Gesù disse:
«In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non
bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Gv 6 Vs 53 Primo tema.
Titolo: Il sangue di Cristo.
Argomenti: Dio porta a compimento il suo disegno, nonostante
l’uomo. La
consapevolezza del delitto. L’alleanza
di Cristo con l’uomo attraverso il suo sangue. Scoprire il male che portiamo in noi. I personaggi del Vangelo. La morte fisica di Cristo. Piano materiale e spirituale.La comunione.
4/ Gennaio /1981
Luigi:
Eccoci al versetto 53.
Qui Gesù riprende un verbo “nuovo”, che non
era cioè stato pronunciato da Lui stesso.
I Giudei avevano detto: “come può costui
darci la Sua carne da mangiare?”.
Ma teniamo presente che Gesù non aveva ancòra
parlato di “mangiare” la Sua Carne...Lui aveva semplicemente affermato (almeno
secondo il testo) che la Sua Carne era data per la vita del mondo.
Il mangiare, Lui lo aveva riferito al Pane.
Ma di fronte a questa obiezione dei Giudei,
vediamo che Gesù, anzitutto, non risponde.
Prima, quando il Vangelo dice che
“mormoravano”, Gesù aveva risposto, e aveva detto: “non mormorate tra di voi,
perché nessuno può venire a Me se il Padre non lo attira”.
Ma adesso, di fronte a questo loro altercare,
cioè di fronte alla loro impossibilità di comprendere le Sue Parole, Egli non
risponde più.
Direi, anzi, che rivela una certa fretta;
ecco: ormai si rende conto che proprio non possono capire.
E comunque, Lui intende giungere alla fine
del Suo discorso: anche se gli uomini non capiscono.
E con questo ci rivela, innanzitutto, che
l’Opera di Dio è sempre e comunque condotta a compimento: indipendentemente dagli
uomini.
Dio porta a compimento il suo disegno: anche
senza l’uomo, nonostante l’uomo.
Vediamo però che, nello stesso tempo, Gesù
“accoglie” il tèrmine da loro usato; loro avevano associato il “mangiare il
pane” con il Dono della Sua Carne, e ciò aveva provocato il loro scandalo.
Ora, Lui accoglie la loro associazione…e in
questo modo li scandalizza ancòra di più!
Adesso, infatti, oltre al “mangiare la Sua
Carne” propone anche il “bere il Suo Sangue”.
Diciamo: li pone di fronte ad una difficoltà
ancòra maggiore.
E pone questo “se”…cioè pone una condizione,
una condizione assoluta di vita.
Dice infatti: “se non mangiate la carne e non
bevete il suo sangue, non avrete la vita in voi”.
Ecco: ci dice che noi (in noi) non abbiamo la
vita (non siamo vivi) finché non abbiamo capito cosa voglia dire mangiare la
Sua Carne e bere il Suo Sangue.
Dunque, qui Gesù pone in relazione la vita,
la Vita Vera, con il mangiare la Sua Carne e bere il Suo Sangue.
Fa dipendere la vita, Vita che è Lui stesso (“Io
sono la Vita”), con la Vita Vera, che è conoscere Dio come Vero Dio…Vita che è
fonte di novità continua.
Ecco: pone in relazione questa Presenza di
Lui in noi con il mangiare la Sua Carne e bere il Suo Sangue
Abbiamo visto che “mangiare” è sempre un assimilare,
un comprendere.
Abbiamo cioè detto che si tratta di prendere
consapevolezza della Sua Morte, e del rapporto tra essa e noi, ognuno di noi
personalmente.
Solo così possiamo stabilire un rapporto tra
Lui e noi, noi con le mani sporche del Suo Sangue.
Certamente c’è un rapporto, tra la Sua Morte
e noi; ma finché non scopriamo questa “complicità”, finchè non scopriamo la
colpa che portiamo in noi, assolutamente non entriamo nella Sua Vita.
Cioè: non possiamo avere la vita in noi, la
Sua Vita in noi.
