Riassunti Gv 5 Vs
1-14
Argomenti: Mantenere unita la creazione al pensiero di Dio. Le due acque. Entrare nel Tempio vuol dire riconoscere che tutto viene a noi da Dio. Dio smonta i nostri falsi assoluti. Il Tempio è il luogo in cui tutto dipende da Dio. Affermare la parola di Dio. La persona e la regola.Il rapporto
d’amore.
30/Aprile/1978
Lettura dei
Riassunti di febbraio:
Pinuccia:
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Inc. 116 Gv.
5,1: “Gesù sali’ a Gerusalemme”:
passaggio dalla Galilea a Gerusalemme, passaggio dall’esteriorità
all’interiorità.
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Inc. 117 Gv.
5, 2: “A Gerusalemme vicino alla
porta delle pecore c'è una piscina”: Cristo è la porta delle pecore, per
cui per entrare nella città di Dio bisogna passare per mezzo di Lui.
-
Inc. 118 Gv.
5, 3: “Giaceva una grande folla di
malati sotto i portici della piscina in attesa del movimento dell’acqua”.
(Incontro n. 118 del 5/2/78). Perché tutta questa gente malata alle porte di
Gerusalemme? La fonte di ogni malattia umana è la vita non vissuta, cioè è
l'interruzione sul cammino della vita. Quando non si va avanti sul cammino
della vita si diventa malati. Ma il cammino della vita passa per la porta delle
pecore, cioè esige il superamento di se stessi. Qui è la grande difficoltà che
arresta ogni uomo. È per questo che si trova tutta questa folla di malati alla
porta di entrata nella città di Dio. Acqua in movimento e acqua stagnante. In
Dio l'acqua è sempre viva e dà vita. Quanto più ci allontaniamo da Dio, tanto
più l'acqua si fa stagnante e non dà più vita. L'uomo nel pensiero del suo io
degrada, pianifica, priva di vita ogni cosa, la rende vecchia fino a rendere la
vita insignificante e insopportabile.
Luigi: Qui bisogna precisare
che l'acqua è il segno di tutta l'opera di Dio. Quindi tutta l'opera di Dio
presso Dio è sorgente di vita per noi, è acqua sorgiva, vicino alla sorgente,
fresca, dà vita; staccata da Dio, separata. Quindi l'opera di Dio unita a Dio è
motivo per noi di vita; staccata da Dio, separata da Dio, diventa motivo di
morte. Se noi consideriamo tutte le opere di Dio, anche le stesse parole del
Vangelo nel pensiero del nostro io, queste diventano acqua stagnante, non danno
più vita, perché le interpretiamo nel pensiero del nostro io. Tutte le opere di
Dio vanno sempre tenute unite a Dio. Dice Gesù: “L'uomo vive di ogni parola che procede dalla bocca di Dio”, che è
mantenuta unita a Dio, vista da e con Dio. L'uomo non deve mai separare le
opere dall’Operatore, la Parola da Colui che le pronuncia. Allora se noi
manteniamo tutte le opere di Dio (quindi anche tutta la creazione), tutti gli
avvenimenti), unite a Dio, tutte cooperano alla vita. Quindi è molto importante
tener sempre presente che tutto è opera di Dio e che in tutto c'è la sua
Presenza. È molto importante perché ci mantiene uniti al Pensiero di Dio. Unite
al Pensiero di Dio, tutte le cose arrivano a noi, arrivano cariche di vita: è
acqua che dà vita. Se invece ci allontaniamo da Dio, cioè trascuriamo Dio,
dimentichiamo Dio, allora tutte le cose le vediamo per quello che ci possono
essere di utilità, per quel che ci possono piacere, per quel che ci convengono,
ma questo diventa acqua stagnante che non dà più vita. Noi ci crediamo vivi, ma
proprio credendoci vivi, incominciamo a morire. La nostra vita è Dio e più ci
manteniamo uniti a Dio è più la vita scorre in noi. Se invece ci crediamo
viventi da soli, vuol già dire che abbiamo aperto la nostra tomba, stiamo già
morendo. E allora anche tutte le cose contribuiscono ad affossarci. Noi in un
primo tempo andiamo alla ricerca della novità, di avvenimenti; giriamo il mondo
credendo di attingere vita da questo e non ci accorgiamo che ormai stiamo morendo
dietro a dei cadaveri. Il fatto stesso che abbiamo bisogno di novità è già
segno che dentro di noi portiamo la morte, perché Dio è la vera novità. Dio è
una novità continua per noi, perché ci impegna sempre al superamento di noi
stessi. Dimenticando Dio facciamo entrare la morte dentro di noi; allora
sentendosi morire abbiamo bisogno di avvenimenti nuovi, di incontri nuovi; ma è
un errore perché stiamo correndo dietro
a dei segni che non possono darci vita. La vita è dentro: dobbiamo ritrovare la
nostra vita dentro di noi, nell’anima appunto, entrare nella Città di Dio,
perché la vita viene da Dio e non dalle cose. Ecco allora questa diversità di
acque:
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acqua che dà vita
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e acqua stagnante che invece è motivo di morte.
Quando noi non entriamo
nella città di Dio, ci apriamo a questa stagnazione di acqua attorno a noi; per
cui tutte le cose diventano monotone, noiose, non più vive.
Pinuccia:
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Gv. 5,4: “Di tanto in tanto l'Angelo agitava l'acqua
e il primo che si buttava era guarito”. (Incontro 119 del 12/2/78).
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L'agitazione a intermittenza dell’acqua della
piscina.
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La malattia deriva dall’arrestarsi alle
soglie dell’invisibile, del mistero. È arrestarsi alle porte di Gerusalemme.
L'acqua agitata dall’angelo rappresenta la Parola di Dio che nell’uomo malato
giunge solo di tanto in tanto. Ma se Dio parla in tutto, come è possibile che
parli di quando in quando? Dio parla in tutto nel suo Verbo, e le pecore di Dio
ascoltano sempre e quindi in tutto la sua voce. Ma quanto più uno è lontano da
Dio, tanto più la Parola di Dio si fa rara. Per ascoltare ci vuole il silenzio
di tutto il resto. Dio opera conducendo l'uomo nel deserto per fargli udire la
sua Parola. Il deserto rappresenta allora un culmine dell’opera di Dio tra noi
per convincerci a fare attenzione a Lui: e può essere una morte, una rovina, un
Calvario. Essendo un culmine, si presenta di quando in quando: è il movimento
dell’acqua ad intermittenza. Il gettarsi per primo (cfr. l'Angelo che passa in
Egitto e gli Ebrei che devono essere pronti a partire). Bisogna vegliare nella
notte per essere pronti ad aprire non appena giunge il padrone: si getta per
primo colui che ritiene il problema di Dio come la cosa più importante, ciò che
lo deve impegnare prima di tutto.
Luigi: Ecco, quel gettarsi
per primo vuol dire mettere Dio prima di tutto. Perché anche se noi
abbandoniamo Dio, Dio non ci abbandona. In quanto non ci abbandona, continua ad
annunciarsi anche fuori del Tempio, anche nella nostra dispersione. In quanto
si annuncia ci chiama alla sua Presenza, per poter conoscere il suo Volto, è
necessario essere dentro al Tempio. La Presenza non è opera della creatura ma è
dono del Creatore. Abbiamo l'evidenziazione di questo anche tra noi: una
persona per quanto la desideriamo, se non viene a noi, non si rende presente a
noi, non è il nostro desiderio che possa renderla presente. La presenza è
sempre un dono, un dono libero della persona stessa. A molto maggior la
presenza di Dio è un dono, ed è un dono libero di Dio. Ora questo dono libero
di Dio presuppone nella creatura l'entrata nel Tempio.
Entrare nel Tempio
significa riconoscere che tutto dipende da Dio.
