Perché la mia
carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Gv 6 Vs 55 Primo tema.
Titolo: Il cibo e la
fame.
Argomenti: La vera vita è comunione
con Dio – Conoscenza e comunione – La giustizia essenziale – Alimentare il
desiderio di Dio – La carne di Cristo – Coincidenza d’intenzioni – Restare con
Dio – Le presenze fisiche – La presenza storica di Cristo – Il sangue di Cristo
– Spezzare il Pane -
8/ Febbraio /1981
Gesù qui parla
di cibo e di bevanda.
Cibo è bevanda
sono alimenti e si parla di alimento in quanto c’è nutrimento o per lo meno mantenimento
di vita.
L’alimento è
necessario alle creature per restare in vita e per incrementare la vita.
Senza nutrimento
o con un nutrimento inadeguato, la creatura non si sviluppa, non cresce nella
sua vita.
Teniamo
presente che la vita ci è data per crescere in vita eterna.
Quindi la vita
che noi abbiamo in noi è un seme che si deve sviluppare in vita eterna, in
conoscenza di Dio.
E per questo c’è
bisogno di trovare l’alimento adeguato per questa vita.
Per poter
cogliere quale sia questo vero cibo e vera bevanda che porta l’uomo alla vita
eterna, dobbiamo tenere presente che il vero cibo è una conseguenza di quella
che noi riteniamo vera vita.
A seconda di
quello che noi riteniamo vera vita, il cibo è uno piuttosto che l’altro.
Chi ritiene
sua vita il mondo, riterrà suo vero cibo quello che incrementa la sua vita nel
mondo.
Vero cibo è
ciò che può alimentare l’intenzione di vita che portiamo in noi.
Prima di
potere riconoscere e individuare quale sia il vero cibo e la vera bevanda di
cui parla Gesù, dobbiamo cercare di capire in che cosa consista la vera vita.
La vera vita è
comunione con Dio.
E allora vero
cibo è quello che ci mantiene in comunione con Dio ed è quello che ci
incrementa in questa comunione.
La comunione
con Dio viene a noi dalla conoscenza di Dio.
Allora vero
cibo è quello che in noi mantiene la conoscenza di Dio e l’aumenta, fino alla
vita eterna che è conoscere Dio come vero Dio, fino a fare di Dio tutta la
nostra vita.
Quindi se
riteniamo che la vera vita consista nel conoscere Dio, abbiamo già tutto un
campo delimitato di alimento per questa Vita.
Evidentemente
l’alimento è sempre subordinato all’essere in vita.
Un essere che
sia morto non può nutrirsi.
La condizione
per potere alimentarsi è che ci sia vita in noi.
Comunque se
noi teniamo presente che la vita è conoscere Dio, perché dalla conoscenza di
Dio troviamo la nostra comunione con Lui e la comunione è Vita, noi possiamo
definire in modo preciso, quale possa essere l’alimento che ci mantiene in
questa comunione e che possa incrementare questa comunione.
Quando si
parla di cibo, si presuppone che ci sia un inizio di vita, che l’essere sia
vivo, bisogna quindi presupporre che ci sia in noi un inizio di comunione con
Dio.
Dio creandoci
ci ha fatti uniti a Sé.
Le nostre
anime sono unite a Dio e noi abbiamo un inizio di comunione.
E per questo
inizio di comunione, in noi c’è desiderio di Verità che è desiderio di Dio.
Questa è la
premessa, perché se non c’è la vita in noi, noi non possiamo nutrirci.
Se non c’è un
inizio di comunione in noi, di conoscenza in noi, noi non possiamo nutrirci.
Però ogni dono
di Dio richiede una certa adesione da parte nostra.
Quindi Dio ci
ha creati uniti a Sé, ma richiede da parte nostra, un atto di adesione a questa
vita.
E l’atto di
adesione è quella famosa giustizia attraverso la quale noi mettiamo Dio al
centro della nostra vita e dei nostri pensieri.
Se noi
rispondiamo al primo atto di comunione di Dio con noi, con questa adesione, noi
siamo in vita.
Abbiamo un
seme di vita.
