Dopo questi
avvenimenti, Gesù percorreva la
Galilea, volendo evitare la Giudea, perché i giudei cercavano di farlo morire. Gv 7 Vs 1 Primo tema.
Titolo: Bussare
e non entrare.
15.Novembre 1981
ARGOMENTI: Conoscere Dio nella fede
(00.30). L’intenzione pura (22.00). La
Giudea è il mondo interiore (26.00). La Galilea
è il mondo esteriore (27.10). L’opera esterna (Galilea)
di Gesù ha lo scopo di formare
in noi l’intenzione pura (29.00). È nel pensiero dell’io che tutta l’opera di Dio viene a
morire (31.20). Anche la morte di Cristo è opera esterna per
purificare la nostra anima (32.50). L’azione in
Galilea è azione di parabole (33.05). Concedersi
vuol dire rivelarsi (33.30). L’amore vero
(35.00). La fame specifica per Dio (36.00).
Accogliere il Figlio unigenito di Dio (37.10). Cristo muore per farci morire a noi stessi (38.00). L’ultima parabola è la sua morte in croce (39.00). La Sua opera in Galilea ci permette di capire la Sua morte in
croce (39.20). Dal sentito dire all’intenzione
pura (44.00). Monte Tabor (46.50). Possedere (fare) quello che Cristo ci annuncia (48.20).
Toccare con mano che il nostro io è deicida (50.20). Le lezioni esterne le accettiamo (52.00). Riconoscere il proprio peccato (1.01.00). Tulla la creazione è il Figlio che parla con noi (1.05.30). La rivelazione del Figlio unigenito di Dio (1.12.10). Sperimentare che noi siamo colpevoli della morte di Cristo
(1.16.50). La fine del mondo, liberazione o
rovina (1.17.50). Le 10 vergini: la
preparazione (1.18.00). Anticipare il tempo
dell’incontro con Dio: Amore (1.18.20). Cristo
si concede a Pentecoste rivelandosi come unigenito Figlio di Dio, dopo aver
formato in noi l’intenzione pura, che non si forma con la Sua morte (1.31.30). Bere il sangue di Cristo è un annuncio in attesa prendere
consapevolezza della sua morte (1,34.00). Cristo
morto è l’ultimo pensiero che ci rimane (1.36.00). La conclusione di tutta l’opera di Dio (1.37.00).
Eligio: Prima
della Pentecoste è possibile avere una conoscenza di quello che Dio è in Sè?
Luigi: Sì ma solo per sentito dire, tu di
fronte al sentito dire non lo puoi smentire.
Non puoi capire personalmente,
perché solo a Pentecoste capisci personalmente, hai la visione, però in quanto
ti arriva non lo puoi smentire, per cui ti vincola con un legame di fede, però
la fede deve arrivare ad una luce personale.
Gli attributi di Dio non
sono Dio.
Stamattina parlavo con dei
testimoni di Geova che dicevano che Dio non può mandare la guerra perché Dio è
buono, ecco un attributo di Dio che mi sottrae a una lezione di Dio, noi
fondando la nostra fede su certi attributi di Dio, scartiamo delle lezioni di
Dio.
L’attributo di Dio mi porta
via la fede in Dio, infatti li ho liquidati dicendogli che non credono in Dio e
ne sono rimasti scandalizzati: non potevano credere che un terremoto, una
malattia, la morte fossero mandati da Dio.
In nome di un attributo di
Dio si finisce col rifiutare Dio, perché proprio accettando da Dio quelle
lezioni che non convengono a noi, noi cresciamo nella fede.
Se Dio mi manda la
caramella dico che Dio è buono, ma anche se mi manda la medicina devo
accettarla da Dio, la sua bontà la scopriro poi, io devo accettare tutto da
Dio, anche quelo che non mi conviene, perché Lui è il Creatore.
“Uno solo è il Creatore,
non avrai altro Dio all’infuori di Me”, e proprio in nome di questo, tu sei
impegnato ad accettare tutto da Dio, quello che ti piace e quello che non ti
piace.
Tutto viene dalla mano di
Dio e in tutto c’è la mano di Dio.
Non posso dire che la parte
del mondo che mi conviene è opera di Dio mentre la parte del mondo che non mi
conviene è opera dell’uomo o del demonio, perché allora io scarto le lezioni di
Dio più efficaci per cambiare me.
Quanto più noi ci
avviciniamo alla causa di tutte le cose, tanto più abbiamo in noi un processo
di armonizzazione di tutto, sempre per fede logicamente, cioè il mosaico
comincia ad acquistare una certa fisionomia.
-
Esposizione Luigi Bracco –
Qui abbiamo tre
pensieri che ci vengono presentati: 1 -
“Dopo questi avvenimenti”, 2 – “Gesù percorreva la Galilea”. 3 – “Volendo
evitare la Giudea” e giustifica questo: “Perché i Giudei cercavano di farlo
morire”.
“Dopo questi
avvenimenti”, quali avvenimenti?
Noi dobbiamo
sempre tenere presente che tutto è parola di Dio ed è parola personale di Dio
per ognuno di noi.
“Questi
avvenimenti” sono gli avvenimenti del capitolo sesto, attraverso i quali Dio ci
ha fatti approdare sul pensiero che la conoscenza di ciò che Dio è, richiede in
noi l’intenzione pura: “Beati i puri di cuore, perché questi vedranno Dio”.
È stata la
conclusione, attraverso cui siamo giunti nel capitolo sesto.
L’intenzione
pura è volere e desiderare Dio per ciò che Egli è, dopo questi avvenimenti Gesù
percorreva la Galilea volendo evitare la Giudea.
Adesso abbiamo
la possibilità di capire un fatto nuovo dell’opera di Dio: Gesù Figlio di Dio
che percorre la Galilea ed evita la Giudea.
Lo giustifica
dicendo che in Giudea cercavano di farlo morire.
Dopo avere
capito che la conoscenza di Dio richiede in noi questa intenzione pura, abbiamo
la possibilità di comprendere perché Gesù eviti la Giudea e si limiti invece a
percorrere la Galilea.
Cioè abbiamo la
possibilità di capire il messaggio di Gesù in terra di Galilea.
Dobbiamo
soffermarci sulla Giudea, cioè cosa significa la Giudea.
La Giudea è il
luogo in cui cercavano di fare morire Gesù ed in cui alla “sua ora” Lui andrà a
morire.
Lui adesso
evita di andare ufficialmente in Giudea.
La Giudea è la
regione che ha per capitale Gerusalemme e Gerusalemme significa la nostra anima
e Gesù Figlio di Dio viene a morire nella nostra anima, la morte di Gesù in
croce significa la morte di Dio in noi quando non teniamo conto di Dio.
Se Gerusalemme
significa la nostra anima, la Giudea che ha per capitale Gerusalemme,
rappresenta il nostro mondo interiore.
La Galilea
invece è quella regione che è al di fuori della Giudea e quindi significa il
nostro mondo esteriore.
E Gesù che
percorre la Galilea e si rifiuta di entrare in Giudea, è l’opera di Dio che
bussa alla nostra porta ma che non entra e non entra quand’anche trovasse la
porta aperta.
Quand’anche Lo
invitassero ad andare in Giudea, quand’anche trovasse aperta la porta di casa
nostra, Lui bussa ma non entra.
E questa è un
po’ l’anima di questo capitolo.
Pinuccia: Però
si bussa per entrare.
Luigi: Se anche noi lo invitiamo ad entrare Lui non entra.
Pinuccia: Ma
allora perché bussa?
Luigi: Qual è la funzione di questo percorrere la Galilea da parte di Gesù?
Il suo
percorrere la Galilea, è opera esterna, è il bussare di Dio alla porta del
nostro mondo interiore.
Ma allora
perché non entra?
Perché cercano
di farlo morire.
Lui sa quello
che c’è dentro casa nostra, Lui sa che se gli aprono la porta e lo invitano ad
entrare è perché lo vogliono uccidere.
Allora perché
Lui bussa e poi dopo non entra?
Perché cercano
di farlo morire.
E perché
cercano, cerchiamo di farlo morire?
Perché non
abbiamo l’intenzione pura.
“Gesù non si concedeva
a loro, perché sapeva quello che c’era nell’uomo”, nell’uomo in Giudea, non c’è
l’intenzione pura, se si concedesse lo farebbero morire, si concederà quando
sarà la sua ora, quando cioè avrà preparato qualcosa nell’uomo.
L’azione di Dio
in Galilea, nel mondo esterno, ha lo scopo di formare in noi l’intenzione,
quell’intenzione che è la condizione perché Lui possa entrare, in caso diverso
non può entrare.
Pinuccia: Ma
morirà ugualmente.
Luigi: Morirà quando sarà la sua ora: “Tutti i profeti vengono a morire in
Gerusalemme”.
È nel nostro
interno, nel pensiero dell’io che viene a morire tutta l’opera di Dio e quindi
anche il Figlio di Dio viene a morire nella nostra interiorità, prima però Lui
deve fare tutta la sua opera per cercare di farci approdare a quell’intenzione
pura che è condizione necessaria per la salvezza.
Pinuccia: Ma
Lui muore comunque in noi. Se l’intenzione pura si è formata noi non lo
dovremmo uccidere.
Luigi: Tieni presente che qui abbiamo l’opera esterna di Gesù, che tende a
formare in noi l’intenzione pura, per preparare noi alla Pentecoste, per
preparare noi a ricevere il Figlio unigenito di Dio, arriverà il giorno in cui,
proprio per formare in noi questa intenzione pura Lui si concederà alla morte,
ma avrà già formato in noi quella fede tale per cui, attraverso la sua morte in
noi si forma l’intenzione pura.
La sua morte è
ancora un azione esterna per formare in noi l’intenzione pura.
Tutta l’azione
di Gesù in Galilea, è un azione di parabole, cioè parla fuori per preparare
l’interno.
“Gesù non si
concedeva perché sapeva quello che c’era nell’uomo”, eppure Lui è venuto per
salvare l’uomo e si concederà all’uomo, ma prima di concedersi lo prepara e
allora qual’è il fine di tutta questa preparazione?
Formare
nell’uomo la condizione o le condizioni necessarie per potere accogliere il
Figlio unigenito di Dio.
Concedersi
vuole dire rivelarsi, Lui si rivela come figlio dell’uomo, non come unigenito
Figlio di Dio, come figlio dell’uomo, cioè come un altro io che però realizza
in tutto la vita secondo Dio.
Quindi noi
abbiamo una figura esemplare fino alla morte, sempre per formare in noi le
condizioni per accettarlo, in caso diverso noi lo escluderemmo.
