Subito quell’uomo fu guarito e, preso il suo letto se ne
andava. Ora, quel giorno era sabato”. Gv 5 Vs 9
Titolo: La
guarigione dell’uomo.
Argomenti: La preghiera
vocale. La vita lunga. LA PASSIONE DI CRISTO. Solo Dio ci può
liberare dei nostri pesi. Il prezzo che Dio deve pagare per salvare l’uomo. Cristo è sorgente di vita, per cui Lui morto, restando con noi, da a noi la
possibilità di pensarlo. La profondità della
creazione. La morte è non
attrazione per Dio. Dobbiamo perdere una
persona per scoprirne l’importanza. Sperimentare
l’assenza di Dio. Dio si deve far
figlio nostro, cioè deve annientare la sua divinità in noi. Attraverso l’assenza di Dio scopriamo la sua presenza. Cristo è rivelatore di quello che avviene. L’uomo è guarito dallo sguardo verso Dio.
19/Marzo/1978
Introduzione:
Luigi: Nel campo dello
spirito ci vuol sempre il superamento del segno, sia esso in latino o in
italiano, per passare al significato; anzi tanto più il segno è un idioma
astruso, tanto più deve invogliare a capire. Le vecchiette che pregavano in
latino senza capire niente, avevano però il loro pensiero con Dio, e ciò che
importa è questo. Perché si dicono delle preghiere vocali? Per rendere attento
il nostro pensiero a Dio. che poi uno dica una parola o un’altra, in un modo o
in un altro, importa poco. Quello che importa è il pensiero. Per cui anche se
una vecchietta storpiava il Pater noster pensando però a Dio, la sua preghiera
era validissima.
Esempio: significato
della parola “tabernacolo”: deriva dal latino e vuol dire tenda: Dio è venuto a
mettere la sua tenda in mezzo alle nostre tende. La tenda ha il senso del
provvisorio, quindi: ha messo la sua provvisorietà in mezzo alla nostra
provvisorietà. Quindi non basta fermarci alla parola italiana “tabernacolo” per
poter dire di capirla, anzi proprio la parola italiana ci confonde il
significato vero per cui per poter dire di capirla bisogna superare il segno
italiano per coglierne il significato.
- Significato dei fatti odierni: non servono
le nostre sicurezze umane. Anche se camminassimo con cinque guardie di scorta e
con le macchine protette, non serve. È molto meglio fidarsi del
Signore. È sempre la lezione di Dio: “ fidati di me”, non fidarti mai né
di te né dei mezzi umani. Per noi le guardie del corpo possono essere la salute, il denaro,
l’assicurazione, la mutua, la pensione. Ma neppure di questo non fidarti;
fidati di Me, dice il Signore. Dobbiamo imparare a fidarci soltanto del
Signore.
-Significato di “vita lunga”, promessa dal Signore a chi non
si preoccupa. Un santo può avere vita corta fisicamente, ma vita lunga
spiritualmente. Spiritualmente la “vita
lunga” è la vita con Dio, poter restare molto con Dio, perché la vita viene dal
permanere molto con Dio,; mentre noi constatiamo la nostra intermittenza nello
stare con Dio, quindi la nostra volubilità, la difficoltà a restare, ed è non
vita. Se Dio è la vita, il non restare con Dio è non vivere: se non restiamo a
lungo con Dio, non viviamo a lungo; stiamo un momento e poi cadiamo giù. Invece
vivere a lungo è restare a lungo con Dio: poter contemplare, poter guardare il
suo Volto, poter restare con la Sua Presenza.
-
- Significato di “agonia” = lotta.
-
- Significato di “altare”: (per esempio quando si fa la
comunione spirituale: “ credo Gesù mio che Voi siete realmente presente nel SS.
Sacramento dell’altare”). Secondo S. Agostino, l’altare è la nostra mente, è
dentro di noi: quindi Dio è veramente presente dentro di me. Vedete allora che
efficacia acquista la comunione, per cui non Lo pensiamo più esteriormente, ma
ci ricollega interiormente con la Sua Presenza. Il SS. Sacramento è dentro di
noi, sul vero altare.
I
significati materiali sono i primi a cogliersi, ma sono questi che ci mettono
in contraddizione ( es. S. Teresina è vissuta poco, mentre la Bibbia promette
vita lunga a chi cerca Dio). È Dio stesso che ci mette in contraddizione, per
sospingerci a cercare il significato spirituale, quello vero, perché nella
Verità non c’è più la contraddizione. Tante volte noi diciamo: “non è vero,
perché la realtà non coincide”. Ma Dio ci dirà: “ no, guarda che la realtà che
intendevo io era questa: Quella che intendevi tu era solo un segno.” Per cui
nei segni c’è la contraddizione. E la contraddizione Dio ce la mette
sospingerci in avanti, per invitarci ad approfondire.
Eligio: Lettura di Giov.5, 1-9
Luigi: Stasera ci fermeremo
sul versetto 9 (e lo terremo presente meditando sulla Passione di Cristo e
sentendo i riassunti) : “Subito quell’uomo fu guarito e, preso il suo letto
se ne andava. Ora quel giorno era un sabato”. Quel paralitico fu guarito
per la parola di Gesù. Ora in questa meditazione sulla Passione di Gesù,
vediamo quello che è costato a Gesù guarire l’uomo. Perché qui dice una
semplice parola: “ Levati, cioè alza il tuo sguardo” e per questa parola
l’uomo fu guarito. Adesso guardiamo questa parola che il Verbo di Dio dice per
guarire l’uomo in quali profondità attinge per poter recare all’uomo la
guarigione. A noi sembra che dicendo questa parola: “ levati”, l’uomo sia
subito guarito; ma siccome Dio in ogni cosa che opera e parla dice a ognuno di
noi “levati, alza il tuo sguardo a Dio”, noi dovremmo essere tutti
guariti. Sembra una parola semplice e facile, invece c’è qualcosa di molto
profondo in essa, perché questa parola sprofonda nella Passione di Gesù, nella
sua morte in Croce. È proprio attraverso la sua morte in Croce che si compie in
noi questa parola che ci fa alzare gli occhi al di sopra del nostro mondo, al di sopra di noi stessi,
verso quella verticalità, verso quell’altezza, quella vita di Dio, in cui noi
ritroviamo la nostra vita. Per questo cerchiamo di vedere quanto è costata a
Gesù questa parola per guarire l’uomo.
PASSIONE DI CRISTO. “ e fisseranno lo sguardo in
Lui che hanno tradito e crocifisso”.
Introduzione: La passione di Cristo
è la vicenda in cui noi tutti siamo implicati, poiché essa si inizia, si
sviluppa e si compie, via, via che la nostra vita si svolge tra i nostri affari
e i nostri interessi, tra i nostri lavori, i nostri affetti e le nostre scelte.
Noi stessi siamo i personaggi della sua Passione. Là, su quel monte, ci siamo
tutti. La passione di Cristo è la passione stessa della nostra anima, di quella
parte di noi più pura più sincera, più vera; di quel desiderio di fermare
questa macchina che sta prendendo tutto di noi e di sederci al margine della
strada per pensare, per amare, per capire o semplicemente per guardare qualcosa
del Mistero che ci sta attorno e penetra dentro: un desiderio che inchiodato
tra cielo e terra preme sempre di più alla nostra porta quanto più il mondo ce
lo soffoca. Stiamo vivendo la Passione di Cristo e non ne sappiamo niente; né
vi facciamo caso. Ma che cosa è ciò che veramente sappiamo? Quello che accadde
allora fu rappresentato davanti a noi affinché prendessimo coscienza di quello
che accade nella nostra vita. Perché qualcosa accade.
