Gesù rispose:
«Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre
che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Gv 6 Vs 43 Primo tema.
Titolo: L’attrazione.
Argomenti: L’intelligenza è data
dall’attrazione per il Padre. Ognuno è intelligente da ciò cui è
attratto. Attrazione è presenza interna. La componente soggettiva dell’attrazione. La nostra realtà che
c’impedisce di entrare nel Regno di Dio. Le parole insopportabili di Cristo. “Il mio amore è il mio
peso”. Figli delle nostre scelte sbagliate. Fare penitenza. Il desiderio di
assoluto nel bambino. Il peccato originale. L’azione consapevole. Il principio
d’erranza. La libertà dell’ignoranza.
28/ Settembre /1980
SINTESI
Luigi: Ai Giudei che cercavano giustificazioni,
Gesù dice: “non mormorate”.
È un invito a non mormorare.
Abbiamo visto che la mormorazione nasce dalla
difficoltà in cui l’uomo viene a trovarsi quando l’amore non è sufficiente.
Tutte le volte che ci veniamo a trovare in
questa difficoltà, necessariamente dobbiamo mormorare: è inevitabile.
Quindi, qui Gesù dice: “non mormorate” nel
senso di: “è inutile, il vostro mormorare: serve a niente”.
E giustifica questa Sua affermazione in
questo modo: “(perché) nessuno può venire a Me (cioè: “nessuno Mi può capire”)
se il Padre non lo attrae”.
Con questo ci fa capire che noi non dobbiamo
tanto sforzarci di capire le Parole Sue, perché da soli non possiamo: non
possiamo capre la validità, la portata delle Sue Parole.
Gesù stesso dirà: “ho tante cose da dirvi, ma
per ora non potete portarne il peso”.
Ecco: la capacità di portare certe lezioni
non è data all'uomo.
E qui ci rivela che è data dal Padre:
dall’attrazione del Padre.
Ecco: l’intelligenza.
Nella preghiera di Salomone che leggiamo
prima dell’incontro si chiede l’intelligenza delle cose in Dio; ma la si chiede
al Padre.
Ecco, l’intelligenza delle cose di Dio viene
a noi dall’attrazione per/di Dio. Senza di essa, senza questo desiderio di
conoscere Dio, noi le cose di Dio non le possiamo capire.
Ma allora qui capiamo anche che se noi non
capiamo le Cose di Dio, se cioè esse risultano a noi troppo astratte,
difficili, questo è segno che noi non siamo attratti dal Padre.
Ecco perché Gesù pone tutto l’accento su
questa attrazione; d’altronde è logico, perché Lui, in quanto Figlio, fa
dipendere ogni cosa, ogni luce, dal Padre.
Nella sua lettera San Giacomo chiama Dio “il
Padre delle Luce”.
Allora, cerchiamo di approfondire in cosa
consista questa attrazione.
Non dobbiamo ritenere che l’attrazione sia un
atto di violenza da parte del Signore, un’imposizione da parte Sua verso la
creatura: no, perché Dio è Verità, e la Verità attrae con ben altri mezzi che
non l’imposizione, la violenza; infatti,
la Verità attrae convincendo.
E allora questa “attrazione” dobbiamo cercare
di approfondirla sotto un altro aspetto.
Cioè: osserviamo nella creatura cosa avviene
quando essa è attratta da qualcosa.
Un bambino è attratto dalla caramella, un
adulto da qualcosa che soddisfa la sua ambizione.
Allora, diciamo che l’attrazione è la
conseguenza di una presenza di qualcosa dentro di noi; cioè, non sono le cose
dal di fuori, ad attrarci: noi siamo attratti da ciò che abbiamo seminato dentro di noi.
Ecco, qui siamo aiutati a comprendere perché
tante volte Dio non attragga: è perché l’attrazione presuppone sempre una
componente soggettiva.
E allora chiediamoci come possa formarsi
nell’uomo una simile componente soggettiva tale da impedirgli dei essere
attratto da Dio.
All’inizio tutti sono attratti da Dio, perché
Dio è il Creatore di tutti.
E Gesù stesso dice che se non si ritorna come
bambini non si può entrare nel Regno di Dio; il bambino è un essere attratto da
Dio.
Ora, man mano che diventa adulto, però,
questo bambino entra a contatto con una
cosa piuttosto che un’altra.
Ed è proprio questa sua esperienza soggettiva
che inizia ad orientarlo verso una cosa anziché un’altra. Ecco, tutto dipende
da ciò che ha lasciato entrare.
