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Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Gv 6 Vs 55 Primo tema.


Titolo: Il cibo e la fame.


Argomenti: La vera vita è comunione con Dio – Conoscenza e comunione – La giustizia essenziale – Alimentare il desiderio di Dio – La carne di Cristo – Coincidenza d’intenzioni – Restare con Dio – Le presenze fisiche – La presenza storica di Cristo – Il sangue di Cristo – Spezzare il Pane -


 

8/ Febbraio /1981


Gesù qui parla di cibo e di bevanda.

Cibo è bevanda sono alimenti e si parla di alimento in quanto c’è nutrimento o per lo meno mantenimento di vita.

L’alimento è necessario alle creature per restare in vita e per incrementare la vita.

Senza nutrimento o con un nutrimento inadeguato, la creatura non si sviluppa, non cresce nella sua vita.

Teniamo presente che la vita ci è data per crescere in vita eterna.

Quindi la vita che noi abbiamo in noi è un seme che si deve sviluppare in vita eterna, in conoscenza di Dio.

E per questo c’è bisogno di trovare l’alimento adeguato per questa vita.

Per poter cogliere quale sia questo vero cibo e vera bevanda che porta l’uomo alla vita eterna, dobbiamo tenere presente che il vero cibo è una conseguenza di quella che noi riteniamo vera vita.

A seconda di quello che noi riteniamo vera vita, il cibo è uno piuttosto che l’altro.

Chi ritiene sua vita il mondo, riterrà suo vero cibo quello che incrementa la sua vita nel mondo.

Vero cibo è ciò che può alimentare l’intenzione di vita che portiamo in noi.

Prima di potere riconoscere e individuare quale sia il vero cibo e la vera bevanda di cui parla Gesù, dobbiamo cercare di capire in che cosa consista la vera vita.

La vera vita è comunione con Dio.

E allora vero cibo è quello che ci mantiene in comunione con Dio ed è quello che ci incrementa in questa comunione.

La comunione con Dio viene a noi dalla conoscenza di Dio.

Allora vero cibo è quello che in noi mantiene la conoscenza di Dio e l’aumenta, fino alla vita eterna che è conoscere Dio come vero Dio, fino a fare di Dio tutta la nostra vita.

Quindi se riteniamo che la vera vita consista nel conoscere Dio, abbiamo già tutto un campo delimitato di alimento per questa Vita.

Evidentemente l’alimento è sempre subordinato all’essere in vita.

Un essere che sia morto non può nutrirsi.

La condizione per potere alimentarsi è che ci sia vita in noi.

Comunque se noi teniamo presente che la vita è conoscere Dio, perché dalla conoscenza di Dio troviamo la nostra comunione con Lui e la comunione è Vita, noi possiamo definire in modo preciso, quale possa essere l’alimento che ci mantiene in questa comunione e che possa incrementare questa comunione.

Quando si parla di cibo, si presuppone che ci sia un inizio di vita, che l’essere sia vivo, bisogna quindi presupporre che ci sia in noi un inizio di comunione con Dio.

Dio creandoci ci ha fatti uniti a Sé.

Le nostre anime sono unite a Dio e noi abbiamo un inizio di comunione.

E per questo inizio di comunione, in noi c’è desiderio di Verità che è desiderio di Dio.

Questa è la premessa, perché se non c’è la vita in noi, noi non possiamo nutrirci.

Se non c’è un inizio di comunione in noi, di conoscenza in noi, noi non possiamo nutrirci.

Però ogni dono di Dio richiede una certa adesione da parte nostra.

Quindi Dio ci ha creati uniti a Sé, ma richiede da parte nostra, un atto di adesione a questa vita.

E l’atto di adesione è quella famosa giustizia attraverso la quale noi mettiamo Dio al centro della nostra vita e dei nostri pensieri.

Se noi rispondiamo al primo atto di comunione di Dio con noi, con questa adesione, noi siamo in vita.

Abbiamo un seme di vita.

