Riassunto Gv 5 Vs 26-41
Argomenti: L’opera del Padre e il riconoscimento dell’opera del
Padre(Figlio). Il Padre è generante, il Figlio è generato. Dio è l’Immutabile,
la creatura è mutabile. Lettura di un articolo di Piero Gheddu. La
glorificazione di Dio.
22/Aprile/1979
Riassunto
tratto dall'incontro N.144 del 6/8/78 presso De Bortoli:
Nino: Con il
versetto 17 “Il Padre mio opera fino a
questo momento e io pure opero”a si conclude l’episodio del paralitico e inizia
il discorso dei rapporti tra il Padre e il Figlio e tra Figlio e Padre.
Questo per
farci capire che tutti gli avvenimenti (le paralisi, i portici, la piscina, la
porta delle pecore, l’incontro di Gesù, la discussione del sabato, ecc.), sono
determinati da Dio per sfociare in questa conclusione, cioè la conoscenza, la
contemplazione dell’opera del Padre e del Figlio, in cui è la nostra vita
eterna.
Contemplando
l’operare del Figlio noi capiamo qual è l’opera che Dio chiede a noi, poiché
ognuno di noi è chiamato a diventare figlio.
L’opera del
Figlio è quella di comprendere l’opera del Padre, non di ripetere, imitare
l’opera del Padre.
L’opera del
Padre diventa una proposta per il Figlio e da essa il Figlio è invitato a
riconoscersi Figlio.
Il Padre opera
chiamando il Figlio a comprendere l’opera che il Padre fa; così pure noi.
Comprendendo,
scopriamo noi figli di Dio.
Il Padre
genera il Figlio.
Il Figlio
riconosce di essere generato dal Padre, cioè comprende l’opera del Padre.
Se l’opera
del Figlio fosse imitazione, anche il Figlio genererebbe un Figlio suo.
Invece il
Figlio si caratterizza, per cui abbiamo qui due persone, poiché l’opera del
Padre è distinta dall’opera del Figlio.
Anche noi
siamo chiamati a riconoscerci fatti da Dio.
Quando ci
riconosciamo fatti, siamo amati, compresi.
Comprendendo
siamo compresi, mentre invece se non amiamo siamo esclusi e quindi non ci
sentiamo amati.
Il Figlio
dice queste cose per invitarci a partecipare della sua vita.
Cioè Lui,
parlando, dà a noi la possibilità di diventare figli di Dio.
Noi
diventiamo figli attribuendo tutto a Dio, cioè entrando nel tempio dove tutto
dipende da Dio.
Questa
generazione in noi è difficile perché noi non superiamo noi stessi.
Noi come ci
accorgiamo di esistere, affermiamo la nostra autonomia e diciamo: “Io sono”,
invece di dire: “Il Padre è”, attribuendo tutto di noi al Padre.
In ciò che
non attribuiamo al Padre non siamo più figli del Padre, ma di ciò a cui lo
attribuiamo (diventiamo figli di noi stessi o di altro).
Ed è qui che
non ci sentiamo più amati, perché si crea la distanza da Dio, la solitudine,
tutto ci ignora, per cui diventiamo incapaci di amare.
Per questo
tutti i peccati sono conseguenze del non sentirci amati (beviamo alle
pozzanghere quando abbiamo a disposizione l’acqua fresca).
E questo
avviene in noi quando non riferiamo a Dio.
Bisogna
imparare a dipendere da Dio, perché tutte le cose dipendono effettivamente da
Dio.
Dobbiamo
quindi ascoltare molto le parole del Figlio, perché è solo il Figlio che può
insegnare a noi come si fa a diventare figli e quindi a sentirci di nuovo
amati.
È soltanto
uscendo dal pensiero del nostro io, cioè attribuendo tutto a Dio e riconoscendo
anche il nostro io come opera di Dio che ci avviciniamo a Dio e risentiamo il
suo amore.
In questo
versetto 17 Gesù dicendo che il Padre opera fino ad ora, cioè anche di sabato,
vuol farci capire come va inteso il riposo di Dio nel giorno di sabato,
dopo i sei giorni della creazione.
Attraverso i
sei giorni Dio opera per formare l’uomo, indipendentemente dall’uomo.
Tutti i
giorni, tutte le cose arrivano a noi attraverso i sei giorni della creazione di
Dio; poi, come Dio ha formato l’uomo, entra nel suo riposo e invita l’uomo a
partecipare, a riconoscere chi l’ha fatto: è qui il riposo del sabato, perché
Dio attende la risposta dell’uomo.
Ma non
dobbiamo ritenere che il riposo del Padre sia un riposo nostro.
Ecco perché
l’opera del Figlio non è ripetizione dell’opera del Padre: questo lo credevano
gli ebrei.
Ecco la
novità che porta il Cristo: “Dio riposa il settimo giorno non perché noi
riposiamo, ma affinché noi lavoriamo, facciamo il vero lavoro!”
Perché Dio
riposa per invitare noi a comprendere, non a ripetere, quello che Lui ha fatto,
riportando tutto a Lui, raccogliendo tutto in Lui (è comprendendo che sono
compreso, è raccogliendo che sono
raccolto): è questa l’opera del sabato!
Per cui Gesù
concluderà: “Il sabato è fatto per
l’uomo”, cioè è fatto affinché l’uomo diventi figlio di DIO.
Gesù quindi guarendo
l’uomo paralitico, ha fatto veramente l’opera del sabato, del Padre, perché ha
visto che è il Padre che ha operato.
Il Padre ha
operato, ma l’uomo interrompe la sua opera e diventa malato perché non ritorna
a Dio, è paralizzato dal pensiero del suo io, dalla legge, non si muove più.
L’uomo
paralitico riflette la paralisi dei farisei, è lo specchio di essi che avevano
tutta la loro vita bloccata, paralizzata dalla legge, dal sabato.
Allora arriva
il Figlio di Dio, che guardando quest’uomo paralitico, di sabato, dice loro: “No,
la legge non va intesa così: la legge non ti è stata data affinché tu di sabato
non faccia niente, ma affinché tu impari a camminare in Dio, cioè ad amare, ad
attribuire tutto a Dio, a vedere tutto da Lui, in Lui…”.
Gesù fa camminare
quest’uomo, cioè lo porta al Padre e ci insegna qual è la vera opera che Dio
chiede a noi in giorno di sabato.
Gesù
guarendoci così dalla nostra paralisi, porta a compimento l’opera del Padre,
facendo così veramente l’opera del sabato, del Padre, perché ha visto che è il
Padre che ha operato.
Ma l’uomo non
superando se stesso, non può da solo portarla a compimento perché essendo
paralizzato, non ritorna a Dio.
Il Figlio
facendolo camminare, lo riporta al Padre: il paralitico guarito entra nel
Tempio.
Cioè il
Padre, attraverso i sei giorni, compie un’opera ed invita noi a comprenderla,
affinché noi siamo compresi.
Ora tutto il
difetto nostro è lì: che alla sera del sesto giorno quando noi prendiamo
coscienza di esistere, ci fermiamo, non attribuendo il nostro io e tutto quanto
a Dio: la vita concepita non sfocia, non nasce, si ferma ed abbiamo l’aborto,
il distacco, l’autonomia.
Mancando la
nostra risposta nel settimo giorno, la vita abortisce e allora tutto ritorna in
niente.
Lettura
del Libro “Attacco alla Sindone”,
seguita dal commento.