Siccome la presenza è
un dono di Dio, se noi non accettiamo che tutto venga a noi come dono di Dio,
se noi non accettiamo che tutto venga a noi come dono e dono libero di Dio, ci
mettiamo nella condizione di impossibilità di accogliere la sua Presenza. La
Presenza essendo dono libero di Dio presuppone che la sua creatura riconosca
che se riceve la presenza, la riceve come dono libero di Dio e non come effetto
del suo desiderio, della sua volontà, della sua fede.
Per questo, entrare nel
Tempio vuol dire: riconoscere che tutto viene a noi da Dio, rendere tutto
dipendente da Dio. fintanto invece che riteniamo che qualcosa dipenda da noi,
dalle creature, dalla natura, dal caso, siamo fuori del Tempio e quindi
nell’impossibilità di vedere la Presenza di Dio.
Fuori del Tempio si
annuncia ma non di rende presente.
Ora, annunciare cosa
vuol dire? Vuol dire: “Guarda che Io ci
sono!”. E come Dio dice a noi: “Guarda
che Io ci sono?” smontando tutte quelle sicurezze che noi costruiamo.
Ci smonta tutti i
nostri rapporti di dipendenza che noi errati che noi poniamo.
Noi per natura siamo
dei costruttori di dipendenze da assoluti; facciamo assolute
tante cose: la salute, il denaro, la carriera, la creatura, ecc., e Dio smonta
tutte queste nostre sicurezze, continua a smontare tutti i nostri assoluti.
Questo è l'annuncio di Dio; per cui ci accorgiamo che nella nostra vita c'è una
volontà diversa dalla nostra che opera: le cose non avvengono come vorremmo
noi, cioè non avvengono secondo ciò su cui noi abbiamo fatto conto.
Ho fatto conto, ho
riposto la mia sicurezza sul denaro? Dio mi convince, mi fa toccare con mano
che il denaro non mi basta per avere per avere quella sicurezza. Infatti quando
io vado dal denaro per chiedere quella sicurezza su cui avevo fatto conto, Dio
mi dimostra che quella sicurezza non c'è.
Ho fatto conto sulla
creatura? Dio mi fa toccare con mano che quella creatura su cui ho fatto conto
non mi può dare quella sicurezza che voglio. Ecco, Dio smonta in continuazione
questo. E cioè ci fa toccare con mano l'esistenza di un’altra Volontà che opera
nella nostra vita.
E quindi ci richiama,
ci offre la possibilità di alzare il nostro sguardo a Lui; anche se questo non
basta perché non è evidenziazione di presenza. Ricevendo gli annunci della presenza di un Altro
essere, di un Assoluto diverso da quello che noi crediamo, se Lo mettiamo prima
di tutto, ci gettiamo nell’acqua, al suo movimento.
Pinuccia: E si è guariti.
Luigi: Sì, allora si è
guariti, perché gettandoci nell’acqua, cioè mettendo Dio prima di tutto, si
entra nel Tempio.
Teresa: Se ho capito bene la
malattia è la vita non vissuta.
Luigi: Sì, è così.
Teresa: Però va intesa come
malattia spirituale, perché non per tutti le malattie fisiche sono così.
Luigi: La malattia è un
segno.
Teresa: Infatti quando
chiesero a Gesù se era quel cieco o i suoi genitori che avessero peccato, Lui
risponde: “Né Lui, né i suoi genitori, ma
è così perché si manifesti la gloria di Dio”.
Luigi: Sì, tutto avviene per
la gloria di Dio, anche la malattia. Anche tutti questi malati sono per la
maggior gloria di Dio. cioè se Dio ci fa toccare con mano la nostra malattia,
lo fa per salvarci, non lo fa per condannarci. Tutto quello che avviene è per
salvarci.
Pinuccia: Farci toccare con mano
la malattia nostra spirituale vuol dire evidenziarla nella malattia fisica?
Luigi: È un segno per la
nostra riflessione.
Pinuccia: Ma quella che conta è
la malattia spirituale.
Luigi: Certo, l'altra è un
segno che, più che altro, serve per gli spettatori, più che per la persona
interessata, anche se questa è fatta spettatrice di se stessa. Comunque tutto
quello che accade nella nostra vita, lo dobbiamo sempre accogliere dalle mani
di Dio per la nostra salvezza.
Quindi Dio tutto quello
che ci fa giungere, anche fisicamente nel nostro corpo, ce lo fa giungere non
per punirci, non per condannarci, ma per salvarci. E sempre un disegno di
misericordia da parte di Dio, e quindi per la sua maggior gloria in noi. Non è
che Dio abbia bisogno della maggior gloria per Sé, ma per la creatura, affinché
la creatura partecipi di questo. La vita è un cammino che conduce alla Città di
Dio; però per entrare nella Città di Dio si passa attraverso la porta delle
pecore, che è il Cristo. Questa porta pone come condizione il rinnegamento di
noi stessi, il superamento del nostro io: “Chi
vuol venire dietro di Me rinneghi se stesso”. Se ci fermiamo nel pensiero
del nostro io, non possiamo certamente conoscere Dio. Dio lo si conosce
soltanto in Dio, non lo si conosce nel pensiero del nostro io. Quando noi
vogliamo sottoporre Dio al pensiero del nostro io, ci mettiamo nella condizione
di impossibilità di poter conoscere Dio, perché Dio non si può sottomettere alla
creatura: è la creatura che si deve sottomettere a Dio. Allora Dio parla anche
quando la creatura pretende di far valere le sue ragioni. Dio parla anche fuori
del Tempio, ma parla per convincere la creatura a sottomettersi al Creatore,
perché questa è la condizione perché essa possa vedere il Creatore. Allora se
la creatura non accetta di sottomettersi e quindi di superare se stessa, se
arresta sul cammino della vita: non entra. Ma non entrando incomincia a perdere
la vita, comincia a morire.
Teresa: Quindi Dio si rivela
solo nel Tempio?
Luigi: Sì, solo nel Tempio. E
il Tempio, portato alle estreme conseguenze è il Padre. Gesù dice: “Io vado a preparare per voi un posto. È
necessario che Io vada; se Io non me ne vado lo Spirito non può venire a voi”.
Qui il Tempio diventa il seno del Padre; il Volto del Padre. Ma noi, dove Dio è
(“Dove Io sono”), da soli non
possiamo entrare, perché noi nel pensiero del nostro io non possiamo conoscere
Dio: “Dove Io sono, voi non potete
venire”.
Abbiamo detto prima che
la rivelazione della Presenza di Dio è dono di Dio non è opera della creatura.
Infatti in questo
episoDio non si dice che quel malato guarito incontrò Gesù, ma che Gesù lo
incontrò nel Tempio.
Nel Tempio è Dio che
scopre noi, non siamo noi che scopriamo Dio: è Dio che chiama noi per nome, non
siamo noi che chiamiamo Dio; perché nel Tempio tutto dipende da Dio.
È quello a cui si
accennava parlando della notte oscura dell’anima: qui la creatura attende tutto
da Dio e deve attendere da Dio; per cui è Dio che conosce la creatura, non è la
creatura che conosce Dio.
Nel Tempio tutte le
cose dipendono da Dio.
In quanto riferiamo
tutto a Dio, Dio scopre noi, Dio conosce noi, Dio chiama noi per nome. Noi ci
sentiamo pensati da Dio, un pensato di Dio.
Non siamo noi che
pensiamo Dio, ma ci scopriamo pensati da Dio, cioè ci scopriamo in tutto
dipendenti da Dio: qui nasce il figlio.
Il figlio di Dio ( e
siamo tutti chiamati a diventare figli di Dio), nasce nel Tempio di Dio, non
nasce fuori: fuori abbiamo i servi.
Se i servi ascoltano la
Parola di Dio, entrano nel Tempio. Come fece questo malato ad entrare nel
Tempio? Prima era paralizzato da 38 anni: i 38 anni significano l'orizzonte
della disperazione, l'uomo che ormai ha provato tutti i rimedi e ha constatato
che non può più guarire.