Ecco perché il Signore dice “se”, “se non
mangerete”; e per confermare questo, aggiunge: “se non berrete il Suo sangue”.
Siamo qui, al “bere il Suo Sangue”.
Teniamo presente che il sangue è sìmbolo
della vita: un corpo, una carne. non vivono se non sono alimentati dal sangue…è
il sangue, a mantenere in vita un corpo.
E anche noi, generalmente, usiamo questa
terminologìa: “spargere il sangue”, “bere il sangue di uno”…ecco, cosa
significa “bere il sangue di uno”?
Vuol dire consumare la sua vita, essere la
causa della consumazione della vita di uno, strumentalizzarlo.
Diciamo: “bere il Suo sangue” conferma questa
nostra “reità”, questo nostro rapporto personale con la Sua Morte.
“Non bere il Suo sangue” vuol dire non
rendersi conto di essere responsabili della Sua Morte, del Suo sangue sparso: e
allora non si ha la vita in noi.
Dico: qui c’è una conferma; si tratta di
prendere coscienza della nostra responsabilità personale nei riguardi del Suo
Amore; da lì, ne deriva la presa di coscienza della morte che portiamo in noi,
e da lì, allora, abbiamo la possibilità di scoprire la vita, in cosa consista
la vita.
Ora, fintanto che siamo nell’io, nel peccato,
noi non possiamo scoprire l’Io di Dio…ecco perché è assolutamente necessario
passare attraverso la scoperta della nostra morte, per arrivare a scoprire la
Vita Vera, Vita che non è nel pensiero del nostro io, ma nel pensiero di Dio.
Cioè: Cristo che muore, ci lega a Sé; ma deve
morire “per opera nostra”…dobbiamo scoprire che muore per opera nostra: solo
lì, determina la salvezza.
La salvezza nasce dalla scoperta del rapporto
personale nostro con Lui, con la Sua Morte.
Gesù che muore per opera nostra ci lega a Sé;
ci lega alla Sua Morte.
Appunto perché la Sua Morte, il Suo sangue
sparso, Lui ce li fa scoprire come “Opera nostra”.
Noi diventiamo figli di ciò che facciamo; è
quindi fondamentale scoprire che abbiamo fatto la Sua Morte, sparso il Suo
sangue; in questo modo restiamo legati
alla Sua morte, e quindi al Suo Io.
Dunque, dobbiamo scoprire che siamo causa
della Sua Morte; e che, per questo, portiamo in noi la morte.
Noi Lo uccidiamo: Lui, infatti, mica muore di
morte naturale: Lui sparge il sangue.
E, come dico, siamo noi, a spargerlo; diciamo
meglio: è il nostro io.
Ecco, qui scopriamo che il nostro io è
delitto, è causa di morte, di spargimento di sangue; secondariamente, scopriamo
che siamo legati al Suo Io…appunto perché restiamo legati al delitto che
abbiamo compiuto.
E già: perché noi non possiamo liberarci
dalle nostre colpe; ed è proprio per questo, che noi non possiamo (più)
conoscere Dio.
Ma se la nostra colpa, se il nostro delitto,
diventa Lui stesso…ecco che restiamo legati al Suo Io, che è Dio stesso.
Adesso diventa allora più comprensibile
questa affermazione di Gesù, questa “nuova alleanza” fondata sul sangue,
stabilita nel Suo sangue.
Cioè, proprio attraverso il Suo sangue (se
scopriamo la nostra responsabilità personale), Lui stabilisce un’Alleanza, un
Patto nuovo.
In altre parole, stabilisce un legame indissolubile,
così come era indissolubile l’unione tra noi e il peccato.
Cristo stabilisce un’unione col Suo Io, e in
questo modo ci offre la possibilità di tornare alla Vita; certo, perché il Suo
Io, anche nella morte, è Dio.
E la morte, abbiamo detto, è “disunione da
Dio”, e se Cristo, attraverso la morte, stabilisce un’unione con Lui,
stabilisce un principio di vita.
Ecco: tramite la morte nasce la vita.