Getsemani : notte. Hanno messo le loro mani su di
Lui; hanno messo le loro labbra su di Lui, oltre il torrente Cedron, in
quell’orto; l’orto della sua agonia nel
mondo.Sono venuti a cercarlo con le loro lanterne. Lo hanno trovato, lo hanno
scrutato, lo hanno esaminato. Lo hanno illuminato con esse, con le loro
lanterne, perché Lui era nella notte, per loro. Lo hanno misurato con il loro
metro ed hanno capito chi era: Gesù di Nazareth. Hanno capito? Lo hanno preso.
Le loro mani si sono imbrattate di sangue, sangue innocente, sangue di Dio. Lo
hanno preso e condotto via. Iniziavano la vigilia della loro Pasqua, la grande
loro festa in onore di Dio, per rendere gloria a Dio. Le festa del mondo si
aprono sempre con un tradimento nella vigilia, un delitto: perché per far festa
bisogna prima mettere fuori dal nostro cuore chi ha qualcosa da dire. Credevano
di amare ed hanno tradito; credevano di rendere gloria a Dio ed uccidevano Dio.
Tutto avvenne per farci prendere coscienza di quello che accade nella nostra
vita. “Io sono venuto per invitare tutti ad entrare nel Regno di Dio, a
cercare prima di tutto questo regno. Andate su tutte le strade e quanti
incontrate invitateli dicendo: tutto è pronto”. Tutto è stato fatto per
questo; anche l’uomo è stato fatto per questo e non per guadagnare denaro o per
litigare per un pezzo di terra. Ma chi non vuole intendere la strada del suo
destino, non può entrare, non può amare e deve tradire. Dovrà tradire ed
uccidere. L’amore fedele è opera di Dio. Il tradimento è opera dell’uomo. “Il
mio Regno non è di questo mondo”. Ma nessuno pensi di essere al sicuro da
questo tradimento: Lo ha tradito colui che conosceva il suo cuore, colui che
passò con Lui lunghe ore di confidenze, di silenzio, di preghiera.
Davanti ai tribunali: ora
terza
– Lo hanno schiaffeggiato. Lo hanno insultato. Lo hanno deriso. Le voci del
mondo hanno soffocato la voce di quel suo meraviglioso silenzio. Lo hanno
condotto ai loro tribunali e l’hanno interrogato. Interrogavano il loro Dio.
Volevano che si giustificasse, davanti a loro. Perché ci turbi? Perché sei così
esigente? Perché non sei come gli altri? Perché fai vedere che le nostre opere
sono cattive? Perché ci fai nascere? Perché ci fai soffrire? Perché ci fai
morire? Perché ci dai l’esistenza? Volevano che
si giustificasse. Volevano che desse un segno “Faranno di Me tutto
quello che vorranno”. Viene l’ora, per ogni uomo, in cui Dio si dà nelle sue
mani e gli dice: fa di me tutto quello che vuoi. Cominciarono a sputargli in
faccia. Gli bendarono gli occhi. Lo colpirono con pugni. Lo flagellarono. Ecco
l’uomo. “Conosci te stesso” si era detto l’uomo nella sua sapienza. (Ma non
poteva conoscersi). Ora gli è stato dato uno specchio per guardarsi e per
conoscersi. Gli misero anche una corona sul capo per farlo re, perché gli
uomini non hanno difficoltà a lodare coloro che hanno deciso di tradire nel
loro cuore. Gli misero una corona di spine ed un manto regale e lo schernirono
piegando il ginocchio davanti a Lui: salve o nostro Re. No, non condannateli.
Nessuno li condanni. Furono essi degli attori per noi, per dire a noi quello che noi stessi facciamo. Nessuno
li condanni: condanneremo noi stessi. All’ultimo lo condannarono : a morte! Non
potevano sopportare il suo amore; non potevano sopportare di essere amati da
Uno che non apparteneva al loro mondo, da Uno che non era come gli altri. Non
potevano sopportare ch’egli regnasse su di loro, che regnasse con la Sua Verità
e la Sua carità tra i loro affari, tra i loro interessi, tra i loro pensieri.
Lo caricarono di una croce: la sua croce. E lo avviarono al Calvario.
Ora di sangue sono
intrisi i sentieri, le pietre, la terra. Anche il fango è fango di sangue
pestato da tutti coloro che passano. Gli uomini non scendono dalle loro
macchine e non si tolgono i calzari perché non sanno che la terra su cui
camminano è intrisa di sangue e sangue di Dio. È terra santa. Non è terra di
traffico, di lotte, di commercio, di denaro. È sangue e silenzio.
Calvario : Tutto è solo segno di
un’ agonia senza lotta, senza speranza. Agonia di una carne contro lo spirito
che l’abbandona, che l’ha già abbandonata. E tutto è solo una folla che urla.
Una folla che è uno e nessuno, perché attende che le si adatti un volto, e
potrebbe anche essere il nostro. Là in mezzo, era Lui. Sulla croce. Sospeso tra
cielo e terra. Inchiodato, come la nostra anima, inchiodato tra cielo e terra.
Silenzio e urla. Moriva nel suo sangue, vittima del mondo. Come la nostra
anima, come questa nostra anima battuta, straziata, lacerata, derisa,
soffocata, tradita dal mondo. Egli è lassù, come la nostra anima, tra una folla
urlante dentro e fuori: vittima del mondo, vittima di ogni uomo. Ma il mondo
grida: non ci sono vittime, non vogliamo sentir parlare di vittime. Fu Lui,
Lui, Lui a voler morire. Pazzo, esaltato, sognatore. L’abbiamo esaminato alla
luce delle nostre lanterne e l’abbiamo capito. Potevamo forse ubbidire a uno
come Lui? Mettere in gioco tutta la nostra vita, il nostro avvenire, il nostro benessere per Lui? Per Uno che non aveva
una pietra su cui posare il capo? Credeva di accendere in noi un fuoco, un
amore, una dedizione pura; parlava di Verità e di rinnegamento di noi stessi. Abbiamo altro da fare. Il nostro
tempo è denaro. Ecco il nostro Re. Non ci sono vittime: noi non volevamo avere
altro re che Cesare e “Lui” lo sapeva. Vortici di urla crescenti attorno a quel
dolore muto, sempre più muto, sempre più chiuso, sempre più assente. E la terra
era il sangue. E il cielo era di sangue: il cielo su di loro che non avevano amato,
che avevano avuto paura di amare, che avevano tradito. Colui che lo amava, Lo
ha consegnato alla morte. Colui che ti amava, ti ha consegnato alla morte. Le
tracce del suo sangue venivano portate lontano nei secoli dalle acque del
mondo.
