distintivo di Dio (17). Profanare la festa di Dio in nome di Dio (18). Il tradimento dell’intenzione umana (19). Vedere la positività della festa (21). L’apparente religiosità della festa (24). La tragedia della festa come liberazione dal lavoro (25). Erode (27). Travisare la festa (28). La vera festa è interiore (29). Sprecare la festa (36). Il giudizio sui fratelli non ci interessa (37). L’ambiguità della tentazione della festa (38). Aumentare la conoscenza di Dio nella festa (41). I giorni di lavoro sono per formare in noi il desiderio della domenica (45). La tentazione del divertimento (47). Lo spirito della festa di Dio è liberazione PER occuparsi di Dio, ogni altra intenzione è deviante (50). Le festa è possibilità transitoria di conoscere Dio (51). Nei giorni di lavoro siamo succubi della creazione (52). Riducendo la distanza da Dio si riduce la schiavitù. (54).  Il lievito è la festa, la massa i sei giorni di lavoro (55). L’amore apparente (56). L’invito ad andare in Giudea “fatti conoscere” (59). L’amore autentico o esigente (1.00). Recitare la festa (1.06). La prima opera di Gesù è annullare la festa del sabato dei giudei (1.08). La parola modifica tutto (1.09). Gerusalemme rappresenta la massima autorità (1.10). L’approvazione degli altri per credere in Cristo (1.11).

Il crollo dei valori, tutto il mondo che diventa pagano è l’avvicinarsi di Dio che vuole un rapporto personale (1.14). La gloria del Figlio prima che il mondo fosse (1.15). Il problema religioso non è fare ma non fare (1.22)


Abbiamo visto come, mentre Gesù percorre la Galilea ed eviti la Giudea, si avvicini la festa dei giudei, la festa dei tabernacoli.

E domenica scorsa abbiamo cercato di approfondire il significato dell’avvicinarsi di questa festa dei giudei.

In questa festa che s’avvicina in Giudea, mentre Gesù se ne sta in Galilea, viene significata l’opera che Dio fa nelle nostre anime, attraverso il suo operare nel nostro mondo, nell’ambiente esterno a noi (Galilea): Dio opera dentro e fuori di noi.

Il problema essenziale sta nel formare in noi l’intenzione pura, cioè la ricerca di Dio per ciò che Egli è in Sé, perché questa è la condizione essenziale per potere diventare capaci di accogliere la verità di Dio in noi e di conoscerla.

Ecco che Dio opera al di fuori di noi, esternamente a noi, per formare dentro di noi questa intenzione pura, questo amore vero e a mano a mano che opera fuori di noi (Galilea), ecco che si avvicina per noi la festa dei giudei, dei tabernacoli, cioè questa liberazione dal nostro Egitto.

Ognuno di noi nasce in un Egitto, in una terra di schiavitù, una terra in cui ognuno si sistema e trova la sua comodità, il suo benessere, anche se è schiavo (giorni di lavoro).

Il Signore inizia la vita con noi, attraverso i sei giorni della creazione, che sono sei giorni di lavoro, per cui abbiamo un certo benessere materiale, una certa comodità, però abbiamo una schiavitù essenziale.

Questa è la schiavitù in terra d’Egitto.

Mano a mano che Dio parla, attraverso gli avvenimenti della nostra vita, ecco che noi cominciamo a sentire il peso di questa schiavitù, desiderando la liberazione della nostra anima: si avvicina la festa.

Si avvicina cioè la fuga dall’Egitto e si comincia a vivere sotto le tende, nella provvisorietà.

Si comincia a capire che la nostra vita quaggiù, ha significato proprio in quanto è provvisorietà, siamo in attesa di giungere alla terra promessa, siamo in un pellegrinaggio.

E allora si spiega come tante anime, ad un certo momento hanno lasciato benessere, carriera, comodità (è la fuga dall’Egitto) e sono diventati pellegrini dell’assoluto.

Dio parlando nella loro vita ha acceso un fuoco che ha provocato in loro il bisogno di scappare, quante anime sono scappate dietro alla Parola di Dio!

Che cosa è che li ha spinti ad abbandonare tutto?

Prima vivevano in letti comodi e a un certo momento vivono sotto una tenda o sopra una pietra nel deserto, cos’è che provoca questo?

È il bisogno di assoluto.

È il bisogno di trovare quell’unione con Dio per la quale sono stati creati.

Questo rivela il nostro destino, questo è segno della festa di Dio che entra nella nostra vita.

Però adesso ci troviamo nel versetto tre, in cui i suoi fratelli gli diconoParti di qua e vai in Giudea affinché i tuoi discepoli vedano le opere che fai”.

Mano a mano che si avvicina questa festa dei giudei, ecco che nasce la tentazione e anche in questo dobbiamo vedere una lezione di Dio personale per ognuno di noi.

La festa di Dio che si avvicina a noi presenta a noi un rischio, c’è una tentazione, ed è l’argomento che stasera dobbiamo cercare di approfondire.

In cosa consiste questa tentazione che Dio ci presenta in questo brano di Vangelo e da cosa dobbiamo quindi essere attenti?