E’ la meraviglia di Dio…è il miracolo di Dio:
attraverso il nostro peccato/delitto, Egli stabilisce un’Alleanza, un’unione, e
quindi un principio di vita, di
salvezza.
Si tratta di
una maturazione: attraverso la Sua morte, noi restiamo
legati a Lui, anche se magari non ne siamo coscienti; c’è un rapporto…la Sua
morte ci lega.
Presto o tardi, dunque, noi ci troveremo
davanti a Lui, e con le mani sporche del Suo sangue.
Questo è importantissimo: non ci troveremo
certo davanti a Lui con le mani pulite!
Pinuccia: Con
la consapevolezza, di questo?
Luigi: No,
la consapevolezza viene dopo; viene cioè da questo rapporto personale tra Lui
morto e io con le mani sporche del Suo sangue; lì avviene il travaglio: “ma
come mai non mi sono reso conto? ma come è potuto accadere?.
E allora, a poco per volta, la cosa matura;
c’è una progressione…perché noi lo abbiamo ucciso senza rendercene conto.
Eh, non fosse altro che: “beh, Lui è morto
2000 anni fa, e io sono adesso”…però, essendo Lui il centro dell’universo,
arriva un momento in cui ognuno di noi giunge a trovarsi di fronte a Lui morto
in Croce: con questa responsabilità tra le mani.
E lì ti trovi di fronte a qualcosa che ti
impone un problema; certo, la grande luce c’è solo a Pentecoste, e solo lì si
capisce perfettamente l’amore di Dio.
Però, dal momento che si stabilisce un legame
di dipendenza, anche senza rendertene perfettamente conto, non puoi fare a meno
di vedere il rapporto che passa tra Lui e te.
Questo lo scopri molto prima, di Pentecoste,
anche se non ti rendi ben conto di come sia potuto avvenire; ma intanto, scopri
questa relazione.
E questo ti mette in crisi, ti crogiola
l’ànima…finché non arrivi a capire la necessità di morire a te stessa, e di
vivere per Lui.
Ma non fosse altro che il pensiero di Lui
morto per un qualche rapporto con me, già questo pensiero mi fa superare il
pensiero del mio io, e mi conduce a pensare a Lui.
Perché io comincio ad essere schiavo di Lui,
di Lui morto per me, in un modo o nell’altro.
E allora inizio a pensare a Lui; non penso
più soltanto a me “solo”….prima pensavo a me “solo”, ed ero nella morte.
Adesso, scoprendo Lui morto, incomincio a
pensare a Lui….a Lui così: “tra me e Lui”.
Questo pensiero comincia a donarmi vita; non
fosse altro che per il fatto che mi mette in agitazione, in movimento.
Anche lì, magari non me ne rendo conto: ma
comincia a mettermi in movimento, e a
farmi vivere.
Anche attraverso il tormento, comincio a
vivere.
Eligio: E
questo è il pensiero che devo coltivare, per giungere alla consapevolezza di
cui parlavi?
Luigi:
Certo.
Lui mi annuncia che senza spargimento di
sangue non c’è remissione dei peccati, non c’è redenzione.
Ma io devo scoprire questo spargimento di
sangue come “opera mia”.
Ho degli annunci, a cui posso credere o meno;
se credo per fede, questi annunci mi mettono in movimento, incominciamo a farmi
meditare, pensare.
Ma se non credo, ugualmente arriverò “faccia
a faccia” con questa situazione, ma lì la cosa sarà insopportabile.
Se credo, comincio a meditare, e a poco per
volta Dio mi illumina, mi fa capire, e comincia
farmi entrare, cioè ad avere la vita “in me”; cioè ad avere il Pensiero
Suo; tu capisci, se io ho il Pensiero di Lui in me, ho la vita, perché Lui è la
Vita…anche morto, Lui è Vita; perché Lui stabilisce un’unione: è l’Alleanza.
Nota bene: Lui stabilisce una comunione che è
indissolubile, da parte mia…perché è il mio peccato.
