Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Gv 6 Vs 56 Primo tema.
Titolo: Restare con
Chi parla.
Argomenti: La carne e il sangue
– Spargere il sangue – Bere il sangue di Cristo – Separare Cristo dal Padre –
Separare dal Padre – Privare dello Spirito la Parola di Dio – Restare con
Cristo – La funzione della legge – Costruire sulla sabbia o sulla roccia – Ogni
scelta è un mattone – L’interesse determina la dimora – La casa di Cristo – Gli
scomodi inquilini dell’anima – La comunione – La funzione della morte di Cristo
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22/ Febbraio /1981
Eligio: “Siete
autorizzati a mangiare ogni cosa, soltanto non mangerete la carne con la sua
vita”.Interpretare il sangue come vita, significa avere la vita del Figlio,
cioè il Padre, bevendo il suo sangue, è una interpretazione corretta? Dovremmo
approfondire che cosa è la vita in Cristo...
Nino: La prima
interpretazione è che bevendo il sangue di Cristo, ci assumiamo la
responsabilità personale della morte di Cristo.
Bevendo il sangue
di Cristo assimiliamo il suo Spirito.
Luigi: Quella
che tu citi Eligio è una proibizione, vuol dire “non sarete violenti, non
ucciderete”.
“Non mangerete
la carne con la sua vita”, cioè con il suo sangue.
Cioè non
dovete spargere il sangue.
È la
proibizione a spargere il sangue, poiché “del sangue vostro, della vostra vita,
Io ne domanderò conto a ogni essere vivente”.
Conferma che
se noi spargiamo il sangue, Dio ci chiede conto.
Noi possiamo
nutrirci di qualunque cosa ma non di spargere il sangue.
Del sangue
versato noi saremo responsabili e quindi arriviamo al Cristo, per cui spargendo
il sangue del Cristo, noi siamo responsabili.
Difatti Gesù
dice che di tutto il sangue versato da Abele, fino agli ultimi giorni, sarà
chiesto conto a questa generazione.
Il che vuol
dire che tutto il sangue versato dall’inizio del mondo fino ad adesso (Cristo)
viene chiesto conto ad ognuno di noi.
Noi siamo
responsabili di tutto il sangue versato prima di noi.
Perché è
sangue versato per noi.
Per cui quel
sangue lì, ricade su di noi, è per noi.
Per cui c’è la
proibizione a nutrirci del sangue, cioè ad uccidere, noi dobbiamo nutrirci
senza uccidere.
Il sangue è ciò
che alimenta la carne, però noi non dobbiamo privare la carne della vita, cioè
del sangue.
Quando si
sparge il sangue c’è un azione violenta, perché la creatura di per sé muore di
morte naturale.
La morte
violenta è caratterizzata dal sangue sparso, ma il sangue non si sparge
naturalmente, bisogna che ci sia l’intervento violento di una creatura che
priva l’altro della vita e si assume la responsabilità della sua opera.
Effettivamente
il sangue è quello che dà vita alla carne.
Eligio: Ma bevendo
il sangue di Cristo posso dire di fare la vita del Cristo, cioè il Padre, mia
vita?
Luigi: Questo
dobbiamo farlo, però per arrivare a fare questo dobbiamo unirci al Cristo e
quello che ci unisce al Cristo è il suo sangue sparso.
Noi diventiamo
figli delle nostre opere, soltanto se noi scopriamo che il sangue sparso di
Cristo è stato sparso a causa mia, io entro in rapporto diretto con Cristo.
Fintanto che
non scopro questo, io non entro in rapporto diretto con Cristo.
Quel rapporto
diretto con Cristo, acuisce il mio legame al punto tale da rendermi capace di
capire tutto il linguaggio del Cristo nei riguardi del Padre.
Portando alle
estreme conseguenze è logico che il sangue cioè la vita di Cristo è il Padre,
noi uccidendo Cristo lo separiamo con azione violenta dal Padre.
Anzi lo
mandiamo a morte perché Lui si fa Figlio del Padre, non lo ammettiamo, non lo
accettiamo.
Però quel
“bere il suo sangue” vuol dire “assumersi la responsabilità della sua morte”,
coincide con: “Io chiedo conto del sangue sparso”.
Gesù stesso
dice che di tutto il sangue sparso fino ad adesso viene chiesto conto ad ogni
uomo.
Tutto quello
che è avvenuto si sintetizza in Cristo.
Tutto il
sangue sparso da Abele in poi, si sintetizza nel sangue sparso di Cristo.
Tutti gli
innocenti che ancora soffrono oggi, si riassumono nel sangue sparso del Cristo.
Se Cristo dice
che di tutto il sangue sparso viene chiesto conto ad ogni uomo, a molta maggior
ragione viene chiesto conto del sangue sparso di Cristo.
“Chiedere
conto” è uguale a “bere il suo sangue”.
Bere il suo
sangue vuol dire scoprire la nostra responsabilità personale nella sua morte.
Perché io sono
responsabile di quel sangue sparso duemila anni fa?
Indubbiamente
se il sangue rappresenta la vita della carne, la vita del Verbo di Dio è il
Padre.
Ma allora
questo “spargere il sangue”, rivela a noi che noi abbiamo separato il Cristo
dal Padre.
Infatti noi
uccidiamo quando separiamo la creatura dal Creatore, in quanto separiamo la
Parola di Dio da Dio.
Infatti la
morte è divisione, è separazione.
La separazione
della creatura dal Creatore richiede un intervento violento, noi facciamo una
separazione: togliamo a Dio quello che è di Dio.
“Noi ti
mandiamo a morte perché ti sei fatto Figlio di Dio”, noi non accettiamo di
unirci a Dio.
Noi dividiamo
da Dio e l’opera di Satana è proprio un opera di divisione.
Separando da
Dio noi uccidiamo, infatti Satana è definito omicida.
L’uomo nel
pensiero del suo io autonomo da Dio è omicida e suicida.
Omicida
perché?
Perché separa la
creatura dal Creatore, separandola la condanna alla morte.
Perché la vita
della creatura è il Creatore, la vita del Figlio è il Padre.
Ma se io
separo il Figlio, cioè la Parola di Dio che arriva a me, io condanno la Parola
alla morte.
In me certo ma
la condanno a morte.
Praticamente
spargo il sangue, però devo assumere la colpa di questo, perché la
responsabilità ricade poi su di me, ma ricade su di me perché non ho accettato
la cosa da Dio.
Ora, siccome
tutto è opera di Dio, non separare nulla da Dio, perché tu separando da Dio,
provochi la morte del tuo mondo, semini la morte nel tuo mondo e questa morte
ricade poi su di te.
Infatti San
Pietro dice: “Avete ucciso l’autore della vostra vita”.
Senza saperlo,
voi avete ucciso l’autore della vostra vita, quindi vi siete suicidati.
Noi uccidiamo
il Cristo, separandolo dal Padre.
Noi lo
separiamo dal Padre per non valutarlo, Lui si presenta come Figlio del Padre e
noi gli diciamo che è un bestemmiatore, un demonio, perché non lo vogliamo
accettare.
Per non accettarlo,
lo dobbiamo separare da Dio.
“Vi manderanno
a morte credendo con ciò di rendere gloria a Dio e ciò faranno perché non hanno
conosciuto il Padre”.
Per cui il
sangue sparso è una significazione di questo distacco (operato da noi) dal
Padre del Figlio di Dio.
Per cui la
Parola di Dio che arriva a me, non viene considerata da me come Parola di Dio
ma come parola di uomo, considerandola come parola di uomo, io tolgo l’anima,
lo spirito, la vita alla Parola di Dio.
Ma quella
Parola di Dio, in me privata dello Spirito, diventa motivo di morte.
Perché quella
Parola arrivando con lo Spirito era per me vita (sangue), io separandola da
Dio, l’ho privata dello Spirito ma privandola dello Spirito, l’ho privata
dell’anima: non dà più a me la vita.
La Parola di
Dio senza Spirito, senza vita, diventa per me motivo di morte, diventa lettera,
diventa regola, diventa legge.
E infatti in
nome della legge di Dio abbiamo mandato a morte il Cristo, il Figlio di Dio.
In nome della
legge di Dio!!!
Ma della legge
di Dio staccata da Dio.
La legge non
staccata da Dio è amore per Dio.
Infatti
l’anima di tutta la legge è: “Ama il Signore Dio tuo con tutto te stesso”.
Questa è
l’anima, lo spirito della legge di Dio: “Ama il Signore”, quindi cercane la
presenza.
Se tu togli lo
spirito alla legge di Dio, ti resta la regola: non uccidere, non commettere
adulterio, non rubare, ecco questa lettera della legge staccata da Dio ci
uccide, ci fa essere omicidi e suicidi.
Ti fa credere
giusto, onesto, puro, salvo, ti fa credere vivo e invece sei un delinquente,
sei un dannato.
Perché alla
legge di Dio hai tolto lo Spirito.
E infatti in
nome della legge di Dio hanno mandato a morte Cristo, la Parola di Dio, il
Figlio di Dio.
Noi in nome
della lettera ci priviamo dello Spirito, della Vita.
Questa
separazione dell’opera di Dio da Dio è sempre un fatto interiore, personale.
La
manifestazione esteriore cruenta è la morte di Cristo di cui noi dobbiamo
assumerci la responsabilità, per scoprire la nostra colpa.