Ognuno di noi
lo esclude, sia chiaro, non può accettare la rivelazione del Figlio unigenito
di Dio.
Pinuccia: Non
c’è la capacità.
Luigi: Lo uccidiamo, lo facciamo fuori, non lo accettiamo, perché diventa per noi
un assurdo, una cosa impossibile.
Pinuccia:
Perché non siamo ancora morti a noi stessi.
Luigi: Certo è logico.
Soltanto avendo
capito la necessità di avere in noi l’intenzione pura, l’amore vero, lo
possiamo accettare.
L’amore vero è
quello che ama un essere per quello che è e non per quello che ha e
l’intenzione pura è quella che dà a noi la capacità di accogliere Dio per
quello che è e non per quello che ha, cioè per i suoi attributi.
Però perché si
formi in noi questa intenzione pura, abbiamo bisogno di Uno che operi attorno a
noi, non dentro, perché se entra dentro noi lo uccidiamo se non siamo preparati
a Lui, se al cane gli offri un Rolex non sa cosa farsene, se gli offri un osso
sa cosa farsene.
Fintanto che
Dio non ha formato in noi questa fame di Sé, intenzionata, polarizzata su ciò
che Dio è, Lui non può manifestarsi.
Non si tratta
quindi di una fame generica, a un certo momento si deve formare in noi questo
desiderio specifico: tutto dipende dal conoscere Dio per ciò che Egli è in Sé e
allora si forma in noi l’intenzione pura, quest’unica cosa necessaria,
quest’essenzialità della nostra anima che rende noi capaci di accogliere il
Figlio unigenito di Dio, in caso diverso no.
Pinuccia:
Accogliere il Figlio unigenito di Dio vuole dire accogliere Dio per ciò che
Egli è?
Luigi: Soltanto avendo la possibilità di conoscere Dio per ciò che Egli è,
abbiamo la possibilità di accogliere il Figlio unigenito di Dio.
Pinuccia:
Prima si conosce il Padre e poi il Padre ci fa conoscere il Figlio.
Margherita: Non
ho capito la necessità di morire di Gesù se in noi si è formata l’intenzione
pura e quindi la capacità di accettarlo.
Luigi: No, perché questa capacità di accetarlo non c’è ancora.
Noi dobbiamo
dalla sua morte, imparare a morire a noi stessi.
Lui muore
ancora per formare in noi quest’intenzione pura, però viene già a morire dentro
di noi.
Anche
l’accogliere il suo parlare in parabole richiede sempre a noi l’attrazione per
il Padre, quindi ci deve già essere questa fede iniziale, questo interesse per
Dio, inquinato si capisce, però Lui a poco per volta, parlando in parabole,
purifica in noi questa intenzione, fino a quel punto in cui Lui si offre a
morire in noi, avendo oramai in noi la capacità della resurrezione, ma è ancora
necessario che Lui si offra a morire, perché?
Perché dobbiamo
fare l’ultimo atto e l’ultimo atto è quello di morire a noi stessi.
Per arrivare a
percepire la necessità di quest’ultimo atto, di morire a noi stessi, è
necessario che noi tocchiamo con mano l’ultima parabola del Signore: la sua
morte in croce per colpa mia.
Pinuccia: E
sono tutte le parole che Lui ha seminato prima che ci aiutano a superare quel
momento.
Luigi: Certo, altrimenti io vedo la sua morte come una liberazione per me di uno
che disturbava.
Pinuccia: Lui
muore per tutti, però solo chi ha camminato con Lui in Galilea lo trova
risorto.
Luigi: Infatti quando Lui risorge cosa dice a Maria? “Dì ai miei fratelli che
tornino in Galilea, là mi vedranno”, cioè li invita a ritrovare tutto quello
che Lui aveva seminato, come condizione per...
Pinuccia:
...superare quel momento e vederlo risorto.
Luigi: Certo per prepararsi a ritrovarlo risorto: “Allora mi vedranno”, invita ad
un ripensamento.
Dopo questi
avvenimenti, Gesù percorreva la
Galilea, volendo evitare la Giudea, perché i giudei cercavano di farlo morire. Gv 7 Vs 1 Primo tema.
Titolo: Bussare
e non entrare. II
17.Novembre 1981
MARTEDI: La rivelazione di Cristo nell’interno dell’uomo (4.00). Il parlare in parabole di Gesù (5.00). Confondere la presenza di Dio con la presenza di noi
stessi (7.30) Partecipare consapevolmente al
Principio (10.00). Dal sentito dire alla
realizzazione dell’intenzione pura (17.00).
Prendere consapevolezza che il sangue di Cristo è stato versato per me (20.00).
Cristo mette ordine nella nostra matassa di
pensieri (24.00) L’attrazione del mondo dell’io
(29). Cristo in noi raccoglie nel Padre (30). Gli
argomenti di Cristo e gli argomenti dell’io (31). Morire nella convinzione dell’intenzione pura (32,30). Il tradimento di Pietro in noi (36). Cristo risorto invita a ritrovare nella memoria il Suo
parlare in Galilea per vederlo risorto (42.30). Il
dato interno determina l’incontro col Cristo risorto (45). Quello che trattiene il Figlio di Dio dal rivelarsi a noi è
l’intenzione impura che portiamo in noi (48). La
capacità di risorgere con Cristo in Giudea, si forma con Cristo in Galilea
(49). Ognuno Lo ritroverà risorto per le
informazioni che porterà dentro di sé (50). A
seconda delle informazioni che ascolti, determini il tuo domani (51). La differenza fra il non sapere e il sapere (55). Il concetto di Figlio unigenito di Dio (58). La glorificazione del Figlio prima di Pentecoste (1.05). La tragica impossibilità di ricevere la comunicazione del
Figlio di Dio (1.16). Il possesso della Verità
(1.19)
Dopo
questi avvenimenti, Gesù percorreva la Galilea, volendo
evitare la Giudea, perché i giudei cercavano di farlo morire. Gv 7
Vs 1 Secondo tema.
Titolo: L’attesa
per vedere il volto di Dio.
22.Novembre
1981 Vigna
ARGOMENTI:
L’intenzione che ci guida nell’amore (2). I quattro gradi dell’amore (4). Solo l’intenzione pura può ricevere la rivelazione di Dio
per ciò che Egli è (5).L’opera esterna di Cristo
in Galilea per purificare il nostro interno (7). Mettere il Padre al suo giusto posto in noi (giustizia) (9). Il superamento del pensiero del nostro io non può avvenire
se non vediamo Cristo morto in croce (11) Concedersi
vuol dire manifestarsi (13). Cristo muore come
figlio dell’uomo, non come Dio (17). Sperimentare
che non sono io a pensare Dio (25). Riconoscere
il proprio peccato (30). La creazione esterna
è per educare il nostro mondo interno ad accogliere la rivelazione di Dio (31).
L’amore volubile per i doni che Dio ci dà (34). L’amore stabile ama Dio per quello che Egli è (35). Fintanto che riteniamo di essere noi a pensare Dio non
possiamo ricevere la rivelazione di quello che Dio è (41). Noi siamo dei pensati da Dio (42). Scoprire il senso, il fine della vita (45). Il
desiderio è conseguenza dell’aver scoperto l’importanza di una cosa (47). Le nostre parole ingannano e ci ingannano (1.01). L’intenzione pura si ha solo quando si vuole un essere per
quello che egli è (1.02). Strumentalizzare Dio
alla nostra volontà (1.04). La predicazione di
Cristo in Galilea in parabole, segni (1.07). Arrivare
alla consapevolezza di ciò in cui crediamo (1.10). Dio è (1.19).
Il tema di oggi è questo:
Gesù che resta in Galilea e vuole evitare la Giudea, quale significato ha per
la nostra vita spirituale?
Abbiamo visto che l’amore è
vero quando ama uno per ciò che è e non per ciò che ha.
Per cui l’elemento determinante
è l’intenzione che ci guida nell’amore.
San Tommaso dice: “Amerai
Dio di un amore vero, quando lo amerai per ciò che Egli è e non per i suoi
benefici, L’amore vero ama Dio in Sé e non per qualsivoglia altra
considerazione. L’amore vero raggiunge Dio in quanto tale e non in
considerazione di ciò che Egli dà all’uomo, come la conoscenza della Verità è
l’inclinazione verso il bene”.
Dice San Bernardo: “Quando
tu dici di Dio che è buono, grande, beato, sapiente, quanto tu dici di Dio si
riassume in una parola “È”, in questo “È”, sono compresi tutti gli altri
attributi, se li enumeri non aggiungi nulla, se li ometti non togli nulla”.
E sempre San Bernardo fa
questa distinzione fra gli amori: “L’amore vero come intenzione pura e immune
da qualsiasi motivazione secondaria” e sempre San Bernardo parla di quattro
gradi di amore.
“Primo l’amore naturale con
cui l’uomo ama se stesso per se stesso, secondo l’amore per cui l’uomo ama Dio
ma per un profitto personale, l’amore con cui l’uomo ama Dio esclusivamente per
Se stesso, costui ama autenticamente e di conseguenza non gli è difficile
adempiere al comandamento dell’amore per il prossimo, quarto l’amore per cui
l’uomo non si ama più, se non per amore di Dio”.
Noi abbiamo visto che
soltanto l’intenzione pura rende la nostra anima capace di cogliere Dio per
quello che Egli è, di ricevere la rivelazione di Dio per quello che Egli è.
È su questo sfondo che
dobbiamo meditare sul perché Gesù se ne restava in Galilea ed evitava di andare
in Giudea perché i Giudei cercavano di farlo morire.
Abbiamo confrontato questo
passo con quello del secondo capitolo di San Giovanni in cui si dice che Gesù
non si affidava agli uomini, perché sapeva quello che c’era e c’è nell’uomo.
Affidarsi, confidarsi,
rivelarsi, vuole dire manifestarsi per quello che uno è, quindi Gesù non
manifestava Se stesso, la sua persona per quello che Egli è, perché sapeva
quello che c’era nell’uomo, sapeva che nell’uomo c’erano delle condizioni tali,
per cui l’uomo non poteva sopportare, ricevere e comprendere la rivelazione del
Figlio di Dio.
Quando abbiamo parlato
della Giudea, abbiamo visto che essa rappresenta il nostro mondo interno.
Al centro della Giudea c’è
Gerusalemme che rappresenta la nostra anima.
Quindi Gesù che non va in
Giudea perché cercano di ucciderlo, significa che il Figlio di Dio parlando tra
noi, non rivela Se stesso al nostro mondo interno, perché sa quello che c’è
dentro di noi e sa che noi non possiamo sopportarlo.