Il Riassunto dell’incontro n. 145 del
12/08/78 a Pietraporzio, Cappella di
San Lorenzo è diviso in due parti:
1)
Che cosa Dio dice di Sé in questo episoDio
del paralitico;
2)
Che cosa Dio è per noi.
1) Prima
parte: che cosa Dio dice di Sé, che cosa fa conoscere di Sé in questo brano
di Vangelo, fino a questo squarcio di cielo in cui Gesù dice: “Il Padre mio opera ancora adesso e io pure
opero”.
Cioè,
cerchiamo quello che ogni frase, ogni fatto ci dice di Dio.
È necessario
il silenzio interiore che è dato dall’attenzione a Uno solo, perché è Dio
stesso che parlando si fa conoscere.
Questo
episoDio avviene in giorno di sabato, il giorno in cui Dio entra nel suo
riposo, perché chiede a noi di entrare nella sua pace; e la sua pace è
conoscere Lui: è Lui stesso.
Lui è la sua
pace, sua e nostra; Lui è il suo riposo, suo e nostro.
Dio creando e
parlando in tutte le cose (la creazione di Dio è continua per ognuno di noi.
ogni cosa, anche il trovarci qui oggi,
ci giunge attraverso i sei giorni della creazione di Dio), chiede a noi di fare
un passo, superando noi stessi, di entrare nella sua conoscenza, nel suo
riposo……
Attraverso
tutte le sue opere dei sei giorni, attraverso ogni fatto, ogni parola, Dio ci
fa prendere coscienza di questa realtà:
-
che Lui c'è e che noi ci siamo,
-
ma che Lui è prima di noi, che è al di sopra
di noi
-
e che Lui è la luce nostra e la vita nostra,
-
che Lui è l’Essere del nostro pensiero,
convincendoci
così a superare noi stessi per entrare nella sua Presenza, perché è Lui solo
che, dopo averci parlato di Sé, ha qualcosa di Sé da dirci che nessuna sua
lezione, nessuna creatura, nessuno sforzo nostro possono dirci.
È solo
dimenticando noi stessi per guardare solo a Lui che possiamo ascoltare la
Parola che ci fa entrare nella sua conoscenza e nella sua pace, cioè nel
settimo giorno, in cui si diventa figli.
Si diventa
figli nel settimo giorno.
Invece attraverso
i sei giorni si diventa creature di Dio, servi di Dio; ma si può
anche diventare degli aborti alla sera del sesto giorno se noi non
superiamo noi stessi, non nascendo come figli, cioè non giungendo alla luce del
settimo giorno.
Gesù
giustifica la sua operazione in giorno di sabato verso quel paralitico (e quel
paralitico rappresenta l’anima di ognuno di noi), proprio perché come Figlio di
Dio viene a portare a compimento l’opera del Padre, a liberare cioè l’uomo
dalla sua paralisi facendolo camminare fino alla conoscenza personale di Dio,
cioè facendolo entrare nel sabato.
In questa folla
ferma davanti alla Porta delle Pecore (che è necessario attraversare per
entrare nella Città di Dio, nel Tempio), in questo paralitico da 38 anni
è rappresentato l’uomo che è arrivato alla soglia del settimo giorno, alla fine
del sesto giorno, e si è fermato, non è passato, non ha superato se stesso,
cominciando così a diventare malato, a paralizzarsi, a non muoversi più.
È solo la
Parola di Dio che incontrandosi con noi ci libera dalla nostra paralisi, ci dà
la possibilità di alzarci, di entrare nel Tempio e quindi di aprirci al settimo
giorno.
Senza
l’incontro con la Parola di Dio noi restiamo paralizzati, dominati dagli
avvenimenti, dalle creature, dalle cose, dai problemi pressanti di ogni giorno
(mangiare, vestire, figura, carriera, ecc.).
Gesù viene a
portare a compimento l’opera che ha iniziato il Padre e che è rimasta
incompiuta in ognuno di noi quando non superiamo noi stessi.
Ed è proprio
in questa opera incompiuta che si forma la paralisi, la malattia, cioè un
inizio di morte.
Il Figlio
porta a compimento l’opera del Padre facendoci camminare, facendoci entrare nel
settimo giorno.
Il settimo
giorno infatti non è fatto per far niente, non è fatto per imitare Dio nel suo
riposo.
DIO si è
riposato non perché noi ci riposiamo, ma perché intendiamo il luogo del nostro
riposo.
Se Lui è
entrato nel suo riposo nel settimo giorno, è perché vuole che noi nel settimo
giorno non ci fermiamo, ma anzi che camminiamo di più per entrare, per
raggiungere anche noi quel luogo in cui Egli si trova in pace.
Lui è andato
avanti non per distanziarci, ma per sollecitarci a camminare, per avvicinarci
di più.
Quindi se Dio
è entrato nel suo riposo non è perché anche noi ci sedessimo, ma perché
camminassimo di più per trovarci vicino a Lui, più vicino a Lui.
E questa è l’opera
del Figlio proprio in giorno di sabato:
-
Egli viene a portare a compimento l’opera del
Padre, facendoci camminare verso il Padre.
Soltanto
intendendo il significato di questo settimo giorno, capiamo quello che dobbiamo
fare:
-
il superamento della legge per entrare nella
conoscenza e quindi nell’amore.
Attraverso
tutta l’opera che Gesù fa verso questo paralitico:
-
si avvicina,
-
lo interroga,
-
lo fa alzare,
-
lo mette alla prova con i Farisei,
-
lo fa camminare ed entrare nel Tempio,
Gesù ci
significa tutta l’opera che Dio fa nei sei giorni della creazione con ognuno di
noi, per farci entrare in quello squarcio di cielo in cui Lui dice: “Il Padre
opera”, cioè per farci capire il significato del settimo giorno, del riposo di
Dio.
Il paralitico
guarito non è rimasto nel Tempio, non ha capito.
Però Gesù è
fedele e quello che doveva dire al paralitico se fosse rimasto nel Tempio,
adesso lo dice a tutti, capiscano o non capiscano, rivelando quello che c'è nel
Tempio.
E che cosa
voleva dire?
Voleva dire
come il Padre continua ad operare e come il Figlio deve operare.
Il Figlio di
Dio si caratterizza per questo: è Tutto Pensiero del Padre, cioè tutto
riferisce al Padre, in tutto glorifica il Padre, tutto giustifica nel Padre,
vede in tutto l’opera del Padre, e qui è nella pace.
Noi non siamo
ancora nella pace perché siamo pensiero di tante cose, siamo figli di tanti.
È la
molteplicità che ci rende inquieti.
Chi ci farà
semplici?
È il Figlio
di Dio che facendoci passare dalla molteplicità di pensieri alla semplicità di
un pensiero unico, di un amore unico, ci dà la possibilità di diventare figli
di Uno solo, di diventare anche noi tutto pensiero del Padre.
Il Figlio di
Dio è semplice perché per il Figlio di Dio una cosa sola è necessaria.
Essendo puro
pensiero del Padre, tutto riferisce al Padre, tutto riceve dal Padre e tutto
genera con il Padre, perché Lui stesso si genera dal Padre, è capace di
generare il suo Pensiero poiché è Dio come il Padre.
Rileggendo
questi versetti non stiamo a pensare quello che Dio dice a noi di fare o di non
fare, ma cerchiamo di pensare a:
-
che cosa Dio dice di Sé a noi, cioè quello
che fa Dio, perché Dio rivela qualcosa di Sé in quello che sta facendo.
Ecco i punti
rilevati:
-
In questo episoDio Dio ci dice che vuole
offrire la vita, la guarigione, che però attende la nostra parte;
quindi da ciò che Dio fa, possiamo dire che Dio è Colui che ci vuole salvare.
