Riassunti dal Vs 1 al Vs 10
Argomenti: Il paralitico
di Betesda. La Parola di Dio si
spande fuori. Riconoscere la
parola di Dio. Dal credere alla preseza fisica,
al credere alla parola. L’uomo può essere
veramente guarito solo di sabato. Si nasce
dall’impegno personale con Dio. Far conto
sugli uomini.
2/Aprile/1978
Ricapitolazione e
riassunti:
Luigi: Ricapitoliamo brevemente per chi è venuto solo oggi, l’episodio in
cui ci troviamo: la guarigione del paralitico della piscina di Betesda.
Questa si trova nelle vicinanze dell’entrata di
Gerusalemme. Gesù sta arrivando a Gerusalemme e fuori, accanto alla porta delle
pecore, trova questa piscina con cinque portici sotto i quali c'è un gran
numero di malati. Noi dobbiamo passare subito al significato di questo fatto.
Se teniamo presente che Gerusalemme rappresenta la Città
di Dio e che in questa Città si entra attraverso una porta, ecco il significato
della Porta delle Pecore: nella Città di Dio si entra attraverso il Cristo.
Il Cristo stesso dice: “Io sono la porta delle pecore”.
Per passare attraverso questa porta ed entrare nella Città di Dio è necessario
il superamento di noi stessi, il rinnegamento del nostro io.
Ed è lì tutta la difficoltà dell’uomo; perché se alla
porta arrivano tutti, volenti o nolenti, credenti o no, perché attraverso le
lezioni della stesse della vita, Dio ci conduce di fronte a questa porta, pochi
sono coloro che la oltrepassano. Siamo tutti lì di fronte a questa porta. Il
cammino della vita conduce qui. E qui Gesù, che è la porta, dice: “Chi vuol
venire dietro di me, rinneghi se stesso”. Ecco la condizione per
superare questa porta ed entrare nel
Regno di Dio è il rinnegamento di noi stessi e di tutto quel mondo che è in
relazione al nostro io, che è dipendente dal nostro io, in cui il nostro io si
afferma. Qui tutta la massa degli uomini è ferma, staziona, perché non supera
se stessa. Allora la vita incomincia a venire meno. La vita è cammino verso:
quando l’uomo non può più avanzare, incomincia a perdere la vita, cioè
incomincia a diventare malato: qui abbiamo la fonte delle malattie. La fonte
della malattia è sempre un arresto sul cammino della vita. Ecco perché c’è
tutta questa massa di malati, vicino alla porta delle pecore, accanto a questa
piscina (luogo di penitenza di purificazione), sotto questi portici, in attesa
che l’Angelo scenda a muovere le acque per poter guarire. Gesù arriva in mezzo
a tutti questi malati, trova uno che è malato lì da 38 anni e, fatto molto
strano, mentre generalmente sono gli altri che sollecitano Gesù ad intervenire,
a curare,a guarire, qui è Gesù stesso che prende l’iniziativa e dice al malato:
“Vuoi essere guarito?”. Questo avvenimento accade di sabato. Quel malato
faceva conto sugli uomini; per questo non era passato attraverso la porta delle
pecore, perché per passare attraverso la porta delle pecore ci vuole il
superamento del pensiero del proprio io, e bisogna quindi imparare a far conto
su Dio. Nella Città di Dio si entra e si abita in quanto si fa sempre e in
tutto solo conto su Dio. Quest’ammalato
invece rivela che faceva ancora conto sull’uomo, poiché dice: “ Non c’è
nessuno che mi butti nell’acqua”. Ecco l’uomo che ha bisogno dell’uomo, che
fa conto sull’uomo. Gesù gli dice: “Alzati, prendi il tuo letto e cammina”.
L’incontro con Gesù supera ogni intervento umano, supera ogni mezzo umano: è
liberatore. Abbiamo notato i tre verbi: alzati, prendi il tuo letto e cammina.
Meditando sopra questi tre verbi abbiamo notato una progressione e una sintesi
di quello che è la vita spirituale: prima di tutto Dio ci fa alzare gli occhi
dal nostro mondo al suo mondo: “alzati”, perché la guarigione avviene
alzando gli occhi. Questo alzare gli occhi è un alzare il nostro sguardo, la
nostra anima dalle cose della terra alle cose del cielo. Ecco la guarigione
avviene in quanto l’uomo si eleva: “alza gli occhi!” Dio è trascendente,
Dio è in alto, Dio ci supera. Bisogna guardare Lui, la guarigione viene da Lui;
la guarigione non viene da noi, non viene dai propri mezzi, non viene dagli
uomini, quindi: alza gli occhi! Colui che ti guarisce abita in alto, va da Lui!