Questo seme di
vita si caratterizza in questo: siamo attratti dal Padre.
L’attrazione
del Padre in noi è desiderio di Verità, è fame, ed è la prima condizione per
incominciare ad alimentarci.
Il principio
dell’alimentazione sta nella fame.
La fame vera,
sta nel desiderio di Dio.
Ma il
desiderio di Dio, per portarlo consapevolmente in noi, richiede da parte nostra
questo atto di giustizia dentro di noi che sta nel mettere Dio al di sopra di
tutto, nell’avere interesse per Dio al di sopra di tutto.
Fatto questo,
incomincia in noi il desiderio che ci conduce a cercare il pane necessario per mantenere
e incrementare questo desiderio.
Se il
desiderio non è alimentato si spegne poco per volta.
Se noi
portiamo il desiderio di Dio ma poi nella nostra vita praticamente viviamo
senza preoccuparci di alimentare questo desiderio, tutto quello con cui veniamo
a contatto fa entrare in noi altri desideri i quali, poco per volta spengono
quel desiderio iniziale di Dio che portiamo in noi.
Perché tutte
le cose con cui veniamo a contatto, se noi non le vediamo in Dio, si
trasformano in desiderio di esse in noi.
E questi
desideri molteplici in noi, esauriscono il desiderio della nostra anima.
Perché ogni
cosa, formando in noi un desiderio di sé, moltiplica i desideri della nostra
anima che le tolgono la potenzialità della fame di Dio.
È molto
importante per noi scoprire l’importanza di questa alimentazione del desiderio
di Dio.
Per cui
abbiamo necessità in continuazione di confermare la validità di questo
desiderio di Dio.
L’importanza
di avere sempre presente in noi questa essenzialità qui, questa fame che per
essere portata avanti deve essere alimentata.
Il primo
fattore di alimentazione dev’essere avere la vita in noi.
Ma non basta
avere la vita in noi, avere la fame, avere il desiderio di Dio per trovare il
Pane che alimenti questa fame che ci faccia crescere in comunione e in Vita.
Non basta il
desiderio per trovare il pane.
La fame è
necessaria, però non è sufficiente.
Bisogna avere
la possibilità di scoprire il pane che alimenti questa fame.
Che cosa si
richiede perché possiamo scoprire il pane che possa incrementare questo?
Qui ci
avviciniamo al problema della carne del Cristo.
La carne del
Cristo che è la presentazione sensibile per noi di Colui che desideriamo dentro
di noi.
Trovare vuole
dire avere la possibilità di costatare sensibilmente per noi, quell’alimento
che deve corrispondere al nostro elemento interiore.
Cioè noi
dobbiamo, per avere la possibilità di trovare il Pane, di scoprire
sensibilmente attorno a noi, quel dato, quella presenza in cui ci sia la stessa
volontà di quello che portiamo dentro di noi.
Lì troviamo l’alimento.
Se in noi
portiamo la volontà di conoscere Dio, se attorno a noi sensibilmente possiamo
trovare qualcosa che risponda alla nostra volontà, quindi che offra a noi degli
elementi per incrementare questo desiderio di Dio in noi, questo sarà il nostro
vero pane.
Però è
essenziale che ci sia un dato sensibile e che in questo dato sensibile ci sia
la presenza di quella stessa volontà che portiamo dentro di noi.
Perché la mia carne è
vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Gv 6 Vs 55 Secondo tema.
Titolo: Il Cibo da
mangiare.
Argomenti: Il tradimento di
Pietro – L’iniziativa di Dio – L’umanità di Cristo – La causa dei nostri
disordini – L’instabilità – Nutrirsi di Dio – Il cibo adeguato – La carne di Cristo
– Crescere nella comunione – La responsabilità nelle Croce -
11/ Febbraio /1981
Perché la mia
carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Gv 6 Vs 55 Terzo tema.
Titolo:
L’assimilazione.