-
Dio è Colui che rispetta l’uomo: gli chiede
se vuole essere guarito.
-
Dio è Colui che opera attraverso i
sei giorni della creazione, attraverso ogni fatto o cosa, per preparare il
nostro incontro con la Parola di Dio, per operare la nostra guarigione e farci
entrare nella conoscenza personale di Sé, che è vita eterna.
Quindi Dio è
Amore, è nostro Padre, è Tutto e continua ad essere Tutto anche quando non è
Tutto per noi, ma deve diventare veramente il nostro Tutto in quanto dobbiamo
giungere a vivere per Lui, per ascoltare Lui, per restare con Lui, per
conoscere Lui.
- Dio è Amore in quanto viene a
cercarci lì dove siamo, nella nostra paralisi; viene a muovere le acque anche
quando siamo fuori della Città di Dio, anche quando siamo lontani; non ci
abbandona nemmeno nel male più grande.
- Dio è l’Iniziatore di tutto:
infatti questi malati si buttano nell’acqua dopo che essa è stata agitata
dall’Angelo del signore. Ed è Dio che ha fissato la sua ora precisa per guarire
questo malato da 38 anni. Ed è Lui che aspetta il momento giusto per dire al
paralitico: “Non peccare più perché non ti
avvenga di peggio”, non glielo dice subito.
Quindi Dio è
Colui che prende l’iniziativa in tutto. E noi dobbiamo
comportarci come se tutto veramente dipendesse da Lui, perché così è, se vogliamo
rimanere in questo pensiero, uniti a Lui come Iniziatore di tutto, come
Creatore, cioè non facendo conto né su noi stessi, né su altri. Perché Dio è il
Padrone, è il signore, Colui che domina tutte le cose, tutti gli avvenimenti.
- Dio è Colui che aspetta che noi siamo
soli, che non abbiamo più nessuno che ci aiuti ad arrivare a Lui “Non ho nessuno”, per giungere a noi e
parlare a noi (cfr. aspetta che finiscano tutti i nostri vini per offrirci il
suo vino), perché Egli è Colui che ci isola dalla folla, ci porta nel deserto,
perché per guarirci ci vuole trattare personalmente a tu per tu. Lui è molto
riservato, le sue parole sono sempre personali. Lui ha qualcosa da dirci che
nessun altro può dirci: sono le parole del settimo giorno e che Lui ha riservato
a Sé.
- Dio è Colui che venendo tra noi ci
invita alla vita con Sé, ad entrare nel settimo giorno; cioè per
farci capire il giusto significato del “sabato”. Dio ha fatto il sabato
proprio per l’uomo, per guarire l’uomo.
- Dio è Colui che opera tutte le cose
per convincerci che noi dobbiamo superare noi stessi: “Alzati!”, perché la conoscenza di Dio
la si ha solo in Dio e questo deve avvenire in ogni cosa, avvenimento o
persona, perché se li consideriamo solo nell’aspetto che si riferisce all’io,
anche se li intendiamo in senso morale, come regola di vita, come legge, come
fare una cosa piuttosto che un’altra, come un dovere, allora restiamo fermi al
sesto giorno e non passiamo al settimo giorno, alla conoscenza.
- Dio è Colui che parla in tutto e
che vuole che noi intendiamo i suoi segni, perché vuole renderci
partecipi della sua conoscenza. Per cui davanti ad ogni cosa dobbiamo
chiederci: “Che cosa mi vuol dire Dio
attraverso questo?”. Senza questo superamento noi ci fermiamo ai segni e
non vediamo più le meraviglie di Dio come quei Farisei che vedono solo l’uomo
che porta il letto e non un uomo guarito dopo 38 anni di paralisi.
- Dio è Colui che viene a noi a
parlarci di Sé. Dio è Colui che ci dà suo Figlio che viene a compiere
l’opera del Padre, parlandoci del Padre “Il
Padre mio opera e pure Io opero”, facendoci pensare al Padre. Noi non
potremmo pensarlo se Lui non si facesse pensare. Il Pensiero di Dio in noi è il
Figlio: se noi pensiamo Dio, è il Figlio di Dio in noi che pensa il Padre, non
siamo noi che pensiamo.
Dio è Colui
che si fa pensare e che quindi genera in noi il suo Verbo. Il Pensiero
di Dio in noi è il tesoro più grande che abbiamo e che noi trascuriamo con una
facilità enorme, mendicando altro. Il Pensiero di Dio in noi è il Verbo stesso
di Dio che abbiamo a disposizione nostra. Il Pensiero di Dio in noi è Dio
stesso. Per questo chi pensa Dio forma una cosa sola con Lui.
Dio quindi è Colui che ha donato a noi il suo
Pensiero, ma il suo pensiero è Lui stesso, è suo Figlio. È perché Lui ce lo
ha donato che noi possiamo pensare a Lui anche quando siamo peccatori, perché
noi possiamo essere salvati solo pensando a Lui. Il poterci fermare a pensare a
Dio, in ogni cosa è una ricchezza enorme per la nostra vita. Se noi lo
sapessimo giorno e notte resteremmo sempre in questo pensiero, in ogni
avvenimento, cosa, persona, perché in esso è una sorgente infinita di problemi,
di luce, di conoscenza, di pensieri, di vita, ci occuperebbe a tempo pieno,
senza far fatica a lasciare gli altri pensieri, anzi! Se qualcuno ci invitasse
a pensare ad altro, ci rifiuteremmo perché troppo impegnati in questo perché
chi vede le cose da Dio, si rifiuta di vederle nel pensiero dell’io. Quindi Dio
è Colui che opera tra noi per farsi pensare, per farci entrare nel
settimo giorno. Ma questa entrata nel settimo giorno non avviene senza l’opera
del Figlio. Per questo Gesù dice: “Il
Padre mio opera fino a questo momento, quindi anche di sabato, ed Io pure
opero, cioè porto a compimento l’opera del Padre mio in voi, proprio nel
sabato”. Perché il Padre ha fatto il sabato, per questo dice: “Opera anche oggi”, per salvare l’uomo.
Dio è Colui
che parla a noi attraverso i segni: la salvezza del paralitico in giorno
di sabato è un segno per dire a noi la vera guarigione che Egli reca, facendoci
entrare nel sabato. Attraverso i segni (paralitici, ciechi, ecc.) parla a noi e
dice quello che noi siamo, ma nello stesso tempo ci fa vedere anche Chi
ci può guarire, dicendoci quello che con Lui possiamo diventare. Se Gesù
guarisce il paralitico davanti agli occhi dei farisei, lo guarisce per far
capire loro che sono essi stessi i veri paralitici nell’anima, altrimenti si
crederebbero dei giusti, e nello stesso tempo lo guarisce perché sappiano dove
possono essere guariti.
-
Dio parla di Sé attraverso la simbologia
della Porta delle Pecore, attraverso la quale è necessario passare per entrare
nella Città di Dio; se non si passa attraverso di essa, si resta paralizzati,
ammalati, fuori dalla Città. È Gesù stesso che dice: “Io sono la porta delle pecore: chi passa per me troverà pascoli
abbondanti, perché chi rimane nelle mie parole, chi rinnega se stesso per
seguirmi, potrà conoscere il Padre”. Rinnegare noi stessi vuol dire non
fermarci ai nostri sentimenti o impressioni, alle nostre abitudini o regole, ai
nostri programmi o interessi, (qui è tutto io), ma andare oltre, perché la
ragione del nostro vivere la dobbiamo cercare presso Dio, se vogliamo imparare
a vivere con Dio (“Penso così, parlo così, opero così, perché Dio è così”),
altrimenti si diventa malati, paralizzati e si comincia a morire. Infatti
guardando in basso tutte le cose ci paralizzano.