La vita ti viene da Lui. Alzando gli occhi l’uomo è guarito; però Gesù gli
dice: prendi il tuo letto, cioè cammina, proprio con quello su cui tu prima
riposavi. Sarà il tuo peso nel cammino. Cammina con i mezzi che puoi, con
quello che hai, ma cammina, và avanti. Non basta ricevere la guarigione, non
basta ricevere la luce che salva; bisogna camminare in questa luce, bisogna
avanzare. Ora quel giorno era sabato. Abbiamo visto che il sabato significa il
giorno del riposo del Signore, il giorno in cui Dio dopo aver creato tutte le
cose, si riposò. Il riposo del Signore, nell’interpretazione letterale della
legge, viene considerato come riposo per l’uomo, invece nello Spirito di Dio il
riposo del Signore significa un invito ad entrare noi nel suo riposo, ad
entrare noi nella sua pace. Quindi non significa un riposo per noi, ma
significa un’attività non più esterna, ma interna, ma “attività”. San Paolo
stesso ci aiuta ad intenderlo dicendoci: “Se oggi voi udirete la sua parola,
affrettatevi ad entrare nella sua pace”. Questo ci fa riflettere sul quadro di
tutto l’operare di Dio: Dio attraverso i sei giorni, opera per suscitare in noi
il desiderio, il bisogno di entrare nella sua pace, cioè di entrare nella
conoscenza di Dio. Dio opera tutte le cose attorno a noi (i sei giorni della
creazione) per suscitare in noi il desiderio di conoscere Lui è entrare nella
sua pace. La nostra pace è Lui. Invece noi, seguendo la lettera della legge,
abbiamo interpretato il giorno del Signore come un giorno per riposare noi, per
non fare niente. Proprio qui Gesù ha operato ad arte, perché è venuto proprio
per liberare l’uomo dalla lettera della legge, fa incarnare la sua parola a
questo uomo malato, che significa e rappresenta ognuno di noi. Come quest’uomo
incarna la sua parola fa sorgere la lotta, il conflitto: “È di sabato, non puoi portare
il tuo letto”. Questo ci richiama la parabola del seminatore che
troviamo negli altri vangeli di Matteo, Marco e Luca, dove Gesù paragona il
Regno di Dio ad un seme caduto in terra: ci sono diverse tappe e tra le diverse
tappe abbiamo quella del seme caduto in un terreno con delle spine; il seme
cresce, ma poi (è l’interpretazione di Gesù) a motivo del conflitto che suscita
la parola cresciuta, le spine (ricchezze, ecc.) soffocano il seme. La parola
crescendo in noi suscita attorno a noi la critica, la condanna. Quindi non è
vero quello che a volte si predica che quando effettivamente si vive il
cristianesimo, si trova l’approvazione di tutti. No, la parola di Dio, quando è
vissuta, crea conflitto con tutti. È Gesù stesso che lo afferma dicendo: “ Guai a voi, quando diranno bene di voi,
quando vi applaudiranno; ma beati voi, quando invece vi contraddiranno, vi
malediranno a motivo dell’amore che avete per me.” D’altronde
abbiamo l’esempio splendido di Gesù che certamente quando è stato mandato a morte,
ha suscitato molta passione attorno a Sé: amore e odio. D’altronde la parola di
Dio, in quanto afferma uno spirito diverso, lo Spirito di Dio nel mondo, deve
naturalmente suscitare questo conflitto. E così troviamo questo malato che,
guarito, cammina in giorno di sabato con il suo giaciglio sulle spalle e i
Farisei che lo contraddicono e gli dicono: “ non ti è lecito portare il tuo
giaciglio perché è giorno di sabato”. Qui abbiamo il punto critico: perché
di fronte al conflitto col mondo l’uomo può impaurirsi e sottomettersi. Tutte
le prove che avvengono intorno a noi sono opera di Dio: è Dio che manda questi
Farisei a suscitare il conflitto contro questo uomo guarito. Perché? Perché
tutte le grazie che riceviamo dal Signore, debbono poi passare attraverso il
crogiuolo della prova, della tentazione: della tentazione a fare in modo
diverso. Ed è necessario questo, perché proprio attraverso il superamento della
tentazione l’uomo diventa capace di portare la grazia, il dono ricevuto da Dio.
Perché non basta che noi riceviamo dei doni da Dio. La vita non viene a noi dai
doni che riceviamo da Dio; la vita incomincia in noi dal momento in cui
ritorniamo i doni a Dio. Quindi la vita non sta nel ricevere, ma nel donare.
Dio, attraverso i doni, ci mette nella possibilità d’incominciare a vivere, ma
noi, per quanti doni riceviamo da Dio, non incominciamo a vivere, se non
riportiamo a Dio i doni ricevuti, perché attraverso questo riportare a Lui (il
Verbo essenziale della vita è raccogliere) tutto quello che Dio ci manda, (la
vita è tendere verso), noi incominciamo la vera vita personale. E qui noi
abbiamo la testimonianza di questo malato che di fronte all’accusa: “Tu non
puoi portare il tuo giaciglio, perché la legge ordina che di sabato non
si possono fare certi lavori”, lui dice: “ Colui che mi ha guarito mi ha
detto:alzati prendi il tuo letto e cammina”. Ecco la testimonianza di amore
con cui lui rivela di appartenere (e non Lo conosce, non sa chi sia) a Colui
che lo ha guarito, al di sopra di quello che è l’interpretazione della legge.
Qui abbiamo l’uomo che inizia la sua vita personale. La vita personale di
quest’uomo non è iniziata quando Gesù gli disse: “alzati, prendi il tuo
letto e cammina”. La vita personale di quest’uomo inizia qui: quando lui di
fronte alla critica, alla condanna, al giudizio dei farisei (e può essere un
giudizio molto severo perché lo possono anche lapidare), lui afferma
personalmente, (perché potrebbe anche dire: avete ragione, quindi smetto) “
io seguo Colui che mi ha guarito”. Abbiamo detto che qui nasce l’uomo;
nasce dalla sua vita personale; non più alla vita di gruppo, non più alla vita
soggetta a quello che dicono gli altri, ma ad una vita che ha in se stessa la ragione. Lui è nato qui.
Pinuccia: Lettura dei
riassunti del mese di gennaio: riassunto dell’incontro n.113 dell’1/1/78
Quel funzionario andava a vedere la Parola che
Gesù gli aveva detto; mentre andava già trova che la Parola ha operato =
passaggio all’attualità della Parola. È la fede nella Parola che ci conduce a
vedere la Parola = il Regno di Dio. Bisogna essere motivati non dal mondo o dal
nostro io, ma dalla Parola di Dio. I due motivi che operano nella scena del funzionario:
-
il motivo che lo fece
andare a Gesù (= la morte del figlio);
-
il motivo che lo fece
partire da Gesù (= la parola di Gesù).
Qui possiamo capire perché Gesù si rifiutò di
scendere con Lui a guarirgli il figlio (l’avrebbe confermato nel suo primo
motivo e non gli avrebbe offerto la vita.) Invitandolo a credere alla sua
Parola, gli offriva la vita, per renderlo capace di ricevere la vita.