E allora fintanto che in
noi non si è formata quest’intenzione pura, Egli opera dall’esterno di noi,
attorno a noi in Galilea appunto ed opera per purificare il nostro interno.
Il che vuole dire che Lui
si rivelerà a noi soltanto quando dentro di noi, il Padre sarà stato messo al
suo giusto posto.
Quindi Gesù parla in
Galilea, affinché il Padre trovi nella nostra anima, nei nostri pensieri, il
posto che gli spetta.
Quando il Padre sarà al suo
posto dentro di noi, anche il Figlio allora si affiderà a noi e rivelerà a noi
quello che Egli è, perché soltanto allora noi avremo la capacità di accogliere
la sua rivelazione e di comprenderla.
Dopo
questi avvenimenti, Gesù percorreva la Galilea, volendo evitare la Giudea,
perché i giudei cercavano di farlo morire. Gv 7
Vs 1 Secondo tema.
Titolo: L’attesa
per vedere il volto di Dio.
23.Novembre
1981
Argomenti:
Conoscenza di Dio nella fede: il Figlio parlando
incentra l’attenzione sul Padre purificando intenzione (9). Cristo è una presenza fisica tra tante presenze fisiche,
l’attenzione è purificazione (12). La pura attenzione
a Dio (13). Recuperare alla memoria il Suo
messaggio in Galilea, condizione per vederlo risorto (19). Il parlare in parabole (bussare) e il parlare aperto (20). Il mistero è il bussare di Dio (22). L’opera di Cristo in Galilea è per risvegliare il desiderio
per Dio (24). La molteplicità di interessi rende
impuro il nostro pensiero (25). La Samaria
(26). “Va a dire ai miei apostoli che mi
vedranno in Galilea” (27). Ognuno scopre il
Cristo risorto per quello che porta in sé di Lui, Cristo non risorge per tutti
(28). I segni esterni attraverso cui Cristo
risorto si fa riconoscere (29). Interiorizzare
la verità prima che si manifesti (30). In tutte
le cose c’è Dio (32). La pecora dispersa in
una molteplicità di interessi (33). Tutta la
nostra vita dipende dalla conoscenza di Dio (34). Cristo sottomette (annulla) tutti i valori alla conoscenza del Padre
(35). La nostra volontà è dipendente dal valore
soggettivo delle cose (36). La componente
soggettiva nella conoscenza della verità (37). Imparare
a dimenticarci (41). Il parlare di Cristo in
Galilea, fa leva su Dio creatore (44). La sola
opera dell’uomo è l’incompiuto (46). Il vero
nome (48)
Ora la festa dei giudei, la festa
dei tabernacoli era vicina. GV 7
VS 2
Titolo: Il lavoro e la festa.
29/Novembre/1981
ARGOMENTI: Il Vangelo è una
grammatica della nostra vita (3). Giorni di
lavoro e di festa (4). La terra è
introduzione al cielo di Dio (6). La vita è
comunione (7). Il lavoro necessario per
mangiare (8). La terra d’Egitto (9). Il lavoro è pedagogia per la festa di Dio(10). La festa è Dio che entra nel suo riposo per sollecitare
noi a entrare nella conoscenza di Lui(11).
La festa ci è data per recuperare i segni dei giorni di lavoro (13). Mangiare e assimilare (14). La comunione con Dio richiede lavoro (15). Il lavoro materiale è segno del lavoro spirituale (16). La festa ci libera da- per essere liberi per Dio (17). La festa dei tabernacoli (tende) ricorda il passaggio
dall’Egitto (sicurezza, schiavitù) verso la terra promessa (provvisorietà)
(18). Mentre parla Cristo in Galilea
(esterno) si avvicina la liberazione dall’Egitto (21) Il lavoro è segno della dedizione per conoscere Dio (24).
La festa è un segno che invita a entrare nel
sabato (26). La liberazione dai
condizionamenti. (31). Il sabato deve
assorbire tutti i giorni (32). La vera vita
viene dal nostro donarci a Dio (34). Il
peccato sta nel fare il lavoro come fine (35). La
festa che ci piomba addosso (39). Il campo
materiale è segno del campo spirituale (41). Il
lavoro è per l’uomo, non viceversa (42) Il
lavoro materiale è segno del vero lavoro spirituale da fare con Dio (49). Credere l’Egitto la nostra patria (56). L’intenzione nel fare le cose (57). La difficoltà è un potenziamento (1.00).
Il
significato del sonno e della notte (1.06)
Abbiamo visto perché Gesù se ne stava in Galilea ed
evitava la Giudea e che cosa significhi quest’opera che Gesù fa in terra di
Galilea.
La Galilea è tutto il nostro mondo esteriore, in cui Dio
opera per formare in noi l’intenzione pura con cui noi non amiamo Dio per
quello che ha, ma lo amiamo per quello che è in Sé.
Questa è la condizione per poterlo veramente conoscere e
esperimentare.
Questa è tutta l’opera che Gesù fa in terra di Galilea,
nel nostro mondo esterno, poiché in Giudea, nel nostro mondo interno si cerca
di ucciderlo.
E fintanto che nel nostro interno non si forma questa
intenzione pura, noi non siamo in grado di accogliere il Verbo di Dio e Dio
stesso non si confida: “Gesù non si confidava loro perché sapeva quello che
c’era nell’uomo”.
Gesù sa quello che c’è dentro l’uomo.
Su questo sfondo, adesso si annuncia, che fa festa dei
Giudei, la festa dei tabernacoli, delle capanne era vicina, dobbiamo chiederci
cosa il Signore voglia significare a noi con questo.
Teniamo sempre presente che il Vangelo è una grammatica
per insegnare a noi ad intendere il significato delle parole e delle opere di
Dio che Dio fa in tutto, soprattutto nella nostra vita giorno dopo giorno.
Qui abbiamo un tratto di questa grammatica attraverso il
quale Gesù ci insegna a passare dai segni ai significati.
Tenendo presente che tutto è opera di Dio per noi, noi
dobbiamo cercare di capire la ragione, il significato di questo fatto, cioè del
fatto che mentre Gesù opera in Galilea ed evita la Giudea, la festa dei giudei
era vicina.
Dobbiamo cercare di approfondire questo concetto di festa
e di questa festa che si fa vicina, mentre Gesù sta operando in Galilea.
Il concetto di festa è rapportato al giorno di lavoro,
nella nostra vita e già fin dalla creazione, noi abbiamo i giorni di lavoro ed
i giorni di festa, Dio ha fatto così il mondo.
Dio ha operato per sei giorni e poi il settimo giorno, il
sabato si riposò e sabato, sabbath in ebraico vuole proprio dire riposare.
Dio ha fatto così e le cose Dio non le fa a caso.
Siccome tutte le cose sono fatte per un fine e il fine è
Dio stesso, dobbiamo chiederci quale sia lo scopo, la funzione per noi dei
giorni di lavoro e dei giorni di festa.
In questa vita che ci è data senza di noi che quindi ci è
imposta, ci viene proposta una vita nella quale non entriamo, non nasciamo
senza di noi.
Il cielo e la terra, abbiamo presenti questi due grandi
mondi che sono presenti nella nostra stessa vita e che noi stessi portiamo
dentro di noi.
Abbiamo un cielo e abbiamo una terra, la terra è il mondo
in cui ci troviamo senza di noi, il cielo è quello che ci viene proposto ma nel
quale non entriamo senza di noi.
Però tutto quello che avviene in terra, essendo opera di
Dio, appartiene al mondo dei segni, per educarci, per insegnarci ad entrare nel
cielo di Dio, in quella vita in cui non si nasce senza di noi.
La terra in cui noi siamo è pedagogia al cielo, direi che
è introduzione al cielo.
Questa vita in cui ci troviamo, è una introduzione al cielo
di Dio.
E dobbiamo preoccuparci d’intendere i segni nei quali ci
troviamo.
Qui in terra, in questa vita che ci è data senza di noi,
tutti noi esperimentiamo che da soli non viviamo, non viviamo, la nostra
esistenza è partecipazione, la nostra vita è comunione: per vivere è necessario
mangiare, cioè è necessario assimilare, comunicare, entrare in comunione con-,
la vita è assimilazione.
Ma questa assimilazione, questa vita nel campo dei segni,
richiede da parte della creatura un lavoro, cioè senza lavoro non si mangia:
chi non lavora non mangia.
Dio ci presenta le noci, però non ce le apre, se vogliamo
mangiare dobbiamo aprirle le noci.
E così per qualunque cosa, i frutti sono sugli alberi e
dobbiamo raccoglierli, ma anche solo il mangiare, il masticare, il digerire è
una fatica, è un lavoro che dobbiamo compiere, questo ci fa capire che la vita
non viene a noi senza una partecipazione nostra, richiede una partecipazione
nostra, poco o tanto richiede una nostra partecipazione, un nostro lavoro.
Abbiamo detto che sulla terra la vita ci è imposta e
quindi anche quest’assimilazione, questa comunione, questo lavoro, questa
fatica ci sono imposti.
Cioè noi sulla terra esperimentiamo che per vivere,
subiamo una certa servitù, subiamo una certa schiavitù, subiamo la dipendenza
dalle cose, cioè siamo in terra di schiavitù, siamo in terra d’Egitto.
E questi sono i giorni di lavoro nel campo della vita
imposta.
Però sulla nostra terra c’è anche il giorno di festa.
Questo ci fa capire, ed è essenziale, che Dio non ci ha
creati per lavorare, per mantenere o coltivare la terra, lo scopo non è questo,
cioè l’uomo non è in funzione della terra, come l’uomo non è in funzione della
società, come l’uomo non è in funzione delle nazioni e degli stati.
Piuttosto è la terra che è in funzione dell’uomo, ed è il
lavoro che è in funzione dell’uomo.
Tutta l’opera di Dio sulla nostra terra, in questa vita
che ci è imposta è pedagogia.
In quanto si parla di pedagogia, si parla di educazione
dell’uomo ad un fine.
Quindi il lavoro e i giorni di lavoro, sono pedagogia per
la festa e non è la festa un giorno di riposo, perché l’uomo riacquisti le
forze per lavorare nei giorni di lavoro, non dobbiamo capovolgere i termini.
L’uomo non è stato creato per lavorare, l’uomo è stato
creato per la festa di Dio.
Ora che cosa è questa festa di Dio?
La festa è il sabato di Dio, cioè è Dio che entra nel suo
riposo.