-
Dio è Colui che viene a noi che giacciamo
paralizzati per darci la medicina, per invitarci cioè a guardare in alto: (“Alzati”). Ma già prima di venire Lui personalmente a dircelo, interveniva
per guarirci attraverso il movimento dell’acqua della piscina, cioè attraverso
la sua Parola, ed invitandoci a buttarci dentro di essa prima di tutto (“Il primo che si butta era guarito”),
perché solo cercando Dio prima di tutto si può guarire da qualunque male (“era guarito dal suo male qualunque fosse”).
-
Dio è Colui che ci mette alla prova per farci
affermare la Volontà di Chi ci ha guarito contro la volontà di chi è paralizzato
dall’io, dalla legge e farci entrare così nel Tempio per farsi conoscere a noi
in modo nuovo, personale, non più secondo la folla.
-
Dio è Colui che ci invita ad entrare nel
Tempio, a restare nelle sue Parole, a non staccarci da Lui, perché ha da
parlarci dell’opera del Padre.
-
Dio è Colui che quello che deve dire lo dice, anche se
usciamo dal Tempio, staccandoci da Lui; lo dice a tutti, anche se non
capiscono, anche se questo offre un motivo in più per essere perseguitato (cfr.
”va in tutte le piazze ed invita tutti,
parla a tutti”). Per cui giunge un tempo che il Regno di Dio arriva a tutti
e tutti ci troviamo dentro: può essere una tragedia però.
-
Dio è Colui che attraverso suo Figlio opera nei sei
giorni e opera per farci raccogliere l’opera dei sei giorni, per farci cioè
entrare nel Tempio, nel settimo giorno, per farci diventare cioè suoi figli,
per farci diventare tutto Pensiero suo. Mentre il pensiero del nostro io è
distacco, perché il nostro io si afferma separandosi e separandosi si
distrugge. Per questo Dio ci invita a mettere il suo Pensiero in alto, prima di
tutto, collegando tutto a Dio: allora Lui ci attrae a Sé. Si diventa tutto
pensiero di Dio, raccogliendo tutto nel Pensiero di Dio, (mettere in alto vuol
dire riferire a-). Questo ci fa passare dalla molteplicità alla semplicità e
quindi alla pace e alla possibilità di pensare). Si complica tutto quando non
si mette Lui prima di tutto. non si arriva ad essere tutto pensiero di Dio
senza di noi; ma il “senza di noi” è imparare che non dobbiamo fare
niente, che non dobbiamo fare conto su niente di noi. Più facciamo scomparire
la parte nostra e più facciamo la parte nostra. Far conto su di Lui è grazia
sua, il non far conto su di Lui è peccato, è opera nostra. Se ho la possibilità
di pensare a Dio, devo ringraziare Dio che è venuto a me e si è fatto pensare.
Non sono io che ho dato il pensiero. È il non dare il pensiero che è opera mia.
-
Dio dice di Sé ancora molte cose in questo
episodio e noi riusciremo a capirle solo quando saremo riusciti a raccogliere
tutti gli aspetti di esso, così come Lui ci appare attraverso la sua
Incarnazione. Egli è Colui che non aspetta che noi andiamo a cercare
Lui; Lui stesso viene a cercare noi e verso di noi ha un amore così
grande da rispettare la nostra libertà. Ci viene incontro anche quando abbiamo
fatto conto, come questo paralitico, sugli altri, per tutta la vita, anche
quando l’abbiamo disprezzato.
-
Dio è Colui che viene a noi per liberarci
dalla lettera della legge (la quale ci fa sbagliare, ci fa giudicare
gli altri, come quei Farisei), facendocene cogliere l’anima, facendocela
pensare in Dio. il pensare a Dio, cioè il superare noi stessi, già ci fa capire
che tutto quello che ci accade è Dio che parla a noi, a me. Quindi il pensiero
di Dio mi impedisce di giudicare nulla e nessuno, perché quando uno tiene
presente Dio fa un triangolo: Dio – fatto – io; cioè tutto è parola di Dio per
me.
-
Dio è Colui che opera, è Colui che parla, ma
è anche Colui che illumina e ci fa capire le sue parole. Quindi
dobbiamo sempre restare con Dio, sia per ricevere le cose, sia per capire le
cose. Dio è quindi il principio che opera e Dio è anche l’intelligenza delle
cose che opera. Quindi devo dire: “Signore, accetto da Te e adesso guardo a
Te per capire”.
-
Dio è Colui che opera per portarci a questo
superamento di noi, ad accettare tutto da lui e a guardare Lui per capire.
Per portarci qui Lui opera dapprima per convincerci che esiste; poi per
convincerci che è Lui che opera e parla in tutto personalmente per me; poi per
convincerci che è Lui il nostro tutto, perché solo quando abbiamo capito che
Egli è Tutto per noi incominciamo a sentire il bisogno di Lui e quindi il
bisogno di superare la Porta delle Pecore per entrare nella Sua Città. E quando
siamo entrati, opera ancora per farci restare e quindi per darci l’intelligenza
delle opere sue. È tutto un progredire di lezioni attraverso le quali Lui ci
convince, cioè ci lega a Sé, e ci fa camminare fino a farci tutto pensiero suo,
per farci diventare suoi figli.
Concludendo: in questo
episodio cosa Dio dice di Sé?
È Gesù stesso
che lo commenta, ce lo fa capire dicendoci che il Padre opera tutto e opera
sempre e che il Figlio viene per farci attribuire tutto al Padre: “Il Figlio pure opera”. Per questo si
distingue il Figlio dal Padre. Quando noi diciamo che Dio è Colui che opera in
tutto, apparteniamo al Figlio, è il Figlio di Dio che riconosce questo in noi.
Il Padre è
l’Unico Operatore e il Figlio è Colui che riconosce che il Padre è l’Unico
Operatore.
-
Quando non riconosciamo che Dio è l’Unico
Operatore, siamo quell’umanità malata fuori della Città di Dio.
-
In questo il Figlio dice: “Io sono la Porta”, dice a noi qual è la
condizione per riconoscere che Dio è l’Unico Operatore di tutto. Si passa
attraverso la porta per arrivare ad un fine, ma il fine è appunto questo
riconoscere Dio Operatore in tutto. La Porta è quella che ci fa entrare, cioè
intendere. Passare attraverso la porta vuol dire arrivare a capire quello che
ancora non capiamo, cioè entrare nel Pensiero dell’Altro. Finché siamo nel
pensiero dell’io, siamo fuori. Chi si presenta a noi come Porta, si presenta a
noi come Luce che illumina e fa capire quello che ancora non capiamo. Siccome
nel pensiero del nostro io non capiamo perché l’io ci separa, allora l’altro
io, l’io di Dio che si presenta a noi diventa porta per noi per capire Dio, il
Padre. Senza di Lui noi non possiamo arrivare al Padre, ecco la Porta. È il
pensiero stesso del Padre si presenta a noi attraverso il Figlio e che diventa
Porta per noi. quando una persona viene a me, con la sua venuta mi spalanca una
porta, mi fa uscire dal mio io. Quindi Dio è Colui che viene incontro al
pensiero del mio io per farmi uscire da pensiero dell’io. Senza di Lui noi non
potremmo uscire. Se noi pensiamo Dio è perché già Lui per primo è venuto e si è
donato a noi. infatti noi non possiamo pensare Dio senza il Pensiero di Dio, ma
il Pensiero di Dio è già Lui, in noi. Per cui Dio è il Pensiero di Sé in noi.
