CAPITOLO
CINQUE
Titolo: Sintesi
completa.
Argomenti: L’'anima del capitolo: chi crede in Dio e ascolta la sua Parola,
ha la vita in sé, cioè entra nel cielo di Dio. Patriarca Atenagora. L’esterno è uno
specchio di quello che siamo. La nostra vera
sicurezza è data dallo scoprire il nostro niente e il Tutto di Dio. Il male è non attribuire qualcosa a Dio. Quello che Dio fa (paralitico) e quello che Dio è (seconda parte). Offendiamo la nostra anima, in quanto pensiamo a noi, e
non a Dio. La realtà esterna
diventando interna non ci condiziona
perché diventa segno. L'anima in balia
delle tenebre esteriori non è più padrona di se stessa.
1/Luglio/1979
Dall’esposizione
di Luigi Bracco:
A intervalli
di silenzio ognuno ripeta le frasi che più lo colpiscono ed evidenziandone gli
argomenti principali. Ognuno poi nell’ora di silenzio cercherà di trarne un
pensiero, l'anima di tutto il capitolo, non tanto i diversi argomenti, poiché
ogni avvenimento, ogni scena del Vangelo ha un’anima.
Qui ci troviamo con un capitolo che comprende due parti
nette, molto separate:
-
la prima parte è la guarigione del
paralitico
-
nella seconda parte abbiamo Gesù
che parla a noi del Padre e dei rapporti tra Padre e Figlio.
Apparentemente sembra che queste due parti siano
staccate.
Siccome vogliamo fare una sintesi dell’intero capitolo,
dobbiamo cercare quale rapporto unisce queste due parti.
Se riflettiamo, noi vediamo che la prima parte ci mette
in movimento verso la seconda, attraverso una frase che fa da “trait-d’union” e
che collega quello che è avvenuto con il discorso di Gesù.
E la frase che fa da trait-d’union è questa: “Per questo motivo i Giudei perseguitavano
Gesù, perché faceva tali cose di sabato”; cioè un errore dei Giudei,
addirittura una bestemmia dei Giudei; i Giudei ritenevano Gesù un
bestemmiatore, perché non teneva conto della Legge.
Attraverso questa accusa da parte dei Giudei, Gesù trae
lo spunto per aprirci la panoramica del discorso sul Padre – Figlio, cioè il
discorso sul cielo.
Questo per farci capire che Lui cambia il male in bene;
approfitta dell’errore degli uomini per aprirci su una panoramica di cose
superiori.
A questo punto possiamo forse intuire il rapporto che
passa tra la prima e la seconda parte.
Cioè nella prima parte abbiamo un paralitico.
Quel paralitico che è scena, è scena di altri paralitici,
quelli che non vedono l'opera di Gesù, anzi vedono nell’opera di Gesù un motivo
di scandalo, una bestemmia, uno che non teneva conto della Legge: quindi
abbiamo dei paralitici nell’anima.
E ai paralitici dell’anima Gesù fa il discorso del Padre
e del Figlio, proprio per aiutarli a guarire, come guarì il primo paralitico.
Cioè qui nel capitolo V abbiamo la presentazione dei due
mondi, e sono due mondi in cui si trova ogni uomo, in cui si trova ognuno di
noi, cioè la terra e il cielo.
E nel mondo della terra, mondo che noi vediamo, il mondo
in cui Gesù opera la guarigione del paralitico, tutto avviene come introduzione
per operare la trasformazione dell’uomo interiore, dell’uomo spirituale.
Cioè tutto quello che avviene nel mondo della terra
nostra, è scena per farci capire i mali che portiamo dentro la nostra anima e
per aprirci al dialogo con la Parola di Dio, con il Verbo di Dio, il quale
parlando a noi delle cose del cielo, guarisce la nostra paralisi, non
automaticamente, ma se noi ascoltiamo la sua Parola e la custodiamo.
Quindi abbiamo una paralisi esterna che si vede, un mondo
esterno in cui tutti giacciono malati; ed in questo mondo esterno abbiamo la
parola di Dio che viene a guarire.
E qui guarisce automaticamente perché è scena.
Ma la Parola di Dio operando il miracolo, operando i suoi
segni, crea un urto nel nostro io che è troppo sicuro delle sue verità, delle
sue regole, delle sue leggi, dei suoi comandamenti, cioè del modo di vivere.
E allora da questo urto nasce un conflitto, un’apertura
con il Verbo di Dio che parla. Ed il Verbo di Dio ne approfitta per aprirci
agli argomenti del suo cielo.
Cioè il mondo della nostra terra è la condizione, se noi
osserviamo i segni, per aprirci all’interesse per Dio, ed eventualmente anche
capovolgendo quelli che sono i nostri peccati, le nostre colpe, perché qui Gesù
approfitta di un peccato dei Giudei che lo accusano di bestemmia, che lo
accusano di violare la Legge, di violare il sabato, approfitta quindi del loro
male per aprire il suo discorso sopra il mondo soprannaturale, il mondo del
cielo, il mondo del Padre, che è la condizione per curare la nostra paralisi
spirituale, cioè per farci superare il pensiero del nostro io; perché la fonte
della paralisi spirituale è il pensiero del nostro io; però il pensiero dell’io
noi non possiamo superarlo se non con la Parola di Dio.
Qui abbiamo dei Giudei che sono
chiusi nel pensiero del loro io e hanno fatto della Legge un assoluto, per cui
non possono capire i segni che Dio opera in mezzo a loro, e abbiamo il Figlio
di Dio che viene tra loro, per aprirli al superamento del pensiero del loro io,
valendosi della testimonianza del Padre, il quale Padre parla ad ogni uomo,
nell’interno di ogni uomo.
È su questo sfondo che avviene il discorso
soprannaturale; ma il discorso soprannaturale è la condizione per farci
superare il pensiero del nostro io e liberarcene, per farci superare la nostra
paralisi interiore che noi non vediamo; perché chi è malato spiritualmente
non vede la sua malattia, anzi si ritiene sicuro di essere sano, tanto sicuro
che accusa Gesù di bestemmia perché: “Essendo
uomo ti fai Figlio di Dio”. Ecco, accusa Gesù di bestemmia.
Quindi chi accusa Gesù di bestemmia è perché si sente
molto sicuro della sua verità; eppure Gesù conversa con questa malattia, perché
soltanto se conversa le offre la possibilità della guarigione, se l'uomo
ascolta e riconosce la Verità di quello che Gesù dice.
Qui abbiamo la terra e il cielo
e il passaggio dalla terra al cielo. La condizione per il passaggio dalla terra
al cielo è quello di intendere i segni che Dio fa sulla nostra terra, perché
Dio opera sulla nostra terra per metterci in movimento verso le cose del cielo,
perché sono le cose del cielo che ci inseriscono nella vita eterna.
“Chi crede
in Colui che mi ha mandato e ascolta la mia Parola, ha la vita eterna”,
abbiamo letto. Ecco, l'anima di tutto il capitolo sta qui: chi crede in Dio e
ascolta la Parola che Dio gli fa arrivare, ha la vita in sé, ha la salvezza,
cioè entra nel cielo di Dio.
Nel cielo di Dio non si entra mica meditando su quello che
noi dobbiamo essere o fare, ma contemplando quello che la Parola di Dio ci
presenta. Contemplando: è la contemplazione dell’Essere che opera in tutto, che
è presente in tutto, che parla con noi, che dà a noi la vita e la salvezza,
poiché la vita e la salvezza stanno nel glorificare Dio, nel poter contemplare
Dio, nel poter vedere la Presenza di Dio.
Allora Dio opera sulla nostra terra là dove noi vediamo i
segni, anche nel pensiero del nostro io, per metterci in movimento verso gli
argomenti superiori del suo cielo; ma soltanto accogliendo gli argomenti
superiori noi possiamo entrare nella vera vita e conoscere la Verità.
“La vita
eterna – l'abbiamo letto nel capitolo XVII – è conoscere Dio come vero Dio”. Quindi
non è la vita eterna quello che dobbiamo essere noi e impegnarci ad essere in
un modo piuttosto che in un altro, ma è contemplare la Verità di Dio, la
Presenza di Dio, vedere il Volto di Dio. Gesù, Figlio di Dio, parla a noi per
condurci a vedere questo.
Pensieri
tratti dalla conversazione:
Pinuccia: Apparentemente sembrerebbe più
facile, perché non siamo noi che dobbiamo fare qualcosa, ma è Lui che ci
conduce, invece è difficilissimo lasciarsi condurre.
Luigi: È più difficile. Noi dobbiamo essere soltanto delle
creature che si lasciano riempire. Noi dovremmo essere dei vuoti che si
lasciano riempire.
Sentiamo alcuni pensieri tratti da libro “La preghiera del cuore” su questo
argomento “Guardare soltanto a Dio”.
“La preghiera di
lode deve andare ancora più avanti: infatti la lode è imperfetta quando si
rivolge a Dio a causa dei benefici che riceviamo da Lui: sarebbe ancora un
atteggiamento troppo interessato; dobbiamo ringraziarlo, adorarlo e benedirlo
perché è Dio, perché è Amore in Se stesso. È la preghiera di benedizione che
ritroviamo in ogni pagina della Bibbia e che Cristo esprime bene nel “Pater
noster”: “Fatti riconoscere come Dio”. Benedire Dio è rallegrarsi che Egli
esista e si manifesti come Dio, è essere profondamente lieti della sua
Presenza”.
Ecco la vita sta nell’essere lieti della sua Presenza,
nell’essere contenti che Dio c'è e quindi non tanto di quello che possiamo
conoscere noi, ma del fatto che Lui c'è.
E poi continua:
“Vi sono di quelli che benedicono il Signore perché è Potente, altri perché
è buono per loro, ed infine altri perché Egli è buono in Se stesso. I primi
sono degli schiavi che tremano per la loro sorte, i secondi sono dei mercenari
che pensano soltanto ai loro interessi, mentre i terzi sono dei figli che
pensano solo al loro Padre. Soltanto questo amore può distogliere il cuore
dall’amore del mondo e dall’egoismo per dirigerlo verso Dio”. Monaco
Cistercense del XIII secolo.
Luigi: È vero, perché il problema
centrale è questo superamento del pensiero del nostro io.
Inoltre il Patriarca Atenagora, che era un uomo di
preghiera, dice:
“Occorre fare la
guerra più dura che è contro se stessi: bisogna riuscire a disarmarsi; ho fatto
questa guerra per anni, ed è stata terribile, ma adesso sono disarmato, non ho
più paura di nulla, poiché l'amore caccia il timore. Sono disarmato dalla
volontà di aver ragione, di giustificarmi squalificando gli altri. Il problema
centrale è sempre questo”.
Poi prosegue: “Gli sforzi più duri per amare gli altri sono qualche volta
disperati e disperanti, perché derivano pochissimo dall’amore e molto dalla
volontà di convincerci che amiamo, e ciò equivale a voler fare le opere
dell’amore senza amore. Si cerca di imitare i santi, ci si fa un super io come
la rana che vuole diventare grossa come il bue e chiamiamo questo la perfezione
cristiana e religiosa. Ma la vita cristiana non è in primo luogo un ideale: è
una realtà. La vita trinitaria diffusa nei nostri cuori. Il solo ideale è che
questa realtà si dilati, ed è qualcosa di molto semplice che comincia a
muoversi nel nostro cuore e non si sa né perché, né come e che rende facile
tutto il resto; “Il mio giogo è dolce e il mio peso leggero”. È molto pericoloso
considerare la preghiera e l'amore fraterno in primo luogo come un ideale,
perché ce ne facciamo il nostro ideale. Cercare di raggiungere un ideale è
spesso cercare di imitare l'amore con sforzi che ci esauriscono e che ci
rendono la vita penosa e non hanno gran valore agli occhi di Dio, perché non
corrispondono ad un suo desiderio. Non cerchiamo di comportarci come se
avessimo raggiunto un grado di virtù più alto di quello che è il nostro in
realtà. È ancora un frutto dello spirito di infanzia quello di non avere un
super io. Non è a forza di muscoli che otterremo l'amore, ma vivendo poveri e
disarmati: potremo essere invasi dall’amore trinitario che è un Amore ricevuto
e accolto. “L'amore di Dio è stato diffuso nei nostri cuori dallo Spirito santo
che ci fu donato”.
Ora,
nell’ora di silenzio, direi se fosse possibile evidenziare e raccogliere le due
parti di questo capitolo, metterle in rapporto; cioè scoprire qual è il
significato dell’operare di Dio in mezzo a noi, tenendo presente che Dio opera
in mezzo a noi per arrivare a parlarci del Padre, perché soltanto parlandoci
del Padre, ci conduce a conoscerlo e quindi ad entrare nella vita eterna, la
quale vita eterna è gioire che Dio c'è, cioè gioire della conoscenza di Dio e
che non sta invece in impegni da parte nostra. Cerchiamo di sintetizzare il più
brevemente possibile tutto ciò che è stato l'argomento del capitolo V, in modo
da avere un’idea chiara in noi di quello che Dio ha voluto significare a noi.
Cina: Non è facile
l'argomento comunque ci proviamo.
Luigi: Cioè, quel paralitico
è per evidenziare altri paralitici e questo ci fa capire che tutto quello che
avviene attorno a noi è per evidenziarci quello che portiamo dentro di noi. Le
cose fuori sono uno specchio di quello che noi siamo, e questo, il Signore lo
fa per entrare in dialogo, cioè per farci alzare gli occhi a Lui (perché soltanto
Lui può guarire le malattie nostre interiori), magari urtandoci, magari
facendomi dire: “Tu stai bestemmiando”,
cioè creandoci uno scandalo con le sue opere; per cui Lui, operando nel mondo
attorno a noi, ci scandalizza, magari, perché ci fa vedere cose tali che noi
diciamo: “No! È impossibile che Dio faccia questo!”, ci fa alzare gli occhi e lì
trova il modo per agganciarci.
Ecco,
direi, che il capitolo V, è tutto impostato su questo: una scena esterna e
tutto un dialogo di cielo, perché Cristo sta parlando qui dei rapporti tra
Padre e Figlio, che è vita eterna.