Infatti quando Gesù gli
dice: “Vuoi essere guarito?”,
risponde: “Non ho nessuno che mi possa
guarire”.
Ecco, ormai abbiamo
l'uomo che ha gettato la spugna e ha riconosciuto che per sé non c'è più niente
da fare.
Ora, è proprio quando la
creatura arriva a quel limite: “Ormai per
me non c'è più niente da fare”, che arriva Dio.
La creatura ha bisogno
di essere messa con le spalle al muro per poter riconoscere che effettivamente tutto
è grazia di Dio, mentre prima faceva conto su questo, su quello, su
quell’altro. Ma ormai ha toccato con mano che non c'è più niente che la possa
guarire.
Allora se ha constatato
che più niente la può guarire, se trova la guarigione, non può che attribuirla
a Dio.
Ecco, abbiamo questo
malato, paralizzato (simbolo della creatura che non può più camminare verso
Dio), che non può avanzare verso Dio.
In un primo tempo
l'incontro con Gesù lo mette in movimento. Cosa vuol dire metterlo in
movimento? L'ha salvato? No! L'ha guarito? No! L'ha guarito in parte; non è
tutto guarito.
Ora, che quell’uomo non
fosse tutto guarito lo constatiamo nel passo successivo quando incontrando i
farisei che gli dicono: “Chi è che ti ha
detto di portare il letto?”, lui guarda la folla e non vedendo Gesù, non sa
più chi sia che lo ha guarito. Quindi il fatto che quell’ammalato guarito non
sapesse chi fosse Colui che l'aveva guarito, rivela che non era tutto guarito,
non conosceva ancora il Signore.
Intanto Gesù lo aveva
messo in movimento.
Dio ci incontra e ci
mette in movimento senza che noi lo conosciamo.
Così Dio ci dà la vita,
e noi non sappiamo chi sia Colui che ci ha dato la vita.
Dio continuamente opera
nella nostra giornata, nel nostro mondo, per curarci, per usarci misericordia,
per perdonarci, per farci alzare gli occhi, e noi non sappiamo chi sia.
Ecco, magari noi
diciamo: “Sì, è il Signore”, ma non
Lo conosciamo.
Lo conosciamo soltanto
per riflesso, perché è diverso dagli altri; appartiene alla nostra folla, però
non sappiamo chi sia. Allora Dio incontrando noi paralizzati, ci guarisce
mettendoci in movimento e dandoci la possibilità di camminare verso di Lui.
Se poi noi testimoniamo
il nostro amore per Lui, come l'ha testimoniato il paralitico (perché di fronte
al conflitto: “Tu non puoi portare
questo”, risponde: “Ma quello che mi
ha guarito mi ha detto di portarlo”), ecco, se noi testimoniamo di voler
vivere secondo la volontà di Colui che ci ha guariti, di voler ubbidire a Dio,
cioè di fare la Parola di Dio, allora questa Parola ci fa entrare nel Tempio;
perché è ascoltando la Parola di Dio, quindi affermandola sul mondo contrario,
(ricordiamo sempre la Madonna che incarna la Parola: “Sia fatto di me secondo la tua Parola”), che si entra nel Tempio.
Si entra nel Tempio
facendo la Parola di Dio contro tutta la critica del mondo esterno che vorrebbe
facessimo un’altra volontà, forse magari la volontà della legge, la regola.
Ecco, se noi
testimoniamo la nostra adesione alla Persona, entriamo.
Perché quello che ci fa
entrare non è la nostra adesione alla legge, alla regola, ma l'adesione alla
Persona, perché aderire ad una Persona vuol dire svuotare tutto noi stessi, per
guardare solo ad essa.
Una cosa è applicare
una regola e una cosa è aderire ad una Persona.
La regola la applichiamo
nel pensiero del nostro io: “Io mi debbo
comportare così”. La regola non mi salva, perché non mi libera dal pensiero
dell’io: “Io non rubo, io non uccido”,
“Io mi comporto in questo modo”, ma sono io che mi comporto, quindi sono
sempre io, io che applico la regola. Non abbiamo il superamento dell’io.
Chi dà a noi la
possibilità di superare il pensiero del nostro io è la presenza della Persona,
è l'unione ad essa, è il Pensiero dell’altra Persona, il pensiero dell’Altro.
L'adesione all’Altro ci
impegna ad uno svuotamento continuo di noi stessi, perché la Persona è un
Essere che continuamente pensa, vive, opera e richiede da noi un’adesione
continua.
È proprio questa
adesione alla Persona, a quel “Colui che
mi ha guarito”, che dà a noi la possibilità di entrare nel Tempio di Dio, e
quindi ci porta alla possibilità di scoprire, (o meglio di essere scoperti), la
Presenza di Dio, di essere pensati da Lui, di essere conosciuti da Lui, di
essere chiamati da Lui: allora Lo conosciamo in quanto siamo conosciuti.
Cina: A me sembra che anche
quando siamo ancora fuori del Tempio, il Signore già ci scopre, già ci chiama,
ci invita.
Luigi: Sì, certo; però fuori
del Tempio noi non sappiamo chi è, non Lo conosciamo. Lui opera sempre.
Ma una cosa è il suo
operare fuori e una cosa è il suo operare dentro.
Tra il fuori e il
dentro abbiamo un salto di qualità. Noi siamo fuori tutte le volte che
riteniamo che le cose dipendano ancora da altri, per cui certe cose magari
riteniamo dipendano da Dio, ma tante altre che dipendano dagli uomini, dal
caso, dalla natura, dagli eventi, dal destino, ecc.
Ecco, abbiamo tante
cause: abbiamo la folla intorno a noi. Allora noi qui siamo fuori dal Tempio.
Siamo dentro nel Tempio quando tutte le cose per noi dipendono da Dio, anche
noi stessi e gli stessi nostri pensieri. È li la condizione perché Dio ci
trovi, ci conosca, ci chiami per nome, cioè ci riveli la sua Presenza.
Cina: Mi sembra una cosa al
contrario: mi sembra che in qualunque posto mi trovo, il Signore già mi conosce
e cerca di tirarmi fuori da una situazione sbagliata.
Luigi: Certo, però noi siamo
nell’impossibilità di conoscerLo, perché siamo fuori. Cioè abbiamo detto che
fuori del Tempio, cioè fuori del Pensiero di Dio, di Dio che opera in tutto,
Dio si annuncia, ma non si fa conoscere: “Sarete
miei discepoli – dice Gesù – se
resterete nelle mie parole, allora giungerete a conoscere la Verità e la Verità vi farà liberi”. Forse che la
Verità non ci conosce prima? Certo che ci conosce prima. Ma è quella conoscenza
di cui Dio stesso dice quando scaccia coloro che non accoglie nel suo Regno: “Non vi conosco”, o come quando chiude
la porta alle vergini stolte.
E come chiude la porta?
Dicendo: “Non vi conosco”. Forse che
Dio non ci conosce? Ma certo che Dio ci conosce, ma ci conosce come estranei a
Lui, perché non c'è niente di Lui in noi.
Eppure erano vergini!
Vedi la regola? Erano vergini, avevano la fede, avevano la lampada ardente
nelle mani, andavano incontro allo sposo.
Nota questo! Quindi
erano tutte disposte, eppure dice: “Non vi conosco!”.
Eligio: Credevano di avere le
disposizioni..
Luigi: Sì, certo; notiamo
ancora questo: bussano alla porta, quindi chiamano.
Teresa: Quindi vogliono
entrare…
Luigi: Il Signore dice: “Bussate e vi sarà aperto”. Queste
bussano e a loro dice: “No, non vi apro”.