Ma la colpa è
personale.
Sono io personalmente
che separo la Parola di Dio da Dio.
Gesù ai
farisei di allora dice: “A voi, a questa generazione verrà chiesto conto del
sangue di Abele”, Abele era stato ucciso molto più che duemila anni prima, come
duemila anni sono passati per noi dall’omicidio di Cristo.
Se la Parola
di Dio disse allora ai farisei: “A voi sarà chiesto conto del sangue versato,
da Abele fino ad adesso”, a molta maggior ragione Dio può chiedere conto a noi
oggi, del sangue versato di Cristo duemila anni fa.
La Parola di
Dio è Verità e la Verità non è condizionata da spazio o tempo.
Se ricevo
questa Parola di Dio in cui si dice che a me verrà chiesto conto del sangue di Cristo, morto duemila anni fa,
devo cercare lo Spirito di questa Parola e allora deve esserci un rapporto fra
la morte di Cristo duemila anni fa e la mia situazione attuale.
Devo
approfondire, in superficie è logico che non capisca niente.
Devo
approfondire per capire come io, nato duemila anni dopo Cristo, sono
responsabile del sangue di Cristo.
Soltanto
scoprendo questa mia responsabilità nella morte di Cristo e mangiando la sua
carne, assimilando cioè la sua incarnazione, ho la possibilità di capirlo e di
restare con Lui.
Qui Gesù dice:
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in Me”.
Quindi Lui fa
dipendere il dimorare, il restare, dal mangiare la sua carne e bere il suo
sangue.
Il che vuole
dire fintanto che non mangiamo la sua carne e beviamo il suo sangue, noi non
siamo in grado di dimorare in Lui.
Infatti la
nostra grande difficoltà è restare con Dio.
Magari siamo
condotti con un po’ di preghiera o di raccoglimento in Lui, ma poi non siamo
capaci di restare.
Siamo sulla
vetta di un monte e dobbiamo scendere in fretta, perché non possiamo restare
lassù.
La grande
difficoltà della creatura è quella di restare, dimorare con Dio.
Qui Gesù ci fa
capire che la possibilità alla creatura di restare con Cristo, deriva dal bere
il suo sangue e mangiare la sua carne.
Bisogna
approfondire per vedere quale rapporto passa tra il mangiare la sua carne, bere
il suo sangue e la possibilità di dimorare in Lui.
E poi abbiamo
l’altro argomento: “Dimora in me ed Io in Lui”.
Non soltanto
la creatura dimora in Cristo ma anche Cristo dimora nella creatura.
Per cui il
luogo in cui abitiamo, diventa Colui che abita in noi.
Evidentemente
qui l’interpretazione va portata solo sul piano spirituale.
Nino: Tu prima
hai detto che la legge staccata da Dio non ha più nessun valore...
Luigi: Anzi
diventa motivo di morte.
Nino: Però
unita a Dio, cessa di essere legge e diventa amore, non è più un obbligo.
Luigi: Diventa
un rapporto a tu per Tu con Dio e si ascolta e si dialoga con un Essere.
Cioè bisogna
arrivare a convivere con Uno.
Il vero
problema non è fare una cosa o un altra, di comportarci in un modo piuttosto
che in un altro.
Il problema
sta nello scoprire la presenza di Uno che ci è annunciato e imparare a
camminare con Lui, ascoltando Lui e rispondendo a Lui.
Perché è Lui
c’interroga in continuazione, tutti i giorni noi siamo interrogati da Dio.
Dobbiamo
imparare ad ascoltare le sue interrogazioni ed a rispondere alle sue
interrogazioni.
Per cui si
stabilisce la comunione con Lui.
Tutta la legge
aveva soltanto lo scopo di condurci alla scoperta di questa persona, di questo
essere che è con noi.
Ma
naturalmente come ci ha condotti a scoprire questo la legge si ritira.
Ha compiuto la
sua funzione.
Non può dire
più nulla e San Paolo è chiarissimo al riguardo: “La legge è stata il pedagogo
che ci ha condotti a Cristo”.
Quel giovane
ricco che ha ubbidito alla legge in tutto, attraverso la legge è arrivato ad
interrogare il Cristo.
Infatti Gesù
lo amò, perché aveva visto che aveva, in buona fede seguito la legge.
Seguendo la
legge è arrivato al Cristo.
Questo che
cosa ci dice?
Ci dice che se
siamo attenti all’anima della legge, la legge ci conduce ad interrogare Cristo.
Ma come
arriviamo al Cristo, la legge ce la lasciamo alle spalle.
La legge è una
scala che ci ha condotto ad un appartamento.
Una volta
nell’appartamento, la scala ha cessato la sua funzione.
Adesso bisogna
imparare a camminare con Cristo, cioè imparare a camminare con Uno.
Mangiare la
carne è assimilare la sua incarnazione e bere il suo sangue vuol dire scoprire
la nostra responsabilità personale nella sua morte.
Pinuccia: Vorrebbe dire
scoprire il nostro peccato, il nostro distacco da Dio.
Luigi: Certo,
toccare con mano quello, perché soltanto prendendo consapevolezza del male che
portiamo in noi, abbiamo la possibilità con Lui di essere liberati dal male.
Senza la sua
morte in croce, noi non potremmo scoprire il nostro peccato, chi ce lo fa
scoprire è Lui.
Il peccato è
proprio il nostro io autonomo da Dio,
Eligio:
Mangiando la sua carne scopriamo la nostra responsabilità...
Luigi: Sì, e
quindi scopriamo di essere stati noi ad avere versato quel sangue.
Dobbiamo collegare
il mangiare la sua carne e bere il suo sangue con quanto Gesù dice qui: “Dimora
in Me”.
Ognuno di noi
finisce con l’abitare nella casa che vivendo si costruisce.
Ognuno di noi
vivendo si costruisce un’abitazione.
Un’abitazione
spirituale, nella quale viene ad abitare.
Però Gesù dice
anche che c’è chi costruisce sulla sabbia e c’è chi costruisce sulla roccia.
E Lui dice
apertamente che la roccia è Lui.
La roccia è la
sua Parola.
Noi possiamo
costruire sulla sua Parola oppure costruire su parole nostre, separate da Dio.
Quello che è
unito a Dio è sempre Parola di Dio.
Quindi se noi
costruiamo sulla Parola di Dio, noi costruiamo sulla roccia.
Se noi invece
costruiamo su parole separate da Dio, che procedono dall’io, noi costruiamo
sulla sabbia.
Cioè costruiamo
degli edifici che non reggono alle prove, sono destinati a crollare e siccome
noi ci siamo dentro, con il loro crollo, noi subiamo il danno.
Quando abbiamo
parlato tempo fa di casa, di dimora, abbiamo visto che la casa è l’habitat, in
cui uno manifesta tutto se stesso.
È il luogo in
cui uno ritrova se stesso quindi si riposa.
Perché tutte
le cose sono in funzione di colui che vi abita.
La casa
richiede sempre una partecipazione personale nostra.
La casa si
edifica, mano a mano che noi segniamo le cose con la nostra volontà, col nostro
pensiero, con qualcosa di noi.
La cosa
segnata da noi, diventa abitazione nostra.
Eligio: Però un
salvo dice che se il Signore non costruisce la casa invano noi ci affatichiamo.
Luigi: Certo,
noi costruiamo delle case ma sono case che sono destinate a crollare perché non
reggono le prove, la vera casa è quella che costruisce Dio.
Infatti quando
Davide vuole costruire la casa a Dio: “Tu vuoi costruire la casa a Me? Non sei
tu che costruisci la casa a Me, sono Io che costruisco la casa a te!”.
Effettivamente
è Dio che costruisce la casa a noi.
Quella è la
casa eterna, la casa vera.
Quindi se
veramente dove noi abitiamo sarà la casa segnata da Dio, in cui tutte le cose
sono di Dio, allora veramente noi ci riposeremo.
Ma perché
possiamo noi abitare, bisogna che questa casa sia fatta anche da noi, cioè
bisogna che sia segnata da noi.
Sia segnata da
noi, sulla Parola di Dio.
Perchè noi
possiamo segnare le cose solo del nostro nome.
Mano a mano
che noi viviamo facciamo delle scelte.
Ogni giorno
facciamo delle scelte e scegliendo, edifichiamo una casa in cui abitiamo.
Ogni scelta
che noi facciamo è un mattone che mettiamo alla nostra casa.
Dobbiamo
quindi stare molto attenti alle cose che lasciamo entrare dentro di noi.
Perché le cose
che lasciamo entrare dentro di noi, in quanto le lasciamo entrare, diventano un
edificio in cui noi abitiamo.
Noi non
possiamo liberarci delle cose che lasciamo entrare dentro di noi.
Ma cos’ è che
fa entrare le cose dentro di te?
Stai attento a
quel è il motivo che fa entrare le cose dentro di te e che ti costruiscono la
casa.
È l’interesse
che tu hai.
A seconda
dell’interesse che tu hai, tu giorno per giorno scegli i mattoni della tua
casa.
Per cui scarti
certe cose e ne lasci entrare altre.
Ma quelle cose
che entrano dentro di te, in quanto entrano dentro di te, diventano le tue
padrone.
Cioè abitano
in te.
Possiamo
capire come le cose che io lascio entrare e in cui io abito, vengono ad abitare
in me.