Riassunto dell’incontro n.114 dell’8/1/78 (presso De Bortoli)
La nascita dalla Parola di Dio: l’uomo nuovo. “Tuo
figlio vive”.
a)
La Parola di Dio opera
in noi le condizioni perché possiamo ricevere ciò che invochiamo. Per ottenere
bisogna avere la capacità di ricevere. Non si può donare là dove non vi è la
capacità di ricevere.
b)
Per ottenere qualcosa
fuori di noi, bisogna prima essere in grado di accoglierlo in noi.
c)
Quando incominciamo a
vivere motivati non più da fattori del mondo, ma dalla Parola di Dio,
incominciamo a ricevere le prove del Regno di Dio. Per vedere lo Spirito di Dio
bisogna operare secondo lo Spirito di Dio.
d)
Fintanto che l’uomo è
pieno di se stesso, non è possibile che possa accogliere altro. Allora la Parola
di Dio si spande in terra = fuori di noi.
e)
Se la Parola di Dio non
entra in noi, non ci reca la vita.
Luigi: Per spiegare
quell’espressione letta ora: “ La Parola di Dio si spande fuori”, bisogna
rapportarsi all’esempio fatto a suo tempo: se la tazza di thè è piena, se ci
versiamo altro thé, la tazza non può riceverlo, allora il thè si spande per
terra. È necessario che la tazza sia vuota per accogliere il thè; questa tazza
rappresenta la nostra anima: cioè è necessario che la nostra anima sia svuotata
dal pensiero del nostro io, per accogliere il thè di Dio. Diversamente la
Parola di Dio si spande per terra.
Eligio: Vorrei
chiederti questo: se abbiamo la possibilità di riconoscere senza equivoci la
parola di Dio, perché stavo pensando a quel funzionario che l’ha riconosciuta
come Parola di Dio: “ va, tuo figlio vive”. Ma poteva arrivargli anche
un’altra parola: “ Datti da fare, va a cercare un medico”. Vorrei sapere se
l’anima ha sempre la possibilità di riconoscere in mezzo a tante altre parole
quella che è la Parola di Dio.
Luigi: No, può riconoscerla solo
se ha già messo Dio dentro di sé.
Eligio: Per
poterla incarnare è necessario prima conoscerla come tale, riconoscerla in Dio.
Luigi: Sì soltanto se noi abbiamo
già Dio dentro di noi, possiamo riconoscerla. “ Solo le mie pecore ascoltano
la mia voce”. Solo chi è pecora di Dio può riconoscere la Parola di Dio. Ma
chi è pecora di Dio?
Eligio: C’è
quindi la possibilità sempre di riconoscere inequivocabilmente la Parola di Dio
in mezzo alle altre parole avendo Dio in noi.
Luigi: Sì, chi ha Dio in sé,
riconosce fuori di sé ciò che è in sintonia con Dio. “Le mie pecore
riconoscono la mia voce” “ Voi non ascoltate la mia voce perché avete un
altro padre; siete altre pecore, quindi la mia parola non entra in voi, non può
essere riconosciuta da voi. Per questo io ho parlato a voi e non avete
conosciuto l’ora in cui non siete stati visitati”. La colpa c’è, perché
al centro della vostra, anima avete messo un pensiero diverso da Dio: qui
sta la colpa. È il problema del battesimo di giustizia, di Giovanni Battista; è
la preparazione antica: se noi non facciamo questa giustizia prima dentro di
noi e non mettiamo al centro della nostra vita Dio, noi ci carichiamo di colpa.
Noi non siamo Dio: questo è evidentissimo! Se noi non siamo Dio, non dobbiamo
avere il pensiero del nostro io come punto fisso di riferimento. Questa è la
giustizia essenziale. Se la facciamo noi
possiamo non riconoscere niente di tutto quello che procede dalla giustizia essenziale.
Eligio: Quindi il
dubbio è sempre portato da qualcosa dell’io che noi abbiamo in noi e che non si
lascia penetrare totalmente da Dio.
Luigi: Sì, chi ci dà la
possibilità di riconoscere fuori di noi, attorno a noi, è quello che abbiamo
dentro di noi. Noi attorno a noi, vediamo sempre solo quello che abbiamo in
noi. Se io sono nero dentro, vedo nero dappertutto; se io sono azzurro, vedo
azzurro dappertutto. Allora è questo il principio: se noi abbiamo Dio in noi abbiamo
la possibilità (non è che ancora vediamo) ma abbiamo la possibilità di vedere
Dio attorno a noi. Per questo Gesù richiama sempre: “ Date a Dio quello che
è di Dio. Voi fate tanti altri problemi,ecc. , mentre il vero problema è
questo: dare a Dio ciò che è di Dio”.
Eligio: Ti ho
chiesto questo perché oggettivamente Gesù poteva dire anche altre parole.
Poteva dire: “ Datti da fare” e noi l’avremmo presa per buona. A un giudizio
esteriore, cioè quello che fa valida una cosa secondo Dio è lo Spirito, perché
le stesse parole te le può dire il mondo, ma con uno spirito diverso
Luigi: Tu vedi che qui nel
funzionario, Gesù disse: “Và, tuo figlio vive”. Abbiamo questo
paralitico di 38 anni e Gesù gli dice ancora: “alzati, prendi il tuo letto e
cammina”. Abbiamo precisato che in questo “alzati, prendi il tuo letto e
cammina”, si trova lo sviluppo di quell’unico verbo: “ và, tuo figlio
vive”. Dice lo stesso verbo ma ripartito: è un pane spezzato. Al
funzionario disse: “ Và, tuo figlio vive” e gli chiese l’adesione, la
fede nella sua Parola, mentre il funzionario credeva nella sua presenza: cioè
gli capovolge la fede. Gesù dicendo a questo funzionario: “Va, tuo figlio
vive”, lo mette nel rischio di trovarsi il figlio morto. E lui ha creduto,
ed ha accettato tutto questo. Accettando di andare ha preparato il suo animo ad
accogliere la vita in sé: come Abramo. Gesù ha ampliato il suo animo. Prima lui
per poter avere un pochino di garanzia per la guarigione del figlio, aveva
bisogno che il Cristo, il mago, il dottore, scendesse con lui; cioè credeva
nella presenza fisica. Gesù lo libera dalla presenza fisica e lo apre a credere
alla Parola che opera, allo Spirito. Abbiamo cioè già un preannuncio di
Pentecoste, quando Gesù dirà agli Apostoli:
“È necessario che io me ne vada (Io = presenza fisica), altrimenti lo Spirito non può venire in voi;
ma se io me ne sarò andato ve lo manderò”. Ecco , vedi il passaggio?
