RIASSUNTI GV 1 VS 19 Primo incontro.


Titolo: Sedotti dal mondo o da Dio.


Argomenti: Solo con Cristo possiamo entrare nella Città di Dio. Cristo si presenta a noi come una scelta da fare. La colpa del non conoscere. Non scegliere la vita è restare nella morte. Amare vuol dire mettere prima di tutto. Noi siamo una parola di Dio. Il “rumore” di Dio. Alzare gli occhi al cielo. La malattia e la guarigione. La tentazione. Geremia: sedotto dalla parola di Dio. La porta delle pecore: superamento dell’io. Lo specchio della creazione.Pecore del mondo e di Dio.


 

3/settembre/1978


Pensieri tratti dalla conversazione:

Pinuccia: Lettura del riassunto dell’incontro n.126 del 2 aprile 1978: ricapitolazione dell’episodio del paralitico.

“Nessuno può andare al Padre senza di me”. Nella Città di Dio la conoscenza (la conoscenza di Dio, diretta, personale, la vita eterna), si può entrare solo per mezzo di Cristo: “Io sono la vita”, la strada. Si arriva solo seguendolo, impegnandosi con Lui, cercando di capire le sue parole: ascoltare, meditare, capirle nello Spirito di Lui. Lui non è tanto presenza fisica quanto parola, Verbo, Pensiero che parla del Padre, che parla a noi per introdurci nella Verità: la porta delle pecore attraverso cui si va alla Comunione con Dio. Più ci impegniamo con Lui, più possiamo sperare di giungervi. Il non impegnarsi con Lui vuol dire precludersi ogni possibilità di giungervi. La vita è effetto di scelta e la prima ed essenziale scelta per la vita è Cristo. La non scelta del Cristo è morte. Se vivere è amare Dio chi non sceglie di amare Dio rifiuta la vita. Quindi mentre la vita per averla bisogna averla scelta, la morte per averla non c’è bisogno di sceglierla. Non è valido il viceversa; non scegliere la morte per avere la vita. Scelta per Dio vuol dire lasciare tutto per Lui. Convinti di questo dover scegliere Cristo, non tergiversiamo perché il tempo per scegliere è breve. Siamo responsabili delle nostre scelte ma anche delle nostre scelte non fatte: come del non aver conosciuto. Gesù a Gerusalemme: “Perché non hai conosciuto”; conoscere Dio è vita eterna. Scegliere Dio vuol dire amare Dio al di sopra di tutto: Dio che è Persona vuole adesione personale e distacco da tutto il resto. Non si può vedere Dio se si è dispersi in tante cose. La morte ci colpisce anche se non la scegliamo. La vita e la morte non sono sullo stesso piano di valore. Trascurare il positivo vuol dire già cadere nel negativo. E la scelta deve essere continua. L’amore se si mischia con l’indifferenza subito decade. Questo è il patto eterno di Dio con noi. Ci crea continuamente e ci chiama a diventare figli: allora eternamente ci dirà: “Tu sei mio figlio e io oggi ti ho generato”, così come eternamente richiederà di noi il riconoscimento che Lui è Padre. Sarà un patto reciproco. Noi possiamo ascoltare e capire solo uniti al Verbo, perché il Padre parlando ci fa essere. Noi siamo una sua parola e sempre dobbiamo essere uniti alla Parola per vivere; senza la Parola siamo staccati da Dio. La parola custodita, meditata, approfondita è il nostro cordone ombelicale per giungere alla conoscenza. Ma saremo nella pace solo alla conoscenza. La Parola è il mezzo, la conoscenza è il fine. La Parola va scelta, non basta che ci giunga.

Luigi: Siamo convinti che non possiamo entrare nella Città di Dio se non per Cristo?

Pinuccia: L’ha detto Lui: “Nessuno può andare al Padre se non per mezzo mio”.

Luigi: Appunto, ne siamo però convinti? Cioè siamo convinti che dobbiamo entrare nella Città di Dio e che la Città di Dio rappresenta la conoscenza di Dio stesso, perché è la vita eterna: e che in questa vita eterna noi possiamo entrare soltanto per mezzo di Cristo?

Cina: Dal momento che Dio l’ha mandato per salvarci, Lui è la strada.

Luigi: Si, ma se siamo convinti, vuol dire che soltanto seguendo Lui, cioè soltanto impegnandoci con Lui, possiamo entrare in questa Città di Dio.

Pinuccia: Impegnarci con Lui vuol dire cercare di conoscere quanto Lui ha fatto, quanto Lui ha detto, vero?

Luigi: Impegnarci con Lui vuol dire soprattutto cercare di capire le sue parole, cioè ascoltare le sue parole, meditarle, capirle. Perché Lui non è tanto la presenza fisica, quanto la Parola, perché Lui è il Verbo di Dio e quindi è la Parola che comunica a noi, attraverso la quale ci introduce nella Verità. È questa la Porta delle Pecore, attraverso la quale si entra nella Città di Dio. Allora nella misura in cui ci impegniamo con Lui, possiamo sperare di entrarvi; in diverso noi ci escludiamo, perché è Lui la porta. La vita è sempre effetto di una scelta. Il Cristo si presenta a noi come una scelta da fare. Non scegliendo non è che rimandiamo la vita. Non scegliendo facciamo la nostra morte, perché la morte è una scelta. Perché se vivere è amare, l’amore è scelta: chi non sceglie, rifiuta di amare e quindi rifiuta la vita, ma rifiutando la vita abbraccia la morte. Quindi mentre la vita per averla bisogna sceglierla, la morte non è necessario sceglierla.

Pinuccia: Basta non scegliere la vita.

Luigi: Basta non scegliere la vita per abbracciare la morte. Non siamo sulla stessa posizione di uguaglianza, per cui basterebbe non scegliere la morte per avere la vita. No, non basta che io non scelga la morte per avere la vita; basta invece che io non scelga la vita per avere la morte, questo si. No, non basta che io non scelga la mote per avere la vita; basta invece che io non scelga la vita per avere la morte, questo si. La vita, essendo amore, è scelta e la scelta vuol sempre dire lasciare il resto per quello. Ora, se noi siamo convita che Cristo, che la porta per entrare nella Città di Dio, richiede da noi questo impegno, quindi questa scelta, dobbiamo stringere i tempi con Lui, perché la vita passa molto in fretta. Il tempo per la scelta passa molto in fretta. Siamo responsabili delle scelte che non facciamo e della non conoscenza che abbiamo; perché se in un primo tempo della nostra vita noi non siamo colpevoli di quello che non conosciamo, viene un tempo in cui noi siamo colpevoli di quello che non conosciamo. Gesù stesso lo rimprovera a Gerusalemme: “Perché non hai conosciuto”, quindi si diventa colpevoli di quello che non si conosce; si diventa colpevoli per il fatto che la conoscenza che è vita è una conseguenza della scelta. Noi siamo responsabili delle scelte che non facciamo. Per questo viene un momento nella nostra vita in cui siamo colpevoli delle scelte che non abbiamo fatto, dell’amore che non abbiamo amato e questo diventa morte.

Pinuccia: Quindi se non si sceglie la vita, automaticamente si ha la morte. È automatico questo?

Luigi: È questo che dico: non sono sullo stesso piano. Molte volte si dice così: basta non scegliere la morte per restare nella vita. Non è vero! No, basta non scegliere la vita per restare nella morte. La vita è scelta. Scegliere vuol dire mettere in alto, Qualcuno al di sopra di tutti e quindi vuol dire distaccarci da tutto il resto per seguire Quello. Ora siccome la vita è una Persona, è Dio, quindi richiede sempre un’adesione personale, un distacco da tutto il resto. Ecco, per questo non vediamo Dio. Non vediamo Dio fintanto che siamo dispersi in tante cose. La vita e la morte non sono sullo stesso piano. La vita è necessario sceglierla; basta non sceglierla per restare nella morte; per cui la morte invade noi anche se noi non la scegliamo: basta che noi non scegliamo la vita.

Pinuccia: Quindi in questo sta la spiegazione di certi vuoti che uno ha; è sufficiente aver trascurato la preghiera, la ricerca di Dio, la riflessione.

Luigi: Certo, trascurare il positivo vuol dire giù subito cadere nel negativo; niente rimane in noi così: non è perché ieri abbiamo avuto una bella giornata che oggi si possa vivere nella giornata di ieri. Ogni giorno bisogna mettere un pensiero. Bisogna collegarci con Dio, ogni giorno. Dio si presenta a noi sempre come un Essere da scegliere. L’amore non è amore come effetto di una scelta fatta una volta sola; amare vuol dire preferire, mettere prima di tutto; quindi è un mettere prima di tutto che continuamente va attuato. Ogni attimo noi rendiamo testimonianza di quello che mettiamo prima di tutto. L’amore è una scelta continua. È questo il patto eterno che Dio stabilisce con noi. Lui ci crea in continuazione, anzi ci chiama a diventare suoi figli e Lui eternamente ci dirà: “Tu sei mio figlio, oggi Io ti ho generato”, ma chiede a noi che continuamente noi diciamo a Lui: “Tu sei mio Padre, ed io oggi ti ho scelto come mio Padre”. Ecco c’è sempre la risposta. Lì abbiamo un patto eterno: il Padre che vuol il figlio come figlio, il figlio che vuole il Padre come Padre. Cioè con Dio non si vive di rendita: con Dio è una scelta continua, perché è una Presenza attuale, da volere in continuazione. È Uno che è continuamente da incontrare, che è continuamente da ascoltare, che è continuamente da capire. Ecco, Dio si presenta come Uno che continuamente ci invita. Ed è vita proprio per questo: non si esaurisce mai.

Pinuccia: Però noi possiamo ascoltare e capire solo uniti al Verbo, cioè alla sua Parola.

Luigi: Sì, è Lui che parla. Lui parlando ci fa essere: se Lui non ci volesse noi non esisteremmo nemmeno: noi siamo una sua parola. Ora Lui parlando ci fa essere e parlando ci unisce e quindi ci fa vivere. Per cui noi viviamo e siamo nella misura in cui ci afferriamo alle sue parole. Dio parla, le sue parole sono a nostra disposizione; noi dobbiamo sempre afferrarci a qualche parola sua, ogni giorno, se vogliamo vivere. La vita ci viene dalla parola sua. La parola sua è un trait d’union tra noi e Lui; è la corda attraverso la quale ci arrampichiamo in montagna. Ma se Dio non ci gettasse giù la sua Parola, noi non avremmo niente da arrampicarci per salire su; non sono i nostri sforzi, non è la nostra volontà, non sono i nostri meriti che possono servire a qualcosa, no. Noi abbiamo sempre bisogno di afferrarci alla sua Parola. Ecco, la sua Parola ci unisce nella misura in cui la custodiamo, la meditiamo, l’approfondiamo, fino a giungere al frutto. Il frutto è la conoscenza, la Presenza. La Parola di Dio è il suono, suono suo, richiamo, come si sente in rumore di un aereo. Noi sentiamo il rumore, ma non siamo tranquilli. Non siamo tranquilli fintanto che non vediamo l’aereo che fa quel rumore. Soltanto vedendolo ci tranquillizziamo: abbiamo veduto la sorgente del rumore. Supponiamo di sentire un rumore strano di notte, un rumore che non riusciamo a capire che cosa sia: siamo inquieti, chissà cosa sarà o non sarà. Ecco, vedi, non basta che arrivi il rumore. Non entriamo in pace, soltanto quando abbiamo capito che cos’era che fa quel rumore. Ora la Parola di Dio è il rumore che Dio fa giungere a noi di Sé; ma noi non siamo tranquilli fintanto che non vediamo Lui che parla a noi. Allora la sua Parola ci sollecita (è come il rumore che arriva a noi), a cercare, a guardare. Ci riposeremo soltanto vedendo il suo Volto. Dio parla per invitarci a cercare il suo Volto. Solo trovando il suo Volto entriamo nella nostra pace, nella luce eterna. Quindi dico: la parola che Dio fa giungere a noi è per sollecitarci a cercare il suo Volto, a cercare la sua luce. Ma bisogna camminare. Quindi il frutto della Parola è la conoscenza di Dio. Se noi ci accontentassimo soltanto del rumore o di sentire soltanto le parole ma non ci preoccupassimo di arrivare a vedere il suo Volto, ecco, questo vorrebbe dire che a noi interesserebbe poco Dio e allora noi semineremmo nella nostra vita l’inquietudine, perché tutte le parole di Dio non capite ci provocano l’inquietudine, come un rumore nella notte che non è capito.

Pinuccia: Oppure se ne vanno le parole non capite.

Luigi: Si, ma lasciano noi nell’inquietudine, perché hanno creato in noi un turbamento, un movimento che non ha raggiunto la meta. Cioè la parola di Dio è vocazione per noi. Noi siamo stati vocati (vocati vuol dire che siamo stati chiamati), ma non abbiamo risposto. Allora resta la pena della non risposta data. Cioè non abbiamo scelto.

Pinuccia: Continuazione della lettura del riassunto (il paralitico alla parola di Gesù si alza e supera la prova venendo in conflitto con i farisei). Il paralitico alla parola di Gesù si alza, prende il suo letto pur essendo di sabato e supera così la prova venendo però in conflitto con i farisei. La parola che giunge a noi ci trova malati perché non tocchiamo niente di Dio. Giungendo ci dice: “Alzati”: dal pensiero del tuo io e del mondo, alzati a Dio. Alzando gli occhi già siamo guariti. Se non li alzassimo vorrebbe dire che la parola ci è giunta ma non ci ha interessato, siamo stati chiamati, ma non abbiamo risposto. C’è inquietudine allora in noi perché solo guardando a Dio riusciamo a star bene sulla terra, ad avere il nostro cammino illuminato in essa. Cercando Dio prima di tutto si mette anche ordine nelle cose terrene. Predicare il regno di Dio vuol dire invitare l’uomo ad alzarsi al cielo, vuol dire guarire. Poi: “Prendi il tuo lettuccio e cammina con la luce ricevuta da Dio cammina sulla terra, la prova fatte per superare la tentazione, non per caderci. E subito il paralitico trova chi gli dice: “Non puoi portare il tuo lettuccio, perché è sabato”. Entra in conflitto con la lettera della legge sul sabato. È Dio che ci fa giungere la parola e subito ci chiede di testimoniarla. È l’uomo che afferma la parola affrontando gli argomenti umani, si rafforza sul cammino della conoscenza di Dio. Ma il seme può cadere in terreni diversi. E perché la parola crea persecuzioni, molti abbandonano la Parola. Il paralitico difende la parola: “Colui che mi ha guarito mi ha detto di prendere il mio lettuccio”. E sostenendo la parola è trovato da Gesù nel tempio; esce dal mondo e superando il timori umani del suo io, viene trovato nel tempio. “Non abbiate timore di coloro che uccidono il corpo”. Dopo la prova superata viene la liberazione. Il paralitico ha interpretato in modo materiale la parola, obietta, ma Gesù parla in parabole: la parabola come ogni segno, arriva in superficie (segno di Dio), va intelletta, approfondita nel Pensiero di Dio. Il paralitico nel corpo è offerto alla nostra attenzione non perché lo giudichiamo, ma perché sia a noi segno della paralisi della nostra anima. Va capito nello Spirito di Dio. La nostra anima soffre di paralisi se bloccata dal pensiero dell’io.  Spiritualmente noi non guariamo sempre di noi. Il Signore attraverso ogni segno ci fa prendere coscienza della nostra malattia spirituale, ma ci insegna anche il modo di guarirla testimoniando la sua parola e sottomettendo il nostro io.

Luigi: Ecco qui possiamo capire quello che opera la Parola di Dio giungendo a noi. La Parola di Dio che giunge a noi trova noi malati. Noi siamo tutti malati. La malattia, lo troviamo molte volte nei vangeli, è perché non tocchiamo niente di Dio. Ecco, la Parola, venendo a noi, trova noi ciechi, zoppi, paralitici, malati. La prima cosa che la Parola di Dio invita noi a fare, è questo: “Alzati, cioè alza gli occhi dalla tua terra, dalle tue questioni, dal tuo mondo, dalla tua giornata, alzati dal pensiero del tuo io, alza gli occhi in alto. In alto c’è Dio”. Alzando gli occhi in alto, già ci guarisce. La nostra malattia sta nel fatto che noi abbassiamo gli occhi: guardiamo la terra, anziché guardare il cielo. Possiamo camminare sulla terra soltanto guardando il cielo. Soltanto con la testa nelle nubi noi camminiamo bene in terra. Ma più noi guardiamo in terra, preoccupati di camminare bene, e più noi, sembra strano, sbagliamo, inciampiamo e camminiamo male, perché siamo nella notte. La luce ci viene dall’alto. Soltanto guardando in alto, abbiamo la luce per illuminare il nostro cammino in terra. Noi abbiamo bisogno del cielo per sopportare la nostra vita in terra; noi abbiamo bisogno del cielo per vedere la luce sulle strade della nostra terra, per scegliere quindi bene il cammino, la strada della terra. Per questo la Parola di Dio appena arriva a noi dice: “Non preoccuparti del mangiare, del vestire, non preoccuparti dei problemi del mondo, alza lo sguardo in alto, cerca prima di tutto Dio”. Ecco, alzando gli occhi in alto, cercando prima di tutto Dio, si trova la guarigione. Per questo Gesù manda i suoi discepoli a predicare il regno di Dio. Predicare il regno di Dio vuol dire invitare la gente ad alzare gli occhi a Dio. Predicando il regno di Dio, guarivano le malattie. Gesù dice: “Guarite tutte le malattie predicando il regno di Dio”. Non guarite le malattie con altri mezzi, ma predicando il regno di Dio. Qui infatti è la vera guarigione, perché se gli uomini si ammalano non vedendo Dio, guariscono se vengono portati a vedere il regno di Dio. Per questo la Parola di Dio appena arriva a noi ci dice: “Alzati!”, poi dice: “Prendi il tuo letto e cammina!”. Ecco, con la luce che ricevi da Dio sopporta i pesi della terra, cammina sulle strade della terra. Questo ci mette di fronte alla prova, alla tentazione; come questo paralitico incomincia a camminare ubbidendo alla Parola di Dio trova subito chi gli dice: “Tu non puoi camminare con il tuo letto sulle spalle, perché oggi è sabato”. Ecco la prova. È Dio che dopo averci dato la sua parola, subito ci mette nell’occasione di testimoniarla. Messo nella tentazione l’uomo si fortifica se afferma la parola e non si lascia impressionare dagli argomenti del mondo. Il Signore infatti dice che la parola di Dio è come un seme che cade in terreni diversi. Tra i terreni diversi c’è anche quello che ha pietre e cespugli di spine; lì il seme subito germina, ma poi a motivo delle persecuzioni che sorgono a causa della Parola, ciò che è germinato si perde.

Cina: Anche la lettura di stamattina diceva proprio così, di Geremia, che quasi non vorrebbe ..

Luigi: Non vorrebbe aver udito la Parola di Dio.

Cina: Perché gli crea scherno …

Luigi: La Parola di Dio crea persecuzione, crea prova. Dietro ogni Parola di Dio noi siamo messi alla prova, ma questa non è per metterci in difficoltà, ma per fortificarci, cioè per renderci più liberi, più vivi nella Parola di Dio. Per questo Gesù dice: “A motivo della persecuzione”. Allora quelli che hanno pensieri di denaro, di benessere nel mondo, di figura, del pensiero di se stessi, a motivo della persecuzione, devono abbandonare la Parola di Dio. Lo vediamo qui in questo paralitico guarito che per ubbidire alla Parola di Dio si prende il suo lettuccio e cammina e subito trova chi gli dice: “Non ti è lecito portare il tuo letto, è sabato!”. E lui cosa risponde? “Colui che mi ha guarito mi ha detto …”. Ecco che difende la Parola di Dio! Qui abbiamo la prova in cui lui sostiene la parola udita di fronte alla critica del mondo. Il mondo dice: “Non puoi fare questo!”, lui dice: “Colui che mi ha guarito mi ha detto di farlo!”. Vedi come sostiene la Parola di Dio? Sostenendola entra nel tempio. Infatti subito dopo troveremo che il Vangelo dice: “Gesù lo trovò nel tempio”. La Parola di Dio non si lascia più appartenere al mondo. E come non ci lascia più appartenere al mondo, il mondo comincia a suscitare la lotta. “Il mondo vi odia perché voi non siete del mondo a causa del fatto che Io non sono del mondo” dice Gesù ai suoi discepoli. Cioè la Parola di Dio non è del mondo. Chi ascolta la Parola di Dio, non può più essere del mondo, quindi non può più seguire gli interessi del mondo. Allora tutti quelli che sono del mondo cominciano ad odiarlo. Qui abbiamo la persecuzione, ma questa è a favore di colui che non appartiene al mondo, poiché gli allarga le ali, lo fa volare ancora di più, lo fortifica, lo rende più spirituale. Questo paralitico ha difeso la Parola di Dio e quindi si è trovato dentro il tempio. La Parola di Dio ubbidita, sostenuta, se la creatura non arrossisce di fronte agli argomenti del mondo, fa entrare nel tempio.

Cina: A me ha fatto coraggio la lettura di stamattina, perché Geremia è stato quasi forzato e portato dal Signore, nonostante la sua paura.

Luigi: Si, è stato sedotto dalla Parola di Dio. Ma lui dice: “Tu mi hai sedotto, e io mi sono lasciato sedurre”. Ecco, lui si è lasciato sedurre. Si, si può  aver paura del mondo, anche Gesù ebbe paura e pregò: “Padre, se è possibile, passi da me questo calice, però la tua volontà sia fatta”. Si ha anche paura, però si mette sempre prima la volontà di Dio. Uno non lascia la Parola di Dio, anche se il mondo con i suoi argomenti può far tremare; ma Gesù stesso assicura: “Non abbiate timore di coloro che uccidono il corpo”. L’importante è non separarci dalla Parola di Dio, perché tutto serve per l’anima che custodisce la Parola di Dio, perché tutto serve per l’anima che custodisce la Parola di Dio; tutto viene per servire, per fortificare e quindi per liberare. Si capisce che nella prova uno trema; ma superata la prova, si sente molto più libero.

Pinuccia: Direi che questo paralitico abbia incarnato in modo materiale, alla lettera, la parola di Gesù che gli aveva detto di prendere il suo letto.

Luigi: Si, ma questo è un segno, perché tutte le lezioni del vangelo sono parabole, sono lezioni per noi, sono segni di Dio: non dobbiamo fermarci all’espressione materiale “paralitico”, perché potremmo dire: “Io non sono materialmente paralitico”. No, guarda che invece tu sei paralitico nell’anima. Se il Signore ci fa incontrare uno che è paralitico nel corpo, non è perché noi giudichiamo quello, o perché è cieco o perché zoppica; ma perché abbiamo a capire che è una lezione per la nostra anima, per il nostro spirito. Se il Signore mi presenta un paralitico, io devo capire che cosa Lui mi vuole dire spiritualmente; quindi devo cercare di capire la Parola. La Parola di Dio la si capisce con lo Spirito di Dio. Che cosa vorrà di spiritualmente la paralisi? Quand’è che noi siamo paralizzati? Quand’è che noi siamo paralitici? Meditando così, ecco che possiamo scoprire di essere noi paralitici nell’anima, nella mente, nel cuore e allora capiamo la lezione di Dio che ci dà nel Vangelo per insegnarci attraverso quale via noi possiamo essere liberati dalla nostra paralisi, e guariti; e così anche dalla cecità; così anche dallo zoppicare nei compromessi con il mondo, così pure tutte le malattie fisiche che sono segni di malattie spirituali. Le malattie nel corpo sono segni di malattie nell’anima. Ora, quello che importa è scoprire la malattia dell’anima, perché le malattie del corpo guariscono anche senza di noi, ma quelle dell’anima no. Così se c’è un mendicante: domani questo sarà un re nel regno di Dio, ma adesso è così per noi; così se c’è un ubriaco: sono lezioni di Dio. Spiritualmente noi non guariamo senza di noi. Il Signore ci presenta fuori i segni delle nostre malattie e ci presenta anche chi le guarisce, affinché noi ci afferriamo a quella medicina che può guarire la nostra anima. Ma quella medicina deve essere presa, voluta, scelta. “Vedi, Io ho guarito un cieco per farti capire che se tu ti scopri cieco nello spirito, nelle vie dello spirito, tu sappia andare dal medico che guarisce la cecità”. Quindi se Gesù ha guarito il cieco è per dire a me, cieco nell’anima, che io devo scegliere Lui, andare da Lui come medico per essere guarito nella mia cecità spirituale; e se Lui ha guarito un paralitico è per dire a me, ad ognuno di noi, che il giorno in cui noi scopriamo di essere paralitici, di non saper più camminare nelle cose dello spirito, di andare da Lui che ha guarito il paralitico, perché Lui è il medico che guarisce la paralisi. Sono tutte lezioni che il Signore ci mette nel vangelo per segnalare a noi l’aiuto, la medicina, la strada per cui possiamo uscire dai nostri mali in cui continuamente ricadiamo.

Pinuccia: Quindi anche questo “portare il letto” che sembra un compito materiale della Parola di Dio, è una parabola?

Luigi: Si capisce. È come quando Lui parla del seme che cade in un terreno pieno di spine e pieno di sassi oppure del seme che cade sulla strada materialmente, ma è parabola. Ora la Parola di Dio che arriva a noi, arriva sempre in superficie, ma noi non dobbiamo mai fermarci alla lezione materiale, perché Dio parla spiritualmente.

Pinuccia: Qui mi pareva un’ubbidienza, l’esecuzione materiale di un ordine.

Luigi: Come parabola; ma ogni parabola va sempre intesa nel suo spirito, per cui: “Io parlo in parabole affinché non capiscano”. Soltanto chi è dentro può capire,, ma essere dentro vuol dire approfondire, vuol dire appartenere a Dio, vuol dire cercare la luce di Dio. Tutte le parabole del Signore, siccome arrivano a noi nel nostro mondo, nel nostro io, arrivano in superficie. Ora chi non fa caso e l’intende soltanto materialmente, resta scandalizzato e allora magari le rifiuta perché dice: “No, è impossibile”. Quando il Signore dice: “Se il tuo braccio ti è di scandalo, taglialo!”, io devo tagliarmi un braccio? Ma no, quella è una cosa impossibile e allora la scarto. Vai a fondo, cerca di capire, perché la Parola di Dio va sempre intesa con lo Spirito di Dio; essa è il rumore che arriva a noi; ma il rumore va approfondito, va seguito fino a arrivare alla fonte. La fonte è sempre spirituale, cioè bisogna sempre capire quello che spiritualmente ci vuol dire per la vita essenziale, per la vita dell’anima, cioè per la nostra comunione con Dio.

Pinuccia: Continuazione lettura riassunto n.127 del 9 aprile: “Onde essi gli domandarono: “Chi è quell’uomo che ti ha detto: prendi il tuo letto e cammina?”. (Il conflitto tra le due volontà: tra l’uomo vecchio e l’uomo nuovo). Qui comprendiamo che quell’uomo era paralitico fisicamente da trentotto anni, perché c’erano i farisei che erano i veri paralitici.

         Scopriamo che al paralitico guarito nel corpo, fanno riscontro i farisei o noi stessi paralitici dello Spirito. Ecco l’operare di Dio attraverso la Parola. La Parola è il Pensiero di Dio incarnato per ricuperarci nella dispersione in cui siamo, per farci alzare il pensiero a Sé. Nel suo Pensiero. Senza Gesù, la Parola, la legge ci blocca alla sua lettera, viene interpretata nel pensiero dell’io, è priva dello Spirito che le da vita. La legge come il sabato è dono dell’amore di Dio per l’uomo, non è contro l’uomo, per giudicarlo e condannarlo. Essendo paralitici non possiamo entrare nel regno di Dio: e invece ci crediamo giusti, vivi, perché la paralisi interiore non ci permette di capire e giudichiamo gli altri anziché noi stessi. Non comprendiamo che la legge ci è stata data per salvare l’uomo, non per strumentalizzarlo. “Guai a voi che scorrete mari e terre per fare dei discepoli e poi voi non entrate e impedite agli altri di entrare”, ecco la paralisi interiore che preclude il regno dei cieli. Di fronte a Dio è necessario il credere, il lasciarsi sedurre come la Madonna: “Beata te che hai creduto, perché si compiranno in te le promesse di Dio”. Dio le promesse le fa a tutti, ma solo per chi crede che esse si compiono. Dio chiede alla creatura l’adesione ai suoi doni: prima e soprattutto spiritualmente, anche se le nostre opere non seguono coerenti. Se c’è amore, Dio agirà anche sulle nostre opere. Si è pecora di Dio. Si dipende solo da Dio perché Dio è tutto per noi. Ci si può smarrire, ma Dio arriverà a raccoglierci. Al contrario per le pecore del mondo: non parla che in parabole per loro, gli ingiusti che si dicono giusti, ed essi non possono capire. Le sue pecore piangono, a disagio nel mondo; le pecore del mondo, invece ci stanno a loro agio. La porta delle pecore che introduce nel regno di Dio è Cristo e per passarvi si richiede di superare il nostro io, per amare con tutto il nostro essere Dio, vivendo solo per Lui e in Lui.

Luigi: Ecco qui come la lezione si chiarisce. Qui cominciamo a capire come Dio opera. Ci ha presentato un paralitico e i farisei. I farisei hanno di fronte  a loro (è Dio che lo fa loro incontrare) un paralitico che viene guarito da Gesù, per dire a noi che quello che il Signore presenta davanti a noi è una lezione per la nostra vita interiore. Perché adesso quello che era paralitico e che la Parola di Dio ha guarito per cui cammina, si viene a trovare di fronte a dei farisei che scopriamo essere paralitici nell’anima. Allora abbiamo un paralitico fuori e dei paralitici dentro. Questo ci fa capire che Dio opera fuori di noi quelle lezioni che devono servire per farci capire quello che portiamo dentro di noi. Per questo dico che se troviamo un ubriaco fuori è una lezione di Dio per farci meditare sulle ubriacature che portiamo dentro; se troviamo un paralitico fuori è per farci capire e richiamarci che siamo paralitici nell’anima. Per cui abbiamo i farisei che effettivamente erano paralizzati nei  loro schemi di legge, nelle loro interpretazioni della legge e non capivano l’amore di Dio che c’è nella legge. Non capivano che al centro di tutta la legge c’era il disegno di Dio per salvare l’uomo. Loro invece usavano la legge per giudicare e per condannare l’uomo, per strumentalizzarlo e per renderlo schiavo il doppio. Infatti Gesù dice: “Guai a voi che scorrete mari e terre per fare dei discepoli e poi voi non entrate e impedite agli altri di entrare”. Ecco la paralisi: “Voi non entrate”. Il non entrare nel regno di Dio è essere paralitici. Ecco, questa è la paralisi interiore, la paralisi dell’anima. Però siccome noi le cose dell’anima non le capiamo, non possiamo rendercene conto, accade che noi ci crediamo giusti e invece siamo peccatori; ci crediamo sani e invece siamo malati; ci crediamo vedenti e siamo ciechi; ci crediamo vivi e siamo morti. Allora il Signore si presenta davanti agli occhi l’idropico, il paralitico, il cieco, il morto che Egli risuscita: sono sempre lezioni, non perché noi abbiamo a giudicare quelli, ma perché noi abbiamo a riflettere su di noi.

Cina: Come quella persona che si presentò stamattina e che non sa dove andare e che nessuno più la vuole e che non ha saputo tenere preziosi gli aiuti ricevuti. Che cosa ci dice? È anche per noi questo?

Luigi: Certo. Ci dice che noi molte volte supplichiamo di avere una casa, di avere qualcuno che ci comprenda, di avere qualcuno che ci aiuti a vivere e poi magari quando ce l’abbiamo, diventiamo violenti, uccidiamo, lo allontaniamo da noi. Perché il guaio è lì: invochiamo la vita e quando la vita viene a noi, la crocifiggiamo, la rifiutiamo; per cui vogliamo e rifiutiamo nello stesso tempo la stessa cosa. Supplichiamo e poi quando l’aiuto ci viene dato, lo respingiamo. È come per esempio l’affamato che supplicasse per avere una pagnotta e poi quando la pagnotta gli venisse data la buttasse via. Purtroppo nella nostra vita succedono tante di queste cose così.

Pinuccia: In questa persona avviene inconsciamente questo.

Luigi: È lezione di Dio; è malattia, malattia esterna per far capire a noi quante volte invochiamo, supplichiamo un aiuto di Dio e quando Dio ci manda l’aiuto, lo rifiutiamo. Vedi che facciamo proprio quello che si verifica in questo malato?

Cina: Però la lettura di questa mattina fa coraggio, perché Geremia è stato forzato dal Signore, perché è il Signore che ha le redini in mano e lo porta. Forse che lui lo porta e un altro no?

Luigi: No, ma lui è stato forzato perché si è lasciato sedurre: “Tu mi hai sedotto ed io mi sono lasciato sedurre”. Poi naturalmente arriva la prova e nella prova l’uomo si lamenta. Infatti egli dice: “Basta, adesso io non predicherò più la tua parola”, però appena si trova nell’occasione dice di nuovo la parola di Dio; non può farne a meno perché? Perché si è lasciato sedurre. Quante volte uno dice: “Non ci penso più”, “Non ci penso più” e poi dopo ecco siamo sempre lì. È come uno che sia innamorato: “Basta, io lascio, non ci penso più”, e poi ricade sempre lì, proprio perché si è lasciato conquistare. Geremia è un innamorato di Dio, si è lasciato sedurre da Dio e naturalmente quello gli crea un sacco di tribolazioni. Di fronte alle tribolazioni dice: “Basta, adesso lasciami stare un pochino tranquillo”, però non può senza di Lui. Ora lei dice: “Perché Dio non forza tutti così?”. Bisogna vedere se tutti si lasciano sedurre così.

Pinuccia: E lasciarci sedurre vuol dire accettare la sua Presenza?

Luigi: Certo. C’è stato proprio il momento della vocazione per Geremia e Geremia ha risposto.

Cina: Dico giusto? Geremia si è lasciato sedurre, allora il Signore porta a compimento la sua vocazione.