È Parola di Dio. E perché? “Non vi
conosco”. Ecco noi possiamo essere vergini, possiamo avere la fede,
possiamo andare incontro allo sposo, possiamo bussare alla porta, ed essere
pieni del pensiero del nostro io: non siamo nel Tempio, non siamo conosciuti,
cioè non abbiamo niente di Dio in noi. Ecco, Dio ci conosce, ma non da
comprenderci, cioè da farci entrare. Non ci fa entrare. Non ci fa entrare,
perché la condizione per farci entrare è questo superamento della porta delle
pecore. Non siamo sue pecore. Per essere sue pecore bisogna aver superato l'io
e ci vuole questa adesione a Lui. Dio opera fuori, quando ancora non siamo sue
pecore; se noi aderiamo, cioè se mettiamo Lui prima di tutto, (perché la
condizione è sempre questa: mettere Lui al centro) incominciamo a camminare. Se
camminiamo, Dio ci provoca a camminare in quanto ci mette in un campo nemico,
in un campo di prove, di tentazioni. Ci mette attorno tutto un mondo che ci
sollecita a non seguire Dio, ma ad ascoltare il mondo. Se noi di fronte alle
prove diciamo: “No, io voglio seguire
Colui che ho messo prima di tutto, cioè Dio”, questo ci fa camminare sempre
più intensamente. Se invece di fronte alla prova, alle tentazioni, di fronte al
mondo che dice: “No, segui me” e
magari in nome della legge, noi aderiamo a questo invito, perdiamo il dono
della guarigione e ricadiamo più malati di prima.
La Parola di Dio arriva
a noi:
-
noi possiamo non ascoltarla;
-
possiamo ascoltarla e dimenticarla;
-
possiamo ascoltarla e mantenerla.
Ecco: “Sarete veri miei discepoli se resterete”.
Bisogna restare,
imparare a restare. Ma per restare devo vincere tutte le prove, debbo affermare
la Parola, debbo testimoniarla altrimenti la perdo.
Tutti i doni che Dio ci
dà, li perdiamo se, messi alla prova, non testimoniamo di volerli mantenere.
Cioè vendiamo la nostra eredità per un piatto di lenticchie perché riteniamo
che il piatto di lenticchie oggi, sia più valido del diritto alla primogenitura
che mi arriverà chissà quando.
Nino: Comunque è sempre la
vecchia affermazione: Dio è con noi, ma noi non siamo con Lui; adesso la
trasportiamo nella conoscenza.
Teresa: Dio conosce noi, ma
noi non conosciamo Lui.
Cina: Provo a portare un
altro esempio per vedere se ho capito. Siamo creati a somiglianza di Dio…
Luigi: A immagine e
somiglianza di Dio. Invece di dire: “Siamo
creati”, direi: “Dio ci sta facendo”,
perché Dio non ci ha fatti, come ha fatto il sole, la luna, le stelle, la luce. Nel fare l'uomo ha
detto un verbo molto diverso. Non ha detto: “Sia
fatto l'uomo”, ma “Facciamo l'uomo”.
Noi non siamo ancora fatti, noi siamo in gestazione, siamo come un feto nel
seno della madre. Siamo in formazione e diventiamo a immagine e somiglianza di
Dio se ci manteniamo sempre presenti a
Lui.
Teresa: Se realizziamo il suo
progetto…
Luigi: Non siamo noi che lo
realizziamo, è Dio che lo realizza; ma lo realizza in quanto noi ci manteniamo
sempre davanti a Lui. Ma se noi invece ci manteniamo davanti ad un animale, noi
diventiamo ad immagine e somiglianza di un animale.
Cina: Allora Lui non trova
in noi quella somiglianza per cui ci ha creati ed è li che ci dice: “Non ti conosco”, non trovo niente di Me
in te.
Luigi: Si capisce, è logico.
Però anche se non c'è niente di Lui in noi, Lui parla continuamente per
risvegliarci. Direi: Lui ci fa rinascere ogni giorno con la sua Parola e ogni
giorno noi moriamo alla sua Parola. Ecco, l'importanza è invece incominciare a
vivere nella sua Parola, ad aderire alla sua Parola, a seguirla. La sua parola
è come una strada che Lui ci presenta: “Questa
è la strada, cammina li”. Noi la guardiamo un momento; è bella,
interessante, e poi incominciamo a guardare un’altra strada, e Dio
continuamente ci ripresenta la sua strada: “Questa
è la mia strada”. Bisogna incominciare a camminare su di essa, a restare in
essa, ad avanzare in essa, poiché è la Parola di Dio che ci fa entrare nella
Città di Dio, non sono i nostri sforzi, non sono le nostre fatiche. Se noi non
entriamo, la nostra vita finisce li, il cammino è interrotto, e allora si
incomincia ad essere malati; è li che nasce la malattia, la tristezza, la noia
della vita, l'insoddisfazione, l'infelicità. Sono tutte conseguenze del fatto
che non camminiamo più; e quando non camminiamo la vita non ha più qualcosa di
nuovo da darci; siamo noi che avendo troncato il cammino ci siamo ripiegati
indietro, e più ci ripieghiamo indietro e più le cose diventano monotone,
stanche, vecchie. No, bisogna sempre guardare avanti; la vita è davanti a noi.
Più noi guardiamo avanti e più questa vita ci impegna nell’amore: amare vuol
dire superare se stessi, dimenticarsi, dedicarsi all’Altro. È dedicandoci
all’Altro che si entra nel Tempio; più pensiamo all’Altro e più si entra nel
Tempio; più pensiamo l'Altro e più l'Altro ci fa entrare nel Tempio. Allora più
cerchiamo l'Altro, più ad un certo momento ci accorgiamo che l'Altro fa noi.
Non siamo più noi che facciamo, è l'Altro che fa. Ci accorgiamo di diventare
Pensiero suo. È Lui che scopre noi, non siamo più noi che scopriamo Lui; è Lui
che chiama noi, non siamo noi che chiamiamo Lui. E diventiamo figli suoi: è Lui
che fa noi.
Teresa: Le vergini cercavano
anch’esse l'Altro.
Luigi: Si, ma non basta cercare
l'Altro. Bussavano, ma non basta bussare. Erano stolte: a Dio si arriva con
l'intelligenza, bisogna essere intelligenti.
Teresa: Ad esse dice: “Non vi conosco”; mentre invece
l'atteggiamento di Gesù verso certi peccatori è diverso, forse perché questi
sono arrivati ad un punto tale che il loro io non conta più per loro.
Eligio: Sembra assurdo che
Gesù si riconosca forse più nell’adultera che non nelle vergini stolte.
Luigi: Certo…
Teresa: Le altre magari
credevano di essere chissà cosa, mentre un peccatore ad un certo punto non
conta più su se stesso, constatando la propria miseria.
Luigi: Il Signore dice: “Le prostitute vi precederanno nel Regno di
Dio”. Ora, questa è Parola di Dio; perché dice questo?
Eligio: La guarigione del
paralitico avviene proprio quando dice: “Non
ho più nessuno”. Finché ha confidato su altri….
Luigi: Perché noi possiamo
essere all’apice di tutte le virtù, essere buoni, santi; il mondo può batterci
le mani per tutte le nostre virtù e noi essere carichi di orgoglio, essere pieni
del nostro io: e questo è precipitare nell’inferno, perché non ci apriamo
all’amore. Il rapporto attraverso cui ci apriamo al Regno di Dio, nella Città
di Dio, è un rapporto con una Persona.
Ai limiti estremi cosa
ci dice Gesù? “Non preoccuparti tanto di
essere virtuoso, ma ama, cioè pensa a Me; sono Io che ti faccio entrare, non
sono le tue regole”. Ecco perché presenta l'esempio di vergini con la fede,
che bussano alla porta, che vanno incontro allo sposo, e che non sono
conosciute.
Teresa: È grossa!
Luigi: Ma è Parola di Dio!