Per cui anche il Cristo, come tutte le creature, è un luogo in cui noi non
dobbiamo sostare. È una strada su cui bisogna passare, andare avanti,
perché Lui ci porta al Padre. Tutte le
cose ci segnalano il Padre; per cui tu non fermarti alle creature, ma accogli
dalle creature il messaggio che esse ti dicono e và, non bisogna sostare:
alzati, prendi il tuo letto e cammina.
Amalia: Ci sono
altri momenti però in cui Gesù accondiscende alla richiesta. Cioè, qui dice:“
Và, tuo figlio vive”; in altri invece Gesù va Lui.
Luigi: Parlando del paralitico,
abbiamo fatto il confronto tra questa iniziativa che Gesù prende con questo
ammalato dicendo : “Alzati, prendi il tuo letto e cammina” con altre
volte in cui Lui invece è sollecitato. Quando però è sollecitato, Lui mette
sempre una condizione: chiede la fede. Osservando i due fatti, abbiamo notato
che tutte le volte che Lui è sollecitato da altri è perché il fatto avviene non
di sabato. Mentre invece quando Gesù prende l’iniziativa è in giorno di sabato.
Sono lezioni personali per ognuno di noi. Negli altri giorni Lui esige la fede.
Di sabato, l’opera è solo sua, solo di Dio: sabato è il giorno del Signore.
L’uomo, interpretando alla lettera la volontà di Dio, si è paralizzato. Quando
l’uomo dice: “questa è per me la Volontà di Dio”, non si muove più, ha
frainteso la volontà di Dio. È convinto di essere salvo. Soltanto Dio può intervenire
a sbloccare la situazione. Allora ecco l’iniziativa del Figlio di Dio.
Nino: Però quando l’uomo crede
che quella sia volontà di Dio, direi che non è in colpa.
Luigi: La colpa adesso noi non la
possiamo misurare e non dobbiamo misurarla. Però c’è questo fatto: che se
quella non è volontà di Dio, soltanto Dio la può sbloccare in chi è convinto
che quella sia volontà di Dio.
Nino: Ma Dio dice anche che
quando uno sa: “ la vostra colpa rimane”. Quando uno invece crede di
fare la volontà di Dio, non sa; quindi se è una colpa è una colpa attenuata.
Luigi: Certo, ma questo
paralitico non ci viene presentato perché abbiamo a misurare il grado della sua
colpevolezza per il fatto di essere immobilizzato.
Nino: È questo che volevo dire:
per me qui Dio interviene proprio perché quest’uomo non è colpevole.
Luigi: Non possiamo dire che sia
colpevole, Gesù glielo dirà poi quando lo ritroverà nel Tempio (la lezione è carica di significato ed è
bellissima). Prima lo aveva incontrato fuori della Città di Dio. Poi lo
incontra nel Tempio. Costui ubbidendo alla Parola del Cristo, quindi incarnando
la parola del Cristo (porta il tuo lettuccio e cammina) , entra nel Tempio
dove, incontrandolo Gesù gli dice: “Eccoti guarito: non peccare più, affinché
non ti avvenga di peggio”. La lezione è stupenda, perché l’uomo adesso è
avvisato. Prima non è che fosse in colpa. Adesso gli dice: non peccare più, sta
attento perché adesso sai, adesso hai ricevuto, adesso sei consapevole. Prima
non sapeva, ma non sapendo e credendo che fosse volontà di Dio quello che stava
facendo (per cui diceva: “ Io sono ammalato da 38 anni, non posso farci niente,
Dio mi ha bloccato qui, non mi muovo”), soltanto Dio lo poteva liberare, perché
lui era convinto che non poteva farci niente. Ed ecco abbiamo l’intervento di
Dio, in giorno di sabato. Mentre invece negli altri giorni il Signore
generalmente è restio a guarire l’uomo. Questo ci fa capire che l’uomo può
essere veramente guarito solo di sabato. Quando guarisce negli altri
giorni, Gesù è restio, si rifiuta, ed ha bisogno di essere molto sollecitato,
richiesto: “Guarda che quello è buono, và, aiutalo, ha fatto del bene, ecc.”
E poi esige la fede, quasi a dire che quelle guarigioni sono guarigioni in
attesa del settimo giorno, del giorno del sabato in cui si entra nella vera
vita, nella vita eterna. Appunto questo ci fa capire che l’uomo può essere
guarito veramente soltanto in giorno di sabato. Gli altri giorni sono soltanto
preparazione alla vera guarigione.
Nino: Quindi il giorno di sabato
verrebbe a corrispondere quasi al fine della vita.
Luigi: Sì, la vita eterna:
entrare nella pace del Signore. Infatti i sei giorni rappresentano tutta
l’opera che Dio fa per noi; il settimo giorno ci invita a entrare nella sua
pace. Ci invita perché noi nel settimo giorno non entriamo se non
personalmente. Non entriamo per opera nostra, ma nemmeno per opera di Dio senza
di noi, perché Dio opera tutto e poi ci dice: “adesso capisci la lezione,
cammina”. Alla fine del sesto giorno, Dio si è riposato, perché ha visto
che tutte le cose erano fatte bene. Fatte bene per che cosa? Perché l’uomo
alzasse gli occhi a Lui.
Nino: Quindi viene facile
pensare che Dio conclude la nostra vita o quando ritiene che non c’è più niente
da fare con noi o quando ritiene che possiamo essere preparati ad entrare nella
vita eterna.