-
Il Figlio è Colui che ci dice di alzare gli occhi
a Dio. il Padre è Colui al quale il Figlio ci dice di alzare il nostro sguardo,
perché la meta è il Padre stesso. In quanto si presenta come meta ci fa alzare
gli occhi dal nostro io per liberarci da esso. Quindi Dio è Colui che dopo
averci creato viene a noi per liberarci.
-
Dio è Colui che agita l’acqua: parla in
tutto.
-
Dio è Colui che è Medico, che ci rivela la
malattia quando noi crediamo di essere sani; ci guarisce e poi non chiede di
essere pagato, ma paga Lui stesso per noi.
-
Dio è Colui che ci mette alla prova.
-
Dio è Colui che ci presenta questo panorama,
è Colui che ci ha condotti qui per farci guardare questo e per farci
dimenticare questo. prima ci fa guardare attorno e poi ci invita a guardare
dentro. Prima ci dice le sue parole e poi chiede a noi le nostre parole. “Che
cosa vedi di me attorno a te? E adesso tu che cosa dici di me?”. Da tutto
ci fa parlare di Sé a noi, poi ci dice: “Adesso tu, cosa dici di Dio?”.
Passiamo al
secondo argomento, alla seconda parte.
Lui prima ha
detto a noi attraverso i fatti, le creature, le scene di questo episoDio del
paralitico quello che Egli è; cioè prima
parla di Sé a noi e poi interroga noi: “E adesso tu cosa dici?”. C'è
diversità, molta diversità, tra quello che Lui dice di Sé e quello che diciamo
noi di Lui. Perché quando io dico: “Dio è Tutto!” e poi ho bisogno di questo e
di quest’altro, allora Lui ci dice: “Tu mi dici Signore, ma guarda quanti
signori hai!”. Quindi ci dice: “Io sono il tuo Signore”; poi ci chiede: “E
adesso tu cosa dici di me?”. Con la vita purtroppo noi diciamo tre cose. Dopo
aver detto a noi ciò che Egli è, chiede a noi che diciamo ciò che Egli è, non a
parole, ma nella vita. Non basta dirlo, non basta esserne convinti. Siamo
chiamati a dire con la vita quello che Lui dice di Sé, perché siamo chiamati ad
essere con Lui, come Lui è con noi, ad amarlo come Lui ama noi, a conoscerlo
come Lui conosce noi, a vivere con Lui come Lui vive con noi.
Ora, Lui vive
sempre con noi anche quando siamo nel massimo dei peccati, nel massimo
dell’infedeltà, dell’adulterio e della disonestà: Lui vive sempre con noi.
Dobbiamo imparare a restare con Lui anche quando non si rende presente, quando
sembra che ci dimentichi, quando non parla: tu resta con Lui, come Lui resta
con te.
Seconda
parte: “Che cosa Dio è per me”:
-
Dio si offre a noi come un fiore spuntato in
cima alla collina per essere raccolto: chi per primo lo vede, lo raccoglie; chi
non lo vede non lo può raccogliere, ma chi lo raccoglie resta raccolto.
-
Dio per me è il Creatore, Colui del quale non
posso fare a meno: quindi implicitamente debbo accettare di non ritenere
nient’altro necessario perché Dio solo è Colui del quale non si può fare a
meno. Quindi di tutto posso fare a meno, fuorché di Dio e quindi debbo essere
disposto a fare a meno di tutto, perché soltanto così acquisto quella libertà
vera per fare quello che Dio vuole e per parlare secondo Dio. Dobbiamo stare
attenti anche alle parole che diciamo perché noi ora affermiamo: “Dio è
Colui di cui non posso fare a meno”, ma poi parlando senza rendercene conto
testimoniamo che non possiamo fare a meno di ben altre cose. Così ad un certo
momento vendiamo la nostra realtà spirituale per un piatto di lenticchie o per
un piatto di minestra. Noi pecchiamo, tradiamo, siamo infedeli e adulteri prima
di tutto con la lingua e poi anche con le scelte concrete. Bisogna imparare a
pensare e a parlare secondo l’unica cosa necessaria che abbiamo riconosciuto,
cioè unificare pensieri, parole, azioni in quell’unico Signore che Egli è.
-
Dio per me è prima di tutto il mio Creatore
di ogni giorno, quindi il mio Sostenitore. Ogni giorno mi sveglia e mi crea con
tutti i fatti che incontro, mi nutre, mi fa respirare, vivere, Dio quindi è la
mia vita, Colui senza il quale non posso fare niente.
-
Per me Dio è il Creatore e Fattore di tutto e
opera da sempre per riprendermi dalla mia dispersione e portarmi alla
conoscenza sua e nell’armonia con Lui.
-
Dio è il Principio dell’armonia, non soltanto
tra la nostra anima e Lui, ma anche con tutte le creature, con tutto. Con Lui
tutte le creature diventano amiche, perché tutto è opera di Dio (l’amore rende
accettabile tutto). Quando le cose ci urtano operano per dirci che noi siamo
distratti da Dio, quindi dobbiamo ringraziarlo perché sono opera di amore.
-
Per me Dio è Colui del quale non mi stanco
mai di sentire parlare, ma con lo scopo di sentir parlare Lui Stesso: perché
Dio vuol parlare con noi personalmente. Dio parla all’esterno attraverso tutte
le creature, ma ci invita ad ascoltarlo dentro, ad entrare dentro di noi. se
noi capiamo qualcosa di Dio è perché l’abbiamo dentro di noi. noi capiamo
l’esterno in relazione a quello che portiamo dentro. Dato che dipende tutto
dalla dimensione interiore, bisogna avere molto cura di essa, cercando sempre
il significato di tutto, perché in tutto c'è Dio che parla per portarci sempre
più a questa intimità con Lui, fino a scoprire la sua Presenza in noi, fino a
poterlo individuare, in modo da poter parlare con Lui come ci ascoltiamo e
parliamo qui tra noi, con la differenza che con Dio c'è l’immediatezza.
-
Dio deve arrivare ad essere il nostro
pensiero: come non si può fare a meno di respirare, così non si può fare a meno
di pensare a Dio, sempre. E il pensare a Lui diventa gioia, tanta gioia che uno
non può lasciarlo più, non può più fermarsi a pensare alle creature (sarebbe
come fermarci sulla strada, anziché arrivare a casa). Pensare Dio è la gioia
piena di cui parla il Signore “Vi parlo
affinché la vostra gioia sia piena”, ma vi si arriva attraverso il
Calvario, il rinnegamento di sé. Conoscere, pensare Dio è la gioia massima. Dio
lo si conosce soprattutto dentro di noi, non tanto leggendo, anche se questo è
un mezzo valido (soprattutto il Vangelo). Dobbiamo essere disposti a fuggire
tutto ciò che non ci lascia pensare a Dio. Ma questo è sempre un fatto
personale, perché ciò che per uno è un aiuto, per l’altro può essere un
ostacolo, poiché ognuno ha le proprie debolezze ed è la persona stessa che lo
capisce. Però dobbiamo sempre tener presente questo: che tutto quello che è
rapporto esterno, aiuto esterno, lo stesso Vangelo, è aiuto se noi mettiamo
quel silenzio interiore per arrivare a conoscere Lui, perché la vera conoscenza
si ha solo in questo silenzio interiore in cui noi ascoltiamo solamente Lui: è
Lui che rivela la sua Presenza. Dobbiamo sempre ricordarci che tutto il resto è
un aiuto che può esserci o che può non esserci e possiamo anche lasciarlo o
trascurarlo. Quello che assolutamente non dobbiamo trascurare è questo silenzio
interiore a tu per tu con Lui. Siamo autorizzati a lasciare tutto, ma a non
lasciare questo. È quel po’ di tempo che Dio chiede a noi per parlare
personalmente con noi e noi dobbiamo darGli questo tempo, perché Lui nel
deserto ha da dirci una cosa che solo Lui può dire: è quella conoscenza intima
attraverso la quale Lui rivela la sua Presenza in noi e che esige da noi questo
silenzio. Quando poi si sarà arrivati a questa sua Presenza questo silenzio
diventerà continuo e allora non ci sarà più nulla che faccia rumore fuori
perché sarà un silenzio talmente meraviglioso di intimità, di conoscenza, di
presenza, che non ci sarà niente dal di fuori che potrà turbarci.