Direi: nella misura in cui uno apre il
proprio animo a certe cose, si autocondiziona per tutte le attrazioni
successive.
Ecco: ciò a cui dedichiamo pensiero oggi, ci
condiziona per il domani, ci condiziona per l’attrazione di domani.
E già: tutte le scelte che noi facciamo non
le perdiamo più durante la nostra vita; direi anzi: esse addirittura “ci
precedono”, nel cammino della nostra vita, e ci orientano su una strada
piuttosto che su un’altra.
Tutti quanti lo esperimentiamo: basta aprirci
ad un certo interesse che subito questo ci condiziona la scelta successiva.
Ecco: noi ci formiamo giorno dopo giorno.
E questa formazione, in cui subentra sempre una
componente nostra, è poi quella che a un certo momento ci impedisce di provare
attrazione per il Mondo di Dio, chiudendoci
sempre più nel nostro mondo; rendendoci sempre più dipendenti da esso.
Già qui possiamo capire che l’uomo, creato da
Dio e attratto da Dio, man mano che vive determina, sceglie il “padre” di cui vuole essere figlio.
E noi, giorno dopo giorno, con ciò a cui
rivolgiamo il nostro pensiero, già compiamo la scelta di ciò di cui vogliamo
diventare figli.
Non ce ne rendiamo conto ma è così.
Nati senza di noi, man mano che viviamo noi
veniamo a determinare ciò di cui vogliamo essere figli.
E man mano che diventiamo figli delle nostre
scelte, noi diventiamo sempre più refrattari ad ogni altra paternità.
Qui possiamo capire perché Gesù dice che il
Suo linguaggio non può essere compreso se non si è attratti dal Padre.
Lo preciserà molto bene dopo, quando dirà che
ognuno può accogliere soltanto le parole e le cose del padre suo: “voi non
potete sopportare le Mie Parole perché avete un altro padre”.
Ecco: “solo chi ha ascoltato il Padre Mio
viene a Me”.
Ecco qui la grande lezione.
Ora, fintanto che noi ascoltiamo “altro da Dio”, non possiamo andare al
Cristo, non possiamo riconoscere in Lui la Via per la conoscenza del Padre.
Gesù dice: “chi ha ascoltato il Padre viene a
Me”.
Ecco, il problema sta tutto lì.
L’attrazione viene da lì.
Ascoltando il Padre si resta attratti da Lui,
e non si tratta di un’attrazione “passiva”: è un’attrazione che richiede a noi
il desiderio per conoscere Dio.
Richiede la nostra attenzione a Dio.
Ma se invece noi abbiamo ascoltato “altro da
Dio”, proprio questo ci porta via al Signore, logico.
E questa attrazione per altro da Dio è già
un’operazione di rigetto del Regno di Dio.
Perché in noi abbiamo seminato una paternità
sbagliata.
Ecco: è il richiamo alla Vera Paternità.
Siamo richiamati a fare attenzione alla
scelta sbagliata che portiamo in noi.
Ecco: “in quanto ti trovi di fronte a fatti,
a cose, che ti paiono assurde, che ti risultano incomprensibili, ciò significa che in te è presente un paternità sbagliata; e
devi dunque rivedere, fare penitenza”.
Ecco lì: si tratta di rivedere tutto il mondo
a cui abbiamo prestato attenzione e che attualmente “ci attrae”; è un mondo che
per noi è diventato la “realtà” (mentre della Realtà è solo un segno.
E questo suo essere (per noi) reale, è
proprio ciò che c’impedisce di entrare nel Regno di Dio.
I Giudei qui si scandalizzano proprio per
questo: perché sono prigionieri del loro “conosciuto”.
La “realtà” delle cause seconde impedisce ai
Giudei di entrare nella Realtà della Causa Prima, della Causa Vera.
Allora dobbiamo chiederci: come mai le cause
seconde a un certo momento diventano così “pesanti” (agli occhi nostri) da
impedirci di accogliere, di capire il
Linguaggio del Figlio di Dio, che è il linguaggio della Causa Prima?
Sant’Agostino dice: “il mio amore è il mio
peso”.
Ecco, ciò che diviene pesante per l’occhio
dell’uomo è ciò che egli ama.
In altre parole: se l’uomo ama sé stesso, se
lui si apre ad interessi diversi da Dio, l’amore a sé stesso, ai vari interessi
che hanno per centro il suo io, diventano ciò che rendono per lui “pesanti”,
“reali”, le cause seconde; talmente “pesanti” vuol proprio dire “talmente
reali” da diventare per lui l’unica realtà.