Eligio: Il Tempio è la casa
dello Sposo: se io sono fuori, Gesù dice: “Non
ti conosco”, cioè non conosco niente di Me in te.
Nino: Lo dice in mille modi;
anche nella parabola del fariseo e del pubblicano al Tempio: è la stessa cosa.
Eligio: Comunque ci sono delle
volte che resta per noi più incisivo.
Nino: Gesù ci dice: “Non mi importa la gravità dei tuoi peccati
purché tu riconosca l'amore”.
Luigi: Si, certo.
Nino: Hai detto che
l'ammalato è una testimonianza per gli altri, non per se stesso. Io penso che
sia sempre una testimonianza per se stesso e per gli altri.
Luigi: Si, perché la nostra
malattia è anche uno spettacolo per noi.
Nino: Ognuno riceve un
insegnamento particolare adatto a se stesso.
Luigi: Infatti noi non
dovremmo e non potremmo mai dire: “Questo
lo soffro per un altro”. No, il Signore sa. Colui che mi è spettatore avrà
la sua lezione se la prendo da Dio, ma in quanto uno patisce un dolore, una
disgrazia, una sofferenza, è spettatore di questo che sta patendo quindi deve
riceverlo dalle mani di Dio; e quindi il dialogo è sempre con Dio.
Nino: Ognuno deve riportarlo
per conto suo.
Luigi: Si, non deve mai dire:
“Io sono di esempio all’altro”. No,
ognuno deve sempre ricevere su di sé, perché ricevendo su di sé impara ad amare.
Il rapporto fondamentale è sempre un rapporto d’amore; rapporto d’amore che
vuol dire sempre rapporto tra l'anima e una Persona: non una legge, non una
regola, perché la legge non salva. San Paolo qui è chiarissimo: “La legge non può salvare. Chi ci salva è la
Persona”. E perché chi ci salva è la fede nella Persona? Cioè il rapporto
con la Persona? Perché il rapporto con la Persona e non la legge?
Perché soltanto il
rapporto con la persona ci libera dal pensiero del nostro io. Quando penso
all’Altro, poiché l'Altro è un Essere vivo, un Essere che pensa, che opera, che
agisce in continuazione, mi impegna a dimenticarmi. Quando si ama molto,
necessariamente dobbiamo dimenticarci, altrimenti perdiamo l'amore. Ora, è
proprio questo che salva: il rapporto con l'altra Persona. Quindi sempre
attribuire tutto all’Altro, vedere tutto nell’Altro. Ricevendo tutto
dall’Altro, l'Altro ci conosce, l'Altro ci scopre, l'Altro ci chiama per nome,
l'Altro ci dice: “Tu sei mio Figlio, Io
oggi ti ho generato”.
Bisogna arrivare li.
Noi invece ci fermiamo prima di arrivare li. La Parola di Dio non basta
ascoltarla: va vissuta fino alla maturazione, fino a quel punto in cui Dio
dice: “Tu sei mio figlio”.
Perché la parola che mi
è arrivata fuori del Tempio, e magari mi ha guarito dalla paralisi, mi ha
guarito solo in parte: prima non potevo camminare verso Dio, perché fuori del
Tempio uno resta stracciato dagli avvenimenti, dagli incontri con le persone,
da tutti i fatti che accadono nella giornata, (i quali ci portano via perché
siamo fuori del Tempio). Quindi fuori del Tempio siamo come un tralcio staccato
dalla vite: tutto contribuisce per distruggerlo. Quindi l'acqua che invece
quando il tralcio è unito alla vite gli dà vita, adesso lo fa marcire. E così
il sole, così l'aria, così tutto. Tutto coopera a distruggere il tralcio che si
è staccato dalla vite. Se invece il tralcio è unito alla vite, tutto coopera
per farlo fruttificare, per dargli vita. Altrettanto è per noi: se siamo uniti
a Dio, tutto nella giornata coopera per unirci di più a Dio, per mantenerci in
vita. se noi siamo staccati da Dio, tutto nella giornata coopera a
distruggerci, ecco la paralisi, a impedirci di camminare, per cui noi ci
lamentiamo: “Mi è successo questo, mi è
successo quell’altro e tutto mi ha impedito di camminare verso Dio”.
No, non è che tutto mi
abbia impedito di camminare verso Dio, sei tu che staccato (tralcio staccato),
incominci a morire. Tutto contribuisce per distruggerti, per farti capire che
sei staccato dalla vita. ecco, allora noi ci troviamo in questa situazione di
paralisi: incapacità, impossibilità, perché tutto contribuisce a distruggerci.
Dio interviene qui, fuori del Tempio, per offrirci la possibilità (non ce la
impone), di pensarlo. Dio è sempre con noi, anche se fossimo i più grossi
peccatori di questo mondo. Cosa vuol dire essere sempre con noi? Vuol dire che
ci dà la possibilità di ricollegarci a Lui. Se noi ascoltiamo la sua Parola,
incominciamo a camminare. Se incominciamo a camminare, affermiamo l'amore
dichiarando di voler appartenere a Lui in tutte le prove; allora questo ci dà
la possibilità di entrare. Entrati siamo poi scoperti, conosciuti da DIO. li si
rivela la sua Presenza. La Parola matura in quanto non soltanto ci fa
camminare, ma in quanto ci fa entrare nel Tempio: qui il Signore ci conosce, ci
chiama per nome e dice: “Tu sei mio
figlio, io oggi ti ho generato”, cioè ci fa vedere che noi siamo pensiero
suo, opera sua, creature sue. La maturazione della Parola avviene con la
scoperta della Presenza di Dio. Fintanto che non giungiamo qui, la Parola può
fallire in noi il suo tempo.
Bisogna essere costanti
nella parola di Dio fino a quella maturazione in cui Dio rivela la sua
Presenza, perché chi ci salva è la Presenza di Dio in noi: la scoperta, la
conoscenza di essa. Fintanto che non arriviamo ad essa, possiamo essere portati
via dalle mille cose del mondo.
Nino: Invece nella ricerca
di Dio abbiamo la tendenza di cercare sempre la regoletta, il giochetto che ci
faccia automaticamente essere quello che vorremmo essere.
Luigi: A questo proposito
leggo un brano di un articolo della Civiltà Cattolica che mette in evidenza
come con la legge possiamo venirci a trovare in conflitto con quello che è lo
Spirito.
Dio è sempre sorgente di
novità e in quanto sorgente di novità ci impegna sempre a superare una certa
tradizione, una certa conformità e bisogna avere il coraggio di aprirci alla
novità e non dire: “Dio fino a ieri ha
parlato così e quindi adesso la novità non l'accetto”. No, Dio è sorgente
di novità; la creatura deve essere aperta a questo parlare di Dio, che è il
rapporto con una Persona.
Qui fa il parallelo tra
Zaccaria e Maria: questo parallelo fa scaturire il contrasto tra il
rappresentante della tradizione e la protagonista della fede.