Luigi: Senz’altro. Quando abbiamo
parlato del settimo giorno, abbiamo visto che questo settimo giorno si verifica
in ogni avvenimento, perchè ogni avvenimento che arriva a noi, che si incontra
con noi, arriva a noi, attraverso i sei giorni della creazione. Arriva a noi e
sta lì. Direi, si mette nelle nostre mani e dice a noi: adesso tu portami al
tuo Signore, presentami a Lui. Raccogliendo quello che Dio ci mette nelle mani,
attraverso i sei giorni noi entriamo nel Tempio di Dio. ogni avvenimento
sprofonda in un abisso di sei giorni. E attraverso i sei giorni Dio fa arrivare
a noi avvenimenti, fatti, parole: anche le parole stesse del Vangelo arrivano a
noi attraverso quei sei giorni. Come arrivano a noi Dio dice a noi: “adesso, tu
portale al tuo Signore”, perché soltanto portandole entriamo. Ecco il lavoro
personale: non c’è nessuno che possa farci entrare in questo settimo giorno
senza di noi.
Nino: A questo punto però
dobbiamo già aver superato l’io, e dobbiamo già essere convinti che tutto viene
da Dio e che tutto va riportato a Dio.
Luigi: Tutte queste lezioni ci
vengono attraverso i sei giorni dell’opera di Dio. Quando Dio attraverso i sei
giorni ci ha convinti di questo, aspetta che noi “salviamo” la sua opera
riportandola a Lui. Cioè tutte le cose vengono dal Padre, arrivano a noi e
aspettano che noi le riportiamo al Padre. Se noi le riportiamo, salviamo
l’opera di Dio, facciamo l’opera compiuta. E salvando, siamo inseriti anche noi;
per cui raccogliendo, siamo raccolti; entriamo attraverso quello che
raccogliamo. Ognuno di noi ha la possibilità di restare con Dio, nella misura
in cui ha raccolto con Dio.
Cina: Mi fa coraggio che è il
Signore che conduce.
Luigi: Tutto Egli conduce, e anche
questo nostro raccogliere in Lui, è dono suo, grazia sua, non è opera nostra,
perché se noi entriamo nella sua pace, è soltanto merito e grazia sua perché
Lui ha operato attraverso i sei giorni e Lui ci ha dato la volontà di entrare
nel settimo giorno, di raccogliere. Quindi tutto è dono suo: la creatura entra
nel settimo giorno soltanto lodando e glorificando Dio per ogni cosa.
Pinuccia: Perché
allora ha detto prima: “non entra neppure per opera di Dio”?
Luigi: Nel senso che questo
non può avvenire senza di noi. Attraverso i sei giorni Lui ci propone.
Tutte le opere di Dio non sono mai fatte automaticamente. I sei giorni sono
fatti fuori di noi, ma l’opera di raccolta, l’opera di inserimento della nostra
anima nella vita eterna, non avviene senza di noi. “ Colui che ti ha creato
senza di te, non ti può salvare senza di te” (S.Agostino). Ecco l’opera è
partecipazione. L’amicizia è partecipare, è mettere in comune. “Vi ho
chiamati amici, non più servi (i servi = i sei giorni), perché vi ho fatto
conoscere tutto quello che ho ricevuto dal Padre mio”. Ecco la
partecipazione alla conoscenza, che rende amici, che fa entrare.
Nino: È un po’ come se uno che ha commesso un grosso delitto e ottiene la
grazia dal Capo di Stato: la grazia esiste sempre anche se la rifiuta.
Luigi: È lì la meraviglia: la
vita personale inizia solo così. Noi nasciamo solo nel momento in cui ci
impegniamo personalmente con Dio. Quell’uomo paralizzato nasce nel momento in
cui dice: “ Colui che mi ha guarito mi ha detto: prendi il tuo letto e
cammina”. Rende testimonianza a Cristo.
Nino: Nasce già nel momento in
cui lui accetta di guarire, perché potrebbe anche rifiutarsi.
Luigi: Però lui dice (e siamo nei
sei giorni): “ Non ho nessuno”, rispondendo alla domanda: “vuoi
guarire?”
Nino: Forse è quello il momento
in cui riconosce la sua miseria e quindi la sua apertura a Dio.
Luigi: Ma nota la cosa
meravigliosa: lui diceva: “ non ho nessuno”, e c’era davanti a lui Gesù.
È la nostra situazione. Lui contava sugli uomini e non vedeva chi aveva davanti.
Noi, a cose fatte, sapendo chi è Gesù ci rendiamo conto del suo errore, che è
poi il nostro. Tutto avviene come lezione personale per ognuno di noi. Noi
crediamo di non avere nessuno e non ci accorgiamo che Dio sta parlando con noi.
Guardiamo l’episodio dei due discepoli di Emmaus che se ne andavano tristi,
perché ormai il Maestro non c’era più, e il Maestro stava parlando con loro.
Noi facciamo tanti problemi, ecc. e non ci accorgiamo che Lui sta parlando con
noi, con me. È Lui che parla con me e io
dico non ho nessuno? Ho con me Dio e non faccio conto su Dio. Faccio conto solo
sugli uomini e dico: non ho più nessuno, perché gli uomini se ne sono andati
tutti. Ma proprio quando tu dici: non ho più nessuno, scopri che con te c’è
l’Assoluto, c’è Colui che può tutto. È il momento dell’inizio della vita.
Teresa: Avrebbe
potuto contare su Gesù almeno come uomo,chiedendogli di buttarlo lui nella
piscina…….
Luigi: No, perché per buttarsi
nell’acqua ci vuole la coincidenza del cielo con l’uomo: lui poteva guarire
soltanto se si fosse buttato quando l’acqua era mossa dall’angelo. Quindi non
bastava avere un uomo che lo buttasse, perché l’uomo da solo non guarisce
niente: ci voleva l’acqua agitata. Bisognava ci fosse l’angelo; per questo
dice: “non ho nessuno che mi butti quando l’acqua si muove”.