Ecco lì: diventano una realtà così pesante da
impedirgli di volare verso le Cose del Cielo.
D’altronde, non può essere diversamente,
perché il Regno di Dio non riconosce che una paternità.
Ecco quindi che quando trova qualcuno che ha
un altro padre, non può far altro che inaugurare l’azione di rigetto.
Allora, quando ci accorgiamo di non riuscire
a sopportare la Parola di Dio, ciò significa che è la stessa Parola Divina che
ci sta rigettando.
E poiché in tutto Dio opera per salvarci,
anche questo è un aiuto per farci capire che dobbiamo riconoscere il nostro
sbaglio e fare penitenza.
È Dio che ci aiuta a
comprendere che solo nella Conoscenza di Lui sta la nostra salvezza.
Bisogna proprio che in noi si formi questa
profonda convinzione.
Fintanto che non siamo convinti dell’assoluta
importanza che possiede per noi la Conoscenza di Dio, noi ci troviamo nella
(assoluta) impossibilità di rimanere attratti dal linguaggio di Dio.
Luigi: In ogni cosa il bambino cerca Dio; infatti
in tutto lui chiede: “perché?”.
Però non può dire: “ciò che io desidero è
Dio”.
Per poter dire questo si richiede che in noi
si formi una certa componente…perché la Verità La si trova soltanto
conoscendola, non certo per atto magico.
Soprattutto, occorre che in noi si formi la
consapevolezza di ciò che la Verità è: solo così possiamo desiderarla.
Ora, noi siamo creati “senza di noi”; ma in
noi Dio pone il Suo Spirito, per cui noi siamo desiderio di Lui.
Il problema è che vivendo, noi (il bambino)
cominciamo ad interessarci “soggettivamente” di certe cose senza “concluderle”
in Dio…e, anche, senza essere aiutati a farlo.
Allora succede questo: tutto ciò che giunge a
noi e che da noi non viene portato, “concluso” in Dio, viene da noi scambiato
per Dio.
Incomincia lì una nostra nascita consapevole
da un mondo relativo non più assoluto: appunto perché noi non lo
portiamo/concludiamo nell’Assoluto.
Luigi: Quando il bambino domanda “perché” sta
chiedendo di essere aiutato a ricondurre i segni che gli arrivano nella Causa
Assoluta, a vederli lì.
La difficoltà è tutta lì.
Noi siamo creati per riportare tutto in Dio.
Quindi, Dio parla con noi in tutto; tutte le
Sue Parole sono per farci conoscere Lui: le Sue Parole sono la manifestazione
di Sé a livello nostro.
Però le Sue Parole, per essere comprese,
vanno intellette nel Suo Spirito.
Le Sue Parole sono anche le creature, è tutta
la Creazione…è nel riportarle a Dio, che in noi avviene il difetto; o meglio:
nel “non riportarle”.
Il peccato è un difetto; è opera non portata a
compimento, a conclusione nella causa prima.
In altre parole: il peccato è un fermarsi a
metà strada.
Luigi: Il bambino chiede un perché; io gli rispondo
non secondo Dio: rivelo così di essere staccato da Dio, cioè nel peccato.
Se non fossi nel peccato, se non ci fosse
questo peccato originale operante, porterei il bambino, il suo perché, a Dio/in
Dio.
Luigi: Tutte le opere di Dio, venendo da Lui, si
concludono nel pensiero dell’io; cioè: si fermano al pensiero dell’io. L’io
nostro è una prima sintesi di tutta l’Opera di Dio. Ora però, il nostro io va
trasceso: perché esso è ancora “creatura”.
Bisogna dunque superarlo e portarlo al
Signore.
E già, perché noi siamo fatti per diventare
figli di Dio.
Allora, andiamo a fondo: cosa vuol dire
questa natura fatta per divenire figlia di Dio? Vuol dire che noi,
implicitamente, diventiamo figli di ciò cui guardiamo.
La natura che ci ha dato Dio, comporta che
noi subiamo la passione di ciò cui guardiamo, comporta cioè che diventiamo
“pensiero dell’oggetto del nostro pensiero”.
Ed è proprio lì tutta la tragedia.
Ecco: noi, creati per diventare figli di Dio,
se non concludiamo in Dio, immediatamente diventiamo figli di quello che non
abbiamo riportato in Dio.