Lettura del brano:
….Questo contrasto rimane chiarificatore anche per la situazione odierna in cui
si pone il problema della relazione tra l'aspetto tradizionale e l'aspetto
personale della fede… Zaccaria, un giusto che con Elisabetta osservava in modo
irreprensibile tutti i comandamenti del Signore… questo attaccamento alla legge
non è bastato a suscitare in Zaccaria un atto di fede in risposta al messaggio
che gli era stato rivolto dall’alto. La sua reazione è quella di un uomo
rinchiuso in un ordine stabilito e non riesce ad accogliere la novità
sorprendente dell’azione divina. Si direbbe che in lui incomincia a delinearsi
la figura di quegli ebrei che in virtù del loro attaccamento assoluto al regime
della legge, non potranno accogliere la Buona Novella, mentre l'Antico
Testamento aveva avuto la missione di preparare il Nuovo. Ma riducendo la
religione dell’adempimento delle prescrizioni della legge, essi chiudevano
ermeticamente le loro relazioni con Dio in questa osservanza… il loro attaccamento
a strette forme di culto e di esigenze legali, non permetteva l'apertura a
forme più larghe di azione divina nel mondo. Nella risposta all’Angelo, lo
stesso Zaccaria, manifesta i limiti della sua fede; egli vuole un segno
visibile, è reticente di fronte a ciò che dovrebbe superare le leggi della
natura. Il suo scetticismo, si ritrova in tutti coloro che mettono in dubbio la
realtà del miracolo… e anche lo scetticismo implicato nel principio enunciato
da un teologo contemporaneo secondo il quale Dio non fa concorrenza con le sue
creature e si astiene sempre dall’intervenire nello svolgimento della loro
casualità. In virtù di considerazioni di questo genere, il soprannaturale è
contestato nella sua Incarnazione, nella nostra esperienza del mondo e della
natura. Zaccaria è ridotto al silenzio. Le parole in cui aveva posto tutta la
sua saggezza umana sono subito disapprovate da Dio: il segno sensibile che gli
viene donato gli dimostra il suo errore. (Lui chiedeva un segno sensibile: Dio
lo fa diventare muto, cioè lo mette a tacere, le sue ragioni sono annullate).
Questo segno è ancora una grazia, un favore divino che è accordato a lui che è
ben disposto e che finalmente accetterà la lezione che gli viene dall’alto
(dice che era giusto). Questa riduzione al silenzio è il simbolo della vanità
di tutte le parole umane che mettono in dubbio la Parola di Dio. Coloro che non
hanno la fede sono certamente liberi di esprimere i motivi della loro
incredulità, fornendo tante spiegazioni, ma i loro discorsi sono già colpiti
segretamente dal giudizio divino che ne rivelerà l'errore e l'inefficacia. Da
parte sua invece Maria testimonia un’apertura totale al messaggio dell’Angelo.
Ella non esita a rispondere con la fede ad una proposta che per lei comporta
una novità radicale. Questa proposta ( la maturità verginale), supera tutto
quello che l'Antico Testamento aveva presentato come tipo di nascita
meravigliosa (nonostante la vecchiaia o la sterilità, ma sempre nell’ambito del
matrimonio), Zaccaria poteva ricordarsi degli esempi di Sara, della madre di
Salomone o della madre di Samuele, mentre Maria era chiamata ad una fede molto
più audace, poiché mai si era verificato nella Bibbia il caso di un bambino
concepito da una Vergine. Maria doveva quasi staccarsi dal passato per
accogliere la novità del piano divino. Zaccaria ci è presentato nella cornice
del culto ebraico, nel Tempio e nel momento più solenne. Per Maria non ci è
descritta nessuna cornice: Nazareth è lontana dal Tempio e nessun momento è
indicato per l'annuncio dell’Angelo. Alla sua fede non viene fornito nessun
appoggio esteriore: il passato scompare per la nascita di una fede tutta nuova,
liberata dal Giudaismo stabilito e privata da sostegni sensibili. Certo la
tradizione religiosa ebraica rimane per Maria il punto di partenza: il
messaggio dell’annunciazione considera la nascita del Bambino come il
compimento degli annunci messianici, ma su questa base che rimane, la fede deve
proiettarsi più in alto, al di là di quello che era stato detto o promesso da
Dio nel passato. La tradizione lungi dall’essere una semplice sopravvivenza di
questo passato o un ritorno indietro, spinge in avanti, verso un avvenire da
scoprire, verso una fede che cerca di aprirsi a tutto il mistero divino: vi è
continuità e novità. La conciliazione della continuità de della novità oggi
procura difficoltà a molti credenti, alcuni si attaccano talmente al passato
che si chiudono alla novità difendendo la tradizione che rischia di diventare
una sterile ripetizione ed un’attività inconcludente. Altri in senso contrario
accentuano talmente la novità che distruggono la continuità abbandonando la
base della fede cristiana, perdendo la fede nella professione cristiana così
come è stata elaborata dalla tradizione. Mettono l'accento sulla creatività ma
essa non è più in accordo con l'opera divina della salvezza. Maria è il simbolo
della novità della fede che si afferma sul fondamento della continuità;
profondamente formata dalla tradizione ebraica che l'ha stimolata ad un intimo
contatto con Dio, Ella accoglie interiormente la novità del disegno divino. La
novità della sua fede non è la novità del suo pensiero, ma quello del pensiero
e dell’azione divini. Per il suo attaccamento assoluto a Dio, la sua fede è
novità che sorge dalla continuità”. (Jean Galot S. J.)
Continuazione
riassunti: Incontro 120 del 19/2:
Cosa
significa questo uomo malato da 38 anni?
È l'uomo che
ha esaurito tutte le sue risorse ed ha perso ogni speranza nei mezzi umani; (cfr.
l'emorroissa che aveva speso tutto il suo in medici e medicine ed era piuttosto
peggiorata).
È l'uomo che
né da solo, né con altri può uscire dalla sua malattia: la malattia è
disunione da Dio.
Nella
disunione abbiamo la vita stagnante: più niente attira.
I segni della
malattia: ogni vita non vissuta inaugura un ripiegamento sul nostro io, dà
inizio ad una malattia;
-
non proseguendo verso la meta, la Città di
Dio, incomincia a rendersi per noi presente ciò che prima serviva in silenzio: è
il primo segno della malattia.
-
L'amore che non abbiamo dato ci porta via
ogni capacità di amare: è il secondo segno: l'uomo malato vorrebbe ma
non può.
Luigi: Ecco, questo è il
segno più pesante su di noi: l'amore che non abbiamo dato ci rende incapaci di
amare. È una lezione molto grave; per cui noi ad un certo momento diventiamo
incapaci di amare; pur magari volendolo, pur desiderandolo, non abbiamo più
questa possibilità: siamo portati via, lacerati.
Eligio: Per amore non dato
intendiamo il rifiuto dei segni, come dati da Dio per richiamarci ad entrare
nel Tempio?
Luigi: Si, il rifiuto. Perché
ogni Parola di Dio ci invita ad amare. Ogni segno di Dio è una sollecitazione
ad amare. Ogni nostra distrazione da questo, ci rende più deboli nell’amare e
quindi ad un certo momento ci rende incapaci di amare. E noi ce ne accorgiamo,
perché diventiamo sempre più capaci amare soltanto quello che esalta il nostro
io; non sappiamo più uscire dal pensiero del nostro io. È una rovina grande.
Chiusi nell’io amiamo solo più coloro che ci esaltano. L'amore possessivo è
l'amore che strumentalizza: non è più l'amore donativo. Ma l'amore che ci salva
è l'amore donativo, non è l'amore possessivo.
Eligio: Si, anche se direi che
in Dio si realizza pure l'amore possessivo, perché Dio donandosi, do alla
creatura la sensazione del possesso.
Luigi: Certo, noi donandoci,
possediamo Dio! ma deve essere una conseguenza del dono, il nostro io va sempre
messo dopo. Noi diciamo: dobbiamo rinnegare noi stessi, e sembra una parola
dura: rinnegare se stessi.
Eligio: È impropria.
Luigi: È impropria, perché
donandoci a Dio, mettendo Dio prima di tutto, Dio esalta noi stessi, ci
ritroviamo. Perché in Dio noi abbiamo la pienezza della persona umana. Dio è il
perfezionatore dell’uomo. Lui continuamente dice: “Facciamo l'uomo”. È Lui che fa l'uomo, ma se io mi voglio fare,
allora faccio il peccato di Adamo: “Sarete come Dio”, cioè l'io messo prima di
Dio. allora li incomincia la tragedia, perché l'io messo prima di Dio, ad un
certo momento dice: “Sono io che penso
Dio” e crolla tutto. No, è Dio che pensa a me. è Dio che vuole me. Allora “La mia anima magnifica il Signore”,
allora: “Dio ha fatto in me grandi cose”;
si, Dio vuole fare in noi grandi cose. Gesù risponde a quella donna che gli
aveva detto: “Beato quel seno che ti ha
portato”, “Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono
in pratica”. Quasi a dire che la felicità non sta nei privilegi, nei doni
con cui Dio forma la creatura. No, la vera felicità dell’uomo è offerta a
tutti; quindi la beatitudine della Vergine non sta tanto nell’essere stata
madre del Cristo, ma sta nel fatto che ha incarnato la Parola di Dio: “Si faccia di me secondo la tua Parola”;
ecco quello che rende beata la creatura! È la creatura che si mette a
disposizione della Parola di Dio.