Qui i suoi fratelli invitano Gesù ad andare in Giudea e abbiamo detto che la Giudea rappresenta la vita interiore: “Affinché i tuoi discepoli vedano le opere che Tu fai”.

Sembrerebbe da parte dei suoi parenti un atto d’amore, un atto d’interesse per Gesù.

Gesù è venuto per conquistare le anime e sembra che nel loro invito, ci sia un aiuto a conquistare le anime.

Gesù è venuto per parlare e qui lo invitano a parlare.

Gesù è venuto a farsi conoscere e qui lo invitano a farsi conoscere.

Sembra amore eppure non era amore, era una tentazione.

Qui troviamo lo stesso spirito delle tentazioni del Demonio a Gesù nel deserto.

Anche lì abbiamo la voce del Demonio che gli dice: “Se Tu sei il Figlio di Dio...”, un invito a conquistare il mondo.

Sembra che ci sia l’interesse, l’aiuto, l’esortazione a entrare nella festa di Dio.

Mano a mano che la Parola di Dio parla a noi, la festa dei tabernacoli si avvicina a noi, però in questo avvicinarsi c’è un rischio ed è il rischio di questa tentazione, in questo invito quando in Giudea cercavano di farlo morire: in questo si rivela che non c’era amore.

In Giudea cercavano di fare morire Gesù e i suoi parenti, in nome della sua missione sollecitano Gesù ad andare là, dove lo avrebbero ucciso.

Vedremo poi come Gesù si comporta di fronte a questa tentazione, di fronte a questa prova.

Ma adesso è necessario per noi scoprire in cosa consista nella nostra vita personale questa tentazione.

Cioè la festa presenta un rischio, quando domenica abbiamo parlato della festa, del giorno del Signore, abbiamo visto che essenzialmente è una liberazione da-, dall’Egitto, dalla schiavitù, dal lavoro, dalla fatica, però l’anima della festa non sta in questa liberazione da-, ma sta nella liberazione per-, per occuparci di Dio.

Cioè Dio ci libera dalle nostre schiavitù, per un tratto, per un certo tempo in modo da rendere il nostro pensiero in grado di potersi applicare a Lui, cioè l’anima della festa non è la liberazione dal lavoro, l’anima della festa è l’occupazione in Dio.

Dio sospende provvisoriamente (tabernacoli) la nostra schiavitù, noi siamo schiavi perché non conosciamo Dio.

Fintanto che non conosceremo Dio, noi saremo sempre schiavi.

Però Dio interviene con una liberazione transitoria, per dare a noi la possibilità di un avvicinamento a Lui, perché quanto più noi ci avviciniamo a Lui, tanto più allarghiamo le mura della nostra prigione e a poco per volta le feste del Signore si fanno sempre più intense per noi, per dare a noi la possibilità di conoscerlo sempre di più.

Vista dallo spirito di Dio, la festa è liberazione dell’uomo, affinché l’uomo abbia un certo tempo per occuparsi di Dio, perché soltanto occupandosi di Dio fa un salto di qualità nella sua vita, nei suoi rapporti con Dio.

E soltanto facendo questo salto di qualità nei suoi rapporti con Dio, avviene la purificazione dell’intenzione.

Perché abbiamo detto che l’intenzione è sempre l’espressione di ciò che uno è e siccome noi “siamo” nel nostro rapporto con Dio, soltanto in quanto abbiamo la possibilità di modificare questo rapporto con Dio, abbiamo la possibilità di modificare la nostra intenzione, altrimenti la nostra intenzione, non possiamo assolutamente modificarla.

La possibilità di modificare il nostro rapporto con Dio, viene a noi dalla possibilità di occuparci di Dio, e per poterci occupare di Dio, bisogna che Dio rallenti, allenti un poco le catene della nostra schiavitù, dia un po’ di respiro soprattutto alla nostra mente e al nostro pensiero, in modo che non più ossessionati con gli impegni del mondo, noi possiamo occuparci un poco di Dio e conoscere qualcosa di Lui.

Più noi conosciamo Dio, più si modifica in meglio il nostro rapporto con Dio e modificando il rapporto si modifica l’intenzione.

Così Dio operando nella nostra vita, opera questa purificazione dentro di noi.

Questa è l’anima della festa vista dallo spirito di Dio, dal pensiero di Dio, però tutte le cose hanno sempre un doppio volto, possono essere viste nello spirito di Dio e possono essere viste nello spirito dell’io, e fintanto che la nostra intenzione non è diventata intenzione pura, ci sarà sempre questo doppio in noi: l’intenzione di Dio e la nostra intenzione.

Ecco la festa può essere vista con la nostra intenzione.

La festa vista con la nostra intenzione si ferma a: liberazione da-, e non vede la liberazione per-.

Soltanto con lo spirito di Dio, noi vediamo il lato positivo della festa, se non abbiamo lo spirito di Dio, noi vediamo soltanto il riposo dal lavoro, la liberazione dalla fatica, la distensione per ricostruire le forze.

Noi vediamo la notte come occasione per ricostruire le nostre forze e lavorare la mattina, vediamo la festa come il giorno per riposarci dalle fatiche, ritrovare la nostra forza e ricominciare a lavorare, ma lo scopo di tutto è il lavoro, il guadagno, la ricchezza, il benessere, cioè la nostra schiavitù, per cui noi vediamo la festa soltanto come un sollievo per potere essere più schiavi.