Ora sesta del giorno : La loro opera è
finita. Lo spirito del Signore aveva detto: Se vi pare giusto, datemi la mia
mercede. Gli pesarono trenta monete d’argento e gli diedero la croce. Così
l’amore è rimasto inchiodato. Amore offerto, amore tradito, amore esposto, amore
deriso, amore sparso, amore disprezzato, amore crocifisso.
Golgotha: amore spogliato. Era giunta la sua ora. Era
l’ultima sua Pasqua. Nella sua agonia tutte le cose del tempo ritornavano
presenti per essere raccolte con Lui nell’eterno. Rivedeva altre Pasque:
allora, nel tempio, tra i dottori, quando per la prima volta aveva rotto il suo
silenzio per entrare in discussione su gli argomenti del Padre. E poi, sotto i
portici e nelle strade di Gerusalemme, sempre in discussione con i Farisei di
ogni tempo per far trionfare ovunque la Verità del Padre, il fuoco che lo
consumava. Rivedeva gl’incontri notturni con i maestri , con Nicodemo, una
lunga notte di dialogo e di rivelazione e la lotta con i mercanti, i sacerdoti,
e la difesa delle anime tradite, calpestate, distrutte: la samaritana,
l’adultera, Maria di Magdala, creature deboli portate lontane da venti
impetuosi, strette tra le maglie di ferro dei mercanti della carne.
Dio Mio…..Dio Mio….
Risentiva le
acclamazioni e i trionfi e le minacce e le congiure e le calunnie. Quante
Pasque sudate per far compiere alle anime la loro Pasqua! Era l’ora di
mezzogiorno: e Gesù rivedeva l’incontro al pozzo di Giacobbe con quella povera
creatura che era venuta per acqua. Sì, tanta acqua; sorgenti di acqua viva. Ho sete!
Sitio sitio! È un soffio, una voce, un urlo che giunge su ogni strada e penetra
ovunque, in ogni angolo di tempo o di uomo, anche in ogni cuore che in luogo
dell’amore preferisce pagargli trenta monete d’argento. È una voce che
t’arresta e t’impedisce di andare oltre. È la voce di un povero lacerato, a
piaghe aperte, intrise di terra e di sangue, con su il peso di tante agonie e
di tante viltà. E gli diedero aceto. Il mondo ha compassione delle sue vittime
quando esse non possono più ribellarsi e più nulla, soprattutto esigere. Allora
si prodiga in atti di generosità e di commiserazione; allora eleva i suoi
lamenti per la crudeltà di un destino che si è accanito su una povera creatura,
non del tutto come gli altri, e vorrebbe far dimenticare che quella è la sua
vittima. La maggior parte dei suoi amici ed apostoli se ne sono andati. Anche
allora, in quel mezzogiorno, gli apostoli erano andati al paese per il pane, ed
Egli solo, stanco, seduto sul muricciolo del pozzo, attendeva. Attendeva ciò
che l’amore attende sempre, anche se inchiodato, come ora. Attendeva qualcuno,
un’anima, una sola, per poterle dare tanto, dare tutto, il tutto di quest’ora,
il frutto di tutta la sua vita ad un’anima, chiunque essa possa essere, fosse
anche quella di un condannato dal mondo che in un soffio dica: “Maestro ricordati di me….”, “ Sì, sì,
oggi tu sarai con me in Paradiso”. Anche all’ora era venuta un’anima, aveva
sete. E vide . Oh come vide! Poi era partita di corsa, dimenticando persino la
brocca dell’acqua, poiché quando si trova tutto si può dimenticare tutto. ED
aveva trovato tutto anche lei che pure aveva già avuto sei mariti. Donna, ecco
il tuo figlio. Figlio ecco la madre tua. E rimase solo, solo del tutto, perché
era sul Golgotha: luogo dello spogliamento.
Ora, anche sulla sua
veste hanno posto la sorte, il caso. Hanno giocato ed hanno vinto. Gli uomini
possono andarne orgogliosi. Sono riusciti a liberarsi di Lui e si sono
accaparrati gli abiti. Ora trafficano e si divertono. Trafficano le vesti di
Uno di cui avevano stretta la mano benedicente e baciato il segno che portava
sulla fronte. Tutto diventò così prezzo di tradimento, anche le cose più
semplici del mondo. E tutto incominciò a
portare macchie di sangue. Sangue che nessun detersivo al mondo potrà mai lavare, poiché quel sangue ha
un volto ed è il nostro stesso, perché “Lui” ci ha amati fino alla fine e nella
fine, come opera d’ amore, ha assunto il nostro volto ed ha ripetuto la nostra
sete. Per questo, da allora, non fu più necessario essere santi, essere puri,
essere buoni per incontrare il Cristo, poiché da allora ogni uomo, ogni
creatura, anche la più abbandonata e la più avvolta di fango dal mondo stesso,
trova il Cristo che le stende la mano e le dice: vieni.
Ora nona del giorno – Tutto è compiuto. Il velo
della notte e della morte si stende su tutto e su tutti. Il velo della morte:
perché avete ucciso l’autore della vita. Avete ucciso la vostra vita. No, no,
non vogliamo morire. Si accendano i fuochi, tutti i fuochi della vita e si
faccia luce su questa notte. Gli uomini invocano la presenza di qualcuno che
sia vivo. Ora sono essi che hanno sete. Ora sono essi che muoiono di sete.
Incominciano a capire cosa volesse dire avere sete? Ma non c’è più acqua che
acqua frammista a sangue e non disseta più. E chi la beve ne è bruciato.
All’uomo non è più possibile, dopo la morte di Cristo, sostare davanti alle
acque del mondo senza avere la visione di quella vittima che aveva sete e che
esigeva purificazione. Non c’è luce nel
mondo che possa illuminare la loro notte e giustificare il loro delitto.
Sera sul Golgotha – La notte scende sempre più
cupa sul monte, sempre più fonda nell’anima. Angoscia dell’anima davanti a
quella tristezza che niente più ora trattiene dall’essere morte aperta su un
mondo chiuso, perché la Sua morte è la morte di tutti. Avete ucciso l’autore
della vita. E quanto più accendono fuochi per ridarsi vita, tanto più
illuminano la loro vittima. Questa rimane l’unica cosa illuminata sì che sarà
assolutamente necessario fissare i nostri occhi nei suoi, i suoi spenti ed
assenti. Il velo si è squarciato. Ora sono le voci di tutti quelli che ci hanno
preceduto che si levano ad accusare: perché non avete udito la sua voce che noi
vi avevamo annunciata? Avete elemosinato l’amore ed avete rifiutato l’Amore.
Avete cercato la luce ed avete rifiutato la Luce. Perché? Perché avete
rifiutato di dargli ciò che era suo? E cos’era mai vostro da urlare tutta la
notte contro le ombre che passavano? Voi dovevate amare! Non udirete più la sua
voce se non farete risuscitare Colui che avete ucciso.
Notte nei secoli – Così tutto fu compiuto. Poi
alla sua croce hanno costruito palazzi, elevato monumenti, offerto doni
preziosi, pur di far tacere quel grido che si ripercuoteva di pietra in pietra,
di anno in anno. Hanno continuato a dargli trenta monete d’argento. Hanno
sostituito la tradizione all’amore. È stato fatto anche questo: hanno recato
profumi ad un morto affinché restasse in pace, più morto.
Ma quanti bagliori di
fuoco ora lo avvolgono nei secoli!