Questo seme di vita si caratterizza in questo: siamo attratti dal Padre.

L’attrazione del Padre in noi è desiderio di Verità, è fame, ed è la prima condizione per incominciare ad alimentarci.

Il principio dell’alimentazione sta nella fame.

La fame vera, sta nel desiderio di Dio.

Ma il desiderio di Dio, per portarlo consapevolmente in noi, richiede da parte nostra questo atto di giustizia dentro di noi che sta nel mettere Dio al di sopra di tutto, nell’avere interesse per Dio al di sopra di tutto.

Fatto questo, incomincia in noi il desiderio che ci conduce a cercare il pane necessario per mantenere e incrementare questo desiderio.

Se il desiderio non è alimentato si spegne poco per volta.

Se noi portiamo il desiderio di Dio ma poi nella nostra vita praticamente viviamo senza preoccuparci di alimentare questo desiderio, tutto quello con cui veniamo a contatto fa entrare in noi altri desideri i quali, poco per volta spengono quel desiderio iniziale di Dio che portiamo in noi.

Perché tutte le cose con cui veniamo a contatto, se noi non le vediamo in Dio, si trasformano in desiderio di esse in noi.

E questi desideri molteplici in noi, esauriscono il desiderio della nostra anima.

Perché ogni cosa, formando in noi un desiderio di sé, moltiplica i desideri della nostra anima che le tolgono la potenzialità della fame di Dio.

È molto importante per noi scoprire l’importanza di questa alimentazione del desiderio di Dio.

Per cui abbiamo necessità in continuazione di confermare la validità di questo desiderio di Dio.

L’importanza di avere sempre presente in noi questa essenzialità qui, questa fame che per essere portata avanti deve essere alimentata.

Il primo fattore di alimentazione dev’essere avere la vita in noi.

Ma non basta avere la vita in noi, avere la fame, avere il desiderio di Dio per trovare il Pane che alimenti questa fame che ci faccia crescere in comunione e in Vita.

Non basta il desiderio per trovare il pane.

La fame è necessaria, però non è sufficiente.

Bisogna avere la possibilità di scoprire il pane che alimenti questa fame.

Che cosa si richiede perché possiamo scoprire il pane che possa incrementare questo?

Qui ci avviciniamo al problema della carne del Cristo.

La carne del Cristo che è la presentazione sensibile per noi di Colui che desideriamo dentro di noi.

Trovare vuole dire avere la possibilità di costatare sensibilmente per noi, quell’alimento che deve corrispondere al nostro elemento interiore.

Cioè noi dobbiamo, per avere la possibilità di trovare il Pane, di scoprire sensibilmente attorno a noi, quel dato, quella presenza in cui ci sia la stessa volontà di quello che portiamo dentro di noi.

Lì troviamo l’alimento.

Se in noi portiamo la volontà di conoscere Dio, se attorno a noi sensibilmente possiamo trovare qualcosa che risponda alla nostra volontà, quindi che offra a noi degli elementi per incrementare questo desiderio di Dio in noi, questo sarà il nostro vero pane.

Però è essenziale che ci sia un dato sensibile e che in questo dato sensibile ci sia la presenza di quella stessa volontà che portiamo dentro di noi.


Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Gv 6 Vs 55 Secondo tema.


Titolo: Il Cibo da mangiare.


Argomenti: Il tradimento di Pietro – L’iniziativa di Dio – L’umanità di Cristo – La causa dei nostri disordini – L’instabilità – Nutrirsi di Dio – Il cibo adeguato – La carne di Cristo – Crescere nella comunione – La responsabilità nelle Croce -


 

11/ Febbraio /1981



Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Gv 6 Vs 55 Terzo tema.


Titolo: L’assimilazione.


Argomenti: Il cibo è in relazione al fine – Adamo – Il vero cibo per la vera vita – Le condizioni per alimentarci – La presenza sensibile del Cibo – Il mezzo e il fine – Nutrirci di Dio – La capacità di assimilare – La funzione sviluppa l’organo – L’imitazione di Cristo -


 

15/ Febbraio /1981


Gesù pone questo vero cibo e vera bevanda, in contrapposizione a tanti cibi e tante bevande che noi possiamo utilizzare per alimentare la nostra vita.