Argomenti: Il cibo è in
relazione al fine – Adamo – Il vero cibo per la vera vita – Le condizioni per
alimentarci – La presenza sensibile del Cibo – Il mezzo e il fine – Nutrirci di
Dio – La capacità di assimilare – La funzione sviluppa l’organo – L’imitazione
di Cristo -
15/ Febbraio /1981
Gesù pone
questo vero cibo e vera bevanda, in contrapposizione a tanti cibi e tante
bevande che noi possiamo utilizzare per alimentare la nostra vita.
Perché dicendo
“vero” mette in discussione tutti gli altri cibi.
Non c’è solo l’aspetto
negativo ma c’è anche l’aspetto positivo della proposta.
Il cibo è una
proposta di alimentazione e quindi c’impegniamo ad assimilare la sua carne e il
suo sangue.
Gli alimenti
sono mezzi di vita, quindi sono rapportati alla vita, al concetto di vita che
noi perseguiamo.
Il mezzo è
tale ed è valido, in quanto è in relazione ad un certo fine.
La validità
del mezzo è sempre in relazione al fine che perseguiamo.
Per cui a
seconda del nostro fine personale, si determina in noi la capacità di scelta
verso quei mezzi adeguati per il fine.
Il problema
sta nel capire questo cibo che Dio ci propone come vero cibo e questo sangue
che Dio ci propone come vera bevanda.
E quand’è che
noi capiremo questo?
Fintanto che
non riconosciamo la validità del cibo che Gesù ci propone, all’atto pratico
siamo sempre portati verso altri cibi, pur dicendo di avere fede.
Perché quello
che determina in noi la scelta di cibo e bevanda è in relazione a ciò che noi
riteniamo nostra vera vita.
Qui si rivela
la nostra responsabilità circa ciò che noi riteniamo sia nostra vera vita,
perché questo determina la scelta del cibo.
Ognono si
alimenta di quei cibi in rapporto a ciò che ritiene sua vita.
Per cui ad un
certo momento nella nostra vita c’è una responsabilità in ciò di cui noi ci
alimentiamo.
E la
responsabilità, sta in ciò che noi abbiamo scelto come fine della nostra vita.
Noi non
possiamo scegliere qualcosa come fine della nostra vita, senza una scelta
nostra personale, quindi il cibo di cui ci nutriamo è in relazione al nostro
fine ed alle nostre scelte.
Noi dovremmo
chiederci come mai Dio non ha posto dinanzi a noi un unico cibo: il vero cibo.
Perché abbiamo
la possibilità di sbagliare?
Noi abbiamo la
possibilità di sbagliare nell’alimentazione, perché abbiamo la possibilità di
sbagliare nel fine.
Ciò nella
scelta di ciò che riteniamo fine della nostra vita.
A seconda di
ciò che noi scegliamo come fine di vita, automaticamente ci orientiamo verso
una certa gamma di alimentazione.
Perché l’alimento
è ciò che ci mantiene, non soltanto in vita ma è ciò che incrementa, aumenta,
cresce in noi la vita.
Di qui l’importanza
di chiarire con consapevolezza quale sia la vera vita per adeguarci a questa.
Nel paradiso
terrestre Dio pose tutti gli alberi, i frutti, le erbe come alimento, perché
tutto doveva servire ad Adamo per crescere nella conoscenza e nella comunione
con Dio, per crescere fino alla vita eterna.
Poi gli
elementi si sono diversificati e sono diventati motivo d’intossicazione, di
avvelenamento della vita.
Ma questo è avvenuto
quando in Adamo ci fu una deviazione dal fine della vita.
Anziché avere
davanti a sé, come unico fine Dio, Adamo ha cominciato ad avere davanti a sé
altri fini: il pensiero di se stesso, il pensiero di “sarete come Dio”, e
allora la terra ha cominciato a produrre tribolazioni, cibi avariati, velenosi
che non erano più nell’ordine della disposizione di Dio.
Dio all’inizio
ha fatto tutte le cose bene, tutte le cose dovevano alimentare noi nell’unica
cosa necessaria, per farci crescere nell’unica vita: la comunione con Dio.
Abbiamo visto
che per poterci alimentare dobbiamo prima di tutto avere la vita in noi e per
poterci alimentare del vero cibo, noi dobbiamo avere in noi prima di tutto la
vera vita.