Pinuccia: Lettura dei
riassunti. Continuazione del riassunto dell’11/XII sull’argomento:
“ Voi se
non vedete miracoli e prodigi non credete”.
L’episodio
del funzionario si collega con l’episodio della piscina sotto diversi aspetti:
ad esempio: il funzionario partì sulla parola e suo figlio guarì; qui, il primo
che si buttava nell’acqua era guarito. “ Se voi non vedete miracoli e prodigi
non credete.”
Credere vuol dire
partire sulla parola, buttarsi, camminare. Noi possiamo sprecare la vita
cercando segni che già ci sono stati dati o conferme di segnalazioni e non ci
decidiamo a camminare. Cerchiamo sempre dei motivi nuovi per credere e non
crediamo mai. Per questo Gesù ci rimprovera: “ Se non vedete “cose nuove”
(miracoli e prodigi) non credete” Per questo dobbiamo chiederci: “Voglio
veramente arrivare a Dio? Perché se veramente lo voglio, cammino sulla strada
che mi è stata indicata, se no perdo tempo a cercare le strade, mentre non mi
interessa poi sul serio di arrivare alla meta. Quindi camminare vuol dire approfondire la parola che Lui ci
dice.
Luigi: L’abbiamo visto
domenica scorsa: “Alzati prendi il tuo letto e cammina”. Camminare è
approfondire fino ad arrivare alla conoscenza di quello che è eterno, che è
vita, cioè la presenza di Dio.
Pinuccia: Sì, la meta è arrivare a conoscere Dio come Lui ci conosce,
ad amarlo come Lui ci ama. L’importante quindi è approfondire, restare. Ci
sembra più facile cercare sempre presso altri motivi nuovi per credere, ma
intanto non ci impegniamo, non camminiamo, perché il camminare richiede un
impegno personale. Siamo sempre lì: “ mangiare è facile, vivere è difficile”.
Vivere vuol dire dedicarci, restare, scavare, approfondire, perché Dio non
abita nelle cose superficiali. “ Sforzatevi di entrare in questa profondità”.
Richiede fatica, perché noi per natura siamo superficiali: La forza, per questa
fatica, è l’amore, l’interesse per Dio. Quindi non corriamo a destra o a sinistra per informarci se quella è la
strada giusta, ma impegniamoci ad approfondire ciò che già ci è stato dato.
Alla luce di questa frase Gesù “Se voi non vedete….non credete”.
Si era
sentito il riassunto della domenica 16/ X: “Lo pregò di discendere”. E
si era cercato il collegamento tra questi due argomenti.
Il tema era
quello della preghiera:
che cos’è la
preghiera:
perché è
necessario pregare sempre;
quand’è che
si prega.
La preghiera
è ascolto, ritorno a Dio. Nella preghiera il Signore forma in noi il desiderio
di vedere la sua gloria, di vedere che tutto è suo. Per questo si invoca
che “discenda” a fare tutto suo. Quindi
alla luce della frase Gesù che abbiamo visto ( “ Voi se non vedete.. non
credete”), pregare è camminare verso. La fede ci dice che Lui è presente, e
allora: “ cammina, finchè non Lo
vedi presente”. Per questo è necessario pregare sempre, camminare sempre,
perché bisogna giungere a questa meta. E dove camminare? Sulle sue parole.
Infatti : “ nessuno può andare al Padre se non per mezzo Mio”. Quindi
cammina dietro di me, cioè assimila le mie parole, approfondiscile. Ma per
conoscere Lui, bisogna unificare le sue parole in un solo pensiero e non
passare da una parola all’altra. Per questo ora abbiamo cercato di collegare
l’argomento della preghiera ( “lo pregò di discendere” con questa frase
di rimprovero da parte di Gesù ( “Se non…..credete”). Poiché è Uno solo
Colui che parla e che dice tutte queste parole, se le unifico faccio un passo
nella conoscenza di Dio. Gesù ci dice parole diverse, apparentemente
contradditorie per farci camminare, ma è sempre lo stesso Spirito che parla, ad
esempio tanto nelle gioie come nei dolori, tanto quando ci dà i doni, come
quando ce li prende; questo sempre per non farci sostare ma per farci
camminare. Dio opera per metterci in movimento. Ci toglie un gradino di sotto
il piede per farci salire sul gradino che sta più in alto. Bisogna stare sulla
sua parola, ma con la preoccupazione di conoscere Lui, per cui devo cercare di
capire perché oggi parla così e domani parla così, per arrivare alla “sintesi”,
per conoscere il suo Spirito che parla così: questo è camminare. È un lavoro,
questo, che facciamo sempre quando abbiamo interesse di conoscere una persona
che ci sta a cuore: si raccolgono tutte le sue parole, segni, manifestazioni
sue, per poterla conoscere di più. Così dobbiamo fare con Dio, finchè non
arriviamo alla sua presenza. Sapendo che è presente, nasce il desiderio di
vederlo; sapendo che ci conosce, nasce il desiderio di conoscerlo. Non dobbiamo
sostare finchè non lo vediamo: è necessario quindi pregare sempre, camminare sempre.
“ Non darò pace alla mia anima, fintanto che non arriverò a vedere il Tuo
Volto”, cioè fino alla scoperta della sua Presenza, sapendo che Lui è presente.
L’anima è “desiderio”, quindi è preghiera; perciò non dobbiamo soffocare la
nostra anima, cioè questo desiderio di vedere, ma camminare fino a giungere
alla vetta su cui si vede. Possiamo passare la vita correndo dietro a tutti
quelli che ci dicono che dalla vetta si vede un panorama meraviglioso, ma non
salire verso di essa; cerchiamo sempre novità per credere, ma intanto non
crediamo mai. Non sono le tante creature che mi parlano, ma è Uno solo che
parla in tutto e mi dice: “ parti, sali sulla vetta”. Se non ubbidisco, vado a
cercare altre creature perché mi dicano la stessa cosa e nelle quali trovo di
nuovo quell’Uno che mi ripete: sali, parti. Il bambino che è semplice non ha
bisogno di sentire molte persone per credere. C’è qualcosa di complicato in noi
se non ci bastano le segnalazioni ricevute, ma andiamo a cercarne altre.
Cammina come puoi, ma cammina. E non perdere tempo a cercare altri motivi,
altre segnalazioni, come giustificazioni per non impegnarti mai.
Luigi: Quel “cammina come
puoi”, coincide con: “Prendi il tuo letto e cammina”. Cioè, cammina e
non rinviare il camminare a quando ti sarai liberato dal letto. Quindi: non
puoi liberartene? Cammina con i mezzi che hai, con quello che puoi, ma non
aspettare domani, perché certamente il domani non è nelle tue mani. Quindi se
tu oggi sei pieno di altri impegni, non scusarti per rinviare la partenza, ma
parti subito oggi.
Eligio: Direi che il “non puoi
liberartene”, va preso come volontà di Dio da parte nostra di tollerare quel
peso che Dio ci accolla, perché ne abbiamo bisogno, ancora.
Luigi: Sì, perché
l’importante è, anche se non te ne puoi liberare, che tu cominci ad alzare gli
occhi. Stai lavorando, sei pieno di impegni, parli con persone? Ecco, non
immergerti soltanto in questo: incomincia subito ad alzare gli occhi, non
aspettare ad alzare gli occhi allo Spirito domani, quando sarà cessato il tuo
impegno.