Perché dicendo “vero” mette in discussione tutti gli altri cibi.

Non c’è solo l’aspetto negativo ma c’è anche l’aspetto positivo della proposta.

Il cibo è una proposta di alimentazione e quindi c’impegniamo ad assimilare la sua carne e il suo sangue.

Gli alimenti sono mezzi di vita, quindi sono rapportati alla vita, al concetto di vita che noi perseguiamo.

Il mezzo è tale ed è valido, in quanto è in relazione ad un certo fine.

La validità del mezzo è sempre in relazione al fine che perseguiamo.

Per cui a seconda del nostro fine personale, si determina in noi la capacità di scelta verso quei mezzi adeguati per il fine.

Il problema sta nel capire questo cibo che Dio ci propone come vero cibo e questo sangue che Dio ci propone come vera bevanda.

E quand’è che noi capiremo questo?

Fintanto che non riconosciamo la validità del cibo che Gesù ci propone, all’atto pratico siamo sempre portati verso altri cibi, pur dicendo di avere fede.

Perché quello che determina in noi la scelta di cibo e bevanda è in relazione a ciò che noi riteniamo nostra vera vita.

Qui si rivela la nostra responsabilità circa ciò che noi riteniamo sia nostra vera vita, perché questo determina la scelta del cibo.

Ognono si alimenta di quei cibi in rapporto a ciò che ritiene sua vita.

Per cui ad un certo momento nella nostra vita c’è una responsabilità in ciò di cui noi ci alimentiamo.

E la responsabilità, sta in ciò che noi abbiamo scelto come fine della nostra vita.

Noi non possiamo scegliere qualcosa come fine della nostra vita, senza una scelta nostra personale, quindi il cibo di cui ci nutriamo è in relazione al nostro fine ed alle nostre scelte.

Noi dovremmo chiederci come mai Dio non ha posto dinanzi a noi un unico cibo: il vero cibo.

Perché abbiamo la possibilità di sbagliare?

Noi abbiamo la possibilità di sbagliare nell’alimentazione, perché abbiamo la possibilità di sbagliare nel fine.

Ciò nella scelta di ciò che riteniamo fine della nostra vita.

A seconda di ciò che noi scegliamo come fine di vita, automaticamente ci orientiamo verso una certa gamma di alimentazione.

Perché l’alimento è ciò che ci mantiene, non soltanto in vita ma è ciò che incrementa, aumenta, cresce in noi la vita.

Di qui l’importanza di chiarire con consapevolezza quale sia la vera vita per adeguarci a questa.

Nel paradiso terrestre Dio pose tutti gli alberi, i frutti, le erbe come alimento, perché tutto doveva servire ad Adamo per crescere nella conoscenza e nella comunione con Dio, per crescere fino alla vita eterna.

Poi gli elementi si sono diversificati e sono diventati motivo d’intossicazione, di avvelenamento della vita.

Ma questo è avvenuto quando in Adamo ci fu una deviazione dal fine della vita.

Anziché avere davanti a sé, come unico fine Dio, Adamo ha cominciato ad avere davanti a sé altri fini: il pensiero di se stesso, il pensiero di “sarete come Dio”, e allora la terra ha cominciato a produrre tribolazioni, cibi avariati, velenosi che non erano più nell’ordine della disposizione di Dio.

Dio all’inizio ha fatto tutte le cose bene, tutte le cose dovevano alimentare noi nell’unica cosa necessaria, per farci crescere nell’unica vita: la comunione con Dio.

Abbiamo visto che per poterci alimentare dobbiamo prima di tutto avere la vita in noi e per poterci alimentare del vero cibo, noi dobbiamo avere in noi prima di tutto la vera vita.