Ma
proprio parlando a noi di questi rapporti tra Padre e Figlio, inserisce noi
nella Trinità Divina, e l'inserimento nella Trinità Divina, diventa per noi
vita eterna.
Naturalmente
tutto è fondato su questo: dobbiamo essere sicuri che Dio esiste, dobbiamo
credere che Dio esiste.
La
Realtà è questa: è Dio che opera in tutto; opera fuori e opera dentro.
Confrontiamo:
“Quel libro che è scritto fuori e che è scritto dentro”, però è tutto sigillato
cioè non si capisce niente, è sotto sigillo. L'apertura, la possibilità di
capire, di leggere il libro fuori e dentro, la chiave, è data dal Cristo. È Lui
che ha vinto – il Leone di Giuda – è Lui che è degno di rompere i sigilli del
libro e farcelo capire. Quindi chi ci fa capire il libro delle opere di Dio, e
queste opere di Dio sono esteriori e interiori, è il Cristo, il Verbo di Dio.
Dio opera nelle cose esterne. Noi non ci capiamo niente, perché vediamo
soltanto le cose esterne e diciamo: “È Dio che opera”, però non ne capiamo il
significato.
Dio
guarisce il paralitico; va bene, guarisce il paralitico, ma se noi dobbiamo
arrivare a capire che quella guarigione è per arrivare a parlarci del Padre,
noi lì da soli non ci arriviamo. È soltanto seguendo il Cristo che arriviamo a
questo. Intanto però Lui facendo il mondo esterno, con la sua opera, mette in
movimento il mondo esterno verso il mondo superiore, il mondo delle cose
spirituali. Dio crea due mondi e questi due mondi sono in ognuno di noi; ognuno
di noi è fatto di un mondo interno, un mondo di Dio e di un mondo esterno: poi
Dio opera per mettere in movimento il secondo verso il primo, magari urtandoci,
mettendoci in crisi, mette la nostra anima in movimento verso la Parola di Dio;
perché noi ci crediamo sicuri che le cose debbono essere così, sicuri che il
sabato vada rispettato, sicuri che la legge vada obbedita, per cui se noi siamo
ubbidienti alla legge o alle nostre regole, noi siamo più che a posto, noi
siamo giusti, siamo sicuri: ecco, Dio ci dà una mazzata, ci scandalizza e ci
mette in movimento. “Ma io ero tranquillo
e sicuro così, come mai Dio mi ha creato questo? Che cosa c'è che non va?”.
Ecco la mazzata! E questo per metterci in movimento; ecco, perché non avevamo
capito che tutte le opere esterne erano per farci alzare gli occhi verso Dio,
non per renderci sicuri di noi stessi, perché la nostra vera sicurezza è data
dal nostro niente, dallo scoprire il nostro niente e il Tutto di Dio: qui sta
la nostra sicurezza.
Ora,
aprendoci a questo ascolto, ecco che Dio ci parla di quello che è il suo
Mistero Trinitario, rapporto tra Padre e Figlio, perché proprio parlando a noi
del suo mistero ci inserisce in esso. Colui che parla a me, mi inserisce nel
suo pensiero. Quindi il Verbo di Dio, parlando a noi del Mistero Divino, ci
inserisce nel Mistero Divino ci libera quindi dalla vita proiettata sulla terra
e ci inserisce nella vita in cielo; la quale vita in cielo diventa una vita
libera, non più dipendente dalle cose esterne, ma libera nello Spirito di Dio,
quindi assoluta, non più mutevole, perché non più in balìa delle cose esterne,
quindi vita eterna. Ora, Dio ci inserisce nella vita eterna parlandoci del
mistero di Dio, facendoci entrare nel mistero della Trinità Divina, cioè
rendendocela evidente.
Eligio: Non è facile capire
come guariti dalla paralisi, noi siamo inseriti nella vita di Dio; forse ci dà
soltanto la possibilità della guarigione.
Luigi: No, noi guariamo man
mano che riceviamo la Parola del Figlio che ci rivela il mistero divino, cioè
man mano che noi siamo inseriti nel mistero divino, in questa Realtà Divina;
cioè man mano che noi constatiamo la Realtà di Dio, piuttosto che la Realtà
delle cose terrene, noi siamo liberati; perché quello che ci proietta nella
realtà terrena, è il pensiero del nostro io. Il pensiero del nostro io è
principio di paralisi, in quanto ci blocca ai segni e ci impedisce di
superarli. Cristo, parlando a noi, ci fa superare il pensiero del nostro io e
ci svela una Realtà superiore che il nostro io non può vedere. Man mano che noi
riceviamo le lezioni di Dio, siamo liberati. Non avviene la guarigione della
paralisi di netto, come è avvenuta per questo (“Alzati e cammina”); no, man mano che Lui ci inserisce, ci libera.
Naturalmente qui si richiede un ascolto prolungato fino a diventare un ascolto
a tempo pieno, cioè vita.
Pinuccia: Bisogna restare nel
Tempio.
Luigi: Sì, restare nel
Tempio; infatti Gesù aveva invitato questo paralitico guarito a restare nel
Tempio per entrare nella vita.
Per
cui il primo episodio si conclude nel fallimento; quel paralitico esce per
andare a dire agli altri che era Gesù che l'aveva guarito, ma apre l'occasione
a Cristo di parlare di quello di cui veramente c'era bisogno per liberare gli
altri paralitici. Perché quel paralitico era lo spettacolo a tutta una platea
che era paralitica nell’anima e che non sapeva di esserlo. Ecco, Dio guarisce
l'essere che fa spettacolo e poi comincia il discorso con gli altri paralitici
per guarirli.
Quindi
quello è stato soltanto un’occasione per allacciare un discorso.
Tutto
il nostro mondo esterno è occasione al Verbo di Dio per entrare in dialogo con
noi e guarirci dalle nostre paralisi, perché tutti noi siamo paralizzati dal
pensiero dell’io, e portarci nell’amore di Dio.
L'amore
di Dio è quello che gioisce dell’esistenza di Dio, gioisce del fatto che Dio
esiste, perché chi ama non pensa a sé o alla gioia di essere; chi ama è felice
che l'Altro ci sia, e vive per il fatto che l'Altro c'è; ecco è l'essere dell’Altro.
Ora,
il fatto di portarci a constatare la Verità dell’esistenza di Dio tra noi, che
opera in noi, che parla a noi, è principio di vita eterna, e quindi di nostra
gioia. E questo è tutto dono di Dio, anche questo gioire che Lui è.
Eligio: Gioire perché Lui è,
ma anche bisogna gioire comunque Lui agisca, anche se ci fa andare per traverso
le cose, anche se ad esempio un figlio andasse per traverso oppure se ci mette
in condizioni di disagio, dovrebbe restare la gioia.
Luigi: Sì, se tu sei talmente
sicuro che è Dio che opera, gioisci del fatto che è Dio che opera: “È
Dio che mi sta facendo questo”. La potenza della lode!
E
questo è frutto dell’amore di Dio, perché chi ama Dio è contento per tutto:
qualunque cosa faccia, è contento, perché le fa Dio!
Pinuccia: Anche di ciò che
facciamo e di quello che non facciamo, dei nostri limiti?
Luigi: Sì, non perché
facciamo noi, ma perché è Dio che fa attraverso noi. Noi diventiamo spettatori
del Dio che fa.
Siamo
fatti spettatori del Dio che fa, cioè siamo fatti “pensiero di Dio”; ma chi è
pensiero di Dio, gioisce di tutto quello che opera, di tutto quello che Dio
rivela, di tutto quello che Dio fa, perché attraverso quello che fa, rivela
qualche cosa di Sé a me e mi fa pensare a Lui. E che mi faccia pensare
attraverso uno spettacolo meraviglioso, oppure attraverso una cosa dolorosa, è
sempre Lui che si fa spettacolo per me, e quindi mi dona un suo pensiero:
perché sta pensando a me attraverso queste cose.
Eligio: Però, mentre ci è
facile cogliere i segni di Dio nelle cose belle, ed è molto difficile nelle
cose che ci vanno al rovescio, dove invece vogliamo essere i protagonisti a
correggerle….
Luigi: Cioè anziché
osservarle e cercare di capire il significato di quello che Dio sta facendo,
noi cerchiamo invece di modificare….
Pensiamo
che siamo noi che dobbiamo agire, cioè non siamo più spettatori.
Eligio: Ed è qui che perdiamo
la gioia.
Rina: Sì, perché se pensiamo
che la cosa dipenda da noi, restiamo nella tristezza.
Luigi: Se pensiamo che
dipenda da noi, certo; ma in realtà non c'è niente che dipenda da noi, perché
senza di Lui non possiamo fare assolutamente niente, quindi è tutto opera di
Dio. Ma il difficile per noi convincerci, perché il nostro io dà a noi l'impressione
di fare: “Ma io faccio qualche cosa!”
Rina: Cioè noi non possiamo
fare niente senza di Lui in ciò che è bene, però il male lo possiamo fare senza
di Lui?
Luigi: Sì, ma il male è
proprio pensare che noi possiamo fare qualcosa senza di Lui. È proprio il non
più vedere tutto come opera di Dio, in quello sta il male.
Eligio: Sostanzialmente il
male è una diminuzione in noi della sua presenza.
Luigi: Certo, il male è
soltanto questo: una diminuzione! Cioè il non più attribuire a Dio quel qualche
cosa che mi è contrario, ad esempio: non lo attribuisco più a Dio perché non mi
va e allora lì sta il male; il male non sta in quanto mi arriva qualcosa di
male: il male sta in quanto non attribuisco più a Dio quel qualcosa di male che
mi arriva.
Eligio: E poi il male è tale
nella mia valutazione, non di per sé.
Luigi: Certo, se anche
vedessi la cosa peggiore che mi capita, ma la attribuisco a Dio, immediatamente
quel male diventa bene, perché diventa un motivo di unione con Dio.
Eligio: Stavo pensando come è
facile a tavolino trasformare l'esistenza.
Luigi: Certo, eppure dobbiamo
ringraziare il Signore fintanto che ci lascia fare i conti a tavolino, perché,
facendo i conti a tavolino, ci prepara. Egli dice: “Fate i vostri conti a tavolino, in modo da rendervi conto quali sono
le esigenze del Regno di Dio”. Quindi – ci dice – considera bene a
tavolino, per renderti conto quali sono le condizioni del Regno di Dio, in modo
da poter essere attrezzato ad affrontare la realtà del Regno di Dio.
Per
questo la possibilità di fermarci oggi a tavolino, di riflettere lontano dalle
cose, dalla pressione degli avvenimenti, è tutta grazia di Dio, è misericordia
di Dio, perché ci dà la possibilità di caricarci in modo che, di fronte a
quegli avvenimenti, abbiamo la possibilità di dire: “Questo debbo accettarlo
dalle mani di Dio, perché, quando ho
avuto la possibilità di riflessione, ho detto:
ma guarda che in quei momenti lì io dovrò poi accettare le cose da Dio,
debbo riconoscerlo da Dio, perché soltanto riconoscendolo da Dio, Dio mi dà la
possibilità di cambiarlo in bene. Se io invece non le attribuisco a Dio, quelle
sì che diventano pesanti su di me; ma l'errore è in me, perché non le
attribuisco a Dio, perché Dio opera tutto per potermi chiamare a Sé.
Eligio: Fortunatamente (come
si diceva ieri sera commentando la conclusione del capitolo X di San Giovanni),
c'è una riva del Giordano dove Lui si ritira e da dove possiamo ripartire.
Luigi: Eh, già!
Luigi: Ecco l'argomento era: “Che cosa Dio ha voluto dirci in questo
capitolo quinto”.
Cina: Noi siamo quel paralitico. Dio
viene a guarirci, perché ci ha creati per l'immortalità. Per questo ci dà la
sua Parola di vita. Saremo giudicati su ciò che ci è stato dato e se l'avremo
custodito. Se custodiamo e ci dedichiamo alla sua Parola, Egli ci porta alla
vita della Trinità. Ci vuole la sottomissione, non essere sicuri di noi: la
nostra sicurezza sta nel capire il nostro niente e il tutto di Dio. Dio ci
vuole dare doni sempre maggiori, se ci fermiamo alla luce della sua lampada, senza
premura, se non mendichiamo gloria dalle creature. Promette che ci fa passare
da morte a vita.
Luigi: Tu dici che avremo la vita
eterna se custodiamo. Cosa vuol dire quel “custodiamo”?
Dio opera attorno a noi. Perché opera attorno a noi? L'episodio del paralitico
è Dio che opera attorno a noi, davanti a noi. Ecco, che cosa s’intende per
questo custodire le opere che Dio fa? (“Essere
fedeli nel poco”). Cosa vuol dire questo all’atto pratico? Custodire il
ricordo che Dio ha guarito quel paralitico? E cosa vuol dire? Quel custodire
penso vada un po’ rettificato nel senso che dobbiamo cercare di capire il
significato che Dio ci presenta nelle cose attorno a noi. Che cosa Dio vuole
dirci, che cosa Dio vuole significarci.