Luigi: Sì, è un po’ come la Madonna. Elisabetta dice a Maria: “Beata te che hai creduto, perché si compiranno in te le promesse fatte da Dio!”. Si compiranno! Forse che Dio le promesse non le fa a tutti? E perché allora non per tutti si compiono le promesse di Dio? Perché soltanto per la Madonna si sono compiute e non per tutti? Perché soltanto per la Madonna si sono compiute e non per tutti? Perché Lei ha creduto (“Beata te che hai creduto”). Credere vuol dire lasciarsi sedurre. Allora Dio fa anche quello che la creatura non si sente di fare e glielo fa fare, perché ormai la creatura è posseduta da Lui, si è messa nelle sue mani. Certo, se noi ci mettiamo nella mani sue allora Lui forza. Comprendi? Ma bisogna dire il “Fiat” come lo disse la Madonna. La lezione illuminante ce l’abbiamo sempre dalla Madonna. Dov’è che il disegno di Dio arriva a compimento? Arriva a compimento là dove la creatura crede; ma se la creatura non crede, abbiamo l’aborto, cioè abbiamo il disegno che non giunge al compimento. Perché? Perché la creatura non ha creduto. Non credendo, ecco le conseguenze che si hanno nella creatura! È l’alleanza che viene rotta! Quindi da parte di Dio, Dio vuole portare tutte le cose a compimento; ma per portarle a compimento chiede alla creatura l’adesione, soprattutto dell’anima, dello spirito, della mente; che poi dopo materialmente riesca a fare certe cose o a non farle, questo conta poco (il Signore ha tutte le possibilità di fargliele fare). Non conta quello che facciamo materialmente o il modo con cui ci comportiamo. Quello che importa è l’amore che portiamo dentro di noi, quello che portiamo dentro il cuore, il pensiero che portiamo dentro di noi, l’innamoramento che portiamo dentro di noi; cioè quello che conta è se siamo pecore di Dio o se siamo pecore del mondo. È questo che importa! Non importa essere in un modo o nell’altro; fare una cosa o farne un’altra; quel che importa è questo: perché se uno si è lasciato conquistare da Dio, cioè è innamorato di Dio, diventa pecora di Dio, e allora porta sempre dentro di sé questo desiderio, questo sogno di sentir parlare delle cose di Dio, di trovarsi con Dio, di conoscere la sua Verità, il suo Volto e si stufa di sentire cose del mondo; qui abbiamo la pecora di Dio. Ma se invece noi abbiamo la creatura che trova la sua soddisfazione nelle cose del mondo, nel restare nelle cose del mondo, lì abbiamo la pecora del mondo. Non abbiamo la pecora di Dio anche se questa persona fosse santa, virtuosissima, facesse tutte cose ottime, ecco, però sta bene nelle cose del mondo: questa è una pecora del mondo; non si trova esiliata nel mondo. Quello che forma questa seduzione con Dio è questo rapporto interiore, è questo innamoramento interiore, è questa convinzione interiore che Dio è tutto per noi, il nostro bene. Questo forma la pecora di Dio. Questa pecora può anche trovarsi smarrita sulle strade del mondo, può anche piangere, può anche lamentarsi, può disperare: Dio arriva sempre perché è una sua pecora! Ma Lui non prega per il mondo. Lui parla in parabole affinché non capiscano: invece se si tratta di pecore sue, lì invece no. Lui insiste fintanto che capiscono. Vedi? Abbiamo un capovolgimento. Lui fa una scelta e la scelta deve avvenire lì: cioè anime che scelgono Lui e mettono Lui prima di tutto e anime invece che magari sopportano Lui, ma però appartengono al mondo, cioè prima di tutto a loro interessa il mondo e si trovano bene nelle cose del mondo. È la distinzione tra la pecora di Dio che magari nel mondo piange, si lamenta perché è in esilio e non vuole stare nelle cose del mondo, appartiene al cielo, e la pecora del mondo che si trova bene nel mondo e quando invece si deve occupare delle cose di Dio lo fa a stento perché si trova bene nelle cose del mondo. Là dove noi ci troviamo bene, vuol dire che noi siamo a casa nostra; se noi ci troviamo bene nelle cose del mondo vuol dire che casa nostra è il mondo, non è Dio; se noi invece nelle cose del mondo soffriamo e ci sentiamo fuori di casa, siamo in un luogo disagiato, in un luogo estraneo, allora vuol dire che noi apparteniamo alle cose di Dio, alle cose del cielo. ora Geremia apparteneva alle pecore di Dio, era sedotto. Tribolava nel mondo, si lamentava, chiedeva di essere alleggerito da questo peso, però apparteneva a Dio. Ecco, era sedotto da Dio, non poteva farne a meno.

Pinuccia: Continuazione della lettura del riassunto.

-                     Travisamento della legge nel pensiero dell’io;

-                     Deformazione mentale che c’è nell’interrogazione dei farisei, per cui non vedono il miracolo.

-                     Necessità quindi del superamento dell’io.

Non superando il nostro io, anche la legge che in sé è buona, noi la travisiamo. Strumentalizziamo, giudichiamo gli altri, invece di usarla a convertire noi stessi. Se non siamo entrati nell’Amore, ma ancora siamo schiavi dell’io, Dio opera in tutto per farcelo capire; ci acceca anziché darci la luce, perché ci crediamo vedenti, ci ammala perché ci crediamo sani. “Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso”, la pecora di Dio, Cristo stesso è l’Agnello, non fa niente se non lo vede fare dal Padre. Non come la pecora del mondo che fa solo quello che vede fare dagli altri, spinto dall’interesse, dalla figura, dai sentimenti. Stiamo attenti alla Parola di Dio che è in tutto, perché è la parola che ci modifica, ci guarisce dalla paralisi, ci porta alla conoscenza: ci parla della paglia nell’occhio del fratello perché scopriamo il trave nel nostro occhio, non per giudicare il fratello. Operando su di noi ci aiuta nello stesso tempo il fratello. Chi cerca la Verità lavora per tutti. Senza cercare di convincere gli altri. Ognuno di noi, senza parlare predica ciò che ama. Ognuno è spettacolo agli altri di ciò che ha messo a prima. A parole si può affermare l’opposto di quel che testimonia la nostra vita: ma gli altri credono a quello che operiamo e non a quanto andiamo dicendo.

Luigi: Abbiamo detto prima che la Porta che introduce nel regno di Dio è Cristo. Qui si precisa che questa porta richiede a noi il superamento dell’io. Infatti la chiama la porta delle pecore, delle sue pecore; soltanto le sue pecore passano attraverso la porta. La condizione quindi per passare attraverso la quale le pecore entrano nella Città di Dio; ma questa porta richiede il rinnegamento di noi stessi, il superamento del nostro io. Ora superare il nostro io vuol dire vivere solo per l’Altro, perché superando noi stessi si entra nell’amore di Dio. Amare vuol dire pensare al bene dell’altro, quindi non si vive più per noi, si vive per l’altro. Allora si entra nella Città di Dio nella misura in cui non si vive più per noi, ma si vive per l’Altro (per conoscere Dio, per fare Dio, per parlare di Dio, per operare in tutto secondo Dio). Più noi dimentichiamo noi e più entriamo nella Città di Dio, perché la Porta che è Cristo, richiede questo. Mentre invece se noi non superiamo noi stessi, anche tutte le regole che Dio ci dà per farci entrare nella Città di Dio, vengono da noi travisate, per cui la legge che è buona, se noi non superiamo il nostro io per entrare nell’amore di Dio, viene adoperata malamente. E allora noi adoperiamo la legge per giudicare gli altri, per cambiare gli altri e intanto non ci preoccupiamo di cambiare noi stessi; arriviamo a condannare a morte il Cristo in nome della legge; tutto perché non abbiamo capito che la porta richiede alla creatura il superamento di se stessa. Se noi non superiamo noi stessi, se noi pensiamo a noi, fraintendiamo tutto: crediamo di essere a posto e siamo fuori posto; crediamo di essere giusti e siamo ingiusti; crediamo di essere sani e siamo malati; crediamo di essere vivi e siamo morti; crediamo di essere ricchi e siamo poveri, miseri addirittura. La chiave di volta sta tutta lì: bisogna mettere Dio al centro e togliere il nostro io. Quindi togliere il nostro io vuol dire superarsi e non pensare più a noi, pensare solo a Lui. Noi ci preoccupiamo di Lui e allora lì ci accorgiamo che nel pensiero suo tutte le cose che arrivano a noi arrivano non per farci giudicare gli altri e per farci cambiare gli altri, ma perché noi cambiamo. Allora Dio lì ci aiuta in tutto. Ma questo aiuto di Dio arriva a noi nella misura in cui abbiamo superato noi stessi e guardiamo solo più Lui, nella misura in cui siamo entrati nell’amore. In caso diverso Dio opera in tutto per far capire a noi che non siamo ancora morti a noi stessi, che non siamo ancora entrati nel cammino; allora Lui ci acceca, anziché darci la luce, perché noi ci crediamo vedenti; allora opera perché ci crediamo sani, per farci diventare malati; per portarci alla morte anziché alla vita; ma tutto perché noi non siamo morti al nostro io. Così abbiamo tutta una serie di operazioni di Dio precedenti per convincerci che noi non siamo morti al nostro io, che non abbiamo messo Lui al centro, che tutta la nostra vita è sbagliata. Allora Dio prima di tutto opera per convincerci che dobbiamo rinnegare noi stessi (“Chi vuol venire dietro di me”, cioè chi vuol passare attraverso la porta, che è la stessa cosa, rinneghi se stesso, perché nessuno si illuda di poter venire dietro di me se non rinnega se stesso).

Cina: Le pecore sono l’emblema di chi segue?

Luigi: Si, di chi segue, di chi si lascia guidare da Dio: “Io sono la porta delle pecore”. Lui stesso è l’Agnello, cioè è Colui che è tutto abbandonato a Dio. Pecora è colui che è disponibile, che non fa nulla di sua iniziativa. Possono esserci pecore del mondo, che non fanno niente di loro iniziativa se non lo vedono fare dal mondo. Invece la pecora di Dio è quella che non fa niente di sua iniziativa se non è guidata da Dio; i figli di Dio si distinguono in questo: che in tutto si lasciano guidare dallo spirito di Dio. C’è che si lascia guidare in tutto dallo spirito di Dio e c’è che si lascia guidare in tutto dallo spirito del mondo, da quello che dicono gli altri. Quando ci lasciamo guidare da quello che dicono gli altri, dalla figura, oppure dai nostri sentimenti, da quello che può piacere a noi, che fa comodo a noi, allora noi non siamo pecore di Dio, ma del mondo. Allora lì Dio opera per farci capire che noi non siamo sue pecore. Di qui la necessità innanzitutto di imparare di togliere il nostro io dal centro dei nostri pensieri e a metterci Dio.

Teresa: A volte sembra che sarebbe più interessante iniziare un argomento nuovo, però serve anche rivedere attraverso i riassunti gli argomenti già visti, perché si dimenticano facilmente.

Luigi: Abbiamo continuamente bisogno di sentirceli confermare; tante volte noi sentiamo che tutto quello che avviene è per noi, e poi continuamente (quante volte nella giornata!) lo dimentichiamo e ci fermiamo soltanto all’avvenimento, al fatto e non passiamo al significato che Dio vuol dire a noi personalmente. Con che facilità dimentichiamo! Per questo abbiamo bisogno continuamente di sentirci ripetere queste cose, di sentirci confermare: “Tutto è parola di Dio; Dio sta parlando con te e quindi in quanto parla con te, sta attento, cerca di capire quello che Lui vuole significarti, perché se Lui parla con te parla per cambiarti, per portarti nella vita, per farti uscire dalla tua paralisi, dalla tua morte, quindi sta attento; non guardare la paglia che c’è nell’occhio del fratello, cerca sempre di vedere la trave che c’è nel tuo occhio, affinché tu possa vedere bene. Ecco sono le lezioni di tutti i giorni, perché tutto è Parola di Dio. Invece noi tutti i giorni il più delle volte, immediatamente, operiamo sugli altri, anziché operare su di noi e non ci accorgiamo invece che se noi capiamo la lezione di Dio e operiamo su di noi, questo è l’aiuto più grande che noi possiamo dare anche agli altri. Già nell’Ecclesiastico si dice: “Vedete che non ho faticato invano a cercare la Verità; non ho faticato per me solo, ma per tutti”. Chi cerca la Verità lavora per tutti, siamo nel vero amore del prossimo.

Pinuccia: Anche se non dico niente a nessuno?

Luigi: Anche se non dici niente a nessuno. Non c’è bisogno di parola. Quello che si richiede è l’amore per Dio, la ricerca, l’interesse per Dio. Questa è la vera parola che noi predichiamo nella nostra vita. Perché ognuno di noi predica ciò che ama, anche senza parole. Ecco: “Dov’è il tuo tesoro, lì è il tuo cuore”. Quindi qual è il tuo tesoro oggi? Cos’è che ti sta più a cuore? Questa è la tua predicazione, questa è la tua parola! Anche se non dici nessuna parola. Qui sta molto attento al tesoro che porti dentro il tuo cuore, perché questa è la parola che tu predichi nel mondo. Ognuno di noi è spettacolo al mondo di quell’amore che ha messo prima di tutto. Non c’è bisogno di parole. Ognuno di noi è spettacolo di quell’amore lì, di ciò che gli sta più a cuore. Ma, star più a cuore vuol dire avere il coraggio di (non è che lo si deve fare sempre, però uno rende testimonianza) passare sopra il mangiare, al vestire, alla figura, alla comodità, al benessere, a tutto questo. È come una mamma che abbia tanto a cuore il proprio bambino, passa sopra a tutto, pur di guarire il bambino. Se invece dicesse che non lo può fare perché deve pensare a farsi bella, al vestito, alla figura, il bambino dove andrebbe? Ci può anche essere una mamma che dice di amare tanto il bambino, però lei pensa solo a se stessa e non al bambino. Ecco, allora le parole sole non servono a niente, non contano niente; e non sono quelle parole che danno spettacolo al mondo. Quella mamma dà spettacolo al mondo di ciò che veramente ama: se stessa. Ognuno di noi dà spettacolo al mondo di ciò che veramente ama, di ciò che più gli sta a cuore. Per questo dico che non c’è bisogno di parole perché quella è la vera parola, tutto il resto è aggiunta. Stiamo attenti a quello che abbiamo come tesoro nel nostro cuore



RIASSUNTI GV 1 VS 19 Secondo incontro.


Titolo: La possibilità di diventare figli di Dio.


Argomenti: La sindone. L’adesione all’opera di Dio. Le tappe della nostra vita. La soddisfazione del bisogno essenziale della nostra vita. La vita è scelta, perché la vita è amore. Sovrabbondanza d’amore. Più cerchiamo Lui e più in Lui avremo la possibilità di intendere le sue opere.


 

10/settembre/1978


 Pensieri tratti dalla conversazione:

Eligio: È possibile per noi vedere positivamente il Padre agire (come lo è per il Figlio naturale) e non solo attraverso gli effetti?

Luigi: È possibile soltanto nella misura in cui noi diventiamo figli di Dio, cioè noi facciamo una cosa sola con il Figlio di Dio, allora noi vediamo le cose positivamente. Ritorniamo così alla Sindone: la Sindone è un negativo che ci nasconde un positivo, ma ci vuole il rivelatore. Il rivelatore è la fotografia. Nella Sindone abbiamo la sintesi, come d’altronde in Cristo (l’incarnazione è un sintesi di tutto l’universo) di tutto il mondo. Tutto il mondo è un negativo, ma la condizione per vedere il positivo è quella di avere una macchina fotografica. E la macchina fotografica è la luce del Padre. Attualmente noi vediamo soltanto il negativo e nel negativo vediamo solo i chiaroscuri. Vediamo sì che c’è un mistero, che c’è un Essere che opera, però è un chiaroscuro, navighiamo nel mistero. Quando con la conoscenza del Padre alla quale ci conduce il Cristo attraverso questa negatività attingiamo il principio della Verità, allora nella luce del Padre noi scopriamo il Volto del Figlio, quindi l’azione positiva del Padre.

Eligio: Però prima di giungere a questa luce del Padre, come si fa a operare secondo il Padre senza ancora vederlo, ma solo sapendo che tutto è opera del Padre?

Luigi: Sapendo che in tutto c’è la mano di Dio, dobbiamo accettare, accogliere tutto dalle mani di Dio, perché attraverso l’adesione si forma in noi la sottomissione e quindi l’attuazione della volontà di Dio. Il rifiuto è rifiuto dell’opera formatrice del Padre su di noi. Mentre invece l’adesione ci purifica, allarga la mente, allarga l’anima fino a renderla capace di accogliere la luce del Padre. Ma chi forma in noi è Dio, non siamo noi. Dio opera in tutto per formare noi suoi figli, però noi dobbiamo aderire: “Se tu non ti lasci lavare i piedi non avrai parte con me”, dice Gesù a Pietro. Il Cristo si abbassa a lavare i piedi della creatura, affinché la creatura possa avere parte con il Cristo; ma bisogna che la creatura si lasci lavare i piedi anche se le sembra assurdo. Apparentemente sembra assurdo a Pietro che il suo Maestro si chini a lavargli i piedi, però deve lasciar fare, anche se ai suoi occhi sembra assurdo: è opera di Dio, Lui lo sa. Ora non capisci, capirai poi dopo; ma se non ti lasci fare non avrai parte con me. In tutte le cose, in tutti gli avvenimenti, ogni giorno, Dio si abbassa a lavare i piedi a noi: i piedi sono il punto di contatto tra la nostra esistenza e la terra. Noi siamo fatti di cielo e di terra; i piedi sono il punto di contatto con la terra. Camminando in terra noi raccogliamo polvere, cioè ci carichiamo di terra; caricarsi di terra vuol dire renderci pesante il cammino, perché noi ci appassioniamo delle cose che tocchiamo e toccandole ne restiamo macchiati. Dio opera ogni giorno per purificare i nostri piedi da questa polvere che raccogliamo camminando e man mano che ci purifica ci rende più liberi per le cose dello spirito; ma l’opera è di Dio. Cioè noi dobbiamo lasciar fare a Dio, ma per lasciar fare dobbiamo sempre accogliere, aderire in tutto a Dio e ringraziarlo per tutto e possibilmente cercare di arrivare ad intendere il significato, il perché Dio opera così; ma a base di tutto, siccome il significato è luce di Dio, c’è l’adesione. Il rifiuto ci mette nell’impossibilità di avere parte con Lui; cioè il rifiuto non ci trasforma.

Eligio: Non pensavo però al rifiuto, ma a quelle incertezze in cui ci troviamo prima di arrivare alla luce del Padre.

Luigi: Sì, ma nell’incertezza dico: “È Dio che mi conduce”.

Eligio: Ma tenendo presente ciò che dice Gesù: “Il Figlio non fa nulla se non lo vede fare dal Padre”, noi che desideriamo diventare figli, come facciamo se non vediamo cosa fa il Padre?

Luigi: Siccome il Figlio parla a noi proprio per farci figli con Sé e renderci partecipi del suo regno, annunciandoci che il Figlio non può fare niente se non lo vede fare dal Padre, intanto ci fa capire che noi non siamo figli, perché fintanto che noi non vediamo come opera il Padre, abbiamo in noi stessi la testimonianza che non siamo figli e quindi ci sollecita ad un certo cammino, perché noi potremmo anche adagiarci dicendo: “Io sono a posto, sono figlio di Dio, appartengo al popolo di Dio”. Allora Gesù, Figlio di Dio, mi dice: “Guarda che i figli di Dio operano così”. Il confronto è immediato. Allora scoprendo di non essere, questo ci mette in movimento verso, perché ci mette davanti la meta. Scopriamo di non essere figli di Dio perché capiamo per rivelazione del Figlio che i figli di Dio operano così e così. Però la Parola che Gesù ci dice, non la dice per escluderci dalla figliolanza di Dio, non la dice per giudicarci: “Io non sono figlio di Dio, quindi sono dannato, è finito, ecc.”, no. La dice in quanto ci propone la figliolanza, quindi ci invita ad essere così. Ce la dà, se noi seguiamo Lui. Quindi Lui mi propone la meta e nello stesso tempo mi fa capire che io sulla vetta non ci sono; pure mi dice: “Io sono la strada che ti conduce alla meta ed Io te la propongo per invitarti a salire su quella vetta”. Per arrivare su quella vetta, prima di tutto la condizione base fondamentale è questa: non rifiutare nulla di quanto Dio fa, perché in quanto tu rifiuti, già ti separi. Quindi non rifiutare nulla di quello che Dio fa, buono o cattivo agli occhi tuoi, piacevoli o no, antipatico o simpatico; ecco, non rifiutare nulla perché in tutto c’è la mano di Dio che opera personalmente per te, per formarti suo figlio; quindi anche se non capisci, lascia fare, accetta; se ti è possibile ringraziarlo; se ti è possibile ancora, cerca di conoscere il significato di quello che il Signore ti fa. Allora l’opera non è nostra, l’opera è del Padre. È Dio che genera i suoi figli, non siamo noi. Ecco il Figlio viene a dare a noi la possibilità di diventare suoi figli; non ci fa suoi figli, ma ce ne dà la possibilità. Quando si ha la possibilità ad una persona si richiede l’atto di adesione; però precisa: “I quali figli non nascono né da volere di carne, né da diritto di sangue, né da volontà di uomo”, quasi a dire: “Non è in mano vostra questo”; i figli di Dio nascono da Dio. È il Figlio di Dio che dà a noi la possibilità di diventare figli di Dio. È per darci la possibilità di diventare figli di Dio che ci dice: “I figli di Dio nascono da Dio”. Vedi che ti orienta tutto a Dio, si nasce generati dal Padre, quindi esclusione in senso assoluto di ogni altro volere, di ogni altro diritto; quindi non per volontà umana, non per sforzo nostro, non per appartenenza ad una certa stirpe, ad una certa nazione, ad una certa età, no. Allora sapendo che i figli nascono da quella fonte, devo guardare soltanto a questa. È in questa tutta disponibilità a questa fonte e quindi assenza della creatura, che nasce la creatura nuova da Dio, nasce l’io nuovo, nasce il Figlio di Dio, per opera pura di Dio, che è poi la scoperta del Padre in noi.

Eligio: Quindi è un fatto cosciente?

Luigi: Certo è una generazione cosciente. Il Figlio infatti mentre dice: “Il Figlio non può fare niente se non lo vede fare dal Padre; quello che il Padre fa glielo fa vedere”, però dice anche: “Tutto quello che è fatto, è stato fatto per mezzo di Lui”. Vedi che abbiamo una nascita cosciente? Non è la nascita come avviene nel nostro mondo, in cui nasciamo inconsciamente; nessuno chiede o può chiedere a noi: “Vuoi nascere?”. Noi ci troviamo lì: sono nato! Ci sono! È una sorpresa, è una novità; l’esistenza incombe su di noi. Direi, noi subiamo la vita, noi subiamo la nascita. Come figli di Dio noi non subiamo niente, perché qui c’è una nascita consapevole; qui ci viene chiesto: vuoi nascere? Ecco la partecipazione cosciente.

Eligio: Questa consapevolezza ci viene solo nel momento in cui arriviamo nella luce del Padre, o la si acquisisce già quando ci arriva il richiamo del Verbo ad orientarci tutto a Dio?

Luigi: No, quella è soltanto possibilità di, ma la nascita viene dal Padre, non dal Figlio.

Eligio: Allora si realizza solo nella luce del Padre?

Luigi: Solo nella conoscenza del Padre. Il Figlio ti orienta al Padre.

Eligio: Allora noi finché non vediamo come opera il Padre non possiamo ritenerci nella situazione di figli?

Luigi: Non ritenerci; quando il Signore ti dà la grazia di scoprire la figliolanza, è una constatazione, è consapevolezza, quindi non è qualcosa di inconscio, per cui non è che possa dire: “Io conosco come opera il Padre, quindi sono figlio”, no, non fai la deduzione, fai una constatazione.

Eligio: Ma lì siamo già nello stadio conclusivo.

Luigi: Certo.

Eligio: Quindi quando uno sinceramente cerca Dio, e sa che Dio opera in tutto, e riconosce in tutto l’opera di Dio, questa non è ancora la situazione di figlio?

Luigi: Più restiamo con il Figlio, più il Figlio ci educa alla sorgente, al Padre, ma è dalla Sorgente che si nasce. Infatti: “Quell’ora nemmeno il Figlio la sa”; per dire che la nascita è tutta dal Padre, l’iniziativa è tutta dal Padre: cioè la nostra giustificazione è nel Padre. Allora il Figlio viene a noi, scende a livello nostro, parla anche nella nostra morte, nelle nostre tombe, e se noi aderiamo, se ascoltiamo, a poco per volta Lui ci conduce a vedere la sorgente. Quando siamo giunti a questa sorgente, dice: “Eccola! Attingi!”. Infatti il Figlio all’ultimo consegnerà il regno al Padre. Quando ha liberato la creatura da tutti gli altri poteri, da altre volontà, la consegna al Padre: il Figlio consegna le nostre anime al Padre affinché il Padre ci faccia nascere come figli.

Eligio: Allora prima di Pentecoste non si può essere nella condizione di figli?

Luigi: Certo, è logico.

Pinuccia: Riassunto dell’incontro 128 del 16 aprile 1978; Giov. 5,13: “Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse, perché Gesù si era allontanato dalla folla raccolta in quel luogo”.

Gesù lasciando la folla ci propone un passaggio dalla conoscenza relativa alla folla, alla conoscenza essenziale, dell’Essere in Sé.

Luigi: Precisiamo: la conoscenza secondo la folla è conoscenza per sentito dire; la conoscenza non più secondo la folla invece è conoscenza diretta, una presa di consapevolezza.

Pinuccia: Continuazione del riassunto: Dio viene a noi parlando “fuori” del tempio per agganciarci a Sé, ci parla cioè nel pensiero del nostro io; ma poi se ne va per farci fare il superamento dell’io e portarci alla conoscenza diretta di Sé. “È necessario che io me ne vada, se no non può venire in voi lo Spirito di Verità”. Lo Spirito di Verità è la conoscenza: la conoscenza di ciò che Dio è. Cristo è venuto tra noi per impegnarci a tempo pieno, perché l’uomo non è mai guarito. Lui è Uno che cammina per cui non ci mai fermi. È meglio avere il coraggio di chiudere gli occhi a tutto, ma non perdere di vista Lui. Egli  ci invita a passare dall’esteriorità all’interiorità superando il nostro io perché è solo nell’interiorità che Lui si fa trovare. Non dobbiamo mai avere paura di entrare in rapporto diretto con Lui in tutto (non c’è mai l’altro, ma in tutto è Dio), per stare con Lui. Nessuna creatura ci può dire quello che Lui ha da dire alla nostra anima; quindi Lui opera in tutto per suscitare in noi il bisogno di raccoglierci in Lui.

Luigi: Sinteticamente direi così: le tappe della nostra vita potrebbero essere quattro:

-                     Tutto senza di Lui

-                     Tutto e Lui

-                     Lui solo

-                     Lui in tutto.

Ma partiamo dal “Tutto senza di Lui”, viviamo in tutto senza di Lui. Poi cominciamo a     scoprire Lui e allora c’è “tutto e Lui”; cioè “tutto con Lui” (uno tra tanti). Poi “Lui solo”, perché Lui parlando accentra a Sé e ci libera da tutto. Poi “Lui in tutto”. Prima ci sono “tanti”, ma non Lui; poi “Lui c’è tra tanti”; però parlando, seleziona e scopriamo “Lui solo”; poi “Lui in tutto”, Lui nei tanti.

Cina: “Tutto e Lui” vuol dire due mondi insieme?

Luigi: Si, due mondi insieme. La maggior parte della nostra vita è questa, perché noi viviamo nel mondo e crediamo anche in Lui. Però se ascoltiamo Lui, Lui diventa l’Unico, Lui solo, perché tutto il parlare degli altri perde importanza e si sente il bisogno di essere con Lui solo. Allora abbiamo la terza tappa: Lui solo. Poi finalmente Lui in tutto.

Nino: Mi pare impossibile che ci sia una tappa in cui ci sia totalmente il “senza di Lui”, perché un aggancio c’è sempre.

Luigi: Si, perché Lui interviene in tutto.

Cina: C’è magari una nostalgia, un sentire che siamo creati per altre cose.

Luigi: Si, ma non scopriamo Lui come vita. Guardiamo la maggior parte della vita degli uomini, del mondo; anche se si va in Chiesa, però è un vivere tutto senza di Lui, cioè senza di Lui come vita, come ascolto. È un dovere, ma non è vita. Poi incominciamo a scoprire che c’è anche Lui; magari incominciamo ad ascoltarlo, però è Lui tra tanti, per cui c’è “tutti e Lui”.

Cina: Ma quel punto immacolato l’abbiamo tutti in noi anche se non è avvertito.

Luigi: L’abbiamo si, come insoddisfazione, perché fintanto che non ne prendiamo coscienza resta in noi come insoddisfazione. Dio è presente, è presente in ogni uomo, però osserviamo e osserviamoci anche: la maggior parte della nostra vita si svolge senza Dio. Lui è presente, ma è bisogno di qualcosa di indefinito che non sappiamo nemmeno noi; bisogna che ci lascia insoddisfatti, oppure ci proietta in passioni nelle cose del mondo che ci esasperano all’infinito, sperando sempre di ottenere una soluzione con le creature, con le ricchezze, con i beni di questo mondo, con certe soddisfazioni. Per prendere coscienza in che cosa consista questo punto immacolato, bisogna già aver ascoltato Lui. Fintanto che non ascoltiamo Lui, questo è presente in noi come bisogno di assoluto, come bisogno di Verità, bisogno di pace, bisogno di luce, ma noi non ce ne rendiamo conto, tant’è vero che cerchiamo la soddisfazione di questo bisogno in tutt’altre cose. Noi cerchiamo la soddisfazione del bisogno di Dio che portiamo in noi in un primo tempo tutto in altro. Per questo dico così che abbiamo tutti e non Lui. Direi che la Presenza di Lui si rivela dal luogo in cui noi cerchiamo la soddisfazione del bisogno essenziale della nostra vita quando la cercheremo, nelle creature, nel mondo; per noi c’è tutto e non Lui. È quando cominciamo a capire che Lui può soddisfare questa sete, questo bisogno principale, allora noi abbiamo Lui con tutti gli altri. Più ascoltiamo Lui, più Lui diventa l’Unico. Diventando l’Unico assorbe in Sé tutto, per cui vediamo Lui in tutto. Sono i passaggi dell’amore: in un primo tempo noi non scopriamo l’amore; in un secondo tempo scopriamo l’amore, ma l’amore non ci ha ancora scelti e viviamo innamorati, ma delle cose del mondo. Ad un certo momento viviamo solo con l’amore: un cuore e una capanna, cioè con l’amore unico. Poi in quell’amore unico ricostruiamo tutto, cioè ricostruiamo la nostra vita.

Cina: Avvengono in noi queste tappe?

Luigi: Possono non avvenire, sia ben chiaro. Con Dio non avviene niente di automatico. Dio ci propone il cammino, non ce lo impone, perché Dio essendo Spirito, richiede sempre a noi una partecipazione consapevole, quindi una scelta. Allora tutto il suo operare con noi è sempre una proposta di quello che noi dobbiamo scegliere, ma che può anche non essere scelto.  Non è che aspettando arrivi, no. Aspettando, arriva la morte, diciamo, non arriva la vita: la vita è scelta, perché la vita è amore. Se noi non scegliamo arriva la morte, non la vita. Possiamo dire così: la vita richiede da parte nostra la scelta; la morte c’è anche se noi non la scegliamo. Quindi siamo in una posizione di svantaggio, perché la morte opera anche se non la scegliamo; la vita non opera se noi non la scegliamo.

Eligio: È che anche il rifiuto è una scelta.

Luigi: Si, ma noi molte volte crediamo che non scegliere (è lì che non ce ne rendiamo conto) non ci sia il rifiuto: perché non scelgo. Non c’è l’atto positivo del rifiuto: che non sceglie non si rende conto che già rifiuta, perché dice: “Io accetto”, però praticamente non sceglie e quindi rifiuta. Siccome scegliere vuol dire mettere Uno al di sopra di tutto, vuol dire lasciare. E noi molte volte crediamo di scegliere senza lasciare e non scegliamo.

Eligio: Si incontrano a volte persone che al solo vederle sempre molto lontane da Dio; poi parlando loro arrivano a dirti: “Ti rendi conto cosa sarebbe di noi se Dio non ci fosse?”. È una testimonianza splendida di come Dio agisce nelle anime.

Emma: E come non dobbiamo giudicare apparentemente.

Luigi: Certo, perché l’apparenza sempre inganna. La Verità è profondità.

Pinuccia: Lettura riassunto dell’incontro n. 129 del 23 aprile 1978. Giov. 5,14 “Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio”. Qui abbiamo il passaggio dalla conoscenza secondo la folla alla vera conoscenza, quella delle cose in sé e che si attinge solo da Dio.

Eligio: Se il significato delle cose lo possiamo attingere solo in Dio, noi praticamente viviamo in un pensato e in un operato di Dio, il cui significato ci sfugge per quasi tutta la vita.

Luigi: Certo, infatti il Cristo stesso a noi sfugge: “Voi non mi conoscete”, abbiamo visto ieri sera: “Se conosceste me conoscereste anche il Padre mio certamente: chi vede me vede il Padre”. Quindi se il Cristo (e il Cristo è la sintesi di tutta l’opera del Padre con noi), dice: “Non mi conoscete”, anche l’anima di tutta l’opera di Dio con noi, sfugge a noi. Solo conoscendo il Padre scopriremo quest’anima e allora capiremo l’immenso amore con cui Dio ci ha amati prima che noi fossimo capaci di intendere; perché la bellezza sta lì: che noi ci scopriremo amati già prima che fossimo capaci di intendere l’amore; per cui capiremo che ci ha amati gratuitamente. Noi amiamo, ma amiamo in quanto abbiamo la corrispondenza, in quanto vediamo nell’altro qualcosa di valido da amare. Dio ci ama prima che noi siamo capaci di saper valutare questo amore, e quindi di corrispondere a questo amore. Anzi è soltanto con questo amore gratuito di Dio che Lui rende noi capaci di rispondere ad un amore solo nella misura in cui riceviamo amore. È donando amore che diamo forza ad un nostro fratello di superarsi, di amare. Quindi non è rimproverando il fratello che noi diamo al fratello la possibilità di superarsi, ma è amando, sovrabbondando in amore verso il fratello, che diamo al fratello la grazia, la possibilità di superarsi. Per questo Gesù dice di essere perfetti: “Come il Padre vostro che è nei cieli, che fa splendere il suo sole sui buoni e sui cattivi, e manda la sua pioggia sui giusti e sugli ingiusti”. È proprio con questa sovrabbondanza d’amore che dà la possibilità alle creature di superarsi e di amare. Ma se la creatura non riceve amore, non può superarsi.

Eligio: Eppure noi siamo invitati in continuazione a cercare il significato dell’operare di Dio, pur sapendo che finché non siamo nella sua luce il significato non lo comprenderemo mai.

Luigi: Certo, però dobbiamo desiderarlo.

Eligio: Ma come possiamo capire allora?

Luigi: Il senso (la freccia). Non è tanto l’analisi dell’avvenimento, non è il correre dietro alla pietra che Dio mi ha lanciato, non è il conoscere la pietra, ma è conoscere Chi mi ha lanciato la pietra che conta. La pietra (ed ogni avvenimento è una pietra che Dio mi lancia), ci viene lanciata affinché noi guardiamo Colui che l’ha lanciata a noi. In Lui capiremo il significato di questa pietra, capiremo l’amore che c’era in questa pietra. Tutte le opere di Dio sono fatte per farci alzare gli occhi direttamente a Lui. Più cerchiamo Lui e più in Lui avremo la possibilità di intendere le sue opere. Non è analizzando le sue opere che noi arriviamo a Lui; ma è in Lui che noi conosciamo le sue opere. Quindi dobbiamo cercare di conoscere lo spirito delle sue opere, il senso, la direzione, la volontà che c’è nelle sue opere: questo sì, la volontà. Chi mi tira la pietra, già mi rivela la sua volontà: richiamarmi. C’è il suo richiamo. Questo è ciò che vale, mentre non conta il mezzo attraverso il quale mi fa giungere il richiamo.

Cina: Quindi se una persona riceve amore riceve la forza di superarsi.

Luigi: Non è detto che si superi; però riceve la forza per superarsi. Non è che amando io ottenga che l’altro mi ami o che l’altro superi sé, no, però è l’unica via per dargli tale possibilità. Invece castigando, rimproverando, non si dà all’altro tale forza; lo si esaspera nel suo io, ma non gli si dà la forza. La forza la si dà con l’amore, come Dio dà a noi la forza amandoci.

Cina: Stamattina la lettura di Ezechiele dice che ognuno è sentinella.

Luigi: Tu profeta sei stato esposto come sentinella, affinché quando vedi il male che sopraggiunge avvisi. Ognuno è profeta di Dio.

Cina: Lo dice a me verso gli altri e agli altri verso di me?

Luigi: Si.

Pinuccia: Vuol dire che noi dobbiamo vegliare sugli altri per vedere se vanno su una strada sbagliata?