Perché un essere che non è vivo non può nutrirsi.

La condizione prima è avere in noi la consapevolezza del fine della nostra vita.

Fintanto che in noi non c’è questa consapevolezza che dobbiamo vivere per conoscere Dio, siamo impediti di riconoscere il nostro vero cibo e siamo deviati verso altri cibi che finioscono con l’avvelenare la nostra vita e che ci portano via dalla conoscenza e dalla comunione con Dio.

Però non basta avere la vita per poterci alimentare.

Avere la vita in noi è la condizione essenziale, però bisogna anche trovare il pane.

Avere la possibilità di vedere il pane è una cosa ma questo non vuol dire trovare il pane.

Per cui si richiede da parte nostra l’orientamento, si richiede da parte nostra la consapevolezza del fine per cui esistiamo e per cui dobbiamo vivere, per avere la capacità di riconoscere il vero cibo.

Però dobbiamo avere la presenza di questo cibo per poterci alimentare, in caso diverso noi possiamo morire di fame, pur essendo orientati alla vera vita.

E poi non solo, non basta avere la vita in noi, non basta vedere il vero cibo, bisogna avere la capacità di assimilarlo.

Sono questi i tre fattori essenziali che determinano l’individuazione del vero cibo e della vera bevanda e danno a noi la possibilità di assimilare.

Non basta che Dio presenti a noi il vero cibo e la vera bevanda se in noi non c’è questa capacità.

La volta scorsa abbiamo detto che per potere vedere il cibo, dobbiamo avere la presenza sensibile di esso.

Il cibo è un mezzo e si parla di mezzo in quanto unisce noi al fine.

Unisce noi, nella situazione di povertà, di lontananza in cui ci troviamo e ci collega, alimentandoci nella comunione, con il nostro fine.

Quindi il cibo deve essere un dato sensibile.

Il fine non è un dato sensibile.

Il fine nostro è un dato che ci trascende a cui noi tendiamo ed in quanto tendiamo non lo possediamo ancora.

Per avere la vita in noi, noi dobbiamo tendere verso la conoscenza di Dio e questa è la premessa per poterci alimentare e riconoscere il cibo, però non avendo noi la conoscenza di Dio cioè la vita vera, affinché non veniamo meno per la strada è necessaria la presenza di qualcosa che dia a noi la possibilità di camminare fino alla meta, nella quale noi ci troveremo con la Presenza del Fine stesso.

E nella Presenza il Fine diventa Cibo, Vita vera.

E a questo punto la conoscenza diventa Vera Vita, ciò di cui noi ci possiamo nutrire.

Noi siamo destinati a nutrirci personalmente di Dio.

Noi per nutrirci personalmente di Dio, dobbiamo giungere alla Presenza di Dio.

Fintanto che non giungiamo a questa presenza personale di Dio, noi abbiamo bisogno di alimentarci con un dato presente.

Quindi abbiamo Dio che crea noi per un fine che ci trascende: Dio crea Adamo con il fine della vita eterna, della conoscenza di Dio, un fine che lo trascende, però mette a disposizione di Adamo tutto un giardino terrestre che deve servirgli di alimento, quindi di cibo per nutrirsi durante il cammino, fino a giungere al punto in cui avrà la Presenza di Dio e potrà alimentarsi direttamente da Questa.

Abbiamo questi tre elementi: Dio che crea, la nostra anima destinata a questo fine ed un intermediario, il cibo, la creazione di Dio, presentata in modo tale da dare la possibilità all’anima che desidera conoscere Dio, di trarre da questi dati presenti dei pensieri per avanzare nella conoscenza di Dio.

Però abbiamo anche detto che bisogna avere la capacità di assimilare il cibo.

La capacità di assimilare è come la capacità d’intendere un quadro davanti ai nostri occhi, dipende da quello che portiamo dentro di noi.

La capacità d’assimilazione è direttamente proporzionale alla vita che portiamo in noi.

Non alla vita come meta ma alla vita che abbiamo già assimilato, dal pane che abbiamo già assimilato.