La fedeltà nel poco sta nel chiederci che cosa Dio vuole
dire, perché se noi siamo fedeli, e fedeli vuol dire essere attenti a Dio che
opera nelle cose, se noi siamo attenti a Dio che opera nelle cose, ci chiediamo
che cosa Dio ha voluto significarci in quelle cose che ci presenta, che cosa Dio
ha voluto dirci. Allora il custodire lo vedrei in questa dinamica, in questo
metterci in movimento verso il significato delle opere di DIO; perché chi non
si interessa di capire il significato di quello che Dio fa non può arrivare a
capire ciò che Dio è. Ora, quello che Dio è, è proprio la seconda scena di
questo capitolo in cui Gesù parla del Padre, e ci inserisce nella Trinità
divina in cui c'è la salvezza. Ma se noi non ci preoccupiamo di capire il
significato (e cercare di capire il significato non vuol dire già capirlo, ma
metterci in movimento), se noi non ci mettiamo in movimento per cercare di
capire quello che Dio ci vuole significare in tutte le cose che fa, non
possiamo capire ciò che Dio è: cioè non possiamo entrare nella vita eterna,
perché capire ciò che Dio è, è vita eterna. Ecco perché Gesù dice: “Chi crede in Dio e ascolta le mie parole ha
la vita eterna”. Ma bisogna ascoltare le sue parole, ascoltarle, nel senso di
penetrarle, di capirle. Questo vuol dire metterci in movimento verso Dio, sui
segni di Dio. Chi ci mette in movimento è sempre Dio. Se noi non crediamo in
Dio, non ci mettiamo in movimento, perché per noi allora la realtà è un’altra,
la realtà è il mondo, la natura, il caso, sono gli uomini, e noi ci adeguiamo a
questa e viviamo in questo, succubi di questi fatti: questo è il nostro io che
ci paralizza, alla realtà che vediamo, che il nostro io vede, ecco, per cui noi
viviamo tutto in funzione dell’io: adesso ho fame, mangio; sono stanco, vado a
dormire; mi devo curare la salute, debbo guadagnare dei soldi per potermi
costruire una casa, e viviamo tutto in funzione di questo; ma questo è
paralisi, perché viviamo tutto in relazione al nostro io. Invece credendo in
Dio e ascoltando la Parola di Dio che opera in tutto, ci mettiamo in movimento
verso Dio, cioè è Dio che ci mette in movimento. Io nostro io ci ferma, Dio ci
mette in movimento.
Silvana: Mi sono fermata a meditare su…
Luigi: Ma meditare non vuol dire fermarsi, vuol dire camminare.
Silvana: La volontà di Dio è rivelare Se stesso, quindi tutta la
sua opera è per suscitare nell’uomo interesse per Se stesso.
Luigi: Certo, perché la sua gloria è vita nostra; la conoscenza
di Lui è vita nostra.
Silvana: Questa volontà di Dio è costante e continua in tutta la
sua opera, e questa certezza è per noi già conoscenza di Lui.
Luigi: Prima di tutto conosciamo che tutto è opera sua e in
tutta l'opera sua Lui ha un unico motivo, quello di manifestare Se stesso, perché
manifestando Se stesso ci dona la vita.
Silvana: Lui non vuole nasconderci nulla, per cui nella misura in
cui si aderisce, ci rende partecipi della Sua Trinità.
Luigi: Egli tende a trasformarci in pensiero suo. Ora, il
pensiero ignora completamente se stesso, perché il pensiero è tutto pensiero di
ciò a cui guarda. Noi siamo destinati a diventare tutto pensiero di Dio, cioè
Pensiero del Padre, perché il Pensiero di Dio è Pensiero del Padre. Ecco, Dio
opera per adottarci a figli, cioè per farci diventare “tutto pensiero di”, ma
il “pensiero di” è quello che parla tutto di Lui. Ecco perché dobbiamo superare
noi stessi, perché più noi parliamo di noi e più in noi diminuiamo il pensiero
di Dio; diminuiamo in noi la vita. Noi non ci rendiamo conto, ma più noi
parliamo di noi, e più noi ci priviamo della vita. Più invece noi parliamo di
Dio, parliamo anche nel senso che pensiamo a Dio, ignorando noi stessi, e più
in noi facciamo crescere la vita. Il pensare a noi, il parlare di noi è una
diminuzione, una privazione di vita. Per questo si dice che più noi guadagniamo
per il nostro io e più noi perdiamo; più invece siamo capaci di perdere per il
nostro io e più guadagniamo. Nella vita dello Spirito vince veramente colui che
sa perdere. Per cui più noi glorifichiamo l'Altro, parliamo dell’Altro, e più
noi partecipiamo della vita; più invece esaltiamo noi e più ci allontaniamo
dalla vita e quindi la perdiamo.
Silvana: Per vedere Lui che opera in tutto occorre il
superamento di noi stessi, per poterci aprire alla sua novità continua che si
propone in tutto.
Luigi: Sì, però Dio per aprirci, per renderci disponibili ci
urta, perché il nostro io tende a chiudersi nelle sue sicurezze e dice: “Io ho ragione”; allora Dio naturalmente
per sbloccarci, per rompere la nostra crosta, ci urta, ci scandalizza, per cui
noi nella prima reazione diciamo: “Tu sei
un bestemmiatore”, “Tu sei un trasgressore della legge”, mentre noi ci
riteniamo giusti; ma Dio ci urta proprio per metterci in movimento, ci mette in
crisi. L'ultima crisi è la morte, nella quale Dio ci mette per avviarci, per
farci superare quelle situazioni, quei posti di blocco da cui non ci muoviamo.
Rina: La paralisi di quel paralitico
indica la paralisi interiore dell’anima: l'anima vede il bene, ma non può
farlo; è legata al pensiero dell’io che la rende schiava di sé e degli altri,
mentre l'allontana sempre più da Dio. Ma Dio opera per liberarla e le manda il
Figlio che le parla di Dio come Padre, proprio perché non abbia ad avere il
pensiero dell’io come padre, cioè a non essere autonoma, autonomia che è
schiavitù. Da questa schiavitù si guarisce appunto ascoltando il Figlio che
parla del Padre, perché ascoltando si vede Dio che opera in tutto e questo fa
superare il pensiero del nostro io che è causa della nostra paralisi.
Eligio: Ma il Figlio, guarendo il paralitico, non ha parlato del
Padre, ma gli ha chiesto: “Vuoi essere
guarito?”
Luigi: Certo, Egli guarisce la paralisi spirituale nostra,
parlandoci di Dio, solo parlandoci di Dio, perché noi in realtà, nel pensiero dell’io,
ci separiamo da Dio e riteniamo noi autonomi, ed è quello che ostacola nella
vita, perché noi incominciamo a far conto su di noi e sugli altri; ma gli altri
sono il nostro io, una proiezione del nostro io. Allora il Figlio di Dio viene
a noi, magari anche urtandoci (perché noi nel pensiero del nostro io ci
costruiamo delle sicurezze); quindi deve urtarci in queste nostre sicurezze per
sbloccarci e ci parla di un Altro che opera: “Non sei tu che operi: è l'Altro che opera! È Dio, è il Padre!”. Ma
proprio riportandoci al Padre, ecco che ci libera dalla paralisi, o per lo
meno, ci offre la possibilità di essere liberati dalla paralisi, se noi
riceviamo le sue parole, se noi ascoltiamo Lui, perché ascoltando Lui, ci
presenta il Padre come Operatore, come Iniziatore. Ma il vedere un Altro è
liberazione dal male. Più io ritengo che le cose dipendano da me, e più mi
carico di preoccupazione, di tristezza, perché: “Se non faccio io, nessuno fa”. I proprietari, datori di lavoro,
quello lo sanno perfettamente, tanto è vero che uno ad un certo momento invidia
l'operaio, il dipendente, perché quello quando ha fatto la sua opera, poi è
libero, non pensa più. Invece chi sa che le cose dipendono da lui…..
Quindi più il nostro io ci convince di essere principio
di tutto un mondo e più ci carica di pesi. Quando uno invece gli dice: “No, guarda che tutte le cose dipendono da
Dio”, ecco che la creatura respira proprio nel sapere che le cose dipendono
da un Altro.
Ma chi porta a questa convinzione che le cose dipendono da
un Altro è il Figlio e solo il Figlio, perché la creatura da sola tende a far
dipendere da sé o dall’io, dall’io dell’uomo, per cui la colpa è della società,
la colpa è degli altri uomini, oppure la colpa è mia; ma dicendo che le cose
dipendono dal nostro io, noi ci chiudiamo in un inferno e non entriamo più
nell’amore, non ci sentiamo più amati.
Invece, poter riconoscere, e questo è dono di Dio, che
Dio pensa a tutto, per cui quando Lui mi dice: “Pensa a Me ed io penso a te”, mi dà una grande liberazione! Quando
ci fa toccare con mano che noi siamo amati da Lui: quando uno si sente amato,
si mette a fare capriole nel prato, perché: “Se
sono fatto da Dio, di che cosa debbo avere paura?”. È Dio che pensa a
tutto. Certo, è difficile per noi convincerci di questo, ma il giorno in cui
noi siamo veramente convinti, ci accorgiamo che le cose vanno proprio così.
Le cose prima ci andavano male perché Dio ci voleva
confondere per dimostrare che noi eravamo su di una strada sbagliata, non che
non pensasse a noi. Lui continua a pensare a noi, soltanto che voleva
distoglierci da una nostra strada sbagliata. Il giorno in cui infiliamo la
strada giusta, tutte le cose incominciano ad andare bene e noi ci sentiamo
aiutati, approvati, e l'anima incomincia a respirare libera. Perché i figli di
Dio sono liberi, non hanno più paura di questo o di quell’altro e in questa
libertà l'anima canta di gioia. Ma questa felicità, questa gioia, questa
liberazione, è tutto dono della convinzione, quindi, dell’opera del Figlio,
della convinzione che c'è Uno che pensa a noi, che opera per noi, che ama noi.
Per cui se anche facessi niente da mattina a sera, ecco, uno è convinto che Dio
lo sostiene, che Dio lo aiuta, che Dio lo fa vivere, che Dio è tutto.
Non mi debbo agitare, perché mi devo agitare? È Dio che
pensa! Ecco! Con questo non è che uno debba fare niente. No! Ma Dio chiede a
noi questa fiducia, perché è Lui che fa tutto. Cioè: “Pensa a Me che Io penso a te!”.
Rina: A noi sarà possibile arrivare
a questa convinzione?
Luigi: Sì, se il Signore ci presenta
questo, è perché ci dà la possibilità; Dio non ci inganna. Quindi se Dio dice a
noi: “Pensa a Me che io penso a te”,
è perché ci offre la possibilità di arrivare qui e se noi arriviamo qui, ci
fidiamo di Lui, Lui incomincia a far andare bene le cose, e ci dice: “Vedi?”. Cioè incominciamo a constatare
il vero; mentre più noi aderiamo ad altro, cioè al pensiero del nostro io, a
far conto su altro che su Dio, e più veniamo a constatare che abbiamo
sbagliato: “Mi sono fidato di una cosa
che poi mi ha deluso”. Più invece noi aderiamo a Dio e più constatiamo che
la via è giusta e che le cose sono veramente così, per cui diciamo: “Ringrazio il Signore che mi ha fatto
convincere che è Lui che fa tutto”, perché effettivamente uno tocca con mano
che è così. Dio ci porta a toccare con mano la sua Verità. Invece se ci
allontaniamo da Lui, Lui ci deve far toccare con mano che abbiamo infilato una
strada sbagliata e quindi noi siamo continuamente delusi dalle cose.
Eligio: La figura del paralitico rappresenta la paralisi della
nostra anima.
Luigi: Che non può camminare.
Eligio: Le figure dei Giudei rappresenta l'io che contesta le
ragioni di Dio. Queste figure si trovano in noi, in momenti e tappe della
nostra vita. La nostra anima è naturalmente paralitica.
Luigi: No, è l'uomo che è
naturalmente paralitico. L'anima sostanzialmente è desiderio di Dio. L'uomo
pensando a se stesso offende la sua anima, perde la sua anima; ma l'anima di
per sé, naturalmente, è in movimento. Questo, come concetto di anima. L'anima
può diventare paralizzata, ma in conseguenza dell’io umano. L'anima di per sé è
desiderio di Dio in noi, quindi movimento verso. Noi possiamo offendere la
nostra anima, ma la offendiamo in quanto pensiamo a noi, facciamo prevalere il
pensiero del nostro io. Allora facciamo ammalare la nostra anima, cioè se io mi
rivolgo alle creature, anziché a Dio, la mia anima patisce, soffre, deperisce,
perché l'anima si alimenta di un cibo eterno. L'anima vive nella misura in cui
si nutre. Essendo creatura, come tutte le creature che per vivere hanno bisogno
di mangiare, anche l'anima ha bisogno di mangiare. Però la nostra anima si
nutre di Verità. Noi possiamo lasciar mancare il cibo alla nostra anima; in
quale modo lasciamo mancare il cibo alla nostra anima? In quanto ci rivolgiamo
alle creature. Infatti Gesù dice: “Che
vale che tu conquisti anche tutto il mondo se la tua anima muore?”. Ecco
che la mia anima può morire. Ora, come mai quest’anima può morire? Che cosa
vuol dire questo morire? Può spegnersi in te il desiderio di Dio; tu puoi
lasciar spegnere in te il desiderio di Dio. La tua anima è il desiderio di Dio.
Se tu non nutri questo desiderio, essa si ammala e muore.
Questo desiderio di Dio si nutre di conoscenza di Dio, di
ricerca di Dio. Se io anziché rivolgermi a conoscere Dio, mi rivolgo alle
creature e vivo delle creature, mi appassiono per le creature, la mia anima non
trova più alimento; non trovando alimento, deperisce, muore, cioè ad un certo
momento il desiderio di Dio si affievolisce e si spegne, poiché le tante
passioni per le cose del mondo, spengono il desiderio di Assoluto, il desiderio
di Dio in me.
Allora
direi:
-
l'uomo naturalmente è paralitico,
perché per mettersi in movimento ha bisogno di Dio;
-
la nostra anima naturalmente è in
movimento.
Ci sono uomini con l'anima spenta, infatti Gesù stesso
dice: “La tua anima può morire”, ma
nel senso di essere distrutta, ma può spegnersi in noi e può essere soffocato
in noi questo desiderio di Dio.
Pinuccia: Qui però dice che: “Anche i morti udranno la voce del Figlio di
Dio”.
Luigi: Sì, perché come Dio crea dal
nulla, così anche Dio può parlare ai morti. Quindi Dio può parlare all’uomo che
porta in sé l'anima morta.
Eligio: Comunque quando l'anima è paralizzata, da sola non può
mettersi in movimento verso la Sorgente; quindi è la Sorgente stessa che chiede
all’anima: “Vuoi guarire?”. In questo
incontro con il suo Creatore, l'anima può desiderare la guarigione, ma questo
desiderio non è sufficiente, perché in conseguenza delle troppe scelte operate
in funzione dell’io, può addirittura contestare il Medico Divino, come vediamo
nei Giudei. Può rimanere quindi nell’anima il conflitto tra il desiderio di
guarire e la paura di impegnarsi ad accettare le condizioni che la condurrebbero
alla guarigione.