Questa è la festa vista dal punto di vista della nostra intenzione.

E allora le nostre feste non sono più un occasione per cercare Dio, per conoscere Dio, per modificare il nostro rapporto con Dio, ma si riducono al mangiare, al viaggiare, si riducono alla festa del mondo.

Ecco il rischio: trasformare lo spirito della festa che Dio ci offre (liberazione per-), nello spirito della festa dell’uomo (liberazione da).

Può anche essere una festa religiosa, ma è una festa fatta soltanto di tradizione, di convenzioni, sotto il distintivo di Dio.

Qui i fratelli lo invitano, sembra amore.

Quindi in nome di Dio si fa la festa del mondo e vediamo come si profanizzi ad esempio il Natale in nome di Dio, tutte le feste della Madonna diventano giorni di divertimento, non certamente giorni di conoscenza.

Ecco tutto viene da noi profanizzato nella nostra intenzione.

Perché ognuno di noi intende ogni cosa sempre nell’intenzione che ha in sé e fintanto che la nostra intenzione è impura, noi corriamo il rischio di essere giocati dalla nostra intenzione sotto l’etichetta del divino.

Questa festa dei tabernacoli, questa festa dei giudei viene da Dio e quindi è opera buona quello che propongono i fratelli a Gesù: “Vai in Giudea, partecipa a questa festa, fatti conoscere” e c’era invece il tradimento li sotto, c’era il non-amore, c’era l’intenzione umana.

Penso che questa sia la lezione principale che dobbiamo trarre per la nostra vita personale da questo versetto del Vangelo.


E i suoi fratelli gli dissero: “Parti di qua e vai in Giudea affinché i tuoi discepoli vedano le opere che fai” Gv 7 Vs 3


Titolo: La tentazione della festa.


 

7/Dicembre/1981


LUNEDI: La tentazione di Cristo è la mia tentazione (20). La lezione della tentazione secondo lo spirito (22). I fratelli, Pietro e il demonio non sono il centro della scena (26). La festa di Dio e la festa dell’uomo (27). Liberazione per- e liberazione da- (28). Il demonio tende a dare consigli a Dio (37). Il rischio della festa e come uscirne secondo Cristo (40).

La festa avvicinandosi getta noi in una tentazione (46). L’intenzione pura per entrare nella festa di Dio e l’opera di Cristo in Galilea per purificare la nostra intenzione (47). Nella festa riveliamo, manifestiamo il nostro interesse,il nostro io (49). I fratelli sono pedine di Dio per presentare questa tentazione (50). Cristo non partecipa a una festa voluta da Dio? (52). Galilea, festa e tentazione sono i tre argomenti da collegare (56). La festa ambigua nella nostra intenzione impura (58). Vedere la lezione di Cristo (59). La tragedia del non sapere cosa fare nella festa che viene (1.09). Tutto diventa festa di Dio (1.11).


 


E i suoi fratelli gli dissero: “Parti di qua e vai in Giudea affinché i tuoi discepoli vedano le opere che fai” Gv 7 Vs 3


Titolo: La tentazione della festa.


 

8/Dicembre/1981 Vigna


ARGOMENTI: L’intenzione pura (2) Giudea e Galilea (4) Il tempio interiore (5) Il mondo esterno e il mondo interno (6) La festa dei tabernacoli (7) Le sicurezze relative (9) La nostalgia dell’assoluto (10) L’avvicinarsi della festa (11) Liberazione da- e per- (12)  La positività della festa (13) L’impegno con Dio (14) Le tentazioni di Satana (15)  La festa secondo Dio e secondo l’uomo (16) La schiavitù è conseguenza dell’ignoranza di Dio (17) La liberazione dalla schiavitù (18) Il filo d’erba e il pensiero (27). La fede in Dio Creatore (28). Far scendere l’uomo dal piedistallo (29). L’angoscia della festa (33). La tentazione è per chi non è nello spirito di Dio (35). Nella terza età l’anima ha tempo per dedicarsi al vero bene (52). La falsificazione della festa (53). Il Verbo che parla e la Madonna che ascolta (1.13). Il silenzio che ascolta (1.14). La mezz’ora di silenzio dell’Apocalisse (1.19). Fate penitenza perché il Rego di Dio (festa) si avvicina (1.20)


Dobbiamo cercare di collegare questo avvenimento con il versetto due e il versetto uno.

Nel versetto uno si dice: “Dopo questi avvenimenti, Gesù percorreva la Galilea, volendo evitare la Giudea, perché i giudei cercavano di farlo morire”.

“Dopo questi avvenimenti”, cioè gli avvenimenti del capitolo sesto, in cui abbiamo visto il discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, il discorso del “pane della vita” che si era concluso con quella prospettiva di Giuda scelto da Dio, che pure era un demonio ed abbiamo visto la lezione che Gesù ha voluto dare a noi attraverso questo fatto.

Ha voluto evidenziare qual è l’amore vero autentico, quando è che si ama veramente e quando invece si cova il tradimento.

Abbiamo visto che tutte le volte che si ama qualcuno non per ciò che è ma per ciò che ha, noi seminiamo in noi il tradimento, perché l’amore sostanzialmente è una proiezione del nostro io.