Nella misura in cui abbiamo mangiato, noi diventiamo capaci di mangiare.

Meno ci nutriamo e meno siamo capaci di nutrirci.

Più ci nutriamo e più abbiamo la possibilità di nutrirci.

Nutrirci vuole dire crescere in comunione con Dio.

Arriva il momento in cui diventiamo capaci di alimentarci di tutto.

Per poterci alimentare di tutto dobbiamo vedere la presenza di quello che abbiamo in noi, davanti a noi.

Bisogna che ci sia questa coincidenza, questa collimazione tra quello che portiamo dentro di noi e quello che ci viene offerto davanti a noi, allora qui abbiamo la possibilità di assimilare.

La possibilità di assimilare è data dal nostro interno, da quello che abbiamo accumulato dentro di noi.

“A chi ha sarà dato”, ecco a chi ha mangiato sarà dato da mangiare, a chi avrà assimilato sarà dato da assimilare.

Ma “A chi non ha”, anche se si trovasse di fronte a una infinità di cibi, non avrà la possibilità di assimilare.

Ecco per cui abbiamo un dato personale, per cui la vita con Dio diventa un fatto essenzialmente personale.

Perché richiede l’avere mangiato personalmente.

Più uno si nutre di cose di Dio e più diventa capace di nutrirsi di cose di Dio.

A un certo punto questa reazione a catena diventa infinita e diventa una capacità, una possibilità di vita infinita.


Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Gv 6 Vs 55 Quarto tema.


Titolo: Il Sangue e la colpa.


Argomenti: La colpa di sapere – Il Fine è il Principio – Pensare e conoscere Dio – Parole e spirito – La nostra responsabilità nel sangue di Cristo – Cosa vuol dire bere? – Il vitello d’oro – L’unione con Cristo – Il diluvio di sangue – Scoprire il nostro delitto – La differenza tra il bere il sangue e mangiare la carne -


 

18/ Febbraio /1981


Non bastano le parole, le parole devono corrispondere a quello che portiamo in noi.

Ci deve essere consapevolezza di quello che diciamo.

Noi abbiamo fini diversi dalla conoscenza di Dio e questi fini diversi ci portano a scegliere mezzi che non sono il Cibo di Dio.

Quando si parla di fine si parla di corrispondenza, di adesione a quello come fine.

Dio è il creatore? Ma allora tu lo devi ritenere in tutto il creatore. Tu devi riferire tutto a Dio, devi fare conto in tutto su Dio, devi ricevere tutto da Dio e devi riportare tutto a Dio.

Noi possiamo sdoppiare in noi le cose.

Possiamo dire di sapere che Dio è il fine e poi vivere per altro.

Questo sdoppiamento è una frattura che introduciamo dentro di noi.

Per cui il Signore ci dirà: “Tu sapevi”, e noi: “Sì, sapevo”.

“Tu sapevi che Io ero la Vita!” e lì sarà la nostra confusione, perché noi abbiamo ritenuto che la vita fosse altro.

“Tu sapevi che Io ero il creatore e allora perché hai ritenuto altro da Me come creatore?”.

“Tu sapevi che Io ero il Signore e perché nella tua vita hai ritenuto altri signori?”.

Allora lì c’è la confusione dell’anima.

Se uno potesse dire che non lo sapeva, resta giustificato, invece l’anima di fronte alla Verità non può dire di  non sapere.

La creatura sapeva e ha fatto in modo diverso.

Tu sapevi che la strada era quella e perché ne hai presa un altra?

Ci sarebbe da vedere perché noi sapendo, facciamo l’errore.

 

Il Fine va nesso subito, al principio come fine.

Perché è il fine che mi determina l’alimentazione e che mi fa sentire il bisogno d’alimentarmi.

Più mi alimento e più cresco nel fine.

Ma il fine devo metterlo in principio, come prima cosa.

La prima luce è il fine.