Luigi: Cioè l'anima desidera guarire, però non vuole pagare il
prezzo; perché diventiamo figli delle nostre opere e addirittura amiamo le
nostre schiavitù. Dio offre la guarigione, ma non è che l'anima necessariamente
l'accolga.
Rina: Avviene la saldatura tra la terra e il cielo, che libera
l'anima dai condizionamenti che l'hanno resa paralitica e nella misura in cui
l'anima si affida, la Potenza di Dio la trasformerà.
Luigi: Cioè avviene in lei un processo di liberazione. Quanto
più noi crediamo in Dio, tanto più ci liberiamo dai condizionamenti esterni e
quindi realizziamo la vita eterna, assoluta, libera, secondo lo Spirito. La
creatura diventa libera secondo lo Spirito. Più invece noi siamo condizionati
da quello che è esterno a noi e più siamo in prigione. Il nostro io tende
proprio a questi condizionamenti.
Eligio: Però non dobbiamo pensare al Gesù che dialoga con il
paralitico e con i Giudei come a un qualcosa che è all’esterno, ma a Gesù che
dialoga dentro di me per convincermi ad accettare le condizioni della
guarigione.
Luigi: Sì, Dio opera però anche all’esterno.
Rina: Ma questo non posso non vederlo come segno.
Luigi: Certo, è logico. Però Dio opera anche dall’esterno. Dio
crea l'esterno e crea anche l'interno; poi opera per mettere in movimento
l'esterno verso l'interno. Non crea due mondi statici; crea i due mondi e poi
crea un dinamismo in un mondo verso l'altro e ad un certo momento tutto un
mondo viene tutto assorbito dall’altro. Anche la nostra terra, ad un certo
momento, diventa tutto cielo, e tutto quello che è esterno diventa interno,
perché il cielo è interno a noi, perché il cielo è in Dio e Dio abita in noi.
Quindi quanto più noi ci raccogliamo in Dio, tanto più
tutto l'esterno viene assorbito dall’interno, per cui l'esterno diventa
soltanto più una significazione dell’interno, ma la realtà diventa tutta
interna; ma quanto più la realtà diventa interna, tanto più noi siamo liberi,
perché l'esterno non ci condiziona più. L'esterno ci condiziona nella misura in
cui per noi è realtà, realtà pesante.
Ma quando l'esterno mi diventa solo segno, non resto più
condizionato. Quando ad esempio io adopero la matita per scrivere un pensiero,
la mia matita non mi condiziona più, perché la realtà è il pensiero. Adopero
quella, ma se non ho la matita, adopero altro, ma scrivo il pensiero lo stesso;
ecco, è un mezzo per -, non mi condiziona più. Quando invece per ma la matita è
un valore importante, io resto condizionato dalla matita, dalla preziosità
della matita e per questo mi condiziona.
Eligio: Quindi quando io ho
riscontrato interiormente questa realtà esterna io sono libero?
Luigi: Non è proprio così, cioè
io non ho riscontrato, perché è Dio che mi mette in movimento l'esterno verso
l'interno e me lo riassorbe; per cui se sono unito a Dio, se penso a Dio, se
credo in Dio, in me si verifica tutta questa interiorizzazione nel Pensiero di
Dio che abita in noi, e che rappresenta il suo Cielo, e questo tende ad
assorbire tutto quello che non è cielo, per cui ad un certo momento anche la nostra
terra diventa cielo, nel Pensiero di Dio. ma come diventa cielo, quindi tutto
interiore, permane ancora la significazione, ma diventa segno soltanto, e il
segno non ci condiziona più perché è opera dello Spirito.
Il segno ci condiziona in quanto per noi è un’altra
realtà; allora è logico: io trovo questo muro, questo muro mi condiziona,
perché non posso passare attraverso; il giorno in cui posso passare attraverso,
non mi condiziona più.
Eligio: Non mi pare che quando la realtà esteriore sia
interiorizzata noi ci sentiamo liberi. Ad esempio quando io prendo coscienza
che i Giudei rappresentano la parte della mia anima che contesta e resiste a
Dio, pur avendo interiorizzato questa realtà esterna, io non mi sento
assolutamente libero, perché in me questa parte tende a prevalere.
Luigi: Ma vedi, loro contestano in nome di una legge che è una
realtà esterna. Essi contestano perché il nostro io contesta, si irrigidisce
nel suo “vero” e ritiene che quello sia vero; per cui quando io mi accorgo che
un altro mi dice una cosa diversa, lo contesto perché “non è così”. Il nostro io però si fossilizza. La regola è un fatto
esteriore, è un fatto esteriore a Dio, perché la regola, se noi la intendiamo
come anima, si interiorizza, ma se la intendiamo invece come regola, come norma
di vita, è un modo di essere, quindi diventa un’esteriorizzazione. Se io la
ritengo poi assoluta, io mi valgo di questa regola, per contestare le opere
dello Spirito.
Eligio: Forse allora non avevo inteso bene: quando tu dici
“interiorizzare” vuol dire “vedere secondo Dio”?
Luigi: Sì, unificare in Dio.
Eligio: Io l'avevo inteso come un portare nell’ambito
dell’anima, per cui pensavo che potevo portare dentro di me questo conflitto
esterno e mantenere in vita questa realtà negativa.
Luigi: No, no, perché Dio abita in noi. Il vero principio di
interiorizzazione è Dio, cioè è soltanto nella misura in cui uno raccoglie in
Dio, interiorizza veramente. In caso diverso le mie realtà restano
esteriori e queste mi condizionano, mi svuotano. Ad un certo momento, è logico,
anche la mia anima è occupata da tutte cose esteriori. La mia anima è occupata!
Per cui il mio mondo interiore è invaso da questo mondo esteriore che mi
soffoca e che non ha più vita.
Noi ci accorgiamo, per esempio, che quando noi apriamo la
nostra anima al mondo esteriore, alle parole degli uomini, poi non siamo
padroni della nostra anima, che la nostra anima è in balia di tutte le parole
che abbiamo sentito, di tutti i fatti esterni e che quando vogliamo
raccoglierci in Dio, non lo possiamo più, perché la nostra anima è schiava di
tutte queste cose.
È il mondo esterno che ha occupato il mondo interno e
l'ha svuotato.
La nostra anima è gettata nelle tenebre esteriori.
Quello che dice Gesù: “Gettatelo
nelle tenebre esteriori”; l'anima che non ha l'abito delle nozze, viene
gettata nelle tenebre esteriori.
L'anima in balia delle tenebre esteriori
non è più padrona di se stessa, perché è dominata dai fatti esterni.
Invece l'anima che è raccolta in Dio,
non è dominata dai fatti esterni, non la toccano, perché i fatti esterni li
vede come segni di Dio, per cui la creatura che è unita a Dio, anche se trova
ad esempio un villano che la calpesta, o le dice male o la distrugge, riceve
tutto dalle mani di Dio, e ricevendolo come segno di Dio, lo riceve ancora come
un segno d’amore da parte di Dio; non vede la creatura, non è condizionata
dalla creatura, la vede come opera di Dio, come segno di Dio. Siccome va alla
ricerca delle significazioni, di quello che Dio le significa attorno, vedendo questa
significazioni, ne trova un motivo di aiuto, una liberazione maggiore. Molte
volte ho fatto l'esempio del confronto tra il ministro e lo spazzino, il
pover’uomo. Ai nostri occhi (quindi esteriorità), il ministro vale molto di più
del mendicante, del pover’uomo, dello spazzino. Se noi consideriamo questi due
fatti come segni di Dio, scopriamo che nel campo delle significazioni, lo
spazzino, il pover’uomo, vale molto di più come significazione, del ministro.
Quindi abbiamo un capovolgimento di valori: mi significa molto di più un
pover’uomo, mi carica molto più di vita dell’uomo ministro, mentre
esteriormente il ministro vale molto di più del pover’uomo. Ecco il
capovolgimento dei valori.
Così, ad esempio, l'altro giorno parlavo con Emma e
dicevo che quando noi stiamo bene, generalmente facciamo difficoltà a pensare a
Dio, perché dobbiamo resistere alla pressione di tante cose che tendono a
distrarci da Dio, invece nella malattia tutto ci fa ricordare Dio: è una
sollecitazione a pensare a Dio.
Allora, vista da Dio, la malattia diventa una grazia,
perché è un aiuto più efficace a pensare Dio che non lo star bene, perché
quando sto bene, io per pensare a Dio, debbo lottare un po’ contro la pressione
di tante altre cose che tendono a portarmi via.
Quando sono ammalato, sono aiutato invece a pensare a
Dio; vedi che abbiamo un capovolgimento? Ecco, con il Pensiero di Dio avviene
questo capovolgimento che è liberazione; invece nel pensiero dell’io, c'è
questa proiezione verso l'esterno che ci assorbe tutto.
Eligio: Per tenebre esteriori
s’intendono gli avvenimenti nel mondo non visti da Dio?
Luigi: Sì, tutti gli avvenimenti del mondo, non visti come
significazione di Dio, perché sono opere di Dio. difatti le chiama tenebre
perché è notte. La luce è la cosa vista da Dio: Dio è Principio di luce.
La stessa realtà per me può essere giorno e può essere
notte, tant’è vero che per colui che è unito a Dio “le stesse tenebre diventano più luminose del sole quando splende a
mezzogiorno”.
Per colui che è unito a Dio le stesse tenebre sono luce,
perché per chi è in Dio le tenebre hanno
significato, quindi una luce; come il povero è carico di significato per chi è
unito a Dio, così anche la notte: è illuminata da Dio. per chi invece non è
unito a Dio, anche le cose che sono luminose diventano tenebrose, perché
distraggono da Dio.
Eligio: Quindi non esistono le tenebre in sé?
Luigi: No.
Eligio: Però le ha create Dio.
Luigi: Dio ha creato le tenebre come significazione. Anche al
notte è segno di Dio, quindi ha la sua luce.
Eligio: Però è la creatura che si mette nelle tenebre.
Luigi: Si capisce, perché le tenebre spirituali sono
create dalla presenza di Dio e del pensiero dell’io che non si fondono: sono la
presenza di due luci.
Invece la luce è data dalla presenza di un Unico
Principio, di un’unica Luce.
Quando noi
sottomettiamo il nostro io e tutte le cose a Dio, entriamo nella Luce.
Quando in noi invece portiamo altro da Dio con noi,
abbiamo le tenebre.
Queste tenebre diventano esteriori per noi e portano via
l'anima: “Gettatela nelle tenebre esteriori dove sarà pianto e stridore di
denti”, dove ci sarà ansia, paura, terrore, ecc.; ma le stesse cose esteriori,
quelle che noi chiamiamo tenebre esteriori, diventano luce per chi è con Dio,
perché sono una testimonianza di Dio.
Pinuccia: Anche solo sul piano della
fede?
Luigi: Sul piano della fede non abbiamo la luce, però vi è
la speranza della luce perché si è già in movimento verso la luce. La fede
non è dire: “Io credo”; la fede è
avviarsi per cercare di capire il significato delle cose che Dio ci fa, perché
credendo in Dio, non posso far a meno, se credo in Dio, di mettermi in
movimento per cercare il significato delle opere di Dio e quando uno cerca il
significato delle opere di Dio è già sul cammino della salvezza, già è
liberazione dalla paralisi. Uno è libero dalla paralisi, non quando arriva a
capire il significato, ma già quando desidera capire il significato, perché
siccome la paralisi è immobilismo, quando uno cerca di capire, è in movimento.
Ma non è lui che si mette in movimento, è Dio che lo mette in movimento perché
senza la fede in Dio, non c'è desiderio di conoscere il significato.
È la fede in Dio che lo mette in movimento verso ciò che
ancora non vede:
-
però so che esiste Dio, credo in
Dio;
-
quindi, se credo in Dio, tutto ciò
che avviene, è opera di Dio;
-
se è opera di Dio, che cosa mi
vuol dire?
Ecco il movimento!
In quanto c'è questo movimento, c'è già liberazione dalla
paralisi.
Invece separati da Dio, tutto diventa motivo di paralisi,
perché non cerco più il significato, mi accontento di quello che vedo, che
tocco, e questa è paralisi, perché mi sottometto, mi rendo succube delle
creature, degli avvenimenti, dei fatti ed io non mi muovo più.
Quindi è un processo di scarto, cioè il Regno di Dio mi
scarta, perché io non mi unisco a Dio, non cerco Dio, e allora mi isola sempre
di più e mi rende succube di fatti sempre più esteriori che ad un certo momento
mi mettono fuori dal Regno di Dio.
Cina: Rendono brutta perfino la
terra.
Luigi: Certo, tutto, anche le stesse parole di Dio per noi
diventano brutte. Vedi che qui, di fronte alle parole di Dio (Dio che guarisce
il paralitico: è parola di Dio), i Giudei lo ritengono un bestemmiatore.
Vedi il nostro io a che punto arriva quando non tiene
presente Dio?
“Vi
manderanno a morte, credendo di rendere gloria a Dio”; ecco a
che punto si arriva nel pensiero dell’io. Abbiamo un capovolgimento completo.
Cina: È proprio fare un danno.
Luigi: È proprio farsi un danno, perché non è che noi facciamo
un danno agli altri; facciamo un danno a noi stessi, perché l'altro, se è unito
a Dio, riceve tutto da Dio, anche la crocifissione; il danno ricade solo su di
noi. Il danno ricade solo su chi è disunito da Dio, per cui tutto quello che
l'uomo fa disunito da Dio, ricade tutto su di lui: sono pietre che lanciate in
alto ci ricadono sulla testa, perché se siamo disuniti da Dio, tutto ricade su
di noi, a danno nostro.
È un processo di rigetto del Regno di Dio di un corpo che
non si assimila.
Quando noi diventiamo un corpo che non fa più parte
dell’organismo, che non entra nell’ordine dell’universo di Dio, nel Regno di
Dio, tutto il Regno di Dio avvia un processo di rigetto, e noi a poco per volta
siamo rigettati da tutte le cose.