Ma quando abbiamo parlato di questo sabato, abbiamo anche
detto che Dio entra nel suo riposo, nella sua pace, per sollecitare noi ad
entrare nella sua pace.
Tant’è vero che San Paolo dice: “Se tu uomo oggi odi la
Parola di Dio affrettati ad entrare nella sua pace, affinché non ti avvenga,
ciò che avvenne al popolo ebreo che fu costretto a vagare per 40 anni nel
deserto, fino all’estinzione di quella generazione che non ebbe fede e non si
sforzò di entrare”.
Questa è l’anima dei giorni di lavoro.
I giorni di lavoro sono giorni di segni di Dio su di noi:
oggi se tu odi la Parola di Dio, affrettati ad entrare nel suo riposo, cioè
affrettati ad entrare nella sua festa, affrettati a passare nel sabato del
Signore.
Affrettatati cioè a contemplare i segni di Dio nel loro
significato, cioè affrettati a conoscere Dio.
Questo ci fa capire che tutta l’opera che Dio fa, la fa per
sollecitare noi ad entrare nella conoscenza di Lui, a cercare la conoscenza di
Lui, a contemplare Lui ed a imparare a vivere nella sua contemplazione.
Quindi la festa ci è data per recuperare i segni dei
giorni di lavoro, perché tutto quello che avviene, che ci viene imposto (campo
di servitù) rappresenta nei segni, ciò che deve avvenire nel campo dello
spirito e abbiamo visto che nei giorni di lavoro i segni sono questi: tu uomo
per vivere devi mangiare (segni), tu uomo se vuoi Vivere devi assimilare la
Parola di Dio (spirito).
Il mangiare ti è imposto, sei schiavo e non sai perché,
però conosci che se non mangi deperisci e muori e questo t’insegna che la vita
ti viene dall’assimilazione, dalla comunione con ciò che non sei tu.
Questo ci rivela che la vita nel campo dello spirito è
partecipazione a Dio e che questa partecipazione non avviene senza di noi,
quindi ci richiede quello che nel campo dei segni è il lavoro, la fatica,
richiede da noi questa dedizione alla Parola di Dio, in modo di entrare nella
pace di Dio, entrare nella conoscenza della sua Verità, perché conoscere la
Verità di Dio è la nostra pace, nella sua Luce è la nostra pace e la nostra
vita.
Tutto questo non avviene senza di noi, ecco per cui noi
ci troviamo in un campo di servitù, di dipendenze in cui la vita è significata
a noi, attraverso questo lavoro, questo sacrificio, questa dedizione, questa
fatica che l’uomo deve sobbarcarsi per potere restare in vita e creascere in
vita.
Ma l’uomo non è fatto per il lavoro.
Questo che avviene sulla nostra terra con il lavoro è
segno di quello che deve avvenire (e che non avviene senza di noi) nella festa
del Signore.
Per cui il giorno di festa non è un giorno di riposo, è
un giorno in cui Dio ci libera dalla fatica del lavoro, in cui Dio ci dice di
non faticare per mangiare, questo giorno è un giorno che tu devi dedicare al
Signore.
Quindi è un giorno che ci libera dal mondo per essere
liberi per Dio.
Non dobbiamo vedere la festa soltanto come una
liberazione da- e quindi di riposo, è sbagliato.
Questo è il giorno del riposo di Dio, quindi è il giorno
in cui noi dobbiamo cercare di entrare nella pace di Dio, nel riposo di Dio,
altrimenti la nostra festa è frustrata, non serve.
Quindi Dio nel giorno di festa ci solleva, ci libera da
tutta quella che è la nostra servitù al corpo e agli elementi del mondo, alla
materia, affinchè noi possiamo essere liberi per entrare in quella vita nella
quale non si entra senza di noi.
Qui noi capiamo che i giorni di lavoro sono pedagogia per
quel vero lavoro che deve avvenire nel giorno della festa.
Qui si parla della festa dei tabernacoli (tende, capanne)
in Giudea e dice che era vicina mentre Gesù restava in Galilea, volendo evitare
la Giudea.
Questa festa delle capanne, era una celebrazione che il
Signore aveva ordinato al suo popolo, affinché si ricordassero del loro
pellegrinaggio quando liberati dall’Egitto si dirigevano verso la terra
promessa, poi invece furono costretti a vagare per 40 anni sotto le tende.
Quindi la tenda è simbolo di abitazione provvisoria, simbolo
di provvisorietà.
Questa era la festa degli ebrei, cioè la festa del popolo
che ha al centro della sua vita il tempio, come centro della sua vita Dio.
Si celebrava per ripresentare alla memoria del popolo,
alla memoria di ogni uomo, la transitorietà di tutte le cose sulla terra.
Si era in Egitto, terra di schiavità, giorni di lavoro, e
in terra d’Egitto c’erano delle sicurezze, le sicurezze dei nostri giorni di
lavoro; si fa conto sul denaro, sulle nostre forze, si fa conto sulla salute,
si fa conto sulla casa, noi non ci rendiamo conto ma siamo in terra d’Egitto,
cioè in terra di servitù.
Ma noi non siamo stati creati per l’Egitto, noi non siamo
stati creati per il lavoro, per mantenere le cose, i terreni, le case o le
istituzioni, noi non siamo stati creati per questo, piuttosto è l’Egitto che è
stato creato per questo e allora arriva un momento in cui il popolo è
sollecitato da Dio a partire ed a uscire da queste sicurezze per aaffrontare il
pelegrinaggio e la transitorietà verso la terra promessa.
La festa dei tabernacoli è questa, è questa avventura, è
questo passaggio dall’Egitto verso la terra promessa, sapendo che il luogo in
cui ci troviamo è provvisorio, la nostra casa è una tenda e la tenda si monta
alla sera per passare la notte e al mattino si disfa.
Quindi le nostre case, il nostro mondo, i nostri luoghi
devono avere questa provvisorietà.
Mentre Gesù percorreva la Galilea, questa festa si
avvicinava: mentre Dio parla attorno a noi, nel nostro mondo esterno per
formare in noi l’intenzione pura, in modo da orientarci a cercare Dio per
quello che Egli è, si avvicina questa festa per noi, si avvicina cioè questa
uscita, questa liberazione dall’Egitto e si affaccia davanti ai nostri occhi la
festa di Dio, cioè il giorno in cui capiamo che tutte le cose ci vengono date
da Dio per farci entrare nella sua pace, per farci entrare nel suo riposo, per
farci entrare nella sua conoscenza, è questo che si fa vicino.
Perché è la Parola di Dio, in Galilea, esterna, attorno a
noi che preparando questa intenzione pura, ci fa vicina questa festa in cui noi
partiamo dal nostro Egitto, dalla nostra terra di schiavitù, per trasformare
tutta la nostra vita in quella che è la domenica del Signore, la festa, la
pace, la conoscenza di Dio per cui siamo stati creati.
Ci eravamo chiesti quale era il significato, per la
nostra vita personale di questa festa dei giudei che si avvicinava, tutte le
cose vanno sempre riportate nel significato presso Dio.
Dio operando con noi, educa noi alla vita essenziale e ci
libera dalla nostra vita di schiavitù.
Noi molte volte riteniamo che Dio ci abbia creati per
lavorare e Dio parlando con noi ci libera da queste convinzioni sbagliate, no
l’uomo non è stato creato per lavorare e guadagnare, l’uomo è stato fatto per
il giorno del Signore, è stato cretao per entrare nella conoscenza di Dio.
Quindi la Parola di Dio in Galilea ci aduca a scoprire
prima di tutto quale è l’orientamento e nello stesso tempo ci rivela qualcosa di
Dio, ci rivela ciò che Dio è per noi, e Dio è il nostro fine, è la nostra vita.
Però essendo nostro fine e nostra vita, richiede da parte
nostra una partecipazione personale, non è un fatto automatico, richiede da
parte nostra la dedizione che sul piamo dei segni, sul piano della nostra terra
è significata dal lavoro, dalla fatica per vivere.
Ora la festa dei giudei, la festa dei tabernacoli
era vicina. GV 7
VS 2
Titolo: Il lavoro e la festa.
1/Dicembre/1981
MARTEDI: Il parlare di Cristo
ci libera dall’assoluto nelle cose (3). Tutto è segno. Il segno è tale in quanto mi
rimanda a qualcos’altro (7). Noi non possiamo fare a meno di considerare
reale la materia e lo spirito astratto (24). La parola di Cristo mi
avvicina allo spirito parlandomi nella realtà materiale (25) Il lavoro è la
fatica che devo fare per vivere: comunione (26). Il lavoro è rendere
assimilabile (vita) ciò che non è vita (27). Cristo mi
trasferisce in Dio la realtà esterna (28). Nel mondo interiore
c’è attrazione per Dio e molta dispersione (29). Cristo purifica il
nostro tempio interiore (31). Il rapporto essenziale con Dio ci libera
dal rapporto essenziale con la creazione (33). Il rapporto libero
con la creazione (35). La libertà presso Dio (38). I valori
s’impongono non sono in mano nostra (39). Il tormento della
festa con il crollo dei valori(41). La noia della festa (42). Il valore deve
rispondere a un bisogno e Cristo opera nel mondo esterno per formare in me il
bisogno di Dio (43). Prima che i valori crollino devo avere scoperto il vero
Valore (44). Sperimento prima il valore di Dio, in quanto è risposta a
un mio bisogno (45). La scoperta del vero valore avviene con Cristo in
Galilea (48). Il lungo discorso di Cristo (50). La festa dei
tabernacoli, della provvisorietà (52). La vicinanza della festa (53). La parola
di Dio è già realtà (54). Cristo in Galilea parla gli avvenimenti prima che questi
siano realtà (55). La forza della parola di Dio (1.00)
E i suoi fratelli gli
dissero: “Parti di qua e vai in Giudea affinché i tuoi
discepoli vedano le opere che fai” Gv
7 Vs 3
Titolo: La tentazione della festa.
6/Dicembre/1981
ARGOMENTI: L’opera di Cristo in Galilea per formare in noi l’intenzione pura (2).
La festa dei tabernacoli, liberazione dalla
schiavitù si avvicina (3). Pellegrini
dell’assoluto (5). La tentazione della festa che si avvicina (7). L’apparenza buona della tentazione (8). Le tentazioni nel deserto (9). L’anima della festa sta nella liberazione per occuparsi di
Dio (11). La liberazione transitoria della
festa (13). Il rapporto con Dio (14). La festa vista nella nostra intenzione (15). Vedere solo la festa come liberazione dal lavoro (16).