L’amore è vero solo quando è rivolto a ciò che uno è, quando deriva da ciò che uno è.

Quindi soprattutto nei riguardi di Dio, bisogna arrivare ad amare Dio per quello che Egli è in Sé e non per i doni che Lui fa a noi.

Nell’amare Dio per i doni che Lui fa a noi, c’è sempre il pensiero del nostro io che inquina l’intenzione, inquina l’amore e impedisce a noi di arrivare a quella conoscenza che è vita eterna e per la quale siamo stati creati.

E avevamo identificato l’intenzione pura nell’intenzione che cerca Dio per quello che Dio è in Sé, come la condizione per potere accogliere la rivelazione di Dio, per potere conoscere Dio.

“Dopo questi avvenimenti”, cioè dopo avere precisato questo: “Gesù percorreva la Galilea volendo evitare la Giudea”.

La Galilea è espressione di tutto il mondo esterno a noi, poiché la Giudea la cui capitale è Gerusalemme (la città di Dio), rappresenta tutto il nostro mondo interiore.

Gerusalemme, la città di Dio è la nostra stessa anima, poiché il Signore dice: “Voi siete la casa di Dio, voi siete il tempio di Dio”, quel tempio che Dio ha voluto come casa di preghiera.

Per cui la nostra anima, il nostro mondo interno è una casa di preghiera, la vera casa di preghiera, in cui Dio è sempre esposto.

Il nostro mondo interiore è un luogo in cui Dio è sempre esposto.

Purtroppo noi del nostro mondo interiore, il più delle volte ne facciamo una spelonca di ladri, ne facciamo una casa di commercio, un luogo di traffico, il tempio quindi resta inquinato, resta confuso, le cose non sono più rivolte a Colui che è sempre esposto.

Noi sconsacriamo il tempio di Dio.

Gesù viene per riportare questo tempio, questa casa interiore nella sua funzione essenziale: è la casa del Padre.

Lo zelo di questa casa è quello che lo consuma, Lui viene per purificare questa casa, per riportare in Essa tutte le cose alla funzione essenziale: luogo di preghiera.

Ed è per questo che Gesù si ferma in Galilea, cioè nel nostro mondo esterno, perché attraverso questo mondo esterno, opera per purificare il nostro mondo interno, per formare in noi questa intenzione pura che è la condizione necessaria per potere ricevere la rivelazione di Dio.

Se il Verbo di Dio, il Cristo entrasse nel nostro mondo interno quando ancora non c’è questa preparazione, noi senz’altro lo uccideremmo, infatti cercavano di ucciderlo in Giudea e Lui tende ad evitare di andare là.

Mentre percorre la Galilea, ecco che “si avvicina la festa dei giudei”, cioè mentre Dio sta operando nel nostro mondo esterno, attraverso tutte le lezioni che ci dà, mentre la nostra vita passa, si avvicina per noi la festa dei giudei.

Ed abbiamo visto che questa festa dei giudei, la festa dei tabernacoli, rappresentava il ricordo (per ordine di Dio) del pellegrinaggio sotto le tende (tabernacoli) di tutto il popolo ebreo, quando Dio lo fece uscire dall’Egitto e lo mise in cammino verso la terra promessa.

C’era questa festa dei giudei che durava (e dura) otto giorni, in cui i giudei lasciano le loro case, si costruiscono delle capanne di frasche e vivono 7/8 giorni in questa provvisorietà per ricordare, per cui la festa diventa una commemorazione.

La festa non è tutta rivolta al passato, evidentemente questa festa deve avere un significato positivo.

E il significato positivo sta nel fatto che mentre Dio opera in tutto il nostro mondo, con tutte le lezioni di vita che Egli ci dà, a poco per volta ci fa uscire dalle nostre sicurezze, dalle nostre comodità, ci fa uscire dalla vita vissuta per il mondo, alla vita vissuta in vista della terra promessa.

Cioè relativizza tutte le nostre sicurezze.

Noi viviamo in terra d’Egitto, il nostro mondo, viviamo per guadagnare denaro poiché crediamo di trovare in esso la nostra sicurezza e il Cristo, il Verbo di Dio, parlando, a poco per volta ci porta nella vocazione di Abramo.

E noi vediamo una schiera infinita attraverso i secoli di tante creature che a un certo momento lasciano le loro case, le loro carriere, il loro benessere, le loro sicurezze per vivere nel deserto, cos’è che li ha trasformati?

È la Parola di Dio, è il Verbo di Dio che parlando in Galilea fa sentire all’uomo la nostalgia dell’assoluto che ogni uomo porta in sé ma che ha bisogno di essere richiamata.

E mano a mano che l’uomo scopre questa verità, ecco che comincia a partire dalla sua casa, dalla sua famiglia, dalla sua patria e comincia ad andare “là dove Io ti dirò”.

Qui abbiamo la festa che si avvicina.

Il concetto di festa è partenza da quello che è il  nostro mondo di lavoro, di sicurezze verso un luogo che ancora non conosciamo, quindi è una liberazione da-.

Il primo concetto di festa è liberazione da-.

E questa liberazione avviene appunto in quanto la Parola di Dio ci dice di partire.