Cina: Oggi il Vangelo ci invita
a credere senza vedere.
Luigi: Gesù dice: “Beati
coloro che credono senza vedere”, cioè che credono a quello che non si
vede. Perché la vera fede sta nel credere quello che non si vede per arrivare a
vederlo. Si arriva a vedere quello che ancora non si vede, soltanto credendo.
Ma se noi crediamo solo a quello che vediamo, noi non arriveremo mai a vedere
quello che ancora non vediamo. Soltanto ascoltando, ricevendo la parola di
quello che ancora non vediamo e non
capiamo possiamo arrivare a vedere, a capire. Quindi “beati coloro che
credono senza vedere”, cioè che credono in quello che ancora non vedono, perché
allora si mettono in movimento, entrano nella vita.
Cina: Questo fa coraggio. Perché
i momenti di luce sono rari e di un momento; normalmente si vive nel buio:
Nino: Ma proprio quei momenti lì
di luce, non li dobbiamo più dimenticare, perché proprio quando siamo nel
dubbio dobbiamo avere fede in quel momento là in cui abbiamo visto qualcosa. Le
verità acquisite non le devo più perdere e far riferimento ad esse nei momenti
bui.
Eligio: Gesù mi
pare dica: “ beati quelli che credono senza vedere” non tanto perché non
abbiano a vedere, ma perché non abbiano a sottoporre alle condizioni umane le
esigenze dello spirito.
Luigi: Voleva far notare che c’è
quel rischio lì. Sarebbe un errore interpretare questa frase di Gesù in questo
senso: “ allora io mi rassegno alla notte”. Non ce lo dice per lasciarci nel
buio. Il Signore non parla perché noi ci rassegniamo alla notte. Dio è luce e
vuole comunicarla a noi.
Nino: Per questo bisogna sempre
riferirci alle luci che già abbiamo avuto.
Eligio: Non
necessariamente: la notte dei mistici, la fede pura non credo abbiano bisogno
di questi riferimenti ad illuminazioni precedenti per essere superate.
Nino: Dirò che non è mai notte
completa, perché se ti riferisci a queste luci, c’è una piccola luce a
distanza, ma c’è. A me succede così : il ricupero in certi momenti bui avviene
attraverso il ricordo di quei momenti di certezza.
Luigi: C’era un padre dei
Cappuccini che portava in tasca sempre un bigliettino con segnati tutti i
momenti di luce, tutto quello che lo poteva confermare su Dio, ecc. e lo tirava
fuori nei momenti difficili.
Nino: L’ho fatto anch’io. Non
devo rimettere sempre in discussione i punti acquisiti dopo tanta riflessione o
discussione; es. se Gesù è vivo e se devo credere in Lui, se no non finisco
mai. Devo anche acquisire qualcosa e metterlo a risparmio.
Luigi: La vita è un andare avanti: quello che hai acquisito è
scalino per un passo avanti.
Eligio: Quando
c’è buio buio e nemmeno quella piccola luce riesci a vederla? Ci sono dei
momenti di aridità spirituale in cui quelle luci lì non toccano la sensibilità
dell’anima
Nino: Uno deve attaccarsi a
tutto e andare a scovare questi momenti di luce avuta.
Eligio: Non pensi
invece che sia meglio una preghiera di accettazione e di fiducia?
Nino: Nel momento in cui tu
accetti da Lui sei già a posto.
Luigi: Bisogna accettare da Dio
tutto quello che si ha e tutto quello che non si ha.
Nino: Molte volte il buio o il
dubbio nascono dal fatto che non abbiamo riferito qualcosa a Dio
Eligio: Ma è
anche Dio che ci toglie queste capacità di poter riferire tutto a Lui.
Nino: Te le toglie quando vede
che tu non sei a posto, se no non te le toglie. Dio ti dà le lezioni quando ne
hai bisogno.
Eligio: Forse
anche per farti salire più in alto, per darti una luce maggiore e non perché
non ho utilizzato le occasioni che Lui mi ha dato.
Luigi: Noi non possiamo misurare
l’opera di Dio, però certamente Dio, in quanto mi fa attraversare questo
momento, che può essere un momento di luce o un momento di notte, lo fa per
farmi avanzare. Questo è poco ma sicuro. Quindi è sempre un momento positivo.
Nino: Perché se tu non avanzi
non stai fermo, torni indietro
Luigi: Noi dobbiamo sempre
riferire tutto a Dio; anche la notte va riferita a Dio.
Pinuccia: Riassunto domenica
15/1/78 – Incontro n.115 (presso De Bortoli)
“Ieri
all’ora settima la febbre lo lasciò”
“Era
proprio quella l’ora in cui Gesù aveva parlato”.
-La
vita viene dalla Parola di Dio; la morte viene dalla parola dell’uomo.
-Qual
è quest’ora in cui Dio parla?
Se
tutto è opera di Dio, tutto è Parola di Dio; quindi Dio parla in tutto, parla
sempre. Se parla sempre, come può esserci un’ora in cui Dio parla? Dio
parla in tutto e sempre, ma l’uomo sente parlare le creature, non Dio. Come
mai? Fintanto che tu sei pieno di te, non è possibile che la Parola di Dio
entri in te.
Luigi: Ecco fintanto che tu
sei pieno di te non è possibile che la Parola di Dio entri in te.
Eligio: È il
criterio per riconoscere la Parola di Dio tra le altre parole?
Luigi: Sì, è il criterio
Pinuccia: Continuazione lettura:
E se non entra non reca vita. Il pane reca vita se viene mangiato. Solo
chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Ci vuole il Pensiero di Dio in noi
per ascoltare le Parole di Dio. L’ora in cui Dio parla è un punto
d’incontro tra ciò che noi invochiamo e ciò che Egli vuole donarci
Riassunto dell’incontro n.116del 22/1/78 (presso De Bortoli)
Inizio del cap. v Giov.5,1 “Dopo ciò ricorreva
una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme”.