Continuazione
lettura riassunto.
L'amore che
non abbiamo dato ci porta via ogni capacità di amare.
-
L'uomo malato vorrebbe, ma non può: paralisi
(è il secondo segno della malattia);
-
la malattia si interiorizza, si fa pensiero:
ciò che impedisce all’uomo di buttarsi diventa un conflitto di pensieri che gli
impedisce di camminare: è il terzo segno della malattia (l'uomo sano poteva, ma
non voleva; adesso vorrebbe, ma non può: porta un conflitto interiore).
Eligio: Ciò che impedisce di
camminare, sostanzialmente è il pensiero del proprio io, non tanto un conflitto
di pensieri.
Luigi: Si, ma il pensiero del
nostro io che ad un certo momento vorrebbe ma non può, resta bloccato, perché
abbiamo una conflittualità che si interiorizza.
Questa conflittualità
ci impedisce di applicarci; ad un certo momento addirittura diventiamo incapaci
di pensare; il rifiuto di amare porta a questo disastro, all’incapacità di
fermarci in un pensiero, perché come vorremmo fermarci in esso, immediatamente sorge
in noi un conflitto, una contraddizione: un pensiero che nasce e ci contraddice
quello in cui vorremmo restare. Satana è definito come colui per il quale non
si trovò un posto né in cielo né in terra. Ecco, non si trova un posto per
sostare. E nota in contrapposto Gesù che dice: “Vado a prepararvi un posto, affinché possiate restare dove Io sono”.
Ecco l'importanza di questo restare. San Giovanni insiste molto, soprattutto
negli ultimi capitoli, su questo restare, perché noi da soli diventiamo incapaci
di restare con Dio. Non possiamo restare, perché siamo una sede di
conflittualità; vogliamo una cosa, ma questa non ci conviene per altri motivi,
e poi siamo trascinati via e non possiamo restare.
Continuazione
lettura del riassunto:
Di fronte ai
veri problemi l'uomo viene a trovarsi sempre più debole, per cui deve
assisterei impotente alla propria devastazione: è il quarto ed ultimo segno
della malattia.
Luigi: Ecco, questo assistere
impotenti alla propria devastazione; tutte le creature ci distruggono, ci
portano via. E noi dobbiamo assistere impotenti a questa devastazione. Non
possiamo farci niente, perché non possiamo resistere. Il punto per resistere è
DIO; se noi siamo con Dio restiamo, anzi affermiamo lo Spirito. Senza Dio tutti
portano via qualcosa da noi; è la casa che va in rovina e tutti ne portano via
un pezzo. E non abbiamo la forza, non abbiamo la capacità di impedirlo.
Pinuccia: Ma se in questa
situazione in cui noi assistiamo impotenti alla nostra devastazione, noi
pensiamo a Dio, Dio ricostruisce tutto?
Luigi: Questo farci assistere
è ancora un’opera di misericordia di Dio, perché tutto quello che accade è
sempre opera di Dio, per farci assistere al bisogno che abbiamo di restare con
Lui. “Vedi dimenticando Me a che punto ti
riduci?”. Questa è lezione di Dio, opera di misericordia di Dio, quindi di
salvezza da parte di Dio, perché ci fa toccare con mano il nostro niente e il
bisogno di Dio. Noi che ci credevamo onnipotenti, siamo ridotti all’impotenza.
È misericordia di Dio! anche la nostra impotenza è opera di salvezza da parte
di Dio.
Pinuccia: Perché di li inizia la
salvezza.
Luigi: Certo, sono i 38 anni
della malattia; l'uomo è ridotto all’impotenza.
Eligio: Comunque il recupero
inizia soltanto quando l'uomo smette, ad un certo momento di dispersione, di
assumere l'iniziativa.
Luigi: Senz’altro, quando
comincia a far conto su Dio
Eligio: E a dire, come questo
paralitico, “Non ho nessuno”.
Luigi: Si, deve cominciare a far
conto su Dio. Dio ci riduce a questa situazione di impotenza, perché noi, nel
pensiero del nostro io, ci crediamo onnipotenti.
Allora Dio ci fa
assistere a questa impotenza. Nell’impotenza diciamo: “Non ho più nessuno”. E
Dio parla! Abbiamo notato il fatto singolare di quest’uomo che dice: “Non ho
nessuno” e davanti aveva Dio. ecco la nostra cecità: Dio è con noi e noi
diciamo: “Non ho nessuno che pensi a me”. non ci accorgiamo che Dio sta
pensando a noi. Proprio quando diciamo: “Io non ho più nessuno”, è Dio che ci
fa pensare questo per salvarci. Ecco, è opera di misericordia di Dio.
Eligio: Poi c'è un fatto
ancora molto bello: il paralitico ad un certo momento lo troviamo nel Tempio; è
entrato di sua iniziativa?
Luigi: No, è entrato facendo
la Parola di Dio, incarnando la Parola di Dio. “Dove Io sono, voi non potete
venire”. Qui la parola è drastica: esclude l'iniziativa dell’uomo.
Eligio: Restiamo sul piano dei
segni; Dio non ha detto: “Prendi il tuo letto e cammina e poi entra nel
Tempio”.
Luigi: No, Dio gli ha detto:
“Prendi il tuo letto e cammina”. La Parola che l'ha salvato, che l'ha fatto
guarire è questo “Alzati!” = guarda in alto!
“Prendi il tuo letto e
cammina!”, cammina verso dove? Mentre sta camminando, incomincia il conflitto,
ed è qui che lui incomincia ad incarnare la Parola, perché di fronte alla
conflittualità: “Non ti è lecito portare il letto, è sabato”, lui non desiste.
Quindi di fronte al mondo, anche il mondo della legge (la regola), che gli
oppone (cfr. Zaccaria): “Non puoi fare questo”, lui cosa dice? “Io voglio
ubbidire a Colui che mi ha guarito”. Ecco, vedi che afferma lo Spirito, afferma
di appartenere ad una persona? È questo che l'ha fatto entrare nel Tempio.
Infatti dice: “poco dopo”.
Eligio: E perché entra nel
Tempio? Aveva visto Gesù entrare nel Tempio?
Luigi: No, è la Parola di Dio
che ci fa entrare nel Tempio, la Parola di Dio affermata, fatta nostra, perché
fintanto che non è fatta nostra, non ci fa entrare. Per farla nostra bisogna
che ci sia un conflitto, che ci sia una tentazione, una prova a fare in modo
diverso. Di fronte al conflitto: se io affermo che voglio ubbidire a Dio, e non
a quello che mi dicono gli altri, è proprio questa Parola di Dio che mi conduce
nel Tempio. Implicitamente mi fa desiderare di conoscere Colui al quale io
credo. È questo desiderio che fa entrare. Questo desiderio di appartenere a mi
porta a desiderare di conoscere Colui al quale io ho detto di voler
appartenere.
Eligio: E tu pensi che nel suo
stato di malattia, ottenendo la guarigione abbia imparato a conoscere a quale
Spirito apparteneva Gesù?
Luigi: No.
Eligio: E allora perché è
entrato nel Tempio?
Luigi: Teniamo presente
questo:
-
il Tempio è il luogo in cui tutto dipende da Dio;
-
fuori del Tempio è il luogo in cui le cose dipendono da
altri.