Luigi: Noi siamo creati da Dio, quindi Dio è il
nostro Padre “precedente”. Ora però, questo nostro Padre “precedente”, che è
tale “senza di noi”, chiede a noi di essere eletto Padre con la nostra
partecipazione consapevole.
Questa elezione da parte nostra è la
condizione essenziale, sostanziale, per arrivare a conoscere Dio.
Logico: Dio è Verità, per cui non si può
giungere a Lui se non consapevolmente.
Dio è mio Padre “senza di me”, ma io debbo
farlo diventare tale consapevolmente. Devo desiderare che lo sia.
E fintanto che non lo faccio, io eleggo come
mio padre tutto ciò che eleggo consapevolmente: magari semplicemente
guardandolo.
Ecco: quando consapevolmente mi “afferro” a
qualche segno, ecco che, per la natura che mi ha dato DIO, ne divengo “figlio”.
Perché questo è il mio Padre consapevole. È il Padre che ho eletto consapevolmente.
Lì Dio resta mio Padre oggettivamente, ma non
soggettivamente: cioè, non “consapevolmente”.
La mia consapevolezza, a questo punto, io ce
l’ho qui, sul segno: perché è qui che ho un atto personale.
Cioè: io, oggi come oggi, sto guardando
questo, mica Dio!
Guardando questo, finisco col crescere ad
immagine e somiglianza di questo: ne resto condizionato, ne divengo figlio.
Qui ho un atto consapevole.
Dio che mi crea, invece…si tratta di un atto
inconsapevole: io sono sì nato da Dio, ma senza saperlo.
Allora succede che consapevolmente faccio
l’atto di preferire la creatura, la creazione, al Creatore: e allora divento
figlio della creatura, della creazione.
Ovviamente, questa figliolanza entra in urto
con l’Altra, che è reale oggettivamente ma non soggettivamente.
E qui si determina tutta l’infelicità umana.
Si capisce: mentre l’uomo porta in sé una
vocazione ben precisa, finisce con il diventare figlio di altro.
Ed ecco allora che si verifica uno
“stridore”.
Eligio: Dio deve essere oggetto di scelta
consapevole, ma il bambino non è ancora in grado di operare certe scelte…
Luigi: Dobbiamo distinguere la parte “animale” da
quella spirituale, del bambino.
La parte animale ubbidisce alle leggi
animali: lì il bambino non si differenzia da quello che può essere il cucciolo
di un gatto: ha certe esigenze, mangiare, giocare, ecc.
E c’è poi il bambino come “anima”; ora Gesù
dice che “gli Angeli del bambino vedono sempre il Volto del Padre”.
I loro angeli: i loro pensieri.
In sostanza: l’anima.
Ecco, in ogni cosa l’anima del bambino vede
l’Assoluto; ne sente il bisogno, lo contempla.
Il guaio sta qui: che per conoscere
l’Assoluto si richiede la nostra partecipazione consapevole. E allora il
bambino scambia per assoluto tutto ciò che vede.
Pinuccia: Ma non ne può niente.
Luigi: Ma certo, che non ne può niente! Il bambino
è un essere in formazione…guardiamo la sua parte spirituale: l’anima del
bambino, di fronte a ciò che gli viene presentato, lo ritiene Dio, lo ritiene
assoluto.
Però le cose, ad un certo momento, cominciano
a dirgli: “non siamo Dio”.
E allora il bambino ne cerca il perché.
E cerca il perché presso chi gli può
rispondere.
Lui non può rispondersi, perché lui non
conosce Dio.
Diciamo quindi: gli Angeli sono interrogazioni.
Queste interrogazioni sono provocate nel
bambino dal suo bisogno di assoluto. E come potrebbe un esistente sentire il
bisogno dell’assoluto se non lo portasse in sé?!
Nessuno di noi può avere presente qualcosa se
non lo ha presente: noi possiamo desiderare soltanto ciò che abbiamo presente.
Quindi, se il bambino interroga, se desidera,
è perché ha presente.
Però viene a trovarsi in un conflitto, in un
contrasto: con la impossibilità di farne la diagnosi.
E allora chiede a chi dovrebbe
spiegargli; ed è proprio qui che opera
il peccato originale: chi dovrebbe rispondergli saggiamente, non lo fa affatto.
Non può farlo, non sa (più) rispondergli: e
avviene lo scandalo.
Ecco come succede che, a un certo momento, il
bambino si ritrova tutto proiettato nelle cose relative, nelle cose esterne.
Il punto, come sempre, è questo: ogni cosa,
ogni segno, vanno raccolti in Dio; ma questo richiede il superamento del pensiero del nostro io.