Per cui io non
sono più libero, cioè quella cosa che ho lasciato entrare dentro di me, a un
certo momento diventa l’inquilino che io non posso più mandar via dalla mia
casa.
Prima di
lasciare entrare qualcuno in casa, tu sei libero, ma come tu hai lasciato
entrare qualcuno, tu non sei mica più libero.
Quel qualcuno
abita in te.
Stai attento
al motivo che ti fa entrare un inquilino in te.
Io lascio
entrare qualcosa in me, in base all’interesse che ho.
Se ho
interesse per Dio al di sopra di tutto lascio entrare in me certe cose, ma se
ho interessi diversi da Dio, io lascio entrare altre cose.
Quello che
lascio entrare per Dio, quello non mi rende schiavo, qui la casa è costruita
sulla roccia, cioè sulla Parola di Dio.
La Parola di
Dio è amore per il Padre, è interesse per il Padre e allora l’interesse per il
Padre in me, lascia entrare quei mattoni che edificano una casa sicura, in cui
io abiterò eternamente.
Se invece ho
interessi diversi da Dio, questi lasciano entrare in me degli inquilini,
cattivi, scomodi, violenti che non posso mandare via e quella casa addirittura
mi cade addosso, perché è costruita sulla sabbia.
Il principio
del dimorare in-, è una conseguenza del nostro interesse per qualcosa.
A seconda
dell’interesse che abbiamo, lasciamo entrare ciò che edifica per noi la casa.
Se mangiare la
carne vuole dire assimilare, è soltanto l’interesse che ho per Dio che mi dà la
possibilità di assimilare le opere e la Parola di Dio.
La casa
richiede sempre una partecipazione personale.
Se il mio nome
non è scritto nelle cose, non c’è la mia casa.
Infatti quando
sono fuori di casa mia, vedo altre volontà.
Ognuno si
riposa nella sua casa.
Là dove tutto
è opera di Dio, se noi siamo con Dio, lì veramente ci riposiamo.
È un po’ il
sabato, il riposo di Dio.
Quello che lasciamo
entrare in noi, costruisce in noi la casa ma diventa anche abitante in noi,
ecco che abbiamo la reciprocità.
Per cui dimora
in me, ma io dimoro anche in lui.
Quanto più noi
ci nutriamo di Cristo, tanto più noi
dimoriamo in Cristo e Cristo viene a dimorare in noi.
Come viene a
dimorare in me l’inquilino scomodo che non posso scacciare via.
Spiritualmente
parlando, quello che noi lasciamo entrare in noi, diventa abitante in noi, per
cui noi diventiamo il luogo di abitazione di lui.
In effetti,
nutrendoci di Parola di Dio, cioè nutrendoci di Cristo, si edifica in noi una
casa che è tutta segnata dal Cristo.
Se è tutta
segnata da Cristo diventa la casa di Cristo.
Diventa luogo
di Cristo.
Perché la
casa, la dimora è il luogo in cui si rivela la volontà di colui che vi abita.
Se noi ci
siamo nutriti del Cristo, tutto in noi rivela la volontà del Cristo.
È segnato dal
Cristo.
Allora Cristo
trova il suo riposo, la sua pace in noi.
Quindi noi
dimoriamo in Lui e Lui dimora in noi.
Pinuccia:
Questa sarebbe la costruzione dell’arca.
Luigi: Sì,
però noi in un modo o nell’altro una casa la costruiamo.
Noi tutti i
giorni facciamo delle scelte e ci costruiamo una mentalità.
E ognuno di
noi vive in questa mentalità e resta dominato da essa.
Una volta che
abbiamo lasciato entrare un pensiero in noi, noi non siamo più liberi.
Prima eravamo
liberi, perché potevamo avere interesse o meno per una certa cosa, ma come
l’abbiamo lasciato entrare quello ci domina, ci comanda, ci fa fare quello che
vuole , noi non siamo più liberi.
Non possiamo
mandarlo fuori.
Quante volte
noi ci accorgiamo di avere la testa piena di banalità, canzonette o
stupidaggini che noi vorremmo dimenticare e non ci riusciamo?
Abbiamo un
inquilino scomodo che non riusciamo però a fare fuori.
E ci condiziona
terribilmente.
Fa del rumore
dentro di noi, non ci lascia in pace.
Perché questa
nostra impotenza? Perché la libertà noi l’abbiamo soltanto con Dio.
Noi siamo
liberi prima di lasciare entrare una cosa, quindi fai molta attenzione al
motivo, all’interesse, per cui tu lasci entrare una cosa piuttosto che l’altra.
Stai attento a
quelle cose verso le quali tu rivolgi il tuo interesse, perché domani tu non
sarai più libero verso quelle cose.
Tutti gli
interessi a cui noi ci apriamo, sono degli inquilini che noi invitiamo ad
entrare in casa nostra.
Prima di
lasciarli entrare noi siamo liberi, una volta che sono entrati non siamo più
liberi.
Ne restiamo
condizionati.
Pinuccia:
Invece se lasciamo entrare Cristo restiamo liberi?
Luigi: Siccome
Lui opera convincendoci, noi non desidereremmo mai farlo fuori, anzi per noi è
motivo di vita e di gioia averlo con noi.
Perché noi
vogliamo fare fuori un inquilino che è entrato malamente in noi?
Perché ci dà
fastidio, perché è contro di noi.
Cristo non sarà
mai contro di noi, quindi non ci troveremo mai con un inquilino scomodo.
Tutti vorremmo
che Cristo dimorasse in noi ma noi non sappiamo come fare per restare con Lui e
che Lui resti con noi.
Questa
impossibilità è data dal fatto che non abbiamo mangiato sufficiente sua carne e
non abbiamo bevuto sufficiente suo sangue.
Mangiare la
sua carne, vuole dire assimilare tutta la sua incarnazione e tutte le sue
Parole.
Tutto quello
che Lui ha detto dall’inizio fino alla fine.
L’assimilare
la Parola di Cristo rivela interesse per Dio, perché noi non ci preoccupiamo di
assimilare una cosa di cui non abbiamo interesse.
Perché è
proprio attraverso le sue Parole che Lui ci conduce al Padre e costruisce in
noi la casa di Dio, del Padre, nella quale finalmente possiamo abitare.
Per cui in
quella casa di Dio, c’è il pensiero del nostro io, perché c’è stato interesse,
c’è stata passione ma è segnata da Dio.
Per cui Dio
trova in noi la sua dimora, trova in noi la sua pace.
E allora abita
in noi.
Teresa: Non
possiamo mangiare la sua carne senza bere il suo sangue?
Luigi: Tu
capisci che nella sua carne c’è già il suo sangue sparso.
Il suo sangue
sparso, la sua morte in croce fa parte della sua incarnazione.
Capisco il tuo
pensiero: “Se io assimilo la carne evito di spargere il sangue”.
Il suo sangue
sparso fa parte della incarnazione.
Teresa,
Quindi mangiando la sua carne bevo il suo sangue, non posso fermarmi a metà.
Luigi: Noi
possiamo fermarci a metà nel senso di fermarci a qualche parola del Cristo.
Mangiare vuole
dire assimilarlo tutto.
Carne e sangue
sono una cosa sola, come la legge, noi non dovremmo mai scorporare la legge
dall’amore di Dio, perché l’anima di tutta la legge è l’amore per il Padre,
cioè è il bisogno di trovare Dio.
Come noi
dividiamo la legge da Dio, così possiamo anche dividere la carne del Cristo dal
Padre.
Possiamo anche
escludere certe sue parole e fermarci alle sue parole più facilmente
comprensibili o che fanno comodo.
Nella carne di
Cristo c’è anche la crocifissione.
Anzi direi che
la crocifissione è la sintesi di tutta la sua incarnazione.
Quanti si sono
fatti santi meditando solo sulla croce?
Noi possiamo
studiare il Cristo storicamente, dire che noi non lo avremmo crocifisso, no noi
non dobbiamo metterci fuori dalla sua crocifissione.
Anche tu sei
sul calvario, anche tu sei davanti a Lui, anche tu hai le mani sporche del suo
sangue.
Bisogna sempre
scoprire questo rapporto personale tra Lui e me.
Solo scoprendo
questo rapporto personale cominciamo ad entrare nella vera sapienza, cioè cominciamo
veramente a mangiare il suo sangue.
Altrimenti noi
ci mettiamo fuori e facciamo una cultura religiosa su Cristo.
Pinuccia:
Mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue mangiamo anche il Padre?
Luigi: Tu
scivoli un po’ su un piano di materialità.
Mangiare la
carne vuol dire assimilare, assimilare vuole dire capire la Parola della carne
del Verbo.
Quindi abbiamo
il Verbo di Dio che parla a me.
Di chi parla
il Verbo?
Parla del
Padre.
Soltanto del
Padre.
Parola
incarnata vuole dire parola che arriva a me e mi parla del Padre.
Se io
l’assimilo, necessariamente arrivo al Padre.
Altrimenti non
l’ho assimilata.
Pinuccia: E
qui divento dimora del Cristo?
Luigi:
Certamente.
Se io capisco
quello che Lui mi dice arrivo al Padre, perché Lui mi parla solo del Padre.
Noi facciamo
tante comunioni (azioni), mangio la sua carne e allora Lui abita in me e non ci
rendiamo conto dell’errore che facciamo.
È un po’ come
alla legge, alla regola togliere l’anima.