Le feste del mondo col distintivo di Dio (17). Profanare la festa di Dio in nome di Dio (18). Il tradimento dell’intenzione umana (19). Vedere la positività della festa (21). L’apparente religiosità della festa (24). La tragedia della festa come liberazione dal lavoro (25). Erode (27). Travisare la festa (28). La vera festa è
interiore (29). Sprecare la festa (36). Il giudizio sui fratelli non ci interessa (37). L’ambiguità della tentazione della festa (38). Aumentare la conoscenza di Dio nella festa (41). I giorni di lavoro sono per formare in noi il desiderio della domenica
(45). La tentazione del divertimento (47). Lo spirito della festa di Dio è liberazione PER occuparsi di Dio, ogni
altra intenzione è deviante (50). Le festa è
possibilità transitoria di conoscere Dio (51). Nei giorni di lavoro siamo succubi della creazione (52). Riducendo la distanza da Dio si riduce la schiavitù. (54). Il lievito è la
festa, la massa i sei giorni di lavoro (55). L’amore
apparente (56). L’invito ad andare in Giudea
“fatti conoscere” (59). L’amore autentico o
esigente (1.00). Recitare la festa (1.06). La prima opera di Gesù è annullare la festa del sabato
dei giudei (1.08). La parola modifica tutto
(1.09). Gerusalemme rappresenta la massima
autorità (1.10). L’approvazione degli altri per
credere in Cristo (1.11).
Il crollo dei
valori, tutto il mondo che diventa pagano è l’avvicinarsi di Dio che vuole un
rapporto personale (1.14). La gloria del Figlio
prima che il mondo fosse (1.15). Il problema
religioso non è fare ma non fare (1.22)
Abbiamo visto come, mentre Gesù percorre la Galilea ed
eviti la Giudea, si avvicini la festa dei giudei, la festa dei tabernacoli.
E domenica scorsa abbiamo cercato di approfondire il
significato dell’avvicinarsi di questa festa dei giudei.
In questa festa che s’avvicina in Giudea, mentre Gesù se
ne sta in Galilea, viene significata l’opera che Dio fa nelle nostre anime,
attraverso il suo operare nel nostro mondo, nell’ambiente esterno a noi
(Galilea): Dio opera dentro e fuori di noi.
Il problema essenziale sta nel formare in noi
l’intenzione pura, cioè la ricerca di Dio per ciò che Egli è in Sé, perché
questa è la condizione essenziale per potere diventare capaci di accogliere la
verità di Dio in noi e di conoscerla.
Ecco che Dio opera al di fuori di noi, esternamente a noi,
per formare dentro di noi questa intenzione pura, questo amore vero e a mano a
mano che opera fuori di noi (Galilea), ecco che si avvicina per noi la festa
dei giudei, dei tabernacoli, cioè questa liberazione dal nostro Egitto.
Ognuno di noi nasce in un Egitto, in una terra di
schiavitù, una terra in cui ognuno si sistema e trova la sua comodità, il suo
benessere, anche se è schiavo (giorni di lavoro).
Il Signore inizia la vita con noi, attraverso i sei
giorni della creazione, che sono sei giorni di lavoro, per cui abbiamo un certo
benessere materiale, una certa comodità, però abbiamo una schiavitù essenziale.
Questa è la schiavitù in terra d’Egitto.
Mano a mano che Dio parla, attraverso gli avvenimenti
della nostra vita, ecco che noi cominciamo a sentire il peso di questa
schiavitù, desiderando la liberazione della nostra anima: si avvicina la festa.
Si avvicina cioè la fuga dall’Egitto e si comincia a
vivere sotto le tende, nella provvisorietà.
Si comincia a capire che la nostra vita quaggiù, ha
significato proprio in quanto è provvisorietà, siamo in attesa di giungere alla
terra promessa, siamo in un pellegrinaggio.
E allora si spiega come tante anime, ad un certo momento
hanno lasciato benessere, carriera, comodità (è la fuga dall’Egitto) e sono
diventati pellegrini dell’assoluto.
Dio parlando nella loro vita ha acceso un fuoco che ha
provocato in loro il bisogno di scappare, quante anime sono scappate dietro
alla Parola di Dio!
Che cosa è che li ha spinti ad abbandonare tutto?
Prima vivevano in letti comodi e a un certo momento
vivono sotto una tenda o sopra una pietra nel deserto, cos’è che provoca
questo?
È il bisogno di assoluto.
È il bisogno di trovare quell’unione con Dio per la quale
sono stati creati.
Questo rivela il nostro destino, questo è segno della
festa di Dio che entra nella nostra vita.
Però adesso ci troviamo nel versetto tre, in cui i suoi
fratelli gli dicono: “Parti di qua e vai in
Giudea affinché i tuoi discepoli vedano le opere che fai”.
Mano a mano che si avvicina questa festa dei giudei,
ecco che nasce la tentazione e anche in questo dobbiamo vedere una lezione di
Dio personale per ognuno di noi.
La festa di Dio che si avvicina a noi presenta a
noi un rischio, c’è una tentazione, ed è l’argomento che stasera dobbiamo
cercare di approfondire.
In cosa consiste questa tentazione che Dio ci
presenta in questo brano di Vangelo e da cosa dobbiamo quindi essere attenti?
Qui i suoi fratelli invitano Gesù ad andare in
Giudea e abbiamo detto che la Giudea rappresenta la vita interiore: “Affinché i
tuoi discepoli vedano le opere che Tu fai”.
Sembrerebbe da parte dei suoi parenti un atto
d’amore, un atto d’interesse per Gesù.
Gesù è venuto per conquistare le anime e sembra che
nel loro invito, ci sia un aiuto a conquistare le anime.
Gesù è venuto per parlare e qui lo invitano a
parlare.
Gesù è venuto a farsi conoscere e qui lo invitano a
farsi conoscere.
Sembra amore eppure non era amore, era una
tentazione.
Qui troviamo lo stesso spirito delle tentazioni del
Demonio a Gesù nel deserto.
Anche lì abbiamo la voce del Demonio che gli dice:
“Se Tu sei il Figlio di Dio...”, un invito a conquistare il mondo.
Sembra che ci sia l’interesse, l’aiuto,
l’esortazione a entrare nella festa di Dio.
Mano a mano che la Parola di Dio parla a noi, la
festa dei tabernacoli si avvicina a noi, però in questo avvicinarsi c’è un
rischio ed è il rischio di questa tentazione, in questo invito quando in Giudea
cercavano di farlo morire: in questo si rivela che non c’era amore.
In Giudea cercavano di fare morire Gesù e i suoi
parenti, in nome della sua missione sollecitano Gesù ad andare là, dove lo
avrebbero ucciso.
Vedremo poi come Gesù si comporta di fronte a
questa tentazione, di fronte a questa prova.
Ma adesso è necessario per noi scoprire in cosa consista
nella nostra vita personale questa tentazione.
Cioè la festa presenta un rischio, quando domenica
abbiamo parlato della festa, del giorno del Signore, abbiamo visto che
essenzialmente è una liberazione da-, dall’Egitto, dalla schiavitù, dal lavoro,
dalla fatica, però l’anima della festa non sta in questa liberazione da-, ma
sta nella liberazione per-, per occuparci di Dio.
Cioè Dio ci libera dalle nostre schiavitù, per un
tratto, per un certo tempo in modo da rendere il nostro pensiero in grado di potersi
applicare a Lui, cioè l’anima della festa non è la liberazione dal lavoro,
l’anima della festa è l’occupazione in Dio.
Dio sospende provvisoriamente (tabernacoli) la
nostra schiavitù, noi siamo schiavi perché non conosciamo Dio.
Fintanto che non conosceremo Dio, noi saremo sempre
schiavi.
Però Dio interviene con una liberazione
transitoria, per dare a noi la possibilità di un avvicinamento a Lui, perché
quanto più noi ci avviciniamo a Lui, tanto più allarghiamo le mura della nostra
prigione e a poco per volta le feste del Signore si fanno sempre più intense
per noi, per dare a noi la possibilità di conoscerlo sempre di più.
Vista dallo spirito di Dio, la festa è liberazione
dell’uomo, affinché l’uomo abbia un certo tempo per occuparsi di Dio, perché soltanto
occupandosi di Dio fa un salto di qualità nella sua vita, nei suoi rapporti con
Dio.
E soltanto facendo questo salto di qualità nei suoi
rapporti con Dio, avviene la purificazione dell’intenzione.
Perché abbiamo detto che l’intenzione è sempre l’espressione
di ciò che uno è e siccome noi “siamo” nel nostro rapporto con Dio, soltanto in
quanto abbiamo la possibilità di modificare questo rapporto con Dio, abbiamo la
possibilità di modificare la nostra intenzione, altrimenti la nostra
intenzione, non possiamo assolutamente modificarla.
La possibilità di modificare il nostro rapporto con
Dio, viene a noi dalla possibilità di occuparci di Dio, e per poterci occupare
di Dio, bisogna che Dio rallenti, allenti un poco le catene della nostra
schiavitù, dia un po’ di respiro soprattutto alla nostra mente e al nostro
pensiero, in modo che non più ossessionati con gli impegni del mondo, noi
possiamo occuparci un poco di Dio e conoscere qualcosa di Lui.
Più noi conosciamo Dio, più si modifica in meglio
il nostro rapporto con Dio e modificando il rapporto si modifica l’intenzione.
Così Dio operando nella nostra vita, opera questa
purificazione dentro di noi.
Questa è l’anima della festa vista dallo spirito di
Dio, dal pensiero di Dio, però tutte le cose hanno sempre un doppio volto,
possono essere viste nello spirito di Dio e possono essere viste nello spirito
dell’io, e fintanto che la nostra intenzione non è diventata intenzione pura,
ci sarà sempre questo doppio in noi: l’intenzione di Dio e la nostra intenzione.
Ecco la festa può essere vista con la nostra
intenzione.
La festa vista con la nostra intenzione si ferma a:
liberazione da-, e non vede la liberazione per-.
Soltanto con lo spirito di Dio, noi vediamo il lato
positivo della festa, se non abbiamo lo spirito di Dio, noi vediamo soltanto il
riposo dal lavoro, la liberazione dalla fatica, la distensione per ricostruire
le forze.
Noi vediamo la notte come occasione per ricostruire
le nostre forze e lavorare la mattina, vediamo la festa come il giorno per
riposarci dalle fatiche, ritrovare la nostra forza e ricominciare a lavorare,
ma lo scopo di tutto è il lavoro, il guadagno, la ricchezza, il benessere, cioè
la nostra schiavitù, per cui noi vediamo la festa soltanto come un sollievo per
potere essere più schiavi.