Come dico: le cose arrivano a noi e si
“concludono” nel pensiero del nostro io; dato questo, ecco che fanno provare a
noi piacere, bontà, bellezza…perché sono tutti segni di Dio, dunque riflettono
qualcosa di Lui.
Ora, le cose si presentano come vere,
“reali”, perché Dio è Vero, è la Realtà…e si presentano a noi belle –quindi
attraenti- perché Dio è bellezza e bontà, e così via.
Arrivano dunque al nostro io con queste
caratteristiche: reali, belle e buone.
E quindi determinano nell’io/all’io una certa
soddisfazione.
Il problema salta fuori qui: perché l’io si
ferma a questa soddisfazione.
Luigi: Attraverso la creazione noi giungiamo a
scoprire il pensiero del nostro io: “ci sono”; ma adesso (ed è lì che comincia
la tragedia), si tratta di portare questo pensiero del nostro io (che è
anch’esso creatura) a Dio.
Lo dobbiamo portare in Dio, e dobbiamo farlo
con lo stesso interesse con cui portiamo (o dovremmo portare) a Dio i Suoi
segni.
Questi segni, dicevo, ci provocano una certa
soddisfazione; il problema è che il nostro io può fermarsi ad essa, perché si
trova inserito in un certo mondo, e “non sento il bisogno di altro”: ecco
l’errore.
E no…dire: “ho i buoi, i campi, la moglie,
non ho bisogno d’altro”, è una bestemmia.
Questo pensiero dell’io che vedi inserito in
un certo mondo di segni, deve essere portato a Dio: ma perché mi hai messo
attorno questo mondo così e così? Cosa vuoi dirmi?”.
Devo dialogare con Dio il mio io: “Signore,
cos’è questo io che mi hai dato?”.
E qui allora abbiamo un’azione
consapevole…ora, il bambino quest’azione consapevole non può certamente farla.
A un certo momento si richiede in noi la percezione, la consapevolezza. Perché
alla Verità si giunge solo consapevolmente.
Noi siamo portati a fare tante azioni
inconsapevolmente: sono proprio queste, a fermarci, ad interrompere il nostro
dialogo con Dio.
Si verifica una interruzione di pensiero.
Luigi: Quando il bambino interroga, chiede la
Verità: lui è attratto dalla Verità. È
il bisogno essenziale dell’uomo, infatti niente offende di più l’essere umano
della menzogna.
Lo offende proprio nel “nucleo”, capisci”?
Si sente tradito, ingannato, proprio nel suo
nucleo…quindi, dico: come essenzialità l’uomo è bisogno di verità; tutto il
resto è contorno.
Ma allora chiediamoci: come mai questo uomo,
costitutivamente attratto dalla Verità,
a un certo momento non lascia più guidare da questa attrazione?!
Come mai a un certo momento non La mette più
in primo piano? È da approfondire, questo,
perché è proprio lì che succede che il caos.
Ecco lì: l’uomo, pur continuando a sentire il
bisogno della Verità, a un certo momento, non “conclude” più in Essa.
E perché? Perché si ferma al suo io.
È il peccato originale: “sarete
come Dio”; noi vediamo le cose “belle e buone”: e ci fermiamo lì.
Luigi: Ma non stabilito come “principio di
libertà”…perché non ci sono “due libertà”: Dio solo è Libero; non esiste un
altro principio di libertà oltre a Dio.
L’uomo è veramente libero solo nella misura
in cui partecipa a/di Dio, e allora: “la Verità vi farà liberi”.
Il problema è che “pensare” costa fatica…e
allora: “concludere” diventa fatica.
A un certo momento l’uomo preferisce sedersi
davanti alla televisione…preferisce che un altro pensi al posto suo.
E allora vende sé stesso: rinuncia; succede
questo perché non riesce più a sostenere la fatica del pensare, la fatica del superamento
di sé stesso...gli è più comodo sedersi sulla poltrona e lasciare la fatica del
pensare ad altri; solo che questi “altri” a un certo momento lo soffocano, gli
impediscono di vivere.
Eh, l’uomo ha la “possibilità” di ritenersi
autonomo da Dio, ha la possibilità di vedere tutte le cose “autonome”. In altre
parole, ha la possibilità di scambiare le cause seconde per cause prime: come
vediamo in questo versetto 42.
Ma da cosa viene determinato questo scambio?
Dal fatto di non concludere le cose in Dio.