Per cui noi troviamo che, trascurando Dio, ci rendiamo
nemiche anche tutte le creature; saremo contestati da quelle stesse creature in
nome delle quali noi abbiamo trascurato Dio.
Basta pensare che quando uno ama una creatura al posto di
Dio, senza tener presente Dio, diventa possessivo in questo amore.
Ma l'amore possessivo tende a soffocare talmente la
creatura, che ad un certo punto la creatura se ne va, perché l'altro tende a
strumentalizzarla totalmente.
La creatura non può sopportare l'assorbimento totale, per
cui si diventa contestati da quelle stesse creature che noi amiamo e per le
quali noi abbiamo trascurato Dio.
Invece, amando veramente Dio, si amano veramente le
creature, ma si amano a tal punto che vedendo il male, vedendo il peccato,
vedendo la colpa, si prende su di sé la colpa del fratello; non la si
attribuisce più al fratello, ma la si prende su di sé.
Come vedendo un ubriacone, un mendicante, debbo prendere
su di me questa lezione, poiché Dio mi dirà: “Guarda che sono Io che ho vestito un mio angelo da ubriacone, da mendicante,
per far capire a te la tua ubriacatura; ho reso paralitico un uomo per far
capire a te la tua paralisi”.
Chi è unito a Dio capisce che le creature che vede
davanti a sé sono un mezzo di salvezza che Dio gli presenta.
E allora, vedendo questo, prende su di sé la colpa,
perché se quel tale è così, la colpa è mia; quel tale muore per me; così
prendiamo su di noi la colpa del fratello.
C'è una pagina su questo libro “La preghiera del cuore”, che parla proprio del vero amor di Dio
che fa prendere su di sé le colpe del fratello.
A pagina 93 racconta la storia di quel rabbino Suziya che
chiede il dono della visione del bene e del male nei cuori; poi inorridito,
supplicò che Dio non gli facesse più vedere il male; ma il suo maestro rispose
che i doni di Dio sono irrevocabili, per cui avrebbe pregato il Signore di
aggiungere un dono nuovo: di scorgere cioè con una tale forza la sua identità
con il fratello in modo che tutto il male che egli vedrebbe, lo vedesse non più
come quello dell’altro, ma come suo proprio.
Poi a pagina
92 dice: “La preghiera di Silvano per gli uomini, trae la sua fonte dalla
comunione profonda con i peccatori”.
Ecco, questa profonda comunione con tutti, è proprio
determinata dal fatto che Dio mette attorno a noi lo specchio di noi, per farci
scoprire noi, quindi per salvarci.
E prosegue: “Un giorno che egli è schiacciato da prove e
tentazioni di ogni genere, chiede al Signore che cosa debba fare perché il suo
cuore divenga umile. E il Signore gli risponde: “Tieniti col pensiero in
inferno e non disperare”.
È molto bello! Per cui se il Signore ti presenta anche
situazioni infernali, tu tieniti col pensiero in inferno, ma non disperare,
perché Dio lo fa per te, per salvarti.
Eligio: Anche per non rischiare la presunzione di trovarsi già
in Paradiso e di perderlo.
Luigi: Sì, certo. vedi quanto è vicino questo a Santa Teresa
del Bambin Gesù che disse: “Se fosse per fare la volontà di Dio, sono disposta
anche ad andare in inferno”. Vedi che coincidono gli spiriti? Quindi formare una
cosa sola anche col peccatore.
Rina: Anche quel calzolaio che
Sant’Antonio era andato a trovare.
Luigi: Sì, era disposto ad andare all’inferno per salvare
l'altro.
Pinuccia: Il messaggio del capitolo V lo farei partire da questo
ammonimento di Gesù che troviamo al centro del suo discorso: “Viene l'ora ed è questa…”, ammonimento
che mi deve scuotere, responsabilizzare, rendere vigilante e pronta alla
risposta che mi significa l'incontro tra la terra e il cielo:
-
“Viene
l'ora ed è questa” in cui Gesù sale a Gerusalemme; Gesù viene
incontro alla mia anima che giace sotto una molteplicità di malattie che la
rendono cieca, paralitica, sorda, dispersa e che le impediscono di entrare
nella Città di Dio, nel Tempio di Dio. molti pensieri e pressioni esterne e soprattutto
il pensiero del suo io, le impediscono di buttarsi dietro la Parola di Dio
quando le giunge, prima di tutto. “Non ho
nessuno”: ormai ha potuto constatare la propria impotenza, ormai non conta
più su di sé, né su altri.
-
“Viene
l'ora ed è questa” in cui Gesù domanda alla mia anima: “Vuoi essere guarita”? e le dice: “Alzati, prendi il tuo letto e cammina”.
È solo la Parola di Dio che può guarire la mia anima dalla sua paralisi, se la
seguo, se l'ascolto, l'affermo e la difendo contro tutti gli altri argomenti
contrari, come ha fatto questo paralitico: “Colui
che mi ha guarito mi ha detto…”.
-
“Viene
l'ora ed è questa” in cui Gesù mi offre la guarigione, la quale
si realizza solo nel sabato, se raccolgo la sua Parola che mi invita ad alzare
il mio sguardo al Padre, superando il mio io e l'apparenza delle cose,
introducendomi così nel sabato, nel settimo giorno, cioè nel Tempio in cui mi
sento conosciuta, trovata da Gesù. La sua Parola mi allontana dalla folla,
perché Gesù si allontana dalla folla, per sollecitarmi ad entrare nel Tempio,
cioè se permarrò nel suo ascolto, senza più distrarmi da Lui. E allora qui
nel Tempio, Lui mi farà conoscere il Padre e nel Padre conoscerò chi è Lui.
-
“Viene
l'ora ed è questa” in cui tanto a chi rimane nel Tempio, come a chi
ne resta fuori e a chi ne esce, Gesù parla del Padre. Nolenti o volenti, la
Verità ci raggiunge ovunque siamo e comunque siamo, smuovendoci dalle nostre
sicurezze, dalle nostre regole e abitudini, per invitarci a fare il passaggio
dal nostro mondo al mondo di Dio: “Il
Padre mio opera tuttora, è sempre all’opera, ed anch’io pure opero”, dice
Gesù che comincia a portare a compimento l'opera del Padre, parlandoci in modo
toccante e sublime dei suoi rapporti con il Padre, indicandoceli come meta e
vocazione nostra: “Chi ascolta la mia
parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha la vita”. Infatti con la sua
Parola Egli ci insegna come si diventa figli, perché è solo diventando figli
che si guarisce dalla paralisi che ci blocca nel nostro cammino verso Dio, verso
la vita:
-
“Il
Figlio da sé non può far nulla se non lo vede fare dal Padre”;
-
“Quello
che il Padre fa anche il Figlio lo fa”;
-
“Il
Padre mostra al Figlio tutto ciò che fa”;
-
“Io
non posso far nulla da me stesso”;
-
“Non
cerco la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato”;
-
“È il Padre che rende testimonianza per me”.
-
“Viene
l'ora ed è questa in cui chi ascolta la mia parola e crede in Colui che mi ha
mandato, passa da morte a vita”. La sua Parola è un invito
accorato rivolto a noi affinché guardiamo dove è la nostra vita: il Padre. È un
lamento ed è un rimprovero, “perché noi
non abbiamo ancora udito la sua voce”, e se l'abbiamo udita “abbiamo voluto gioire per un istante alla
sua luce” e subito l'abbiamo dimenticata “perché non abbiamo la sua Parola dimorante in noi”, perché “non vogliamo venire a Lui che è la via, per
avere la vita” e perché “elemosiniamo
la gloria gli uni dagli altri, anziché cercare la gloria che viene dall’unico
Dio, dal Padre”, e “perché riponiamo
la nostra fiducia nella lettera della Legge e non nello Spirito di essa, perché
non superiamo la terra e non guardiamo al cielo”.
-
“Viene
l'ora ed è questa in cui i morti, coloro che sono nei sepolcri, ascolteranno la
voce del Figlio di Dio e coloro che l'avranno ascoltata vivranno”.
Cioè “Viene l'ora ed è questa” in cui i veri paralitici nello
Spirito, ascolteranno la voce del Figlio di Dio e cammineranno verso la
conoscenza del Padre. È solo infatti ascoltando il Figlio e contemplando il
Padre che veniamo guariti dalla paralisi dello Spirito e cominciamo a camminare
verso la vita.
È quanto Gesù ci fa capire nella seconda parte di questo
capitolo, di cui la prima parte è segno.
-
“Viene l'ora ed è questa”,
cioè oggi, qui per me (è detto questo per me), l'ora cioè in cui i paralitici
dell’anima possono guarire.
Luigi: Certo, però non è detto che siano liberati dalla
paralisi: lo sono solo se ascoltano. Perché con Dio non c'è mai l'automatismo:
c'è sempre diversità tra il “tutti” e “qualcuno”, tra i “tutti” e i “molti”;
“molti sono chiamati, pochi sono gli eletti”, perché c'è sempre la richiesta di
una adesione personale. Dio parla per tutti, ma non tutti si salvano. Questo
non lo dice perché non tutti si salvino, ma per dirci che per giungere alla
salvezza è necessaria la partecipazione personale. “Molti sono i chiamati, pochi gli eletti”. Non vuol dire che gli
eletti non siano molti, però sono “pochi”, nel senso che si richiede sempre la
partecipazione personale.
Pinuccia: Colpisce che Gesù parli del Padre proprio ai Giudei che
lo perseguitano; quindi praticamente Lui la Verità la offre a tutti, si voglia
o no ascoltare.
Luigi: Certo, infatti fa un discorso molto sublime e l'abbiamo
visto; ci abbiamo messo tanto tempo appunto perché si tratta di argomenti molto
alti che sono argomenti di cielo. Il Signore fa differenza tra argomenti della
terra e argomenti del cielo. Gesù quando parla a Nicodemo dice: “Se ti ho parlato di argomenti della terra e
stenti a credere, come potrai credere quando parlerò di argomenti del cielo?”.
Ecco fa differenza tra argomenti della terra e argomenti del cielo. Non
possiamo credere agli argomenti del cielo, se non crediamo agli argomenti della
terra, che sono terra a terra: cioè è quella fedeltà nel poco che ci richiede e
di cui abbiamo parlato prima. Si tratta proprio di vedere l'opera di Dio nelle
cose della terra, se vogliamo aprirci e comprendere le cose del cielo. Questa è
la condizione per aprirci a ricevere il molto, il molto che è la conoscenza del
Padre. Alla la conoscenza del Padre, cioè alla conoscenza di ciò che Dio è, non
si arriva se noi non siamo fedeli nel poco, ma la fedeltà nel poco sta nel
cercare di capire quello che Dio mi significa nelle cose della terra, perché
Dio opera nelle cose della terra.
Cioè si arriva a capire Dio “Chi è”, cercando di capire quello che Dio fa, ciò che Dio fa nelle
cose della terra.
Per cui Dio crea la terra, e poi opera nelle cose della
terra per noi. Se noi crediamo in Dio, ci mettiamo in movimento. L'opera di Dio
ci mette in movimento, per farci cercare di capire il significato di quello che
Lui fa nelle cose attorno a noi.
La guarigione del paralitico è una
cosa della terra.
Il discorso che Gesù fa con Nicodemo,
è un discorso della terra. Ora, se Nicodemo non si apre a quel discorso, gli riesce
impossibile capire le cose del cielo. Le cose del cielo sono la conoscenza del
Padre, ciò che Gesù, il Figlio di Dio dice a noi del Padre. Se noi non
accettiamo il discorso di Dio nella terra, non possiamo accettare a maggior
ragione il discorso di Dio nelle cose sue, delle cose eterne. Ecco perché “Chi è fedele nel poco, riceve il molto, ma
chi non è fedele nel poco, il molto non gli viene dato”. Non gli viene
dato, non nel senso che Gesù non lo offra (perché Gesù parla anche ai Giudei
delle cose del Padre); ma non gli viene dato perché non possono capirlo
assolutamente, non possono recepirlo. Quindi non nel senso che Dio non dia: Dio
dà, ma la creatura non ha la capacità di ricevere, non è degna, cioè non ha
fame, non ha desiderio; non avendo il desiderio, non può ricevere. Ritiene le
cose di Dio come cose astratte, la realtà per quella creatura è un’altra, e
siccome diventiamo sempre figli della realtà, di quello a cui crediamo, Dio ci
dice: “Ti sia fatto secondo la tua fede”.
Quindi se io credo nella materia, io necessariamente divento figlio della
materia e non posso farne a meno; ma diventano figlio della materia, per me,
tutte le cose che riguardano lo Spirito, riguardano Dio, sono cose astratte,
lontane, non si toccano, non si possono toccare. Per essere aperto alla realtà
di Dio, io debbo credere in Dio, e vedere l'opera di Dio nelle cose della
terra, quindi non vedere le cose della terra come materia, ma vedere anche la
stessa materia come impregnata di Spirito, perché effettivamente è impregnata
di Spirito, perché è segno dello Spirito. La terra appartiene al cielo. Se
invece dimentichiamo lo Spirito, vediamo le cose della terra come essenzialità
e allora capiamo come ad esempio abbiamo un Marx in cui si tende ad assorbire,
a trasformare tutto il Vangelo; abbiamo un Freud in cui si tende ad assorbire
tutto e che vuol dare una chiave d’interpretazione anche del Vangelo; anzi
tendono a materializzare anche quello che è Spirito, e tendono a rendere
sessuale anche quello che è Spirito. Ecco perché l'uomo, naturalmente,
accostandosi a Dio, deve unificare tutto in quella realtà in cui crede. Se io
credo nella materia, ad un certo momento debbo fare tutto materia, anche lo
Spirito; se io credo nel sesso, ad un certo momento devo fare sesso anche le opere
più angeliche, non posso più vedere altro. Questa è una testimonianza del
nostro destino; ci testimonia che se noi crediamo in Dio, ad un certo momento
spiritualizziamo tutto. Ed è lì la nostra liberazione, per cui ad un certo
momento diventa tutto cielo, per chi crede in Dio. ora, proprio perché abbiamo
questo destino, abbiamo questo terribile rischio: di poter unificare tutto
nell’errore, cioè nei valori inferiori ai quali noi aderiamo. I materialisti,
naturalmente non possono capire la visione spirituale di chi crede nello
Spirito, non possono credere al Vangelo, per cui debbono impoverire il
superiore fino a renderlo banale (cfr. “Il
Vangelo interpretato in chiave psicanalitica”).