Lui si è fatto “figlio mio”, si è fatto “mio
peccato” (scusa il tèrmine); e allora io non posso liberarmene, perché non
posso liberarmi da quello che ho fatto “io”.
Ora, Lui si fa “delitto mio”: appunto per
stabilire una comunione/alleanza.
In questo modo, il Suo Pensiero entra in me,
nella mia coscienza, nella mia vita. E diventa un problema: problema che può
anche diventare un tormento eterno, ma che può anche diventare Vita eterna.
Eligio: Bisogna fermarsi sulla Sua Morte, e sugli
aspetti del nostro io che l’hanno determinata.
Luigi:
Certo; bisogna capire i motivi che hanno causato questa morte, la morte
redentrice del genere umano.
L’importante è questo: meditando sulla Sua
Morte, noi cominciamo ad uscire dal nostro io, ed iniziamo a colloquiare col
Suo Io.
Si tratta di rendersi conto della Sua Morte
“causale”, non “finale”; devo cioè prendere coscienza di questo: Lui morto per
causa mia.
Ecco perché Lui dice: “bere il Mio sangue”; eh,
Lui precipita addosso ai Giudei una montagna!
Quel “bere il sangue” è poi proprio questo
“essere responsabili della Mia Morte”.
Il sangue
come sinonimo dello Spirito, della Persona, si potrebbe anche intendere come
un’assimilazione di questo Spirito; per capire che tramite la negatività nostra
giungiamo all’omicidio.
Certo, ma tu
capisci, l’assimilazione dello Spirito, certamente arriva, ma proprio passando
attraverso una colpa, una morte…e una morte fisica: sangue sparso fisicamente.
Cioè: quest’Uomo, prima, era vivo; adesso è
qui davanti a me, ma morto, e morto per colpa mia.
Ecco, io devo constatare “fisicamente”,
perché sono sul piano corporeo, materiale; pensando a me stesso, identifico il
mio io col mio corpo.
Ecco, io sono schiavo dei corpi, e il delitto
lo scopro proprio così; non solo in quanto “lo penso”…perché, per giungere alla
realtà del pensiero, devo arrivare alla Pentecoste; ragion per cui, io scopro
il mio delitto proprio nelle realtà fisiche, materiali.
In sostanza, io mi ritengo colpevole di un
omicidio solo se fisicamente ho ucciso qualcuno.
Dico: io devo arrivare a scoprire che sono
partecipe, colpevole della Sua Morte fisica; da lì, allora, poi giungo allo
Spirito.
Devo arrivare a capire che non è stato
Pilato, o Caifa, o i Giudei, ad uccidere Gesù: sono stato io.
Pilato, i Giudei, sono stati degli attori, un
mezzo rivelatore della realtà che porto in me; è il lavoro della controfigura.
Ma il capire questo, richiede un lavoro di
intelletto; non si capisce mica sul piano materiale; il piano materiale è un
supporto su cui lavora lo Spirito; è un supporto per mettermi in movimento.
Infatti qui, di fronte alla Carne e al
Sangue, in senso materiale, loro non capiscono, segno di tutti noi che non
capiamo.
Ma noi possiamo anche fare tutte le comunioni
di questo mondo senza minimamente renderci conto che esse annunciano a noi
personalmente la nostra responsabilità nella Sua Morte.
Ora, finché questa partecipazione al Suo
Corpo e al Suo Sangue non mi rivela la mia responsabilità personale in tutto
questo, non si stabilisce questo Patto di Alleanza nel Suo Sangue.
Luigi: Le
lezioni stesse della vita, senza che ce ne rendiamo conto, a poco per volta
fanno maturare in noi questo rapporto personale tra la Sua Morte e il pensiero
del nostro io; ma per arrivare lì c’è sempre quel punto fisico, il centro: la
Morte di Gesù 2000 anni fa.
Pinuccia: E’ una pagina della storia.