L’assimilare
non sta nell’azione nostra, sta nel lasciare entrare Lui in noi ma non come
azione materiale.
Se io faccio
la comunione, la comunione mi annuncia la sua morte.
L’annuncio
della sua morte è per farmi capire il male che porto in me, affinché io muoia a
me stesso.
Ma se io dopo
la comunione non sono morto a me stesso, io ho fatto morire Lui.
E se ho fatto
morire Lui, Lui non dimora in me.
Se io fatta la
comunione, esco dalla chiesa e faccio scelte secondo il mio io, giudico gli
altri e parlo di me, di chi ho annunciato la morte?
Ho annunciato
la morte di Cristo o la mia morte?
Ho fatto
morire Lui, perché il mio io continua a vivere.
Lui ha
stabilito un legame con noi eterno, ma quel legame non ci salva mica, ci danna.
Il suo sangue
se non provoca in noi la morte a noi stessi diventa in noi un motivo di rimprovero
eterno.
Però noi non
possiamo separarci da Lui, perché Lui si è fatto opera mia, Lui si è lasciato
uccidere da me.
E in quanto si
è fatto opera mia, io resto legato a quello che ho fatto.
Quello l’ho
ucciso io.
Avendolo
ucciso, io resto legato alla mia Vittima.
Cristo si è
fatto nostra Vittima.
E noi restiamo
legati a Lui, in quanto Lui è vittima nostra.
Questo è un
legame che Lui stabilisce per salvarci, ma ci salva se noi capiamo, perché
l’importante è capire.
“Perché Cristo
è morto in croce?”.
“Qual’è il
significato di questa sua morte in croce?”.
Lui è morto in
croce, per far capire a me, il delitto che porto dentro di me, il delitto di
pensare a me stesso anziché pensare a Dio.
Per cui io
porto la morte in me, in quanto vivo separato da Dio.
E sono
separato da Dio, in quanto vivo pensando a me.
Cristo è morto
per far toccare con mano a me, quel corpo di morte che porto dentro di me.
Altrimenti noi
non ci rendiamo conto che pensando a noi, parlando di noi, vivendo per noi,
stiamo edificando la nostra morte.
Noi ci
crediamo vivi ma noi o stiamo morendo o siamo morti.
Cristo muore,
per rivelare a noi la nostra morte.
E rivelandoci
la nostra morte, dà a noi la possibilità di risorgere alla vita.
Ma bisogna che
noi interroghiamo e capiamo perché Cristo è morto per me personalmente.
Fintanto che
in noi non si forma questa luce ed arriviamo a capire il significato della sua
morte, noi non arriviamo a toccare la morte che portiamo con noi.
E fintanto che
non tocchiamo con mano la morte che portiamo in noi, noi non possiamo
risorgere, noi non possiamo entrare nella Vita.
Lui muore per
portarci nella Vita ma il passaggio per arrivare alla Vita, richiede la
consapevolezza della morte che portiamo in noi, quando non ci manteniamo uniti
a Dio.
Fintanto che
noi consumiamo le nostre giornate pensando a noi, lasciandoci guidare dal
pensiero dell’io, noi non facciamo altro che sviluppare la nostra morte.
Ma chi fa
scoprire questo è Cristo con la sua morte.
Ecco per cui è
necessario bere il suo sangue.
Cioè scoprire
questa responsabilità che noi abbiamo, perché soltanto scoprendo questa
responsabilità personale che noi abbiamo nella sua morte, noi capiamo qual è la
nostra morte: il nostro io separato da Dio.
Il problema è
che noi ci crediamo vivi, invece la vita viene a noi dalla comunione con Dio.
La vita è
comunione.
Noi invece ci
crediamo vivi in senso autonomo.
No tu sei
morto, perché Dio è la tua vita e fintanto che tu non scopri che Dio e la tua
vita e che tu da solo sei morto, tu non puoi entrare nella vita.
Teresa: Ma se
noi siamo morti non possiamo assimilare niente.
Luigi: Infatti
è Lui che entra nella nostra morte.
È soltanto la
sua morte che mi dà la possibilità del passaggio dalla morte alla vita.
Lui morto è
entrato nella nostra tomba.
E io devo
capire che Lui è morto per causa mia.
Devo scoprire
questo rapporto.
Ma è Lui che
me lo fa scoprire con la sua morte.
Perché me lo
dice.
Ecco
l’assimilazione.
Pinuccia:
L’esperienza della nostra morte coincide con il Cristo morto in croce.
Luigi: Certo.
Lui morto in
croce lancia un urlo, per tutto l’universo, per tutti i tempi e urla la nostra
morte, per risvegliarci.
Pinuccia: È
impressionante che noi ci crediamo vivi mentre siamo morti.
Lui muore per
portarci nella Vita, per portarci nella resurrezione, non muore mica per
giudicarci.
Per cui in Lui
morto, c’è ancora il Verbo di Dio vivo che parla a noi.
Lui morto è il
Verbo di Dio.
Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in
lui. Gv
6 Vs 56 Secondo tema.
Titolo: L’abitazione
dell’uomo.
Argomenti: Il dimorare in Cristo
dipende dall’assimilazione – Reciprocità dimora – La casa sulla roccia –
Scegliere volenti o nolenti – Abitare nella casa edificata con le scelte
quotidiane – Come scegliere – Vedere e dimorare – Il Regno di Dio è già – Inferno
e paradiso – Mangiare, assimilare – Consapevole e inconsapevole -
24/ Febbraio /1981
Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in
lui. Gv 6 Vs 56 Terzo
tema.
Titolo: Abitare in
Dio.
Argomenti: La
preghiera continua – I figli e i servi – Il concetto di casa – Il materiale per
edificare – La casa insopportabile – Il figliol prodigo – Mangiare e bere la
carne e il sangue – La carne del Vangelo – La mentalità – Sforzarsi d’entrare -
1/ Marzo /1981
Eligio: Perché
Gesù dice che il pane che Lui spezza è la sua carne? Il pane è pane, non carne.
Luigi: Sono
entrambi alimenti.
Tutto era
partito dalla moltiplicazione dei pani, poi il giorno dopo vanno a cercarlo per
il pane e Lui dice: “Non cercatemi per il pane che passa, ma per il pane di
vita eterna quello che Io offro”.
Fa tutti i
collegamenti partendo dal pane, il pane come alimento.
Parte dalla
moltiplicazione dei pani, per arrivare poi dopo alla sua incarnazione.
Qui Gesù
dicendo: “Dimora in Me e Io in lui”, ci propone Se stesso come nostro luogo di
dimora e ci propone Se stesso come abitante in noi.
Evidentemente
questa è un’affermazione della sua divinità chiara e lampante.
Nessun altro
uomo ci proporrebbe questo.
Il fatto che
Lui si proponga come luogo di abitazione e principio di abitazione, ci fa anche
capire che noi siamo stati creati per abitare in Dio.
Non solo per
abitare in Dio ma perché anche Dio abiti in noi.
Cioè noi siamo
stati creati per avere in Dio la nostra dimora e per essere dimora di Dio.
Questa è la
meta, il fine cui dobbiamo guardare.
Eligio: Il
dimorare in Cristo è una conseguenza dell’aver mangiato la sua carne o già
mangiando si dimora in Cristo?
Luigi: Già
mangiandolo.
Il mangiare è
un mezzo e in quanto uno utilizza un mezzo, già incomincia a dimorare.
Anche se
ancora non capisce, il proposito già lo inserisce.
È sufficiente
che noi ci orientiamo ad un fine perché, sotto un certo aspetto, già siamo
inseriti nel fine, già apparteniamo al fine, anche se siamo lontani da quel
fine.
In quanto in
noi si forma il proposito di tendere a quel fine, c’è già un legame, c’è un
appartenenza.
La dimora non
è nel senso che sei arrivato, la dimora è già in quanto desideri arrivare.
Il desiderio
già ci fa appartenere, il desiderio già è amore.
L’amore
unisce, l’amore fa appartenere.
Quest’affermazione
ci rivela che il nostro destino è dimorare in Lui ed essere sua dimora, però di
fronte a questa sua proposta del fine, noi scopriamo la grande difficoltà che
abbiamo a dimorare in Lui ed a essere sua dimora.
Noi siamo
dimora di ben altro da Dio e dimoriamo in ben altro da Dio.
Eligio: Per
dimorare in Lui, dobbiamo mangiare la sua carne.
Luigi: Anche
il mangiare la sua carne e bere il suo sangue si offre a qualche equivoco, come
tutti i segni d’altronde.
Noi possiamo
ritenere di mangiare la sua carne e bere il suo sangue, mentre invece magari
non ce ne nutriamo affatto.
Nino: Quando noi
troviamo il Pensiero del Padre, rimaniamo nel Pensiero del Padre in una
preghiera continua...
Luigi: Noi
abbiamo molta difficoltà...il tuo proposito è lo stesso del diario di un
pellegrino russo che c’insegna quanto sia difficile la preghiera permanente.
Per la
preghiera continua devo ripetere molte parole, devo andare in un deserto,
chiudermi in un convento?
Preghiera continua
che corrisponde al dimorare che è la nostra grande difficoltà.
Noi possiamo
di tanto in tanto raccoglierci e pensare Dio, ma certamente ci troviamo nella
grande difficoltà a dimorare in Dio.
Da che cosa è
data questa difficoltà, perché c’è questa difficoltà?