Dio ci presenta i tempi e i giorni per la
nostra vita e attraverso essi ci fa entrare nella vita essenziale. La festa è
il giorno offerto per entrare in ciò che ci è annunciato durante i sei giorni
della creazione. Passaggio dalla Galilea alla Giudea, a Gerusalemme: passaggio
dall’esteriorità alla interiorità, dalla superficialità alla profondità, dal
Verbo esteriore al Verbo interiore. È solo nella profondità che si trova la
stabilità. L’instabilità è effetto di superficialità. La stabilità è
effetto di profondità e la profondità di interiorità. Nell’interiorità si trova
l’universalità.
Riassunto dell’incontro n.117 del 29/1/78 (presso De Bortoli)
Giov.5,2 “A Gerusalemme vicino alla porta
delle pecore vi è una piscina”.
La porta delle pecore per entrare nella Città
di Dio è Cristo: “Io sono la porta delle pecore”. Per passare attraverso
di essa, si richiede il superamento di se stessi: “Chi vuol venire dietro di
me, rinneghi se stesso”. È il prezzo da pagare per entrare nella Città di
Dio. Questo è il luogo in cui tutto dipende da Dio, in cui tutto è sacro. Sacro
è tutto ciò che accorda al divino il primo posto; profano è tutto ciò che non
accorda al divino il primo posto.
Pensieri Conclusivi.
S: Dio è l’essenziale:
bisogna ritornare lì
Cina: È Dio che conduce tutto:
ogni cosa che arriva a noi è una sua parola e quindi accogliere tutto dalle sue
mani.
C/T: Per me la difficoltà è
scoprire la Volontà di Dio; ma penso che il problema sta nel mettere Dio al
primo posto e Lui darà la luce momento per momento.
Luigi: Sì, certo. Metti prima Dio
e poi vedrai che tutte le altre cose verranno. È Vangelo, è Lui stesso che lo
dice: “Cerca prima di tutto il Regno di Dio e tutto il resto ti sarà dato in
soprappiù”. Quindi non preoccuparti.
È Dio che provvede. Lui interviene anche nelle piccole cose (cfr. episodi
raccontati da Nino in Africa) e, se necessario, fa anche il miracolo: noi
magari lo diciamo caso, ma intanto è Dio che opera. È tutto previsto.
Teresa: A volte
succede che uno è portato via da quello che credeva fosse la volontà di Dio:
non perché si scarti Dio, ma ci si lascia portar via. Forse perché non si è
messo Dio al primo posto. Altre volte invece si è in buona fede, e poi si
scopre che Dio voleva altro.
Luigi: Se uno è in buona fede, si
mantiene aperto a ricevere le lezioni, per cui, man mano che cammina, non deve
irrigidirsi, dire: “io ormai ho deciso questo”. No, sta attento perché Dio è
con te e Dio corregge il tiro. Per cui sulla stessa strada, ti sta deviando a
poco per volta su un’altra strada: lasciati deviare. Bisogna sempre lasciarci
condurre: anche se noi scegliamo: “adesso vado qui”, lasciati condurre, perché
magari Dio ti conduce al treno e poi te lo fa partire sotto gli occhi e resti a
piedi. È Dio che conduce: bisogna maturare questa consapevolezza. In
tutto non siamo noi che conduciamo Dio o non siamo noi che facciamo la nostra
vita: è Lui che lo fa. Per cui anche se in buona fede dico: “Oggi farò questo”
comincia pure a farlo, però mantieniti aperto alla lezione di Dio, mentre tu lo
stai facendo ti dà. Perché Dio non soltanto ci dà l’esistenza, non soltanto ci
indica la meta, ma è sempre con noi e parla con noi, e quindi ci fa riflettere
in modo da portarci là dove ci vuole condurre.
Teresa: A volte
uno ha dato certe interpretazioni alla volontà di Dio, che solo dopo scopre che
erano sbagliate.
Luigi: Ma se uno è in buona fede,
non si irrigidisce, si lascia condurre. L’importante è essere in buona fede,
cioè essere aperti alla Volontà di Dio.
Nino: Essere disposti a cambiare
luogo, per es.
Luigi: È questa disponibilità di
animo che conta, anche se è duro perché uno si è impegnato. Ma bisogna imparare
a far conto su Dio.
Nino: Ed essere convinti che è
Lui che ci conduce: allora si è tranquilli e soddisfatti, anche se è duro o si
è stanchi.
Luigi: Sì, perché è Lui la nostra
pace. Invece quando noi siamo nel pensiero dell’io, seminiamo proprio la nostra
inquietudine. Noi crediamo di fare tante cose, e poi ci accorgiamo che ad un
certo momento tutto salta in aria e ci troviamo tra molti affanni, perché non
si è fatto conto su Dio: invece Dio è la nostra pace.
Nino: L’imbroglio è l’autonomia,
quando crediamo di essere noi a decidere e a fare. E allora Dio ci fa fare
tutto il contrario, per farci capire che non dobbiamo decidere noi.
Luigi: E lei D. qual è il suo
pensiero conclusivo?
D. : L’importante è credere,
anche se certe volte è duro dire di sì.
Luigi: Può anche essere duro,
però qualche volta ci dà anche i “cioccolatini” (cfr. l’automobile arrivata di notte
e che ha risolto il caso di emergenza)
Amalia: Però è
anche vero che si vede che è Dio che conduce quando però c’è già questa
disponibilità di dipendenza.
Luigi: Certo perché altrimenti si
vede il caos, ecc.
Eligio: Noi
vediamo solo la conclusione, cioè il fatto in sé, ma questo è stato preparato
da Dio in antecedenza mentre tu non ci pensavi e questo lo fa per confermare
gli uni o rimproverare gli altri. Quindi Dio lavora contemporaneamente per
tutti e ti fa coincidere le cose.
Luigi: Certo, mentre dà una
lezione ad uno, dà una lezione ad un altro, ecc. La meraviglia di Dio è lì.
Amalia il suo pensiero?