Dio ha istituito la festa, il giorno di riposo ogni sei giorni, appunto per insegnare a noi a partire da-.

Dio momentaneamente sospende la pressione delle nostre fatiche e delle nostre schiavitù, affinché noi abbiamo a camminare dietro la Parola di Dio.

Però la Parola di Dio ha una meta ben precisa ed è quella di convogliarci verso la conoscenza di Dio.

E allora la festa passa da una liberazione da-, a una liberazione per-.

Dio ci libera non soltanto perché noi abbiamo ad essere liberi da-, dal male, dal lavoro, dalla fatica, questo è necessario perché noi possiamo avere l’anima, la mente disponibili per una meta, per qualcosa di ben preciso.

Quindi la positività della festa non sta nella liberazione da-, ma sta nella liberazione per-, e se vogliamo intendere il significato della festa, dobbiamo scoprire questo aspetto positivo.

Dio mi dà un giorno di riposo, Dio mi dà un giorno di vacanza, Dio mi mette in pensione per che cosa?

Quindi non è un annullamento, una liberazione, una frustrazione, non è un “niente da fare” la domenica, ma è un “fare” molto più impegnativo.

Per cui la domenica deve essere un giorno molto più impegnativo degli altri giorni e se noi non lo vediamo così, frustriamo la festa.

Perché Dio ci libera da cose inferiori, per darci l’impegno in cose superiori.

È cioè l’anima della frase fondamentale con cui Cristo si presenta al mondo: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire ma cerca prima di tutto Dio”.

Il problema non sta nel fare niente, il problema è che Dio ti solleva dalle preoccupazioni e dagli impegni, affinché tu possa essere disponibile per Lui e questa è l’opera che la Parola di Dio fa tra noi.

Perché Dio è un grande impegno per l’uomo e richiede molta dedizione e molto pensiero.

È a questo punto che la festa presenta un rischio.

Il tema di oggi su cui ci dobbiamo soffermare è questo: quale lezione Gesù vuole darci, sottomettendosi alla tentazione della festa.

Perché proprio nel versetto tre, noi vediamo che Gesù è tentato a partecipare alla festa dei giudei.

Dal momento che c’è questa tentazione alla quale Gesù si sottomette, è perché questa tentazione riguarda personalmente ognuno di noi.

E se c’è una tentazione c’è un rischio.

Abbiamo raffrontato questa tentazione con le tentazioni di Satana a Gesù nel deserto.

Gesù all’inizio della sua missione, si sottomette alle tentazioni di Satana non per Sé, ma perché quelle tentazioni sono le nostre tentazioni.

E si sottomette a quelle tentazioni per insegnare a noi ad evitare i rischi che ci sono sul cammino verso Dio.

Anche nella festa c’è il rischio e Gesù si sottomette alla tentazione della festa, per insegnare a noi ad evitare quel rischio.

Ed il rischio è quello di considerare la festa non dal punto di vista dell’intenzione di Dio, ma di considerare la festa dal punto di vista umano.

Quindi evidentemente ci sono due feste: c’è la festa secondo Dio e c’è la festa secondo l’uomo.

La festa considerata secondo Dio è liberazione dell’uomo da un luogo di schiavitù, per renderlo disponibile per Dio, perché possa impegnarsi in qualcosa di superiore, quindi possa progredire nella vita essenziale.

La festa invece vista dal punto di vista dell’uomo, dall’intenzione dell’uomo è soltanto liberazione da-, quindi è riposo per recuperare dalle fatiche, per impegnarsi nuovamente nel suo campo di schiavitù, di lavoro dei giorni feriali.

Allora noi abbiamo le posizioni completamente invertite, perché la festa secondo lo spirito di Dio è per liberare l’uomo da una schiavitù, perché impegnandolo a conoscere maggiormente Dio, Dio offre all’uomo la possibilità di superare il luogo della sua schiavitù.

Perché il luogo della nostra schiavitù è una conseguenza dell’ignoranza di Dio.

Se Dio dà a noi la possibilità, la grazia di conoscere qualcosa più di Lui, dà a noi la possibilità di modificare il nostro rapporto con Lui, modificando il nostro rapporto con Lui ci offre la possibilità di alleggerire la nostra schiavitù, mentre invece la festa secondo l’intenzione dell’uomo essendo riposo per ricostruire le forze, diventa un giorno per confermarci nella nostra schiavitù, per rafforzare le nostre catene, quindi abbiamo proprio la posizione opposta.


Perché nessuno fa le cose in segreto se cerca di essere in evidenza, giacché fai queste cose, manifesta te stesso al mondo. Gv 7 Vs 4


Titolo: La soddisfazione dell’io con l’etichetta di Dio.