Gesù dice che
soltanto i figli di Dio restano sempre nella casa del Padre.
I servi non
possono restare sempre.
La nostra
difficoltà a restare, dimorare con Dio, ci fa toccare con mano che noi non
siamo ancora figli ma siamo servi.
Il servo è uno
che va e viene ma non rimane.
Soltanto
diventando figli, noi diventiamo capaci di dimorare.
Se mangiando
la sua carne e bevendo il suo sangue si dimora, mangiando la sua carne e il suo
sangue si diventa figli.
Già all’inizio
aveva detto che quanti credono in Lui, hanno la possibilità di diventare figli
di Dio.
Ma allora
quale è la differenza tra servo e figlio di Dio?
L’argomento di
stasera è quali sono le condizioni per dimorare in Dio e per diventare dimora
di Dio.
Abbiamo visto
che casa, dimora è il luogo in cui uno ritrova tutte le cose secondo il suo
pensiero, segnate da Lui, per cui si riposa.
Ognuno di noi
abita là, dove tutte le cose sono ordinate secondo un suo fine.
Mentre in un
luogo in cui non vediamo le cose ordinate secondo un nostro fine, noi non
possiamo dimorare, riposare.
Dio propone
noi un fine che è Se stesso e poi ci offre tutto il materiale da ordinare
secondo questo fine.
Il materiale è
l’universo con tutte le sue creature e tutti i suoi fatti.
Questo è
materiale di costruzione.
E questo
materiale da costruzione, può essere utilizzato per costruzioni diverse.
Solo se noi
edifichiamo secondo il fine di Dio, edifichiamo la casa di Dio e dimoreremo
nella casa di Dio.
Noi vivendo,
in un modo o nell’altro edifichiamo.
Perché tutte
le cose che arrivano a noi, vengono da noi utilizzate in qualche modo.
Noi a contatto
con le cose, non possiamo non valutarle in rapporto alla nostra intenzione.
Per cui tutto
il materiale che giorno per giorno si presenta a noi, viene da noi scartato
(anche quella è una valutazione) oppure preso ed utilizzato per una nostra
costruzione.
Ma le
costruzioni si edificano secondo un progetto, secondo un fondamento, secondo un
disegno, secondo un fine.
E a seconda
del fine che abbiamo noi, lì abbiamo un progetto di costruzione e quindi di
utilizzazione dei fatti e delle creature che ogni giorno Dio ci mette a
disposizione come materiale di costruzione.
Chi è chiamato
a dimorare, per dimorare deve vedere la
dimora fatta secondo il suo fine, e allora è necessaria questa nostra
partecipazione personale.
Fintanto che
non c’è partecipazione personale non c’è la casa.
C’è il
materiale che Dio ci offre ma è necessario che ci sia l’intervento nostro
personale nella costruzione, perché soltanto con il nostro intervento personale,
noi ci troviamo in una casa in cui si vede la nostra impronta, il nostro fine e
le cose vengono ordinate secondo quest’ordine, ed è assolutamente necessario
che si veda la nostra intenzione lì.
Altrimenti non
è per noi abitazione.
Può essere
abitazione di Dio ma non può essere abitazione nostra, cioè noi ci troviamo
fuori, non possiamo riposare.
Perché noi si
possa abitare in una casa, si richiede questa partecipazione nostra personale.
Pinuccia:
Possiamo fare nostra l’intenzione di Dio...
Luigi: Sì, però
deve essere nostra.
Deve esserci
la nostra partecipazione personale.
Dio ci offre
tutto il materiale per costruire questa casa che naturalmente va costruita con
una certa finalità, la finalità di Dio, se da parte nostra c’è personalmente
questa intenzione, allora tutto il materiale che Dio ci offre viene utilizzato
in funzione di quel fine corretto.
Ma se invece
noi abbiamo un fine diverso dalla conoscenza di Dio, noi utilizziamo il
materiale offerto da Dio a noi per un fine, un progetto sbagliato.
In un modo o
nell’altro tutte le cose che Dio manda a noi, noi le utilizziamo secondo un
certo fine.
Noi non
possiamo non scegliere, cioè non edificare.
Tutto lo
valutiamo scartandolo o utilizzandolo se serve per il nostro fine.
È il fine che
noi perseguiamo che dà valore o meno alle cose che Dio ci presenta.
Se questa
finalità è Dio, allora noi diamo il vero valore alle cose e mano a mano che le
utilizziamo cominciamo ad abitare nella casa di Dio.
E la casa
fondata su Dio rimane e noi ci troviamo ad abitare in essa ma noi possiamo
restare solo nella misura in cui abbiamo unificato, edificato il materiale che
Dio ci offre.
Pinuccia: Se
non abita Lui, non abitiamo noi...
Luigi: No, Lui
ci abita comunque, perché la casa è sua e il materiale è suo.
A un certo momento,
noi veniamo a trovarci fuori, pur trovandoci in mezzo a tutta costruzione di
Dio.
Sostanzialmente
noi non possiamo uscire dal Regno di Dio, però siamo fuori.
Non possiamo
dimorare, ecco lì la difficoltà a dimorare.
Noi quindi
abbiamo difficoltà a dimorare perché non abbiamo unificato in Dio, non abbiamo
utilizzato il materiale offerto da Dio per costruire la casa di Dio.
Il servo in
quanto serve il Signore, lo serve perché ha un suo interesse nel servirlo, gli
conviene servire il padrone e quindi è nel pensiero dell’io ed edifica nel
pensiero del suo io e quindi non può stare sempre nella casa del padrone.
Il figlio
invece edificando la casa del padre, vive per la casa del padre.
L’interesse
del figlio è il padre, non il pensiero dell’io.
Finisce per
fare sua l’intenzione del padre.
Questo ci fa
capire come la casa del padre diventi insopportabile per il fratello maggiore
del figliol prodigo, noi possiamo illuderci di essere figli e di essere nella
casa del Padre, ma noi siamo cacciati fuori se non abbiamo lo stesso amore che
ha il Padre.
A un certo
momento uno viene a trovarsi fuori, non può stare.
Gli
avvenimenti rivelano l’intenzione del Padre e la casa diventa insopportabile
per noi.
Quanto più noi
unifichiamo, ordiniamo le cose che Dio ci presenta quotidianamente nello
Spirito di Dio, nel Pensiero di Dio, tanto più noi diventiamo capaci di
dimorare in Lui.
Capiamo anche
cosa vuole dire “mangiare la sua carne”, vuol dire assimilare, cioè ordinare le
cose in Dio e rapportarle a Dio, cioè edificare su Dio tutte le cose che Dio ci
presenta.
A un certo
momento tutta la creazione diventa una incarnazione del Verbo, una
significazione di Dio, tutto diventa materiale da costruzione come lo è la
carne e il sangue di Cristo che si offre a noi per essere assimilato nel Padre.
L’assimilazione
avviene nel Padre, non deve avvenire nel pensiero del nostro io altrimenti
veniamo a trovarci nell’impossibilità di dimorare.
Il metro di
misura per verificare se io ho effettivamente mangiato la sua carne o meno è la
capacità o meno di permanere nella casa di Dio.
Tutti
esperimentiamo la difficoltà a dimorare nella casa di Dio, perché?
Adamo abitava
nella casa del Padre, poi esperimenta di non potere più restare nel paradiso
terrestre, dove tutte le cose erano fatte bene e ordinate.
Da figlio è
diventato servo perché non ha più portato il materiale (pensiero dell’io) nel
fine di Dio.
Il Demonio si
sente costantemente fuori della casa di Dio, perché non si sente figlio di Dio,
non si sente abitato da Dio, mentre il figlio di Dio si sente in continuazione
abitato da Dio, pensato da Dio, guidato da Dio, si sente cioè generato da Dio.
Infatti il
Padre si compiace: “Questo è mio Figlio nel quale mi sono compiaciuto”.
Noi ci
“compiaciamo” della nostra casa, perché tutte le cose sono ordinate secondo il
nostro pensiero.
Ma se noi
ordiniamo tutte le cose secondo il Pensiero di Dio, Lui viene ad abitare,
perché Lui ci ha creati per essere sua abitazione, se però tutte le cose in
noi, sono fatte secondo il suo Spirito, la sua intenzione.
E ci vuole la
nostra partecipazione personale, altrimenti l’abitazione è di Dio ma noi non
l’abitiamo.
Bisogna che la
nostra intenzione sia quella di Dio, allora noi abitiamo in Dio, ma Dio viene
anche ad abitare in noi.
Allora Dio si
compiace di questa dimora, come si compiace del Figlio.
Noi diventiamo
abitazione di Dio e nello stesso tempo abitiamo in Dio.
È lì la
reciprocità che è meravigliosa.
Il Vangelo è
materiale da costruzione, è Parola di Dio, è Carne.
La carne è un segno
improntato da un verbo.
Il Vangelo
sono segni, improntati dal Verbo di Dio, che sono offerti a noi, quindi
diventano materiale da costruzione.
Questo
materiale da costruzione, deve essere assimilato in Dio, non assimilato nel mio
io.
Perché io le
parole del Vangelo, le posso assimilare, interpretare in senso umano e allora
le assimilo nel pensiero di me stesso.
Cioè mangio la
mia carne, non mangio più la carne di Cristo.