Luigi: “Strada sbagliata” non vuol dire quello che comunemente noi chiamiamo come “strada sbagliata”. Peccare vuol dire deviare o far deviare. Quindi se tuo fratello cerca di deviarti dal fine …

Pinuccia: E se non cerca di deviarmi ma vedo che lui stesso è deviato?

Luigi: Se vedo che uno cammina su una strada deviata dal fine, è un atto d’amore aiutarlo.

Pinuccia: Se si lascia aiutare, perché a volte si può essere inopportuni.

Rina: È un ammonimento.

Luigi: È un atto d’amore. Perché, se andando in montagna mi accorgo che un mio fratello, un compagno o un altro, non conoscendo la strada, la meta, sbaglia, lo richiamo; è un atto d’amore, non è un rimprovero. Dico: “Guarda che hai sbagliato sentiero”. Non è che l’altro resti offeso perché dico questo.

Pinuccia: Anzi, dovrebbe ringraziare.

Luigi: È logico. È in questo senso l’ammonimento. In quando dico: “Guarda che hai sbagliato sentiero”, in modo che l’altro percepisca l’amore, l’azione è buona. Il Cristo che ama, è Uno che viene tra noi dicendoci: “Hai sbagliato sentiero! La strada è questa!”. Lui ci richiama da tutte le nostre strade.

Pinuccia: Continuazione lettura riassunto: lo scopo del mondo attorno a noi e della perdita di significato delle cose, è quello di provocarci alla seconda conoscenza, di provocarci a dire chi è Colui che ci ha dato la vita.

Luigi: Dio in tutti i segni ci provoca alla seconda conoscenza, cioè ad entrare nel tempio.

Pinuccia: Continuazione lettura riassunto: Sono due i fattori che ci sollecitano ad entrare nel tempio (fattori interno ed esterno = fede e ambiente). Infatti “poco dopo” aver testimoniato di appartenere a Gesù e aver constatato la propria cecità (provocato a rispondere chi è Gesù non sa rispondere), Gesù lo trovò nel tempio.

Luigi: Va accennato che lui è entrato nel tempio perché ha testimoniato, cioè ha disubbidito alla volontà dei farisei che gli dicevano: “Non puoi portare il tuo lettuccio”; infatti lui rispose: “No, quello che mi ha guarito mi ha detto che io lo devo portare”. È questa testimonianza che lo fa entrare nel tempio.

Pinuccia: Questo “poco dopo” nel Vangelo lo troviamo in un crescendo attraverso il quale Gesù ci educa all’incontro con il Padre. “Ancora un poco e non mi vedrete più e un altro poco e mi vedrete”. Ecco, questo “poco” è la condizione necessaria per entrare in quel posto dove è Gesù: “Dove Io sono”. E in questo “poco”, in questa frazione di tempo c’è tutto un travaglio di anima attraverso il quale il Signore dice: “Io vado e non mi vedrete più, perché io vado al prepararvi un posto, affinché dove io sono siate anche voi”.

Eligio: Quel “poco” che cosa può significare?

Luigi: È il passaggio dalla conoscenza esterna alla conoscenza interna.

Eligio: Ma quel “poco”, essendo limite, lo riduce praticamente a termini brevi.

Luigi: I tempi possono essere molto lunghi.

Eligio: Ma Lui dice: “poco”.

Pinuccia: Rispetto all’eternità è un “poco”, no?

Luigi: Si, Lui dice un “poco”, ma tutta la nostra vita è un “poco”. Comunque il passaggio dalla conoscenza esterna alla conoscenza interna è preceduto in noi dal Verbo stesso di Dio; cioè il Verbo di Dio parla a noi nel mondo in cui ci troviamo, quindi esteriormente e noi lo troviamo esteriormente con le sue parole, cioè meditando sul vangelo. Poi passa, dopo aver parlato. Il giorno in cui cerchiamo di ritrovarlo esteriormente, se non abbiamo approfondito la sua parola, non lo ritroviamo più. La parola che arriva a noi, se non viene ad esempio da noi approfondita, se ne va. Il “poco” è questo approfondimento, cioè questa fatica per arrivare alla maturazione della parola, cioè a capire la parola. Allora, la parola annuncia a noi dove noi siamo, nel mondo esterno, proiettati fuori; se noi non la approfondiamo, e approfondirla vuol dire arrivare all’interno (perché è in Dio che abbiamo la conoscenza della parola), la perdiamo; essa se ne va; ci viene portata via, cioè resta soltanto il ricordo, resta soltanto la scorza, resta soltanto l’esteriorità. Noi possiamo ricordarla materialmente, ma l’anima di essa la perdiamo.

Eligio: Lui ci dice però: “Mi rivedrete”.

Luigi: Lui dice: “Mi rivedrete”, ma lo dice ai suoi discepoli che sono proprio quelli che sono dentro. “Io parlo a tutti in parabole affinché non capiscano: a voi che siete dentro è dato di capire”. Per arrivare a capire c’è quel “poco dopo”. Per cui agli altri dice: “Mi cercherete e non mi troverete”. Ai suoi discepoli dice: “Mi cercherete e non mi troverete, ancora un poco e mi rivedrete”. Quindi c’è anche per i suoi discepoli il momento in cui l’anima cerca e non trova: è la fatica di passare (ecco perché si richiede un terreno profondo) dal segno al significato, cioè da quello che è in profondità. Ma la profondità noi l’abbiamo soltanto (ed è il frutto del seme) nella conoscenza di Dio. Allora in questo passaggio dall’annuncio di Dio nel nostro mondo alla conoscenza in Dio (l’anima delle cose) c’è questo “poco” ed è la fatica nostra.

Eligio: Questo “poco” è anche un avverbio di speranza, dà conforto perché vuol dire che la prova non è indefinita.

Nino: È una segnalazione di un passaggio obbligato.

Luigi: In quel “poco” Lui ci invita ad una fedeltà in questa tensione verso di Lui. Cioè, anche se non lo vediamo, dobbiamo essere tesi verso di Lui, altrimenti diventiamo un terreno che non produce frutti.

Nino: Ce lo dice perché non molliamo.

Luigi: Ecco, appunto; ce lo dice perché non venga meno in noi la speranza, quindi l’attesa, l’orientamento.

Nino: Per evitarci di scoraggiarci. Altre volte ci dice: “È con la pazienza che guadagnerete le vostre anime”.

Luigi: Ora Lui dice: “Giungerete al frutto con la pazienza”, il frutto che porta il terreno buono. Il terreno buono che porta il seme a maturazione rappresenta quelle anime che avendo accolto la parola, la meditano, e con pazienza giungono a maturazione, cioè alla conoscenza. Allora quel “poco” rappresenta proprio la pazienza per arrivare a questa interiorità, in cui c’è la conoscenza. Lui ce la promette.

Pinuccia: Continuazione della lettura del riassunto. È solo col Figlio che si entra nel tempio, si arriva al Padre.

Luigi: Afferriamo la distinzione tra Padre e Figlio? In quel senso (ed è importante questo) che è il Padre che genera, non è il Figlio che genera. Cioè, se noi dobbiamo nascere come figli di Dio, è soltanto nella conoscenza del Padre che nasciamo come figli di Dio. Nella conoscenza del Padre c’è la nascita dal Padre. Ecco, il Figlio parlandoci del Padre ci aiuta a diventare figli di Dio. Quindi il Figlio è Colui che parla con me: se io lo ascolto, mi aiuta a conoscere il Padre suo, affinché nel Padre io possa ottenere la figliolanza. Cioè c’è una nascita che si deve verificare in noi. L’importanza sta lì: il Figlio è il Verbo che parla. Ma bisogna distinguere il Figlio dal Padre perché è il Padre che genera, non è il Figlio che ci genera. Diciamo: pur essendo una cosa sola, perché se il Padre genera anche il Figlio genera, però noi non otteniamo la generazione dal Figlio.

Nino: Ad un certo punto Lui dice: “Io sono la vita”.

Luigi: Certo, ma Lui è la vita proprio in quanto ci conduce al Padre: “Io sono la via, la verità, la vita”. D’altronde è anche logico: “Quello che il Padre fa, pure il Figlio lo fa”.

Nino: D’altra parte Lui dice anche: “Chi vede me, vede il Padre”.

Luigi: Ed effettivamente Colui che ci conduce al Padre ci genera alla vita, perché, conducendoci alla sorgente, ci dà la sorgente, quindi ci genera alla vita.

Nino: La figliolanza intende una paternità.

Luigi: Ci aspetta una nascita nuova e questa richiede un contatto con Colui che genera i figli, con il Padre.

Rina: Cristo sarebbe il fratello che ci porta.

Luigi: Ecco, un fratello; diciamo, il fratello maggiore. Ma ora, siccome: “Nessuno può salire in alto”, non è soltanto un fratello, cioè uomo come uomo; ma Dio. “Siccome nessuno può salire in alto, cioè al Padre, se non Colui che discende dall’alto, dal Padre”, solo Lui che discende dal Padre ha la possibilità di condurci al Padre, noi no. Nessun uomo può; soltanto il Figlio di Dio lo può. Perché Colui che discende dall’alto conosce la strada. Noi invece continuamente scivoliamo sul piano materiale; tendiamo sempre ad analizzare, a giustificare tutte le cose in base a schemi materiali: è tutta la difficoltà nostra. Noi tendiamo ad interpretare tutto in base materiale: abbiamo visto con che facilità, pur di evitare il miracolo, quindi l’opera di Dio, si tende addirittura a dire: “Ma Cristo non è morto, era soltanto in coma, ecc.”.

Nino: Si tende a relativizzare ogni cosa a noi.

Luigi: Al centro di questo però c’è il pensiero del nostro io, non c’è il Pensiero di Dio; per cui se non ci superiamo, tendiamo a materializzare tutto. Materializzando tutto distruggiamo tutto, perché perdiamo l’anima delle cose. Ecco resta soltanto la cenere. È logico allora che ad un certo momento noi gridiamo: “Non ho più vita, ma vuoto!”. Cioè partendo dal pensiero del nostro io, ci troviamo con delle ceneri; ci allontaniamo dall’anima di tutte le cose; mentre invece per arrivare a quest’anima si richiede il superamento continuo del pensiero dell’io, e quindi riferire tutto a Dio: qui c’è Dio! Ecco il salto del “poco”, e allora qui la difficoltà, la fatica, che è fatica del superamento dell’io, per cui pensare è faticoso: è più facile ad esempio sedersi su una poltrona e abbandonarci a delle fantasie; non c’è fatica ma si è in superficie. Ecco, lì mi distruggo, lì perdo la vita.

Nino: È molto importante questa conclusione.

Pinuccia: Continuazione della lettura del riassunto:

Dio si annuncia fuori del tempio, ma si rivela solo dentro: è Dio che si dona, non è l’uomo che scopre la sua Presenza. Infatti noi stessi tocchiamo con mano che non possiamo rendere presente Colui che è assente. Ma neppure l’entrata nel tempio è opera della creatura. La condizione per scoprire la presenza è che Gesù se ne vada. Quindi è necessario poco: “Ancora un poco e non mi vedrete”. “è necessario che io me ne vada. Un altro poco e mi rivedrete”. Poco dopo infatti Gesù lo ritrovò nel tempio. Ma in quel “poco” è necessario che noi tocchiamo con mano di non sapere più chi è Gesù, e testimoniare di voler appartenere a Colui che ci ha guariti. La guarigione totale avviene solo nel tempio.

Nino: Abbiamo visto che per il paralitico non è ancora guarigione totale entrare nel tempio. Infatti anche noi quando abbiamo fatto il passaggio alle cose dentro, non è che immediatamente siamo guariti, perché ogni tanto in certe cose ci ritroviamo fuori, e poi recuperandole, riportandole a Dio, ci ritroviamo di nuovo dentro, però per molto tempo penso si vada avanti dentro e fuori.

Luigi: Si, è la nostra instabilità.

Nino: Per esempio una volta non capivo quel: “È necessario che io me ne vada”. Poi l’ho capito, ma non è che io abbia risolto tutto. È tutto un passaggio e ci vuole molta pazienza. Non bisogna mai mollare.



RIASSUNTI GV 1 VS 19 Terzo incontro.


Titolo: Il delitto di ogni uomo.


Argomenti: L’amore si può trattenere solo offrendolo. Noi tratteniamo il perdono nella misura in cui siamo capaci di donare perdono. L’egoismo ci fa perdere i doni di Dio. Nella Sindone c’è il dolore di Dio per restare con l’uomo.  La passione di Cristo specchio della nostra anima. Il nostro io uccide la presenza di Dio in noi, tra noi. Il nostro io al centro è deicida. Il deicidio del pensiero. Agli occhi di Dio, ciò che conta è la realtà spirituale che è la vera realtà. Tutte le parole di Dio sono per salvare. Spiritualmente il non tener conto è uccidere. Cristo facendoci toccare il nostro male ci dà la possibilità di liberazione.


 

17/settembre/1978


Pensieri tratti dalla conversazione:

Pinuccia: Continuazione della lettura del riassunto n. 129 del 23 aprile.

Facendoci constatare la nostra cecità, Dio ci fa desiderare la guarigione totale, che si ottiene però con la partecipazione personale, testimoniando Colui al quale vogliamo appartenere.  La guarigione totale avviene nella conoscenza di Dio che è personale e incomunicabile. Solo avendo il “posto” si può restare in questa conoscenza. Il “posto” è Cristo che ce lo prepara se stiamo con Lui. Non siamo noi che troviamo, ma siamo trovati. È nella dipendenza totale da Dio che si scopre la Presenza di Dio. Ma essa non è frutto del nostro desiderio, anche se il desiderio è la condizione necessaria. La nostra vita vera comincia col Pensiero di Dio e poi in questo Pensiero si deve far entrare tutto di noi, per cui si arriva a lodare e ringraziare Dio in tutto, con fiducia, facendo conto su di Lui. Bisogna però avere il coraggio di affermare lo Spirito di Dio nelle prove, se no perdiamo il dono ricevuto. Ricevere non è possedere.

Luigi: Non basta che noi riceviamo per possedere, bisogna che noi facciamo i doni che abbiamo ricevuto.

Nino: I doni li dobbiamo dare.

Luigi: Li dobbiamo dare. Noi possederemo solo quello che saremo stati capaci di donare. (La vita sta nel donare, non nel ricevere). Avremo soltanto quell’amore che saremo stati capaci di offrire; mentre invece tutto quello che avremo trattenuto per paura di perdere, quello veramente perderemo: è il talento sepolto. Quello che si diceva ieri sera: che l’amore si può trattenere, si può possedere soltanto facendolo, offrendolo.

Nino: Offrendolo vuol dire spenderlo?

Luigi: Vuol dire spenderlo. Nella misura in cui sappiamo spendere, ecco veramente possederemo. Per questo: “Chi cerca di salvare la sua vita la perde, chi dà la sua vita la possiede”.

Nino: Direi che spendere non è nemmeno corretto, perché è proprio regalando via la moneta che ci ha dato.

Luigi: Si, si fa fruttificare.

Pinuccia: Continuazione lettura riassunto:

La prova accolta da Dio è gioia perché è un’occasione che Dio ci dà per possedere il dono che ci ha dato.

Nino: È la lezione del Vangelo di oggi: noi confermiamo in noi il perdono ricevuto dando il perdono a chi ci ha offesi.

Luigi: Sì, però generalmente si commenta dicendo che Dio ci perdona soltanto se noi perdoniamo agli altri. No, Dio ci perdona prima, Dio ci perdona per primo, Dio ci ama per primo. È che se noi non perdoniamo agli altri, cioè se non facciamo il perdono, non possiamo trattenere il perdono, non possiamo trattenere il perdono che abbiamo ricevuto. Non è che Dio subordini il suo amore, il suo perdono a noi, verso gli altri: noi non possiamo amare se non siamo stati amati, non possiamo perdonare se non siamo stati perdonati. Dio per primo ci perdona tutto. È l’esempio del Vangelo di stamattina di quel re che perdona al servo diecimila talenti. Dio ci perdona per primo; perdonandoci dà a noi la possibilità, la capacità, la grazia di perdonare il fratello. Se noi perdoniamo, allora diventiamo capaci di trattenere il perdono, perché facendo, teniamo. Dio ci perdona per primo, Dio ci ama per primo; poi ci invita a farlo, affinché facendolo, possiamo diventare capaci di tenerlo.

Nino: Perché poi Lui ci dà sempre di più di quello che ci chiede di dare.

Luigi: Certo, si capisce.

Nino: A quel servo sono stati perdonati diecimila talenti ed è stato chiamato a darne cento.

Teresa: È un modo di interpretare perché anche nel Padre nostro diciamo: “Perdona i nostri debiti come noi perdoniamo i nostri debitori”.

Eligio: Dovremmo dire: “Come noi dovremmo perdonare”.

Luigi: No, noi otteniamo, tratteniamo il perdono nella misura in cui siamo capaci di donare perdono. Ma non è che non riceviamo il perdono o che Dio non perdoni o che Dio subordini il suo perdono a come facciamo noi, no. Lui perdona per primo, perché l’Iniziatore è Lui. L’Iniziatore della luce è Lui; non è che Lui ci lasci mancare la luce. L’Iniziatore della rivelazione della sua Presenza è Lui; non è che ci lasci mancare la Presenza. Quindi è Lui l’Iniziatore dell’amore; è l’Iniziatore di tutto: ecco come siamo figli del Padre in tutto, ma Padre vuol dire che è Lui che genera noi in tutto; quindi se noi abbiamo capacità di amare è già perché per primi abbiamo ricevuto amore. Il peccato, il difetto nasce nel dono che noi abbiamo ricevuto. Il difetto è soltanto in noi, in quanto noi abbiamo ricevuto un dono e poi non ci comportiamo “come”. “Ecco, non dovevi anche tu? Siamo perfetti come il Padre il quale manda la sua pioggia e fa splendere il suo sole su tutti … non dovevi anche tu?”. Quindi noi siamo tenuti a ripeterci, a comportarci perché abbiamo avuto da Lui la possibilità. Sei stato amato? Ama! Sei stato perdonato? Perdona! Hai ricevuto la luce? Dà luce! Ecco, hai ricevuto grazia? Dà grazia! Ecco, invece noi in questo dono compiamo una frattura; noi tratteniamo il dono, ecco, diventiamo egoisti. Ecco l’egoismo: ci rifiutiamo quindi di comportarci nello stesso modo con cui Dio si è comportato con noi: allora perdiamo tutto.

Teresa: Lo chiediamo per noi e lo neghiamo agli altri.

Luigi: Lo neghiamo agli altri; e non ci accorgiamo che negandolo agli altri, lo perdiamo noi.

Nino: Alla fine è sempre stupidità nostra.

Luigi: Certo.

Nino: La questione è che sappiamo e ci comportiamo lo stesso così, quindi è stupidità grossa.

Luigi: Si, è logico.

Teresa: Abbiamo il desiderio grande di essere perdonati e non teniamo conto di questo desiderio negli altri. Cioè contano solo per noi certi valori.

Luigi: Si, certo. Invece se teniamo presente Dio, quello che desideriamo noi, lo desideriamo anche per gli altri. Ecco quel: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Tu desideri essere perdonato? Perdona! Tu desideri essere libero? Non tagliare il piede al tuo fratello che ha cercato la libertà (es. il film “Radici”), cerca anche che tuo fratello abbia la sua parte di libertà. Tu desideri essere amato? Ama! Ecco, vedi: la lezione è semplice! Ora, Dio non ci obbliga a comportarci secondo la sua onnipotenza, dato che Lui è Onnipotente; no, è Lui che per primo ci dà la capacità di amare. Per cui dice: “Hai ricevuto tanto?”, adesso anche verso tuo fratello comportati allo stesso modo. Perché se hai ricevuto questo, adesso verso il fratello vuoi comportarti in modo diverso? Vedi? È l’io nostro che si comporta in modo diverso: arresta la corrente creatrice. La corrente creatrice dovrebbe passare attraverso le creature e manifestarsi in tutto. La corrente creatrice è amore. E allora, arriva a te l’amore? L’onda d’amore lasciala passare anche nei fratelli, in tutto quanto, in tutte le tue cose; lasciala passare e allora tutto diventerà amore. Invece succede che in noi c’è l’arresto, la frattura. E dal nostro io in poi non c’è più l’amore che prosegue, c’è altro: ecco, c’è l’egoismo. Tutto l’errore sta lì.

Pinuccia: Conclusione lettura riassunto:

Per giungere alla seconda conoscenza, bisogna passare dall’esteriorità all’interiorità e poi superare anche la nostra anima e i pensieri della nostra anima per poter entrare nella conoscenza del Padre. Necessità della vigilanza, sempre, perché sempre corriamo il rischio di staccarci da Dio, anche quando siamo già nel tempio. La nostra sicurezza non è nel cammino che già abbiamo fatto, ma in Lui.

Luigi: Il pensiero guida che dovrebbe accompagnarci durante l’analisi della Sindone è questo: “È per te!”   

Infatti Cristo morendo in Croce parla a noi e dice: “È per te!”.

Il “per” va inteso in due modi:

-                                                                                “per”  causale, a causa di te;

-                                                                                “per” finale, a favore di te.

Quindi questo “per” è causale e finale; cioè è a motivo di te, ma anche a favore di te, per la tua salvezza.

Luigi: È molto importante precisare una cosa: sovente è stato detto da molti che la Sindone rappresenta il dolore umano, cioè il dolore che soffrono gli uomini, tutta l’umanità, per le ingiustizie sociali; penso non sia giusto, perché la Sindone rappresenta veramente il dolore Divino, cioè il dolore di Dio a convivere con l’uomo.

Quindi non è che la Sindone sia per consolare l’uomo, per dire all’uomo: “beh, tu soffri, però guarda il tuo dolore è rappresentato lì”. No! Nella Sindone c’è il dolore di Dio per convivere, per restare con l’uomo.

Teresa: Quello che ha pagato Dio…

Luigi: …quello che paga Dio; infatti la Sindone, come la Croce, è rivelazione di quello che avviene; quindi in quel Lenzuolo vi è scritto quello che paga Dio per restare con noi. Per questo va precisato che non rappresenta il dolore dell’uomo, ma rappresenta il dolore di Dio.

È sbagliato dire che rappresenta il dolore umano, perché così fosse, chiunque abbia una sofferenza può dire: “beh, partecipo anch’io…”. No! quello è il dolore di Dio per restare con noi.

E allora di fronte a quella scena noi ci sentiamo in colpa e non giustificati. Infatti se rappresentasse il dolore umano ognuno di noi si sentirebbe un poco giustificato al punto da dire: “beh, un po’ di dolore anch’io lo soffro”, e quindi, quasi quasi, trovare nella Sindone una consolazione. Invece nella Sindone c’è il dolore di Dio per restare con noi nonostante noi; allora essa è tutto un rimprovero a noi, e quindi un impegno, quasi a dire: “la mia sofferenza è niente…, è ben altro il problema che la Sindone mi rivela”.

Quindi La Sindone è il dolore di Dio verso ognuno di noi, per restare con ognuno di noi.

Nino: È il dolore del Dio incarnato, perché Dio in Sé non può soffrire.

Luigi: Dio incarnato rappresenta, o meglio, significa la presenza di Dio in noi. L’incarnazione è la significazione di questa presenza tra noi di Dio;  l’Emmanuele vuol dire “Dio tra noi” (Mt 1,23). Dio incarnato, Cristo, è il rivelatore del mistero di Dio con l’uomo, cioè di quello che noi facciamo passare al Dio in noi. Perché se Lui non restasse con noi, noi cadremmo nella morte immediata, cadremmo nel nulla.

Dio resta con noi, ma a quale prezzo?

Ecco, Cristo rivela a noi il prezzo di questa convivenza.

Nino: Intendevo dire: una cosa è Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, e una cosa è il Figlio incarnato; perché è Lui che soffre, non credo che la sofferenza arrivi a colpire il Dio Assoluto, Spirito.

Luigi: D’accordo, si capisce, la tragedia avviene in noi e non avviene ontologicamente  nell’Essere Divino: avviene nel Dio che abita in noi. Cioè, la rottura del disegno, della volontà, dell’amore di Dio avviene in noi.

Nino: Stupisce veramente che Cristo abbia potuto sopportare tutte quelle sofferenze che si leggono nella Sindone. Oltre il dolore della flagellazione di 120 frustate, bisogna tenere in conto anche la necrosi dei tessuti spappolati che dopo un’ora spingono dei veleni in tutto il sangue, con conseguente febbre, ecc. Poi le cadute sotto quel trave pesantissimo che poggiava su un tessuto spappolato.

Luigi: Cristo doveva essere un uomo molto forte, perché dopo l’agonia del Getsemani, la sudorazione di sangue, la flagellazione e l’incoronazione di spine, si è caricato quel trave di quaranta, cinquanta chili; un uomo “comune” dopo due o tre colpi di flagello sarebbe svenuto e non si sarebbe più rialzato.

Nino: Mi ha impressionato la descrizione della passione del Cristo fatta dal Dott. Barbet, analizzando la Sindone.

Luigi: Certo, più uno è competente è più si rende conto della portata di quelle sofferenze subite dal Cristo.

Nino: Notiamo questo: quelli che ci hanno impressionato di più nella descrizione dei dolori dell’Uomo della Sindone in genere sono degli agnostici, cioè gente che non ha nessun interesse di trovare elementi a favore di un “credo”, ma è solo gente onesta che ha riportato i risultati delle loro accurate ricerche. 

Cina: Se il Signore ha sofferto così tanto per me, per salvarmi, vuol dire che mi vuol bene.

Luigi: Certo, quelle pene Lui le ha patite per salvarti. Ma qual è la causa di queste sofferenze?

Cina: Non fossi stata nel peccato non ci sarebbe stato bisogno della Croce!

Luigi: Logico, ma sei convinta che tutto ciò che ha sofferto il Cristo è a causa di ognuno di noi? Quindi non a causa dell’umanità come massa, di tutti gli uomini, ma è per ognuno di noi. Non dobbiamo giustificarci dicendo: “ha sofferto così perché siamo in tanti”. No! Lui ha sofferto e soffre tutto quello per ognuno di noi personalmente. Quindi ci fosse soltanto uno di noi in tutto l’universo, Cristo muore per quell’uno soltanto, per salvare quell’uno. La quantità non conta agli occhi di Dio. La statistica di Dio non è la nostra.

Cina: La flagellazione è di una tale crudeltà che ho paura di non arrivare a dire: “sono io che partecipo a questa flagellazione”. La morte sì, ma la flagellazione è di una tale crudeltà che fa rabbrividire.

Luigi: Non sei tu che lo dici, e non sei tu che lo devi dire: è Lui, Gesù, che te lo dice; la rivelazione viene da Lui, non è opera nostra. È Lui che dice ad ognuno di noi: “guarda che tu mi hai ridotto così”. Noi non possiamo dire: “non me la sento di arrivare ad ammettere che sono uno dei flagellatori”, perché è Lui che ci dice che lo siamo; e abbiamo bisogno di sentircelo dire da Lui, perché noi non ce ne rendiamo conto, non possiamo renderci conto di quello che facciamo.

Noi non possiamo renderci conto della gravità della nostra superficialità, della nostra grossolanità, della nostra incoerenza. Noi non ci rendiamo conto…; noi con una facilità enorme diciamo: “Signore, io ti amo con tutto il cuore”, e non ci accorgiamo che forse proprio mentre diciamo questo, Lui ci rivela e ci identifica magari con coloro che lo prendono in giro dicendo: “Se tu sei Dio scendi dalla Croce”(Mt 27,40), oppure, con quei soldati che dopo averLo schiaffeggiato gli dicono: “Indovina chi ti ha percosso” (Mt 26,68). Mentre gli diciamo: “Signore, ti amo”, forse Lui ci dice: “tu sei come coloro che mi hanno flagellato”. La rivelazione è Lui che la dà.

Pinuccia ieri sera diceva; “Se Gesù venisse a Fossano, se Lo vedessimo, chissà come sarebbe accolto!”. Ecco, probabilmente noi ci troveremmo davanti a Uno che dice a noi: “mi stai prendendo in giro?”; oppure: “stai cercando di farmi indovinare chi è che mi percuote?”. Perché quello che dice Lui non è quello che sembra a noi, quello che diciamo noi. “Le sue vie non sono le nostre vie, i suoi pensieri non sono i nostri pensieri” (Is 55,8), quindi la rivelazione su di noi, su quello che facciamo noi verso di Lui la riceviamo da Lui.

Allora, quello che Lui ha sofferto, la Sindone stessa, è rivelazione di “cosa” per noi impensata (che però è reale perché è rivelazione): “Quell’uomo che mi ha crocifisso sei tu; tu credi che sia Pilato, Erode, che sia Caifa, No! quell’uomo sei tu!”.

Ecco, è lì che ci fa meditare, perché questa luce ci viene da Lui; eppure, questa luce, questa rivelazione non la dà a noi per rovinarci, ma per salvarci, cioè per farci capire che il nostro io, il nostro egoismo, è deicida; Egli ci rivela la nostra colpa, il “corpo del peccato” che è il pensiero del nostro io al centro; ce lo rivela per invitarci ad andare oltre al nostro io, a non fermarci ad esso, perché il nostro io uccide la presenza di Dio in noi, la presenza di Dio tra noi. E uccidere la presenza di Dio tra noi ci manda all’inferno, ci manda alla rovina.

Allora, tutto ciò che Cristo ha sopportato e sopporta lo fa per darci la capacità e la grazia e la volontà di andare al di là del nostro io, di non lasciarci più guidare dal nostro io, cioè di non avere più il nostro io come padre, ma di avere Dio come nostro Padre, cioè come elemento motivante la nostra vita.

Non devono essere i nostri sentimenti, non deve essere il pensiero del nostro io, non deve essere la figura di noi stessi, il pensiero di noi stessi davanti agli altri, ma deve essere il Pensiero di Dio l’elemento motivante.

Ecco, tutta questa sofferenza del Cristo è per convincerci a superare il pensiero del nostro io e a lasciarci guidare dallo Spirito di Dio; …fu ed è necessario tutto questo.

Teresa: Solo l’infinito amore di Cristo può caricarsi della colpa dell’altro, quindi della nostra. Egli si fa sacrificio gradito al Padre per darci la vita, ma questo solo se lo accettiamo, se lo desideriamo, se crediamo, se lo lasciamo fare.

Luigi: Sì, il credere, il lasciar fare richiede proprio l’andare al di là del nostro io, quindi quel riferire tutto a Dio, cioè quell’aver Dio come Padre. Ecco, il Figlio per far diventare noi figli subisce questa Passione, questa Morte, unicamente per convincerci, perché la sua Passione e Morte sono elementi di convinzione. Infatti fintanto che noi non siamo abbastanza convinti che il nostro io al centro è deicida, ci adagiamo, seguiamo le abitudini, ci facciamo guidare, poco o tanto, dal nostro egoismo, cioè dai nostri sentimenti, dalle nostre impressioni, dal giudizio comune, dalle abitudini, dalle regole.

Ora, il Figlio “vero” viene a morire tra noi per convincerci ad andare al di là di questo nostro modo di vivere, a non lasciarci guidare dalle nostre impressioni, dai nostri sentimenti, da quello che dicono gli altri, perché quello diventa delitto verso Dio: uccidiamo in noi il Cristo senza renderci conto; infatti diciamo: “ma quando mai io ho ucciso Dio?”.

Tutte le volte che tu ti lasci guidare dalle tue impressioni, dai tuoi sentimenti, dal pensiero degli altri, dal pensiero del mondo, tu crocifiggi, tu metti a morte Dio.

Ora, Gesù, che è il Figlio di Dio, viene per rivelarci questo nostro delitto, perché noi in superficie non possiamo renderci conto della gravità delle cose che facciamo e che facciamo per la nostra rovina. Ecco, Lui viene a subire questa morte per evidenziarci le conseguenze del pensiero del nostro io autonomo e quindi per convincerci.

Diciamo così: traumatizzandoci ci convince; ma per traumatizzarci si deve far figlio nostro, cioè ci deve far toccare con mano gli effetti della nostra superficialità, perché  soltanto toccando con mano gli effetti della nostra superficialità possiamo arrivare a dire: “ma come è possibile? io ho fatto questo?”. È qui che si forma la dinamica del superamento dell’io; ci mette in crisi al punto da portarci a dire: “io che credevo di essere buono, ho fatto questo? Come mai? Cosa c’è di sbagliato? Dove sta il mio errore?”. È lì, attraverso questa crisi Lui ci convince che non dobbiamo lasciarci guidare da quelli che sono i nostri sentimenti, i nostri pensieri, ma che dobbiamo sempre andare a cercare la ragione e i motivi della nostra vita presso lo Spirito di Dio, perché è lì che si diventa figli.

Rina: Questa morte di Gesù è per me. Dio me la presenta in modo che io possa pensare di più a Lui, perché io impari ad accettare la sofferenza e ogni cosa che il Padre mi manda e a morire al mio io. Però non sono convinta che per colpa del mio io ho contribuito ad aumentare le sofferenze della Croce.

Luigi: La non convinzione è effetto di superficialità; nella superficialità noi non possiamo essere convinti. La convinzione è effetto di profondità, e la convinzione viene da Dio. La nostra tragedia sta lì: noi nella nostra superficialità ci crediamo buoni, ci crediamo giusti, ci lasciamo guidare da tante cose che sono soltanto impressioni, ma sostanzialmente non siamo convinti di niente; e allora lì noi subiamo tutta una tragedia. Infatti, se noi ci lasciamo guidare soltanto dalle impressioni, le impressioni non ci convincono; dire: “faccio così perché tutti fanno così”, non è un ragionamento corretto, cioè è un ragionare secondo impressioni, e non convince. Ecco, la convinzione invece è in profondità, presso Dio, nella Verità.

Ora, Dio ci vuole condurre a queste convinzioni, e per condurci a queste convinzioni ci traumatizza, perché noi nella nostra superficialità ci crediamo buoni, giusti, onesti, e addirittura ci giustifichiamo dicendo: “non sono un eroe, però mi comporto abbastanza onestamente”.

Rina: Ma non siamo poi tanto delinquenti da ridurre Cristo in quel modo.

Luigi: Ecco. Invece Cristo ci fa toccare con mano (dicendoci: “E per te!”) che proprio con le nostre superficialità, con le nostre non convinzioni Lo riduciamo così.

Ora, questo trauma che Lui crea in noi nonostante noi, perché ci mette di fronte ad un delitto di cui noi credevamo di lavarcene le mani, ci sollecita ad approfondire. Quindi, mentre prima noi per giustificarci dicevamo: “no, io non sono”, adesso, traumatizzati, siamo obbligati ad approfondire. Quando una creatura viene accusata di un delitto, e cerca di giustificarsi, cosa deve fare? Deve approfondire per arrivare a delle giustificazioni convincenti per dimostrare la propria innocenza.

Ma proprio approfondendo arriviamo a capire; cioè arriviamo proprio là dove Lui ci voleva condurre.

Ecco, attraverso questa sua Passione, questa sua Morte, Lui ci muove da una situazione di stasi in cui noi ci eravamo sistemati sulla poltrona. Tutto Egli fa per muoverci, perché soltanto muovendoci ci porta nella vita; e noi all’ultimo Lo ringrazieremo infinitamente di questo dolore sofferto per noi, perché capiremo che se non fosse stato per questo dolore noi restavamo adagiati nelle nostre poltrone ed effettivamente ci perdevamo.

Alla convinzione si approda solo se si approfondisce.

Rina: Se arriviamo ad essere convinti dobbiamo cambiare vita.