Per cui avendo il fine, poi possiamo coordinare la strada, i mezzi per raggiungere il fine ma il fine è la prima cosa che va messa.

Il fine coincide con il principio.

Il fine è il principio.

Dio ha posto Se stesso come fine dell’uomo, quindi come principio della vita dell’uomo.

E l’uomo sapendolo lo deve mettere.

“Tu sapevi che Io ero il Principio e perché non mi hai messo come tuo principio? Tu sapevi che Io ero il Fine, perché non mi hai messo come tuo fine?”.

Sapendolo tu lo devi mettere.

Mettendo Dio come tuo fine, lì viene la possibilità di scegliere la strada e di scegliere tutti i mezzi, quindi anche il cibo, il pane per giungere a quel Fine.

L’alimentazione serve ad avvicinarti al fine ma il fine devi averlo molto presente.

 

Più ci si avvicina al Fine c’è meno possibilità di cadere ma c’è più colpa nel cadere.

Perché alimentandoci noi cresciamo nel fine.

Vuole dire avere il Fine sempre più presente.

Quanto più ci alimentiamo e più il fine si fa vicino.

E quand’è che l’avremo presente?

Quando la vicinanza sarà arrivata al punto tale da vederlo in tutto.

Direi quando tutto il cibo si è trasformato in Fine.

O meglio quando il Fine è divento il nostro cibo.

Noi abbiamo l’esempio del matrimonio: due che si vogliono bene, hanno sempre più desiderio di stare insieme fino a restare insieme in forma stabile col matrimonio.

C’è una tendenza a restare sempre con l’altro che si ama.

Tutto è segno di Dio, Dio ci ha creati con il desiderio di questo fine di Lui.

Quanto più noi coltiviamo questo desiderio, tanto più desideriamo una vita stabilmente con Dio.

E allora andiamo verso questa permanenza, questo restare sempre alla sua Presenza.

Quanto più ci alimentiamo del Pane di Dio, tanto più cresce in noi questo restare con Lui.

In modo da poterlo vedere in tutto.

Noi siamo veramente con Lui, in quanto lo vediamo in tutto.

Perché effettivamente Lui è in tutto.

 

L’astrazione e la difficoltà di Dio sono due cose diverse.

Tu vedi Dio astratto poiché tu vivi per altro da Dio.

Il tuo vero interesse diverso da Dio per te è realtà e Dio diventa astrazione.

Se invece noi impegnamo tutto di noi, sarà anche difficilissimo ma non astratto.

 

Dio lo posso pensare anche senza vedere l’incarnazione del Verbo di Dio ma non posso pensare Dio senza il Verbo di Dio.

 

Perché il Fine cresca in noi va alimentato e Dio ci offre sempre del Pane per crescere in questo fine.

Se noi non lo alimentiamo, noi perdiamo di vista il Fine.

Tutti i doni che ci vengono dati, noi li dobbiamo alimentare, altrimenti li perdiamo.

Le cose non restano con noi senza di noi.

Il fuoco lo accende Dio e ci fa anche vedere dov’è la legna, ma noi dobbiamo portare legna per non lasciarlo spegnere.

 

Più ci alimentiamo e più cresce in noi la visione delle cose secondo Dio e la conoscenza ci salva, ci libera ma questa conoscenza non si forma senza di noi.

 

Una cosa è il lavoro per giungere alla vita, altra cosa è la vita.

Il cibo si mangia con fatica: “Mangerai il tuo Pane con il sudore della fronte”.

Il raccoglimento, il pensare richiede fatica, perché richiede un superamento.

Però la vita è conoscenza.

La vita non è più fatica.

Si conosce con fatica ma quello che si è conosciuto non è più fatica, è gioia.

La Vita è meta.

Noi siamo creati per la Vita eterna.

La gioia viene da ciò che si è compreso.

Più uno cresce e più può cibarsi di cibi sempre più sostanziosi.

All’inizio la creatura si nutre di latte, più cresce e più diventa capace di mangiare altri cibi.