Questa è la festa vista dal punto di vista della
nostra intenzione.
E allora le nostre feste non sono più un occasione
per cercare Dio, per conoscere Dio, per modificare il nostro rapporto con Dio,
ma si riducono al mangiare, al viaggiare, si riducono alla festa del mondo.
Ecco il rischio: trasformare lo spirito della festa
che Dio ci offre (liberazione per-), nello spirito della festa dell’uomo
(liberazione da).
Può anche essere una festa religiosa, ma è una
festa fatta soltanto di tradizione, di convenzioni, sotto il distintivo di Dio.
Qui i fratelli lo invitano, sembra amore.
Quindi in nome di Dio si fa la festa del mondo e
vediamo come si profanizzi ad esempio il Natale in nome di Dio, tutte le feste
della Madonna diventano giorni di divertimento, non certamente giorni di
conoscenza.
Ecco tutto viene da noi profanizzato nella nostra
intenzione.
Perché ognuno di noi intende ogni cosa sempre
nell’intenzione che ha in sé e fintanto che la nostra intenzione è impura, noi
corriamo il rischio di essere giocati dalla nostra intenzione sotto l’etichetta
del divino.
Questa festa dei tabernacoli, questa festa dei
giudei viene da Dio e quindi è opera buona quello che propongono i fratelli a
Gesù: “Vai in Giudea, partecipa a questa festa, fatti conoscere” e c’era invece
il tradimento li sotto, c’era il non-amore, c’era l’intenzione umana.
Penso che questa sia la lezione principale che
dobbiamo trarre per la nostra vita personale da questo versetto del Vangelo.
E i suoi fratelli gli
dissero: “Parti di qua e vai in Giudea affinché i tuoi discepoli vedano le
opere che fai” Gv 7 Vs
3
Titolo: La tentazione della festa.
7/Dicembre/1981
LUNEDI: La tentazione di Cristo
è la mia tentazione (20). La lezione della tentazione secondo lo spirito (22). I fratelli, Pietro e il
demonio non sono il centro della scena (26). La festa di Dio e la
festa dell’uomo (27). Liberazione per- e liberazione da- (28). Il demonio tende a
dare consigli a Dio (37). Il rischio della festa e come uscirne secondo Cristo (40).
La festa
avvicinandosi getta noi in una tentazione (46). L’intenzione pura per
entrare nella festa di Dio e l’opera di Cristo in Galilea per purificare la
nostra intenzione (47). Nella festa riveliamo, manifestiamo il nostro
interesse,il nostro io (49). I fratelli sono pedine di Dio per presentare
questa tentazione (50). Cristo non partecipa a una festa voluta da Dio? (52). Galilea, festa e
tentazione sono i tre argomenti da collegare (56). La festa ambigua
nella nostra intenzione impura (58). Vedere la lezione di Cristo (59). La tragedia del non
sapere cosa fare nella festa che viene (1.09). Tutto diventa festa di
Dio (1.11).
E i suoi fratelli gli
dissero: “Parti di qua e vai in Giudea affinché i tuoi discepoli vedano le
opere che fai” Gv 7 Vs
3
Titolo: La tentazione della festa.
8/Dicembre/1981 Vigna
ARGOMENTI: L’intenzione pura (2) Giudea e Galilea
(4) Il tempio interiore (5) Il mondo esterno e il mondo interno (6) La festa dei
tabernacoli (7) Le sicurezze relative (9) La nostalgia
dell’assoluto (10) L’avvicinarsi della festa (11) Liberazione da- e per-
(12) La positività della
festa (13) L’impegno con Dio (14) Le tentazioni di Satana (15) La festa secondo Dio e secondo l’uomo (16) La schiavitù è
conseguenza dell’ignoranza di Dio (17) La liberazione dalla schiavitù (18) Il filo d’erba e il
pensiero (27). La fede in Dio Creatore (28). Far scendere l’uomo dal piedistallo (29). L’angoscia della festa
(33). La tentazione è per chi non è nello spirito di Dio (35). Nella terza età l’anima
ha tempo per dedicarsi al vero bene (52). La falsificazione della festa (53). Il Verbo che parla e la
Madonna che ascolta (1.13). Il silenzio che ascolta (1.14). La mezz’ora di silenzio
dell’Apocalisse (1.19). Fate penitenza perché il Rego di Dio (festa) si avvicina
(1.20)
Dobbiamo cercare di collegare questo
avvenimento con il versetto due e il versetto uno.
Nel versetto uno si dice: “Dopo questi
avvenimenti, Gesù percorreva la Galilea, volendo evitare la Giudea, perché i
giudei cercavano di farlo morire”.
“Dopo questi avvenimenti”, cioè gli
avvenimenti del capitolo sesto, in cui abbiamo visto il discorso di Gesù nella
sinagoga di Cafarnao, il discorso del “pane della vita” che si era concluso con
quella prospettiva di Giuda scelto da Dio, che pure era un demonio ed abbiamo
visto la lezione che Gesù ha voluto dare a noi attraverso questo fatto.
Ha voluto evidenziare qual è l’amore vero
autentico, quando è che si ama veramente e quando invece si cova il tradimento.
Abbiamo visto che tutte le volte che si ama
qualcuno non per ciò che è ma per ciò che ha, noi seminiamo in noi il
tradimento, perché l’amore sostanzialmente è una proiezione del nostro io.
L’amore è vero solo quando è rivolto a ciò
che uno è, quando deriva da ciò che uno è.
Quindi soprattutto nei riguardi di Dio,
bisogna arrivare ad amare Dio per quello che Egli è in Sé e non per i doni che
Lui fa a noi.
Nell’amare Dio per i doni che Lui fa a noi,
c’è sempre il pensiero del nostro io che inquina l’intenzione, inquina l’amore
e impedisce a noi di arrivare a quella conoscenza che è vita eterna e per la
quale siamo stati creati.
E avevamo identificato l’intenzione pura
nell’intenzione che cerca Dio per quello che Dio è in Sé, come la condizione
per potere accogliere la rivelazione di Dio, per potere conoscere Dio.
“Dopo questi avvenimenti”, cioè dopo avere
precisato questo: “Gesù percorreva la Galilea volendo evitare la Giudea”.
La Galilea è espressione di tutto il mondo
esterno a noi, poiché la Giudea la cui capitale è Gerusalemme (la città di
Dio), rappresenta tutto il nostro mondo interiore.
Gerusalemme, la città di Dio è la nostra
stessa anima, poiché il Signore dice: “Voi siete la casa di Dio, voi siete il
tempio di Dio”, quel tempio che Dio ha voluto come casa di preghiera.
Per cui la nostra anima, il nostro mondo
interno è una casa di preghiera, la vera casa di preghiera, in cui Dio è sempre
esposto.
Il nostro mondo interiore è un luogo in cui
Dio è sempre esposto.
Purtroppo noi del nostro mondo interiore, il
più delle volte ne facciamo una spelonca di ladri, ne facciamo una casa di
commercio, un luogo di traffico, il tempio quindi resta inquinato, resta
confuso, le cose non sono più rivolte a Colui che è sempre esposto.
Noi sconsacriamo il tempio di Dio.
Gesù viene per riportare questo tempio,
questa casa interiore nella sua funzione essenziale: è la casa del Padre.
Lo zelo di questa casa è quello che lo
consuma, Lui viene per purificare questa casa, per riportare in Essa tutte le
cose alla funzione essenziale: luogo di preghiera.
Ed è per questo che Gesù si ferma in Galilea,
cioè nel nostro mondo esterno, perché attraverso questo mondo esterno, opera
per purificare il nostro mondo interno, per formare in noi questa intenzione
pura che è la condizione necessaria per potere ricevere la rivelazione di Dio.
Se il Verbo di Dio, il Cristo entrasse nel
nostro mondo interno quando ancora non c’è questa preparazione, noi senz’altro
lo uccideremmo, infatti cercavano di ucciderlo in Giudea e Lui tende ad evitare
di andare là.
Mentre percorre la Galilea, ecco che “si
avvicina la festa dei giudei”, cioè mentre Dio sta operando nel nostro mondo
esterno, attraverso tutte le lezioni che ci dà, mentre la nostra vita passa, si
avvicina per noi la festa dei giudei.
Ed abbiamo visto che questa festa dei giudei,
la festa dei tabernacoli, rappresentava il ricordo (per ordine di Dio) del
pellegrinaggio sotto le tende (tabernacoli) di tutto il popolo ebreo, quando
Dio lo fece uscire dall’Egitto e lo mise in cammino verso la terra promessa.
C’era questa festa dei giudei che durava (e
dura) otto giorni, in cui i giudei lasciano le loro case, si costruiscono delle
capanne di frasche e vivono 7/8 giorni in questa provvisorietà per ricordare,
per cui la festa diventa una commemorazione.
La festa non è tutta rivolta al passato,
evidentemente questa festa deve avere un significato positivo.
E il significato positivo sta nel fatto che
mentre Dio opera in tutto il nostro mondo, con tutte le lezioni di vita che
Egli ci dà, a poco per volta ci fa uscire dalle nostre sicurezze, dalle nostre
comodità, ci fa uscire dalla vita vissuta per il mondo, alla vita vissuta in
vista della terra promessa.
Cioè relativizza tutte le nostre sicurezze.
Noi viviamo in terra d’Egitto, il nostro
mondo, viviamo per guadagnare denaro poiché crediamo di trovare in esso la
nostra sicurezza e il Cristo, il Verbo di Dio, parlando, a poco per volta ci
porta nella vocazione di Abramo.
E noi vediamo una schiera infinita attraverso
i secoli di tante creature che a un certo momento lasciano le loro case, le
loro carriere, il loro benessere, le loro sicurezze per vivere nel deserto,
cos’è che li ha trasformati?
È la Parola di Dio, è il Verbo di Dio che
parlando in Galilea fa sentire all’uomo la nostalgia dell’assoluto che ogni
uomo porta in sé ma che ha bisogno di essere richiamata.
E mano a mano che l’uomo scopre questa
verità, ecco che comincia a partire dalla sua casa, dalla sua famiglia, dalla
sua patria e comincia ad andare “là dove Io ti dirò”.
Qui abbiamo la festa che si avvicina.
Il concetto di festa è partenza da quello che
è il nostro mondo di lavoro, di
sicurezze verso un luogo che ancora non conosciamo, quindi è una liberazione
da-.
Il primo concetto di festa è liberazione da-.
E questa liberazione avviene appunto in
quanto la Parola di Dio ci dice di partire.