Eligio: Non è mai la creatura
che per sua iniziativa può liberarsi dai pesi, ma è Dio che la può liberare,
vero?
Luigi: Sì, però qui risponde
anche, mi sembra, allo stesso problema che c’era nella parabola della zizzania
e del grano. Cioè, non preoccuparti tanto di togliere il male, la zizzania.
L’importante è preoccuparsi che cresca il bene, che cresca il grano. Ora per
crescere, alzati, guarda in alto. Se non puoi in un modo o nell’altro
raccoglierti nel silenzio a meditare, incomincia soltanto ad elevare il tuo
pensiero verso Dio. Ecco, cammina come puoi, ma cammina, non rinviare.
L’importante è questo: non rinviare. Poi la meraviglia avverrà, perché man mano
che tu guardi in alto, la vita si trasforma. Ad un certo momento Dio ti fa scoprire
che sei libero. Ma che cos’è che ti ha liberato? Ti ha liberato Lui dall’alto,
in quanto tu guardavi Lui.
Eligio: Quindi la nostra
attenzione non va incentrata sui pesi o sulle remore che abbiamo, ma in Dio,
che a sua volta ci libererà dai pesi e dalle remore.
Luigi: Sì, è proprio questo
che va fatto. È questo l’importante, perché altrimenti noi, nella
preoccupazione di togliere il peso, ecc. non vediamo più l’essenziale.
Eligio: Non solo, ma noi
facciamo sempre degli errori: se io fossi in un altro ambiente, se fossi in
quella situazione, se avessi quell’età, quella mentalità, ecc.
Luigi: No, comincia subito a
guardare in alto.
Eligio: Guarda Dio e Dio ti
libera da quella mentalità, da quell’ambiente, da quel lavoro, ecc.
Luigi: Cioè, non fermare la
tua attenzione sugli ostacoli, sul male, sul voler togliere il male, ecc. No;
perché intanto non lo toglierai mai; alza i tuoi occhi. Ecco, vedi, l’aspetto
positivo, al quale ci volge il Signore. Per cui, in qualunque situazione uno si
trovi, fosse anche immerso nel fango, comincia ad alzare gli occhi. Il Cristo
passa e ti invita ad alzare gli occhi
dalla situazione in cui ti trovi verso di Lui. Alza gli occhi perché è Dio che
ti libera. Non sei tu che ti liberi.
Pinuccia: (continuazione lettura): Questa frase di Gesù: “Se voi non
vedete miracoli e prodigi non credete”, coincide con quel proverbio: “na
cativa lavanderia trova mai na buna
pera”. La segnalazione che dobbiamo seguire è questa: “ Io sono presente, sono
Colui che parlo con te, quindi parti”. Cioè ogni sua parola ci fa desiderare
ciò di cui ci parla, ci sollecita a partire, a superare noi stessi: ecco la
fatica. Partire dal nostro io in cui Dio si annuncia e camminare dietro questa
parola, finchè non arriviamo a vedere. Questo partire sarebbe alzare gli occhi,
guardare in alto. Si arriva a vedere Dio con Dio, non nel pensiero dell’io. Se
ti superi vedrai Colui che parlava con te. Tutto il problema della tua vita è
avvicinarti a Colui che parla con te, (e Lui parla con te adoperando tutti).
Luigi: Cioè, tutto quello
presuppone che noi, in qualunque situazione ci troviamo, per quanto siamo
immersi nel male, abbiamo sempre la possibilità di alzare lo sguardo a Dio, in
qualunque situazione. Ecco il punto immacolato che c’è in noi, che permane in
noi nonostante tutto. All’atto profetico, che cosa significa questo? Che l’uomo
ha la possibilità, in qualunque situazione si trovi, di alzare gli occhi al
cielo, cioè di alzare gli occhi a Dio, di guardare Dio. Alza gli occhi a Dio:
Dio ti modificherà, purificherà, libererà: guarda Lui.
Eligio: Per cui non posso
dire: “se ti superi”, ma è solo Dio che ci fa superare noi stessi. Non è la
creatura che prende l’iniziativa di superarsi.
Luigi: Certo, è Dio. Non mi
potrei superare se non ci fosse Dio in me. È la presenza di Dio in noi che ci
dà la possibilità di pensarlo. E Lui resta con noi anche se lo uccidiamo. Resta
con noi in qualunque situazione noi ci troviamo. Quel “resta con noi” ci dà
la possibilità di guardarlo, cioè di superarci. Questa possibilità
presuppone che Lui rimanga, perché è Lui che ci dà la possibilità. Ecco, non
vincere il male con il male, non lottare contro il male, guarda il bene, il
bene ti libera.
Pinuccia:
(continuazione lettura): Chi pensa a Dio forma una sola cosa con Dio, perché
fintanto che pensiamo ad altro, siamo divisi da Dio. Anche la coscienza dell’io
è una creazione di Dio e va riportata a Dio, ringraziandolo. Mai essere
autonomi, siamo tutt’altro che adulti. L’essere cosciente riferisce se stesso a
Dio, entra in un dialogo, arriva al Tu, e man mano che la coscienza cresce tende
a convogliare tutto al rapporto tra Dio
e l’io: Dio ci ha creati per questo. Si arriva a questo Tu attraverso la
conoscenza, il desiderio di isolarci con la Persona amata, perché sappiamo che
Lui parla in tutto anche se noi vediamo altri parlare. Nasce quindi il
desiderio di unificazione, di vedere tutto sotto lo stesso Pensiero; per cui si
invoca che Dio discenda. Tutto ci conduce alla fede; la fede ci introduce alla
preghiera, e la preghiera ci porta a desiderare che Dio discenda. Se noi non
cerchiamo la Presenza, ci accontentiamo di rumori. Allora il Signore opera per
bloccare la stasi (la paralisi) in cui ci troviamo. Se no Gesù ci rimprovera:
“andate sempre a cercare a destra e a sinistra nuovi motivi per credere, a
cercare miracoli e prodigi, mentre Io sono davanti a voi, sto parlando con voi;
la strada è davanti a voi. E voi invece passate la vita a cercare e interrogare
qual è la strada e a cercare sempre fuori di voi delle conferme a quella verità
che ha la sua conferma dentro di voi. Cioè, cercate sempre delle scuse per non
credere, per non impegnarvi, per non camminare. Bisogna custodire, raccogliere,
unificare: ma ci vuole l’interesse per la Persona ( se no si diventa delle
biblioteche). Non c’è bisogno di miracoli strepitosi per credere, perché già
tutto è miracolo. E tutti i segni, tutti i miracoli sono già per darci la fede:
anche il sole, una persona che incontriamo è un miracolo. Non c’è differenza
tra un filo d’erba che cresce e un morto che risuscita: è tutta opera di Dio. E
la nostra superficialità che non ce la fa vedere. Cerchiamo giustificazioni
(miracoli, segni, prodigi) per giustificare la nostra assenza, il nostro
disimpegno. Anche l’approfondimento è dono di Dio. Fintanto che facciamo conto
su noi, Dio ci fa sperimentare la nostra povertà.