Luigi: Certo, il Cristo è morto in questo modo drammatico proprio per suscitare in noi il movimento di ricerca di una convinzione che non abbiamo. Perché noi ci roviniamo restando in superficie, cioè lasciandoci guidare da ciò di cui non siamo convinti. Chi non è convinto si lascia guidare solo dalle impressioni, e chi si lascia guidare dalle impressioni non giunge alla Salvezza, non giunge alla Luce. È la ricerca di Dio che ci porta nella Vita.

Nino: Io non faccio difficoltà ad accettare ed a riconoscere di essere io il carnefice e l’uccisore di Cristo ogni volta che agisco staccato da Lui, e quindi ad identificarmi con tutti i personaggi della sua Passione. Così pure non faccio difficoltà a credere che la Sindone Dio ce l’ha data non per farci vedere le sofferenze di un uomo qualunque, ma per farci vedere le sofferenze di un Uomo-Dio che è arrivato fin lì per Amore nostro.

Io mi sento chiamato in causa dalla Sindone, come dicevi ieri sera, come S. Tommaso, a mettere le mie mani sulle Sue piaghe; questo perché è una cosa che mi è stata rivelata da scienziati che credevano meno di me.

Io non posso dire che erano più fortunati quelli di allora, perché l’hanno visto soffrire; probabilmente ho preso più coscienza io delle sue sofferenze che non quelli che lo facevano soffrire in quel momento, infatti loro non potevano analizzare e servirsi di studi di gente più competente.

Sono impressionanti le analisi del Dott. Barbet, come è impressionante la fotografia.

Gesù con la Sindone mi ha messo davanti a delle cose che sono inconfutabili. Non posso più dire che è una pittura, non posso più dire che è un’opera umana. Nella Sindone è Gesù che parla a ciascuno di noi, che parla a me.

Luigi: Come è possibile che uno dica: “io sono convinto di essere causa di questo dolore”, mentre un altro dice: “io non posso pensare di esserlo…”? eppure siamo tutti uguali. Eligio stesso, ieri sosteneva questo: “non posso immaginare di essere uno di loro; ad un mio fratello io non farei lontanamente ciò che è stato fatto al Cristo”; come è possibile che uno sia convinto e l’altro no?

Pinuccia B.: Ma bisogna intenderlo nello spirito; perché fisicamente non l’abbiamo fatto, ma spiritualmente lo facciamo.

Luigi: Guarda che ciò che combiniamo fisicamente è molto meno grave di ciò che combiniamo spiritualmente. Non dobbiamo giustificarci dicendo: “lo faccio spiritualmente, ma non fisicamente”. Teniamo sempre presente la sproporzione enorme che c’è tra quei diecimila talenti e i cento denari della parabola del servo spietato (Mt 18,23-35).

Nino: Pilato l’ho sempre considerato il meno colpevole, invece Pilato ne ha tanta di colpa, e noi siamo come Pilato; questo accade ogni qual volta che per paura di ricevere un danno, ci rifiutiamo di assumerci la responsabilità della Verità.

Emma: In Pilato ci possiamo riconoscere un po’ tutti…

Nino: Ieri sera ci si chiedeva come avremmo seguito Gesù se fossimo vissuti al tempo dei primi discepoli; probabilmente ci saremmo comportati come i Giudei, l’avremmo considerato un sacrilego, perché “Tu che sei uomo ti fai Dio”(Gv 10,33). Gli ebrei aspettavamo un Messia, ma doveva venire da Betlemme, non da Nazareth; doveva venire come un Re a ristabilire la potenza di Israele e non come l’ultimo dei mentecatti; per loro era un pazzo che girava per le strade a dire delle cose senza senso, a dire che “…ognuno doveva prendere la propria croce…”, che dovevano “rinunciare a se stessi” (Mt 16,24); “…non osservava il Sabato” (Gv 9,16), ecc.

È presunzione dire che se noi fossimo vissuti allora L’avremmo seguito.

Eligio: Ho ancora una grande difficoltà a vedermi causa della passione e morte del Cristo. Sul piano del pensiero riesco a capire che con il mio io uccido Dio, ma sul piano fisico non lo capisco.

Stento a vedermi nella condizione di flagellatore di Gesù. Accetto per fede di essere causa sul piano fisico, mentre invece sono convinto di operare un deicidio quando affermo il mio io. Ho bisogno quindi di giungere a rendermi conto di essere io causa di quella morte fisica di Cristo.

Nino: Non dobbiamo avere difficoltà a riconoscerci in tutte quelle figure che direttamente o indirettamente hanno ucciso il Cristo duemila anni fa. Anche Pietro è  una figura altrettanto colpevole. Infatti non c’è tanta differenza tra Pietro e Pilato. Pietro ad un certo punto, per salvare se stesso, davanti ad una povera donna, rinnega il suo Maestro: “io non Lo conosco”(Mt 26,72). E Pietro era uno degli uomini più vicini a Dio.

Eligio: Però non riuscirei a vedere Pietro come flagellatore.

Nino: Pietro è stato un flagellatore proprio per aver rinunciato a dire la sua in favore di Cristo. Indirettamente anch’egli è stato uccisore del Cristo. Fortunatamente Dio evita a parecchi di noi di ammazzare dei nostri fratelli per rivelarci il nostro deicidio, però se noi portiamo alle estreme conseguenze i pensieri che abbiamo avuto qualche volta per affermare il nostro io, possiamo renderci conto di come lo spirito del nostro io sia deicida. Ognuno di noi deve solo ringraziare Dio se non si è trovato nelle condizioni di un assassino, perché se un nostro pensiero violento avesse potuto realizzarsi, noi avremmo ammazzato Cristo in un fratello.

Eligio: Farei la distinzione tra un nostro fratello e Cristo.

Luigi: Gesù dice: “Ogni qualvolta che avete fatto questo ad un altro di questi minimi dei miei fratelli, l’avete fatto a Me” (Mt 25,40).

Nino: O crediamo alla rivelazione o mettiamo in dubbio le parole di Cristo. Non ho difficoltà a vedermi in quei personaggi.

Luigi: Però la convinzione è personale, tua; tu hai degli elementi personali tali per cui dici: “io mi identifico in essi”; un altro invece trova più difficoltà in quanto magari non ha elementi così convincenti. Ma è  Dio che ti ha convinto.

Nino: Penso però che Gesù dà a tutti il mezzo per arrivare a questa convinzione.

Luigi: Certo, e bisogna arrivarvi, perché Lui stesso dice: “Questo è per te”, e in quanto lo dice ci sollecita. Naturalmente ci vuole l’atto di adesione, per fede, ma bisogna arrivare a dire: “la realtà è questa; io non la capisco ancora, però la accetto, perché me lo dice Lui”, e cercare di convincerci, cercare di arrivare a vedere questa realtà.

Eligio: Trovo difficile investirmi nel flagellatore, anche se devo aderirvi per fede, auspicando però che non resti velata la speranza, dal momento che tutto quello Cristo l’ha subito per salvarmi.

Luigi: E l’ha subito quindi per mantenerti nella speranza.

Eligio: Per me invece è leggermente velata la speranza, perché mi fa inorridire il pensare di essere l’autore sadico di ciò che accadde al Cristo.

Luigi: No, perché c’è questo fatto: prima la nostra speranza era fondata sostanzialmente sulla nostra bontà o meriti personali; invece adesso Gesù chiede a noi che la nostra speranza sia fondata sulla sua Misericordia, su di Lui; cioè ti chiede di sperare proprio su Colui che tu hai ucciso, che tu hai malmenato. La tua speranza la devi fondare su di Lui, perché è solo Lui che ti può perdonare.

Dio ti porta al punto in cui tu prendi coscienza che non c’è più niente di buono in te su cui tu possa far leva per sperare. Quindi Lui ti annulla la speranza che avevi, che è una speranza sbagliata, superficiale, sentimentale per portarti ad avere la speranza in Lui, quindi per portarti alla convinzione: “è Lui che mi può salvare, proprio con la sua morte”.

Cristo è venuto quindi a portarci un’altra speranza, una speranza molto più autentica, molto più vera, perché effettivamente noi dobbiamo far conto solo su Dio e non su noi stessi, o sulle nostre opere. Qui allora siamo a posto.

Eligio: Il deicidio sul piano del pensiero con facilità lo constati, ma anche lo si dimentica  facilmente, perché rimane un sentito dire.

Luigi. Comunque, in quanto la cosa ti turba vuol già dire che Dio ti chiama; cioè se ti sconvolge è perché ti chiama lì, e sotto un certo aspetto ti dà la possibilità di convincerti.

Il nostro sforzo non deve mirare tanto a cambiare il nostro comportamento, quanto piuttosto a superare il nostro io, perché il vero peccato non è ciò che noi chiamiamo “peccato”, l’azione esterna, ma è la nostra motivazione sbagliata. Infatti il nostro io si può camuffare di tanta bontà e quindi far leva e speranza sulle proprie opere buone; e questo probabilmente è ancora più pericoloso, perché ci mettiamo fuori dicendo: “Signore, io ti ringrazio, perché mi sono comportato bene” (Lc 18,11-12). È proprio questo atteggiamento che ci fa stentare ad entrare nel vestito del peccatore, del delinquente, dell’uccisore. Siccome la salvezza viene da Lui (è solo Lui che salva), noi dobbiamo superare il pensiero del nostro io e tutto ciò che si appoggia sulle opere del nostro io, ed è Lui che ci chiede questo, per imparare ad appoggiarci sull’Amore, sulla Verità, sulla Bontà, sul Perdono e sulla Misericordia di Dio.

Eligio: Io penso che il rischio non sia tanto quello di contare sulle opere buone, perché siamo sempre colpevoli di tanti peccati, ma è proprio la difficoltà ad uscire dall’incapacità di giungere alla convinzione di essere i carnefici di Cristo.

Luigi: È Lui che ci conduce. L’importante che noi capiamo che dobbiamo arrivare a questa convinzione. Allora, se capiamo che dobbiamo arrivare a questo, Egli ha già preparato il terreno per la sua semina. Praticamente Lui dice a noi: “adesso tu hai capito che devi arrivare a convincerti di questo? Allora tutto quello che Io ti farò, accettalo per arrivare a questa convinzione, perché sono Io che opero la convinzione in te…; allora, d’ora in poi incomincia ad accettare tutto quello che Io ti mando, soprattutto quello che è contro di te, le croci che non gradisci, perché attraverso quelle ti conduco alla luce che ti convincerà di ciò che cerchi. Devi quindi disporti ad accettare tutto, così come se ti trovassi di fronte ad un plotone di esecuzione: non ti rimarrebbe che alzare le mani … arrendendoti.

Vedi, Dio mettendoti di fronte ad una certa scena, la Sindone, crea uno stato d’animo tale per cui incominciamo ad essere preparati ad accogliere tutte le sue opere che tendono a purificarci, a liberarci, a spiritualizzarci; ecco: la Sindone ci dispone all’accettazione, perché è Lui che forma il cammino, non siamo noi. Quindi non diciamo: “dubito di arrivare a convincermi”, No! Lasciamo fare a Lui, però disponiamo la nostra anima ad accettare con umiltà sapendo che siamo in colpa. Quindi non dobbiamo pretendere niente; allora accettiamo, stiamo lì, Lui ci conduce. È questa la condizione fondamentale. Noi generalmente invece siamo restii ad accettare.

Eligio: Prima però hai detto che bisogna cercare di approfondire, ma c’è bisogno di una grazia particolare, perché non saprei da dove incominciare ad approfondire. Per me la Sindone è sempre stata una fotografia di grandissima suggestione, ma mai l’avevo considerata come denuncia di una mia partecipazione personale ad un delitto simile. Solo approfondendo mi convincerò che Lui si è offerto a me per la mia salvezza …

Luigi: …e si è  offerto a ciascuno di noi in quella situazione di morte, e di una tale morte; infatti, poiché vuole salvarci, deve rivelarci che quello che Lo uccide, che Lo flagella sono le motivazioni che portiamo dentro di noi, che sono le motivazioni di Pilato, le motivazioni di Pietro, cioè quelle motivazioni che ci fanno credere giustificati, confortati; infatti arriviamo a dire: “se io non dico quella menzogna mi comprometto …”. Guardiamo le menzogne di allora quali conseguenze hanno causato! Quindi se quella menzogna è dentro di te, tu sei colpevole quanto chi ha ucciso Cristo mentendo, perché di fronte a Dio non conta il tempo, la regione, il luogo o la situazione: quello che conta per Dio è l’intenzione che uno porta dentro di sé. Quindi se l’intenzione di Pilato, che è quella di non compromettere la sua carriera, per cui lascia crocifiggere Cristo, è un’intenzione che portiamo in noi, anche se materialmente non facciamo la stessa azione, facciamo comunque la stessa cosa che ha fatto Pilato (è sufficiente che il quadro ambientale si sposti).

Ora, il Signore ci porta a capire che quello che muove tutto è l’intenzione che abbiamo in noi; se in noi ci sono le stesse intenzioni di un Pilato, di un Pietro, di un Giuda, di un Sommo Sacerdote di allora, noi siamo colpevoli degli stessi atti. Se in noi c’è uno di questi desideri abbiamo già commesso il deicidio nella stessa atroce maniera che è avvenuta duemila anni fa; infatti il Signore ci dimostra che l’azione l’abbiamo già fatta. Questo perché agli occhi di Dio, ciò che conta è la realtà spirituale che è la vera realtà. Quindi non conta che nella realtà materiale io faccia questo o quell’altro, perché la realtà materiale è Lui che la fa; ciò che conta è l’intenzione, il pensiero; quindi se il pensiero che portiamo in noi è il nostro io al centro, noi siamo già passibili di tutti i delitti.

Eligio: E anche se spesso cadiamo, penso però che davanti a Dio conta l’intenzione di non voler più peccare; infatti all’adultera Gesù dice: “Va’ e non voler più peccare” (Gv 8,12) e non dice: “Va’ e non peccare più”.

Luigi: Certo, d’altronde è evidentissimo: agli occhi del Cristo (e tutte le scene del Vangelo sono fondate lì), ciò che noi riteniamo i peccati più gravi sono le cose più leggere, quello che invece agli occhi nostri sembrano le cose più passabili e normali, magari un atto di orgoglio, o una superbia, ai suoi occhi invece sono delle stangate e staffilate a non finire. Agli occhi di Cristo i valori si capovolgono; nella nostra superficialità le cose sono molto diverse da come lo sono invece nella Realtà. La Realtà è diversa.

Ora, noi stiamo andando verso questa Realtà “diversa” che ci sconfesserà tutte le nostre motivazioni; e noi dobbiamo aspettarcela questa Realtà diversa. La Realtà è spirituale. Si vede chiaramente: noi condanniamo a morte certi peccati, certi delitti, invece Gesù, agli stessi Sacerdoti, dice apertamente: “ladri e prostitute vi precederanno nel Regno di Dio” (Mt 21,31). Quindi vuol dire che c’è un peccato che a noi sfugge, che è infinitamente più grande della prostituzione e del furto; ed è quello che Dio vuole evidenziare a noi per liberarci; perché noi magari ce lo portiamo addosso e ci crediamo giusti, ci crediamo buoni. Ecco, Lui è per evitarci quest’errore che muore, perché a causa di questo errore noi ci danniamo, ci priviamo della vita. E allora Cristo per salvarci, per farci capire che siamo malati, che siamo ciechi e paralitici, subisce questa Passione e questa Morte per farci toccare con mano la gravità del nostro male in modo da liberarci da esso. È terribile liberare uno da un male di cui non è convinto. Ecco, il Cristo, opera tutto questo per liberarci da un male di cui noi non siamo convinti.

Infatti per noi è “normale” pensare a noi stessi o lasciarci motivare dal nostro io, e non ci rendiamo conto che invece è proprio il pensiero del nostro io, autonomo da Dio, che uccide il Pensiero di Dio, il Figlio di Dio  in noi. Cristo ci offre la possibilità di liberarci da questo male (ed è l’unico vero male agli occhi di Dio), prendendolo su di Sé. In che modo? Facendocene vedere le conseguenze, affinché capiamo che il nostro io al centro è deicida. Solo comprendendo questo, solo se ne siamo convinti, abbiamo la forza e la volontà di superarlo e iniziare a mettere Dio al centro.   

Eligio: È possibile che un’anima abbia la convinzione di volersi liberare del suo vero male e che quindi tenda a liberarsene ma che nonostante questo permanga nelle sue debolezze?

Luigi: Certo, può anche darsi.

Eligio: Quindi è possibile che un’anima desideri sinceramente tendere a Dio, pur smentendo questo suo desiderio con cadute e peccati?

Nino: Dio perdona un’infinità di volte.

Luigi: Sì, comunque non dobbiamo mai fidarci di noi stessi, e anche nella ricerca stessa di Dio non dobbiamo mai far conto su di noi. Noi dobbiamo sempre, continuamente, superarci per verificarci in Dio. Infatti il Signore stesso dice: “i miei pensieri non sono i tuoi”(Is 55,8); quindi non dobbiamo mai fidarci, nemmeno del sincero desiderio di ricerca di Dio che uno ha; No! Dobbiamo guardare sempre di più a Dio, perché è possibile che non Lo cerchiamo come Lui vuole o che prendiamo una cantonata. Ecco, abbiamo bisogno di verificarci continuamente in Dio. Non dobbiamo fidarci mai di noi stessi; le nostre speranze non devono essere fondate su di noi.

Nino: È stato detto: Dio ci dà il dono e poi ci mette alla prova. Tutte le volte che noi superiamo la prova, facciamo uno scalino, ma tutte le volte che noi non superiamo la prova, perdiamo il dono. Dio ci perdona “settanta volte sette” (Mt 18,22), e ancora di più, però ad un certo punto dice anche alle vergini stolte: “non vi conosco”(Mt 25,12).

Eligio: Vorrei pensare che Dio riproponga il dono là dove c’è stata una mancanza.

Nino: Certamente, se non fosse così non saresti perdonato, però non è che perdoni all’infinito…

Luigi: No!!! Dio perdona all’infinito, siamo noi che diventiamo incapaci, impotenti di ricevere il suo perdono infinito. Quando Egli, alle vergini stolte,  dice: “Non vi conosco”, lo dice ancora per  salvarle e per salvarci. Quando Gesù dice: “meglio per te non essere mai nato” (Mt 26,24), non lo dice per condannarci, ma lo dice per salvarci; anche quella è una parola detta per salvarci.

Nino: Anche a coloro che dicono: “noi abbiamo mangiato e bevuto alla tua presenza”, Egli dichiara: “non so di dove siete”(Lc 13,25); anche queste parole sono per salvare noi che veniamo dopo, ma Lui quelli ce li fa vedere condannati.

Luigi: No, tutte le parole che vengono da Dio sono per salvare. Tutto Lui fa per salvare; quindi tutte le parole che Lui dice, le dice perché “vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità” (1 Tm 2,4): tutti! Allora tutte le sue opere, e quindi tutte le sue Parole, nessuna esclusa, sono comprese in questa sua Volontà. Quindi tutto, anche le minacce, o quando Lui dice: “tu sei dannato”, Lo dice ancora per salvarti.

Nino: Però ci annuncia anche un tempo in cui Lui arriverà come un ladro di notte (Mt 24,42-44).

Luigi: Certo, Lui lo dice per salvare.

Nino: Però dice anche una cosa che avverrà certamente, se noi permaniamo in quella situazione.

Luigi: Certo, ma anche questo lo dice per salvarci.

Nino: Ci dice però anche che se noi perseguiamo nell’errore ad un certo punto saremo noi ad averlo voluto, ma Lui non potrà più fare niente.

Luigi: È vero, però da parte di Dio, tutto ciò che arriva a noi, anche le maledizioni, giunge per salvarci. Direi che la rovina è soltanto per opera nostra. Quindi non è che Lui ad un certo momento chiuda la porta, e dica: “non è più tempo” (cf Lc 19,42), no! questo non avviene. Lui ci dice: “guarda che chiudo la porta”, ma lo dice per salvarci.

Nino: Siamo noi a chiuderla, quindi saremo noi ad auto-giudicarci.

Luigi: Certo, c’è questo rischio: ad un certo momento noi rivestiamo talmente tutto del pensiero del nostro io, da diventare impotenti ad appartenere alla sua Luce. C’è questo terribile rischio, che è dato dal nostro io, che proprio perché è fatto per conoscere Dio, diventa figlio delle sue opere. La sua Parola ci avverte per farcelo evitare.

Pinuccia B.: Il riflettere che il verbo si è fatto carne, ed io vivo dimenticandoLo come se Lui non fosse venuto e non avesse parlato, mi aiuta a capire la mia responsabilità nella sua morte. Non tener conto delle sue parole nelle mie scelte concrete, dimenticarLo o trascurarLo è una colpa grossa, perché Lui è venuto. 

Luigi: Sì, dimenticarLo è una colpa grossa…; vedi che poco per volta si arriva a capire che spiritualmente il non tener conto è uccidere.

Pinuccia B.: Mi impressiona l’insistenza di Gesù nel parlare del Padre: quante volte Lo nomina…, e poi le sue tre predizioni della Passione (Mt 16,20; Mt 17,21; Mt 20,16) con le conseguenti reazioni degli apostoli. E poi il suo scagliarsi contro i Farisei, contro ciò che non è la Verità, rischiando così la morte. Ecco, praticamente Egli viene ucciso perché parla del Padre a gente che ha tutt’altri interessi, mettendosi così nelle loro mani.

Luigi: Infatti Gesù dice: “Voi cercate di uccidermi, perché le mie parole non sono accolte da voi, non penetrano in voi” (cf Gv 8,37); anche lì, nella loro superficialità rispondono: “chi cerca di ucciderti, tu sei un pazzo” (cf Gv 8,52). Così pure noi: chi mai nella nostra superficialità ritiene di uccidere quando non accoglie la parola di uno? Ma Gesù ci dice che la realtà è quella.

C’è una Realtà profonda, spirituale, che sfugge a noi, che anzi ci fa dire “pazzo” a chi afferma una tale cosa. Gesù dice ai Farisei: “voi mi uccidete”, in effetti dopo poco tempo Lo uccideranno, quindi aveva ragione; però quando Egli diceva loro queste cose, essi dicevano: “noi non vogliamo ucciderti”, ed erano conviti di quello che dicevano. Ecco, Colui che vede più a fondo di loro e di noi conferma: “voi cercate di uccidermi”; infatti arriverà il momento in cui Lo uccideranno, in cui Lo uccideremo. Ma perché arriverà quel momento? Perché non abbiamo accolto quella Parola, perché non accogliere è già uccidere.

Pinuccia B.: È per questo che dobbiamo arrivare a vederci personalmente implicati in ciò che la Sindone ci rivela. E per me! Come è vero che Dio ha fatto e fa l’universo per me, che Egli parla personalmente in tutto con me, è altrettanto vero che la sua Passione e Morte è per me, quindi anche la Sindone è per me.

In quanto all’esecuzione, ad esempio della flagellazione, penso che non c’è differenza tra chi assiste ad una fustigazione, che potrebbe fermare, e l’esecutore di essa. Supponiamo il caso che questi flagellatori dipendessero dalla mia volontà, se io do l’ordine, in realtà  sono io che flagello, anche se materialmente non lo faccio.

Nino: Ma noi, già nel momento in cui desideriamo che uno di quei tanti terroristi che ci sono nel mondo venga colpito da una fucilata, l’abbiamo già fucilato, e abbiamo fucilato Cristo.

Pinuccia B.: La Sindone “è per me”: “me” come causa, e sono chiamata quindi a riconoscere di essere causa di questa passione. Inoltre la Sindone “è per me”, a favore mio (“per” finale), perché il suo Sacrificio è per portarmi nella Vita del Padre. quindi facendomi toccare con mano la radice del mio male…

Luigi: …sei liberata. Il male grande è quando noi non tocchiamo il nostro male e quindi lo ignoriamo. Cristo facendoci toccare il nostro male ci dà la possibilità di liberazione.

Pinuccia B.: La causa di tutto è perché non conosco Dio, non conosco il Padre.

Luigi: Certo, però il fatto di non conoscere il Padre deriva dal fatto che tu hai altri padri. Ora, siccome per “padre” va inteso l’elemento che ti motiva nella vita, vuol dire che tu hai per padre o il tuo io o gli altri o il benessere o la figura; i padri sono gli elementi, i motivi che ti muovono.

Ora, Dio viene tra noi per liberarci da questi altri padri e per portarci a diventare figli suoi; quindi figli di un unico Padre. E Cristo venendo ci dice: “non chiamate nessuno col nome di Padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli”(Mt 23,9), quindi già ci voca a questa unica figliolanza: “il Padre vostro è uno solo”.

“Non date a nessuno il nome di Padre”, cioè non fatevi figli di altri all’infuori di Dio. Ecco, siamo noi che ci sottomettiamo, che ci facciamo figli di altri; e Lui ci libera dicendoci: “voi siete stati creati per diventare figli di Dio. Abbiate per Dio come unico Padre”; ecco l’opera del Figlio!

Pinuccia B.: Dunque coloro che non hanno accettato il messaggio del Cristo rappresentano noi quando non accettiamo questo messaggio.

Luigi: No! Rappresentano noi quando preferiamo altri padri.

Pinuccia B.: Però Lui risorge in me quando …

Luigi: … hai toccato con mano il tuo male. È necessario che tocchi con mano il tuo male, perché non è che Lui morendo ti salva automaticamente; la sua Morte è una possibilità di salvezza.

Noi possiamo trovarci nell’impossibilità della salvezza: “Mi cercherete e non mi troverete; dove Io sono voi non potete venire”(Gv 7,34): la porta è chiusa. Cristo, morendo per noi non ci ha ancora salvati, ma ci dà la possibilità della salvezza; ma questa possibilità si realizza con il toccare con mano il nostro male: cioè l’avere altri padri, l’avere il nostro io al centro. Bisogna scoprire questo male. Ora, chi ce lo fa scoprire è Lui, perché senza di Lui non scopriamo niente, anzi ci convinciamo del rovescio, ci convinciamo di essere giusti, di essere buoni, di essere onesti. Ecco, invece con Lui scopriamo il nostro delitto, e scoprendolo ne siamo liberati.

Pinuccia B.: Se …

Luigi: Ma una volta che sono convinto che una cosa mi fa male e mi avvelena ho tutta la possibilità di evitarla.

Nino: Però non è ancora così chiaro, perché si può essere convinti e poi però comportarsi diversamente da quello di cui siamo convinti.

Luigi: Va bene, ma è una cosa totalmente diversa; ormai il travaglio è tutto tuo. Sei in purgatorio...

Nino: Ma non è una cosa automatica …

Luigi: Ma certo, però il capire il tuo male è la condizione sostanziale per incominciare questa vita nuova; poi tribolerai tutto quello che dovrai tribolare, perché magari sei carico di abitudini, e queste abitudini pesano, ma è tutto un peccato diverso, perché almeno adesso, quando manchi, puoi dire: “sono proprio uno stupido”, perché lo sai, e puoi correggerti; prima invece eri convinto di fare bene, e ritenere bene ciò che è male, è lì l’errore.

Nino: Ma in tal caso mi sento ancor più colpevole.

Luigi: Quello sarà opera di Dio se ti senti più colpevole, ma è un’altra faccenda; il fatto è questo: che almeno adesso tu sai che quella è stupidità, che quello è male; prima invece lo ritenevi addirittura bene.

Ora, la Morte del Cristo è venuta proprio per liberarci dall’illusione, dall’errore di credere di essere nel bene quando invece stiamo precipitando nel male.

Nino: È comunque una sofferenza.

Luigi: Quella sofferenza è positiva perché è già purgatorio.



RIASSUNTI GV 1 VS 19 Quarto incontro.


Titolo: La preghiera.


Argomenti: La vera preghiera è approfondire la Parola di Dio, fino ad arrivare alla Presenza di Dio. La preghiera formale. La sfera interiore deve crescere tanto da assimilare la sfera esterna. La preghiera  meccanica. La colpa sta nel sentire e non approfondire. La parola di Dio ci aiuta ad approfondire la parola di Dio. Approfondire non vuol dire ricordare.


 

24/settembre/1978


Ascolto della registrazione di un’intervista con un eremita di Camaldoli sulla preghiera.

-                     Esperienza della vita dell’eremo.

-                     Riforma della vita eremitica (dopo sette – otto ore di preghiera vocale, mi domandavo: “Ho pregato Signore mio?).

-                     Necessità della preghiera personale.

-                     La preghiera è un patrimonio comune a tutti i credenti, di qualsiasi religione.

-                     La preghiera è l’alito vitale, non è un problema accessorio.

-                     È sempre graduale secondo una crescita spirituale (rappresentata da una scala).

-                     Non la basta la preghiera spontanea, il raccoglimento, l’interiorità, se manca un’elaborazione interiore sulla preghiera stessa, che diventa a sua volta uno sviluppo della stessa personalità spirituale; spiritualità che cresce in proporzione della preghiera.

-                     La preghiera si basa sulla fede, sulla rivelazione di Gesù.

Quando lentamente si acquisisce questa sua rivelazione che manifesta l’amore infinito del Padre e l’amore di Cristo Gesù, con la sua promessa che se l’ascoltiamo, ascoltiamo le sue parole, se accogliamo Lui, il Padre, Lui e lo Spirito Santo dimorano in noi, avviene che la nostra interiorità, diciamo, la nostra coscienza, il centro della nostra vita stessa, si trasforma in un tempio cosciente di questa relazione con Dio Trinità. E di conseguenza lì incomincia questo dialogo che lentamente non diventa più un dialogo di parole, né dialogo di frasi che arena la preghiera liturgica, ma che interiormente è un rapporto vitale, per cui si ha l’esperienza che il cristiano credente è veramente il tempio vivo dello Spirito Santo e, come diceva Gesù alla samaritana: “Il Padre ricerca questi adoratori che adorino Lui in Spirito e Verità”. Se noi diciamo di credere in Dio, ma poi non riusciamo ad elaborare, a sviluppare, a dare libertà allo Spirito, perché animi la nostra interiorità, la nostra forma di preghiera può diventare di giaculatoria, di domanda, di insistenza, di ripetizione, ma non si perviene al centro di tutta l’esperienza di preghiera. La vera preghiera accolta e seguita tende ad unificare l’uomo. La Verità rivelata, accolta da noi, unifica la persona (anche per questo la Chiesa è una; perché stabilisce un centro e di conseguenza tutte le manifestazioni della vita diventano unificante. Ora, lo scopo del monaco non è solo quello di essere solo; ma è specialmente questo: l’unificazione che si ha per questa trasformazione costante, interiore, continua della propria coscienza in tempio vivo dello Spirito Santo. Per cui il richiamo di Gesù: “È necessario pregare sempre”, diventa: “Come si vive, così si prega”, ossia, si vive continuamente fino alla morte, e perciò si prega fino alla morte; e dopo speriamo di pregare ancora meglio. Attingendo continuamente alla Parola di Dio (come ci ha richiamato la Chiesa col Concilio, il commentarlo, ci riempie costantemente della Parola del Signore, per cui la sua Parola veramente rimane in noi e mette anche in continua lotta noi stessi con questa parola, perché ci stabilisce un termine di confronto, quindi praticamente diventa una conversione continua, una ricerca costante di Lui, del suo Volto, della sua Parola, della Verità. È la preghiera perciò costante di cercare le sue vie, di cercare quello che Lui vuole. E questo avviene precisamente nell’ambito della Parola, nel confronto della vita con la Parola, per cui questa preghiera diventa non soltanto espressione e risposta della fede e dell’amore verso Dio, ma diventa anche costantemente uno stimolo di miglioramento, di conversione, di santificazione.

Domanda: Quale significato assume la preghiera per l’uomo contemporaneo?

Risposta: L’uomo contemporaneo è un uomo dilacerato, diviso, stordito. I mezzi di comunicazione, tutte quelle ideologie, tutto questo, non permette di vivere in armonia. L’uomo contemporaneo ha bisogno di trovare un punto concreto su cui appoggiarsi, da cui vedere le cose e da cui dominare la situazione. Ora, quando questo punto è così labile come sono le ideologie e gli idoli di qualsiasi genere, non si costruisce sull’unità e si rimane divisi. Quindi l’uomo contemporaneo, specialmente i cristiani, sono chiamati a questa unificazione di loro stessi. Per unificare ci vuole un punto stabile, un punto fermo e lasciar lavorare il Cristo, anche se poi l’autorità stessa ecclesiastica diventa un punto esteriore, ci vuole un punto di base essenzialmente dinamico qual è la Parola di Dio animata dallo Spirito Santo nell’interiorità dell’uomo. Senza questo punto fondamentale non si vive, non si superano tutte queste dilacerazioni che noi notiamo. Quindi i cristiani sono tutti chiamati qui con maggior senso di responsabilità e non accontentarsi della esteriorità cristiana, ma a prendere consapevolezza della fede e della coerenza di fede, specialmente in questo ritorno all’approfondimento della Parola di Dio, ad una fede più intelligente, più luminosa, più coerente; perché tutto dipende da come si vedono le cose da questo unico punto fondamentale che è la Presenza di Dio operante in noi.

Domanda: Quindi la preghiera intesa così intesa emerge carica di enormi significati e enormi valori; ma come far capire all’uomo contemporaneo che è necessario pregare?

Risposta: I cristiani devono sentirsi responsabili più che di dare una testimonianza esterna, di avere questa gioia interiore che nasce dalla loro certezza della fede e dalla loro risposta all’amore di Dio, manifestatoci in Gesù e diffuso costantemente dallo Spirito, nella loro coscienza.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Luigi: Questo eremita fa notare bene la necessità della preghiera personale, perché dopo ore passate in coro si chiedeva: “Signore mio, ho pregato?” e sentiva il bisogno di pregare personalmente. La preghiera è proprio questa elevazione dell’anima a Dio, il che vuol proprio dire unificare tutto nella sua Presenza. La vera preghiera è: riferire tutto alla sua Presenza.

Cina: Anche per me la preghiera per tanti anni è stata un disco ripetuto: sempre le stesse preghiere. Si viaggiava su quel binario lì. Invece dopo che ho scoperto di più la Parola di Dio, questa mi ha insegnato un altro modo di pregare.

Luigi: È proprio la Parola di Dio che insegna a pregare, la Parola di Dio quando non è ripetuta ma è approfondita. E qui abbiamo Gesù, Parola di Dio, che insegna a pregare, perché è Lui che insegna a pregare, è Lui il Maestro.

Cina: Illumina e insegna.

Luigi: Ecco, è Lui: “Sarete veri miei discepoli se resterete nelle mie parole”. Questo restare è approfondire: il terreno buono che approfondisce. Allora approfondendo preghiamo. L’abbiamo detto tante volte che la vera preghiera è proprio questo approfondire la Parola di Dio, fino ad arrivare alla Presenza di Dio. Non è tanto un ripetere parole. Forse magari le parole che si dicono di preghiera così, servono per raccogliere l’anima a fare questo lavoro; ma se noi invece diciamo solo le preghiere come formule esterne e poi non facciamo questo lavoro, è come se per andare a trovare una persona, ci accontentassimo di arrivare su fino alla scala e poi tornassimo indietro: non l’abbiamo trovata! Ora è così: quando si dicono preghiere con formule, si arriva solo alla scala; ma poi si tratta di entrare e per entrare ci vuole questo lavoro di silenzio, di unificazione fino ad arrivare alla Presenza di Dio: pregare vuol dire elevare la nostra anima alla Presenza di Dio, portarci fino a toccare con mano, direi, la Presenza di Dio in noi. La Presenza viene da Dio.

Cina: E ascoltare quello che Lui dice a noi, più che noi dire a Lui.

Luigi: Certo, perché la preghiera è ascolto; è la Parola di Dio che ci guida alla sua Presenza. Non dobbiamo interrompere il cammino prima di arrivare alla sua Presenza, altrimenti interrompiamo l’ascolto prima di essere arrivati a quello che l’Altro ci vuole dire.