Ma anche questo è una rivelazione del nostro destino
unitario: noi siamo stati creati per unificare tutto nella gloria di Dio:
sbagliato meta, noi unifichiamo tutto in un pensiero sbagliato e dobbiamo
capovolgere tutto. Quello che diceva Pascal: “Grandezza e miseria dell’uomo”. L'uomo porta una grandezza immensa
e nello stesso tempo un’immensa miseria.
Pinuccia: Solo pensando a Dio si unifica nella Verità, perché Dio
è Principio di tutto; unificando in altro è chiaro che è sbagliato.
Luigi: Non solo: pensando a Dio si unifica nella Verità, perché
è una Verità che si verifica con una grande liberazione dell’uomo. Guarda chi
cerca Dio: ad un certo momento è uno specchio di luce, ha la pace. Invece vedi
gli uomini che corrono dietro ai valori del mondo, ad un certo momento
scatenano delle guerre a non finire e distruzioni in tutto il mondo ( vedi un
Hitler ad esempio), si soffoca tutto, si crea infelicità e morte, e anche
questa è una grande testimonianza.
Rina: Ci fa bene il richiamo del Papa ai valori tradizionali,
a Cristo, ecc.
Luigi: Sì, “Aprite le
porte a Cristo”, e anche alla Madonna.
Eligio: Sì, ha presente l'essenziale.
Pinuccia: Nel suo discorso ieri sera ha parlato su valore
dell’interiorità.
Luigi: Concludendo, come sintesi, diciamo quale sia l'anima del
capitolo.
Pinuccia: L'anima è questo ascolto della Parola che ci fa passare
dalla terra al cielo.
Luigi: È proprio questa dinamicità che collega i suoi segni con
la Sostanza, con la Realtà. Apparentemente sembrano due parti separate: la
guarigione del paralitico e tutto il discorso spirituale del Cristo su Padre;
invece c'è un collegamento. Dobbiamo vedere questo passaggio e dobbiamo tenerlo
sempre presente. Sempre, di fronte a tutti gli avvenimenti, dobbiamo metterci
in movimento verso il significato: “Che
cosa Dio mi vuol dire?”, ci apriamo per poter ricevere il discorso su ciò
che Dio è .
Ecco, il Cristo, Figlio di Dio che parla del Padre, ma: “Se voi non credete alla testimonianza di
Mosé - la fedeltà nel poco - non
potete ricevere le mie parole”, dice Gesù. Mosé è la sintesi dell’universo,
del Vecchio Testamento, quindi anche della creazione, della natura, dell’opera,
della Legge.
Se voi non captate l'anima di Dio in tutte le cose
esterne che Dio ha fatto, nella Legge stessa, in Mosé, perché in quelle cose ha
parlato di Me, come potrete aprirvi al discorso che io vi faccio sul Padre?
Ecco
l'anima del capitolo V:
-
la necessità della fedeltà nel
poco: credere in Mosé “Che cosa mi vuoi
dire, Signore?”.
-
per aprirci ad intendere il molto:
il discorso sul Padre.
Ma questa fedeltà nel poco consiste (è necessario
precisarlo in termini dinamici), nel chiederci che cosa Dio ci vuol dire nelle
cose che ci presenta. Se in noi c'è questo interesse, per cui, nelle cose che
ci capitano attorno, noi sentiamo il bisogno di cercare il senso, il
significato che Dio ci pone in questo, allora la nostra anima si dispone ad un
discorso superiore; in caso diverso no, non possiamo ricevere il discorso
superiore e quindi non usciamo dalla nostra paralisi.
Ora chiediamoci: io mi interrogo?
Se io mi interrogo (anche se in realtà non sono io che mi
interrogo), vuol dire che ho fede in Dio, credo in Dio.
Se ho fede in Dio il segno è questo: mi interrogo su che
cosa Dio mi vuol dire. Se io sento in me questa interrogazione: “Chissà cosa mi vuol dire Dio in questo?” vuol
dire che ho la fede in Dio, perché la fede in Dio provoca in me questa
interrogazione. Il pensiero di Dio mi provoca questo. E se mi provoca questo,
mi apre all’interesse per il parlare del padre, per le cose eterne.
Eligio: C'è però un passo che precede l'interrogazione ed è
l'accettazione, no? Dire cioè: “È Dio che me lo manda”.
Luigi: Sì, questo è sostanziale, infatti il fondamento della
costruzione di tutta la vita dello Spirito è questo: accettare tutto da Dio.
Nella misura in cui uno accetta a interrogare sul significato, i fatti
diventano significativi. In un primo tempo sono i grandi fatti che s’impongono
e facilmente su essi noi ci chiediamo: “Chissà cosa vogliono dirci?”. Ad un
certo momento il semplice rumore di una sedia, il chiudere una porta, andare a
togliere un bidone, le minime cose ti caricano di interrogazione.
Eligio: Sì, perché nulla può essere casuale.
Luigi: Nulla, e appunto perché nulla è casuale, tutto diventa
significativo e quindi motivo di interrogazione.
Eligio: Dio è Atto primo, perché è Lui il Protagonista di tutto,
di ogni fatto, di ogni cosa, tanto in questa lampada, come nello spostare
questo libro, anche nel toccare questo registratore, e allora tutto è carico di
significato. Però, se affermo questo con superficialità, subisco allora il peso
delle cause seconde.
Luigi: E già, l'Atto primo è Persona che mi parla, ed è Causa
prima di tutto, Protagonista di tutto.
Eligio: Certo, se io avessi questa fede, quando mi sono
ricordato durante una conversazione su Dio, che avevo i bidoni di benzina
vicino al bruciatore, non mi sarei alzato per andarli a togliere. Me ne sono
chiesto il significato senza però capirlo.
Luigi: Il porsi il problema vuol dire avere già presente il
Pensiero di Dio, perché il problema non sono io che me lo pongo: è il Pensiero
di Dio che me lo pone.
Pinuccia: Sì, è Dio che mi sollecita fare questo atto di fede. Ma se io invece
dico: “Grazie che me l'hai ricordato”
e vado a spostarli, è un rifiuto alla sua proposta?
Luigi: In quanto mi ricordo di Dio, già entro nella proposta di
Dio, però, per restare in essa, debbo cercare il significato, perché Dio non mi
fa ricordare perché io abbia a spostare la cosa, ma perché io ne cerchi il
significato.
Il fatto di chiedermi che cosa mi vuol significare è
positivo. Non vuol dire però che io possa rispondere o che Dio mi risponda,
perché Dio mi può voler far toccare con mano la mia povertà e allora non mi
risponde; però mi pone il problema: il sentire il problema o non avere la
possibilità di capire è già positivo; “Signore,
vedi quanto sono povero”. Però questa povertà, questo nulla nostro, è
positivo, perché ci aiuta a scoprire il Tutto di Dio, cioè ci aiuta a scoprire
che Dio ci pone il problema, e che Dio è anche Colui che risolve il problema, per
cui io debbo guardare più intensamente a Lui, per risolvere quello che non
vedo, che Lui mi ha posto e che non vedo. Il Signore mi pone il problema, mi
pone l'interrogativo e poi dice: “Vieni
da me, perché la risposta la do io” e fintanto che io non sono capace di
andare a Lui con quella purezza, con quella immacolatezza di pensiero che si
richiede per ottenere la luce, non risponde. E bisogna ringraziare Dio che non
risponde, perché non rispondendo mi dà la possibilità di accogliere con più
amore e con più capacità di penetrazione la sua risposta quando me la darà. È
per farmi maturare in profondità che mi fa aspettare: l'amore si perfeziona
nell’attesa.
Eligio: Mi mette in situazione di umiltà che è premessa alla
fede.
Luigi: Certo, ma perché l'umiltà è premessa alla fede, alla
luce? Perché l'umiltà forma in noi il recipiente, il vuoto capace di essere
riempito. Quando noi non siamo umili, praticamente siamo recipiente pieno, è la
tazza piena. La tazza piena non riceve altro, lo versa fuori.
Abbiamo visto qui la lezione dei Giudei, dei farisei:
erano la tazza piena, perché nella loro legge erano sicuri, di modo che
l'avvenimento nuovo viene rifiutato, perché l'avvenimento nuovo è caffè che di
versa in una tazza già piena, che non riceve altro. Invece l'umiltà è valida
proprio perché è vuoto, è tazza che continuamente si svuota. E come si fa a
svuotare? Si svuota nel senso che l'anima che è umile, attribuisce sempre tutto
a Dio: attribuendo tutto a Dio, automaticamente si svuota, quindi è sempre
capace per ricevere altro. Invece quando io dico: “Io so”, è finito, la mia tazza è piena, non riceve più. Allora
succede questo: che gli uomini in nome di quello che sanno, si impediscono di
sapere quello che non sanno. Per cui l'uomo deve sempre partire dal “non so”, di fronte a Dio.
Pinuccia: Anche se in quel momento Dio ci rivela qualcosa,
dobbiamo dire “Non so”?
Luigi: In quanto Dio si rivela, chi è unito a Dio, lo riporta
immediatamente a Dio: “Non è mio”; nel
passaggio dall’io a Dio, continuamente l'anima si svuota, per cui è novità
continua di Dio. Anche le cose che tu già sai, in quanto Dio te le manda, le
ricevi come novità, se superi te stessa, perché è nel pensiero dell’io che noi
diciamo: “già so”, e divento vecchio.
Ma se penso a Dio, il fatto di passare dall’io a Dio, forma la novità. Dio
viene continuamente a noi, è un Essere sempre nuovo, perché richiede da noi
sempre un superamento. È novità continua. Non potremo mai dirgli: “Tu ormai per me sei vecchio!”, perché
richiede sempre da noi il superamento di noi stessi, e lì si forma la novità. È
nel pensiero del mio io che dico: “Questo
l'ho già visto”, perché non posso riferirlo al mio io, debbo riferirlo a
Dio; e siccome Dio è sempre superiore, in ogni sua manifestazione è sempre
nuovo per noi; anche nella numerazione: uno, due, tre, quattro, cinque… ogni
numero è diverso. Non c'è ripetizione assoluta. La ripetizione assoluta è
grossolanità da parte nostra: è la nostra grossolanità che vede la ripetizione.
Siamo noi che facciamo la monotonia, nel pensiero dell’io diventiamo
grossolani; nel pensiero di Dio diventiamo fini, perché il Pensiero di Dio ci
costringe a cogliere tutte le sfumature delle sue opere, perché non ci lascia
trascurare niente. Nel pensiero dell’io invece noi siamo terribilmente
grossolani: “Questo l'ho già visto,
quell’altro l'ho già sentito” e buttiamo via l'acqua e il bambino.
Eligio: Oppure ci lasciamo andare all’automatismo di
ripetizione: faccio questo senza pensarci, mentre non mi rendo conto che sono
causa seconda: faccio questo perché c'è una causa prima, che me ne dà la
possibilità.
Luigi: L'automatismo, l'abitudine, la quantità, sono sempre
grossolanità.
Eligio: E siamo nella colpa?
Luigi: E siamo nella colpa perché trascuriamo Dio; non
trascurando Dio, noi non possiamo far niente per abitudine, perché Dio è
finezza, è spirito di finezza; Pascal parla de “l'esprit de finesse”.
Eligio: E lo contrappone a “l'esprit de géometrie”.
Luigi: E già: cioè c'è lo spirito di quantità e lo spirito di
finezza, cioè quantità e qualità.
Eligio: Nel senso che non c'è in Dio la stessa cosa, la stessa
azione, che sia fatta nello stesso modo.
Luigi: No, perché Dio è creazione, creazione continua; il che
vuol dire che non smentisce niente di quello che ha fatto, ma non ripete niente
di quello che ha fatto. Non smentisce e non ripete, ma quello che fa è sempre
nuovo in quanto comprende il vecchio e aggiunge qualcosa di nuovo. Quando io
dico cinque, rispetto a quattro, io dico il quattro, non smentisco il quattro,
ma aggiungo un’unità al quattro e quindi ho il cinque. E così andando avanti:
la creazione è continua e abbiamo un numero che si aggiunge sempre, ma
nell’aggiunta abbiamo qualcosa di nuovo e se io debbo pensare che differenza
c'è tra il quattro e il cinque, scopre questo qualcosa di nuovo e questo mi dà
gioia.
Pinuccia: E questo anche nelle cose materiali?
Luigi: In tutto, perché non c'è materialità. La terra è carica
di Spirito: il Verbo di Dio parla e penetra proprio nella materia.
Eligio: Cioè la materia è in noi, non è in Dio.
Luigi: È logico.
Pinuccia: Anche tra i miliardi di miliardi di fili d’erba che ci
sono stati, ci sono e ci saranno, non ce ne sarà uno uguale all’altro?