Eligio: Non so se ho capito bene nel
primo riassunto: che il Padre parla al Figlio attraverso proposte. Come può
avvenire questo in Dio? Perché la proposta presuppone un prima e un dopo e due
interlocutori. In Dio l’Essere e il pensare sono una cosa sola.
Luigi: Hai ragione. Ma è stato detto,
penso, per mettere in evidenza la caratteristica del Figlio. La caratteristica
del Figlio sta nel comprendere l’opera del Padre.
Nino: La proposta è per noi, finché
non comprendiamo ancora, perché Lui non ci impone niente.
Luigi: Per noi sì. Nei nostri
riguardi senz’altro. Nei nostri riguardi il parlare del Padre è proposta e noi
attraverso il Figlio suo arriviamo a riconoscere l’opera del Padre. Qui è
pacifico per noi.
Eligio: Però ciò che è stato letto si
riferiva tra Padre e Figlio.
Luigi: Sì, tra Padre e Figlio; però
penso che sia per evidenziare la caratteristica che distingue il Padre dal
Figlio. Cioè, il Figlio si specifica nella sua personalità con il riconoscersi
tutto opera del Padre. Allora possiamo scindere i due momenti: l’opera del
Padre e il riconoscimento dell’opera del Padre. Il riconoscimento dell’opera
del Padre è il Figlio, è la persona del Figlio. La persona del Figlio riconosce
Sé come opera del Padre. Il Padre genera il Figlio, il Figlio riconosce Sé.
allora, è logico, il parlare umano non rende, perché abbiamo qui due tempi: il
Padre che opera, il Figlio che opera. Il Padre opera generando il Figlio, il
Figlio riconoscendo l’opera del Padre. Nel riconoscersi opera del Padre,
abbiamo la persona del Figlio. Il Padre genera: questa è la caratteristica del
Padre; il Figlio non genera. Il Padre è generante, il Figlio è generato. Ma non
generato come noi possiamo generare (il termine è improprio), creare una
creatura o un’opera d’arte o qualche cosa. Ecco, il Figlio generato ha la
coscienza di quello che è, ha la coscienza di Sé, è consapevolezza di essere
generato dal Padre, cioè di essere Pensiero del Padre, quindi riconosce Sé come
Figlio del Padre.
Nino: Ma non si vede chiaro la
questione della proposta.
Luigi: Nell’essenza divina non
abbiamo i due tempi così come li riduciamo noi. Noi per distinguere le due
Persone diciamo: abbiamo una Persona che genera e attende la risposta del
generato come riconoscimento. E allora diciamo: in quanto attende è una
proposta che il Figlio raccoglie e riconosce. Ma evidentemente in Dio non
abbiamo una scissione dei due tempi. Per noi si evidenziano bene, perché noi
abbiamo il passaggio critico del superamento dell’io, invece nel Cristo non c'è
il superamento dell’io. L’io del Cristo è tutto Pensiero del Padre, non può
separarsi dal Pensiero del Padre; noi invece ci separiamo dal Pensiero del
Padre; noi siamo pensiero di tanti e dalla molteplicità in cui ci troviamo,
siamo chiamati a diventare figli di uno solo. Ma come pensiero siamo figli di
tanti e dobbiamo passare da questa molteplicità alla semplicità dell’unità:
cosa per noi molto difficile. Invece il Figlio di Dio non è figlio di tanti.
Egli ha un pensiero solo perché è il pensiero di Dio, ma proprio perché
“abbiamo”, abbiamo tanti pensieri; invece il Figlio di Dio non ha: è il
Pensiero del Padre, quindi non può fare altro che riconoscersi tutto voluto,
fatto, pensato dal Padre. Noi dobbiamo distinguere le Persone e diciamo: il
Padre opera ed attende. Ma non c'è l’attesa, immediatamente c'è il
riconoscimento del Figlio che essendo Pensiero del Padre riconosce sé come
Pensiero del Padre. Il Figlio è Sé stesso. Il Padre, proprio perché è Se
stesso, genera il Pensiero di Sé; essendo Se stesso non può non conoscersi,
quindi genera il Pensiero di Sé. Ma il Pensiero del Padre è anche Se stesso ma
non in modo autonomo, bensì come Pensiero del Padre e genera Sé come Pensiero
del Padre. La caratteristica di tutto ciò che esiste in Dio è proprio quella di
essere Se stesso; invece noi non siamo mai noi stessi. Dio solo è Se stesso:
noi diventiamo noi stessi nella misura in cui ci avviciniamo a Colui che è Se
stesso. Più ci avviciniamo e più unifichiamo e ci ritroviamo. Più invece noi
siamo lontani e più siamo dispersi, per cui noi diciamo che siamo mutevoli. Dio
è immutabile. La caratteristica di Sant’Agostino su cui fonda la sua
costruzione è questa: Dio è l’Immutabile, la creatura è mutabile. La creatura
non è mai se stessa; direi è alla rincorsa di se stessa, però non è mai se
stessa. Per cui Dio è il vero Formatore della personalità umana, è il vero
Formatore dell’uomo nella misura in cui l’uomo gli si avvicina. Più la creatura
umana si allontana da Dio e più diventa informe, non si capisce più, non si
conosce più, diventa continuamente mutevole: oggi è questo, da qui a cinque
secondi è già un altro, fra cinque è un altro. Tu non sai mai dove aspettarla;
è lì il motivo per cui Dio dice: “Non ti
conosco”. Una creatura che sia in continuo mutamento, non è conoscibile,
perché tu dici: “Questo è un elefante, da qui a cinque minuti è una tigre,
da qui a cinque minuti è un’anguilla, da qui a cinque minuti è un albero…”;
dico: “Non la conosco”. Ecco, lontano da Dio la creatura è caos, è in
continua mutazione; non è annullata ma è in continua mutazione. Più si avvicina
e più acquista un nome e il nome lo dà Dio.
Ecco, allora a questo punto
la creatura si riconosce tutta come opera di Dio e partecipa al Figlio, alla
natura del Figlio, alla natura divina propria del Figlio. La natura divina del
Figlio è quella di riconoscersi tutto fatto dal Padre. Il giorno in cui anche
noi possiamo riconoscerci in tutto fatti da Dio, ecco siamo resi partecipi
della natura divina e diventiamo noi stessi; un “noi stessi” diciamo così, per
acquisizione, ma che fa una cosa sola con il Figlio. Il Figlio glorifica il
Padre, la creatura che è stata raccolta tutta in Dio, glorifica altrettanto il
Padre, e allora è lì che forma una cosa sola, perché dove sono due che
glorificano la stessa cosa diventano uno solo: in Dio si diventa una cosa sola.