Eligio: Io vorrei chiedere a quel padre eremita, se non sia possibile rendere autentica e sostanziale la preghiera ufficiale. Se la preghiera è ascolto della Parola di Dio, perché non posso vedere nella preghiera ufficiale la Parola di Dio? Dio parla, si significa attraverso tutto e quindi in modo particolare anche attraverso la preghiera formale.

Luigi: La preghiera formale la conformerei a quella che può essere l’opera dell’artista: è espressione di tutto un mondo interiore che uno porta dentro di sé. È la preghiera personale che poi ti porta a significare quello che senti dentro e a comunicarlo.

Eligio: Se uno si accosta alla recita delle lodi, dei salmi, con uno spirito giusto, tenendo presente che quello è Parola di Dio, accettandolo come Parola di Dio, come possibilità di ricevere da Dio questa forza di unificazione, proprio attraverso la recita dei salmi, non si immette forse in questo atteggiamento di preghiera essenziale? Per cui anche la preghiera formale entra e dà vita al mio spirito, perché è Parola di Dio. Direi, tutto è Parola di Dio, addirittura il male è Parola, significazione di Dio, a maggior ragione direi la preghiera formale o ufficiale.

Luigi: La Parola di Dio ha sempre bisogno di essere assimilata, di essere mangiata, il che richiede un impegno personale. Tu con la preghiera ufficiale ti avvicini al cibo. Naturalmente quanto tu più l’hai assimilato, tanto più ti diventa facile assimilarlo. Tutto dipende dalla profondità che uno porta in sé. Ma questa profondità è sempre un lavoro personale con Dio. Inizialmente la parola ufficiale dovrebbe essere (poiché il cibo va spezzettato, in modo che l’anima lo possa assimilare) molto diluito, in modo che l’anima possa, mentre lo riceve, a poco per volta assimilarlo, o custodirlo per poi assimilarlo. Altrimenti fa indigestione.

Eligio: Ma allora per molti la vita monastica è inutile e dispersa?

Luigi: Ma tra il vivere nel mondo in cui sei bombardato da tutti fattori che ti estraniano, che ti alienano all’argomento, alla preghiera, perché ti fanno passare la vita in altro, al vivere in un monastero in cui invece sei bombardato da elementi che ti sollecitano, c’è una differenza. Per cui costui, che è entrato ai 15 anni in vita eremitica, ad un certo momento ha sentito il problema: io continuamente mi avvicino a delle parole, che sono Parola di Dio, ma non assimilo, per cui non prego. E allora si sente il problema.

Eligio: Però non necessariamente, essendo bombardato dalla preghiera ufficiale, riesco a far entrare tutto il mio mondo in essa, a essere raccolto da questa preghiera (cfr. Frère di Tamiè).

Luigi: Non c’è niente di automatico, quindi non basta andare in convento.

Eligio: Invece posso essere bombardato dal mondo e riuscire …

Luigi: … a raccogliere dappertutto e in tutto. Però una cosa è trovarci con la Parola di Dio che ti arriva sempre lì e altro è trovarti sempre con parole degli uomini che addirittura ti estraniano alla Parola di Dio o ti sollecitano ad estraniarti perché ti pongono altri problemi. Se io mi trovo con una persona che continuamente mi pone problemi su Dio, sono più occasionato che se mi trovassi invece con chi mi bombarda con problemi di cinema, di foot-ball, di mondo. Sì, uno può estraniarsi in un modo o nell’altro. E può anche trovare motivo di raccoglimento nelle cose del mondo, perché ad un certo momento si sente talmente stufo che dice: “Basta, non voglio più sentire questi argomenti!” e per reazione va agli argomenti di Dio.

Eligio: Padre Ch. Ce lo aveva detto chiaramente: “Abbiamo creato delle comunità perfette, ma non sono cristiane”, cioè pensiamo a noi, ci chiudiamo nel nostro guscio, stiamo anche bene; crediamo di essere a posto con Dio e con tutti, e invece non siamo cristiani.

Luigi: È sempre il fatto di mettere la nostra regola al posto della vita e dell’amore di Dio. Siamo sempre lì: subentra sempre l’esigenza del fattore personale: l’amore, l’interesse per Dio.

Eligio: Però questo eremita ha detto bene: ha posto in luce il significato e come deve essere la preghiera, cioè unificazione.

Luigi: Per me ciò che è valido è questo: che ha posto il punto su questo centro che dobbiamo portare in noi di unificazione, un punto fisso a cui tutto riferire. E questo punto fisso, l’ha dichiarato apertamente, è la Presenza di Dio. Per cui il nostro mondo interiore, la nostra stessa coscienza, deve diventare il Tempio della Trinità di Dio. Ecco, attraverso la preghiera, noi entriamo in questo Tempio. E in questo Tempio, troviamo la Presenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Se noi non arriviamo qui, la nostra preghiera diventa inutile, perché non conclude, non è arrivata alla sua conclusione. Abbiamo fatto tanti tentativi per entrare, ma non siamo entrati. Ecco, l’essenza della preghiera deve arrivare a questo termine qui.

Eligio: Cioè è una risposta ad una domanda fatta da Pinuccia una volta: “Quando uno arriva a Pentecoste se ne accorge?”. Ecco, il nostro spirito diventa cosciente dell’inabitazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Luigi: Cioè la nostra coscienza, ciò di cui noi siamo coscienti, diventa Tempio del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e noi prendiamo coscienza della Presenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. È stato valido quanto ha detto questo eremita per aver messo in evidenza il bisogno di unificazione e il bisogno di avere un centro di unificazione di tutta la persona umana.

Eligio: È elemento costitutivo della personalità umana. Se non c’è quello, ha detto bene, gli idoli, la vita stessa sono elementi di disgregazione.

Emma: È una sofferenza però non riuscire ad essere quello che si capisce che si dovrebbe essere, e non riuscire ad esternare quella vita vera che c’è in me.

Luigi: E perché vuoi esternarla?

Emma: Si, perché quando uno è arrivato a questo punto, la vita può diventare un dono al prossimo.

Luigi: Ma di quello non ti devi preoccupare! Quello è il Signore che te lo fa fare. Tu non ti devi preoccupare di esternare, ma di interiorizzare. Sai perché sei portata via dall’esterno, per cui c’è la frattura con l’interno? Ad esempio perché parli troppo o perché ti lasci dominare da fattori ambientali, per cui c’è la sfera esteriore che soffoca e schiaccia la sfera interiore. Invece è la sfera interiore che deve crescere e deve crescere tanto da assimilare la sfera esterna. Dio ha seminato qualcosa in noi interiormente, però c’è la sfera esterna che lo soffoca perché noi diventiamo figli delle cose che diciamo e delle cose che facciamo. Se diciamo parole che non provengono dall’interno, la sfera esterna prevale e apre una frattura tra quello che è seminato dentro di noi e quello che pesa su di noi dal di fuori. Più facciamo tacere le cose esterne, meno parliamo di esse, e più la sfera interna si allarga e a poco a poco occupa tutto, anche l’esterno. Allora, quello che tu dici di esternare, diventa gioia, perché diventa manifestazione dell’interno; ma è l’interno che parla. Non c’è più un conflitto tra l’interno e l’esterno, la l’esterno viene eliminato; questo dipende dal lievito interiore che deve crescere fino a far fermentare tutta la massa. Attualmente tu hai un lievito interiore, ma direi che sotto un certo aspetto è soffocato dalla massa, la quale massa non lo lascia fermentare, perché continui a seminare nelle cose esteriori. Quindi abbiamo due semi: il seme che è messo nella sfera interiore e il seme che è messo nella sfera esteriore. Abbiamo due lieviti. Ora questi due lieviti, creano uno stridore in te e quindi provocano in te una insoddisfazione profonda, perché la vera felicità sta nell’avere un lievito unico. Ma questo lievito unico bisogna lasciarlo crescere fino a far fermentare tutta la massa, anche soprattutto la massa esterna. Ora, questo come avviene? Cercando di limitare il più che sia possibile tutto quello che è superficialità, sentimentalità, esteriorità, in modo che cresca quello interno. Ad un certo momento la nostra bocca parla soltanto più le cose interiori; allora lì abbiamo la sintonia, l’armonia e allora comincia la gioia, la pace, perché si è fuso il mondo esterno con il nostro mondo interno. Ma la fusione non avviene perché il mondo esterno cresce, no, la fusione avviene in quanto il nostro mondo interno cresce e cresce al punto tale da diventare un albero che coinvolge tutto, anche il mondo esterno, per cui anche il mondo esterno diventa interno. Altrimenti noi sentiremmo sempre quella frattura. È come se uno sia convinto di una cosa e poi sia costretto per doveri sociali, per rispetto del direttore, per motivi di convenienza, a parlare in modo diverso da come sente dentro. Per forza non è contento, perché dentro sente in un modo, fuori deve esteriorizzarsi in altro modo: c’è la frattura, la persona è divisa; non è unita, non è felice. La persona è felice quando può vivere secondo quello che ha dentro di sé, nella sua coscienza, in una grande unificazione. Per cui la felicità viene dall’unificazione. Nella nostra coscienza abbiamo Dio soltanto unificando con Dio e in Dio troviamo la nostra pace, la nostra felicità. È questo il lavoro. È questo il lavoro di preghiera, di vera preghiera: l’unificazione. Più noi unifichiamo, più la nostra sfera interiore si allarga al punto da coinvolgere tutto.

Emma: Si, è vero, a questo punto non è che uno si debba più preoccupare, perché la gente lo vede com’è …

Luigi: Ma no, uno non si preoccupa più di niente perché più cresce la sfera interna e più opera per volontà di Dio, per amor di Dio, per pensare a Dio, non pensa più a sé, quindi non c’è più nessuna preoccupazione, perché tutto è voluto da Dio.

Emma: Questo attrito non sempre riesco a superarlo, a volte anche per debolezza fisica, appunto perché non sono ancora forte come dovrei essere.

Luigi: Si, ma parliamo di forza spirituale. Tutto deve essere assorbito da questa. Più cresce questa conoscenza interiore, questo amore interiore, questa consapevolezza interiore, e più naturalmente la nostra vita viene spiritualizzata, e spiritualizza anche il mondo esterno con cui si ha da fare, perché si vede in tutto la Parola di Dio, si vede in tutto il Verbo di Dio, e allora tutto diventa spirituale, tutto diventa interiore. Cioè quell’interiorità che uno porta dentro la riflette in tutto. E allora non c’è più la frattura.

Emma: Senza parlare …

Luigi: Senza parlare o se si parla, si parla quello che si ha dentro, cioè si parla nella misura in cui si ascolta dentro. Non si parla in quanto c’è qualcos’altro che mi prende dall’esterno o dai miei sentimenti, o dal pensiero del mio io. Qui abbiamo il Figlio di Dio che parla nella misura in cui ascolta il Padre. Vedi che a poco per volta ci avviciniamo al Figlio di Dio?

Emma: Si, ora mi è stato chiarito quello che desideravo sapere e che non riuscivo e non sempre riesco ad esprimere.

Luigi: Più uno approfondisce e più riesce anche a spiegare. È questione di profondità.

Cina: Quanto bisogno di imparare a pregare!

Luigi: Vedi come è stato difficile anche per i monaci eremiti, che vivevano poi da soli, quindi tutto per la preghiera; eppure, guarda attraverso quale crogiuolo, quante prove e quante difficoltà per arrivare a prendere coscienza dell’essenza della preghiera, in che cosa consiste veramente la preghiera; ma anche quanta gioia quando uno scopre in che cosa consiste il vero pregare. Forse è necessario passare attraverso questa esperienza (di ritenere che la preghiera sia soltanto un ripetere delle frasi, delle giaculatorie) per arrivare al nocciolo; e si arriva poi alla contemplazione della Presenza di Dio, al Tempio di Dio.

Pinuccia: Questa unificazione è possibile realizzarla anche fuori dei tempi di preghiera, ma solo nella fede, senza vedere nulla, ma facendo le cose per amor di Dio, credendo nella sua Presenza in tutto?

Luigi: No, la fede è un tempo transitorio: “Devi lasciar fare”, sapendo che c’è la mano di Dio, lasciar fare in attesa di arrivare a vedere. Però la meta è desiderare di arrivare a vedere.

Pinuccia: E quindi non adagiarci in quell’oscurità.

Luigi: No, altrimenti quello che si fa diventa meccanico, diventa recitazione, e una volta che uno incomincia a recitare è finito. Si sdoppia.

Pinuccia: E si svuota. E questo succede anche facendo le opere di carità.

Luigi: In tutto. Anche pregando. Ad un certo momento diventiamo delle macchine che pregano. Ad un certo momento ci fosse un robot che all’ora tale dice le tali giaculatorie, all’altra ora dice le tali preghiere, ecc., quel robot potrebbe fare al posto nostro, a tutte le ore ripete le preghiere … questo non è preghiera.

Pinuccia: C’è il rischio, trovandosi sempre di fronte alla stessa Parola di Dio, salmi, ecc., di illuderci di pregare e di farvi l’abitudine; mentre un altro (che pur essendo meno favorito perché si trova solo di fronte a scene di mondo), non corre per lo meno questo rischio, anzi può essere perfino sollecitato a cercare la vera preghiera.

Luigi: Comunque tu capisci che Dio sollecita alla vera preghiera. Si, Dio raccoglie ovunque anche dove non ha seminato, raccoglie da tutte le parti, anche in una casa di prostituzione. Però oltre è trovarmi nel mondo e oltre è trovarmi con chi mi parla di Dio. Si, è vero, non è automatico; per cui sentendo parlare di Dio io posso abituarmi, ma lì io sono in colpa, perché io sento parlare di Dio e non mi interesso, cioè non cerco di arrivare a Lui. È come se andassi a scuola e sentissi sempre le stesse lezioni, ma non le approfondissi, non mi interessassi, non mi impegnassi personalmente; ma se non mi impegno personalmente incomincia la colpa. Perché Dio ha parlato. E noi dovremmo dire: “Si, Signore, io ho sentito parlare di Te”, “… e allora perché allora non hai cercato di conoscere quello che Io ti ho mandato a dire?”. Ecco la colpa. Quindi è logico, il Signore mi può anche sollecitare attraverso le scene di mondo, mi può chiamare attraverso tutto, però più ci troviamo a contatto con quello che ci parla di Lui, personalmente di Lui, tanto più noi siamo favoriti nel pensare a Lui.

Pinuccia: Se abbiamo l’interesse.

Luigi: Ma se non abbiamo l’interesse siamo in colpa. La colpa sta nel rifiutare la Verità prima di conoscerla; lì abbiamo la situazione di colpa.

Emma: Ma allora è colpa se io smetto di sentire altre cose su Dio per fermarmi ad assimilare quello che ho già sentito dire?

Luigi: Forse non mi sono spiegato. Ho detto che la colpa sta nel sentire e non approfondire. È lì la colpa; ma se tu sentendo, approfondisci, qui siamo nel cammino vero, non nel cammino di colpa. Il cammino di colpa è quando si sente e si resta in superficie, cioè non si approfondisce; vuol dire che non si ama.

Emma: Da parte mia sento il bisogno di fermarmi a riflettere su certe frasi sentite e non più sentirne altre.

Luigi: Anche lì però non possiamo assumere come regola quello che tu stai dicendo, perché non è che sia sufficiente fermarsi, dire: “Beh, adesso voglio approfondire!”, per arrivare veramente ad approfondire. Molte volte noi possiamo soltanto approfondire così come si gratta un pochino la terra, bene in superficie, e poi magari abbiamo bisogno che il Signore ci aiuti con un’altra parola sua per approfondire ancora di più quella di prima. Direi che abbiamo bisogno per approfondire, di aiutarci con parole sue, più che con attività nostra. Cioè è la parola stessa di Dio che ci aiuta ad approfondire la parola di Dio. Non bisogna correre sulle parole di Dio, restando in superficie, ma quando uno ascolta deve desiderare di approfondire. Ma se ti accorgi di essere paralizzato ad esempio (noi il più delle volte siamo paralizzati di fronte alla parola di Dio, non siamo capaci di approfondire), allora abbiamo bisogno di continuare ad attingere ad altre parole di Dio perché ci aiutino ad approfondire la parola udita, perché Gesù stesso, parlando, ad un certo momento dice, ad esempio, che: “Colui che non entra nell’ovile per la porta delle pecore, non è il pastore”; Gesù parla della porta e i discepoli non capiscono che cosa sia la porta; allora uno cerca di approfondire ciò che sia la porta. Ma io non riesco a capire cosa sia la porta; se però vado avanti a leggere, trovo Gesù che mi dice: “Io sono la porta”; ecco, mi fa fatto capire che cos’è la porta; la porta è Lui! Vedi? Allora cosa succede? Succede che restando in quel bisogno di capire che cosa Lui voglia dire con la sua parabola, parlandomi della porta dell’ovile, ed essendo io incapace, cieco, paralitico, ad approfondire, se vado avanti, se resto nell’ascolto delle sue parole, ad un certo momento Lui mi dice quella parola che mi chiarisce quello che Lui mi aveva detto con la parabola. Quante volte Egli dice la parabola e poi Lui stesso la spiega; quindi se uno si fermasse ad essa dicendo: “Adesso cerco di capire io”, fraintenderebbe la parola di Gesù. No, sii ancora tanto umile e ascolta ancora il Signore; è Lui che ti spiegherà ogni cosa. Bisogna che in noi ci sia il desiderio perché il desiderio ci viene dalla parola stessa che Gesù ci dice e che noi non capiamo; bisogna che in noi ci sia il desiderio di arrivare a capire, di approfondire la parola di Dio e di portarla a maturazione; ma questo desiderio deve ancora attingere alle stesse parole di Dio, affinché ci sia dato approfondire come noi desideriamo. È Dio che semina in noi il desiderio ed è Dio che fa crescere il desiderio. Non che il desiderio quando è seminato cresca indipendentemente da Lui, no; dobbiamo ancora guardare Lui, attingere a Lui, ascoltare Lui, perché questo desiderio possa crescere e crescere fino a maturazione; cioè è sempre per mezzo di Lui che si semina in noi la vita ed è ancora per mezzo di Lui che si porta a maturazione la vita stessa.

Emma: Allora non c’è niente che dipende da noi …

Luigi: Dipende da noi la nostra superficialità, ad esempio. Dipende da noi l’alzare le spalle nei riguardi dell’ascolto della Parola di Dio. Dipende da noi il rifiutarci di approfondire. Ecco, tutto quello che è interruzione (scusate il termine: interruzione di gravidanza), ecco, dipende da noi. Il non portare a termine quello che Dio semina (Dio semina tutti i giorni in noi), il non portare a termine, ecco, quello dipende da noi. Se noi però vogliamo portare a termine, questo dipende da Dio. Cosa vuol dire che dipende da Dio? Vuol dire che noi dobbiamo guardare a Lui affinché portiamo a termine l’opera che ha incominciato. Lui incomincia l’opera e poi mi dice: “Continua a guardare a me, perché sono io che la porto a termine”. Noi possiamo distrarci dal guardare Lui. Allora non portiamo a termine. Qui abbiamo quello che dipende da noi. Da noi dipende l’imperfezione, da noi dipende l’interruzione dell’opera di Dio. Da Dio invece dipende il compimento.

Emma: Succede che vorrei ricordare tutto quello che sento e così ad un certo punto mi stanco e devo fermarmi.

Luigi: Anche lì: approfondire non vuol dire ricordare. È una cosa diversa.

Emma: Però risentendo in questi giorni la parabola della vigna, spiegata tre anni fa, come mi è risultata più chiara! Anche se mi pareva già allora di aver capito qualcosa.

Luigi: Certo: tutto dipenda da una dimensione interiore nostra.

Pinuccia: Quindi, anche se non si vede la Presenza di Dio, bisogna solo andare avanti con la fede, accettando e facendo ciò che Dio ci presenta di fare?

Luigi: Si.

Pinuccia: Ma non c’è il pericolo che ad un certo punto, continuando a fare quello che Dio ci presenta, senza vedere ancora la sua Presenza, questa fede diventi una cosa fredda e automatica? Non sarebbe allora meglio, piantare tutto lì e cercare Dio ad esempio nella sua parola?

Luigi: Ho detto che l’anima di tutto è il desiderio della Presenza di Dio ed è Dio che lo semina in noi. Ora, se tu ti comporti come un robot dicendo: “Tanto tutto è opera di Dio”, come ci dice la fede, allora la colpa è tua: tu non desideri approfondire, non desideri arrivare alla Presenza di Dio.

Pinuccia: Ma allora cosa si deve fare quando si è in un’attività o in un qualcosa che Dio ci presenta e che soffoca questo desiderio?

Luigi: Chi ti trattiene in questa attività? Dio autorizza a scappare da tutte le attività per cercare quello che è essenziale. Non possiamo giustificarci dicendo: “Dio mi ha messo qui”. Dio ti ha messo lì? Adesso ti dice: “Scappa!”. Perché dobbiamo dire: “Dio mi ha messo qui!”? No, un momento: il Signore ci autorizza addirittura a saltare il mangiare e il vestire per cercare prima di tutto il Regno di Dio. E non dobbiamo dire: “Io adesso devo pensare al mangiare e preoccuparmi del vestire”. Quello non te lo dice il Signore. Vedi che noi dobbiamo camminare nelle parole del Signore? Non dobbiamo dire: “Questo è il mio dovere!”. No, il tuo dovere è di cercare Dio prima di tutto. Quindi l’anima di tutto è questo desiderio di conoscere il Signore, perché siamo stati creati per questo: questo è il nostro destino, questo è il nostro scopo, questo è il nostro impegno: “Vai a lavorare nella mia vigna”! Ecco, la sua vigna è questa. La vigna è conoscere il Signore. Siamo stati creati per questo, ed in quanto siamo stati creati per questo, questo è il nostro destino, questo è il nostro dovere. Non dobbiamo quindi chiamare altro con il nome di dovere. Il dovere è questo. Il Signore stesso dice: “Chi ama suo padre o sua madre, i suoi figli più di me, non è degno di me”. Cioè chi mette altri doveri al posto di questo, ecco, non è degno di me. Questo è il dovere della creatura: la creatura è stata creata per questo. Tu sei stato creato per questo fine: “Cammina! Cammina verso questo!”. Ora, durante il cammino fa, oppure subisci, perché in tutto c’è la mano di Dio, quindi: “Se uno ti porta via l’abito, dagli anche il soprabito; se uno ti dà uno schiaffo, porgigli anche l’altra guancia; non litigare con chi ti vuole portare via il tuo; se ti chiede di far cento miglia con lui, tu fanne duecento”.

Pinuccia: Ne debbo far duecento? E intanto mi porta via!

Luigi: No! Non ti porta via! Noi puoi lasciarti portare via, perché il tuo destino è altro! Il tuo fine è un altro!

Pinuccia: Allora subisco che cosa?

Luigi: Devi subire soltanto quello che non puoi toglierti di mezzo, ma che “non puoi toglierti”.

Pinuccia: Ma subendolo, mi unisco a Dio?

Luigi: Quando hai una passione, un amore, subisci tante cose, però il tuo amore rimane, quindi non ti lasci portare via da niente. Non c’è niente che ti impedisca l’amore o che te lo porti via. Tu subisci proprio perché hai un amore diverso. Proprio perché hai un amore principale, subisci tutte le altre cose; ma in quanto le subisci, non le fai tua vita. Se tu ti mettessi a litigare per altre cose, riveleresti di avere passione per esse. Se invece hai un amore principale, sopporti, subisci tutto il resto, ma quello non ti porta via il tuo amore. Nessuno può portarti via il tuo pensiero se tu stessa non rinunci al tuo pensiero, perché tutto quello che avviene dal di fuori, ma l’anima non ce la possono portare via. L’anima soltanto io me la posso portare via donandola all’esterno, interessandomi dell’esterno. Allora se io mi interesso delle cose fuori, anziché di Dio, allora vendo la mia anima, la prostituisco. Ma se la mia anima invece la tengo per Dio, tutto quello che mi arriva dal di fuori non entrare nella mia anima: la porta è chiusa, non entra! Dove c’è Dio, non c’è nessuno che possa entrare, nemmeno il pensiero del nostro io. Ora, se non entra il pensiero del nostro io, a molto maggior ragione non entrano i pensieri degli altri io. Quando uno ha un amore, ma un amore vero, è più forte di tutto il mondo. Pensa soltanto ai giovani quando incominciano ad amare: possono avere padre, madre, fratelli, sorelle, tutto il mondo contro: nessuno li smuove. Quanti casi succedono! Quando uno ha un amore vero, riesce a superare tutti i condizionamenti di parenti e non parenti, ecc., e a capovolgere tutto. Ecco, ora questo cosa insegna? Queste sono scene, sono esempi per dire: “Vedi come nel mondo, quando uno veramente ha un amore riesce a vincere tutte le difficoltà. E allora perché tu nell’amore per Dio immediatamente ti rassegni alle difficoltà che hai attorno, alle obiezioni? Invece è proprio trovandoti di fronte di fronte a queste difficoltà che l’amore si fortifica. Più l’amore è contrastato e più l’amore si fortifica e riesce a vincere. Ecco, Dio ha posto in noi un qualche cosa da poter vincere il mondo, tanto forte da vincere il mondo. Non bisogna perdere questo qualche cosa.



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RIASSUNTI GV 1 VS 19 Quinto incontro.


Titolo: La vera preghiera.


Argomenti: La parola di Dio trasforma; fa suo quello che noi gli diamo. La condizione per restare uniti ad una persona. La vera offerta sta nel pensare a quello che Lui propone. Offerta è “dedizione a”, cioè “occuparsi di-. La stagione dei frutti: il desiderio di Dio. La fame e il pane. Unificazione interiore. La preghiera è approfondimento. L’essenza della preghiera è ascolto di Dio.

 


 

1/Ottobre/1978


Pensieri tratti dalla conversazione:

Pinuccia: Lettura del riassunto dell’incontro n. 130 del 30 aprile 1978.

Leggo solo quello che è stato aggiunto.

Abbiamo letto il riassunto dell’incontro 118 di febbraio.

“Il paralitico giaceva sotto i portici della piscina in attesa del movimento dell’acqua”.

L’acqua è il segno di tutta l’opera di Dio. Tutta l’opera di Dio, unita a Dio, è sorgente di vita per noi. Invece separata da Dio, diventa motivo di morte. Quindi è molto importante tenere sempre presente che tutto è opera di Dio, perché questo ci mantiene uniti a Dio; altrimenti diventa acqua stagnante.

Poi abbiamo letto il riassunto dell’incontro n. 119 di febbraio.

“Di tanto in tanto, l’angelo agitava l’acqua e il primo che vi si buttava, era guarito”.

Quando si è lontani da Dio, la Parola di Dio, arriva ad intermittenza, perché per ascoltarla, anche se Dio parla sempre, ci vuole il silenzio di tutto il resto. È per questo che Dio opera per condurre l’uomo nel deserto, per convincerlo a fare attenzione a Lui. Questo culmine dell’opera di Dio è il movimento dell’acqua ad intermittenza; è segno di come Dio si presenta di quando in quando. Quel “gettarsi per primo” vuol dire mettere prima di tutto Dio, che annuncia la sua Presenza, annuncia la Presenza di un’altra volontà che opera nella nostra vita, smontando tutte le nostre sicurezze. Dio parla così fuori del Tempio, perché annuncia alla creatura a sottomettersi al suo Creatore, cioè per farla entrare nel Tempio. Siccome nel Tempio la creatura attende tutto da Dio, e riferisce tutto a Dio, nel Tempio è Dio che conosce la creatura, non è la creatura che conosce Dio, ci scopriamo pensati da Dio. Qui nasce il figlio, nel Tempio; mentre fuori del Tempio abbiamo i servi. Per arrivare a riconoscere che effettivamente tutto è grazia di Dio, la creatura deve essere messa con le spalle al muro: “Non ho nessuno”. Qui abbiamo constatato che non c’è più niente che  ci possa guarire; se troviamo la guarigione non possiamo che attribuirla a Dio. Ciò che ci fa entrare nel Tempio non è la nostra adesione (la Legge, la regola), ma è l’adesione ad una Persona. Perché aderire ad una Persona vuol dire: svuotare tutto noi stessi, per guardare solo più ad Essa. Una cosa è applicare una regola, che si applica nel pensiero dell’io: “Io mi devo comportare così”; e un’altra cosa aderire ad una Persona. La Regola non mi salva, perché sono sempre io che mi sono applicato ad osservarla. Solo il pensiero dell’Altro, solo la Persona ci dà la possibilità di superare l’io. E proprio questo aderire, questa adesione continua alla Persona, che ci porta nella possibilità di scoprire la sua Presenza, di scoprire di essere pensati, conosciuti, chiamati da Lui. Allora noi conosciamo in quanto siamo conosciuti. È solo la Persona che ci dà la possibilità di superare l’io perché la Persona, l’Altro, è un Essere che pensa, agisce in continuazione, per cui l’adesione all’Altro, ci porta necessariamente a dimenticarci. Se non ci dimentichiamo, perdiamo l’unione ad Essa.

Luigi: Ieri sera meditavamo su quello che Gesù disse proprio come motivo per la sua unione col Padre: “Perché Io faccio sempre ciò che piace a Lui”. Infatti la condizione per restare uniti ad una persona, è quella di fare sempre ciò che piace a lei. Il motivo per cui noi molte volte ci sentiamo separati, deriva dal fatto che abbiamo fatto qualche cosa non secondo Dio, e allora quello che noi abbiamo fatto non secondo Dio, crea una frattura in noi. Dio è sempre con noi, però ciò che facciamo, crea una frattura in noi, perché è dentro di noi che si crea l’isolamento, la solitudine, e noi non ci sentiamo più pensati, non ci sentiamo più uniti, ci sentiamo autonomi: in realtà non lo siamo, però ci sentiamo tali, in conseguenza delle nostre opere o delle nostre parole o anche forse semplicemente dei nostri pensieri non secondo il Padre; mentre il Figlio si caratterizza da questo: “Che non può fare nulla se non lo vede fare dal Padre”. Ecco, è proprio questo, questa consapevolezza di non poter fare nulla senza Dio. Invece noi siamo coscienti di fare tanto, anche senza vederlo fare da Dio. Ed è proprio questo “fare cose diverse” che ci separa da Dio.

Pinuccia: Questa adesione all’Altro, infatti consiste nell’attribuire tutto all’Altro, di vedere tutto nell’Altro, di ricevere tutto dall’Altro.

Luigi: Soltanto così noi ci manteniamo uniti a Dio, o perlomeno l’Altro ci tiene uniti a Sé.

Pinuccia: Lo dice la parola stessa: “adesione”.

Luigi: Si.

Pinuccia: Continuazione della Lettura del riassunto.

C’è una differenza tra l’essere dentro il Tempio ed essere fuori dal Tempio. Fuori del Tempio, cioè fuori dal Pensiero di Dio che opera tutto, Dio si annuncia ma non si fa conoscere; non ci conosce perché non abbiamo superato l’io, mettendolo prima di tutto, testimoniandolo, entriamo nel Tempio. Più pensiamo a Lui, più Lui ci trasforma a poco per volta in “tutto pensiero suo”. Ogni segno di Dio è una sollecitazione ad amare. Ogni nostra distrazione da Dio ci rende più deboli nell’amore; e non si può più stare nell’amore, perché si è in un conflitto di pensieri. È donando noi stessi che noi possediamo Dio, non ricevendo doni. La vera felicità è offerta a tutti e sta nel dire: “Si faccia di me secondo la tua parola”. Ubbidendo alla parola: “Alzati, alza il tuo sguardo”, incominciamo a camminare, anche senza sapere dove arriveremo, ma si avanza per esclusione, dicendo tanti: “No!” a ciò che si capisce che sarebbe un disubbidire a Colui che ci ha detto: “Alzati!” (invece il: “Si!” non lo possiamo ancora dire perché non vediamo la strada). È con la sua Parola che cominciamo almeno a vedere che le altre strade sono sbagliate, perché non possiamo entrare nel Tempio di nostra iniziativa, perché: “Dove Io sono voi non potete venire”. Ed è dicendo tanti: “No!”, che si forma il bisogno di Lui e di camminare sulla sua Parola.

Lettura del riassunto n. 131 del 17 febbraio 1978

L’attesa nel Tempio

Quel restare in attesa nel Tempio, indica che la novità viene da Dio. È Dio che annunciandosi a noi fuori del Tempio, suscita in noi il desiderio di entrare per vedere la sua Presenza, dicendo tanti “no” a ciò che non è Lui. Sono proprio i conflitti col mondo che ci mettono nella necessità di vedere Colui a cui apparteniamo e che difendiamo senza ancora conoscerlo ma che portiamo in noi, proprio per poter sostenere questo conflitto con il mondo. Ma per sostenere dobbiamo avere in noi qualcosa di Lui, il suo Pensiero, la sua Parola, testimoniandola. La sua Parola, cioè Lui stesso, è la via che ci porta al Tempio. La condizione per entrare nel Tempio è convincerci che Dio è Colui che fa tutto e dal quale dipende tutto. Ma non basta essere nel Tempio per trovare la Presenza di Dio: per questo il Signore fa aspettare dieci giorni. Questo tempo di attesa è necessario perché la creatura si convinca che non è il suo desiderio che fa la Presenza. Questa attesa è la notte passiva dell’anima che è tutta dipendente da Dio: può solo pregare e non può fare niente (invece fuori del Tempio poteva ancora fare qualcosa, perché diceva ancora i “no”); in questa attesa, può solo vegliare in attesa che lo Spirito scenda: “Restate in Gerusalemme”, cioè in questa interiorità, “fintanto che non scenda lo Spirito dall’alto”.

La rivelazione della Presenza è puro dono di Dio che trova noi: solo trovandoci ci fa il posto per la sua Presenza. Trovarci vuol dire che “fa suo” quello che è nostro: è quanto avviene a Pentecoste ed è il significato della consacrazione nella Messa. Ma è necessario da parte nostra l’offertorio, la dedizione, l’attesa. Qui abbiamo il salto di qualità, dalla conoscenza relativa all’io alla conoscenza essenziale. Qui ci conduce a quel “Dove Io sono”, cioè a vedere tutto dall’alto, secondo ciò che Egli è. Gesù ci provoca a questo passaggio dentro di noi, proprio allontanandosi dalla folla: “È necessario che io me ne vada”. Egli ascende al cielo: al cielo che è nell’intimo dei suoi discepoli, perché il Padre abita dentro di noi. Ci precede nel mondo interiore e ci invita ad entrarvi perché lo troveremo lì. Gesù, e tutte le cose esteriori, passano per lasciare in noi il posto per la Presenza di Dio. Lui, andandosene, prepara il posto, facendoci entrare dentro di noi: “Vado a prepararvi un posto”. Se le cose esteriori non passassero, ci abbarbicheremmo ad esse e non avremmo in noi il posto per la Verità di Dio: “Se non me ne vado non può venire a voi lo Spirito di Verità”, che è lo Spirito di Presenza.

Luigi: Vedi lì come resta confermato quello di cui parlavamo ieri sera: “Dove io vado, noi non potete venire”, “Se non credete che Io sono, morirete nel vostro peccato”, perché è solo sulla Parola sua, solo con la Parola sua noi possiamo venire e trovarci là dove Egli è, dove c’è quel “Io sono di Dio”. In caso diverso noi ci aggiriamo sempre nel nostro essere, perché tutto il mondo, tutte le creature, non fanno sì che confermare a noi stessi. Noi da soli non possiamo, non riusciamo ad uscire. Noi possiamo aspettare, possiamo vegliare, possiamo offrire a Dio: ma se Dio non dice la sua Parola, noi restiamo fuori. Chi ci fa entrare nel luogo in cui Egli è, è la sua Parola, è Egli stesso.  È Lui che prende possesso di ciò che è nostro: quindi questa entrata è un prendere possesso, un fare suo ciò che è nostro.