Ogni cosa giunge a me chiedendomi di
riportarla in Dio; se io non lo faccio finisco con lo scambiarla per Dio
stesso, e allora dico alle cose: “voi siete il mio Dio”.
L’errore sta nel non concludere nel Signore.
Nino: Se non è un principio di libertà, lo è di
erranza.
Luigi: Sì; il principio di erranza è: non
conclusione in Dio.
L’io nostro di per sé è buono: è creatura di
Dio, e però rischia di diventare satana.
Tieni presente questo: l’attrazione di Dio è
imposta.
Nino: Però può essere rifiutata o accettata.
Luigi: No, non è che si possa rifiutare
l’attrazione: non si può rifiutare l’attrazione per Dio…è che subentra un’altra
attrazione, la quale può “equilibrare” quella per Dio…ma senza mai annullarla.
Ora, che l’attrazione per Dio non possa
essere annullata è dimostrato dal fatto che noi, in ogni caso, continuiamo a
sentire il bisogno della Verità: anche se fossimo immersi nel male, nel
peccato.
Lo sentiamo, questo bisogno, però…siamo
attratti (anche) da altro.
Ecco allora che tutti quanti vorremmo capire,
conoscere la Verità…ma quando scopriamo quale sia il prezzo da pagare, ci
tiriamo indietro: dobbiamo, siamo costretti, a tirarci indietro.
E già: perché abbiamo un’altra attrazione.
Abbiamo detto: si viene a creare un’altra
attrazione in quanto, dentro di noi, non
avviene la “fusione” tra i pensieri che arrivano a noi ed il pensiero di
Dio.
Si è creato un distacco: i pensieri non sono
stati raccolti, uniti, “compiuti”.
Nino: Ma quella è già una conseguenza di un atto
interiore nostro.
Luigi: L’atto interiore nostro è solamente un
difetto.
Il peccato non esiste, di per sé.
Nino: È un
difetto del nostro io.
Luigi: Non nell’io, eh! perché l’io è cosa
buona…vedi, dopo Dio il massimo centro d’attrazione è proprio l'io; il problema
è che noi ci fermiamo a questo secondo centro d'attrazione.
Pinuccia: Lo mettiamo al posto di Dio.
Luigi: Non è che noi vogliamo metterlo prima di
Dio: è che, fermandoci ad esso, implicitamente lo facciamo Dio….in altre
parole: ne facciamo un idolo.
Gesù rispose:
«Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me, se
non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Gv 6 Vs 43 Secondo
tema.
Titolo: M’innamoravo
di tutto.
Argomenti: Tutti i vini del
mondo. Gli scossoni di Dio.I beni essenziali. Passione di ciò che vediamo. Le cause
seconde. I limiti della conoscenza dell’io. Tutto ci viene portato via. Il corpo e
l’intelligenza. Amministrare ciò che è di Dio. La decadenza. Pensare Dio. Cercare il positivo. L’ultimo giorno. Imparare a vivere
nel pensato di Dio. Il male utile. Il buon ladrone.
30/ Settembre /1980
SINTESI
Luigi: L’attrazione per Dio consiste nel desiderio
di conoscerlo: Questa attrazione/passione ci conduce al Cristo, all’Incontro
col Cristo.
Qui siamo preparati ad intenderlo.
Ecco perché il Cristo arriva molto tardi
nella vita dell’umanità, e nella vita di ogni singolo uomo: è che deve prima
formarsi in lui questo desiderio specifico di Dio.
Prima l’uomo assaggia tutti i vini della
terra, e poi arriva a scoprire quello Vero, il Vino buono.
Amalia: Necessariamente dobbiamo toccare il fondo,
per arrivare a capire qualcosa?
Luigi: Non direi proprio “necessariamente”…perché
c’è sempre l’intelligenza, al lavoro.
Noi esperimentiamo e ragioniamo, mica che
necessariamente si debba diventare una prostituta…ma certamente, ecco, in
conseguenza della situazione sbagliata in cui ci troviamo, noi abbiamo bisogno
di passare attraverso tante cose, di battere certe nasate; per iniziare a
ragionare veramente.
Il più delle volte noi cominciamo a pensare
solo quando ci arriva una batosta, prima no.
Luigi: A chi è “dentro” viene data la possibilità
di capire, mentre a chi è fuori tutto è detto in parabole: “affinchè non
capisca”, e cioè: “affinchè capisca di non capire”.
Ecco: io credevo di capire, credevo di
vedere, e invece scopro che non vedo, che non capisco! Scopro di essere malato.