 

13/Dicembre/1981


ARGOMENTI: L’esterno (Cristo) dialoga con l’interno (rapporto con Dio) per modificarlo nell’intenzione pura (4). Il Figlio in tutto glorifica il Padre (7). Le parola di Cristo brucia il nostro mondo e quindi avvicina la festa di Dio (8). I falsi valori dell’uomo che non conosce Dio (9). La tentazione della festa: liberazione da-, divertimento (12). Il lavoro è per la festa non viceversa (13). Giustificare il capovolgimento di intenzione dell’uomo nella festa (16). L’amore apparente per Cristo (17). La tentazione a cercare la gloria del proprio io (19). La gloria del nostro io che si camuffa di amore per Dio (21). Lasciarsi sedurre da argomenti che apparentemente sono buoni ma che hanno come intenzione la nostra ambizione (23). L’ambiguità è in noi (24). Fintanto che in noi non si è formata l’intenzione pura, rischiamo di scambiare il bene e il male (26). Il Figlio ubbidisce solo al Padre (27). Cristo c’insegna come uscire dalla tentazione della festa (35). Nel giorno libero si manifesta il proprio amore: salvezza o condanna (37). La tentazione è grazia di Dio (42). La purezza o l’ambiguità non sta nelle cose ma in noi (43). La frustrazione della festa (45). La festa è impegno con Dio (47). L’insinuazione del demonio (49). Lo scopo della creazione è purificare la nostra intenzione (52). Il fuoco brucia l’impurità e purifica l’oro (53). Nella sintesi (Cristo) ho la rivelazione (57). Tutto viene da Dio ma va riportato a Dio (58). Tutto è tentazione (1.00). Scegliere è dire tanti no (1.06). Il dubbio (1.09). Non vivere la vita (1.14). Subire l’annullamento dei valori (1.17). Lo scopo della morte (1.21)


Abbiamo visto domenica scorsa che l’avvicinarsi della festa avviene mano a mano che Cristo parla in Galilea.

Abbiamo visto che la Galilea rappresenta il mondo esterno e Cristo il Verbo di Dio incarnato opera nel nostro mondo esterno, nel nostro ambiente per modificare qualcosa dentro di noi, opera dall’esterno per modificare il nostro interno.

Intanto questo ci fa capire una cosa importantissima: le cose esteriori sono in dialogo con le nostre cose interiori, cioè non sono indipendenti dalle cose interiori.

Cosa intendiamo per “cose interiori”?

Le cose interiori rappresentano il nostro rapporto personale con Dio.

Le cose esteriori sono in dialogo con questo rapporto personale della nostra anima con Dio e sono in dialogo con questo rapporto personale, interno nostro, per modificarlo, per purificare la nostra intenzione, fino a condurci a quell’intenzione pura con la quale noi amiamo, vogliamo, cerchiamo Dio non per i suoi doni ma per ciò che Egli è in Sé.

Quindi è perfettamente inutile che noi ci preoccupiamo, ci affanniamo per modificare il nostro ambiente esterno o le creature attorno a noi, perché quelle sono per modificare il nostro rapporto interno con Dio e fintanto che noi non modifichiamo il nostro rapporto interno con Dio, noi non facciamo altro che lottare contro dei mulini a vento, noi agitiamo vanamente le acque e noi operiamo assolutamente niente, tutto il nostro risultato è nullo, perché non capiamo la lezione di Dio e non la capiamo perché non teniamo presente che è Dio che opera nel nostro mondo esterno e non teniamo presente la Sua Intenzione in questo mondo esterno, cioè non teniamo presente il Cristo.

Cristo opera in Galilea, il nostro mondo esterno per modificare il nostro rapporto interno con Dio per purificare la nostra intenzione, fino a renderla così pura da renderla capace di accogliere la rivelazione del Padre.

Tutta l’opera del Figlio è quella di condurre noi a conoscere, a glorificare il Padre.

E il Figlio viene non per cercare la propria gloria ma per cercare la Gloria del Padre, poiché la caratteristica del Figlio è che in tutto glorifica il Padre, accoglie ogni cosa dal Padre, ogni cosa riferisce al Padre e in ogni cosa glorifica il Padre.

Mano a mano che il Verbo di Dio parla nel nostro mondo esterno, nel nostro ambiente, le sue parole sono fuoco che brucia, che cosa brucia?

Il fuoco elimina tutte le scorie, purifica.

Cristo parlando in tutte le cose, a poco per volta brucia tutti i nostri valori, brucia tutto il nostro mondo ed è così che si avvicina la festa.

Mentre Gesù trascorreva il suo tempo in Galilea, parlava alle genti, la festa dei giudei si avvicinava.

Abbiamo visto che la festa dei giudei, dei tabernacoli, rappresenta il passaggio dall’Egitto, dalla nostra schiavitù al lavoro, al deserto, alla vita transitoria, provvisoria, alla provvisorietà della tenda.

La Parola di Dio brucia il nostro Egitto e ci fa scappare, perché brucia i valori nei quali noi crediamo, data la nostra non conoscenza di Dio.

Fintanto che noi non conosciamo Dio, noi siamo sempre nell’incertezza tra valore e Valore, tra importanza e Importanza, per cui riteniamo sempre qualcosa come molto importante e necessario per noi e l’opera del Figlio è proprio quella di liberarci da questa schiavitù e di metterci in cammino, in pellegrinaggio verso la terra promessa.

La Parola di Dio ci rende viandanti, ci rende pellegrini dell’assoluto.

È la parola che viene rivolta da Dio ad Abramo:”Parti!”, ecco la Parola che brucia: “Parti dal tuo paese, parti dalla tua famiglia, dalla tua casa e va, là dove io ti indicherò”.