Perché un
essere che non è vivo non può nutrirsi.
La condizione
prima è avere in noi la consapevolezza del fine della nostra vita.
Fintanto che
in noi non c’è questa consapevolezza che dobbiamo vivere per conoscere Dio,
siamo impediti di riconoscere il nostro vero cibo e siamo deviati verso altri
cibi che finioscono con l’avvelenare la nostra vita e che ci portano via dalla
conoscenza e dalla comunione con Dio.
Però non basta
avere la vita per poterci alimentare.
Avere la vita
in noi è la condizione essenziale, però bisogna anche trovare il pane.
Avere la
possibilità di vedere il pane è una cosa ma questo non vuol dire trovare il
pane.
Per cui si
richiede da parte nostra l’orientamento, si richiede da parte nostra la
consapevolezza del fine per cui esistiamo e per cui dobbiamo vivere, per avere
la capacità di riconoscere il vero cibo.
Però dobbiamo
avere la presenza di questo cibo per poterci alimentare, in caso diverso noi
possiamo morire di fame, pur essendo orientati alla vera vita.
E poi non
solo, non basta avere la vita in noi, non basta vedere il vero cibo, bisogna
avere la capacità di assimilarlo.
Sono questi i
tre fattori essenziali che determinano l’individuazione del vero cibo e della
vera bevanda e danno a noi la possibilità di assimilare.
Non basta che
Dio presenti a noi il vero cibo e la vera bevanda se in noi non c’è questa
capacità.
La volta
scorsa abbiamo detto che per potere vedere il cibo, dobbiamo avere la presenza
sensibile di esso.
Il cibo è un
mezzo e si parla di mezzo in quanto unisce noi al fine.
Unisce noi,
nella situazione di povertà, di lontananza in cui ci troviamo e ci collega,
alimentandoci nella comunione, con il nostro fine.
Quindi il cibo
deve essere un dato sensibile.
Il fine non è
un dato sensibile.
Il fine nostro
è un dato che ci trascende a cui noi tendiamo ed in quanto tendiamo non lo
possediamo ancora.
Per avere la
vita in noi, noi dobbiamo tendere verso la conoscenza di Dio e questa è la
premessa per poterci alimentare e riconoscere il cibo, però non avendo noi la
conoscenza di Dio cioè la vita vera, affinché non veniamo meno per la strada è
necessaria la presenza di qualcosa che dia a noi la possibilità di camminare
fino alla meta, nella quale noi ci troveremo con la Presenza del Fine stesso.
E nella
Presenza il Fine diventa Cibo, Vita vera.
E a questo
punto la conoscenza diventa Vera Vita, ciò di cui noi ci possiamo nutrire.
Noi siamo
destinati a nutrirci personalmente di Dio.
Noi per
nutrirci personalmente di Dio, dobbiamo giungere alla Presenza di Dio.
Fintanto che
non giungiamo a questa presenza personale di Dio, noi abbiamo bisogno di
alimentarci con un dato presente.
Quindi abbiamo
Dio che crea noi per un fine che ci trascende: Dio crea Adamo con il fine della
vita eterna, della conoscenza di Dio, un fine che lo trascende, però mette a
disposizione di Adamo tutto un giardino terrestre che deve servirgli di
alimento, quindi di cibo per nutrirsi durante il cammino, fino a giungere al
punto in cui avrà la Presenza di Dio e potrà alimentarsi direttamente da
Questa.
Abbiamo questi
tre elementi: Dio che crea, la nostra anima destinata a questo fine ed un
intermediario, il cibo, la creazione di Dio, presentata in modo tale da dare la
possibilità all’anima che desidera conoscere Dio, di trarre da questi dati
presenti dei pensieri per avanzare nella conoscenza di Dio.
Però abbiamo
anche detto che bisogna avere la capacità di assimilare il cibo.
La capacità di
assimilare è come la capacità d’intendere un quadro davanti ai nostri occhi,
dipende da quello che portiamo dentro di noi.
La capacità d’assimilazione
è direttamente proporzionale alla vita che portiamo in noi.