Avendo lo stesso fine, lo stesso ideale vissuto con la stessa intensità; ecco,
si forma l’unione. Il principio unificante è proprio questo: Dio.
Allora se Dio è il
Principio unificante diciamo: Dio mi ha fatto, ma Dio mi ha anche unito. E
tutto si attribuisce a Dio.
Lettura di
un articolo di Piero Gheddu su “Gente”, circa un guru cristiano benedettino
(guru sono gli asceti indiani maestri dello spirito), Padre Beda Grifitz, che
viene a Milano per la giornata missionaria per portare alla nostra società
secolarizzata un forte richiamo alle cose dello spirito, una testimonianza di
vita evangelica vissuta con i poveri….
L’Europa ha
bisogno di imparare dall’India il primato della preghiera e della
contemplazione. I monasteri indiani sono aperti e pronti ad ospitare per
periodi più o meno lunghi persone di qualsiasi età e sesso che vogliono
ricercare Dio con i monaci.
In oriente
questo passare un periodo di tempo in monastero è una forma abituale di
spiritualità per i laici, anche se sposati, anche se persone importanti della
società, di qualsiasi religione o addirittura senza religione…..
Per ognuno
(sono da dieci a venti ospiti), c'è una piccola e disadorna celletta in mezzo
alla campagna, insieme alle cellette dei monaci che sorgono attorno alle
costruzioni centrali (chiesa, biblioteca, cucina e refettorio, in cui si mangia
seduti per terra e soltanto vegetariano). Ci si alza alle cinque, e alle cinque
e mezza un’ora di meditazione personale, dove uno vuole, poi tutti in Chiesa
per la Messa, in rito indiano…
I momenti
più intensi sono quelli della preghiera comunitaria e poi della riflessione in
comune, guidata dal Padre dopo la Messa, a mezzogiorno e dopo cena.
I monaci
sono itineranti e dopo due mesi di viaggi, di evangelizzazione tra i villaggi,
ritornano al monastero per un periodo di preghiera più intensa e di
riflessione.
La povertà e
la mortificazione secondo Padre Grifiz sono indispensabili per un’autentica
ricerca di Dio e amore al prossimo. Dio si trova solo nel silenzio e nella
povertà, dice in una delle sue conversazioni e la vera carità viene da una
persona capace di mortificarsi per amore dell’altro. Per questo tutti noi
cristiani dobbiamo fare uno sforzo verso la preghiera, verso la povertà, la
semplicità della vita. Si tratta di una conversione radicale da compiere e
ciascuno deve cominciare a dare la sua testimonianza personale. Noi occidentali
ci siamo fatti abitudini di vita dispendiose che non giovano alla salute né
fisica né spirituale (se l’uomo occidentale ad esempio mangiasse la metà di
quello che mangia, vivrebbe meglio, con più energie e meno malattie): naturalmente
tutto questo ha senso se orientato a Dio e al prossimo. Dio si incontra
veramente solo nella povertà e nel silenzio e la vera carità può venire solo da
una persona capace di soffrire per il fratello; per esperimentare veramente la
presenza di Dio in noi, dobbiamo far tacere il nostro io, abituarci al
silenzio, alla povertà, alla contemplazione. Come può uno che è ricco e che ha
tutto quello che desidera sentire veramente il bisogno di Dio? Chi non ha mai
provato il freddo, la fame, l’insicurezza del suo futuro, la malattia, non
conosce Dio in profondità. Si illude di conoscerlo, ma non è nelle situazione
adatta per sentirlo presente nella sua vita. Bisogna, almeno di tanto in tanto,
cercare di vivere un’esperienza di povertà e di silenzio per poter capire e
sentire nella propria vita la presenza di un Altro. L’aspetto più interessante
dell’”ashram” di Santivanam, il monastero di Padre Grifitz, è quello di
essere un luogo di pace e di serenità, pur nella povertà che è grande. Eppure
qui giungono in molti per restarvi giorni o settimane…. Uno di questi,
tornando, si è fatto monaco a Camaldoli, dove dirige i “Quaderni di
Camaldoli”, rubrica mensile di
spiritualità… questo profeta del terzo mondo ha qualcosa da dire alla nostra
società dei consumi e della secolarizzazione e la dirà in nome dei poveri del
mondo. il senso della sua venuta in Italia è proprio questo: anche noi che
siamo così fieri del nostro antico passato cristiano e così sicuri della nostra
ricchezza materiale, abbiamo bisogno che gli ultimi della terra ci trasmettano
un nuovo messaggio di vita e di speranza.
Luigi: Giov. 5,41: “Io non ricevo gloria dagli uomini”. Lo
dice Gesù, quindi Dio non riceve gloria dagli uomini. Qui dobbiamo chiederci però
perché dica a noi questo e che cosa possa servire per la nostra vita personale
questa affermazione: “Dio non riceve
gloria dagli uomini”. Intanto questo già subito ci fa capire, ed è una cosa
da mettere bene in chiaro, che Dio non ha bisogno degli uomini. A volte si
sente dire che Dio ha bisogno degli uomini e qualcuno ha perfino affermato che
Dio ha bisogno della creazione per poter amare, cioè che per poter amare ha
bisogno di un altro da sé: è un errore grosso. La setta di Moon ha come
principio fondamentale questo: che l’uomo è necessario a Dio, poiché anche Dio
ha bisogno di amare, ha creato la creatura per poterla amare: è un errore. E
qui in quanto Gesù stesso dice: “Io non
ricevo gloria dagli uomini”, afferma proprio questo prima di tutto: che Lui
non viene tra noi per essere glorificato da noi. ecco Lui non viene tra noi per
cercare che l’uomo lo glorifichi; non chiede a noi questo.
Eligio: La glorificazione di Dio da
parte dell’uomo è utile all’uomo.
Luigi: È utile all’uomo, non a Dio.
Questo va precisato, perché noi crediamo magari di far un piacere a Dio
onorandolo, glorificandolo, lodandolo. Dio non ha bisogno di noi, Dio non ha
bisogno della creatura. Quindi mettiamo sempre i punti ben precisi. Dio non ha
bisogno di nessuno, perché altrimenti non sarebbe più Dio, perché quando uno ha
bisogno di un altro è dipendente dall’altro. Se Dio avesse bisogno della
creatura saremmo nell’assurdo: Dio non sarebbe dipendente dalla creatura. Ora
se c'è una cosa che bisogna affermare in modo molto chiaro e avere molto chiara
dentro di noi, è proprio questa: che presso Dio non c'è l’assurdo. Presso Dio
noi possiamo trovare il superamento, l’incomprensibile, l’infinito, ma mai
l’assurdo. Ecco, Dio ci supera, ma non ha mai niente di assurdo per noi; se c'è
un assurdo vuol dire che in noi c'è un difetto sul concetto di Dio.
Quindi ad esempio il
fatto che Dio abbia bisogno della creatura, è un assurdo nel concetto divino,
perché Dio sarebbe dipendente e allora non sarebbe più Dio; quindi questo
assurdo non esiste.
Allora, perché il
Signore dice a noi: “Io non ricevo gloria dagli uomini”? Appunto per farci capire che
siamo noi che abbiamo bisogno della gloria di Dio e non Dio che abbia bisogno
di essere glorificato dalla gloria degli uomini.
Il concetto di gloria è
il concetto di ciò che uno è, la manifestazione di ciò che uno è.
Quindi la gloria del
Figlio è ciò che Egli è nel Padre.