Luigi: Sono tutti diversi. Osserva anche solo un filo
d’erba e già sprofondi nell’infinito. È
solo la nostra superficialità che dice: “un
filo d’erba è uguale a tutti gli altri”. Siamo noi nella nostra
superficialità. Ma se noi scoprissimo la posizione in cui il filo d’erba è,
l'esposizione al sole in cui si trova, la qualità del terreno, tutto lo fa
diverso da tutti gli altri. È come gli uomini: non c'è nessuno perfettamente
uguale all’altro. Grossolanamente noi diciamo: “Sono tutti uguali”. Se li osserviamo in Dio, siccome Dio ci fa
cogliere anche le finezze, perché bisogna tener presente tutto in Dio, in
quanto tutto è segno di Dio, allora constatiamo che non sono uguali. Non posso
quindi considerare solo il filo d’erba in sé. Devo considerare il filo d’erba
dove è nato, che cosa ha assimilato, che cosa ha ricevuto, e allora scopro la
novità. Ad un certo momento si apre a me l'infinito in ogni punto, perché Dio
in ogni suo punto rivela tutto Se stesso: non è che Dio per rivelare Se stesso
abbia bisogno della totalità: basta un punto. È significato dall’Eucarestia: anche
un minimo frammento dell’Eucarestia contiene tutto Dio, non una parte: sono
segni. Quindi anche un minimo cenno della creazione contiene l'infinito di Dio.
giustamente in questo libro si dice: “Bisogna
fare di tutto Eucarestia”; un altro dice: “Tutto è sacramento”; appunto perché il Verbo di Dio parla in
tutto. Ora, come il Vangelo è quel sillabario che mi apre a capire i libri di
Dio (tutto è scrittura di Dio), così l'Eucarestia è il segno che mi apre a
capire tutti i segni. Tutto è Eucarestia, perché attraverso tutte le cose Dio
viene a noi. Le cose sono opere sue, sono segni suoi: tutto è opera sua. Invece
nel pensiero dell’io noi facciamo vecchie tutte le cose, diventiamo grossolani,
non cogliamo più la finezza e diciamo: “Questo
mondo è tutto uguale, che noia!” e non ci accorgiamo invece che condanniamo
noi stessi. È l'uomo che seduto sull’albero si taglia il ramo su cui è seduto.
Nino: Praticamente è l'abitudine che distrugge la novità.
Luigi: È l'abitudine, però anche lì: la nostra abitudine è conseguenza
del pensiero del nostro io, è già azione di rigetto di Dio, del Regno di Dio
verso di noi che ci siamo separati da Lui. È già azione di rigetto nel senso
che: l'abitudine nell’amore è già rigetto dell’amore. È l'amore che ti rigetta.
In quanto io mi adeguo all’abitudine, o al dovere, non tengo conto di Dio: cioè
tutti gli elementi quantitativi sono espressioni del mio io che non considera
più Dio: allora cado nella quantità, nell’abitudine, nella regola, nel dovere e
tutte queste sono espressioni di decadenza dello Spirito: è lo Spirito che si è
separato e allora tutto diventa cenere, tutto resta bruciato.
Eligio: E di lì vengono poi le malattie depressive.
Luigi: Queste sono le conseguenze gravi: le nevrosi, che sono
proprio espressioni di decadenza, di fratturazione, perché il processo di
frattura che noi abbiamo iniziato con Dio si ripercuote all’infinito su tutto e
anche dentro di noi, per cui diventiamo incapaci di pensare, perché l'uomo
fratturato ha il pensiero fratturato e quindi è continuamente contraddetto, non
riesce più a pensare, non ha più la possibilità di pensare.
Eligio: Le nostre stesse stanchezze quasi sempre sono dovute al
fatto che il nostro io non accetta una certa realtà: se noi avessimo presente
che è Dio che ci manda quella persona, quella difficoltà, che ti mette in una
certa situazione, che vuole da te quell’orario di lavoro, che vuole da te un
certo rapporto con quella persona, la nostra stanchezza si tramuterebbe in
forza e gioia.
Luigi: Sì, se tieni presente Dio, in continuazione devi
riportare a Dio, devi riferire a Dio, devi aggiustare il tuo occhio con Dio.
Ora, questo sforzo che all’inizio è notevole, “Sforzatevi di entrare”, di sempre
riferire a Dio, il tutto riportare a Dio, di sempre cercare in Dio quello che
cosa Dio mi vuol dire con questo o quello, mi crea la novità, mi crea un
impegno di intelligenza, ed è questo che mantiene la giovinezza, perché noi
diventiamo vecchi soprattutto come intelligenza. Ora con Dio si opera essenzialmente
con l'intelligenza.
Eligio: Ma il positivo non è tanto perché scaltrisce le facoltà
intellettuali nostre….
Luigi: No, è finezza di Spirito. Dio fa le cose in modo
meraviglioso “Tutte misurate, le pesa, le
misura, le adegua, sono tutte proporzionate”, dice la Bibbia. E Dio ti sollecita ad andare presso di Lui
per attingere presso di Lui la bellezza, il significato, la finezza delle sue
opere. E questo è partecipare della gloria di Dio. Ora, trascurare questo è proprio
trascurare la nostra vita, ma anche la nostra felicità, la nostra gioia. Noi
facciamo un danno grave a noi stessi trascurando l'unione con Dio. questa è
sapienza, la più elementare, perché gli abitanti dell’India, già quattro o
cinquemila anni ancor prima di Cristo, dicevano che è una pazzia da parte
dell’uomo il non curarsi dell’unione con Dio.
Già Adamo ha riscontrato questa pazzia del non tener
conto dell’unione con Dio.
Noi facciamo un danno enorme a noi stessi, ma è da notare
che noi facciamo questo danno a noi stessi, credendo di fare un bene a noi
stessi, di essere furbi. Troviamo la legge del contrappasso: noi trascuriamo
Dio, perché “Così riesco a far di più, riesco a guadagnare di più in pane, in
onore, in gloria, le cose in cui c'è il pensiero del nostro io”.
Eligio: All’inizio questo può essere, però quando ad un certo
punto capiamo di non essere furbi, purtroppo non riusciamo più a raddrizzarci.
Luigi: Non riesci più, sei legato.
Rina: Vediamo il bene, ma non riusciamo più a farlo.
Luigi: È la conseguenza del fatto che io volevo essere furbo.
Eligio: Sì, c'è stato un errore di scelta all’inizio, non so se
per furbizia o per condizionamenti familiari o economici, però ti accorgi ad
una cera età che non puoi più slegarti: magari sono già passati i 38 anni del
paralitico e non riesci più a buttarti nella piscina.
Luigi: Certo, perché sei paralizzato. È una conseguenza dei
fatti precedenti. È tremendo! Vediamo la piscina e non possiamo buttarci; è
come quando vediamo la bellezza di una gita in montagna e non possiamo farla.
Pinuccia: Ogni riga in questo capitolo quinto ci dà uno spunto per
approfondire un tema diverso.
Luigi: È meraviglioso! Ed è anche meraviglioso nel suo insieme:
vedere lo sviluppo che passa dalla prima parte alla seconda; che cosa
significano questi due mondi: un mondo è in movimento verso l'altro e questo è
molto valido. Noi in un primo tempo facciamo l'analisi di ogni frase del
capitolo, ma poi è anche bello vederlo nel suo insieme, perché tutto ha un suo
significato.
Pinuccia: È come salire su una vetta e di lì vedere nel suo
insieme tutto il panorama, tutti i sentieri percorsi, ecc.
Luigi: Ogni cosa è valida, è valida nel particolare ed è valida
nella totalità.
Pinuccia: Però non avremmo potuto fare questa sintesi finale, senza
aver analizzato prima ogni singolo versetto.
Luigi: La sintesi si fa dopo. Questo è anche segno per dire che
noi arriveremo alla grande sintesi, alla conclusione della vita, e quindi alle
grandi bellezze: la bellezza è sintesi, è unità. Si arriva all’unità in quanto
si aderisce passo, passo alla lezione di Dio. Ora, più si aderisce alla lezione
di Dio passo per passo, più si prepara il terreno per la grande bellezza. La
bellezza è unità del tutto: ad un certo momento nel disegno finale, si vede
tutta l'opera che Dio ha fatto unicamente per salvare la nostra anima, cioè per
rivelare Se stesso a noi. Ecco, è lì il grande amore che Dio fa nascere nel
nostro cuore e che ci fa dire: “Signore,
hai creato tutte le stelle, tutto l'universo, tutto quello che esiste, solo per
salvare la mia anima”. Lì capiamo la grandezza dell’amore che Dio ha per la
nostra anima: ha fatto tutto per salvarla.
Pinuccia: Magari prima si vede tutto separato: gli avvenimenti
della nostra vita, ecc.
Luigi: Sì, all’inizio si vede tutto separato, però bisogna già
accettarlo dalle mani di Dio, perché ci educa. È come il sillabario; il
sillabario incomincia a farci compitare a, b, c, d; a= asino; b= bue…, tutto
staccato, per poter arrivare poi a leggere. Ecco, Dio all’inizio comincia così:
ci fa vedere le cose staccate, perché noi siamo piccoli.
Perché si fa il sillabario? Perché noi non siamo capaci a
leggere nella complessità e allora Dio ci educa alle piccole cose: “Vedi? Questo piccolo segno accade perché tu
devi ripensare questo, ti voglio significare questo, e quest’altro piccolo
segno…”.
Ora il poco, a poco per volta, riusciamo a capirlo: la
lezione del filo d’erba, la lezione della montagna, la lezione della goccia
d’acqua; ecco, tutte piccole lezioni…
Ora, seguendo il Vangelo, il Signore ci educa (ecco il
sillabario), ad associare il suo Spirito con i suoi segni: ecco, che cosa Lui
significa attraverso quel segno lì, attraverso quell’altro segno, quell’altro
segno là: “Vedi? Il seme che cade nel
terreno, in terreni diversi, vuol significare questo: il seme rappresenta la
mia parola, per cui tutte le volte che tu vedi il seme, ricordati che la mia
parola è un seme”; e ci educa a questo.
Ad un certo momento noi arriviamo alla sintesi, cioè
arriviamo a leggere.
La lettura è una sintesi di tutto un mondo. Quando noi
diciamo una frase: c'è tutto un mondo in essa!
Eligio: Certo, io non avevo mai pensato alla prima parte come
segno della seconda.
Luigi: Come segno della seconda e poi quello unisce le due
parti, per cui una è assorbita dall’altra.
Vedendo la prima parte come specchio della seconda, la
prima è assorbita dalla seconda. Non è la seconda che è assorbita dalla prima,
ma la prima è assorbita dalla seconda. Cioè tutto il mondo materiale ad un
certo momento è assorbito dal cielo e tutto diventa cielo; ma come diventa
cielo, noi siamo liberi! Noi siamo legati a catene, in quanto non vediamo il
cielo, ma vediamo la realtà della terra, la materia: questo ci vincola. Ma come
la terra è assorbita dal cielo, lo Spirito diventa libero. Le cose mutano, lo
Spirito le muta. Quando io dico: “Questa
cosa è stabile”, io sono legato a questa cosa, sono condizionato da questa.
Ma quando mi accorgo che lo Spirito si può cambiare, allora canto, perché sono
libero.
Eligio: È vero, siamo legati a catene. Pensavo alla lettera di
qualche mattino fa, quando Pietro è in carcere; arriva l'angelo e le catene
cadono.
Luigi: Dove arriva lo Spirito le catene cadono.
Eligio: Noi magari ci affatichiamo tutta una vita per rompere le
catene e per trovarci poi sempre più legati.
Pinuccia: È proprio tutta una questione di pensiero, di formare in
noi un pensiero…
Eligio: È questione di affidarci a Dio.
Luigi: Il pensiero è una realtà tremenda! Quante volte noi
magari ci siamo spaventati e preoccupati: “Adesso
mi succede questo, chissà come lo risolverò, ecc.”. Poi magari basta un
attimo di fiducia nel Signore e l'avvenimento sparisce. Come una nube nera che
appare e noi diciamo: “Chissà che
temporale avremo!”, poi dopo un momento guardi e la nube non c'è più.
Ecco, se noi siamo uniti a Dio, allo Spirito di Dio, lo
Spirito di Dio ti cambia l'avvenimento. Te lo fa arrivare magari per provocarti
un atto di fede, di fiducia; fatto l'atto di fiducia, l'avvenimento muta, non
c'è più. Non fai l'atto di fiducia? Quell’avvenimento ti viene addosso con un
peso enorme!
Pinuccia: Lo scopo di ogni opera di Dio è formare il pensiero
nostro…
Luigi: Sì, formare il pensiero; Dio in tutte le cose tende a
formare in noi il suo Pensiero: parla con noi per unirci a Sé, cioè per farci
partecipi della sua vita. È Lui che parlando, ci unisce, non siamo noi. È un
errore dire: “Io scopro Dio”, come è
un errore dire: “Io mi unisco a Dio”.
È Dio che parlando a me si rivela; è Dio che parlando a me mi unisce; è sempre
Dio, l'iniziativa è tutta di Dio. Se noi diciamo: “Dio esiste”, non lo diciamo da noi, ma perché Dio si afferma su di
noi; Dio si rivela su di noi, e noi diciamo: “Dio esiste”.
Se io dico: “Dio
non esiste”, io dico una contraddizione, mi accorgo che dico una menzogna; non
posso annullare Dio, perché é Lui che si afferma su di me, non sono io che
dico: “Dio esiste”. Così come non
sono io che interrogo: è Dio che mi muove, che mi fa interrogare; l'iniziativa
è di Dio; cioè il movente, la Causa prima è sempre Dio, ed è Persona che parla
con me, con ciascuno di noi, per cui se nasce in noi l'interrogazione, non è
l'interrogazione che nasce in noi, è Dio che forma in noi questa
interrogazione.
Se io mi interrogo: “Perché
esistono queste cose e perché esisto io?”, non sono io che mi interrogo, è
Dio che mi interroga.
E siccome Lui mi interroga, io sento l'interrogazione,
allora ripeto l'interrogazione.
Un bambino che non sa, dice: “Perché?”; ma il perché che nasce in noi, nasce in quanto c'è già
l'Altro che lo provoca. Il bambino è interrogato da Dio, e allora il bambino
ripete l'interrogazione.
Pinuccia: Dio interrogandoci ci forma il pensiero. Anche nei
rapporti umani noi sostanzialmente siamo pensiero, perché ci sta a cuore il
sapere che cosa pensano le persone con cui abbiamo a che fare, le loro
intenzioni, se no ci troviamo a disagio: tutti i nostri problemi nascono di lì.
Praticamente tutta la nostra vita si riduce ad un rapporto di conoscenza: e
questo è segno di ciò a cui siamo chiamati, cioè al rapporto di conoscenza con
Dio.
Luigi: Certo.
Eligio: Quindi tutta la vita si riduce ad un rapporto di
conoscenza
Luigi: Rapporto che può essere concluso e può restare a metà.
Se è concluso allora l'anima si riposa nella luce di Dio; se resta a metà ci
ingolfiamo in infinità di problemi che ci soffocano e ci impediscono di vivere.