Non alla vita
come meta ma alla vita che abbiamo già assimilato, dal pane che abbiamo già
assimilato.
Nella misura
in cui abbiamo mangiato, noi diventiamo capaci di mangiare.
Meno ci
nutriamo e meno siamo capaci di nutrirci.
Più ci
nutriamo e più abbiamo la possibilità di nutrirci.
Nutrirci vuole
dire crescere in comunione con Dio.
Arriva il
momento in cui diventiamo capaci di alimentarci di tutto.
Per poterci
alimentare di tutto dobbiamo vedere la presenza di quello che abbiamo in noi,
davanti a noi.
Bisogna che ci
sia questa coincidenza, questa collimazione tra quello che portiamo dentro di
noi e quello che ci viene offerto davanti a noi, allora qui abbiamo la
possibilità di assimilare.
La possibilità
di assimilare è data dal nostro interno, da quello che abbiamo accumulato
dentro di noi.
“A chi ha sarà
dato”, ecco a chi ha mangiato sarà dato da mangiare, a chi avrà assimilato sarà
dato da assimilare.
Ma “A chi non
ha”, anche se si trovasse di fronte a una infinità di cibi, non avrà la
possibilità di assimilare.
Ecco per cui
abbiamo un dato personale, per cui la vita con Dio diventa un fatto
essenzialmente personale.
Perché
richiede l’avere mangiato personalmente.
Più uno si
nutre di cose di Dio e più diventa capace di nutrirsi di cose di Dio.
A un certo
punto questa reazione a catena diventa infinita e diventa una capacità, una
possibilità di vita infinita.
Perché la mia
carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Gv 6 Vs 55 Quarto tema.
Titolo: Il Sangue e
la colpa.
Argomenti: La colpa di sapere – Il
Fine è il Principio – Pensare e conoscere Dio – Parole e spirito – La nostra responsabilità
nel sangue di Cristo – Cosa vuol dire bere? – Il vitello d’oro – L’unione con
Cristo – Il diluvio di sangue – Scoprire il nostro delitto – La differenza tra il
bere il sangue e mangiare la carne -
18/ Febbraio /1981
Non bastano le
parole, le parole devono corrispondere a quello che portiamo in noi.
Ci deve essere
consapevolezza di quello che diciamo.
Noi abbiamo
fini diversi dalla conoscenza di Dio e questi fini diversi ci portano a
scegliere mezzi che non sono il Cibo di Dio.
Quando si
parla di fine si parla di corrispondenza, di adesione a quello come fine.
Dio è il
creatore? Ma allora tu lo devi ritenere in tutto il creatore. Tu devi riferire
tutto a Dio, devi fare conto in tutto su Dio, devi ricevere tutto da Dio e devi
riportare tutto a Dio.
Noi possiamo
sdoppiare in noi le cose.
Possiamo dire
di sapere che Dio è il fine e poi vivere per altro.
Questo
sdoppiamento è una frattura che introduciamo dentro di noi.
Per cui il
Signore ci dirà: “Tu sapevi”, e noi: “Sì, sapevo”.
“Tu sapevi che
Io ero la Vita!” e lì sarà la nostra confusione, perché noi abbiamo ritenuto
che la vita fosse altro.
“Tu sapevi che
Io ero il creatore e allora perché hai ritenuto altro da Me come creatore?”.
“Tu sapevi che
Io ero il Signore e perché nella tua vita hai ritenuto altri signori?”.
Allora lì c’è
la confusione dell’anima.
Se uno potesse
dire che non lo sapeva, resta giustificato, invece l’anima di fronte alla
Verità non può dire di non sapere.
La creatura
sapeva e ha fatto in modo diverso.
Tu sapevi che
la strada era quella e perché ne hai presa un altra?
Ci sarebbe da
vedere perché noi sapendo, facciamo l’errore.
Il Fine va
nesso subito, al principio come fine.
Perché è il
fine che mi determina l’alimentazione e che mi fa sentire il bisogno d’alimentarmi.
Più mi
alimento e più cresco nel fine.
Ma il fine
devo metterlo in principio, come prima cosa.
La prima luce
è il fine.