Nel “Gloria” noi
diciamo: “Ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa”.
Sembra strano che noi
dobbiamo rendere grazie per la sua gloria.
Ma è questo il vero
concetto: “Io non ricevo gloria dagli
uomini”.
Noi rendiamo grazie per
la sua gloria, cioè per la rivelazione di Dio attraverso tutte le cose: questa
è utile a noi, per cui noi gli rendiamo grazie.
Dice grazie colui che
riceve un dono. Quindi la gloria di Dio è dono per la creatura. Ma il Figlio Dio, il Cristo, riceve invece la
sua gloria dal Padre, cioè da un Altro.
E qui come pensiero
guida possiamo tenere presente quello che Gesù dice nell’ultima preghiera al
Padre: “Padre, ritorna a me quella gloria
che io ebbi prima che il mondo fosse”, cioè questa invocazione vuol dire
che evidentemente non è che Lui sia stato privato della sua gloria con la
creazione, ma è stato privato della sua gloria con la presenza del mondo
nell’uomo.
Più in noi, negli
uomini, cresce il mondo, e più la gloria del Figlio diminuisce perché noi attribuiamo alle
creature, al mondo, quello che dobbiamo attribuire a Dio.
Allora ecco che il
Figlio di Dio si rivolge al Padre, non alla creatura, per insegnare a noi che
soltanto conoscendo il Padre ritroviamo quella gloria che il Figlio ebbe prima
che il mondo incominciasse ad affascinarci, a disturbarci. Ritroviamo la Verità, l’”in Sé” di
Dio. Ecco, è questa la vera gloria che viene da Dio: non soltanto il Signore
non chiede alla creatura la gloria, ma presenta alla creatura il modo per
ritrovare la vera gloria di Dio che è poi la sua vita. Anziché chiedere a noi
qualcosa, ci presenta quel che dobbiamo chiedere, perché dicendo: “Io non ricevo gloria dagli uomini”,
dice: “Io non vengo qui per elemosinare; siete voi che andate ad elemosinare
la gloria gli uni dagli altri. Io non vengo ad elemosinare la gloria. Chi mi dà
gloria è il Padre che mi rende testimonianza. Quindi se volete conoscermi
dovete cercare presso il Padre quello che Io sono”. Quindi non soltanto non chiede a noi qualcosa, ma invita
noi a cercare questo qualcosa più in su di noi, perché siamo noi che abbiamo
bisogno di elemosinare la gloria di Dio da Dio e non è Dio che viene ad
elemosinare qualcosa dalla creatura.
Luigi: E dice: “glorifica” perché il
Figlio da solo non si glorifica. Tutta la gloria del Figlio gli viene dal
Padre. Se il Padre lo glorifica, a sua volta il Figlio glorifica il Padre.
Quanto più (poiché tutto il parlare lo fa nei riguardi dell’uomo) il Padre in
noi glorifica suo Figlio, tanto più in noi il Figlio glorifica il Padre, perché
il Figlio ritorna al Padre.
È tutto un lavoro che deve effettuarsi nella creatura,
mica nel Figlio, perché l’ultima preghiera che Gesù fa al Padre, la fa per noi,
per insegnare a noi. Quando dice: “Padre,
glorifica tuo Figlio”, lo dice per noi, affinché noi abbiamo a guardare al
Padre, perché dobbiamo sapere che la glorificazione del Figlio viene dal Padre.
Ora, quando uno mi dice: “Guarda che chi mi dà gloria è quel tale”, mi
orienta ad andare dal tale per cercare informazioni su “la mia gloria”, “su
di me”. Ecco allora Lui mi dice: “Guarda che chi rende gloria di me è un
Altro, è il Padre; allora rivolgiti al Padre. Quanto più il Padre renderà
testimonianza di me, tanto più tu capirai la validità di quello che io ti
dico”. Per cui il Figlio diventa un testimone valido nella misura in cui il
Padre lo rende valido per noi; per noi perché abbiamo una garanzia nel Padre di
ciò che Cristo dice.
Quando qui abbiamo
letto che: “Io non ricevo gloria dagli
uomini” e abbiamo capito ad esempio che il concetto di gloria da parte di
Dio, essendo la manifestazione di Sé, Lui la riceve dal Padre, noi comprendendo
questo, comprendiamo una Verità che orienta già la nostra vita per cercare la
validità di quello che Lui dice. Con questa frase io so che non posso trovare
questa certezza o questa sicurezza dalla creatura. Quindi non debbo andare a
cercare né da me, né dalla creatura, né dagli uomini la testimonianza valida per
Cristo. Non debbo sentire gli uomini per essere sicuro della Verità del Cristo.
Perché in quanto Lui dice: “Non ricevo
testimonianza dagli uomini”, dice: “Non vengo a cercare testimonianza di
me”, ma tu anche a tua volta non devi cercare testimonianza di me dagli
uomini, perché io non ricevo testimonianza dagli uomini, e quindi mi orienta a
ricercare presso il Padre la testimonianza del Figlio. Quanto più presso il
Padre io vengo a capire la validità, la Verità del Cristo, tanto più il Cristo
per me diventa un maestro di Verità, convalidato, cioè mi dà una certezza per
cui le sue parole mi diventano luce. Fintanto che io facevo conto sugli uomini
o sulle mie esperienze o su me stesso, le parole del Vangelo sono buone o meno
buone, valide o meno valide, ma non ho una certezza, non ho una sicurezza. Per
questo Lui mi dice: “Guarda che la gloria mia tu la devi cercare presso il
Padre, perché chi mi rende testimonianza è il Padre; quindi cerca presso Dio.
più tu cerchi presso Dio, cioè superando te stesso, gli altri e quel che dice
il mondo, tanto più tu troverai la validità di quello che io ti dico. Ma
quanto più tu troverai la validità di quello che io ti dico, tanto più tu avrai
la certezza in te”.
Ecco l’importanza di
capire una parola presso Dio; mentre invece noi generalmente, meditiamo sulle
parole del Vangelo, andando a cercare testimonianze di uomini, prove, frasi,
ecc.; no! Vedi qui che salto ci invita a fare…. Perché nessun uomo e nessuna
parola di uomo ti può dare la creatura. La certezza te la dà soltanto il Padre,
anche su di me. Per cui il Figlio non mi parla di sua autorità, ma mi dice: “Cerca
la conferma di quello che io ti dico presso Dio”. se tu la cerchi presso
Dio, superando te stesso, superando il mondo, superando quello che dicono gli
uomini, tu vedrai la verità di quello che io ti dico e naturalmente vedendo la
Verità avrai la certezza.
Pinuccia: Con questa affermazione Gesù
mette anche in rilievo l’amore che Egli ha per noi, cioè il disinteresse completo
che Lui ha venendo in mezzo a noi.
Luigi: Certo, la creazione è tutto un
atto di amore puro di disinteresse, perché Dio non può creare la creatura in
quanto abbia bisogno della creatura, perché questo sarebbe assurdo e l’assurdo
presso Dio non esiste. Gli argomenti di Dio noi li dobbiamo accettare anche se
non li capiamo, ma non sono certamente assurdi: non c'è l’assurdità presso Dio.
L’assurdo dobbiamo rifiutarlo, perché in Dio non c'è l’assurdo. C'è l’elemento
superiore, ma non c'è l’assurdo.
Pinuccia: Non solo crea
disinteressatamente, ma viene tra noi disinteressatamente.
Luigi: Certo, si offre a morire, unicamente per darci un dono e non per bisogno. Lo fa puramente per noi e solo per noi.