Riassunto dell’incontro n.111 del
18/XII (presso De Bortoli). Mezza giornata di ritiro sulla frase di Gesù: “Va
tuo figlio vive”.
Quand’è che
Gesù disse tali parole a quel funzionario? Quand’è che Gesù dice a noi tali
parole? Che significato può avere per la nostra vita personale? Quel
funzionario dimostrò di invocare la vita, non un segno per credere. E poiché
invocava la vita, Gesù gliela diede. Dio non concede segni a chi li chiede per
credere; ma se uno chiede la vita, gliela concede. È la Parola di Dio che ci dà
la possibilità di vivere. La Parola di Dio ci impegna al superamento del nostro
io e del nostro mondo. Quando chiediamo un segno per credere, ci impediamo di
vivere, poiché ci impediamo il rapporto personale con Dio, che richiede la
donazione di tutto di noi a Dio (= silenzio in noi di ogni altro argomento che
non sia Dio).
Riassunto
dell’incontro n.112 del 25/XII (presso De Bortoli)
“Quell’uomo
credette alla parola che Gesù gli aveva detto e se ne andò”. Gesù dicendogli: “va”,
l’aveva invitato a passare dalla fede nella presenza fisica alla fede della
Parola: lo aveva aperto cioè alla Presenza spirituale ed universale. Quell’uomo
aveva pregato Gesù, è Gesù l’aveva rimproverato e quindi purificato. Poi
quell’uomo aveva supplicato e Gesù l’aveva licenziato. Gesù non era disceso con
lui a guarirgli il figlio: non aveva ascoltato la sua preghiera, ma l’aveva
impegnato maggiormente proponendogli una fede maggiore: credere non al suo
intervento, ma alla sua Parola. Ma invitandolo a credere alla sua Parola gli
faceva rischiare di trovare il figlio morto. Quell’uomo voleva che Gesù lo
seguisse; Gesù l’aveva impegnato a seguirlo. La Parola di Dio ci impegna in una
realtà che ancora non conosciamo, e quindi ci fa correre un rischio. Dio
ascolta la nostra preghiera e proprio perché l’ascolta ci impegna ad una fede
più viva, più pura, più libera da tutti i condizionamenti umani; ci invita a
camminare con uno spirito diverso. È una trasformazione di qualità: “
Lasciate le vostre reti”… “ E se ne andò”… andò dove? A vedere ciò che la Parola di Dio gli aveva
annunciato. È il tema della notte di Natale: “andate a vedere il Verbo che è
stato annunciato”. Chi crede ascolta e ascoltando va a vedere. Chi non
crede, ascolta e non va a vedere. La fede che non cerca di vedere ciò che le è
annunciato, fede senza interessi, non è fede. Credere è andare a vedere. Allora
vedendo ciò che ci è stato annunciato, si trova la Realtà del Verbo; troviamo
il miracolo. Quel funzionario trovò suo figlio vivo.
Luigi: Sentiamo Cina, che
impressione ne ha da tutto questo?
Cina: Nella passione di Gesù
c’è una vita così profonda, così viva. È per la vita questa passione, per la
vita di ogni creatura.
Luigi: È la parola che Dio
spende per dare a noi la vita, per restare con noi. Ma siccome noi siamo
delitto, Lui si lascia uccidere per restare con noi; cioè si fa figlio delle
nostre opere. Però Lui morto dà a noi la possibilità di vivere, perché resta
con noi. È la sua presenza con noi, che dà a noi la possibilità di superare noi
e di trasferirci in Lui, di amarlo. Quindi Lui è sorgente di vita, per cui Lui
morto, restando con noi, da a noi la possibilità di pensarlo. E pensare Lui
morto è risuscitarlo ed è ritrovarci nella vita nuova. La sua Parola che dà
vita (questo paralitico che guarisce quanto costa a Dio!) ci rivela quindi la
sua passione. Il Signore per guarire noi deve passare attraverso questo
crogiuolo di passione e di morte, tanto l’uomo è complicato, chiuso nel suo io.
Non è facile curare, guarire l’uomo, come non è facile creare l’uomo.
Cina: Tutto questo da parte
nostra è così un abisso di non conoscenza e di conseguenza di ingratitudine….
Luigi: Difatti facciamo di
Lui un malfattore, Lo accusiamo, Lo condanniamo, ecc. Non comprendiamo l’Amore
che Lui ci porta per darci la Vita; e Lui tace, perché sa che noi senza di Lui
moriremmo veramente. Se Lui non restasse tra noi e non si lasciasse (infatti si
è chiamato “figlio dell’uomo”) fare da noi tutto quello che noi vogliamo,
ci priverebbe della vita, perché Lui è la vita. Lui resta con noi per dare a
noi la vita. Quindi non resta con noi per debolezza sua: noi lo accusiamo di
debolezza ( “scendi dalla croce”) e non capiamo invece perché Lui rimane in
croce. Accusiamo Lui di debolezza per il fatto di non scendere dalla croce. Il
giorno in cui capiremo, capiremo che guai se Lui fosse sceso dalla croce!
Perché avrebbe tolto a noi la possibilità di trovare la vita. È questa la
parola che Dio dice a noi, per dirci; “Alzati, prendi il tuo letto e cammina”.
Pinuccia: Oppure: “Va, tuo
figlio vive”…
Luigi: A noi sembrano parole
e parole magiche. La Realtà è questa Parola viva che vuole restare con noi.
Cina: È accompagnata da una
morte….
Luigi: Ed è necessaria questa
morte, altrimenti noi non ci apriamo a Dio…
Pinuccia: È una parola senza
parola.
Luigi: Ecco perché questa
parola è un segno di quella più grande Parola che è la sua Passione e Morte:
questa è la vera Parola tra noi. Ed è quello che avviene nella vita di ognuno
di noi e di cui noi non ci rendiamo conto.Come non ci rendiamo conto che Dio
per dare a noi l’esistenza (in cui poi ci darà questa vita) abbia creato tutto
l’universo per noi. Ma data l’esistenza, bisogna poi dare la vita a questo
essere in modo che impari, conosca la via della vita e dove essa sta; cioè
avviarlo alla comunione. Questo è un lavoro ancora più profondo, più difficile
di quello che Dio dovette affrontare per dare l’esistenza: perché una cosa è
dare l’esistenza e una cosa è avviare l’uomo alla comunione. Ora per dare
l’esistenza Dio non dovette sacrificarsi. Per avviare l’uomo alla comunione Dio
deve sacrificarsi, deve giungere a morire in noi. “Senza spargimento di sangue
non c’è redenzione possibile”, perché c’è il male in noi, c’è questo io che pensa
a se stesso.
Pinuccia: Perché dice che è
difficile l’opera della creazione?
Luigi: Noi non ci rendiamo
conto in quale profondità si celi un’opera del genere. Dio prende su di sé il
nostro nulla, poi i nostri pensieri dispersi le nostre lontananze, altrimenti
noi non prenderemmo coscienza di niente; né di essere. Il che vuol dire che
Dio, per dare a noi l’esistenza, si deve sottomettere alla nostra incapacità di
restare con Lui in comunione, e quindi creare tutto un universo in questa
nostra debolezza. Noi ad esempio siamo capaci di restare con Lui una frazione
di secondo, Dio in questa frazione di secondo, deve creare tutto un universo
per dare all’uomo la possibilità di capire che esiste.