Per cui avendo
il fine, poi possiamo coordinare la strada, i mezzi per raggiungere il fine ma
il fine è la prima cosa che va messa.
Il fine
coincide con il principio.
Il fine è il
principio.
Dio ha posto
Se stesso come fine dell’uomo, quindi come principio della vita dell’uomo.
E l’uomo
sapendolo lo deve mettere.
“Tu sapevi che
Io ero il Principio e perché non mi hai messo come tuo principio? Tu sapevi che
Io ero il Fine, perché non mi hai messo come tuo fine?”.
Sapendolo tu
lo devi mettere.
Mettendo Dio
come tuo fine, lì viene la possibilità di scegliere la strada e di scegliere
tutti i mezzi, quindi anche il cibo, il pane per giungere a quel Fine.
L’alimentazione
serve ad avvicinarti al fine ma il fine devi averlo molto presente.
Più ci si
avvicina al Fine c’è meno possibilità di cadere ma c’è più colpa nel cadere.
Perché
alimentandoci noi cresciamo nel fine.
Vuole dire
avere il Fine sempre più presente.
Quanto più ci
alimentiamo e più il fine si fa vicino.
E quand’è che
l’avremo presente?
Quando la
vicinanza sarà arrivata al punto tale da vederlo in tutto.
Direi quando
tutto il cibo si è trasformato in Fine.
O meglio
quando il Fine è divento il nostro cibo.
Noi abbiamo l’esempio
del matrimonio: due che si vogliono bene, hanno sempre più desiderio di stare
insieme fino a restare insieme in forma stabile col matrimonio.
C’è una
tendenza a restare sempre con l’altro che si ama.
Tutto è segno
di Dio, Dio ci ha creati con il desiderio di questo fine di Lui.
Quanto più noi
coltiviamo questo desiderio, tanto più desideriamo una vita stabilmente con
Dio.
E allora
andiamo verso questa permanenza, questo restare sempre alla sua Presenza.
Quanto più ci
alimentiamo del Pane di Dio, tanto più cresce in noi questo restare con Lui.
In modo da
poterlo vedere in tutto.
Noi siamo
veramente con Lui, in quanto lo vediamo in tutto.
Perché
effettivamente Lui è in tutto.
L’astrazione e
la difficoltà di Dio sono due cose diverse.
Tu vedi Dio
astratto poiché tu vivi per altro da Dio.
Il tuo vero
interesse diverso da Dio per te è realtà e Dio diventa astrazione.
Se invece noi
impegnamo tutto di noi, sarà anche difficilissimo ma non astratto.
Dio lo posso
pensare anche senza vedere l’incarnazione del Verbo di Dio ma non posso pensare
Dio senza il Verbo di Dio.
Perché il Fine
cresca in noi va alimentato e Dio ci offre sempre del Pane per crescere in
questo fine.
Se noi non lo
alimentiamo, noi perdiamo di vista il Fine.
Tutti i doni
che ci vengono dati, noi li dobbiamo alimentare, altrimenti li perdiamo.
Le cose non
restano con noi senza di noi.
Il fuoco lo
accende Dio e ci fa anche vedere dov’è la legna, ma noi dobbiamo portare legna
per non lasciarlo spegnere.
Più ci
alimentiamo e più cresce in noi la visione delle cose secondo Dio e la
conoscenza ci salva, ci libera ma questa conoscenza non si forma senza di noi.
Una cosa è il
lavoro per giungere alla vita, altra cosa è la vita.
Il cibo si
mangia con fatica: “Mangerai il tuo Pane con il sudore della fronte”.
Il raccoglimento,
il pensare richiede fatica, perché richiede un superamento.
Però la vita è
conoscenza.
La vita non è
più fatica.
Si conosce con
fatica ma quello che si è conosciuto non è più fatica, è gioia.
La Vita è
meta.
Noi siamo
creati per la Vita eterna.
La gioia viene
da ciò che si è compreso.
Più uno cresce
e più può cibarsi di cibi sempre più sostanziosi.
All’inizio la
creatura si nutre di latte, più cresce e più diventa capace di mangiare altri
cibi.