Pinuccia: Che crediamo sia nostro.

Luigi: Si, che noi crediamo sia nostro. In un primo tempo noi crediamo che tutto sia nostro: anche i nostri pensieri, il nostro mondo; e questo ci isola. Poi il Signore viene, parla in questo mondo esterno, fuori del Tempio, e ci invita ad offrirlo a Dio, ma questo non basta. Ci invita a metterlo a disposizione di Dio. Però tutto questo non basta. Fintanto che Dio stesso non dice su di noi, su quello che noi mettiamo a disposizione, la sua Parola, che fa suo ciò che è nostro, noi restiamo sempre fuori. È la sua Parola che trasforma il pane in Corpo suo. E fintanto che non dice questo noi non entriamo, non possiamo entrare. È una luce, perché Dio non usa parole umane. Si, anche nella Messa si dice: “Questo è mio”, e sono parole umane queste, per farci capire quello che deve avvenire in noi, ma nell’intimo Dio non usa parole umane: è una luce attraverso la quale fa suo quello che noi gli offriamo; ma offriamo non nel senso: “Signore, io ti offro questo”. La vera offerta sta nel pensare a quello che Lui propone. Molte volte facciamo atti di offerta; ma l’offerta sostanziale, sta nel pensare quello che Lui ci invita a pensare.

Pinuccia: Con quello che offro?

Luigi: No, la vera offerta sta in questo. La vera offerta sta nel dedicarci a Dio. E “dedicarci a” cosa vuol dire? Vuol dire pensare a quello che Lui ci propone.

Pinuccia: Pensare alla sua Parola?

Luigi: No, attraverso la sua Parola, Lui ci propone qualcosa di Sé, che ancora noi non comprendiamo, ma ce lo propone, perché la sua Parola in quanto giunge a noi, ci propone (= parabola) una cosa che ancora noi non capiamo. Se noi ci offriamo a quell’argomento che Egli ci propone, ci dedichiamo a quello, anche se non lo capiamo ancora, questa è la vera offerta. Lo vedremo anche nel concetto di preghiera: questa preghiera è proprio questo dedicarci a; non tanto dire parole, oppure sacrificare. (Nel canto di Osea si dice: “Dio non vuole sacrifici …”) Dio guarda al tuo cuore, Dio guarda al tuo pensiero. “Se tu veramente mi offri qualcosa di te, offrimi il tuo pensiero, occupati di quello che Io ti propongo”. Quando c’è la vera offerta, uno non dice: “Signore, io ti offro”. Non lo può nemmeno dire, perché si offre: lo fa. Ecco, allora qui capiamo ciò che il Signore dice: “Non chi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa”. Generalmente intendiamo per “fare”, l’azione: “Mi do da fare”, per cui diciamo: “Il Signore vuole l’azione”. In diversi commenti del Vangelo di questa domenica (i due figli e il lavoro nella vigna) ho letto che bisogna fare. E no, il “fare” è ben altro che quello che intende Dio! È proprio questo occuparci di quello che Dio ci propone. Così con le parole: “Cerca prima di tutto il regno di Dio” mi propone di cercare prima di tutto il regno di Dio. Se io faccio la sua Parola, mi occupo di quello che Lui mi propone, di conoscere. Allora, quello che Lui vuole è questa dedizione della nostra anima, del nostro pensiero, del nostro tempo interiore a Lui, il che è sempre una cosa molto difficile, perché per noi è una cosa molto più facile toglierci qualcosa di tasca, fare un’offerta, che offrire il nostro pensiero, perché diciamo: “Ho tante cose a cui pensare!”.

Nino: Si, l’azione è molto più facile che donare il pensiero.

Luigi: Si, l’azione è più facile. Invece il Signore chiede il dono del pensiero. Ma il dono del pensiero vuol dire: “Dedicarsi a”.

Nino: È un’azione anche quella.

Luigi: È un’azione ma noi non la consideriamo tale.

Nino: È un’azione che vuole Lui, non quella che vogliamo e intendiamo noi.

Luigi: Sì, sì. Noi molte volte l’offerta la intendiamo nel fatto di dire: “Signore, io ti offro la mia vita, ti offro questa cosa, questo mio interesse”. No, sostanzialmente il Signore non ci chiede questo. Lui dice: “Se io avessi bisogno di qualche bene, ho tutto l’universo a mia disposizione! No, Io ho bisogno del vostro pensiero, cioè che voi mi dedichiate, vi occupiate di quello che vi propongo”.

Pinuccia: Cioè, Dio ne ha bisogno per poter dire: “Quella parola lì”.

Luigi: Certo!

Pinuccia: Cioè ne ha bisogno per noi, non per Sé.

Luigi: Lui parla per salvare noi, cioè per introdurre noi nella vita eterna, per introdurci nella sua vita intima. Lui parla per noi. Tutto le cose che il Signore dice non le dice per Sé ma le dice per noi, per introdurre noi nella sua vita. Ora il concetto sostanziale di offerta è “dedizione a”, cioè “occuparsi di”. Più noi ci occupiamo di, veramente diamo a Dio quello che di più prezioso Lui ci ha dato, che è il pensiero. Dicessi anche tante parole, ma il nostro pensiero lo sottraessimo a Dio, ecco noi diremmo parole, solo parole, ma non faremmo quello che Lui vuole.

Nino: L’azione che noi diamo come a seguito di quello che noi crediamo sia la sua richiesta, quell’azione lì può avvenire, ma dopo aver dato il pensiero.

Luigi: Certo, si, perché allora diventa un’espressione di ciò che abbiamo nell’anima.

Nino: È una conseguenza. Ma deve essere una conseguenza.

Luigi: È una conseguenza. Ma deve essere una conseguenza. Altrimenti diventa recitazione, diventa come pagare un’imposta.

Nino: Diventa un surrogato.

Luigi: Diventa un surrogato: “Mi sono sdebitato”. Una cosa è colui che si sdebita magari per riconoscenza o per altro, e una cosa è colui che si esprime per amore, perché ce l’ha dentro. È una cosa molto diversa!

Nino: È una cosa che, l’hai espressa molto chiaramente, difficilmente è intesa così.  In genere è intesa un’azione proprio a favore di Dio e quella assolve tutto.

Luigi: Quasi avessimo da pagare un debito: “Ho soddisfatto il debito verso Dio”.

Nino: È un po’ quello che si pensa i primi tempi quando si è molto carichi; si fa un’offerta e si dice: “Ho fatto qualcosa”.

Luigi: Il Signore tiene conto anche di questo, sia ben chiaro, perché ogni piccolo  passo verso di Lui è prezioso ai suoi occhi. Sono piccoli passi e il Signore tiene conto di tutto, è logico.

Nino: È un piccolo passo, ma visto poi, è senz’altro un passo insufficiente, non è quello che Lui aspetta da noi.

Luigi: Certo, è logico!

Nino: Può aspettare da noi anche quel piccolo passo lì, ma che sia poi seguito da tanti altri piccoli passi.

Luigi: Siccome noi siamo molto duri ad intendere, allora Lui ci dice: “Dal momento che non capisci, incomincia a fare questo fioretto, incomincia a fare questo sacrificio, incomincia a fare questa piccola cosa”, ma ce lo dice per avviarci a cose superiori.

Pinuccia: È la pedagogia di Dio.

Luigi: Lo si vedrà nel Vangelo di domenica prossima: la parabola dei lavoratori della vigna. Il padrone manda i servi a chiedere i frutti della vigna, a fine stagione; poi dice: “Finalmente manderò mio Figlio perché gli altri li hanno uccisi, almeno per mio figlio avranno rispetto”. In che cosa consistono questi frutti? Anche lì noi fraintendiamo il significato di questi frutti. Quale frutto dobbiamo pagare? È il Padrone! Perché ci ha dato da lavorare la sua vigna, quindi dobbiamo pagargli un certo affitto. Oppure, non so, altra interpretazione. Invece il vero frutto è: se in te è maturato l’interesse per Dio, da quello che Dio ti ha dato. Perché i doni che Dio ci dà, e quindi anche questa vigna da lavorare, ce li dà per far maturare in noi l’interesse per conoscere Lui.

Nino: Quindi quello che pretende Lui da noi come offerta, è il massimo che gli possiamo offrire: il nostro pensiero.

Luigi: Sì, il nostro pensiero.

Nino: Quando saremo arrivati a dargli il nostro pensiero, invece che un’azione particolare, sia pure buona, questa verrà come conseguenza.

Luigi: Sì, certo! Anzi, di lì l’azione diventa espressione d’amore, perché è un’espressione autentica di quello che uno porta dentro.

Nino: È sbagliato pensare invece che con un’azione così, noi ci sdebitiamo verso Dio. Invece Dio vuole ben altro! Lui ci ha dato tutto e vuole tutto da noi.

Luigi: Sì, tutti i doni che Dio ci dà, ce li dà per far maturare in noi il desiderio di Lui. Allora i frutti che Lui chiede quando arriva la stagione dei frutti, sono questi: “Attraverso tutto quello che ti ho dato, in te, che cosa è maturato?”. Se noi potremo dire: “Signore, è maturata tanta fame di Te!”. Ecco il frutto! “Con i talenti che ti ho dato, che cosa hai ottenuto?”, se potremo rispondere: “Signore, tanto desiderio di conoscere Te!”. Ecco, questo è il vero frutto! Dio ha operato e continua ad operare tutte le cose perché in noi (ecco il fiore nato in cima alla collina), fiorisca questo desiderio di Lui, perché è questo desiderio che ci fa applicare agli argomenti suoi. È maturato il desiderio? Questo è il frutto. E Lui viene a chiedere questo: se c’è in noi questo desiderio. Perché soltanto se in noi c’è questo desiderio, c’è capacità (= la tazza vuota), di accogliere il vero dono di Dio: Lui stesso. Se invece in noi non si forma il desiderio di Dio, anche se Dio si donasse, noi non possiamo accoglierlo, perché non abbiamo fame, quindi non possiamo nutrirci del suo pane. Allora Dio opera in tutte le cose per far sorgere in noi la fame, affinché con questa fame, Lui possa finalmente darci il suo pane. Ecco perché i veri doni di Dio, che sono poi Lui stesso, la sua Verità, la sua Vita, la sua Essenza, la sua conoscenza, i veri doni non possono essere dati se non a coloro che li desiderano. Ma bisogna che Dio formi prima in noi questo desiderio. È lo scopo di tutta la creazione, di tutta l’opera di Dio fuori del Tempio. Può anche darsi che questo desiderio non maturi, che il frutto non venga fuori: allora c’è qualcosa di sbagliato, perché l’opera è stata fatta da parte di Dio per far sorgere in noi la fame; e come mai non è sorta la fame? “Io ho fatto tutto questo perché in te sorgesse il desiderio di conoscermi, e come mai non è sorto questo?”. Ecco, c’è qualcosa di sbagliato in noi. Cioè, è il nostro io che ha preso il sopravvento e ha strumentalizzato tutta l’opera di Dio. Per cui tutti i doni che Lui ci mandava, noi li utilizzavamo e quindi li annullavamo nella loro intenzionalità a favore del nostro io, per gonfiare il nostro io. Il nostro io si può gonfiare all’infinito di tutti i doni di Dio: noi diventiamo dei ladri, perché togliamo a Dio quello che è di Dio.

Nino: È la vigna data a quei contadini indegni.

Luigi: Certo. Uccidiamo il Figlio, cioè uccidiamo l’anima di tutti i doni di Dio. Perché tutti i doni, Dio li dà affinché in noi maturi questo. Se questo in noi non matura, noi soffochiamo tutta l’opera di Dio, la rendiamo vana, inutile. Ma la parola “frutti”, quanto è difficile intenderla! Generalmente noi intendiamo per frutti, offrire a Dio qualcosa, far fruttificare qualcosa. Il vero frutto è proprio il desiderio di Dio. Lui manda il Figlio a vedere se in noi c’è questo desiderio, questa attrazione. Infatti il Figlio viene a vedere se in noi c’è l’attrazione per il Padre.

Pinuccia: Continuazione della lettura del riassunto.

“Se non me ne vado non può venire a voi lo Spirito di Verità che è lo Spirito di Presenza”.

Poi con lo Spirito di Presenza, ritroveremo anche tutta l’opera di Dio nel suo significato. Allora le cose non ci toglieranno più la Presenza di Dio, anzi, diventeranno un richiamo ad essa e ci aiuteranno a mantenerci uniti a Dio.

Nino: A questo proposito vorrei chiarire una cosa: come mai le cose che sono state create per aiutarci ad arrivare a trovare il Padre, noi le ricuperiamo soltanto di ritorno, dopo aver realizzato già la conoscenza del Padre?

Luigi: Perché le cose ci sono state date per suscitare appunto in noi quel frutto, cioè il desiderio. Le cose ci aiutano a cercare il Padre in quanto formano in noi il desiderio. Il desiderio non ci fa ancora conoscere le cose. Il desiderio ci lancia verso Dio.

Nino: Però quando noi abbiamo trovato il Padre, le cose hanno un loro insegnamento.

Luigi: Allora abbiamo la visione del significato. È l’insegnamento che prima era nascosto. Nel Padre scopriamo il grande amore che ha il Padre: che ha preparato tutto quando ancora noi non potevamo capire, perché soltanto nel Padre e dal Padre capiamo il suo amore.

Nino: Quindi non solo per svegliare il desiderio.

Luigi: Solo per svegliare il desiderio.

Nino: Sì, se no viene persa una parte della funzione della creazione.

Luigi: Dal Padre poi avremo la visione del tutto. Infatti Gesù dice: “Quando sarà venuto a voi lo Spirito di Verità, che è lo Spirito che il Padre vi manderà, vi condurrà a vedere la Verità in ogni cosa”. È lì che si scoprirà il grande amore, perché incominceremo a vedere il grande disegno che Dio ha avuto già fin dall’inizio della creazione per noi, per fermare in noi questo desiderio di assoluto, questo desiderio di Verità.

Pinuccia: Continuazione e fine della lettura del riassunto.

Il momento critico è quello in cui il Signore se ne va da noi. Ma ormai il legame che si è stabilito con Lui è la forza per dire i “no” al mondo. Il non aderire al mondo e il desiderio di vedere Colui che ha dato la possibilità di camminare, solo la partecipazione di amore che è richiesta, per entrare nel Tempio. Qui il Cristo diventa tutto per l’anima. L’essere trovati nel Tempio vuol dire scoprirci pensati, conosciuti da Lui: qui è la vera libertà, il vero compimento della Legge, la cui anima è: “Cerca il Signore Dio tuo con tutte le tue forze”, cioè: “Entra nel sabato, conosci Dio prima di tutto!”. Invece noi nel pensiero dell’io ci atteniamo a delle regole: “Se faccio questo sono a posto” e non amiamo; cioè facciamo questo non nel Pensiero di Dio, ma nel pensiero del nostro io. Non dobbiamo fare le cose perché ce le siamo messe in programma, ma le cose vanno fatte nello Spirito di Dio, per amore di Dio. Dio non ci ha dato la vita per recitare, ma per amare; ma è solo il Pensiero di Dio che ci fa autentici. Se no, nel pensiero dell’io, crediamo di soddisfare alla vita con Dio comportandoci in un certo modo, ma non c’è l’amore; buttiamo via il frutto e ci teniamo il guscio. L’amore vuole il pensiero, perché amare è pensare all’Altro, desiderio di conoscere l’Altro, volere l’Altro. Il vero peccato sta nel non pensare a Dio. “Lasciati guidare dal Pensiero dell’io ed Io penso a tutto”, ci dice Dio. Finché abbiamo altri amori, non siamo capaci di ricevere la sua Presenza, perché Lui non può ancora dire: “Tu sei mio”. Dobbiamo fermarci nell’Io di Gesù e allora Lui ci farà diventare tutto Pensiero del Padre.

Nino: Comunque una cosa mi è rimasta più chiara: noi dobbiamo dare il nostro pensiero fino a diventare tutto Pensiero di Dio. Ma vorrei precisare che più che un pensiero di Dio, cioè un pensiero generico, dobbiamo essere pensiero del Pensiero di Dio, cioè pensiero di quello che pensa Dio. Perché qualche volta dico: “Beh, io penso Dio”. Invece io devo pensare qual è la sua intenzione, specialmente nei confronti di me stesso. Perché qualche volta diciamo: “Pregare è pensare a Dio”, ma è pensare a Dio perché ci scopra le sue intenzioni, la sua volontà.

Luigi: Di questo ne parleremo dopo.

Ora ascoltiamo la registrazione di un’intervista fatta ad un monaco trappista sul tema:

“Cosa è la preghiera?”.

Domanda: Il Vangelo non dà definizioni ma dà nozioni precise, concrete di vita. È un messaggio di salvezza, non un trattato né di metafisica, né di etica. Come si fa a dire che cos’è la preghiera? Gli stessi apostoli chiedono a Gesù non: “Che cos’è la preghiera?”, ma: “Signore, insegnaci a pregare!”.

Risposta: Non è che non sappiamo che cosa sia la preghiera, non sappiamo pregare. E Gesù risponde insegnando a pregare, non definendo la preghiera. Quindi neanche io mi sento di dare una definizione della preghiera perché sento che non ci sia. La preghiera è come l’amore: un’esperienza misteriosa, strettamente personale. Direi che è la sollecitazione percettibile di Dio nella singola anima e la risposta della singola anima a questa sollecitazione di Dio … Comunque se devo fare una definizione, darò quella di un ragazza tredicenne: “Pregare per me è dare del “tu” al Signore”. Ho scelto la vita di monastero, come vocazione di rimbalzo … tagliando completamente i ponti con l’apostolato che mi aveva assorbito vorticosamente per trent’anni di sacerdozio, perché ad un certo punto ho sentito che il Signore mi chiedeva questo … In fondo è stato un ritorno all’inizio della mia vocazione … ormai sono sedici anni … La nostra vita è completamente comunitaria …

Domanda: Cosa rappresenta la preghiera per l’uomo moderno? 

Risposta: L’uomo d’oggi sembra assillato più che del passato, del problema del lavoro, del rendimento … Spesso si cade nell’equivoco dicendo che il lavoro è preghiera. No, il lavoro non è preghiera. Il vocabolario parla chiaro: lavoro è lavoro, la preghiera è preghiera. Gesù stesso ha avuto dei momenti dediti unicamente alla preghiera e ha invitato gli apostoli ad unirsi a Lui nella preghiera e quello era preghiera. Poi c’erano i momenti forti dell’attività (i pescatori, il peregrinare, la predicazione …) e questa non era preghiera in quanto tale. Che anche nel lavoro l’uomo debba cercare di trovare Dio, cioè di tornare a questo rapporto con “tu” di Dio, è verissimo. Ma mi pare che sia proprio questa la risposta all’economismo di oggi: l’uomo deve trovare tempo e spazio per dedicarsi al rapporto personale con Dio. Non come una cosa accessoria alle altre attività. Gesù chiede spesso agli apostoli di fare spazio alla preghiera: “Vegliate e pregate per non cadere in tentazione”. “Questo genere di demoni non si scaccia se non con la preghiera”; quindi non tanto con l’attivismo. E solo quando finalmente si troveranno perseveranti nella preghiera con Maria nel Cenacolo, dopo l’Ascensione, è proprio allora che ottennero la Pentecoste, e nacque la Chiesa.

Domanda: Ma quale significato può assumere o assume la preghiera per l’uomo contemporaneo?

Risposta: L’uomo contemporaneo ha più che mai bisogno dell’Assoluto, anche attraverso la negazione di un Dio che non è il vero Dio, per questo lo negano … per questo lo cercano. Anche l’astronauta Gagarin, tornando dallo spazio dice: “Non ho visto Dio!”: non vuol dire che l’ha cercato, ne aveva bisogno ed è rimasto deluso di non averlo visto sul trono di una stella. Oggi c’è una gioventù assetata di Assoluto. Vengono qui squadre di giovani … a scrutarci incuriositi, un po’ scettici: cercano una testimonianza autentica e il più delle volte tornano a casa sconvolti e trasformati. C’è la preghiera di chi crede di non credere. Mi diceva un giorno un mio caro amico marxista: “Purtroppo io non credo”. In quel “purtroppo” c’era già la sua preghiera. Anche lui a modo suo dava del “Tu” a Dio, lamentandosi di non vederlo; ma in fondo lo sentiva e ne soffriva. Ciascuno è chiamato a dare del “Tu” a Dio come può e come sa. Ecco la preghiera. Zaccheo prega arrampicandosi sull’albero; la peccatrice rompendo un vaso di alabastro e bagnando di lacrime i piedi del Maestro; la vedova di Naim piangendo silenziosa; i fanciulli giocando, venendogli incontro con le palme che avevano rubato; l’adultera tacendo senza scusarsi; il cieco di Gerico gridando; il centurione battendosi il petto; Maria e Marta rimproverandolo per la morte di Lazzaro. Ciascuno dà del “Tu” a Dio come sa e come può. Ed è proprio questo “tu” misterioso e segreto che oggi, non meno di ieri sale a Dio da dove meno pensiamo e salva il mondo.

Conclusione di chi ha condotto l’intervista:

La Trappa è un mondo che appartiene ad una realtà ecclesiale spesso incomprensibile per l’uomo contemporaneo, ma è una realtà fatta di ascesi, di preghiera, di quotidiana conversione personale e comunitaria; una realtà che in ultima analisi costituisce per la Chiesa universale, per l’intero consorzio umano una ricchezza inesauribile di grazie spirituali.

Nino: Volevo fare un’osservazione: noi di solito preghiamo per non cadere in tentazione; invece dobbiamo pregare per non cadere durante la tentazione, perché la tentazione è mandata da Dio per provarci. Dio ci dà un dono e poi ci mette alla prova per vedere se noi quel dono lì lo teniamo o lo perdiamo; non per farcelo perdere, ma perché il fatto di averlo tenuto durante la prova ce ne rende degni e allora il dono diventa realmente proprietà nostra.

Pinuccia: Cioè il sostenere la prova ci fa capaci di tenerlo.

Luigi: Si.

Nino: Quindi la tentazione è una cosa in sé buona. Quindi sbagliamo quando noi preghiamo di non cadere in tentazione, perché è il momento che Dio ci dà per affermarci nella sua fede.

Luigi: Si, ci invita a pregare per non cadere nella prova, per non cadere cioè durante la prova, non per non cadere sotto la tentazione, perché la prova è buona; ma noi preghiamo affinché non abbiamo a cadere nella prova, non a cadere nella tentazione.

Nino: Invece noi abitualmente lo intendiamo così: “Dio non darci la tentazione”. E questo non è giusto.

Luigi: No.

Nino: Perché la tentazione fa parte proprio del disegno di Dio.

Luigi: No, ma preghiamo: “Dacci la possibilità di non cadere nella prova”, di non soccombere nel momento della prova.

Nino: Ma è importante, perché noi nel Padre nostro: “Non ci indurre in tentazione”, lo intendiamo abitualmente così, mentre si dovrebbe dire: “Non lasciarci cadere durante la tentazione”.

Luigi: Si, questo è chiaro.

Ascolto della registrazione dell’eremita Anselmo di Camaldoli (già udita domenica scorsa).

Luigi: Ecco, è quanto dicevamo prima: la parola di Dio trasforma; fa suo quello che noi gli diamo. Questa è la preghiera. È unificazione interiore: quindi bisogna avere questo punto fisso di riferimento ed unificare tutto in esso.

Nino: Si, si deve partire dal punto fisso ed unificare tutto in quel punto fisso. E questo lo sperimentiamo in tanti campi, non solo nello spirito. Noi per esempio in dentistica, abbiamo bisogno della chiusura centrica che si ha in una posizione di chiusura dell’asse cerniera, che è sempre uguale, che non può mutare: da quello noi riusciamo a costruire dei lavori esatti, se no i nostri lavori sarebbero sempre dei lavori fluttuanti.

Luigi: Ci vuole un punto fisso di riferimento per stabilire i rapporti. Questa testimonianza dell’eremita lo mette bene in evidenza. È interessante perché è entrato nell’eremo a quindici anni. Quell’altro trappista dopo trent’anni di dedizione all’apostolato come prete; poi ha sentito il bisogno di ritirarsi dal mondo.

Nino: Aveva fatto trent’anni davanti alla piscina di Siloe.

Luigi: Si, si, i trentotto anni.

Nino: A proposito della piscina di Betesda, perché in qualche posto la chiamano la piscina probatica?

Luigi: Probatica, in greco vuol dire “delle pecore”, quindi è la piscina delle pecore, la piscina che era accanto alla porta delle pecore.

In queste registrazioni ci sono degli spunti molto buoni che varrebbe la pena di approfondire. Ora però fermiamoci un po’ in silenzio sull’argomento “preghiera” vista come approfondimento della Parola. Bisogna aver capito quello che proponeva quel monaco: la preghiera non tanto recitazione, coro, salmeggiare; invece è proprio bisogno di approfondimento della Parola di Dio, è unificazione interiore. La vera preghiera è unificazione interiore. Questo passare dal segno (l’altro diceva: “Dare del tu a Dio”) alla sostanza. Dare del “tu” a Dio non è tanto un segno (dare del “tu” a parole). Andiamo all’anima.

Nino: Vuol dire entrare nell’intimità.

Luigi: Andiamo all’anima: cosa vuol dire dare del “tu”? Vuol dire portare direttamente gli argomenti di fronte a Lui, per sentire da Lui, per ricevere da Lui la luce. Questo unificare, questo raccogliere; quindi il vero pregare è un raccogliere, cioè approfondire. Riflettiamo se la vera preghiera sia, e perché, un approfondire la parola di Dio; se quando noi approfondiamo la parola di Dio preghiamo. Chiediamoci cioè se veramente questo è la preghiera.

Pinuccia: Se è approfondita davanti a Lui, in questo rapporto diretto.

Luigi: L’approfondimento può essere fatto solo in Lui e con Lui, perché la parola è sua. Per approfondire la parola di uno deve sempre tenermi presente a quell’uno, perché è nel pensiero di quell’uno che si arriva a capire la sua parola. Approfondire che cosa vuol dire? Arrivare al pensiero, all’intenzione in quella parola. Non cogliere quindi l’intenzione nostra o l’intenzione degli altri, i propositi nostri o i propositi degli altri, ma invece cogliere il pensiero di Dio.

Nino: Lì se capisce proprio quello che si intende quando si dice che si deve mettere prima Lui e che il nostro io deve scomparire, perché se no, noi non riusciamo ad entrare nel pensiero suo perché se abbiamo anche intimamente anche il pensiero nostro che lavora, immediatamente siamo fritti. Non possiamo entrare nel pensiero di un altro quando c’è anche il pensiero nostro. “Non si può servire a due padroni”.

Pinuccia: O pensare a due cose contemporaneamente.

Luigi: Certo, non si può.

Nino: Comunque chiederei di diminuire il tempo di silenzio e parlarne un po’ di più, perché penso che si chiariscano tante cose a parlarne, tanto più che è un argomento che abbiamo già pensato tante volte e avrei piacere di avere la correzione di ciò che penso.

Luigi: Allora chiediamoci:

-                     perché sia essenziale pregare,

-                     perché è vitale per ogni uomo pregare

-                     e in che cosa consista veramente la preghiera, tenendo presente che ci è proposto che la preghiera è approfondimento della Parola di Dio. Dobbiamo tenere questo orientamento perché dovremo arrivare tra due o tre conversazioni a questo argomento: “Il Padre ama il Figlio e gli mostra tutto quello che Egli fa”. Ora a me sembra che tutti questi argomenti sulla preghiera ci conducano o per lo meno ci aiutano ad arrivare a capire questo, ci preparano a capirlo.

Nino: Approfondendo, si scopre che tutto, ogni più piccola cosa, tutto, è complesso. Man mano che approfondiamo arriviamo a scoprire sempre qualcosa di più.

Luigi: Tutto; se tu prendi per esempio la funzione clorofilliana, ad un certo momento sprofondi nell’infinito. È tremendo. E tutto ha un significato nello spirito.

Nino: Noi siamo stupiti di fronte all’universo, ai buchi neri, ecc., ma se approfondiamo l’infinitamente piccolo, sprofondiamo ancora di più nel mistero.

Luigi: L’argomento allora era questo:

-                     che cos’è la preghiera; perché è necessario pregare;

-                     e se la preghiera effettivamente sta nell’approfondimento della parola di Dio.

Pinuccia: Se Gesù ci dice: “Pregate sempre”, è perché la preghiera è indispensabile per la vita, uno conditio sine qua non; quindi non è un lusso, un sovrappiù o un qualunque cosa sia pur grande e bello, ma di cui si può anche fare a meno qualche volta. No, è una cosa vitale, perché ci tiene legati alla sorgente della vita. È come se Gesù ci dicesse: “Non siate autonomi, se non volete morire”. Questo “mai” è in relazione a quel “sempre”. Questo vuol dire che quando non preghiamo siamo autonomi, quindi stiamo allontanandoci dalla vita, e incominciamo a morire. “Io sono la vita: senza di me non potete fare nulla, cioè siete nulla”. Lui ci comunica la vita, la sua vita, parlando a noi. Noi la attingiamo ascoltando Lui che parla a noi in tutto. La preghiera allora è questo ascolto che cerca di intendere. Sapendo che Lui parla a noi in tutto e parla personalmente, pregare vuol dire cercare di capire, approfondire questa sua parola che giunge a noi attraverso lo scritto o attraverso gli avvenimenti. Appunto, pregare è cercare di capire, approfondire ciò che ci dice Colui che parla a noi, fino ad arrivare al suo pensiero, alla sua presenza, raccogliendo cioè ogni cosa (poiché tutto è parola sua) in Lui riferire tutto a Lui per attendere da Lui la luce. Questa attenzione è amore. È possibile solo se si ha tanto interesse per Colui che parla a noi. Sapendo che Colui che parla a noi parla per comunicarci qualcosa di Sé, allora chi ha interesse di conoscenza fa tanta attenzione per raccogliere tutte le sue parole, per custodirle, per unificarle nel suo Spirito per cercare di capirle, perché sa che comunicano qualcosa di Colui che desidera conoscere. Le condizioni per realizzare questa preghiera sono:

-                     convinzione che Dio è la nostra vita, il sommo nostro bene e che conoscere Lui è vivere;

-                     e quindi lasciare ciò che non è Lui (silenzio di tutto). Le conseguenze, diciamo i frutti, di questa preghiera fatta di attenzione e interesse per approfondire la parola di Colui che parla in tutto, sono:

-                     la dimenticanza di sé e quindi una grande liberazione non solo dall’io, ma anche dai tanti  altri amori che ci portano via;

-                      e soprattutto una progressiva conoscenza e amicizia con Dio. Il dare del “tu” a Dio, infatti, non è una parola, ma un atteggiamento interiore, un mettersi in sintonia con, è un far dipendere tutto da quel “tu”, un riferire tutto a quel “tu” e quindi un progressivo scoprirsi pensati e fatti da quel “tu”. Penso che daremo il vero “tu” a Dio, quando Lui potrà dire sul nostro pensiero: “Questo è mio”.

Luigi: Si, noi diamo del “tu” quando siamo dell’altro. Quindi quando Lui dice: “Questo è mio”, Lui ci fa entrare nella sua familiarità; ci sentiamo suoi e in quanto uno si sente suo, allora può dare del “tu”, in quanto si sente dell’altro (“sono tuo”). Il “tu” è proprio questo rapporto diretto.

Pinuccia: È anche un ricevere, no?

Luigi: È una conseguenza del ricevere. E siccome Lui è sempre infinitamente superiore a noi, e l’abbiamo visto, ce lo significa anche in tutte le opere (nelle profondità, come abbiamo visto prima, del nostro corpo, nella profondità dell’universo). La profondità di tutte le cose è proprio una significazione della sua trascendenza. E siccome Dio in tutte le sue opere non fa altro che significare Se stesso, in tutte le sue opere noi troviamo questo infinito che ci supera e che non può mai essere da noi raggiunto in tutta la sua complessità. Allora essendo superiore a noi, la preghiera diventa approfondimento, quindi richiede un superamento, cioè il superamento della nostra superficialità. A me sembra che lì effettivamente noi possiamo capire come diceva quel monaco trappista, che non è giusto dire: “Chi lavora prega”. Chi lavora, lavora; chi prega, prega. Il lavoro non è preghiera. Che il lavoro debba essere fatto con l’animo in preghiera va bene. Ma dire che chi lavora prega, no. È una confusione di termini. La preghiera è altro. La preghiera è approfondimento.

Nino: Il lavoro è una forma meno nobile di preghiera, ma può essere preghiera, io penso, quando è fatto nel pensiero di Dio, cioè quando tu agisci in qualcosa proprio nel pensiero rivolto a Dio.

Luigi: Cioè se è il pensiero di Dio che ti muove a farlo.

Nino: Se per esempio uno arriva ad un certo momento a dedicarsi ai drogati, ma nello spirito che gli viene proprio dall’approfondimento del pensiero di Dio, in fin dei conti ciò che fa è preghiera, perché lui ha sempre in mente Dio in quello.

Luigi: Si, ma …

Nino: È una forma non certamente al livello della forma di chi nel silenzio, nel segreto della sua camera, mi unisce a Dio, però penso che possa essere preghiera.

Luigi: Io farei delle distinzioni; perché ammettiamo che tu ti dedichi ai drogati e sia mosso da Dio, però tu capisci che avrai sempre bisogno di mettere il tempo del silenzio nella tua giornata anche se ti dedichi a quello, altrimenti …

Nino: Sono d’accordo; solo penso che è una forma di preghiera anche quella, sia pure minore, ma anche quella è una forma di preghiera, se tu hai il pensiero sempre a Dio, anche quando fai quello.

Luigi: Ma presuppone sempre l’altra.

Nino: Un don Bosco in fin dei conti ha agito tutta la vita; avrà dedicato il suo spazio e il suo tempo anche alla preghiera, ma ha agito tutta la vita. La sua è stata una dedizione a Dio, anche nel raccogliere gli orfani.

Luigi: Si, comunque …

Nino: Che poi ne sia derivata della confusione può darsi, però io penso che originariamente lui non avesse le idee confuse.

Luigi: Comunque non so se siamo d’accordo su questi temi:

-                     La preghiera è veramente approfondimento; per cui escludendo il fatto, o per lo meno facendo la distinzione, non possiamo identificare il lavoro con la preghiera perché la preghiera richiede quel silenzio, quello spazio di silenzio. Che poi dopo possa anche essere un’esplicazione di quello che uno ha contemplato, d’accordo, però presuppone sempre quel raccoglimento.

Nino: Si, leggendo T. de Chardin ho visto la grande confusione della sua idea lavoro – preghiera, del lavoro quale svolgimento di un’opera che Dio ci ha affidato.