Dio ha istituito la festa, il giorno di
riposo ogni sei giorni, appunto per insegnare a noi a partire da-.
Dio momentaneamente sospende la pressione delle
nostre fatiche e delle nostre schiavitù, affinché noi abbiamo a camminare
dietro la Parola di Dio.
Però la Parola di Dio ha una meta ben precisa
ed è quella di convogliarci verso la conoscenza di Dio.
E allora la festa passa da una liberazione
da-, a una liberazione per-.
Dio ci libera non soltanto perché noi abbiamo
ad essere liberi da-, dal male, dal lavoro, dalla fatica, questo è necessario
perché noi possiamo avere l’anima, la mente disponibili per una meta, per
qualcosa di ben preciso.
Quindi la positività della festa non sta
nella liberazione da-, ma sta nella liberazione per-, e se vogliamo intendere
il significato della festa, dobbiamo scoprire questo aspetto positivo.
Dio mi dà un giorno di riposo, Dio mi dà un
giorno di vacanza, Dio mi mette in pensione per che cosa?
Quindi non è un annullamento, una
liberazione, una frustrazione, non è un “niente da fare” la domenica, ma è un
“fare” molto più impegnativo.
Per cui la domenica deve essere un giorno
molto più impegnativo degli altri giorni e se noi non lo vediamo così,
frustriamo la festa.
Perché Dio ci libera da cose inferiori, per
darci l’impegno in cose superiori.
È cioè l’anima della frase fondamentale con
cui Cristo si presenta al mondo: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire
ma cerca prima di tutto Dio”.
Il problema non sta nel fare niente, il
problema è che Dio ti solleva dalle preoccupazioni e dagli impegni, affinché tu
possa essere disponibile per Lui e questa è l’opera che la Parola di Dio fa tra
noi.
Perché Dio è un grande impegno per l’uomo e
richiede molta dedizione e molto pensiero.
È a questo punto che la festa presenta un
rischio.
Il tema di oggi su cui ci dobbiamo soffermare
è questo: quale lezione Gesù vuole darci, sottomettendosi alla tentazione della
festa.
Perché proprio nel versetto tre, noi vediamo
che Gesù è tentato a partecipare alla festa dei giudei.
Dal momento che c’è questa tentazione alla
quale Gesù si sottomette, è perché questa tentazione riguarda personalmente
ognuno di noi.
E se c’è una tentazione c’è un rischio.
Abbiamo raffrontato questa tentazione con le
tentazioni di Satana a Gesù nel deserto.
Gesù all’inizio della sua missione, si
sottomette alle tentazioni di Satana non per Sé, ma perché quelle tentazioni
sono le nostre tentazioni.
E si sottomette a quelle tentazioni per
insegnare a noi ad evitare i rischi che ci sono sul cammino verso Dio.
Anche nella festa c’è il rischio e Gesù si
sottomette alla tentazione della festa, per insegnare a noi ad evitare quel
rischio.
Ed il rischio è quello di considerare la
festa non dal punto di vista dell’intenzione di Dio, ma di considerare la festa
dal punto di vista umano.
Quindi evidentemente ci sono due feste: c’è
la festa secondo Dio e c’è la festa secondo l’uomo.
La festa considerata secondo Dio è
liberazione dell’uomo da un luogo di schiavitù, per renderlo disponibile per
Dio, perché possa impegnarsi in qualcosa di superiore, quindi possa progredire
nella vita essenziale.
La festa invece vista dal punto di vista
dell’uomo, dall’intenzione dell’uomo è soltanto liberazione da-, quindi è
riposo per recuperare dalle fatiche, per impegnarsi nuovamente nel suo campo di
schiavitù, di lavoro dei giorni feriali.
Allora noi abbiamo le posizioni completamente
invertite, perché la festa secondo lo spirito di Dio è per liberare l’uomo da
una schiavitù, perché impegnandolo a conoscere maggiormente Dio, Dio offre
all’uomo la possibilità di superare il luogo della sua schiavitù.
Perché il luogo della nostra schiavitù è una
conseguenza dell’ignoranza di Dio.
Se Dio dà a noi la possibilità, la grazia di
conoscere qualcosa più di Lui, dà a noi la possibilità di modificare il nostro
rapporto con Lui, modificando il nostro rapporto con Lui ci offre la
possibilità di alleggerire la nostra schiavitù, mentre invece la festa secondo
l’intenzione dell’uomo essendo riposo per ricostruire le forze, diventa un
giorno per confermarci nella nostra schiavitù, per rafforzare le nostre catene,
quindi abbiamo proprio la posizione opposta.
Perché nessuno fa le cose in segreto se
cerca di essere in evidenza, giacché fai queste cose, manifesta te stesso al
mondo. Gv 7 Vs 4
Titolo: La soddisfazione dell’io con l’etichetta di Dio.
13/Dicembre/1981
ARGOMENTI: L’esterno (Cristo) dialoga con l’interno (rapporto con Dio) per modificarlo
nell’intenzione pura (4). Il Figlio in tutto
glorifica il Padre (7). Le parola di Cristo
brucia il nostro mondo e quindi avvicina la festa di Dio (8). I falsi valori dell’uomo che non conosce Dio (9). La tentazione della festa: liberazione da-, divertimento
(12). Il lavoro è per la festa non viceversa
(13). Giustificare
il capovolgimento di intenzione dell’uomo nella festa (16). L’amore apparente per
Cristo (17). La tentazione a cercare la
gloria del proprio io (19). La gloria del nostro io che si camuffa di amore per Dio
(21). Lasciarsi sedurre da argomenti che
apparentemente sono buoni ma che hanno come intenzione la nostra ambizione
(23). L’ambiguità è in noi (24). Fintanto che in noi non si è formata l’intenzione pura,
rischiamo di scambiare il bene e il male (26). Il
Figlio ubbidisce solo al Padre (27). Cristo
c’insegna come uscire dalla tentazione della festa (35). Nel giorno libero si manifesta il proprio amore:
salvezza o condanna (37). La tentazione è
grazia di Dio (42). La purezza o l’ambiguità
non sta nelle cose ma in noi (43). La
frustrazione della festa (45). La festa è
impegno con Dio (47). L’insinuazione del
demonio (49). Lo scopo della creazione è
purificare la nostra intenzione (52). Il
fuoco brucia l’impurità e purifica l’oro (53). Nella
sintesi (Cristo) ho la rivelazione (57).
Tutto viene da Dio ma va riportato a Dio (58). Tutto
è tentazione (1.00). Scegliere è dire tanti
no (1.06). Il dubbio (1.09). Non vivere la vita (1.14). Subire l’annullamento dei valori (1.17). Lo scopo della morte (1.21)
Abbiamo visto domenica scorsa che
l’avvicinarsi della festa avviene mano a mano che Cristo parla in Galilea.
Abbiamo visto che la Galilea rappresenta il
mondo esterno e Cristo il Verbo di Dio incarnato opera nel nostro mondo
esterno, nel nostro ambiente per modificare qualcosa dentro di noi, opera
dall’esterno per modificare il nostro interno.
Intanto questo ci fa capire una cosa
importantissima: le cose esteriori sono in dialogo con le nostre cose
interiori, cioè non sono indipendenti dalle cose interiori.
Cosa intendiamo per “cose interiori”?
Le cose interiori rappresentano il nostro
rapporto personale con Dio.
Le cose esteriori sono in dialogo con questo
rapporto personale della nostra anima con Dio e sono in dialogo con questo
rapporto personale, interno nostro, per modificarlo, per purificare la nostra
intenzione, fino a condurci a quell’intenzione pura con la quale noi amiamo,
vogliamo, cerchiamo Dio non per i suoi doni ma per ciò che Egli è in Sé.
Quindi è perfettamente inutile che noi ci
preoccupiamo, ci affanniamo per modificare il nostro ambiente esterno o le
creature attorno a noi, perché quelle sono per modificare il nostro rapporto
interno con Dio e fintanto che noi non modifichiamo il nostro rapporto interno
con Dio, noi non facciamo altro che lottare contro dei mulini a vento, noi
agitiamo vanamente le acque e noi operiamo assolutamente niente, tutto il
nostro risultato è nullo, perché non capiamo la lezione di Dio e non la capiamo
perché non teniamo presente che è Dio che opera nel nostro mondo esterno e non
teniamo presente la Sua Intenzione in questo mondo esterno, cioè non teniamo
presente il Cristo.
Cristo opera in Galilea, il nostro mondo
esterno per modificare il nostro rapporto interno con Dio per purificare la
nostra intenzione, fino a renderla così pura da renderla capace di accogliere
la rivelazione del Padre.
Tutta l’opera del Figlio è quella di condurre
noi a conoscere, a glorificare il Padre.
E il Figlio viene non per cercare la propria
gloria ma per cercare la Gloria del Padre, poiché la caratteristica del Figlio
è che in tutto glorifica il Padre, accoglie ogni cosa dal Padre, ogni cosa
riferisce al Padre e in ogni cosa glorifica il Padre.
Mano a mano che il Verbo di Dio parla nel
nostro mondo esterno, nel nostro ambiente, le sue parole sono fuoco che brucia,
che cosa brucia?
Il fuoco elimina tutte le scorie, purifica.
Cristo parlando in tutte le cose, a poco per
volta brucia tutti i nostri valori, brucia tutto il nostro mondo ed è così che
si avvicina la festa.
Mentre Gesù trascorreva il suo tempo in
Galilea, parlava alle genti, la festa dei giudei si avvicinava.
Abbiamo visto che la festa dei giudei, dei
tabernacoli, rappresenta il passaggio dall’Egitto, dalla nostra schiavitù al
lavoro, al deserto, alla vita transitoria, provvisoria, alla provvisorietà
della tenda.
La Parola di Dio brucia il nostro Egitto e ci
fa scappare, perché brucia i valori nei quali noi crediamo, data la nostra non
conoscenza di Dio.
Fintanto che noi non conosciamo Dio, noi
siamo sempre nell’incertezza tra valore e Valore, tra importanza e Importanza,
per cui riteniamo sempre qualcosa come molto importante e necessario per noi e
l’opera del Figlio è proprio quella di liberarci da questa schiavitù e di
metterci in cammino, in pellegrinaggio verso la terra promessa.
La Parola di Dio ci rende viandanti, ci rende
pellegrini dell’assoluto.
È la parola che viene rivolta da Dio ad
Abramo:”Parti!”, ecco la Parola che brucia: “Parti dal tuo paese, parti dalla
tua famiglia, dalla tua casa e va, là dove io ti indicherò”.