Luigi: La
quale ci richiede una giustificazione; ecco, noi partiamo da un dato fisico, da
questa realtà fisica; e da essa, a poco per volta…si capisce che la Grande
Realtà è la Scoperta Spirituale, perché Dio è Spirito.
D’altronde, l’Io Suo è Dio, e l’Io non è mica
un corpo; ora, tramite il Suo sangue sparso fisicamente, tramite la Sua carne
morta fisicamente, Lui mi unisce al Suo io, che è Spirito: è lì, l’Alleanza, la
Comunione, e quindi la Vita Nuova.
Luigi:
Abbiamo detto che la carne è in funzione dell’Incarnazione, la quale è
in funzione del Verbo di Dio; e già, se togliamo il Verbo di Dio, non c’è più
problema di incarnazione: noi non siamo dei verbi incarnati, noi siamo creature
fatte dal niente…Dio ci ha fatti, ma noi non siamo Verbi incarnati.
Lui è Verbo Incarnato, per Lui c’è un Verbo
che si fa carne; per cui Lui, nella Sua Carne…nella Sua Carne c’è una Persona Divina,
che parla a me.
E si tratta di una Persona Divina con un
sigillo tale che non lo posso incrinare…io non posso distruggere la Sua
Divinità: Dio è talmente unito alla Sua Carne che io non la posso assolutamente
disgiungere.
Sai, io non posso dire: “tu sei uomo, Dio è
un Altro”; provati! sì, io posso bestemmiare, posso dire di questa cosa rossa:
“è nera”, ma non posso convincermene: eh, la realtà è quella che è!
Quindi, Lui ha parlato, e lo ha fatto come
Dio, in quanto Dio, in una carne umana; c’è una sola Persona Divina che parla
in essa: io uccido questa carne umana, perché mi dà fastidio, ma così facendo
resto legato al Suo Io Divino.
E poiché la Sorgente della vita è l’unione al
Suo Io, in questo modo Lui mi dà la vita; mi porta nella vita.
Luigi: I
personaggi del Vangelo sono delle controfigure “per me”, per farmi scoprire la
mia colpa.
Ecco perché, a un certo momento, io scopro
che la Sua Morte è opera mia; e, una volta scoperto questo, non posso più
separarmene: faccio dei salti mortali, tutto quello che vuoi, ma non posso più
disunirmene.
Nessuna acqua di questo mondo può lavare le
macchie di sangue che porto nelle mani!
E’ attraverso
la riflessione, che giungo a scoprire che Lui è morto per causa mia?
Ci arrivo
perché è un tormento che mi lega…appunto perché è opera mia, “l’ho fatto io”;
in quanto l’ho fatto io, anche se non capisco, non posso separarmene: chi ha
fatto un delitto, anche se non capisce perchè l’abbia compiuto, non può
separarsi da esso.
Perché diventiamo figli delle nostre opere.
Luigi: Di
fronte a loro, che già erano in difficoltà a comprendere cosa volesse dire
“mangiare la carne”, Lui butta su di essi un altro macigno; addirittura,
“dovete anche bere il Mio sangue”.
E cioè: “dovete prendere consapevolezza che
siete voi la causa del mio sangue sparso”.
Luigi: La
cosa molto importante è questa: che noi, uccidendolo, restiamo legati a Lui, al
Suo Io:
Ma, legati al Suo Io, noi entriamo nella
Vita, perché la morte è divisione da Dio.
Teresa: Lui
si lascia uccidere per farsi pensare.
Luigi:
Certo; perché la nostra morte è l’essere “soli”, “io da solo”.
Quando penso a me stesso, io sono nella
morte, perché la vita è comunione con l’altro.
Lasciandosi uccidere da noi, Lui stabilisce
un’unione/alleanza con noi; è un patto che non può essere rotto, da noi,
appunto perché è divenuto “opera nostra”
Però, attraverso quest’opera, Lui stabilisce
una comunione con Sé stesso, e quindi un legame di vita.
Per cui, dalla morte nasce la vita.
Luigi: Il
più delle volte si crede in Cristo per sentito dire, per consuetudine, perché
si è nati in ambiente cristiano, ma tutto questo, ovviamente, non convince.