Pinuccia: Ci spezza il pane…
Luigi: Tutto l’universo è
tutto questo pane spezzato in relazione alla nostra debolezza, perché noi in
questa frazione di secondo possiamo prendere consapevolezza che Lui esiste.
Capisce che per a vere consapevolezza di esistere deve avere la possibilità di
fare? Ci rendiamo conto cosa vuol dire in Dio avere la possibilità di fare? A
noi sembra una cosa facile, banale. Invece richiede la collaborazione di tutto
l’universo, e quindi di una sottomissione di Dio alla nostra volontà.
Pinuccia: Però la nostra
esistenza fisica non è soltanto una significazione per farci prendere coscienza
della realtà spirituale in cui viviamo?
Luigi: Certo, e la realtà
spirituale si accende in noi con una scintilla con cui diciamo: sì, no . Perché
tutto il nostro parlare è, in sostanza, soltanto questo: sì, no, a Dio. E per
poter dire questo sì o questo no ci è necessario tutto l’universo. A noi sembra
impossibile che per fare dire ad un bambino “sì” debbano esistere delle selle
lontanissime miliardi di anni luce; eppure Dio per far dire ad una sua creatura
un sì o un no ha creato tutto questo.
Emma: Sono di fronte a cose
talmente più grandi di me, che resto senza parole. Pensavo alla Passione: Gesù
deve morire per farci capire questo amore immenso.
Luigi: Per farci capire la
necessità della comunione con Lui, perché dalla comunione viene la vita. Se noi
non possiamo stare in comunione, moriamo veramente. Una vera morte che non è
annullamento, sia chiaro, perché l’uomo non si può annullare essendo voluto da
Dio e Dio è più forte della creatura: per cui dal momento che ci ha dato
l’esistenza noi non possiamo più ritornare nel nulla, lo volessimo anche con
tutte le nostre forze. Non possiamo distruggere niente, se per distruzione
intendiamo annullamento totale, perché tutto è opera di un Altro, di un Essere
superiore a noi. Noi possiamo però morire: la nostra morte è dispersione, è non
più attrazione per Dio; ecco: lontananza dalla vita. Per formare in noi questa
convinzione che la nostra vita viene dalla nostra comunione con Lui, è
necessaria questa passione e morte di Dio in noi per offrire a noi la vita, non
per Sé (Lui non ha bisogno di noi), ma perché noi abbiamo bisogno di Lui. La
vita è comunione con, è permanenza in questa comunione, cioè è amore, quindi è
dialogare continuamente con Dio; è restare continuamente in ascolto di Dio; è
in questo riferire e riportare tutto sempre a Lui. Ora per convincerci di
questo è necessario che Dio venga a morire in noi. Questo morire di Dio in noi
vuol dire far esperimentare a noi la solitudine, cioè il non più Lui, il Lui
morto per noi, Lui che non pensa più a noi. Ecco in questa solitudine noi
tocchiamo con mano la nostra morte, poiché abbiamo ucciso l’autore della nostra
vita. Uccidendo Lui noi sperimentiamo l’assenza di Lui, ma esperimentando
l’assenza , scopriamo l’importanza di Lui per noi, scopriamo che la vita ci
viene da Lui. È soltanto quando ci muore una persona molto amata che scopriamo
ciò che era per noi. Fintanto che è presente, noi non ci rendiamo conto della vita che ci dà.
Vede che è sempre necessario che qualcuno muoia perché noi rinsaviamo? O perché
noi prendiamo consapevolezza? Anche questo è un segno. Noi scopriamo, arriviamo
sempre dopo.
Emma: Ci troviamo in mezzo
ai doni e non ci rendiamo conto del donatore. Guardi ad esempio i bambini di
una famiglia: credono di avere diritto a tutto, non si rendono conto che tutto
è dato loro dai genitori; ma il giorno in cui mamma o papà muoiono, allora
incominciano a rendersi conto perché tutto comincia a mancare; mancando una
presenza è tutto un mondo che viene a mancare. Ecco, noi dobbiamo sperimentare
l’assenza di Dio per scoprire la presenza di Dio. È per questo che Dio si offre
ad essere ucciso, affinché esperimentiamo cosa vuol dire non avere più Lui:
allora siamo senza Provvidenza, soli, senza più nessuno che pensi a noi, nessuno che ci ami, nessuno che ci
conosca. È in questa esperienza di “non più Dio con noi”, che noi prendiamo
consapevolezza che la vita non è in noi, ma in Lui. È poi da questa
consapevolezza che, risorgendo, non lasciamo più Dio perché ormai abbiamo
capito. Allora diciamo “ Signore, noi ti ringraziamo per la tua gloria
immensa!” È questa la vera gloria attraverso cui Dio ci rivela il suo Essere,
quello che Lui è nel Padre ( è nel seno del Padre).
Pinuccia: Pensavo a quest’uomo
che fu guarito: fu guarito per la presenza di Gesù e per la sua Parola. Per
guarire è necessaria la presenza di Dio; per questo Lui rimane presente anche
morto, perché così lo possiamo pensare.
Luigi: Certo, anche l’assenza
è una presenza.
Pinuccia: Cioè quando ci
rendiamo conto di un’assenza è perché c’è una presenza in noi.
Luigi: L’assenza è una
presenza: noi non sperimenteremmo l’assenza se non ci fosse la presenza.
Pinuccia: Cioè non
sperimenteremmo l’assenza di Dio se non sapessimo chi è Dio.
Luigi: Certo, se non
sapessimo chi è Dio. È lì la meraviglia (per cui dico che la redenzione
dell’uomo è una cosa difficile, più
della creazione), questo farci esperimentare l’assenza della sua presenza,
perché Lui non è che in Sé muoia: la Verità non muore.
Pinuccia: È in noi che muore…
Luigi: E per morire in noi
Dio si offre, si fa figlio nostro e si lascia uccidere da noi fino a farci
esperimentare la sua assenza. Dio si deve far figlio nostro, cioè deve
annientare in noi e per noi, la sua divinità. Dio, che non è figlio nostro, si
fa figlio nostro, in modo da farsi opera nostra e fa noi figli delle nostre
opere; per cui abbiamo la possibilità di sperimentare l’assenza di Colui che
abbiamo ucciso, affinché esperimentando l’assenza noi comprendessimo quello che
c’è con la sua Presenza.
Pinuccia: E poi diventando figli
delle nostre opere, una volta capito questo, abbiamo la possibilità di
diventare figli di Dio.
Luigi: Figli delle nostre
opere noi lo siamo sempre, perché l’essere consapevole di per sé diventa figlio
delle sue opere. È soltanto facendo Dio che diventiamo figli di Dio. Per questo
dobbiamo essere convinti della Verità e della Vita che è in Dio, altrimenti ci
riteniamo autonomi. L’essere consapevole è un essere che ha la possibilità di
affermare la sua autonomia da Dio. Affermando la sua autonomia, precipita nella
morte. Dio, prima che la sua creatura precipiti nella morte, si fa figlio,
affinché l’uomo rinsavisca. Bisogna meditarlo molto questo.