All’ultimo
diventa capace di nutrirsi direttamente di Dio.
Ma si comincia
con il latte, con il pane spezzato.
Non basta
mantenersi in vita, bisogna crescere.
Se non ci
nutriamo noi deperiamo, perdiamo la vita e quindi perdiamo anche la capacità di
alimentarci.
Se ci
alimentiamo custodiamo la vita e la facciamo crescere.
E quanto più
cresce, tanto più diventa capace di alimentarsi.
Non basta
ascoltare le sue Parole, abbiamo lo Spirito e le Parole, però le sue Parole
sono qui e il suo Spirito è là.
Bisogna
fondere le Parole con lo Spirito, altrimenti le Parole restano soltanto segni.
Se non c’è
questo apporto di pensiero personale nostro, per cercare di vedere la Parola
nel suo Spirito, o meglio di vedere lo Spirito nella Parola, la Parola non viene
assimilata.
L’assimilazione
è opera del pensiero, poiché Dio è spirito.
“Dio è Spirito
e vuole adoratori in Spirito e Verità”.
Dio non vuole
dall’uomo sacrifici, lodi, feste e canti, Dio vuole la conoscenza.
La capacità di
pensare Dio dipende dall’alimentazione in quanto più ci siamo alimentati e più
siamo capaci.
All’inizio non
siamo capaci o per lo meno è una fiammella piccolissima.
Perché la
capacità ci viene da Dio.
Dio accende il
fuoco, cioè s’annuncia, ma la capacità nella creatura è piccolissima.
Tanto più
alimenta questo fuoco, tanto più diventa capace, fino a giungere alla capacità
di pensare eternamente Dio e di vedere la Presenza di Dio in tutto.
Dio vuole
adoratori in Spirito e Verità, qui salta fuori il termine vero cibo.
Questo “vero
cibo” ha due aspetti, uno rivolto agli altri cibi che evidentemente non sono
veri, e poi è proposta, cioè tu ti devi nutrire di questo cibo, “Tu ti devi
nutrire della mia carne”.
La sua carne è
veramente ciò che dobbiamo assimilare.
Il suo sangue
è ciò di cui veramente noi dobbiamo assumerci la responsabilità.
Lui ci
presenta la sua incarnazione come ciò di cui dobbiamo preoccuparci di
assimilare e ci presenta il suo sangue come ciò di cui dobbiamo sentirci
veramente responsabili.
Scoprire la
nostra responsabilità nella sua morte è una cosa e assimilare la sua carne è un
altra.
Il Verbo di
Dio fatto carne si è fatto segno sensibile per noi.
Nel segno
sensibile noi abbiamo il Verbo di Dio, cioè la Parola di Dio che arriva a me e
Dio mi dice: “Questa Parola è il tuo vero cibo, è ciò con cui devi preoccuparti
di alimentare la tua anima”, invece il sangue è ciò di cui dobbiamo sentirci
responsabili.
Quando tu
scopri che del Suo Sangue versato tu sei responsabile...
Noi diventiamo
figli delle nostre opere.
Fintanto che
noi non scopriamo che il suo sangue è opera nostra, tra noi e Lui, cioè tra noi
e la sua carne c’è una certa distanza, c’è interesse per Lui ma non è un
interesse premente su di noi, come l’interesse in ciò che dipende da noi.
È la stessa
differenza tra l’essere spettatori di un grave incidente o l’esserne
protagonisti.
Perché c’è una
distinzione tra bere il suo sangue e mangiare la sua carne.
Ci sono delle
cose che richiedono la nostra responsabilità personale, che richiedono una
tensione per potere essere assimilati.
Certe stesse parole
del Signore, non si possono assimilare, fintanto che noi non scopriamo la
nostra responsabilità personale nella sua morte in croce.
Ne sentiamo
parlare ma non ce ne rendiamo conto.
La persona che
è rimasta bruciata da un incidente, parla sempre un linguaggio diverso da chi
solo ne è stato spettatore, cioè ha acquistato una sapienza differente.
È logico che c’è
il senso di colpa nel sangue di Cristo, perché quel sangue lì sono io che l’ho
versato.