Eligio: Il paralitico dalla
guarigione che cosa poteva intuire del Tempio e della folla?
Luigi: Lui, fuori del Tempio,
ha incominciato a ubbidire alla Parola di Dio. ubbidendo alla Parola di Dio, tu
capisci che si è fatto dipendente da Dio? e quindi, facendosi dipendente da Dio
è entrato nel Tempio. Siamo nel campo dei segni.
Eligio: E cioè lui lo ha
accolto come Dio.
Luigi: No, lui non lo
conosceva.
Nino: Ha fatto la volontà di
Dio senza saperlo.
Luigi: Lui non lo conosceva e
non lo poteva conoscere perché le sue conoscenze erano secondo la folla. Poi
guarda tra la folla e non lo vede più, perché Gesù era uscito dalla folla,
quindi non conosce più Gesù.
È Gesù che ci lascia:
-
Lui viene nella nostra folla, nel nostro mondo,
-
poi ci lascia, affinché noi, se apparteniamo a Lui, gli
andiamo dietro.
Lui non ci lascia per
staccarsi da noi; ma ci lascia perché noi abbiamo ad andare dietro a Lui, ad
abbandonare la nostra folla. La folla tende a fagocitarci, il mondo tende a
farci suoi. Ma se noi di fronte agli argomenti affermiamo di voler appartenere
a Lui, il fatto di voler appartenere vuol dire metterci in dipendenza di, cioè
entrare nel Tempio.
Quindi si entra nel
Tempio in quanto ci rendiamo dipendenti da Dio.
È il seguire la
Persona.
Eligio: Sì, però lui ha visto
la Persona? Quando dico lui penso alla mia anima.
Luigi: Certo, perché quel
paralitico rappresenta la nostra anima che è paralitica e che incontra Gesù, e
non sa chi sia, che le dice: “Alzati! Guarda in alto, prendi il tuo letto e
cammina!”. Ubbidendo incominciamo a camminare. Non siamo guariti o per lo meno
siamo guariti in parte; siamo passati dalla situazione di paralisi alla
situazione di un uomo che cammina. Cosa vuol dire camminare? Camminare verso
Dio, perché portato nel campo dello Spirito camminare vuol dire andare avanti
verso Dio. Non camminare più è diventare ammalati. Se io incontro uno che mi dà
la possibilità di camminare vuol dire che mi guarisce; ma io non sono ancora
entrato nel Tempio, perché non so chi sia Colui che mi ha guarito.
Eligio: Ma se l'ha perso di
vista, in base a quale illuminazione interiore entra nel Tempio?
Luigi: La parola che aveva
sentito da Gesù.
Eligio: Ma Lui aveva sentito
di prendere il letto e di camminare.
Luigi: E lui infatti prende
il suo letto e cammina; fa la parola udita.
Nino: Fa la sua
volontà.
Luigi: Certo, poteva prendere
tutte le direzioni. Ammettiamo che non sapesse dove andare: camminava però
ubbidendo alla Parola di Colui che l'aveva guarito. Noi camminiamo perché Colui
che ci ha dato la possibilità di camminare ci ha detto “cammina”. Cammino, ma
non so dove andare. Ma è il mondo che mi blocca e mi fa scegliere la strada su
cui devo camminare. Perché il mondo incomincia a dirmi: “cammina con me”; e io
dico: “No, li non posso camminare”. Mi ripete: “cammina qui!”; e io dico: “No,
li no!”. Cioè la scelta avviene per esclusione. Per esclusione, perché io debbo
dire tanti no. Soltanto avendo il coraggio di dire tanti no, arriviamo a dire
finalmente un “si”, il vero “si”. Ma dobbiamo avere il coraggio di dire tanti
no, arriviamo a dire finalmente un “si”, il vero “si”. Ma dobbiamo avere il
coraggio di dire tanti no. Ma come faccio a dire tanti no? Il si non posso
dirlo perché non vedo la strada, però il no lo posso dire, perché capisco che
sarebbe un disobbedire a Colui che mi ha detto: “prendi il tuo letto”. Es. il
famoso test del topolino che ha tante porte davanti ma soltanto dietro ad una
certa porta c'è il formaggio. E lui deve provare tante porte fintanto che ad un
certo momento imbrocca la giusta. Questo esempio è per dire che il Signore ci
dà la possibilità di camminare e poi ci mette in conflitto con tante
tentazioni: il mondo che ci dice: “Abbraccia questo, segui questo, segui
quell’altro”; no, rispondiamo, perché Colui che mi ha parlato…”. È li che si
forma in noi, ad un certo momento, il bisogno di Lui, perché io non posso più
seguire gli altri. Lui, non lo conosco ancora, non sono arrivato all’altro
riva, non sono ancora entrato nel Tempio. Lui non lo conosco, però so che gli
altri non sono Lui, perché Lui mi ha detto una Parola diversa dagli altri. Gli
altri dicono: “Devi fare cos'ì”; “No, rispondo, perché l'Altro mi ha detto di
fare in modo diverso”. Ecco, e già il fatto di fare in modo diverso, mi
incomincia a selezionare la strada: questa strada non la posso percorrere,
quell’altra nemmeno.
Eligio: E intanto incomincio a
vedere qualcosa: che tutte le altre strade sono sbagliate.
Luigi: Ecco, proprio così.
Dio guarendolo, gli ha dato una parola con cui lui può conoscere e rifiutare
tutte le strade sbagliate, perché se lui vuole incarnare quella parola, non può
più seguire le altre parole. Quando Gesù dice: “Cerca prima di tutto il Regno
di Dio”, se io incontro un uomo che mi dice: “Cerca prima di tutto il denaro”,
no, non posso, perché il denaro non è Regno di Dio. Se mi dice: “Cerca prima di
tutto la creatura”, no, non posso perché la creatura non è Regno di Dio. Se mi
dice: “Dedicati a questo, occupati di questo”, no, non posso perché … vedi che
c'è la Parola? Ora, è questa Parola che mi conduce ad entrare nel Tempio. Ecco,
“Sarete veri miei discepoli se resterete”. È questa parola che messa a prova,
(è Dio che ci provoca con la tentazione), da tutto il mondo, a poco per volta,
ci fa salire, ci porta in alto. È li che capiamo che tutte le prove, tutte le
tentazioni del mondo sono opera di Dio. è Dio che nella nostra ignoranza, nella
nostra stoltezza, ci fa drizzare in alto, ci costruisce il sentiero, per cui la
sua parola diventa la nostra strada: “Lampada ai miei passi è la tua Parola, o
Signore”.
Pinuccia: Quindi quest’uomo non
si era prefisso di entrare nel Tempio.
Luigi: No, perché lui non
sapeva…
Pinuccia: Questo è un segno.
Luigi: Certo.
Pinuccia: Però non è che questa
parola di Gesù, stando nel campo dei segni, cioè camminando col lettuccio, necessariamente
lo porti nel Tempio, vero?
Luigi: No.
Pinuccia: È un
segno per noi, per farci capire che ubbidendo, non sappiamo come, ma arriviamo
al Tempio.
Luigi: Sì, ubbidendo alla
Parola.
Eligio: È una lezione molto
bella.
Pinuccia: È bellissima.
Eligio: Perché noi molte volte
dicendo su iniziativa nostra “Voglio entrare nel Tempio”, cerchiamo di entrare
nel Tempio con Spirito sbagliato, per cui sentiamo Dio che dice: “Non vi
conosco”. Mentre ubbidendo alla sua Parola ci conduce Lui stesso.
Pinuccia: Infatti questo non se
lo propone, ma entra.
Luigi: “Senza di Me, nessuno può venire dove Io sono: dove Io sono voi non potete venire”. Quindi se io credo di entrare nel Tempio con la mia iniziativa, non entro. È Lui che mi fa entrare.