Ecco Abramo che viene trasformato in
viandante, ed è subito un pellegrino.
Tutto questo è segno di quello che avviene
nella vita di ognuno di noi.
Mano a mano che la Parola di Dio parla nella
nostra Galilea, ci trasforma in pellegrini dell’assoluto, in viandanti, cioè ci
mette in cammino verso la nostra festa: la festa nostra si avvicina.
Abbiamo detto che la festa, in
contrapposizione a quello che è il giorno di lavoro, è liberazione da-.
La Parola di Dio bruciando i valori che ci
rendono schiavi, perché noi li riteniamo importanti, assoluti, rivela a noi la
relatività di questi valori, rivela a noi che tutti i nostri valori terreni
valgono niente.
E questa è una parola che noi non possiamo
contestare, è vera, è valida, per cui è soltanto per ignoranza nostra che noi
ci appigliamo a dei valori relativi.
Questa Parola di Dio che mano a mano che
arriva a noi brucia tutti i nostri valori, ci libera dalla schiavitù e ci
sospinge nella festa.
La festa è liberazione da-, ma è soprattutto
liberazione per-, e soltanto se noi teniamo presente lo spirito di Dio vediamo
anche il significato di Dio nella festa.
Altrimenti noi ci fermiamo al significato
della festa che arriva a noi nonostante noi, ci fermiamo soltanto alla liberazione
da- e quindi corriamo un grande rischio e quindi abbiamo la tentazione.
Perché noi trovandoci liberi, sollevati da
tutto quello che ci opprimeva, noi corriamo il rischio di divertirci, cioè di
trasformare la nostra festa in un divertimento.
Divertimento nel vero senso della parola,
cioè allontanamento dallo Spirito, da Dio, dispersione nel nulla.
Noi corriamo il rischio di trasformare questo
tempo di libertà che Dio concede a noi, in riposo dalle nostre fatiche per
recuperare le energie e lavorare di più il lunedì e lì rendiamo la festa al
servizio dei giorni di lavoro, cioè capovolgiamo i termini e sbagliamo.
Poiché i giorni di lavoro sono in funzione
della festa, non è la festa che è in funzione dei giorni di lavoro.
Quindi non dobbiamo capovolgere l’intenzione
di Dio nella sua festa trasformando questa giornata di riposo da-, per
ricostruire delle forze in modo da essere più efficaci nei giorni di lavoro.
Perché con ciò noi testimoniamo che vediamo
il giorno di lavoro come scopo della nostra vita e Dio non ci ha creati per
questo scopo.
Quindi tutto il lavoro, terra di schiavitù,
l‘Egitto è in funzione del giorno della festa, ma anche noi non siamo fatti per
il giorno di festa, perché anche la festa è fatta per noi.
La festa conclude per noi, affinché noi
possiamo occuparci di Dio.
Dio ha fatto i tempi di lavoro e ha fatto i
tempi di riposo, ha fatto tutte le cose per l’uomo, affinché l’uomo possa
liberamente occuparsi di Dio, cercarlo, conoscerlo, imparare a vivere con Lui.
Questo è lo scopo dei giorni di lavoro e del
giorno della festa.
Se noi non vediamo la festa come liberazione
da-, per occuparci di Dio, noi frustriamo la volontà di Dio, l’intenzione di
Dio, frustriamo la festa stessa.
A questo punto si inserisce questo ulteriore passaggio del discorso che i
fratelli di Gesù fanno a Gesù per sollecitarlo ad andare in Giudea: “Perché nessuno fa
le cose in segreto se cerca di essere in evidenza, giacché fai queste
cose, manifesta te stesso al mondo”.
Siamo sempre nella
fase della tentazione, nel rischio che presenta la festa.
Qui Dio ci conduce a
vedere gli argomenti, le intenzioni attraverso le quali gli uomini, noi stessi,
vogliamo giustificare il capovolgimento dello spirito di Dio nella festa.
Qui gli dicono:
“Nessuno fa le cose in segreto se cerca di essere in evidenza”,
apparentemente si direbbe amore, interesse per Gesù, perché lo invitano a
partecipare ad una festa, lo invitano a manifestarsi, lo invitano a proseguire
nella missione da Lui iniziata in Galilea, lo invitano ad estenderla al mondo,
soprattutto al centro del loro mondo, a Gerusalemme, quindi si direbbe che
questi fratelli, questi parenti abbiano amore, interesse per Gesù, quasi che
credessero in Lui, e non è così.
Noi vedremo nel
versetto successivo in cui è chiaramente detto che i suoi fratelli non
credevano in Lui.
Quindi abbiamo
apparentemente fede in Lui, apparentemente amore e interesse per Lui, mentre
sostanzialmente non c’era la fede in Lui: in Giudea cercavano di ucciderlo.
Nella tentazione
abbiamo un mascheramento, abbiamo un apparenza e abbiamo una realtà.
Qui c’è l’insinuazione
che Gesù cerchi di mettersi in evidenza, cioè abbiamo la tentazione del demonio
nel deserto, è la tentazione rivolta a Gesù ad affermare Se stesso, a cercare
la gloria del proprio Io.
E Gesù qui sarà netto:
“Io non sono venuto a cercare la mia gloria ma la gloria di Colui che Mi ha
mandato”.
Perché Gesù si
sottopone a questa tentazione?
Perché è la tentazione
che ognuno di noi subisce, fintanto che in noi non si sarà formata l’intenzione
pura.
Fintanto che in noi
non si è formata questa intenzione pura con cui noi cerchiamo Dio per quello
che Egli è in Sè, noi ci troveremo sempre di fronte a queste forme di
tentazione, a queste sollecitazioni, quindi a queste ambiguità tra la gloria di
Dio e la gloria del nostro io, tra la ricerca di Dio e la ricerca di noi
stessi.
Ma la ricerca della
gloria del nostro io si camuffa, si veste di servizio a Dio, si veste di fede,
di amore per Dio, per cui il vestito è quello di Dio, è il dovere, la
religiosità, è la santificazione della festa ma la sostanza è l’intenzione dell’io,
la ricerca della nostra gloria.
Negli altri vangeli
abbiamo il concetto di festa come fine del mondo, la Parola di Dio brucia
entrando nella nostra vita e bruciando ci conduce alla fine del nostro mondo,
cioè alla fine dei nostri valori, ora quando Gesù parla di questa fine del
mondo dice di stare attenti a non lasciarci sedurre.
Mano a mano che la
festa si avvicina all’uomo e quindi si avvicina questa sua disponibilità per
occuparsi per Dio, l’uomo corre il rischio di lasciarsi sedurre da argomenti
che apparentemente sono buoni ma che intenzionalmente sono per glorificare il
nostro io e la nostra ambizione.
“State attenti, siate
semplici come colombe e prudenti come serpenti”.
“State attenti a non
lasciarvi sedurre dagli uomini, perché vi diranno: andate qui andate là, eccolo
qui eccolo là, vi dico: non seguiteli”.
Teniamo presente che
il Signore ci presenta queste voci, questi richiami, queste sollecitazioni dall’esterno,
magari attraverso le creature ma che sostanzialmente non fanno altro che
riflettere intenzioni nostre, cioè dubbi nostri che nascono dal nostro interno,
perché fintanto che in noi non si è formata quell’intenzione pura per formare la
quale il Cristo opera, dentro di noi c’è sempre ambiguità, c’è l’io nostro che
si fa sentire, per cui viene sempre fuori la tentazione di cercare la
soddisfazione del nostro io appiccicandoci l’etichetta di un ideale, di un
dovere, di un impegno, di una festa.
Dio invece ci osserva
nei nostri pensieri, Dio ci osserva nelle nostre intenzioni in cui sotto sotto
c’è il pensiero del nostro io.
Per questo Gesù si
sottopone a questa tentazione, per aiutare noi a non lasciarci sedurre dalla
tentazione.
La tentazione è
necessario che avvenga e la tentazione avviene e avverrà (grazia di Dio)
fintanto che in noi non si sarà formata l’intenzione pura e avviene proprio per
metterci in movimento.
Perché fintanto che in
noi, noi avvertiamo questa tentazione, è segno che non siamo ancora arrivati
là, dove Dio vi vuole condurre.
Quando noi, non
essendo arrivati a questa intenzione pura e quindi non avendo in noi la
capacità di conoscere, possedere lo spirito di Dio, noi ci troviamo in balia
della tentazione e quindi corriamo il rischio di scambiare il bene per male e
il male per bene, corriamo il rischio di cedere, ecco perché Cristo si sottopone,
prende su di Sè i nostri difetti, prende su di Sé la nostra incapacità di
vedere e Lui esce dalla tentazione, per insegnare a noi come se ne esce.
Quindi Gesù prende su
di Sé la tentazione che è nostra e ci fa vedere come dobbiamo comportarci di
fronte ad essa, anche se la voce della tentazione ha parvenza di bene, come poteva
avere parvenza di bene la partecipazione di Gesù alla festa dei giudei voluta
da Dio ma alla quale Lui si sottrae.
Perché il Figlio deve
ubbidire al Padre e non deve ubbidire agli uomini, né ad ogni altra voce.
Il Figlio di Dio non
si muove se non lo vede fare dal Padre.
Lui non andrà in
Giudea, fintanto che non vedrà il Padre che gli dirà di andare in Giudea e
allora tutte le altre voci sono tentazioni che Lui accoglie su di Sé per
insegnare a noi a non lasciarci ingannare da esse, perché a fondo di esse c’è
il pensiero del nostro io e non c’è ancora il Pensiero di Dio per quello che
Egli è in Sé, cioè non siamo ancora figli di Dio.
Perché nessuno fa le cose in segreto se cerca di essere
in evidenza, giacché fai queste cose, manifesta te stesso al mondo. Gv 7 Vs 4
Titolo: La soddisfazione dell’io con l’etichetta di Dio.
14/Dicembre/1981
ARGOMENTI: La
tentazione della festa – I segreti dei cuori
– La religiosità apparente – Lo zelo per il Padre – La
preghiera vocale – La lezione esterna di Dio
– L’intenzione pura – Giudea e Galilea – La
Gerusalemme celeste – Il mondo esterno e il
mondo interno – La creatività di Dio –
Modificare l’esterno – La chiave della creazione – La creazione e Dio - Il concetto di
Dio creatore - La diversità delle creature – La grossolanità delle creature – Induzione e deduzione - L’equilibrio
dell’universo – La bontà apparente – Firpo e Erich Fromm –
L’attenzione e il silenzio – Parole
minuscole e maiuscole – La creazione e la
Parola -