Infatti San Paolo dice che “la Legge è stata
data perché eravamo morti senza saperlo”.
In altre parole: la Legge ci è stata data
affinchè scoprissimo la nostra morte.
Ora, una volta scoperta la nostra morte, non
è che ci dobbiamo rassegnare ad essa: lì si tratta di cominciare a cercare la
Vita, la Resurrezione.
Ecco: Dio ci fa toccare con mano che non
capiamo col fine di risvegliarci. Bisogna però che in noi si formi
l’intenzione di ciò che vogliamo.
Perché soltanto così noi cominciamo a
scoprire Dio.
Prima ne subiamo la Presenza, quindi subiamo
la passione dell’assoluto, ma non lo conosciamo.
Luigi: Il bambino ha molto più desiderio di Dio che
non l’uomo adulto: però non ne è cosciente. Perché ne divenga cosciente si
richiede che in lui si formi l’intenzione di ciò che desidera.
Naturalmente il bambino esperimenta che la
caramella è dolce, e allora in lui si forma l’intenzione della caramella, e ne
resta quindi condizionato.
È un’intenzione molto
primitiva, un adulto è condizionato da altro, ma il meccanismo sostanziale è
sempre quello.
Luigi: Loro qui non potevano “non mormorare”
perché, come dice Gesù, se non si è attratti da Dio non è assolutamente
possibile comprendere il Suo Linguaggio.
Finché non siamo attratti da Dio,
inevitabilmente veniamo a trovarci di fronte a un muro.
Trovandoci di fronte ad una parete, siamo
costretti a “mormorare”, non possiamo farne a meno.
Senza questa attrazione ci troviamo sempre di
fronte al Mistero, all’Incomprensibile, all’Assurdo, all’Astratto.
Succede allora che dobbiamo ragionare in
termini di: “bisogna avere i piedi per terra”.
Ci appoggiamo su una “terra”, su quanto
crediamo di conoscere della terra, e in nome di questo rifiutiamo la Parola di
Dio; ma proprio questa terra a un certo momento diventa “tutta mistero”: perché
diventa un cielo!
Arriva il momento in cui, su tutto ciò che ho
fatto mio, il Signore dice: “no, è Mio; è tutto Mio”.
E lì io non posso obiettare nulla: perché non
capisco più niente. Resto confuso: ecco quello che succede.
Su tutto ciò di cui ci vantiamo: volontà,
capacità di amare, intelligenza, la stessa fede, il Signore si presenta a
riappropriarsene.
C’è il Suo intervento che smonta tutto ciò
che la creatura credeva suo. Dio si riappropria di tutto.
Ecco: se noi,
tutte le cose che ci arrivano, non le riceviamo da Dio, e non le attribuiamo
a Lui, ci poniamo in una situazione di estrema debolezza; infatti, quando
arriva il momento in cui Dio si “riappropria” di tutto, noi lo viviamo come un
“portare via”, come “Dio che ci porta via tutto”.
Dio lo fa per farci prendere coscienza che
nulla è nostro, ma nel pensiero dell’io noi lo viviamo come una tragedia.
Il problema nasce dal fatto che ci
attribuiamo qualcosa: è l’errore iniziale; già il fatto di credere qualcosa
“nostro” è il presupposto, è la “prenotazione” per lo spogliamento successivo.
Da parte di Dio è un’opera di salvezza.
Su tutto ciò che noi credevamo nostro, su
tutto quello che crediamo “più nostro”, Lui si presenta e ci dice: “questo è
Mio, perché lo hai usato per conto tuo?”.
Ecco: “Io ti ho dato una mente affinchè tu potessi
cercarmi e conoscermi, e tu l’hai invece usata solo per fare soldi, per cercare
il tuo successo nel mondo…”.
Ecco il giudizio.
È lì che prendiamo coscienza
della nostra iniquità.
Dio ci ha creati per conoscerLo, e noi?….
Dico: possiamo stare sicuri che arriva il
momento in cui Lui ci toglie ogni capacità; perché ogni nostra capacità è
Grazia Sua.
Ecco, solo in Dio noi possiamo veramente
possedere le cose: soltanto con Dio, soltanto in Dio.
Allora, in Dio noi avremo la nostra
intelligenza, la nostra volontà, la nostra vita…in Dio avremo tutto.
Ma se non facciamo questo, ecco che noi siamo
come l’amministratore infedele della parabola; perché noi siamo amministratori
di cose non nostre. Tutte le cose, a partire dal tempo della nostra vita, dai
nostri pensieri, ecc.; noi li dobbiamo amministrare secondo il Pensiero del
Proprietario.