Ecco Abramo che viene trasformato in viandante, ed è subito un pellegrino.

Tutto questo è segno di quello che avviene nella vita di ognuno di noi.

Mano a mano che la Parola di Dio parla nella nostra Galilea, ci trasforma in pellegrini dell’assoluto, in viandanti, cioè ci mette in cammino verso la nostra festa: la festa nostra si avvicina.

Abbiamo detto che la festa, in contrapposizione a quello che è il giorno di lavoro, è liberazione da-.

La Parola di Dio bruciando i valori che ci rendono schiavi, perché noi li riteniamo importanti, assoluti, rivela a noi la relatività di questi valori, rivela a noi che tutti i nostri valori terreni valgono niente.

E questa è una parola che noi non possiamo contestare, è vera, è valida, per cui è soltanto per ignoranza nostra che noi ci appigliamo a dei valori relativi.

Questa Parola di Dio che mano a mano che arriva a noi brucia tutti i nostri valori, ci libera dalla schiavitù e ci sospinge nella festa.

La festa è liberazione da-, ma è soprattutto liberazione per-, e soltanto se noi teniamo presente lo spirito di Dio vediamo anche il significato di Dio nella festa.

Altrimenti noi ci fermiamo al significato della festa che arriva a noi nonostante noi, ci fermiamo soltanto alla liberazione da- e quindi corriamo un grande rischio e quindi abbiamo la tentazione.

Perché noi trovandoci liberi, sollevati da tutto quello che ci opprimeva, noi corriamo il rischio di divertirci, cioè di trasformare la nostra festa in un divertimento.

Divertimento nel vero senso della parola, cioè allontanamento dallo Spirito, da Dio, dispersione nel nulla.

Noi corriamo il rischio di trasformare questo tempo di libertà che Dio concede a noi, in riposo dalle nostre fatiche per recuperare le energie e lavorare di più il lunedì e lì rendiamo la festa al servizio dei giorni di lavoro, cioè capovolgiamo i termini e sbagliamo.

Poiché i giorni di lavoro sono in funzione della festa, non è la festa che è in funzione dei giorni di lavoro.

Quindi non dobbiamo capovolgere l’intenzione di Dio nella sua festa trasformando questa giornata di riposo da-, per ricostruire delle forze in modo da essere più efficaci nei giorni di lavoro.

Perché con ciò noi testimoniamo che vediamo il giorno di lavoro come scopo della nostra vita e Dio non ci ha creati per questo scopo.

Quindi tutto il lavoro, terra di schiavitù, l‘Egitto è in funzione del giorno della festa, ma anche noi non siamo fatti per il giorno di festa, perché anche la festa è fatta per noi.

La festa conclude per noi, affinché noi possiamo occuparci di Dio.

Dio ha fatto i tempi di lavoro e ha fatto i tempi di riposo, ha fatto tutte le cose per l’uomo, affinché l’uomo possa liberamente occuparsi di Dio, cercarlo, conoscerlo, imparare a vivere con Lui.

Questo è lo scopo dei giorni di lavoro e del giorno della festa.

Se noi non vediamo la festa come liberazione da-, per occuparci di Dio, noi frustriamo la volontà di Dio, l’intenzione di Dio, frustriamo la festa stessa.

A questo punto si inserisce questo ulteriore passaggio del discorso che i fratelli di Gesù fanno a Gesù per sollecitarlo ad andare in Giudea: “Perché nessuno fa le cose in segreto se cerca di essere in evidenza, giacché fai queste cose, manifesta te stesso al mondo”.

Siamo sempre nella fase della tentazione, nel rischio che presenta la festa.

Qui Dio ci conduce a vedere gli argomenti, le intenzioni attraverso le quali gli uomini, noi stessi, vogliamo giustificare il capovolgimento dello spirito di Dio nella festa.

Qui gli dicono: “Nessuno fa le cose in segreto se cerca di essere in evidenza”, apparentemente si direbbe amore, interesse per Gesù, perché lo invitano a partecipare ad una festa, lo invitano a manifestarsi, lo invitano a proseguire nella missione da Lui iniziata in Galilea, lo invitano ad estenderla al mondo, soprattutto al centro del loro mondo, a Gerusalemme, quindi si direbbe che questi fratelli, questi parenti abbiano amore, interesse per Gesù, quasi che credessero in Lui, e non è così.

Noi vedremo nel versetto successivo in cui è chiaramente detto che i suoi fratelli non credevano in Lui.

Quindi abbiamo apparentemente fede in Lui, apparentemente amore e interesse per Lui, mentre sostanzialmente non c’era la fede in Lui: in Giudea cercavano di ucciderlo.

Nella tentazione abbiamo un mascheramento, abbiamo un apparenza e abbiamo una realtà.

Qui c’è l’insinuazione che Gesù cerchi di mettersi in evidenza, cioè abbiamo la tentazione del demonio nel deserto, è la tentazione rivolta a Gesù ad affermare Se stesso, a cercare la gloria del proprio Io.

E Gesù qui sarà netto: “Io non sono venuto a cercare la mia gloria ma la gloria di Colui che Mi ha mandato”.

Perché Gesù si sottopone a questa tentazione?