Amalia: Prima di
tutto che la vita è un rapporto personale e che incomincia non quando riceviamo
i doni, ma quando riportiamo questi doni a Dio; e poi che l’incapacità di
riconoscere la Parola di Dio fuori di noi deriva dal fatto che non abbiamo
ancora Dio dentro di noi, e quindi la necessità di avere il Pensiero di Dio al
centro dentro di noi per poter riconoscere e capire le Parole di Dio fuori.
Luigi: Per poterle intendere, se
no siamo nell’impossibilità di leggerle. E tu Eligio?
Eligio: Per me è
stato chiarito il criterio con cui distinguere le Parole di Dio in mezzo a
tutte le parole in cui siamo immersi, per incarnare quelle di Dio (e non quelle
delle creature, anche se a volte lo si fa in buona fede).
Teresa: Quindi se
non riusciamo a captare la Volontà di Dio è perché non abbiamo ancora Dio in
noi? Ho capito bene?
Luigi: Se non riusciamo a
riconoscere la Parola di Dio che arriva a noi è perché non abbiamo ancora Dio
in noi, cioè per riconoscerla devo aver messo Dio al centro della mia vita.
Teresa: Allora io
posso attuare in buona fede senza aver Dio in me? Cioè anche quando sbaglio in
buona fede è perché non ho Dio in me?
Luigi: No, la buona fede non ci
può essere senza Dio. C’è il “senza Dio” se noi abbiamo il pensiero del nostro
io al centro della nostra vita. La buona fede c’è in quanto uno mette Dio al
centro della sua vita, (infatti parlavo di apertura). Ora questa buona fede ci
dà la possibilità (non è che uno veda già tutto: per vedere ci vuole lo Spirito
Santo) di riconoscere la Parola di Dio; possibilità che cresce a poco per
volta, man mano che uno si avvicina a Pentecoste. Però la buona fede ci dà già
questa possibilità, cioè si stabilisce l’elemento di sintonia: la pecora può
essere sperduta, ma è pecora di Dio; è sperduta nel mondo. Sperduta vuol dire
che non ha la capacità di camminare e di trovare la strada. Ma come Gesù fa
sentire la sua voce, la pecora immediatamente percepisce la parola del Signore:
la riconosce; “era questo che io aspettavo! Io non ero capace di camminare, ma
aspettavo questo”. Come fanno i primi discepoli a riconoscere Gesù? “L’aspettavamo!
Colui di cui hanno parlato Mosè e i Profeti, è Lui”. È perché lo aspettavano
dentro. Portandolo dentro, l’hanno riconosciuto. Quindi quello ci dà la
possibilità di riconoscere è quello che noi portiamo dentro di noi. Se dentro
di noi portiamo il mondo, il pensiero degli altri, il pensiero del nostro io,
della figura, della gloria, questo naturalmente ci fa deviare. Noi possiamo
incontrare tutti i giorni il Cristo, ma certamente non Lo riconosciamo, anche
se facciamo la comunione tutti i giorni, (questa diventa una pratica, una
regola di vita, ecc.). Quello che ci dà la buona fede e quindi la possibilità
di riconoscere la Parola di Dio, è il Pensiero di Dio messo prima di tutto
nella nostra vita e questo ci rende disponibili, per cui incominciamo una
strada, ma sempre disposti a fare…… i salti mortali, se Lui ce lo dice o ci
dice di cambiare. È questo che ci rende disponibili a cambiare. Invece se il
nostro io ci irrigidisce, ci fa diventare delle conchiglie fossili. Ad un certo
momento siamo dei ricci, chiusi su noi stessi. Il Pensiero di Dio ci apre
all’Infinito.
Teresa: Quand’è
che veramente mettiamo Dio al primo posto?
Nino: In ogni cosa che ci capita
Dio ci pone davanti ad una scelta. Basta scegliere sempre Lui, poi Lui fa il
resto.
Luigi: Ma tu capisci che per
scegliere Lui debbo aver messo il Pensiero di Lui prima di tutto.
Nino: Mai scegliere quello che
fa comodo a me, anche se a volte quello che vuole Lui può far comodo anche a
me.
Luigi: Certo, il criterio per
conoscere la Volontà di Dio non è quello di cercare sempre ciò che non piace a
te. No, perché può darsi che Volontà di Dio sia anche quello che piace a te
perché Dio è mica sempre il nemico o l’Essere contrario.
Amalia:
L’importante è che ci sia il superamento del pensiero di noi stessi e poi anche
se la sua Volontà coincide con ciò che piace a noi….
Luigi: Certo, perché Dio è gioia.
Quindi è sbagliato dire: “Faccio sempre al rovescio di ciò che mi piace”, no,
perché ad un certo momento puoi diventare un masochista.
Nino: Quando coincide la sua
Volontà con la nostra, sono momenti di rivelazione, che però non devono inorgoglirci.
Luigi: Quando Dio ci manda i
“cioccolatini” (cfr. automobile che arriva) sono i momenti in cui uno trova la
conferma. Ma guai se uno si inorgoglisce, perché il Signore immediatamente
capovolge tutta la cosa. Il Signore ha una libertà tale di operare, per cui in
un istante ti manda tutto in aria, se in quel momento hai un pensiero di
orgoglio. Pinuccia il suo pensiero?
Pinuccia:Dio ci
conduce in ogni cosa, in ogni situazione, davanti alla porta delle
pecore,perché ogni cosa che arriva a noi richiede il superamento di noi stessi,
perché dobbiamo superare l’apparenza e cercare il pensiero di Dio. Quindi in
ogni momento siamo davanti alla porta delle pecore… Non è che si passi
attraverso di essa una volta per tutte.
Rina: A me è rimasta impressa la
giustizia essenziale che dobbiamo portare dentro di noi per poter vedere la
volontà di Dio e quindi come conseguenza far dipendere ogni nostra azione, ogni
nostro pensiero da Dio.
Nino: Per me è rimasto chiaro
che ci troviamo ad ogni momento di fronte ad una scelta.