Lo Spirito che
c’è in quella carne è lo Spirito del Figlio e il Figlio mi chiede di portarlo
al Padre, perché Lui appartiene al Padre.
Quindi le cose
che ci dice, le dobbiamo assimilare nel Padre, non le dobbiamo assimilare come
norma morale, di comportamento.
Mano a mano
che le assimili nel Padre, si forma in te una certa visione.
Ognuno di noi
vivendo si forma una mentalità spirituale che giorno per giorno si costruisce.
È la visione
del mondo che ognuno si costruisce e interpreta tutti gli avvenimenti secondo
questa mentalità.
Questa
mentalità è materiale di costruzione che lui ha fatto entrare in certi valori.
Poi ovviamente
Dio manda tutto all’aria, perché la costruzione era fondata male.
Noi giorno
dopo giorno ci formiamo una mentalità ed è importante che questa mentalità sia
la mentalità di Dio.
Il Vangelo, le
Parole di Cristo, sono materiale che Dio offre a noi per essere assimilate in
Lui.
Mano a mano
che le assimiliamo si forma in noi una certa mentalità che è la mentalità di
Dio, che è lo Spirito di Dio.
Per cui
cominciamo a vedere le cose secondo Dio.
Ma se noi
vediamo le cose secondo Dio, noi siamo nella casa di Dio.
Perché vediamo
con lo Spirito di Dio, con lo sguardo di Dio.
È Dio che ci
fa vedere ma se ci vedere ci fa anche volere, ci fa anche parlare, ci fa anche
scegliere.
Perché noi
scegliamo e parliamo a seconda della mentalità che portiamo in noi.
Ognuno di noi
si forma una certa mentalità, una certa dimora in cui abita, ma se questa
mentalità non è secondo lo Spirito di Dio viene continuamente contraddetta da
Dio che provoca una continua fuga da Dio.
L’anima non
può sostare, perché mentre afferma che la cosa è così, la cosa è già cambiata.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Gv 6 Vs 56 Quarto tema.
Titolo: Nascere da-
ci fa essere in-.
Argomenti: L’abito delle nozze –
Dimorare in Cristo e dimorare in Dio – La nascita consapevole – La
conflittualità – Le banalità – Le tentazioni – L’amore per il fratello –
L’amore vuole la presenza – Il luogo dell’interesse – Gli edifici della Bibbia
– Modificare il pensiero anziché la realtà – Ciò cui guardiamo ci forma -
3/ Marzo /1981
Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in
lui. Gv 6 Vs 56 Quinto tema.
Titolo: Rapporto
di dipendenza e rapporto di intelligenza. I
Argomenti: Abitare e essere
l’abitazione di Dio – L’abitazione del pensiero – Servi, amici, figli –
L’instabilità – Attrazione e intelligenza – Giungere al Frutto – Il tralcio e
la vite – L’intelligenza delle Parole di Cristo – Tutto ordinato secondo il
Padre – Perdere il Seme – Approfondire la Parola – Il materiale di costruzione
– Il bisogno di capire -
8/ Marzo /1981
La volta
scorsa abbiamo visto quanto sia difficile dimorare in Dio.
Eppure in
questo versetto, Gesù ci propone la dimora in Lui e Lui è persona divina, come
programma, come fine, come scopo di vita.
Ci rivela cioè
che siamo stati creati per dimorare, abitare in Dio, non solo ma anche per
essere dimora di Dio.
Dimora, casa,
abitazione sono il luogo in cui tutte le cose sono disposte secondo la volontà
di chi vi abita, per cui egli trova riposo nella sua casa, perché in tutto vede
il suo pensiero, il suo desiderio, il suo programma.
Rivelandoci
che noi siamo stati creati per abitare in Dio, ci presenta Dio come luogo in
cui dobbiamo vedere l’oggetto della nostra volontà, della nostra intenzione, in
modo da vedere in Lui tutto di noi.
Noi siamo
creati non solo per abitare in Dio ma anche per essere l’abitazione di Dio.
E se
abitazione è il luogo in cui tutto è secondo la volontà di uno, noi diventiamo
abitazione di Dio, solo se tutto in noi è disposto secondo la volontà,
l’intenzione di Dio.
Noi dobbiamo
trovare in Dio tutto secondo il nostro pensiero e dobbiamo fare in noi tutto
secondo il Pensiero di Dio.
Noi siamo
essenzialmente pensiero, la dimensione interiore è predominante sul mondo
esteriore.
Tutto è
determinato dal pensiero che portiamo in noi, quindi l’abitazione vera è là
dove noi siamo col pensiero.
Dio si propone
a noi come luogo per il nostro pensiero e il nostro pensiero, ci viene proposto
ad essere luogo del Pensiero di Dio.
Qui stiamo
arrivando al rapporto tra Padre e Figlio, perché il Padre è l’abitazione del
Figlio e il Figlio è l’abitazione del Padre.
Ma chi può
dare a noi la possibilità di fare di Dio la nostra dimora e di fare di noi la
dimora di Dio.
Noi possiamo
dimorare solo là dove abbiamo fatto la nostra opera, perché noi diventiamo
figli delle nostre opere e ognuno di noi dimora là in ciò che ha fatto, chi
darà a noi la possibilità di dimorare in Dio?
“Non vi chiamo
più servi ma amici, perché vi ho fatto conoscere tutto quello che ho ascoltato
dal Padre mio”.
Il passaggio
dal servo al figlio sta nel conoscere le cose del Padre.
Il passaggio
da servo ad amico è il passaggio dall’instabilità alla dimora, quindi chi dà a
noi la possibilità di abitare nella casa del Padre è solo Chi dà a noi la
conoscenza delle cose del Padre.
Il servo non
può dimorare sempre, il figlio può dimorare sempre.
Solo il Figlio
ci rende capaci di dimorare nel Padre.
“Non vi chiamo
più servi ma amici, perché vi ho fatto conoscere tutto quello che ho ascoltato
dal Padre mio”, Lui ha fatto conoscere il Padre, in quanto gli altri hanno
ascoltato.
E hanno
ascoltato fino al punto in cui hanno capito le cose del Padre e che tutto il
suo parlare era il parlare del Padre.
L’ascolto del
Figlio lo possiamo fare a tratti, senza arrivare all’essenza e cioè che Lui ci
rivela il Padre dandoci la possibilità di dimorare nel Padre.
Il tralcio che
non porta frutto in Cristo viene reciso, non solo bisogna ascoltare ma bisogna
ascoltare fino a giuingere al frutto e il frutto è la conoscenza del Padre.
La dimora nel
Padre richiede due rapporti: il primo è il rapporto di dipendenza da Dio in tutto, attraverso cui si forma in noi l’attrazione del Padre.
Bisogna sempre
mantenere la consapevolezza di un Tu che abbiamo sempre davanti a noi.
Noi non
possiamo dire “io” senza prima dire “Tu”.
E se diciamo
“io” prima del “Tu”, noi cadiamo nel peccato di autonomia che ci impedisce di
restare nella casa del Padre.
Bisogna sempre
avere come principio il “Tu”: Dio è Colui che ci fa, Dio è Colui che ci pensa,
Dio è Colui che inizia, Lui è Colui che sta formandoci in tutto.
Ogni giorno
non siamo noi a fare e a farci, ma è Dio che fa noi e dobbiamo portare sempre
questo rapporto col Principio.
Dio è il Tu
che forma il nostro io, ogni giorno parla a noi e parlando a noi fa essere noi.
Mantenere la
consapevolezza di questo rapporto è la condizione per potere ascoltare Cristo.
Poi abbiamo il
rapporto d’intelligenza delle Parole di Cristo.
Si diventa capaci
di dimorare nella casa del Padre in quanto si mantengono questi due rapporti.
Se c’è solo il
secondo rapporto abbiamo una interpretazione umana delle Parole di Cristo o un
non bisogno di capire le sue Parole.
Questo
c’impedisce di capire che il suo linguaggio è rivelazione delle cose del Padre.
E fintanto che
Lui non rivela a noi le cose del Padre, noi non passiamo dalla situazione di
servo alla situazione di figlio.
Questo ci
aiuta ancora meglio a capire cosa vuole dire “mangiare la sua carne e bere il
suo sangue”.
Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in
lui. Gv 6 Vs 56 Sesto
tema.
Titolo: Rapporto di dipendenza e rapporto di intelligenza. II
Argomenti: Le condizioni per dimorare
– Il problema di capire la Parola – Dio è il TU che parlando a me mi fa essere
– La dipendenza da Dio – La fatica di pensare – Dio prende su di Sé il nostro
male – L’interpretazione della Parola – La veglia – La mano di Dio -
10/ Marzo /1981
Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in
lui. Gv 6 Vs 56 Ottavo
tema.
Titolo: Come
si esce dalla dimora di Dio. II
Argomenti: Far dipendere da Dio
– La partecipazione consapevole – Azione e contemplazione – La fame di
conoscere – L’assenza ci fa pensare – L’amore è desiderio di presenza –
Comprendere il dialogo di Dio con noi – L’incontro con l’operare di Dio –
Vedere il Regno di Dio – In Dio non c’è banalità – Dio parla con noi in tutto –
L’universo -
17/ Marzo /1981
Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Gv 6 Vs 56 Nono tema.
Titolo: Il rischio del diluvio. I
Argomenti: Rapporto
di dipendenza e di intelligenza – Dio principio e fine di tutto – Costruire
sulla sabbia e sulla roccia – La tragedia di ogni uomo – Capire le opere di Dio
– La molteplicità che entra in noi -
22/ Marzo /1981
Dio non ama
illuderci.