Pinuccia: La morte in croce ci
rivela quello che già avviene nella nostra vita, per cui il nostro sforzo
sarebbe quello di trovare il Cristo morto in tutte le esperienze della nostra
vita in cui sperimentiamo l’assenza di Dio.
Luigi: Per ritrovarlo,
dobbiamo sempre riferirci al Cristo: Cristo è rivelatore di quello che avviene.
Perché se noi ci fermiamo soltanto alla nostra vita così, noi esperimentiamo
l’assenza di Dio, ma non ci rendiamo conto del significato di questo, perché il
rivelatore di questo è il Cristo, se no non ci sarebbe stato bisogno del
Cristo. Tutti gli uomini, prima ancora del Cristo esperimentavano la morte di
Dio, l’assenza di Dio dalla loro vita. Il Cristo è il rivelatore di quello che
avviene nella nostra vita, per cui attraverso Cristo giungiamo a capire, ad
intendere, a tradurre, quello che avviene nella vita di ognuno di noi, perché
noi, in realtà, in noi uccidiamo Dio. Facendolo fuori dalla nostra vita, Lo
uccidiamo, perché, spiritualmente parlando, noi uccidiamo sempre colui di cui
non teniamo conto. Non tener conto vuol dire far fuori dal mio pensiero, dal
mio amore, dalla mia vita, quindi “far fuori” vuol dire ucciderlo: per me è
morto. Una persona che non entra nella mia vita, per me è come se non ci fosse.
Ora questo avviene sempre nei riguardi di Dio quando non teniamo conto di Lui; però
non esperimentiamo, non ci rendiamo conto che questo sia uccidere.
Cristo è rivelatore di questo mistero: ecco perché è necessario fermarsi a
meditare molto sul Cristo; più ci fermiamo a meditare su di Lui, più capiamo
quello che avviene nella nostra vita, altrimenti lo attribuiamo a fatti
naturali, a fatti sociali, a vecchiaia, malattia, a tante altre cose: non ci
rendiamo conto che tutto è in relazione a Dio: ecco, il Cristo è il rivelatore.
In Cristo tutto è compiuto: nel “tutto è compiuto” c’è la rivelazione.
Difatti si dice che con Cristo tutta la rivelazione è finita, compiuta. Ma se
la rivelazione è lì, allora dobbiamo fermarci lì per intendere. Quindi il
processo di salvezza avviene in tutto l’universo, anche in quelli che non
conoscono il Cristo. In Cristo possiamo intendere il significato di quello che
avviene nell’uomo. Ma questo avviene anche nell’uomo pagano, nell’uomo
lontanissimo dal Cristo: tutto avviene, però non intende: la chiave per
intendere è il Cristo. Con Cristo possiamo intendere quello che avviene, perché
Dio opera per salvare tutti.
Pinuccia: Per cui il pagano…
Luigi: Il pagano è in questo
processo di salvezza da parte di Dio perché Dio vuole che tutti si salvino…
Pinuccia: E incontrerà il
Cristo…
Luigi: Certo, perché tutti
apparteniamo a questo “tutto unico”; e in questo “tutto unico” ad
un certo momento arriviamo a Lui, che è il centro, il punto fisso di
riferimento.
Pinuccia: Non sappiamo come, ma
lo incontra.
Luigi: Eligio c’è qualcosa?
Eligio: Io ho trovato
un’ulteriore conferma sulla validità del consiglio che dà all’ammalato: nel
superare il mondo circostante, nel trascendere gli elementi ambientali che a
volte sono di ostacolo e che noi vorremmo rimuovere, ma che nello sforzo di
rimuovere guardando questi, il più delle volte questi diventano una proiezione
delle nostre debolezze e ci confermano in quella schiavitù da cui vorremmo
liberarci. È solo quell’ “alzati” che è efficace. Non considerare queste
cose, ma considera Dio e Dio ti libererà da queste cose: questo ha un vero
valore liberatorio per l’anima e per il pensiero. Poi mi ha colpito l’ultimo
pensiero su quello che hai letto: cioè quelle luci che il nostro pensiero
autonomamente accende e che ci fanno vedere il
cadavere di quel Dio che abbiamo ucciso. È terribile come esperienza
spirituale, ma la ritengo necessaria. Il più delle volte un grande amore nasce
da una grande offesa di cui si prende coscienza di aver arrecato a chi ci vuole bene. Dio è una Realtà che è
tutto amore: quando apriamo gli occhi e comprendiamo quanto abbiamo fatto per
non accettarla, mentre Lui si donava tutto, soltanto da quel momento lì,
possiamo iniziare quel processo di amore che ci porta a spegnere le luci
dell’io.
Luigi: Quanto più noi
accendiamo luci per noi tanto più Lui si illumina. Ma questo “Lui morto in
croce illuminato dalle nostre luci o dai nostri fuochi”. È quell’ “alzati”!
È la stessa cosa. Anzi è la realtà di quella parola. Perché l’alzati lo dice a
parole, lì è la Realtà di quella parola, è la sostanza di essa, è il Verbo.
Pinuccia: “Alzeranno lo sguardo
a Colui che hanno trafitto”.
Luigi: E già. E tutti quanti
fisseranno lo sguardo in Lui. Anche il serpente di bronzo innalzato nel deserto
era salvezza per quanti, avvelenati, alzavano gli occhi a guardarlo. Ecco
questo alzare per guardare. L’uomo è guarito dallo sguardo verso. Ecco la Croce
di Cristo. La croce tra cielo e terra, sospesa lì on tutte le luci che
convergono su di essa: anche le nostre luci più malsane si incentrano lì. È
l’unica realtà che rimane, perché è l’unica opera che abbiamo fatto in tutta la
nostra vita. L’unico “verbo” che l’uomo dice è questo: “Crucifige”,mettilo in
croce. Ma siccome è l’unico verbo che l’uomo dice in sostanza, se andiamo a
fondo è l’unica opera che fa. E siccome diventa figlio delle sue opere, è
l’unica opera in cui lui resta fisso col suo sguardo, da cui non si può
distogliere. Certo, se noi andiamo a dire, mentre uno chiacchiera, parla, ecc.
: guarda l’unica opera che tu fai in questo momento, l’unico verbo che tu dici,
è “crocifiggilo””, l’altro ci dice: “ma tu hai le traveggole”!. Invece è
proprio quello che avviene.
Eligio: Se non entriamo in
quella dinamica di quell’alzati!, di quel superamento, di quella contemplazione
della realtà di Dio, noi ripetiamo il “crucifige!”
Emma: Invece Gesù l’unica
opera che fa è quella di guarire. “Io ho fatto un’opera sola…..”
Luigi: Sì, è l’unica, quella
di donarsi, di farsi figlio dell’uomo, affinché l’uomo diventi figlio di Dio.
Eligio: Fortunatamente le luci
dell’io si esauriscono e man mano che si esauriscono si illumina sempre più la
luce di quel Dio che abbiamo ucciso.
Pinuccia: Un altro pensiero
(sulla Fedeltà) mi ha colpito: “Gli uomini non possono perdonare a Dio di
essersi messo nella loro vita”. È forte!
Luigi: Sì, perché fintanto
che Dio resta fuori, ecc. o consiglia, bene, ma quando entra in casa nostra,
nei nostri interessi, è lì che si crea l’urto, e non lo accettiamo più.