Luigi: Inoltre ancora una cosa: se la preghiera è approfondimento della parola di Dio, la preghiera veramente non sta nel ripetere le parole di Dio. Quello che diceva l’eremita: salmeggiare o cantare in coro. Se uno cantasse da mattino a sera, non penso che possa dire di aver pregato. Qui cadiamo in quello che avevamo approfondito quando avevamo meditato quella parola di Gesù che dice: “Come il Padre opera, così anche il Figlio opera”. Avevamo detto che quel “così” (“come il Figlio opera”), non sta nel ripetere l’azione. Allora, se Dio fa giungere a noi una parola, la preghiera non sta nel ripetere quella parole infinite volte, o anche nel ripeterla dentro di me infinte volte, fare il disco, la registrazione della parola, no; il Figlio è approfondimento della parola, perché è riconoscere che quella parola è del Padre. Quindi è un ritorno. È un riportare al Padre quello che viene dal Padre. Ma in quel riportare, uno riconosce e allora veramente prega. La preghiera è proprio questo ritorno. Dio parla a noi, ma parlando offre a noi, diciamo, il materiale per la nostra preghiera. Noi possiamo prendere questo materiale, non riportarlo a Lui e non preghiamo, anche se adoperiamo quello stesso materiale, cioè lo ripetiamo infinite volte, dentro di noi: ecco, non è quella l’essenza della preghiera; può anche essere un aiuto per raccogliere la nostra anima, cioè distrarla dalle cose del mondo e concentrare quindi la nostra anima. Ma l’essenza della preghiera non sta lì, perché l’essenza della preghiera è ascolto di Dio. E quindi noi prendiamo la parola di Dio per portarla a Dio in modo da ascoltare da Dio, la parola illuminatrice su una sua stessa parola. Per questo diciamo: Dio parla, ma è poi ancora Dio che illumina la sua parola; per cui se riceviamo la sua parola, ma poi non la riportiamo a Dio per ricevere da Dio l’interpretazione, la luce (questo è l’approfondimento) per unificare in Dio, ecco, noi sostanzialmente non preghiamo. La preghiera sta in questo ritorno, in questo riportare: quindi approfondimento. Per cui è guardare Dio la sostanza della preghiera. Ecco, elevando l’anima a Dio. Ma elevare l’anima a Dio vuol dire guardare. Soltanto che per guardare uno che è superiore a noi, si richiede un continuo superamento di tutto quello che abbiamo, anche delle sue stesse parole che arrivano a noi, e quindi approfondimento. Ora, siccome Lui è il principio della vita e la vita quindi sta nel raccogliere in Lui, noi comprendiamo come pregare è condizione essenziale per vivere. Ecco perché: “È necessario pregare sempre”. È come se Gesù ci dicesse: “È necessario che tu viva sempre. Non mettere degli spazi di morte nella tua giornata. Devi pregare sempre, perché pregare è vivere”. Quel monaco diceva: “Per ogni uomo la preghiera è l’essenza della vita”. Se noi non poniamo l’essenza della nostra vita nella preghiera, la nostra vita è dispersione, è morte; quindi pregare è questo raccogliere e raccogliere è un approfondire nell’unità divina, quindi unificare in Dio.

Pinuccia: Vorrei mettere in relazione questo con quanto è stato detto due domeniche fa: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. Cioè: “Il Padre vostro perdona? Anche voi dovete perdonare. Ricevi amore? Anche tu devi amare”. Cioè è una ripetizione di quello che vediamo in Dio.

Luigi: Ma questo va fatto con intelligenza!

Pinuccia: Quindi non si tratta di una ripetizione.

Luigi: No.

Pinuccia: è piuttosto un riportare, un raccogliere in Dio.

Luigi: Si, perché se tu non hai presente Dio, scivoli immediatamente. Per avere presente Dio, devi continuamente superarti, altrimenti non basta che tu abbia la regola; “Hai ricevuto amore? Dona amore!”. Io mi propongo la regola però al momento opportuno certamente mi comporto diversamente. Quindi quando dice: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro”, Gesù mi dice una parola; quella parola non rimane in me se io non guardo in continuazione Lui, cioè se non prego in continuazione, altrimenti mi sfugge soprattutto nel momento opportuno. Quel: “Crescere ad immagine e somiglianza”, richiede una continua verifica con Lui.

Nino: Una continua dedizione al suo Pensiero.

Luigi: Una continua adesione. È come se io dovessi copiare un disegno; non basta che io dica: “Adesso lo guardo bene o lo faccio!”. No, lo devo guardare in continuazione, tratto per tratto, sempre, con una verifica continua: guardo un piccolo tratto e poi faccio un tratto, poi un altro; cioè il disegno va guidato e verificato in continuazione. Quindi quando ci dice: “Siate perfetti come è perfetto il Padre”, non ci dice: “Guardalo una volta e poi mettiti a far pratica come fa il Padre”.

Nino: Devi sempre essere ammonito dal Padre.

Luigi: In continuazione!

Nino: Io penso questo: ero disperso e ho incontrato il Cristo, il quale parlandomi continuamente del Padre, mi ha chiarito qual è il modo di vedere, di pensare del Padre; cos’è che il Padre vuole dalla creatura e da in me in particolare? Poi Gesù mi ha anche chiarito che quello che Lui dice è sempre convalidato dalla testimonianza del Padre, che noi troviamo nella nostra coscienza: adesso abbiamo capito che quella che chiamavamo “coscienza” è il Padre (come quello che chiamavamo il “caso” è Dio). Adesso abbiamo capito che la nostra coscienza è il Padre che parla di noi.

Luigi: Infatti quel monaco dice che la nostra coscienza diventa il Tempio della Trinità di Dio.

Nino: Allora Gesù ci spiega tutto un modo di essere, è la Verità, è la strada per arrivare al Padre, ma poi noi dobbiamo arrivare al Padre, perché se no c’è sempre una discrepanza tra il nostro modo di pensare e il nostro modo di vivere. Gesù ci mette anche il desiderio di vedere il Padre, ci dice anche che dobbiamo diventare figli del Padre. Queste cose io le credo, non le metto più in discussione.

Luigi: Però le hai macinate parecchio.

Nino: Comunque adesso io ho il desiderio di diventare figlio, di diventare tutto pensiero del Padre, e tutto vita unificata al Padre, perché è proprio questa unione mia personale che mi dà vita. Lui mi ha detto che il Padre mi ama da sempre, e realmente io me ne sono convinto, però io a mia volta sono stato un figlio abortivo: come ho risposto io al mio amore? Certamente in modo sbagliato. Vorrei arrivare a rispondere in modo da figlio, però per arrivare a rispondere da figlio io non devo solo conoscere il Padre teoricamente come me l’ha insegnato Cristo; ma devo arrivare a conoscere il Padre realmente di volta in volta, in ogni occasione della mia vita, in ogni momento; cos’è che Lui vuole da me.

Luigi: Si, come Padre …

Nino: È un rapporto personale; è naturale che gli do del “tu”, perché se voglio essere figlio, se lo riconosco come Padre, anche se sono indegno, devo avere la fiducia in Lui.

Luigi: Proprio perché è un rapporto personale.

Nino: Non posso parlargli come a uno che vedo per la prima volta. È Uno che io vedo forse per le prime volte però Lui mi ha sempre tenuto sottocchio. Allora  io devo cercare di arrivare a conoscere il suo Pensiero in ogni circostanza, in ogni momento della mia vita, perché in ogni momento io devo rendere la mia vita aderente a quello che Lui vuole da me, personalmente da me. Quindi, ormai so che è dentro di me. So che lo devo interpellare ad ogni passo. Non accorgermi solo degli sbagli fatti dopo che li ho commessi; devo arrivare ad evitarli. È una cosa difficile, però a me sembra che se si riesce è questa la vera preghiera.

Luigi: La preghiera continua.

Nino: Che se si riesce ad essere continuamente con Lui si arriverà anche a non più fare sbagli, ad essere uniti a Lui, a diventare figli.

Luigi: Si, perché non è che Lui ci avvisi a posteriori, dopo che noi abbiamo fatto le cose: Lui parla a noi prima che le cose siano fatte, se noi siamo attenti, se noi guardiamo a Lui: è lì la meraviglia! Non è che Lui ci avvisi a posteriori che abbiamo sbagliato, ad esempio, dopo che noi abbiamo fatto lo sbaglio. Lui non ci fa notare che abbiamo sbagliato, dopo che abbiamo sbagliato. Si, all’inizio magari succede questo, per cui ce ne accorgiamo dopo. Ma se noi preghiamo, cioè viviamo sempre, Lui insegna a noi come comportarci, per cui ci avvisa prima di fare le cose come queste devono essere fatte. Ci fa vedere. Ecco, ci avviciniamo a quello che sarà l’argomento della prossima volta: “Il Padre ama suo Figlio (e Gesù parla perché ognuno di noi diventi figlio) e gli mostra tutto quello che fa”, gli mostra!

Nino: Direi che noi arriviamo proprio a capire quel: “È necessario che io me ne vada”, perché il Signore ci insegna tutto quello che dobbiamo fare, ma non ce lo fa fare in pratica. Noi abbiamo poi tutta una prova che è la nostra vita dove dobbiamo far vedere al Padre che realmente siamo interessati a Lui come Lui è interessato a noi, a me. Quindi a quel punto Gesù deve fare il passaggio anche Lui: passare nell’interno; noi dobbiamo ritrovarli nel nostro interno.

Luigi: Ascendere al Padre, salire al Padre.

Nino: Ed essere solo più con Lui; a quel punto lasciare realmente tutto il resto per ascoltare solo chi si deve ascoltare.

Luigi: Certo.

Nino: è difficile e lunga la storia, ma direi di averla capita.

Luigi: Prima non si capisce, poi si arriva a capire, poi ad un certo momento si arriva a vivere. Ma l’importanza è cominciare ad essere convinti, ad esempio, che è necessario pregare sempre. Quando uno si è convinto di questo e in che cosa consiste la preghiera …

Nino: Si, perché finché noi non siamo uniti al Padre avremo sempre una differenza tra il nostro pensiero e il nostro agire, il nostro vivere.

Luigi: Noi molte volte facciamo l’errore: “Io ho pregato”, oppure: “Mi sono consacrato”; oppure: “Ho fatto un voto”, per cui adesso vivo bene; no: naturalmente noi non siamo uniti a Dio; naturalmente noi non siamo guidati da Dio. Siccome Dio ci trascende, richiede a noi questo continuo (ecco la preghiera) superando di tutto quello che arriva a noi. Ecco perché la vita comincia non nel ricevere doni, ma nel riportare i doni a Dio, il che richiede il superamento.

Nino: Invece noi siamo maestri, quando abbiamo qualche difficoltà o qualcosa che urta il nostro io, a sotterrarlo nel nostro inconscio, lo dimentichiamo, lo superiamo in quel modo lì.

Luigi: Crediamo di superarlo e invece resta.

Nino: Facciamo finta di superarlo, illudiamo noi stessi perché arriviamo a farci una convinzione di una cosa che ad un certo punto salterà fuori … perché non sta sempre sepolto dentro di noi.

Luigi: Affiora …

Nino: Quindi direi che Gesù è quello che ci dà  la strada per portarci al Padre; però il Padre, raccogliendo in Lui, è quello che ci fa uniti a Lui, è quello che ci fa diventare figli. I figli nascono dal Padre. Allora il figlio vero ci riporta al Padre. Però quanto più noi diventiamo a nostra volta figli, diventiamo capaci di ripetere l’opera del Cristo, di riportare al Padre. E noi nel Padre ritroviamo il Figlio.

Luigi: Facciamo una cosa sola.

Nino: Il Padre ci parla sempre attraverso il Figlio; è la Parola e la parola è l’espressione del suo Pensiero. Noi li ritroviamo tutti e due dentro di noi, come ritroveremo lo Spirito Santo che è lo Spirito della loro Presenza.

Luigi: Lo Spirito del Padre e del Figlio.

Nino: Bisogna che ci convinciamo che noi non siamo ancora così uniti al Padre, perché dedichiamo ancora troppo poco tempo a Lui, troppo poco tempo dedicato esclusivamente a Lui. Certe volte (capisco che è stupidità la mia) me lo chiedo: se io sono convinto di queste cose che ho detto (e lo sono realmente non è una cosa che la dica per far piacere a qualcuno), perché non dedico tutto il tempo lì? Mi sembra che qualche volta quando sono arrivato a capire qualcosa, sono talmente pieno che devo scappare, devo interrompere (questo mi succedeva anche a scuola), quasi per il timore che mi scappi quello che ho capito, se aggiungo altro.

Luigi: È un po’ come il bambino che quando prova un momento di gioia sente il bisogno di sgambettare (perfino di scappare), cioè ha bisogno di trasferire in azione quello che sente.

 

Relazione di Cina e Emma, della convivenza di tre giorni a cui hanno partecipato, sui tre temi: la fede, i beni, la croce.

            Identificazione col giovane ricco: ognuno ha la sua ricchezza.

 

Cina: Non si vuole rinunciare a tutto ciò che è eterno però non si ha nellemo la forza di corrispondere all’invito a lasciare tutto.

Luigi: Basta sedersi sul ciglio di una strada, non muoversi più. Tutto è fatto.

Cina: Così falliamo, se resto ferma e se non cammino!

Luigi: Come: “Se non si cammina”? Se tu ti fermi lì … Nessuno ti obbliga stasera a dormire nel tuo letto: resti libera immediatamente.

Emma: Per me, dire qual è la mia croce, è stato un sollievo.

Luigi: Hai potuto identificare la tua croce?

Emma: Si, nell’impazienza, nel voler presto arrivare a conoscere le cose.

Luigi: L’impazienza nelle cose di Dio, nel cercare le cose di Dio?

Emma: Si.

 

 

Pinuccia: Presentazione dell’argomento di oggi:

-                     Che cos’è la preghiera per noi;

-                     Perché è necessario pregare sempre;

-                     Se riusciamo a vedere la preghiera come approfondimento della parola di Dio.

 

Luigi: Cioè la preghiera è essenzialmente approfondimento della parola di Dio. Abbiamo riconosciuto che pregare non è lavorare. È sbagliato dire: “Chi lavora prega”. E lo conferma anche quel monaco trappista. Pregare non è nemmeno ripetere le parole di Dio. Per cui il cantare, il salmeggiare, il diventare un disco che ripete tante parole, non è preghiera. La vera preghiera sta nell’approfondire le Parola di Dio, unificare la Parole nel Padre, per mantenere sempre in noi la presenza del Padre, perché soltanto approfondendo la stessa Parola di Dio si rimane con Dio. Per cui la Parola di Dio è un dono che Dio dà a noi perché possiamo pregare. La Parola di Dio è un dono che Dio dà a noi perché possiamo pregare. La Parola di Dio ci è data per pregare, non può essere ricordata così, a memoria.

Emma: Anche per vivere.

Luigi: Ma vivere vuol dire pregare. Chi crede di vivere senza pregare si inganna, muore. L’essenza della vita è la preghiera. Stasera abbiamo proprio parlato di questo: che l’essenza della vita è la preghiera. Per questo il Signore dice: “È necessario pregare sempre”. Cioè bisogna continuamente riportare a Dio, riferire a Dio. Ma questo riportare a Dio, riferire a Dio, richiede sempre un superamento, non fermarsi alla superficie. La Parola di Dio arriva alla nostra superficie. Se noi ripetiamo soltanto le parole di Dio, non preghiamo. Quel monaco diceva: “Io mi sono accorto che magari dopo sei, sette ore di coro, mi chiedevo se avevo pregato, e allora sentivo il bisogno della preghiera nel silenzio, singola, individuale”. Perché? Perché si accorgeva che la vera preghiera non sta nel ripetere o nel cantare. Si, può anche essere un aiuto per l’anima questo; però l’essenza della preghiera non sta lì. L’essenza della preghiera sta in questo raccoglimento personale, interiore, con il Padre; quindi approfondire la parole che il Padre manda a noi, approfondirla fino a vederla illuminata, fatta sua dal Padre stesso, illuminata da Lui. Bisogna portare la parola che Lui ci dona, riportarla alla sua Presenza, in modo che Lui la faccia sua. Facendola sua ci fa entrare in un rapporto personale. Per cui quel monaco trappista diceva: “Non posso definire cos’è la preghiera, però dico che la preghiera è dare del “tu” a Dio. Cosa vuol dire dare del “tu” ad una persona? Noi diamo del “tu”, veramente “tu”, non a parole così, quando? Il vero “tu” si dà quando si appartiene all’altra persona, quando si è dell’Altro. Ora però il fatto di essere di un Altro, non dipende da noi. Non è che una persona per quanto desideri possa essere dell’altro. Uno è dell’altro in quanto l’altro lo prende. Quindi fintanto che il Padre non dice la sua parola: “Tu sei mio”, fintanto che non dice questa sua parola su quello che noi gli offriamo, noi non entriamo nel “tu” dell’intimità, in questo rapporto personale. Allora lì capiamo perché la parola stessa di Dio, il Verbo di Dio, il Cristo, ad un certo momento dica: “È necessario che io me ne vada”, appunto per dare a noi la possibilità di entrare in questa intimità col Padre, in modo da sentire dal Padre la sua Parola: “Tu sei mio”. Ecco, il momento in cui Lui dice: “Tu sei mio”, noi apparteniamo a Lui e incominciamo a dare del “tu” a Lui e incominciamo a dare del “tu” al nostro Padre. Non è più un pregare il Padre o un riferire al Padre quasi come ad una persona lontana, distante a cui direi, quasi sotto un certo aspetto, diamo del “lei” riferendoci ad una terza persona. Qui invece entriamo in un rapporto diretto: ci sentiamo suoi e quindi pensati da Lui, appartenenti a Lui. In questo caso l’anima, anche se volesse dare del “lei” non può più: dà del “tu”: e questa è preghiera.

Nino: Ci riconosciamo figli anche se imperfetti.

Luigi: E riconoscendoci figli, facciamo una cosa sola col Figlio. Ecco, era questo l’argomento.

Pinuccia: In fondo, a questa luce, si capisce che si può dare veramente del “tu” solo a Dio.

Luigi: Si, ma in Dio diamo del “tu” anche a tutte le creature, perché effettivamente in Dio facciamo una cosa sola con tutte le creature. Come Dio dà del “tu” a tutte le creature.

Pinuccia: Ma questo è possibile solo in Dio e con Dio.

Luigi: Certo, solo in Dio, con Dio.

Nino: Solamente quando abbiamo capito che ci è Padre. Quante volte noi diciamo: “Padre nostro”, senza pensare che Lui è realmente Padre!

Luigi: Ma Lui è realmente Padre per noi in quanto noi nasciamo come suoi figli, non in quanto siamo autonomi. Per questo dicevo che si richiede questa continua verifica.

Nino: Lui è sempre Padre, ma a tutti gli effetti lo diventa solo quando noi lo riconosciamo.

Luigi: Infatti Lui dice: “Mi dite Padre, e perché non mi ascoltate come figli? Quindi vuol dire che non siete figli”. Di lì poi abbiamo capito cosa vuol dire quel vero “fare”. “Non colui che dice: Signore, Signore, ma colui che fa”. Cioè in che cosa consiste quel “fare” di cui parla il Signore? Non sta nell’agire. Il vero “fare” sta nell’approfondire la parola di Dio. Questo è il vero “fare” che Lui chiede. Per cui: “Non chi dice: Signore, Signore! Cioè non colui che ripete tanto le mie parole o ha sempre la mia parola sulla sua bocca”. Non sta lì. Sta invece nel pensiero che approfondisce la mia parola per arrivare alla mia presenza. Questo è pregare. Per cui Lui ci manda la sua Parola affinché noi la approfondiamo con Lui e in Lui fino ad arrivare alla sua Verità: perché la sua Parola ci rivela il suo Volto e la sua Verità.

Cina: E ci dà la vita.

Luigi: Questo approfondimento è vita. La vita non viene a noi attraverso i doni di Dio. La vita viene a noi attraverso il nostro donarci a Dio.

Cina: Tutti e due.

Luigi: Dio dona a noi, ma se noi ci impossessiamo soltanto dei suoi doni, noi moriamo, diventiamo egoisti: tratteniamo di suoi doni. No! Lui ci dà i suoi doni affinché li riportiamo a Lui. La vita inizia dal momento in cui riportiamo a Dio quello che è di Dio.

Nino: L’esemplificazione l’abbiamo nel “Padre nostro”: “Perdonaci come noi perdoniamo”.

Emma: Questo si fa presto a dirlo, anche se lo si dice con tutto il cuore, ma è una realtà che è difficile.

Nino: È una proposta di condanna quella che noi facciamo?

Emma: Appunto!

Pinuccia: E poi va tenuto presente soprattutto quello che lei diceva prima: questo sono nostro, questa offerta, in che cosa consiste? Non si tratta di offrire qualcosa, ma di offrire il nostro stesso pensiero: il dedicarsi a Dio.

Luigi: Si, perché la vera offerta che Dio chiede a noi non è il sacrificio di qualche cosa; è molto più facile per noi svuotarci le tasche, dare via qualcosa di noi, fare anche dei sacrifici, anche magari perdonare gli altri, ma non è ancora questo il vero “fare”. No, il vero “fare” è questo dedicare il nostro pensiero a Lui. Questo è il vero “fare” che Dio ci chiede: donare a Lui il nostro pensiero. Donare vuol dire “occuparci di Dio”.

Nino: Noi non riusciamo mai a perdonare un altro tutte le volte che Dio ce lo richiede se non abbiamo sempre il pensiero di Dio.

Pinuccia: Se noi ce lo proponessimo come fine, ci proporremmo un modo di fare, di comportarci, mentre il fine è offrire il pensiero a Dio. Ma il problema appunta sta nell’imparare a dare questo pensiero.

Luigi: Certo.

Pinuccia: E si impara come?

Luigi: È Lui che ce lo insegna, è Lui il Maestro, quindi si impara guardando Lui.

Pinuccia: Fermandoci con Lui.

Luigi: Si, restando con Lui, perché noi non possiamo restare con Lui senza fare questo. È Lui il Maestro, il vero Maestro è Lui! Nell’essenziale è Lui il Maestro. Noi possiamo soltanto ammonirci, cioè dirci: “Devi fare …”. I nostri verbi non sono il suo Verbo. I nostri verbi ci invitano soltanto e ci ammonisce come a fare quel lavoro lì. Ma poi chi insegna veramente a fare (ecco il vero Verbo, a raccogliere in Dio, ecc. è soltanto Lui. Per cui soltanto se noi personalmente nel segreto della nostra stanza, quando nessuno ci vede, nessuno ci conosce, se noi ci raccogliamo in Dio, ecco allora Lui ci insegna. Ma se noi non ci raccogliamo in Dio, ecco allora Lui ci insegna. Ma se noi non ci raccogliamo in Dio, per quante parole noi sentiamo fuori, per quanti esercizi facciamo, per quanto ci riempiamo la testa di nozioni religiose, ecc., non basta. Questo è il lavoro personale, a tu per tu: ecco l’entrata nel “tu”. È un lavoro personale, perché lì si rivela l’amore, se effettivamente abbiamo amore per Dio. Quando uno veramente ama non manda gli altri, non si mette con altri ad amare una persona; chi ama impegna se stesso nell’amore; questo è il vero amore: quando nel segreto pensiamo a Dio. Allora lì si impara, perché è Dio che insegna, perché in quel segreto il Padre insegna a noi la sua lezione.

Pinuccia: Questo mettersi nel segreto, si riferisce a dei tempi forti nella giornata o dovrebbe essere sempre?

Luigi: Ad un certo momento diventa sempre, ma perché diventi sempre dobbiamo fare dello spazio per Dio, bisogna fare dello spazio nella nostra giornata per Dio, per questo ascolto, personale e silenzioso. Non basta che io reciti in coro tutte le preghiere dal mattino alla sera. No, non basta. La vera preghiera sta in quello.

Nino: Deve diventare un’abitudine necessaria.

Luigi: Lui dice: “Come si vive”. Dice: “Noi viviamo tutti i giorni …”, ebbene dobbiamo imparare a pregare come viviamo, cioè in continuazione. La preghiera deve diventare vita, come si respira; deve diventare vita.

Emma: Come ci diceva il Vescovo: che dobbiamo tutti i giorni sempre vivere nella fede, chiedere questa fede, avere sempre il pensiero rivolto a Dio perché ci faccia crescere nella fede, per cui la preghiera diventa un rapporto personale.



RIASSUNTI GV 1 VS 19 Sesto incontro.


Titolo: La morte di Cristo possibilità di salvezza.


Argomenti: Dopo il peccato il Cielo si chiude per l’uomo. Uccidendo il Figlio di Dio,  a contatto con il nostro delitto ci viene ridata la possibilità di dialogare con Lui. Cristo non risorge senza di noi. Capire che il nostro io ha ucciso Dio. Con-morire vuol dire dimenticare noi stessi. Natan con Davide. La somiglianza a Cristo. Amare vuol dire diventare pensiero dell’Altro. Lasciarsi fare da Dio. Ristabilire l’unione con Dio. Ciò che è avvenuto è rivelazione per farci capire quello a cui ci conduce la Parola di Dio nella nostra vita.


 

9/Ottobre/1978


Eligio: Per quale ragione Dio Padre ha dovuto sacrificare il Figlio in modo così cruento? Mi è venuto questo problema in seguito alle riflessioni sulla Sindone. È forse perché  con la morte di Cristo si ristabilisce l’ordine di giustizia che l’uomo ha rotto con il peccato di origine? Infatti S. Paolo dice che “…con la morte del Cristo resta espiata la colpa dell’umanità” (cf Rm 5,11-20). È questa la ragione?

Luigi: No, non è un problema di giustizia.

Eligio: Però c’è stata una frattura nella giustizia, nell’ordine…

Luigi: La frattura è nel disegno di Dio, che nell’uomo è frustrato.

Eligio: E Dio deve sacrificare…

Luigi: No! Non è che Egli debba…; Dio è libero. Bisogna premettere che l’opera di Dio è sempre libera, non è necessitata nemmeno dalla sua creatura. Dio non è necessitato da nessuno. La sua azione è libera, perché Dio è Amore.

Eligio: Ma perché Dio, che è un Essere libero, sacrifica in quel modo il Figlio? 

Luigi: Per salvare l’uomo.

Eligio: Per ristabilire la giustizia?

Luigi: No! Non per ristabilire una giustizia, ma per riaprire all'uomo la possibilità di ritornare in Cielo, cioè di riavere un collegamento con Dio. Il problema sostanziale sta lì, poiché l'uomo dopo il peccato è impossibilitato a riagganciarsi con Dio. E questa impossibilità è dovuta alla natura stessa di cui è stato dotato in vista della sua vocazione a conoscere Dio, perché quando l'uomo devia dal suo destino, tale natura gli fa correre dei grossi rischi.

Infatti, siccome egli è destinato a conoscere Dio, è fatto da Dio in modo tale che diventa figlio di ciò che fa, cioè "figlio delle sue opere", perché solo "facendo" Dio  (cioè pensando Dio, vivendo per Dio, avendo Lui come motivo di vita), diventa figlio di Dio, giunge a conoscere Dio ("Chi fa la Verità, giunge alla Luce": cf Gv 3,21).

Ma se invece "fa" altro, cioè se pensa altro, se vive per altro, se è motivato da altro da Dio, diventa "figlio" di altro, quindi dipendente, anzi “schiavo” (cf. Gv 8,34), e non può più liberarsene.

Poiché è destinato a conoscere Dio, l'uomo deve essere un essere cosciente, cioè  deve avere in se stesso la ragione, il motivo di quello che fa e di quello che vuole, poiché questa è la condizione per conoscere.

L'essere cosciente  si caratterizza da tutti gli altri per il fatto che ha in se stesso la motivazione di ciò che vuole, per cui solo un essere cosciente può conoscere la Verità. Un essere incosciente invece non può conoscerLa, perché è motivato da cause esterne (infatti tutto l'universo, gli animali, ecc.  che sono motivati da cause esterne, non possono conoscere Dio). Quindi la conoscenza presuppone la coscienza e la coscienza presuppone questa interiorizzazione di motivazioni.

Ora, proprio il fatto che l’uomo abbia la possibilità di avere in se stesso la motivazione del suo agire, pensare e parlare, significa che corre il rischio di mettere altri motivi all’infuori di Dio, per cui anziché diventare figlio di Dio, diventa figlio di altro. Infatti il motivo che portiamo in noi (perché i motivi dobbiamo averli dentro di noi, e questi sono o Dio o il nostro io), diventa nostro padre. Allora: se l’uomo mette come motivazione qualche cosa all’infuori di Dio, l’uomo diventa figlio di questo altro motivo, e questo lo separa da Dio. A causa di questa separazione da Dio, di questa lontananza da Dio, non può più riferire le cose a Dio, quindi precipita dal Cielo di Dio. Dopo il peccato il Cielo si chiude per l’uomo (cf Gen 3,24): infatti dopo il peccato l’uomo non ragiona più con Dio, perché in conseguenza di un altro motivo da Dio, l’uomo viene a trovarsi inglobato in un susseguirsi di cause. Per cui, l’uomo vedendosi dipendente da tutte queste altre cause, prima di occuparsi di Dio deve sempre soddisfare queste altre cause. Ecco allora, gli si crea attorno tutta una problematica di mondo, in conseguenza del suo distacco da Dio; ed è qui che l’uomo non ha più tempo per Dio, non è più in colloquio con Dio, non è più in dialogo con Dio.

Ora, se noi teniamo presente che la motivazione essenziale per la salvezza dell’uomo è il dialogo con Dio, è la Presenza di Dio, l’unione con Dio, a questo punto l’uomo è rovinato. Dal momento che l’uomo si fa figlio di altro da Dio, la partita è chiusa; l’uomo da solo, nel modo più assoluto, non può più ritornare in Cielo, perché si chiude in una conchiglia. Tutti i suoi ragionamenti sono sempre relativi a tutto un mondo che è ormai staccato, separato da Dio: per lui Dio sono i suoi idoli, Dio sono delle causalità seconde, ma che per lui sono causalità assolute, che lo determinano in tutto.

Ecco, dopo il peccato l’uomo è figlio di ciò che ha messo al posto di Dio. Naturalmente la lontananza da Dio gli crea una problematica infinita in tutto questo mondo inferiore, perché se la figliolanza di Dio è liberatrice per l’uomo, la figliolanza da altro di inferiore a Dio, crea all’uomo un’infinità di catene, di schiavitù, di affanni, di preoccupazioni, di ansie. Ora, sono proprio queste ansie, queste preoccupazioni che impediscono all’uomo di alzare gli occhi al Cielo; cioè non è più in dialogo con Dio, non è più unito a Dio. E anche se capisce, se riconosce l’esistenza di Dio, non ha la presenza di Dio, quindi  non può dialogare con Dio; perché dialoga con altre cause, con altri elementi.     

Ecco, qui entra in causa l’opera di Cristo, del Figlio di Dio; perché l’uomo, di per sé, si trova nell’impossibilità di ricollegarsi con Colui che ha trascurato, perché è figlio di qualcosa d’inferiore. Ecco, a questo punto soltanto se Uno discende dall’Alto può salvare l’uomo, ma discenda dall’Alto ad una certa condizione: alla condizione di lasciarsi uccidere; cioè soltanto discendendo dall’Alto Cristo può offrire a quest’uomo inferiore, che è chiuso, staccato da Dio, la possibilità di unione, cioè di ristabilire il colloquio con il Cielo, ma ad una sola condizione: presentarsi morto.

Quindi non è il problema di ristabilire la giustizia con il Padre, con Dio.

Luigi: Se tu osservi, nel piano della creazione, noi abbiamo tutto un processo di interiorizzazione: cioè, si parte da esistenti che sono mossi da cause esterne e si passa via via a esistenti in cui queste cause esterne diventano sempre più vicine e interiori all'esistente stesso, fino ad arrivare all'uomo che è il termine, il vertice di tutta l'opera creatrice, in cui abbiamo la causa che è intima: ora, soltanto a questo punto qui abbiamo l'essere che ha la possibilità di conoscere, perché qui abbiamo la coscienza.

Abbiamo cioè nella creazione un processo di interiorizzazione delle motivazioni: nel campo della materia la causa è sempre esterna; nel campo vegetale ed animale abbiamo già delle cause che pur essendo sempre esterne, trovano un certo riscontro in un’attività interiore; nell'uomo infine abbiamo l'interiorizzazione della causa, della motivazione esterna: il che vuol dire che Dio è venuto ad abitare dentro l'uomo e vuole diventare il motivo della nostra vita, del nostro agire.

Eligio: Ma c’è tutta una teologia che parla di questa giustizia da ristabilire…, per riparare ad un’offesa recata a Dio.

Luigi: Sì, d’accordo, però non è valida. Non possiamo tenere valide queste affermazioni, perché Dio non può essere offeso, perché Dio è un Assoluto che in Sé non può essere offeso. L’offesa avviene nell’uomo. E quando avviene questa offesa nell’uomo?

Avviene quando l’uomo si separa da Dio. Allora, separato da Dio, l’uomo si trova nell’impossibilità di ricollegarsi con Dio. L’uomo non si può ricollegare con una Causa superiore che ha trascurato, perché diventa figlio di una causa inferiore. E questa figliolanza lo condiziona in tutto; perché come noi diventando figli di Dio, viviamo in una certa pace, in una certa luce, in una certa verità e quindi spaziamo liberi, così se noi diventiamo figli di altro inferiore a Dio, ne subiamo tutte le conseguenze. E quali sono queste conseguenze?

Queste conseguenze sono un carico di catene e di preoccupazioni che ci impediscono di alzare gli occhi al Cielo. Trascurando Dio ci chiudiamo in una prigione, e quando uno è chiuso in una prigione si trova nell’impossibilità di evadere, di ritornare nel mondo di prima. Noi non ci rendiamo conto, ma separandoci da Dio ci chiudiamo in una prigione di cui ci viene tolta la chiave per uscirne.

Ora, soltanto se Uno viene dall’esterno, ma dal mondo di Dio, “nessuno può salire in Alto se non Colui che discende dall’Alto”(Gv 3,13), possiamo essere liberati e salvati. Però, il fatto di entrare nella nostra prigione, per l’Altro vuol dire lasciarsi condizionare dalla nostra prigione, cioè lasciarci uccidere. Però, Colui che viene dall’Alto, lasciandosi chiudere nella nostra prigione, quindi assumendo la nostra morte, offre a noi la possibilità di dialogo con Lui morto. Ma Lui morto è sempre Dio; quindi Lui morto ristabilisce il rapporto di unione con la Divinità. Noi avendo esperimentato il nostro delitto col Cristo, esperimentiamo l’errore del nostro io, la colpa che portiamo in noi nell’avere il nostro io al centro, per cui abbiamo ora l’opportunità di ravvederci; infatti questa constatazione ci dà la possibilità di collegarci con la nostra Vittima, perché Egli si è fatto figlio nostro, cioè è entrato nel nostro mondo, si è fatto figlio delle nostre opere; ma, siccome le nostre opere non più amore ma sono delitto, affermazione dell’io, noi affermando l’io su questo Figlio di Dio, constatiamo la morte. “Facciamolo fuori, così l’eredità sarà nostra” (Mc 12,7; Lc 20,14). Il problema è tutto lì; perché chiusi nel nostro io, tutto quello che c’impegna nei riguardi di Dio noi lo facciamo fuori, perché il nostro io è possessivo e ama in modo possessivo, quindi tende ad escludere tutto ciò che lo sollecita ad adeguarsi ad una autorità diversa.

Però uccidendo il Figlio di Dio noi ci troviamo a contatto con l’opera nostra (delitto), con un morto, ma che è sempre Dio. Qui ci viene ridata la possibilità di dialogare con Lui, ed è questo che ci salva.

Eligio: Quale valore può avere, per l’uomo, la constatazione che chi viene messo in Croce, dopo tre giorni risusciterà?

Luigi: Ecco, qui c’è un’altra cosa da tener presente, perché Colui che muore per causa nostra non risorge senza di noi, cioè non risorge se noi non con-moriamo con Lui.

Ecco perché è molto importante capire, di fronte alla Sindone, che la lezione della Passione di Cristo è personale, per ognuno di noi, cioè capire che Lui muore “per causa mia”, perché fintanto che non capiamo questo non entriamo nella dinamica salvatrice. Dobbiamo arrivare a capire che il nostro “io” ha ucciso Lui, che il nostro “io” è delitto, perché soltanto comprendendo questo, noi accettiamo di morire all’“io”; invece prima di arrivare a capire questo, non accettiamo di morire a noi stessi.