Dio ci propone
il sogno, affinché noi abbiamo a realizzarlo, ce lo indica e ci dà la
possibilità di attuarlo, però c’è anche la possibilità di fallire.
Abbiamo visto
la volta scorsa che la via è quella di mangiare la sua carne e bere il suo
sangue, per potere dimorare nella casa di Dio.
Mangiare la
sua carne, vuole dire assimilare la sua incarnazione, nutrirci di essa.
Bere il suo
sangue vuole dire scoprire la responsabilità personale che noi abbiamo verso la
sua morte in croce.
E per fare
questo abbiamo visto che è necessario un rapporto di dipendenza ed un rapporto
d’intelligenza.
Questi
rapporti non vanno scomposti, il nostro io scompone ma allora non si entra.
Si entra solo
in quanto si mantiene un rapporto di dipendenza in tutto da Dio, infatti dice
Dio: “Io sono il Principio”, affinché noi lo abbiamo ad avere come principio
nostro.
Ma dicendo:
“Io sono il Principio”, ce lo dice in senso assoluto.
Quindi non c’è
niente di cui Lui non sia principio.
La sua parola
è una parola assoluta ed eterna, universale.
Quindi in
tutto ciò che vediamo, tocchiamo o cerchiamo, la parola di Dio rimane sempre:
“Io sono il Principio”.
Cioè: “Io sono
principio di questo che ti accade, di questa notizia, di questo fatto che ti
accade”.
Cioè è Lui
l’operatore di tutto.
Mantenere la
consapevolezza di questo Principio, vuol dire mantenersi nel rapporto di
dipendenza.
Cioè di
considerarci sempre come figli, come opera di Dio in tutto.
Dio è Colui
che parla con te e allora mantieni sempre questo rapporto, questa
consapevolezza che Dio sta parlando con te, questo è il rapporto di dipendenza:
Lui parla, tu sei colui che ascolta.
Però Dio dice
che Lui è il principio ma anche il fine.
Quindi Lui ci
propone un rapporto di Dipendenza ma ci propone anche Sé come fine e qui ci
chiede un rapporto d’intelligenza.
Cioè tutto
quello che Lui fa a te, tu lo devi capire in Dio.
Se noi
scomponiamo questi due rapporti non possiamo restare nel Regno di Dio.
Quando ci
fermiamo al pensiero del nostro io, senza tenere presente Dio, si opera in noi
la scomposizione e allora il rapporto di dipendenza, diventa un rapporto senza
più bisogno d’intelligenza.
E allora ci
limitiamo alle regole, ai doveri, alle leggi ma non sentiamo più il bisogno di
capire, non vediamo più Dio come nostro fine.
E il rapporto
d’intelligenza, cioè il nostro capire, non lo facciamo dipendere da Dio.
Cioè cerchiamo
di capire le cose, senza farle dipendere da Dio.
Rimane ancora
da vedere la conclusione, il fine di tutto questo.
La fine di
questa scomposizione è il diluvio.
Gesù lo
accenna in Matteo nel capitolo settimo: “Chi ascolta le mie parole e le attua,
sarà simile ad un uomo saggio il quale ha edificato la sua casa sulla pietra,
vennero venti e inondazioni ma la sua casa non crollò, perché era fondata sulla
roccia, ma chi ascolta le mie parole e non le fa (capirle in Dio), sarà simile
all’uomo stolto, il quale edificò la sua casa sulla sabbia, cadde la pioggia,
soffiarono i venti e la sua casa crollò e grande fu la sua rovina”.
Il Signore ci
presenta la possibilità di questo diluvio nella vita dell’uomo che gli porta
via tutto.
D’altronde se
c’è il diluvio tra le opere di Dio e se tutto è segno di Dio, questo è segno
per la vita di ognuno di noi.
Dio non ha
fatto le cose per scriverne un romanzo, Dio in tutto ciò che ha operato e opera
per noi scrive delle lezioni personali per noi.
In quanto tra
tutte le lezioni di Dio anche la lezione del diluvio, è perché questa lezione
noi la dobbiamo contemplare e la dobbiamo capire.
Cioè dobbiamo
accorgerci quando noi ci stiamo avviando verso questo diluvio e quali sono i
segni di questo diluvio, che cosa è questo diluvio che minaccia le nostre dimore
quando queste non sono edificate sulla roccia, cioè sulla sua Parola.
Dobbiamo
sempre tenere presente che Dio è Colui che parla in tutto a noi.
In quanto
parla a noi, parla per farci intendere qualcosa.
Madre Teresa
dice che Dio opera per farci capire qualcosa ma noi non riusciamo a capire.
Questa è la
tragedia di ogni uomo, Dio opera continuamente dei segni per noi e noi non
riusciamo a capirli.
Tutto quello
che Dio opera, lo opera per inserire noi nella sua dimora, per portarci a
conoscere Lui.
Allora tutte
le cose arrivano a noi e sono annunci, sono dati che Dio presenta a noi e se
noi li riportiamo in Lui, possiamo conoscere Lui.
Lui attraverso
tutte le sue opere, significa qualcosa di Sé a noi.
Però ogni
Parola, ogni Opera di Dio, in quanto arriva a noi, essendo segno, richiede da
noi di essere raccolta con attenzione in Dio.
Non solo va
raccolta e custodita ma richiede da noi questo interesse per capirla
nell’intenzione di Colui che l’ha fatta arrivare a noi.
E Dio parla a
noi, per rivelarci qualcosa di Sé, ma è ancora Lui Colui che ce lo rivela,
questo qualcosa, se noi raccogliamo.
Se noi
raccogliamo in Dio quello che Dio ci manda e cerchiamo d’intelligerlo,
d’intenderlo in Lui, allora costruiamo la nostra dimora in Dio.
Ed è una
dimora eterna, perché Lui non muta.
E diventa la
nostra casa, perché noi abitiamo in ciò che edifichiamo giorno dopo giorno.
Anche senza
accorgercene, noi ogni giorno tiriamo su un edificio e diventiamo figli delle
nostre opere, figli di ciò che scegliamo.
Può succedere
che i dati che arrivano a noi da Dio, non siano da noi riportati a Lui e che
restino fermi al pensiero dell’io.
Questi dati di
Dio a noi, suscitano in noi delle impressioni, dei sentimenti e noi non
possiamo ignorare quello che Dio ci manda.
Tant’è vero
che quando vediamo una cosa, non possiamo dire di non averla vista.
Noi non siamo
liberi di rifiutare i dati di Dio, i segni di Dio che Dio ci fa arrivare a noi.
E in tutti i
segni che Dio fa arrivare a noi, ci sono delle proposte di conoscenza di Lui
rivolte a noi, quindi proposte di dimora in Lui.
Però noi non
possiamo ignorare tutto quello che Dio ci fa arrivare.
Questa sera
dobbiamo approfondire, se Dio vuole, quali sono le conseguenze di questi dati
di Dio che arrivano a noi e che noi non possiamo ignorare.
Noi possiamo
raccoglierli in Dio ed intenderli, allora entriamo nella salvezza, unifichiamo
le cose in Dio.
E più
unifichiamo in Dio, più diventiamo intelligenti nelle cose di Dio, perché
quanto più uno conosce Dio che è operatore di tutto, tanto più diventa capace
d’intendere le opere di Dio.
E allora
andiamo verso un crescendo, sempre più intenso, fino alla capacità d’intendere
tutte le opere di Dio, infatti lo Spirito di Verità “Vi condurrà a vedere tutta
la Verità”, e nella Verità totale si dimora in tutto.
Perché non c’è
più niente che ci possa portare via.
Perché in
tutto noi vediamo Dio che parla con noi.
Ma quando noi
vediamo Dio che parla con noi in tutto, non c’è più niente che ci possa portare
via e allora noi abitiamo eternamente nella casa di Dio: “Affinché dove Io sono
siate anche voi”.
Ma questa è
una conseguenza dell’avere tanto raccolto in Dio.
Raccogliere
che è effetto di questi due rapporti: rapporto di dipendenza (accettare tutto
da Dio) e rapporto d’intelligenza (capire i segni di Dio).
La conclusione
è dimorare eternamente con Dio.
Non si può
dimorare con Dio, senza questo apporto personale da parte nostra.
E adesso
vediamo quali sono le conseguenze del non riportare tutto a Dio.
Tutto quello
che arriva a noi, in quanto arriva a noi, arriva da Dio, Dio è superiore a noi,
ed in quanto è superiore a noi non può essere da noi smentito, anche se non è
intelletto.
Per cui tutti
i fatti, i segni, le parole che Dio fa giungere a noi, non possono essere
smentite da noi anche se non sono capite, per capirle bisogna raccogliere in
Dio e Dio è Colui che illumina le sue parole e ce le fa capire.
E se ce le fa
capire, ci fa entrare in casa sua.
Se invece le
parole di Dio non sono capite in quanto non raccolte in Dio ma fermate all’io,
siccome non possono essere dimenticate, si accumulano in noi senza però essere
capite e iniziano quindi a formare in noi una molteplicità di dati,
d’impressioni, di conoscenze non ordinate in una unità.
L’unità è solo
in Dio.