Eligio: Ma
altre volte dici che se uno è convinto, tutto il resto non pesa più…
Luigi: Eh,
ma se sei convinto personalmente.
Cioè: abbiamo la convinzione che mi porta un
altro che mi parla; questa non è ancòra convinzione personale, capisci? C’è
tutto un mio mondo, che deve essere convinto.
San Paolo che viene illuminato sulla strada
di Damasco…perché? perché c’è una realtà che lo fùlmina! ma poi dopo, necessita
di stare degli anni nel deserto per “convincersi”, cioè per far entrare tutto
il suo mondo, in ciò che lo aveva convinto.
Cioè, qui abbiamo un dato di Dio che ti
convince, perché ti conduce a vedere una realtà; ma c’è poi tutto un mondo, da farci
entrare: e se non lo facciamo entrare, quello ci porta via!
Prima Dio convince; poi c’è tutto il mio
lavoro personale “in questa convinzione”.
E’ un lavoro che richiede tanto tempo, perché
io ho tante consuetudini, tanti rapporti stabiliti in modo sbagliato (perché
stabiliti nel pensiero del mio io).
Sono rapporti che devo rivedere, ricostruire,
trasformare, annullare: in modo da vivere in questa linearità.
Ecco, perché noi dobbiamo stabilire una
linearità tra il Pensiero di Dio in noi e tutto il nostro modo di vivere; è una linearità secondo quanto ci ha
convinti; se non la facciamo, determiniamo la frattura.
E già, la bellezza della vita sta nel rendere
tutto unitario: secondo ciò di cui siamo convinti.
Ad esempio, noi non potremo mai essere
convinti che Dio non esiste; si tratta dunque di stabilire una linearità con:
“Dio esiste”.
Se no si crea una frattura, che ci rovina
eternamente, in tutto; restiamo senza la semplicità di cuore, di pensiero
rispetto a Colui che io non posso annullare.
Io sono in una casa in cui c’è Lui, il
proprietario; e io devo stare qui; posso ignorare che c’è il proprietario, ma
così mi metto in urto, mi urto in continuazione con Lui.
E poiché non Lo posso far fuori, mi creo un
inferno: ecco cos’è l’inferno.
Lui è superiore a noi, e ci dice: “la casa è
mia!”.
Quindi, tutto il problema della nostra vita è
quello di creare quest’armonìa, questa semplicità, in tutto: nel pensiero,
nella parola, nel comportamento…secondo questa verità.
Solo così si stabilisce anche la gioia della
vita; la gioia, come la pace, è una conseguenza dell’armonìa: dell’armonìa con
un dato superiore a noi, che si impone su di noi.
Ecco, noi dobbiamo sempre essere in
situazione di: “rispondo a Dio”.
Allora si determina la bellezza della vita,
l’intelligenza, la luce, la pace.
Ecco, noi ci roviniamo proprio col pensiero
del nostro io autonomo, che non tiene conto di Lui.
Crea una distonìa…è la stecca nell’orchestra.
Luigi: Dio è
presente in tutto, e Lui sta attento a come tu lo tratti, in tutto, in ogni
pensiero.
Luigi: La
strada è difficile; d’altronde, la Verità di Dio è altissima, e quindi richiede
moltissima dedizione, e quindi c’è tanta difficoltà; però, l’amore è anche una
forza tale da vincere tutto: quando c’è veramente.
Ecco, quando c’è amore per Dio, presto o
tardi si viene fuori, si riesce a superare qualsiasi difficoltà.
Pinuccia:
Assimilare vuol dire giungere a questa consapevolezza.
Luigi: Sì,
della Sua Morte…mica della Sua Resurrezione, eh! perché chi risorge è Lui; la
Resurrezione sarà Lui, è un’altra cosa.
Luigi:
Quando uno ha scoperto il suo male, allora ha la possibilità di curarsi;
prima no, logico. Lui muore per farci scoprire il male che portiamo addosso.