Fintanto che in noi c’è anche solo il dubbio che il nostro “io” possa essere valido, che il nostro “io” possa fare qualche cosa di bene, che il nostro “io” si possa affermare, noi non entriamo ancora nel processo della salvezza. Ma Dio, attraverso tutte le lezioni della vita, poco per volta, opera su di noi per portarci, personalmente, di fronte al frutto del nostro delitto, ci porta a constatarlo, per liberaci. Ma constatando questo, siccome nessuno può disgiungere Cristo da Dio, nasce il problema: ma come è possibile? Non riusciamo a giustificare la cosa. Invece riusciamo a giustificarci se facciamo fuori le creature. Magari noi “uccidiamo” (uccidere = far fuori dalla propria vita) tante creature, però sempre con una certa giustificazione, proprio perché queste non sono Dio. Abbiamo sempre delle ragioni, per esempio: “quel tale mi ha fatto un torto; quel tale è un delinquente; quel tale era un concorrente mio, ecc.”; e queste sono le nostre motivazioni.

Ma Cristo invece non Lo possiamo disgiungere da Dio; eppure è morto. Ecco, la problematica nasce lì: come mai è morto?

Cristo è Dio, in nessun modo Lo possiamo “staccare” da questa Verità (come non possiamo staccare la Sindone dal corpo del Cristo). Essendo Lui Dio noi non abbiamo delle ragioni con le quali giustificare il nostro delitto. Certo, possiamo fare gli indifferenti, possiamo scherzarci sopra, fare i superficiali, ma continuiamo a non avere un motivo sufficiente che ci giustifichi.

Di fronte a Dio che ci dice: “Il tuo destino è conoscere Dio”(cf Gv 17,3), noi possiamo alzare le spalle, ma non ci giustifichiamo. E tutti i rifiuti che noi facciamo non giustificati ci mettono in colpa.

Il Cristo, anche morto, non può essere disgiunto da Dio, perché Lui muore proprio per il problema di Dio tra noi. Lui è venuto soltanto per parlare del problema di Dio, non ha trattato nessun altro argomento; per cui non si disgiunge dalla motivazione Divina, eppure il nostro io Lo uccide, ed è lì il momento attraverso cui Lui ci lega a Sé.     

Siccome noi diventiamo figli delle nostre opere, noi uccidendo uno lo facciamo opera nostra; ma come lo facciamo opera nostra restiamo uniti, restiamo legati. Ecco perché noi non possiamo separarci dai nostri peccati. Dal momento che noi facciamo il peccato, quel peccato ci domina; umanamente non possiamo più separarci. Uccidendo noi restiamo uniti alla nostra vittima, perché la nostra vittima diventa opera nostra. Noi diventiamo figli delle nostre opere e non ci separiamo più. Ma Cristo morto in Croce è Dio; quindi con la sua morte ci stabilisce nuovamente in un legame con Lui («Questo è il mio Sangue versato per voi,  per la nuova ed eterna alleanza» Lc 22,20).  Ecco come avviene il processo della salvezza! Egli ci offre la possibilità di essere salvati ristabilendo di nuovo un legame tra noi e la Divinità.

Eligio: Però bisogna avere coscienza di averLo ucciso.

Luigi: Per questo dico che fintanto che noi non arriviamo a quel rapporto diretto: “Lui è morto per me!”, fintanto che non arriviamo a constatare questo, quindi a domandarci: “ma che cosa c’è di me che L’ha ucciso?” noi non ci assumiamo la responsabilità del suo Sangue sparso, quindi restiamo fuori dal processo di Salvezza.

Se invece crediamo a ciò che ci viene annunciato, allora iniziamo ad interrogarci per arrivare a capire: “perché è morto?”; c’è stata la figura di un Pilato che l’ha condannato, c’è stata la figura di un Erode, di un Caifa, di un Anna, di un Pietro, c’è stata la figura di un Giuda; ma cosa significano? cosa rappresentano?

Ecco, allora incominciamo a capire che non sono le figure che interessano, ma sono le motivazioni che hanno mosso queste figure a fare questo delitto; e le motivazioni sono sempre figlie dell’io: il pensiero della carriera, il pensiero dell’orgoglio offeso, il pensiero dell’essere maestri, il pensiero del denaro, ecc.. Ora, sono queste motivazioni che incominciano a farci dubitare di noi, della nostra giustizia, della nostra onestà, della nostra virtù, ecc.; ed è lì che incominciamo a scoprire che Lui probabilmente è morto per qualche cosa che noi portiamo in noi di delittuoso.

Eligio: È arrivare alla consapevolezza del delitto che è difficile…

Luigi: Certo, è quella consapevolezza alla quale è condotto Davide dal Profeta Natan. Infatti Davide uccide Uria, marito di Betsabea, per possedere la sua moglie, ma ritiene di averne il diritto in quanto lui è il Re: “Io sono Re, quindi posso…, ho diritto sui miei sudditi”.

Ma ad un certo momento arriva il Profeta che gli narra una parabola alla fine della quale Davide pronuncia un giudizio di condanna sull’operato di un uomo; al ché il profeta gli dice: “quello che tu condanni sei tu!”:

«Il Signore mandò il profeta Natan a Davide e Natan andò da lui e gli disse: «Vi erano due uomini nella stessa città, uno ricco e l`altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero; ma il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina che egli aveva comprata e allevata; essa gli era cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando il pane di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno; era per lui come una figlia. Un ospite di passaggio arrivò dall’uomo ricco e questi, risparmiando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso, per preparare una vivanda al viaggiatore che era capitato da lui, portò via la pecora di quell’uomo povero e ne preparò una vivanda per l’ospite venuto da lui». Allora l’ira di Davide si scatenò contro quell’uomo e disse a Natan: «Per la vita del Signore, chi ha fatto questo merita la morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non aver avuto pietà». Allora Natan disse a Davide: «Sei tu quell’uomo!…».(2 Sam 12,1-7)

“Sei tu!”. Ecco, tutto quello che è avvenuto è una rivelazione di tutta l’opera che Dio fa con ognuno di noi; cioè il dialogo che fa il profeta Natan con Davide è rivelazione del dialogo che fa Dio con ognuno di noi per condurci alla coscienza del nostro delitto.

Noi ci crediamo innocenti di-, ma Lui attraverso le parabole della nostra vita ci conduce a scoprire il nostro deicidio. Infatti non siamo noi che arriviamo a scoprire di aver ucciso, ma è Dio che attraverso le lezioni della nostra vita, dialogando con noi, ci porta a questa scoperta.

Dio dialoga sempre con noi, anche se noi siamo lontani da Lui; noi siamo in prigione, siamo separati da Lui, ma Lui non è separato da noi. Dio è presente universalmente. Cosa vuol dire questo?

Vuol dire che Dio è libero, quindi essendo libero, la sua Presenza non dipende da noi. Quindi non è che in conseguenza del nostro peccato Lui si separi da noi, no! Siamo noi che peccando ci separiamo da Lui. Dio è presente, è il Presente, ed essendo presente Lui continua a dialogare con ognuno di noi. Ma cosa vuol dire dialogare con noi? Condurre noi nella sua conversazione; e conversare vuol dire portare a toccare con mano qualche cosa. Come fa il Profeta con Davide: conversa con Davide, e conversando lo conduce a toccare con mano: “sei tu!”.

Chi è che ha ucciso il Cristo?

Magari noi ci riteniamo infinitamente lontani, non fosse altro che per i duemila anni che ci separano dal Cristo; ma Dio attraverso la sua opera elimina i duemila anni, e ci conduce su quell’orizzonte in cui ci dice: “sei tu!.

Ma cosa c’è in noi di così delittuoso da portaci addirittura a uccidere Dio?

Ecco, siamo condotti a scoprire che ciò che uccide Dio è il nostro “io” autonomo, cioè l’“io” separato da Dio.

Fintanto che noi non arriviamo a capire questo, non entriamo nel processo della salvezza della morte del Cristo. E siccome il Cristo c’è, presto o tardi noi siamo condotti davanti alla Croce; cioè arriveremo tutti sul Calvario di fronte al Cristo; tutti!

È molto significativa la vicenda di quella donna convertita dal Cristo di Fiesole, quando, in preda alla disperazione, voleva suicidarsi; è rivelatrice di come ad un certo momento noi stessi, magari arrivando di fronte al suicidio, proprio nel momento più critico della nostra vita siamo condotti sul Calvario a fissare i nostri occhi negli occhi del Cristo. È lì che viene la conversione, ed è li che capiamo che la morte che portiamo dentro di noi è la Morte di Cristo, per cui ci sentiamo in sintonia, e allora ci sentiamo uniti. L’unione è già liberatrice. Come tu scopri l’unione con-, già sei libero dalla tua angoscia, quindi svanisce desiderio di non più esistere. Quella donna che prima aveva un tormento immenso dice: “Ho provato una pace infinita”. Ecco, questo è trovare l’Altro!

Ora, fintanto che noi non arriviamo alla convinzione che la morte che portiamo in noi è quella Morte, per cui accettiamo di morire a noi stessi con Lui (“con-morire”  dice San Paolo), non entriamo nel processo di salvezza. Fintanto che noi non impariamo a “con-morire”, Cristo resta lì, appeso a quella Croce, quasi come nostro giudice. Ecco, pur essendo venuto come nostro Salvatore, se non cerchiamo di capire, Lui resta lì; perché è Colui che dice: “non mi hai ancora capito”.

Eligio: Potresti spiegare con altre parole il “con-morire”?

Luigi: Con-morire vuol dire dimenticare noi stessi e tutto il mondo che è in relazione al nostro io, perché il nostro io è legato a tutto un mondo di cui si è fatto centro, e questo con-morire, spiritualmente, è un dimenticare, è un superare, andare oltre.

Eligio: Pensavo invece che il con morire volesse dire stabilire un rapporto di somiglianza, quindi un dover interiormente passare anche noi attraverso le tappe della Passione di Gesù.

Luigi: Proprio ieri sera dicevamo che non dobbiamo stabilire il rapporto di somiglianza; il problema non è cercare di somigliare o di imitare, perché la somiglianza sarà poi una conseguenza che viene da un amore, non da una imitazione. Amando, diventi simile. Nessuno di noi deve farsi il proposito di essere simile ad un tale, perché non potrebbe; altrimenti reciterebbe.

Eligio: Intendevo dire attraverso un processo di amore.

Luigi: E già, ma qual è questo amore? L’amore è morte a noi stessi, perché la sostanza dell’amore è proprio dimenticare se stessi per vivere per l’Altro, per far essere l’Altro: “far essere”. Ecco, vedi che arriviamo al “fare Dio”! Bisogna “fare” Dio.

Ora, il constatare il delitto che portiamo in noi ci unisce alla nostra vittima, a Dio e questa unione col Cristo ci porta a morire a noi stessi e a incominciare a vivere per Dio.

È vivendo per Dio che Cristo risorge, che Lo si ritrova. Ma Egli risorge dopo che noi siamo morti, che abbiamo accettato cioè di dimenticare noi stessi per pensare all’Altro, per pensare a Dio. Pensando a Dio ritroviamo il Cristo Risorto, cioè entriamo nel processo della Salvezza, e inauguriamo una Vita nuova. Qui si inaugura una Vita nuova; ed è una vita non più vissuta nel pensiero dell’io, ma vissuta nel Pensiero di Dio. Ecco, qui adesso l’io è morto.

A questo punto abbiamo la creatura che incomincia a diventare pensiero di Dio. Ecco, la creatura che ha accettato di morire a se stessa nasce come pensiero di Dio, e qui siamo nell’Amore; perché amare vuol dire pensare all’Altro, diventare pensiero dell’Altro. Diventando pensiero dell’Altro si diventa simili all’Altro, ma ripeto: “è l’Altro che mi fa simile a Sé”. È Dio che ci fa simili, ma ci fa simili (“…a immagine e somiglianza” Gen 1,26) nella misura in cui guardiamo a Lui. Più guardiamo a Lui e più cresciamo a Sua immagine; ma è Lui che ci fa.

Noi non dobbiamo avere il proposito di essere simili a Dio; il problema di Adamo e di Eva è proprio stato quello: “…sarete simili a Dio” (cf Gen 3,5). Ecco l’errore! Porre cioè la somiglianza prima dell’amore, disgiunta dall’amore. Allora abbiamo il problema del demonio; il demonio vuole essere simile a Dio; egli si propone di essere simile. No! il problema non sta nell’essere simile. Chi ti fa simile a Dio è Dio; ma solo se tu ami Dio, cioè se tu diventi tutto pensiero di Dio. Infatti noi siamo destinati a diventare tutto pensiero di Dio, diventando in tal modo figli di Dio. Il Figlio di Dio è tutto Pensiero del Padre. Ecco, è proprio questo essere tutto Pensiero del Padre che fa simile al Padre.

Nei versetti seguenti di questo capitolo troveremo: “Il Padre ama il Figlio e gli mostra tutto quello che fa”(Gv 5,20): ecco l’amore che Lo fa simile. È Dio che creando fa simile. “Facciamo l’uomo…”, ed è un “facciamo” che non è avvenuto un tempo, ma è un “facciamo” eterno. Per cui la creatura eternamente si riconosce fatta dal Padre; quindi non è la creatura che vuole essere simile a-, ma è il Padre che la fa simile a Sé; e qui nella creatura abbiamo questa dipendenza totale: è tutta dipendente da-.

Teresa: La creatura è fatta ma non finita, cioè…

Luigi: No! Non è fatta. È un “facciamo” continuo, cioè ogni giorno il Signore dice: “facciamo l’uomo”. Noi siamo in formazione; e bisogna mantenerci in questa situazione di formazione.

Ora, cosa vuol dire mantenerci in situazione di formazione?

Vuol dire mantenerci in questo rapporto di dipendenza; cioè bisogna sempre pensare Lui, perché pensando Lui siamo fatti da Lui. Allora l’anima di questo sta nell’unione con il Pensiero dell’Altro, sta nel portare in noi il Pensiero dell’Altro, e non avere il pensiero del nostro io.

Quindi, fintanto che noi siamo nel pensiero dell’io, sollecitiamo la morte del Cristo, annunciamo la morte del Cristo, consumiamo la morte del Cristo, fintanto che Lui ci conduce sul suo Calvario (soli con Lui solo) a dialogare la sua morte, a toccare con mano il frutto del nostro io.

Teresa: ­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­Lui non ci salva senza la nostra partecipazione.

Luigi: La nostra partecipazione sta nel “sempre guardare Lui”; cioè: guardando Lui che ci sta facendo, noi partecipiamo. Egli ci sta facendo; noi non siamo ancora fatti, siamo in gestazione, siamo nel seno della madre, quindi non siamo ancora nati. Ecco, noi dobbiamo soltanto sempre mantenerci attenti a Lui che ci sta facendo, non dobbiamo voler essere  autonomi, non dobbiamo voler essere noi a farci.

È Lui che ti sta facendo, quindi mantieniti esposta alla sua Luce, mantieniti esposta al suo sguardo, lascia fare a Lui; allora, accetta tutto quello che ti capita perché in tutto c’è la sua Mano che ti sta facendo: ti sta facendo!

Dio non ci “fa” soltanto attraverso fatti interiori, ma Egli ci sta “facendo” attraverso tutto quello che accade anche esteriormente, perché tutto è opera sua. Quindi tutti gli avvenimenti che accadono intorno a noi, anche le notizie che giungono a noi da lontano, rappresentano la “mano di Dio che ci sta facendo”. È per questo che il punto fondamentale della fede è quello di accogliere tutto dalla mano di Dio. Quindi non respingere niente, non rifiutare niente, perché tu rifiuteresti proprio quel colpo di pennello o quel colpo di scalpello dell’Artista attraverso il quale ti sta disegnando, ti sta facendo. Quindi non respingere nulla perché in tutto c’è la mano di Dio che ti sta facendo. Lasciati fare. È Lui che ti conduce, non sei tu che devi camminare. Lui sa.

L’importante quindi è mantenerci aperti a Lui, e non chiuderci. E per non chiuderci bisogna evitare tutto quello che procede da noi autonomamente: ad esempio le parole inutili, le parole vane, cioè tutto quello che nasce da noi separato da Lui.

A causa della nostra superficialità noi riteniamo che una parola detta o non detta sia niente, ma in realtà una parola fa precipitare un universo. Noi non ci rendiamo conto, ma una parola sola fa precipitare un universo. È che noi giudichiamo secondo la nostra materialità, la nostra grossolanità; infatti a noi sembra che un elefante sia molto più importante di una formichina, ma agli occhi di Dio le cose sono molto diverse. “Le tue parole ti giustificheranno e le tue parole ti condanneranno”, dice Gesù (Mt 12,37).

“Le tue parole…”. Ecco l’importanza, il peso di una parola! Dio ha fatto tutto l’universo con la sua Parola.

Noi non ci rendiamo conto dell’importanza enorme del nostro parlare, come anche dell’importanza dei nostri pensieri. Noi diamo molta importanza alle nostre azioni: se metti una bomba sotto un edificio sembra che tu abbia fatto chissà che cosa…, forse agli occhi di Dio quello è niente, o meglio: è opera sua, una lezione per noi. Se invece dici una parolina o se hai anche solo un pensiero non secondo Dio, lo riteniamo niente,  ma invece agli occhi di Dio ha un valore enorme: è questa la vera bomba; e questo perché un semplice pensiero muove tutto.

Ora, pensa che è bastato un semplice pensiero per rovinare tutta l’umanità: “sarete simili a Dio”. È bastato questo semplice pensiero per rovinare tutto.

Siccome diventiamo figli delle nostre opere, basta un “semplice” desiderio, un “semplice” pensiero nostro, una “semplice” parola nostra, staccata da Dio, che quella ci chiude in prigione; e abbiamo già bisogno che Cristo venga a morire per noi, per quella “semplice” parola. Agli occhi nostri è una “semplice” parola, ma in realtà ha sconvolto tutta la nostra vita, al punto che abbiamo già bisogno del sacrificio del Cristo, della morte Cristo, perché quella già ci ha separati da Dio. E una volta che si è separati da Dio noi precipitiamo sempre di più. Infatti se non siamo stati capaci a restare uniti a Dio nella condizione ottimale, quando non c’era ancora niente di nostro, pensiamo quando incomincia ad esserci qualche cosa di nostro, quindi quanto per noi diventi difficile, cioè assurdo, impossibile ristabilire l’unione con Dio.

Solo Dio può ristabilire l’unione con noi. Ma a quale prezzo?

Al prezzo della sua Morte; non può essere in modo diverso. Quindi la sua Morte non è per soddisfare Dio, ma è per ristabilire nella nostra rovina un’unione con Lui. Perché Lui resta continuamente unito a noi, anche se noi siamo nella rovina. Siamo noi che ci troviamo nell’impossibilità di ristabilire l’unione con Lui, perché tutte le volte che facciamo un tentativo per riunirci con Dio, per ricollegarci con Dio, per pensare Dio, siamo continuamente ricacciati giù dalle nostre opere; e non possiamo salire, perché il pensiero di tutti i frutti del nostro io ci ricaccia continuamente giù. Ecco, noi tocchiamo con mano questa impotenza.

Si resta invece uniti con la morte di Dio. È una cosa importantissima questo concetto della Morte di Dio tra noi, perché Lui morto è ancora sempre il Dio tra noi; ma Lui morto è ormai opera nostra. È questo il concetto che va capito: Dio morto non è più opera di Dio, ma è opera nostra; si è fatto figlio nostro (Cristo si definisce “figlio dell’uomo”). Ora, siccome diventiamo figli delle nostre opere, Lui morto, essendo opera nostra, ha ormai stabilito un’unione indissolubile con noi, come noi restiamo indissolubilmente uniti a quello che facciamo. Quindi Dio morendo per causa nostra stabilisce un’unione indissolubile e attraverso questa unione indissolubile ci ridà la possibilità del dialogo con Lui: ecco la salvezza che ci offre.

Eligio: Ma questa unione indissolubile esiste soltanto quando si ha la consapevolezza di essere gli uccisori di Cristo?

Luigi: Sì, certo, è questo il punto. Intanto Lui ormai, essendo stato  ucciso, appartiene al nostro mondo; cioè essendosi fatto “figlio dell’uomo”, ed avendo noi verso di Lui fatto qualche cosa, ormai appartiene al nostro mondo; noi possiamo anche non renderci conto, ma ormai Lui è lì.

Io posso non rendermi conto di aver fatto un guaio, però ormai il guaio c’è, e presto o tardi sarò costretto a fissare gli occhi in quel guaio, perché c’è, è la realtà, ormai è entrato nel mio mondo, e una volta che è entrato appartiene.

Ora, perché Dio sia entrato nel nostro mondo è necessario che noi L’abbiamo fatto opera nostra; e noi L’abbiamo fatto opera nostra, perché ad un certo momento ci è convenuto farLo opera nostra, non fosse altro che per ucciderLo. Ci è convenuto ucciderLo, per liberarci: “per aver l’eredità”, per avere il possesso della “vigna”; ci è convenuto, ma noi non ci siamo resi conto che uccidendoLo per convenienza, L’abbiamo fatto opera nostra, e facendoLo opera nostra, Lui ci ha legati a Sé.

Noi non possiamo più staccarci dal delitto. Chi uccide è legato alla sua vittima.

Eligio: È comunque un passaggio di una grande profondità…

Luigi: Sì, noi da soli assolutamente non possiamo arrivarci, perché è il Profeta, quindi la Voce di Dio, che parlando a noi ci conduce, poco per volta, a questa constatazione. “Sei tu che hai fatto quello;  per cui Lui è morto per te”;  e non ne usciamo di lì. Però non deve essere un processo mentale che dobbiamo fare noi, ma è Dio che ci conduce lì, che ci conduce a constatare questo delitto. Lui è morto per te, quindi sei tu che hai fatto questo; ecco, adesso arrangiati, sii conseguente…; il Signore dice: “adesso te l’ho fatto toccare con mano”; cioè, il Profeta una volta detto: “sei tu quell’uomo”, ha svolto la sua funzione.

Eligio: Mi sembra molto più chiaro per Davide, di quanto non lo sia invece per noi; eppure è necessario giungere a questa presa di coscienza.

Luigi: Ma anche lì, vedi, dobbiamo sempre tener presente che tutto quello che è avvenuto, non è avvenuto per Davide, perché Davide sono io, Davide è ognuno di noi; quello che è avvenuto è rivelazione di quello che avviene nella vita di ognuno di noi, perché altrimenti non sarebbe avvenuto. Quello che Dio ha fatto, lo ha fatto per ogni uomo; perché in ogni uomo che viene dopo, si riassume tutta l’opera di Dio. E tutta l’opera di Dio precedente è rivelatrice all’uomo dell’opera stessa di Dio.

Eligio: Tutto quello che Dio ha fatto, L’ha fatto per noi, per rivelare la nostra situazione interiore rispetto a Lui; ma questo solo nel male o anche nel bene? Si parla di Davide, si parla dei delitti, e tutto si riassume in noi…

Luigi: Tutto! Anche la Madonna, anche il Cristo.

Cina: Anche i lavoratori della vigna?

Luigi: Certo, tutto è lezione personale per ognuno di noi, anche questa parabola dei lavoratori della vigna.

«“Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?”. Gli rispondono: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. E Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartata  è diventata testata d’angolo;             dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare. Chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà» (Mt 21,33-46).

Anche questa parabola, come tutte le parole di Dio, va intesa in chiave personale. Invece generalmente si dà ad essa questa interpretazione: “quella vigna rappresenta il popolo ebreo, invece noi siamo venuti dopo, quindi noi siamo quelli che sono subentrati. Cristo è la pietra scartata dal popolo ebreo, ecc.” , ma non è così! Tutta l’opera che Dio fa, la fa per ognuno di noi, perché Lui opera per salvare. E la salvezza è personale. Non si salva un popolo ma la persona. Non dobbiamo allora condannare il popolo ebreo come scartato da Dio e pensare che un altro popolo (noi) sia ora subentrato a quello. No! Il popolo ebreo è un popolo graditissimo a Dio, dice S. Paolo. Perché ora Dio dovrebbe preferire noi, il nostro popolo, al popolo ebreo? Non è mai il popolo che manca, ma è la persona che manca. Dio dialoga e parla con ognuno di noi, e adopera il popolo come scena, cioè adopera il popolo per rappresentare la situazione della nostra anima in rapporto a Lui. Quindi il popolo ebreo è stato un popolo di attori per ogni uomo; e non per l’umanità, ma per ogni uomo.

Quindi quella “vigna” è una lezione personale per ognuno di noi, perché ognuno di noi, ad un certo momento, preferisce avere “l’eredità” piuttosto che avere il Signore. Allora diciamo: “facciamo fuori Dio e così possiamo finalmente occuparci di quello che vogliamo noi: dei nostri interessi, dei nostri affari, ecc.”, cioè di questi  prodotti dell’io staccato da Dio. Noi vogliamo fare fuor Dio dalla nostra vita perché almeno non abbiamo più uno che ci contesti.

“Facciamolo fuori”, perché così non abbiamo più uno che ci viene continuamente a chiedere i “frutti”, cioè che ci viene a sollecitarci dicendoci: “ti devi occupare di Dio”.

“Facciamolo fuori”, dimentichiamolo! Fu questa la gioia di Simone de Boudoir (…una filosofa), che il giorno in cui riuscì a far fuori Dio provò una grande felicità, una grande gioia. “Mi sono liberata”, disse, perché il pensiero di Dio era per lei un disturbo, un pungolo nella sua vita. Riuscendo a liberarsene (“non faccio più conto di Lui”), potè seguire ciò di cui era interessata.

Così facendo non ci accorgiamo di quello che succede: non ci accorgiamo di inaugurare la nostra morte. “Facciamolo fuori, così la vigna sarà nostra”. Invece no! perché proprio facendoLo fuori perdiamo la “vigna”.

Noi crediamo di far fuori Dio e di possedere la terra, ma la condizione per possedere la terra è proprio quella di avere Dio. La terra si può possedere soltanto guardando il Cielo. Noi diciamo: “non guardiamo il Cielo così avremo la terra”, ma così facendo noi perdiamo il Cielo e perdiamo la terra.

Ecco, dobbiamo capire bene che ogni fatto è una lezione, ma una lezione personale per ognuno di noi. Allora, come a Davide che riteneva di aver raggiunto il suo scopo, venne il Profeta (il Profeta rappresenta la Voce di Dio) che con la sua parola lo fa crollare dalla sua tranquillità, così anche a noi quando crediamo di aver raggiunto il nostro scopo arriva il Profeta: ci arriva la Voce di Dio che ci sconvolge tutto. Ecco, proprio il giorno in cui tu dirai: “finalmente sono in pace”, incomincia ad affacciarsi la tragedia nella tua vita. Perché?

Perché Dio interviene. Dio manda la sua Voce, la sua Parola per dire: “guarda che quel tale che condanni sei tu!”. Così fu per i Farisei: essi ritenevano che i vignaiuoli della parabola andavano messi a morte; ma Gesù disse loro: quei vignaiuoli siete voi!. Ecco come la Parola di Dio porta a constatare la realtà: “sei tu!”. 

Ora, quello che è avvenuto è rivelazione per farci capire quello a cui ci conduce la Parola di Dio nella nostra vita. La Parola di Dio nella nostra vita ci conduce a constatare questo: “Vedi? quello sei tu! Quello che tu vedi, la morte del Cristo, è il prodotto tuo. Il Cristo morto è per te!” . Dio opera per farci toccare con mano questa verità. Ma perché ci conduce a costatare il “sei tu che hai ucciso Cristo!”?

Dio ci porta a constatare il nostro deicidio per liberarci. Infatti Dio non opera per svergognarci, Dio non opera per rovinarci, ma Dio opera per salvarci. E siccome è necessario passare attraverso questa morte del nostro io (ecco il con-morire), Dio opera per farci toccare con mano che quello che noi crediamo vita è morte per noi. Quell’io che noi curiamo tanto è motivo della nostra rovina, è la causa a motivo della quale noi abbiamo interrotto il dialogo con Dio, quindi con la Vita Eterna. E allora Dio, attraverso le sue parole, conducendoci a toccare con mano questo, ci libera, perché per liberarci deve convincerci, altrimenti noi non ci liberiamo. Fintanto che noi non siamo convinti di un certo male che portiamo addosso, noi non ci preoccupiamo di liberarci. Il giorno in cui siamo convinti allora ci diamo da fare.

Ora, Dio opera per portarci a questa convinzione.

Quindi Dio non opera per ristabilire un senso di giustizia in senso astratto, per ristabilire quell’equilibrio… No! Egli opera per la Salvezza perché qui siamo in una situazione di morte. Gli uomini stanno morendo, si stanno rovinando. Morire vuol dire perdersi eternamente. Ecco, Dio interviene per salvare l’uomo; ma per salvare l’uomo deve farsi figlio dell’uomo, perché l’uomo conosce solo più le sue opere. Quando uno è preso soltanto dal problema del suo io, c’è una sola soluzione per interessarlo: intervenire nel suo io, intervenire nei suoi argomenti, perché fintanto che uno gli parla di altri argomenti, questi è staccato e non può capire, perché è soltanto preso dal problema del suo io. Ma entrare entrare negli argomenti dell’io, cioè il farsi figlio di-, farsi oggetto dei suoi interessi, vuol dire praticamente lasciarsi uccidere, farsi figlio dell’altro. Per Dio è un lasciarsi uccidere, perché si sottomette all’“assoluto” dell’uomo, alla “divinità” dell’uomo, alla volontà dell’uomo. Si fa figlio dell’uomo. Tu pensa: il Dio che è Padre di tutti si fa figlio dell’uomo, per salvare l’uomo!

Eligio: Forse la difficoltà sta nel fatto che noi diamo molta più importanza all’azione esteriore che non al pensiero. Sul piano teoretico non è difficile pensare al deicidio, ma sul piano pratico sembra una mostruosità impossibilie. Ecco, l’errore nostro sta nel sopravalutare l’azione esteriore e dare molto meno peso al pensiero.

Luigi: Sì, noi sopravalutiamo sempre l’azione esterna, però lì è presto capito l’errore che facciamo, perché di fronte a qualcuno che ci dice: “sei tu che hai ucciso il Cristo”, noi diciamo: “ma no, io sono lontano duemila anni dal Cristo, come faccio ad aver ucciso il Cristo”. Vedi allora che ci sono dei valori completamente rovesciati rispetto a Dio.

Rina: Allora noi dobbiamo coltivare questo complesso di colpa?!

Luigi: No! È Dio che ce lo coltiva questo complesso di colpa.

Noi dobbiamo soltanto sapere che Dio ci condurrà a toccare con mano, anche se attualmente non possiamo accettarlo, che noi siamo colpevoli del Sangue di Cristo. Dobbiamo sapere che dovremo arrivare a questa consapevolezza (ed è Dio che ci conduce), perché soltanto lì, scoprendo questo, noi incominciamo a superare, a morire a noi stessi, quindi a superarci e a vivere per l’Altro.

Quindi in Dio i valori sono rovesciati: umanamente parlando è assurdo che noi siamo colpevoli di quel Sangue, perché siamo infinitamente lontani da allora. Eppure il Signore ci fa capire, e ce lo dice in tutti i modi, che noi siamo legati a quella morte. Allora vedi che ci sono dei valori che sfuggono a noi? Perché se guardiamo le cose dal punto di vista umano diciamo: “no, è assurdo, io non ho ucciso nessuno”; eppure un giorno Dio ci farà capire che noi abbiamo ucciso Qualcuno; addirittura abbiamo ucciso suo Figlio.

Quindi la Realtà più imponente, più grande a noi sfugge. Noi diamo molto valore, molta importanza a delle cose materiali, a delle azioni fatte o non fatte, e diamo pochissima importanza alle parole, ai pensieri. Invece il vero mondo si svolge nel campo dei pensieri, nel campo delle stesse parole. È lì che noi riveliamo se siamo fedeli a Dio oppure no, se noi uccidiamo Dio oppure no.

Pinuccia B.: Comunque la problematica della necessità, dopo il peccato della Morte di Cristo per la nostra salvezza, è legata al fatto che l’uomo, proprio perché è fatto per conoscere Dio, ha una natura speciale, fatta apposta per questo suo destino.

Luigi: Sì, l’avere in sé il motivo del proprio vivere è un dono granDioso perché è ciò che ci fa coscienti, ma è anche un rischio tremendo, perché ci può separare eternamente da Dio. Il fatto di avere in noi stessi i motivi del nostro vivere ci può unire eternamente a Dio, ma ci può separare eternamente da Dio, se il motivo che portiamo in noi è diverso da Dio, perché diventiamo figli di esso. Il motivo che portiamo in noi è nostro padre.

Pinuccia B.: Però l’avere in noi la motivazione del nostro agire è l’unica condizione per essere coscienti e conoscere Dio.

Luigi: Bisogna però essere sempre motivati da Dio, perché bisogna avere Dio come Padre. E dobbiamo vigilare, perché noi abbiamo sempre in noi il motivo di quello che facciamo; anche quando noi parliamo a vanvera, siamo fasulli, abbiamo ancora in noi il motivo. Noi siamo sempre motivati.

Pinuccia B.: Ma questo però è solo dell’essere razionale?!

Luigi: Certo, è solo dell’essere uomo, persona. La caratteristica della persona è quella di avere in se stessa la ragione di quello che fa. L’essere impersonale invece è sempre motivato da fatti esterni. Ecco perché quando noi siamo motivati da fatti esterni ci sentiamo offesi; il principio di autorità esterno ci offende, perché viene dal di fuori, non l’abbiamo dentro.

Comunque ciò che va tenuto molto presente è questo: se noi abbiamo un motivo diverso da Dio, quello ci può separare eternamente da Dio. Invece se abbiamo Dio come motivazione, niente ci può separare da Lui. Per cui il fatto di avere in noi stessi il motivo del nostro vivere, del nostro agire, del nostro pensare, delle nostre scelte, può diventare motivo di unione eterna, ed essendo eterna è capace di superare qualsiasi altro argomento. Ma può anche diventare motivo di rovina eterna, di distacco eterno.

È ciò che portiamo dentro di noi che determina tutto. È per questo che non c’è niente nell’ambiente che possa condizionare le ragioni intime, che portiamo dentro di noi (cf Mt 15,11). Tanto è vero che quando uno ha un amore, riesce a reggere tutte le ragioni esterne. Questo lo si può vedere in una stessa famiglia dove i figli, quando hanno un amore, riescono a superare tutte le difficoltà della famiglia stessa per realizzarlo. Perché le ragioni che abbiamo in noi superano tutto; e questo ci fa capire che l’unione che si stabilisce diventa eterna, cioè vince tutte le altre ragioni. Ma proprio per questo, se la ragione che abbiamo in noi è Dio, questa vince tutte le altre ragioni e l’unione con Lui è Vita eterna; ma se non è Dio, proprio perché la ragione che portiamo in noi vince tutte le altre ragioni, questa può separarci eternamente da Dio e portarci nella morte eterna.

Pinuccia B.: Quindi la ragione della necessità della morte del Cristo per essere salvati è molto più profonda, e non è certamente per soddisfare la giustizia divina o per espiare o riparare un’offesa.

Luigi: Quella è una teologia che viene dal Medio Evo, ma è per far capire a noi la gravità del male che portiamo in noi quando siamo autonomi e quindi l’importanza di morire al nostro io. 

Eligio: Eppure sovente si sente dire che il Figlio di Dio ha espiato tutte le nostre colpe. Ma allora, se così fosse, che parte può avere l’uomo nel processo di salvezza?

Luigi: Quel “espiare” da parte di Cristo (di cui parla anche S. Paolo) va inteso come un darci la possibilità della salvezza: possibilità, perché Colui che muore per causa nostra non risorge senza di noi.