Allora noi viviamo
d’impressioni, di sentimenti ma viviamo anche di regole e di leggi ma una
divisa dall’altra.
Abbiamo una
molteplicità che entra in noi, che da noi non può essere scacciata e che ci fa
dipendenti suoi.
Per cui se noi
le cose le raccogliamo in Dio, queste ci fanno dimorare in Dio, ma se non le
raccogliamo in Dio, queste ci fanno suoi dipendenti.
Quindi
dimorano in noi ma dimorano in noi come padroni.
Allora tutte
le cose che vengono da Dio sono degli ottimi servitori per portarci a Dio, ma
se noi non le portiamo a Dio, sono delle pessime padrone, perché dominano nella
nostra vita.
Sono pessime
padrone, perché le cose che arrivano a noi non sono luce, sono effetti che
hanno bisogno della Luce.
La Luce è in
Dio, se noi raccogliamo in Dio le cose si illuminano e quando s’illuminano
c’illuminano e ci fanno vedere.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in
lui. Gv 6 Vs 56 Decimo
tema.
Titolo: Il rischio del diluvio. II
Argomenti: Dimorare in Cristo – Le
crescita di informazioni non raccolte in
Dio e la diminuzione della capacità di capire – Passione senza intelligenza –
Intelligenza senza dipendenza – Il bisogno di capire – L’intelligenza di Dio –
La fine dei segni – La fede – Fermarsi alle conoscenze relative all’io – La verità
e la menzogna – Conoscenza e volontà – La stanza vuota – Possesso e fuga -
23/ Marzo /1981
Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in
lui. Gv 6 Vs 56
Titolo: Riassunto I
Argomenti: Dimora dimorante – Il
mondo che entra in noi – Rapporto di dipendenza e d’intelligenza – L’amore è
intelligenza – Ricerca del pensiero dell’amato – Giustificare solo in Dio – La sicurezza
di Dio e i dubbi della creatura – L’arca e il diluvio – Il bisogno di capire – Anticipare
i tempi – La Parola precede la Realtà -
29/ Marzo /1981
Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in
lui. Gv 6 Vs 56
Titolo: Riassunto II
Argomenti: Fare conto su Dio – Il
male dell’uomo – L’ordine di Dio –La fede è tenere presente il Fine – Il significato
dei segni – L’attrazione del Padre e la fede in Cristo – Fede e conoscenza – Coincidenza
con il Pensiero di Dio – Superfice e profondità – La consapevolezza progressiva
della morte – L’inganno della vita - Simone
de Beauvoir – L’infinitesimo, asintoto – Caos iniziale e finale – L’intelligenza
umana e divina -
31/ Marzo /1981
Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in
lui. Gv 6 Vs 56 Riassunto
III
Riassunto III
Argomenti: Dio non abita in case
costruite da mano di uomo – Roccia e sabbia – La casa è il luogo dove si vede
la volontà del padrone – Rapporto di dipendenza e rapporto d’intelligenza – La stanza
vuota – La necessità di capire – L’esistente e l’ambiente – La distrazione –
Lodare Dio -
5/ Aprile/1981 Vigna
Siamo giunti
alla conclusione del versetto 58.
L’argomento di
oggi è il riassunto di tutto quello che il Signore ci ha dato la possibilità di
meditare e di approfondire attorno a questo versetto.
Versetto che è
tutto incentrato sulla dimora di Dio in noi e sulla dimora di noi in Dio.
Qui Gesù ci fa
capire come mangiare la sua carne e bere il suo sangue sia la condizione per
potere dimorare.
Ma l’argomento
centrale è questa proposta offerta a ogni uomo di dimorare con Lui.
Che cosa è
questa dimora di Dio con gli uomini?
E ancora prima
cosa non è la dimora di Dio con gli uomini.
Teniamo
presente che la Parola di Dio ci dice che Dio si fa conoscere nella sua dimora,
da questo possiamo conoscere come l’abitare nella dimora di Dio sia importante
per noi.
Poiché Dio si
fa conoscere solo nella sua dimora.
E poi abbiamo
visto quali sono le condizioni per potere dimorare nella casa di Dio.
E anche qui la
Parola di Dio ci aiuta dicendoci che i servi non dimorano per sempre nella
casa, solo i figli vi restano sempre.
E poi come si
edifica questa casa.
Siccome
possiamo crearci molta confusione con i nostri stessi pensieri, teniamo
presente che la casa di Dio non si costruisce con la mono dell’uomo.
La Parola di
Dio dice che Dio non abita in case fatte da mano di uomo, ma non si costruisce
nemmeno con i sentimenti degli uomini, con le virtù degli uomini, con le azioni
degli uomini.
Non si
costruisce nemmeno con i pensieri degli uomini, tutti i pensieri degli uomini
non possono costruire la casa di Dio.
L’uomo con
tutti i suoi sforzi, non riesce a dimorare, ad abitare nella casa di Dio.
La casa di Dio
è Dio che la costruisce, però per ognuno di noi, non la costruisce senza di
noi.
Cioè Dio abita
nella sua casa e Dio edifica la sua casa, tutto è casa di Dio e tutto è regno
di Dio, però se la costruisce senza di noi, noi restiamo fuori.
Quando abbiamo
parlato della casa, abbiamo visto che la casa è il luogo in cui tutte le cose
sono disposte secondo l’intenzione di Colui che vi abita.
Là, dove le
cose non sono secondo i nostri pensieri, i nostri desideri, le nostre
intenzioni, noi non ci troviamo a casa nostra, ci troviamo in casa d’altri.
Dio non abita
in case costruite da mano di uomo, è Lui il costruttore della sua casa ma Lui
non la costruisce senza la nostra partecipazione e senza la nostra
partecipazione noi restiamo fuori.
Abbiamo anche
parlato del rischio che si corre, quando la casa non è costruita sulla roccia,
arriva il diluvio e c’è un diluvio nella vita di ogni uomo che annulla tutte le
nostre costruzioni, tutti i luoghi in cui ci riposiamo o su cui abbiamo fatto
conto nella nostra vita o per la nostra pace.
Ma c’è questo
diluvio.
Se la casa è
costruita da Dio e su Dio, non c’è nessun diluvio che possa abbatterla, ma se
non è costruita su questa roccia, tutto, ad un certo momento contribuisce a
distruggerla.
Allora noi
restiamo senza casa, costretti a vagare da una cosa all’altra, senza più un
luogo per la nostra pace.
A un certo
momento noi possiamo renderci insopportabile la casa di Dio e siamo costretti a
fuggire.
Bisogna tenere
presente quei due rapporti essenziali attraverso cui si entra: dipendenza e
intelligenza.
Siccome la
costruzione è di Dio, bisogna mantenersi sempre dipendenti da Dio, è opera di
Dio, quindi dipendenza da Dio, però bisogna anche che ci sia il desiderio di
capire.
La casa di Dio
è una casa di sapienza.
Solo nella
misura in cui intendiamo le cose di Dio, possiamo dimorare con Dio ma là, dove
non intendiamo non possiamo restare a lungo.
Per cui la fede
che non è intelligenza ci è data affinché ci affrettiamo ad intendere,
altrimenti non arriviamo ad intendere ma perdiamo anche la fede.
La fede è
soltanto un supporto che ci viene dato, affinché ci affrettiamo ad intendere
quello che ci è annunciato.
Ma soltanto
intendendo si può dimorare.
In questo
bisogna essere molto attenti, perché noi il più delle volte ci accontentiamo o
di credere o dei nostri sentimenti e ci svuotiamo l’anima.
A un certo
momento la nostra anima non può più dimorare perché è vuota, vuota di Dio.
La stanza vuota
non può stare: o si riempi di conoscenza di Dio o si riempie di demoni.
La stanza, la
casa deve riempirsi di luce, di sapienza, di conoscenza di Dio.
O si riempie di
quello o si riempie di altre nozioni che sono demoni molteplici, sono gli
inquilini che entrano in casa nostra e ci dominano, ci comandano e non siamo
liberi di farli uscire.
Ci siamo fermati
bene sulla dimora, per capire cosa volesse dire: “Chi mangia la mia carne e
beve il mio sangue”.
Perché soltanto
assimilando, capendo le cose che Dio incarna per noi e che quindi ci presenta
da mangiare, d’assimilare, soltanto preoccupandoci di capirle dimoriamo, in
caso diverso no.
Quindi non
basta il sentimento, non basta moltiplicare le nostre parole e affermare: “Questo
è il tempio di Dio” per dimorare in Dio.
Le nostre
parole non ci fanno entrare.
È la Parola che
viene da Dio che mi fa entrare.
Cioè se Dio
parla a noi ci fa entrare, ma noi con tutte le nostre parole non entriamo, per
questo la casa di Dio non è opera di mano o di parola di uomo.
La dimora di
Dio discende dall’alto, però non si costruisce senza di noi.
Solo nella
misura in cui noi intendiamo le cose di Dio, possiamo dimorare nelle cose di
Dio.
Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in
lui. Gv 6 Vs 56
Riassunto IV
Argomenti: L’inferno:
impossibilità di conoscere Dio – L’inganno del mondo – La dimora di Dio – La componente
soggettiva della conoscenza – L’uomo spirituale – Il mutare dei segni e l’immutabilità
dello Spirito – L’ascolto e il capire – Dio non abita in tempi costruiti da
mano di uomo – La soddisfazione del mondo – La mentalità -
7/ Aprile /1981