La colpa c’è.
L’importante è
questo che il suo sangue ci viene presentato come vera bevanda, in termini
spirituali è ciò di cui noi dobbiamo assumerci la responsabilità.
Devi arrivare
a renderti conto che questo sangue è stato versato per te e per causa tua.
In ogni comunione
che è poi la sintesi della messa, si annuncia la morte del Signore fino a
quando Lui verrà.
Cosa vuole
dire “bere”?
Il dissetarsi
è già una conseguenza del bere.
C’è il famoso
esempio di Mosè che fa bere al popolo il vitello d’oro.
Dio dice di
ridurre il vitello d’oro in polvere, di metterlo nell’acqua e di farlo bere a
tutto il popolo.
Affinché il
popolo si renda conto della sua colpa.
Gli effetti
del bere e del mangiare sono diversi.
Bevendo il
sangue si è uniti al Cristo.
Perché Cristo
diventa nostra opera.
Si resta uniti
al Cristo ma si resta uniti a Lui, come Lui opera nostra.
Non come opera
di Dio, ma come opera nostra.
Resto unito a
un qualcosa fatto da me.
Il bere il
sangue di Cristo mi unisce a Cristo,non è che mi salvi, mi può anche dannare,
mentre il mangiare la carne di Cristo mi salva.
Noi berremo
certamente il sangue di Cristo, a costo di berlo come il popolo ebreo ha bevuto
il vitello d’oro.
A un certo
momento avremo il diluvio di sangue, saremo costretti, perché tutto l’universo diventa
sangue di Cristo sparso e noi saremo costretti a berlo, non potremo farne a
meno.
Questo bere il
sangue di Cristo ci unisce a Cristo ma quell’unione con Cristo può essere un
tormento, come può essere un tormento trovarmi di fronte alla mia vittima, al
mio delitto.
È lì che si
stabilisce un legame personale con Dio.
Per cui Dio
trova il modo di unirsi a noi, magari di restare con noi morto, vittima nostra,
perché quella è l’unica possibilità di salvarci ma non è detto che ci salvi.
Con questo noi
scopriamo il nostro delitto e non possiamo staccarci dalla nostra vittima.
Non c’è nessun’acqua
al mondo che ci possa lavare dal sangue di Cristo.
Noi possiamo
essere lavati da quel sangue ma niente ci può lavare da quel sangue.
Il sangue di
Cristo stabilisce un unione che per noi è indissolubile, perché l’abbiamo fatta
noi quell’unione, è stata opera nostra.
All’ultimo c’è
una accelerazione nella ricerca di Dio che è proprio data da questo sangue di
Cristo.
È Dio che
accelera il tempo attraverso questo rapporto a tu per Tu con noi.
Si richiede entrare
in fretta nella conoscenza di Dio altrimenti siamo schiacciati da questo
sangue.
Lì abbiamo il
sangue che ci lava ma se arriviamo a morire a noi stessi, per mezzo di quel
sangue lì.
Bere il sangue
di Cristo vuol dire toccare la mia responsabilità
personale della sua morte in croce.
È un’esperienza
che si fa sul piano della consapevolezza.
Avendone
ricevuto l’annuncio, si è impegnati a prenderne consapevolezza.
Il problema
non è risolto qui, tu sai che devi arrivare a questa consapevolezza dell’essere
personalmente responsabile della morte di Cristo, non sei ancora giunta però.
A bere il
sangue di Cristo arriviamo per costrizione, mentre non arriviamo per
costrizione a mangiare la carne di Cristo.
Quel sangue lì
noi ce lo beviamo, poiché arriva il momento del diluvio.
Il suo sangue
lo beviamo, per cui restiamo uniti al Cristo come opera nostra, anche senza
averne assimilata la carne, cioè la parola.
Quindi noi
siamo responsabili del sangue di Cristo, anche se non ci salviamo, mentre il
mangiare la carne di Cristo che è salvezza,non avviene per costrizione.
Nel sangue si
tratta di assimilare la mia opera, nella carne si tratta di assimilare l’opera
di Dio in Dio.