All’ultimo diventa capace di nutrirsi direttamente di Dio.

Ma si comincia con il latte, con il pane spezzato.

Non basta mantenersi in vita, bisogna crescere.

Se non ci nutriamo noi deperiamo, perdiamo la vita e quindi perdiamo anche la capacità di alimentarci.

Se ci alimentiamo custodiamo la vita e la facciamo crescere.

E quanto più cresce, tanto più diventa capace di alimentarsi.

 

Non basta ascoltare le sue Parole, abbiamo lo Spirito e le Parole, però le sue Parole sono qui e il suo Spirito è là.

Bisogna fondere le Parole con lo Spirito, altrimenti le Parole restano soltanto segni.

Se non c’è questo apporto di pensiero personale nostro, per cercare di vedere la Parola nel suo Spirito, o meglio di vedere lo Spirito nella Parola, la Parola non viene assimilata.

L’assimilazione è opera del pensiero, poiché Dio è spirito.

“Dio è Spirito e vuole adoratori in Spirito e Verità”.

Dio non vuole dall’uomo sacrifici, lodi, feste e canti, Dio vuole la conoscenza.

La capacità di pensare Dio dipende dall’alimentazione in quanto più ci siamo alimentati e più siamo capaci.

All’inizio non siamo capaci o per lo meno è una fiammella piccolissima.

Perché la capacità ci viene da Dio.

Dio accende il fuoco, cioè s’annuncia, ma la capacità nella creatura è piccolissima.

Tanto più alimenta questo fuoco, tanto più diventa capace, fino a giungere alla capacità di pensare eternamente Dio e di vedere la Presenza di Dio in tutto.

 

Dio vuole adoratori in Spirito e Verità, qui salta fuori il termine vero cibo.

Questo “vero cibo” ha due aspetti, uno rivolto agli altri cibi che evidentemente non sono veri, e poi è proposta, cioè tu ti devi nutrire di questo cibo, “Tu ti devi nutrire della mia carne”.

La sua carne è veramente ciò che dobbiamo assimilare.

Il suo sangue è ciò di cui veramente noi dobbiamo assumerci la responsabilità.

Lui ci presenta la sua incarnazione come ciò di cui dobbiamo preoccuparci di assimilare e ci presenta il suo sangue come ciò di cui dobbiamo sentirci veramente responsabili.

Scoprire la nostra responsabilità nella sua morte è una cosa e assimilare la sua carne è un altra.

Il Verbo di Dio fatto carne si è fatto segno sensibile per noi.

Nel segno sensibile noi abbiamo il Verbo di Dio, cioè la Parola di Dio che arriva a me e Dio mi dice: “Questa Parola è il tuo vero cibo, è ciò con cui devi preoccuparti di alimentare la tua anima”, invece il sangue è ciò di cui dobbiamo sentirci responsabili.

Quando tu scopri che del Suo Sangue versato tu sei responsabile...

Noi diventiamo figli delle nostre opere.

Fintanto che noi non scopriamo che il suo sangue è opera nostra, tra noi e Lui, cioè tra noi e la sua carne c’è una certa distanza, c’è interesse per Lui ma non è un interesse premente su di noi, come l’interesse in ciò che dipende da noi.

È la stessa differenza tra l’essere spettatori di un grave incidente o l’esserne protagonisti.

Perché c’è una distinzione tra bere il suo sangue e mangiare la sua carne.

Ci sono delle cose che richiedono la nostra responsabilità personale, che richiedono una tensione per potere essere assimilati.

Certe stesse parole del Signore, non si possono assimilare, fintanto che noi non scopriamo la nostra responsabilità personale nella sua morte in croce.

Ne sentiamo parlare ma non ce ne rendiamo conto.

La persona che è rimasta bruciata da un incidente, parla sempre un linguaggio diverso da chi solo ne è stato spettatore, cioè ha acquistato una sapienza differente.

 

È logico che c’è il senso di colpa nel sangue di Cristo, perché quel sangue lì sono io che l’ho versato.