In caso diverso diventiamo amministratori
iniqui, e allora ci prepariamo già al momento in cui il Padrone mi toglierà
l’amministrazione.
Luigi: “Entra nel segreto della tua stanza, dopo
aver chiuso l’uscio”: in altre parole, “entra nel Pensiero di Dio, dimenticando
tutto ciò che non è Dio”.
È lì, che Dio ti convince.
Il tesoro più grande è questo: Dio che parla
con noi, con ognuno di noi…e noi possiamo parlare con Lui. Se Dio ci convince
di questo, ma noi non molliamo più il Suo Pensiero, in ogni istante.
Luigi: L’ultimo giorno è poi sempre questo morire a
sé stessi. Però, non è tanto che noi dobbiamo preoccuparci di morire a noi
stessi, perché Colui che ci ha invitati a morire è anche Colui che ci fa
risorgere.
L’Ultimo Giorno è il giorno in cui moriamo a
noi stessi: lì il Signore comincia a farci risorgere; in altre parole, è il
momento in cui cominciamo a vivere per Dio.
L’attrazione per il Padre è l’inizio che ci
apre all’Intelligenza del Figlio. Poi dopo, il Figlio ci condurrà a questa
morte a noi stessi, e da lì ci farà risorgere.
Luigi: Nell’ultimo giorno si scopre che Colui che
regna è Dio, che Colui che vive è Dio, che Colui che ci fa vivere è Dio.
Prima facevamo conto su noi stessi, sul:
“sono io che penso, io che faccio, io che ho delle capacità, delle risorse”.
No: si tratta di arrivare a scoprire che Chi
fa tutto è Lui, che Chi pensa a noi è Lui.
In altre parole: bisogna imparare a vivere
nel pensato di Dio.
Cioè bisogna imparare a vivere nella
Realtà…perché effettivamente Chi opera tutto è Dio, non siamo certamente noi!
Si tratta di imparare a vivere nel Regno di
Dio, nel “pensato” di Dio; dobbiamo imparare a scoprirci pensati da Dio,
guidati da Lui.
I figli di Dio si caratterizzano per questo:
in tutto si lasciano guidare dallo Spirito di Dio; cioè, si adeguano alla
realtà, perché effettivamente è lo Spirito di Dio, che fa tutto.
Luigi: La conclusione di tutto è questa
Resurrezione, questo entrare nella Vita Eterna. La conclusione di tutto non è
la morte; però la resurrezione avviene per opera del Figlio, non per opera
nostra.
Luigi: Dopo l’Ascensione al Padre abbiamo la
Pentecoste; abbiamo cioè il Padre che dice: “Tu sei Mio Figlio”, e presenta poi
Suo Figlio.
La presentazione di Suo Figlio è nella
Conoscenza del Padre: lì abbiamo, direi, la Parola nuova: non più un annuncio,
ma proprio un essere.
Cioè: è una Parola che rivela la Presenza.
È il: “eccomi!”.
E allora noi diciamo: “prima ho sentito
parlare di Te, adesso Ti vedo”.
Prima è un annuncio, perché arriva al nostro
livello; noi dobbiamo credere per arrivare a capire.
Luigi: In Dio, anche il male si trasforma in bene;
bisogna però arrivare a Dio. Se no, il male resta tale.
Gesù rispose: «Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me, se non
lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Gv 6 Vs 43 Terzo
tema.
Titolo: L’attrazione cosciente
e incosciente.
Argomenti: L’attrazione è
intelligenza. Presi e lasciati. La dimensione interiore dell’attrazione. Attrazione cosciente e
incosciente devono coincidere. Tutto diventa in noi motivante. La partecipazione
personale attrae. Figli delle nostre opere. Pensare Dio nella
nostra schiavitù. Impegnarsi nella luce. La notte. Vivere per l’inutile. Dio opera
convincendo.
5/ Ottobre /1980
Gesù rispose: «Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me, se
non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Gv 6 Vs 43 Quarto tema.
Titolo: Le
giustificazioni.
Argomenti: Le parole inutili. Esigenze motivanti. La partecipazione
personale. La ripetitività. La creatura consapevole. Solo Dio convince. Occuparci
dell’essenziale. Fedeltà nel poco. La contemplazione pura: la Madonna. Senza la Madonna non
capiamo nulla. La preghiera semplice.
7/ Ottobre /1980