Perché è la tentazione che ognuno di noi subisce, fintanto che in noi non si sarà formata l’intenzione pura.

Fintanto che in noi non si è formata questa intenzione pura con cui noi cerchiamo Dio per quello che Egli è in Sè, noi ci troveremo sempre di fronte a queste forme di tentazione, a queste sollecitazioni, quindi a queste ambiguità tra la gloria di Dio e la gloria del nostro io, tra la ricerca di Dio e la ricerca di noi stessi.

Ma la ricerca della gloria del nostro io si camuffa, si veste di servizio a Dio, si veste di fede, di amore per Dio, per cui il vestito è quello di Dio, è il dovere, la religiosità, è la santificazione della festa ma la sostanza è l’intenzione dell’io, la ricerca della nostra gloria.

Negli altri vangeli abbiamo il concetto di festa come fine del mondo, la Parola di Dio brucia entrando nella nostra vita e bruciando ci conduce alla fine del nostro mondo, cioè alla fine dei nostri valori, ora quando Gesù parla di questa fine del mondo dice di stare attenti a non lasciarci sedurre.

Mano a mano che la festa si avvicina all’uomo e quindi si avvicina questa sua disponibilità per occuparsi per Dio, l’uomo corre il rischio di lasciarsi sedurre da argomenti che apparentemente sono buoni ma che intenzionalmente sono per glorificare il nostro io e la nostra ambizione.

“State attenti, siate semplici come colombe e prudenti come serpenti”.

“State attenti a non lasciarvi sedurre dagli uomini, perché vi diranno: andate qui andate là, eccolo qui eccolo là, vi dico: non seguiteli”.

Teniamo presente che il Signore ci presenta queste voci, questi richiami, queste sollecitazioni dall’esterno, magari attraverso le creature ma che sostanzialmente non fanno altro che riflettere intenzioni nostre, cioè dubbi nostri che nascono dal nostro interno, perché fintanto che in noi non si è formata quell’intenzione pura per formare la quale il Cristo opera, dentro di noi c’è sempre ambiguità, c’è l’io nostro che si fa sentire, per cui viene sempre fuori la tentazione di cercare la soddisfazione del nostro io appiccicandoci l’etichetta di un ideale, di un dovere, di un impegno, di una festa.

Dio invece ci osserva nei nostri pensieri, Dio ci osserva nelle nostre intenzioni in cui sotto sotto c’è il pensiero del nostro io.

Per questo Gesù si sottopone a questa tentazione, per aiutare noi a non lasciarci sedurre dalla tentazione.

La tentazione è necessario che avvenga e la tentazione avviene e avverrà (grazia di Dio) fintanto che in noi non si sarà formata l’intenzione pura e avviene proprio per metterci in movimento.

Perché fintanto che in noi, noi avvertiamo questa tentazione, è segno che non siamo ancora arrivati là, dove Dio vi vuole condurre.

Quando noi, non essendo arrivati a questa intenzione pura e quindi non avendo in noi la capacità di conoscere, possedere lo spirito di Dio, noi ci troviamo in balia della tentazione e quindi corriamo il rischio di scambiare il bene per male e il male per bene, corriamo il rischio di cedere, ecco perché Cristo si sottopone, prende su di Sè i nostri difetti, prende su di Sé la nostra incapacità di vedere e Lui esce dalla tentazione, per insegnare a noi come se ne esce.

Quindi Gesù prende su di Sé la tentazione che è nostra e ci fa vedere come dobbiamo comportarci di fronte ad essa, anche se la voce della tentazione ha parvenza di bene, come poteva avere parvenza di bene la partecipazione di Gesù alla festa dei giudei voluta da Dio ma alla quale Lui si sottrae.

Perché il Figlio deve ubbidire al Padre e non deve ubbidire agli uomini, né ad ogni altra voce.

Il Figlio di Dio non si muove se non lo vede fare dal Padre.

Lui non andrà in Giudea, fintanto che non vedrà il Padre che gli dirà di andare in Giudea e allora tutte le altre voci sono tentazioni che Lui accoglie su di Sé per insegnare a noi a non lasciarci ingannare da esse, perché a fondo di esse c’è il pensiero del nostro io e non c’è ancora il Pensiero di Dio per quello che Egli è in Sé, cioè non siamo ancora figli di Dio.


Perché nessuno fa le cose in segreto se cerca di essere in evidenza, giacché fai queste cose, manifesta te stesso al mondo. Gv 7 Vs 4


Titolo: La soddisfazione dell’io con l’etichetta di Dio.


 

14/Dicembre/1981


ARGOMENTI: La tentazione della festa – I segreti dei cuori – La religiosità apparente – Lo zelo per il Padre – La preghiera vocale – La lezione esterna di Dio – L’intenzione pura – Giudea e Galilea – La Gerusalemme celeste – Il mondo esterno e il mondo interno – La creatività di Dio – Modificare l’esterno – La chiave della creazione – La creazione e Dio -  Il concetto di Dio creatore -  La diversità delle creature – La grossolanità delle creature – Induzione e deduzione -  L’equilibrio dell’universoLa bontà apparente – Firpo e Erich Fromm – L’attenzione e il silenzio – Parole minuscole e maiuscole – La creazione e la Parola -