La nostra vita è un rapporto con Dio, un rapporto di conoscenza. La vita è
conoscenza. E la conoscenza di Dio è liberatrice. La salvezza nostra sta nella
conoscenza di Dio.
Eligio: È liberatrice, perché ci dà la possibilità di intendere
gli altri, le cose, ecc.
Luigi: Il problema non capito, non risolto, diventa
un’ossessione: io lo posso accantonare, non pensarci, ma esso ritornerà. Ogni
problema non risolto non è messo fuori nella nostra vita: ritorna e ritornerà
fintanto che noi non lo risolviamo.
Rina: Ma come è possibile se sono così superiori a noi, che
noi riconosciamo già in partenza questa impossibilità di risolverli?
Luigi: È logico, sono superiori a noi; però Dio parla per
risolverli, perché la soluzione è Lui.
Ora, i problemi non sono risolti fintanto che noi non li
riferiamo a Lui, perché è Lui la soluzione. Quindi Lui dice: “Io ti pongo il problema, però ti dico:
vieni a Me ed Io te lo risolvo; ecco lo risolverai con Me”.
Se non lo risolviamo con Lui, il problema ritorna
insoluto all’infinito: io potrò sì ricacciarlo, non pensarci (ci ripetiamo: “Non ci penso, non ci penso”), ma lui
ritorna, ritorna, fintanto che ad un certo momento mi blocca, magari
nell’agonia e mi dice: “Devi risolverlo!”.
Pinuccia: Risolverlo con Lui vuol dire attribuirlo a Lui?
Luigi: Sì, non solo attribuirlo a Lui, ma capirne il
significato, quello che Lui mi ha voluto dire, perché è Lui che me lo pone.
Indubbiamente Lui, tutti i problemi me li pone per farmi alzare gli occhi, per
farmi fissare il mio sguardo a Lui; infatti nell’agonia, quanto più ci
avviciniamo alla morte, resta soltanto il rapporto: Dio e io; il rapporto è
strettissimo ormai, tutto il resto cade, finisce. Tu vai a parlare ad una
creatura in agonia di politica, di società, di guadagni, di mercato, niente la
tocca, perché lei è in discussione, ormai in rapporto diretto, con Dio; ha
questo problema unico, essenziale, e questo è il vero problema che Dio pone a
tutti.
Pinuccia: Dovremo allora già anticiparlo.
Luigi: Più il problema lo anticipiamo, più entriamo nella
libertà, perché il problema risolto ci lascia liberi. Un problema che noi
abbiamo risolto in Dio ci lascia liberi: qualunque cosa, gli stati angoscianti,
i tanti fastidi, il carico di tutte le preoccupazioni che ci cadono addosso,
sono tutti significazioni di problemi non risolti con Dio.
Quindi il fatto di non interessarci di Dio, il fatto di
non preoccuparci di sciogliere con Lui questi problemi che Dio ci pone e che ci
pone ogni giorno, è tutto a nostro danno; è un danno gravissimo che facciamo a
noi.
Noi dovremmo preoccuparci di avere molto tempo a
disposizione per questo: è l'essenziale! Quindi è meglio mangiare polenta
mattino e sera e vivere poveramente, ma impegnarsi con Dio, perché questa è vera
vita, più che tutto il resto. Invece noi trascuriamo questi grandi problemi
dello Spirito, per curarci di cose che passano, e che Dio ci dà in
sovrabbondanza: io mi preoccupo del mangiare e del vestire che è un problema
già risolto. Me lo risolve Dio come risolve il problema degli uccelli, dei
gigli nei campi. Dio me li ha già risolti se cerco prima di tutto Dio; di
questo tu ti devi preoccupare. Gli altri per te sono diventati problemi non
risolti proprio perché tu non ti eri impegnato nell’essenziale e allora tutti
gli altri problemi sono diventati delle
montagne che non puoi valicare. E più ti dai da fare per questi e più diventano
insolubili, perché non ti sei impegnato nel problema essenziale; prova ad
impegnarti nel problema essenziale: vedrai che tutto incomincia a sciogliersi.
Ma è Dio che fa questo. È questo che bisogna capire. È
questa essenzialità che bisogna capire, perché il problema della vita si
risolve in questa essenzialità. Se noi fossimo capaci di fare queste scelte, di
orientarci nettamente in questo, vedremmo come la vita ad un certo momento
diventa una strada.
Pinuccia: L'importante, ma è difficile, è stare in quelle scelte.
Luigi: Per restare, prima di tutto bisogna convincerci, perché
noi il più delle volte non siamo sufficientemente convinti.
Eligio: Siamo convinti, ma giocano in noi le abitudini
precedenti. Per cui, siamo convinti che è Dio che opera in tutto, ma non
abbiamo ancora imparato a vedere che è Dio che ad esempio manda i grattacapi
sul lavoro, anche nelle cose più banali. Non posso escludere Dio da questo, ma
è proprio lì il banco di prova. Mi è più facile accogliere da Dio la morte di
una persona cara che non ad esempio un dispetto sul lavoro da parte di
un’operaia. Eppure devo pensare che se Dio non lo vuole, questo non può
avvenire, anzi fa fare al rovescio.
Luigi: Sì, certo.
Eligio: Quindi non solo nei fatti che ti traumatizzano, ma anche
negli avvenimenti banali del lavoro, perché Dio non lo puoi escludere dal
lavoro.
Luigi: Da niente.
Eligio: Se no divento io quello in quelle cose lì la causa prima
e prendo il posto di Dio… O credo che Lui c'è in tutto, anche nelle cose più
banali, oppure crolla tutto l'edificio.
Luigi: Certo, se Dio esiste, è presente in tutto.
Eligio: Sono convinto che è Dio che fa tutto, che debbo accettare
tutto da Lui, però nella pratica a volte scappo.
Luigi: Però il fatto già di dire: “Debbo accettare tutto da Dio”, al livello di intelligenza, di
ragione, perché la realtà è quella, è atto della fede. Poi all’atto pratico
capita magari la sfuriata, ma questo è debolezza di uno che lo riconosce.
Però dall’accettare tutto, ad arrivare a ragionare con
Dio, a cercare di capire che cosa Dio ti vuol dire attraverso la sforbiciata ad
esempio di quella ragazza nel capo di vestiario, o attraverso il rappresentante
che ti fa dannare, perché ti mette in questo pasticcio, ecc., ce n’è ancora
tanto!
È tutta una scala, è tutto un progredire a poco per
volta, con pazienza, fino a quella grande luce interna, con cui uno in
continuazione vede Dio che gli è amico e che amichevolmente parla, tratta con
il tu, lo chiama per nome, lo conduce, lo guida.
Qui abbiamo una situazione di libertà, perché Dio non ci
conduce mica come pecore schiave o cani al guinzaglio! Dio ci tratta come
esseri liberi, per cui la creatura diventa libera di significare o anche di non
significare, ma è sempre con Dio.
Eligio: Soprattutto serve molto, se tengo presente il Pensiero
di Dio, per non cadere, per ridimensionare il lavoro, i problemi e soprattutto
per evitare sciocchezze nelle lunghe conversazioni o serate.
Pensieri
conclusivi:
Cina: Gesù ci vuol offrire più vita; ci offre, guarendoci, la
conoscenza del Padre.
Luigi: Dandoci la conoscenza del Padre, ci guarisce.
Pinuccia: Gesù ci guarisce facendoci conoscere il Padre.
Luigi: Dandoci la conoscenza del Padre, ci guarisce.
Pinuccia: Gesù ci guarisce facendoci conoscere il Padre. Però
altri pensieri mi hanno colpito:
-
si arriva a ciò che Dio è (II
parte del capitolo),
-
se si cerca di capire ciò che Lui
fa (I parte del capitolo).
Luigi: Quindi:
-
prima parte del capitolo V: ciò
che Dio fa;
-
seconda parte: ciò che Dio è.
Pinuccia: Ciò che Lui fa, cioè l'opera di Dio, ci mette in
movimento per arrivare a ciò che Dio è.
Luigi: Per arrivare a ciò che Dio è: ciò che Dio è, è vita
eterna per noi. Contemplare ciò che Dio è, è vita eterna, cioè contemplazione
dell’Essere in Sé, non l'Essere di Dio in rapporto a noi, l'Essere in Sé di
Dio, questa è la nostra vita eterna. Per cui noi diventiamo pensiero,
contemplazione, glorificazione di Dio, Dio ciò che Egli è; non di ciò che Egli
è in rapporto a me. “Dio è buono”: questo è un rapporto. Ecco, non perché Dio è
buono, ma ciò che Egli è in Sé.
Pinuccia: Poi un altro pensiero: siamo chiamati a diventare tutto
pensiero di Dio e il pensiero ignora se stesso e pensa e parla solo di Colui a
cui pensa.
Luigi: Ignora se stesso per modo di dire, perché guarda
l'Altro; perché soltanto guardando l'Altro prende coscienza di sé. Nel guardare
l'Altro prende coscienza di sé come generato dall’Altro.
Pinuccia: Quindi più pensiamo a Dio, più abbiamo vita.
Luigi: Certo.
Pinuccia: E poi un altro pensiero: Dio ci urta per metterci in
movimento. L'urto che riceviamo ci dice che è un Altro che opera. Ed è il
Figlio che ci fa riconoscere che tutto dipende da quel Altro, e questo è
liberazione, perché la cosa non dipende più da noi, ma da un Altro. Ed è il
Figlio, in quanto il Figlio è Pensiero del Padre, che mi fa attribuire questo
al Padre. Quindi in me è il pensiero del Padre, cioè il Figlio che mi fa
attribuire tutto, anche quello che mi urta, al Padre.
Luigi: Certo, è sempre il Figlio quello che fa attribuire tutto
al Padre. La caratteristica del Figlio è di attribuire tutto al Padre. La
caratteristica del Figlio è quella di attribuire tutto al Padre, riferire tutto
al Padre, riportare tutto al Padre, riportare tutto al Padre.
Quindi tutto quello che in noi viene riportato al Padre,
è tutta opera del Figlio in noi.
Noi non sappiamo che è il Figlio che ci fa attribuire
tutto al Padre, come ad esempio noi non sappiamo che il desiderio di Dio,
l'amore di Dio in noi è lo Spirito Santo, perché il desiderio di Dio opera in
noi anche senza di noi; il giorno in cui lo capiremo diremo: “Il desiderio di Dio in noi era lo Spirito
Santo!”. Così noi non possiamo sapere chi è che ci fa attribuire tutto al
Padre, perché questo lo troviamo solo in Dio…
Quando il bambino dice: “Chi è?”, praticamente invoca Dio, perché il “chi” noi lo scopriamo solo in Dio. Il “chi” è persona, le persone noi le scopriamo solo in Dio.
Pinuccia: Quindi quando arriveremo alla conoscenza del Padre
scopriremo che Colui che ci faceva attribuire tutto al Padre in noi era già il
Figlio.
Luigi: Certo, il giorno in cui noi Lo scopriremo, scopriamo che
il pensiero di Dio in noi è il Figlio.
Eligio: Ma ora che siamo in cammino possiamo parlare di pensiero
di Dio, e di desiderio di Dio in che ci fa trovare il Cristo, affinché ci porti
al Padre?
Luigi: Sì, è giusto, però nel desiderio di Dio c'è già il
pensiero di Dio, perché io non posso desiderare una cosa se in qualche modo non
l'ho presente. Una cosa che sia completamente assente, io non la posso nemmeno
pensare, quindi non la posso desiderare. Tu non puoi far desiderare un capo del
tuo vestito, se in qualche modo non lo presenti: sarà un campione, sarà uno
schizzo, ma lo devi presentare in qualche modo, per renderlo desiderabile; devi
farlo vedere in sostanza.
Eligio: Però hai parlato del pensiero come del Figlio, cioè se
ho il pensiero di Dio ho il Figlio.
Luigi: Sì, certo non siamo noi che pensiamo a Dio, ma è il
Figlio in noi. È Dio che si fa pensare da noi, che genera il suo pensiero in
noi.
Pinuccia: Per ora queste cose si possono soltanto intuire, vero?
Luigi: La consapevolezza l'avremo nel Padre.
Pinuccia: Quindi il Figlio in me mi fa attribuire tutto al Padre e
questo è una liberazione, per cui non mi devo agitare mai, perché è Dio che
pensa a tutto, tutto dipende da Lui. Lui vuole portarci a capire questo.
Poi un ultimo pensiero: se la nostra anima non si nutre
di conoscenza di Dio deperisce e muore.
Luigi: La fedeltà nel poco per giungere al molto.
Eligio: Scopriamo l'Essere di Dio attraverso quello che Dio fa:
cioè per arrivare all’Essere dobbiamo collegare l'avere con l'essere, come
opera dell’Essere stesso.
Luigi: Come conclusione leggiamo ancora una pagina del libro “La preghiera del cuore”.
“La vera natura dell’uomo, come la vera natura di tutte le cose al limite:
un albero, una montagna, una sorgente, sono preghiera….
Tutto ciò che mi circonda è una manifestazione di Dio per l'uomo, tutto
prega, tutto canta gloria a Dio….
la fede suppone l'umiltà, perché gli atti di fiducia sono il privilegio
degli umili. Noi misureremo la nostra umiltà sulla nostra fiducia, perché per
avere fiducia non bisogna più guardare noi stessi, ma guardare soltanto Dio e
ciò che Egli vuol fare…
Uno sguardo umile è dunque affascinato da qualche cosa che è al di fuori di
sé, di noi stessi, ed è perciò liberato da tutte le complicazioni.
Si comprende quanto l'umiltà sia lontana dal complesso di inferiorità o da
quello di superiorità che si equivalgono poiché si tratta sempre dello sguardo
su se stessi (l'amore a Dio e all’io sono due forze incompatibili, dice
Sant’Agostino).
In questo senso l'uomo non può fare della sua vita una eucarestia e una
preghiera di lode se non nella misura in cui…. mette in Dio tutta la sua
fiducia e speranza, sorgente della sua gioia.
Chi ripone in Dio la sua fiducia è liberato da ogni preoccupazione, non ha
più paura di nulla e di nessuno, è un essere libero.