La colpa c’è.

L’importante è questo che il suo sangue ci viene presentato come vera bevanda, in termini spirituali è ciò di cui noi dobbiamo assumerci la responsabilità.

Devi arrivare a renderti conto che questo sangue è stato versato per te e per causa tua.

In ogni comunione che è poi la sintesi della messa, si annuncia la morte del Signore fino a quando Lui verrà.

 

Cosa vuole dire “bere”?

Il dissetarsi è già una conseguenza del bere.

C’è il famoso esempio di Mosè che fa bere al popolo il vitello d’oro.

Dio dice di ridurre il vitello d’oro in polvere, di metterlo nell’acqua e di farlo bere a tutto il popolo.

Affinché il popolo si renda conto della sua colpa.

Gli effetti del bere e del mangiare sono diversi.

Bevendo il sangue si è uniti al Cristo.

Perché Cristo diventa nostra opera.

Si resta uniti al Cristo ma si resta uniti a Lui, come Lui opera nostra.

Non come opera di Dio, ma come opera nostra.

Resto unito a un qualcosa fatto da me.

Il bere il sangue di Cristo mi unisce a Cristo,non è che mi salvi, mi può anche dannare, mentre il mangiare la carne di Cristo mi salva.

Noi berremo certamente il sangue di Cristo, a costo di berlo come il popolo ebreo ha bevuto il vitello d’oro.

A un certo momento avremo il diluvio di sangue, saremo costretti, perché tutto l’universo diventa sangue di Cristo sparso e noi saremo costretti a berlo, non potremo farne a meno.

Questo bere il sangue di Cristo ci unisce a Cristo ma quell’unione con Cristo può essere un tormento, come può essere un tormento trovarmi di fronte alla mia vittima, al mio delitto.

È lì che si stabilisce un legame personale con Dio.

Per cui Dio trova il modo di unirsi a noi, magari di restare con noi morto, vittima nostra, perché quella è l’unica possibilità di salvarci ma non è detto che ci salvi.

Con questo noi scopriamo il nostro delitto e non possiamo staccarci dalla nostra vittima.

Non c’è nessun’acqua al mondo che ci possa lavare dal sangue di Cristo.

Noi possiamo essere lavati da quel sangue ma niente ci può lavare da quel sangue.

Il sangue di Cristo stabilisce un unione che per noi è indissolubile, perché l’abbiamo fatta noi quell’unione, è stata opera nostra.

All’ultimo c’è una accelerazione nella ricerca di Dio che è proprio data da questo sangue di Cristo.

È Dio che accelera il tempo attraverso questo rapporto a tu per Tu con noi.

Si richiede entrare in fretta nella conoscenza di Dio altrimenti siamo schiacciati da questo sangue.

Lì abbiamo il sangue che ci lava ma se arriviamo a morire a noi stessi, per mezzo di quel sangue lì.

Bere il sangue di Cristo vuol dire toccare  la mia responsabilità personale della sua morte in croce.

È un’esperienza che si fa sul piano della consapevolezza.

Avendone ricevuto l’annuncio, si è impegnati a prenderne consapevolezza.

Il problema non è risolto qui, tu sai che devi arrivare a questa consapevolezza dell’essere personalmente responsabile della morte di Cristo, non sei ancora giunta però.

A bere il sangue di Cristo arriviamo per costrizione, mentre non arriviamo per costrizione a mangiare la carne di Cristo.

Quel sangue lì noi ce lo beviamo, poiché arriva il momento del diluvio.

Il suo sangue lo beviamo, per cui restiamo uniti al Cristo come opera nostra, anche senza averne assimilata la carne, cioè la parola.

Quindi noi siamo responsabili del sangue di Cristo, anche se non ci salviamo, mentre il mangiare la carne di Cristo che è salvezza,non avviene per costrizione.

Nel sangue si tratta di assimilare la mia opera, nella carne si tratta di assimilare l’opera di Dio in Dio.