E come potete
credere voi che mendicate la gloria gli uni gli altri, e non cercate la gloria
che viene dall’unico Dio? Gv 5 Vs 44
Primo tema.
Argomenti:Pensare
Dio-Recuperare il Principio. Il disordine interiore. La Parola di Dio ci concentra sull’essenziale. Il dogma è un’offerta di lavoro.
Incompatibilità tra il nostro cercare il giudizio degli uomini e il credere. La fede è una conseguenza del nostro interesse per la gloria di Dio. L’interesse per la gloria di Dio viene da un atto di
Giustizia. Mendicare la gloria
dagli uomini. Riceviamo l’essere
nella misura in cui cerchiamo la Gloria di Dio. Falsificare la vita. Illudersi di
credere.
6/Maggio/1979
Introduzione:
Eligio: Quando mi raccolgo in silenzio qual è l’oggetto del
mio pensiero se Dio noi lo accettiamo per fede?
Luigi: Non è che lo accettiamo per
fede: lo pensiamo per fede! Guarda che tu Lui lo puoi pensare, perché lo pensi
col Pensiero di Dio, perché il Pensiero di Dio è in te! Il Pensiero di Dio è in
noi e Dio si dà a noi indipendentemente da noi.
E in quanto si dà a noi, noi possiamo raccoglierci nel
suo Pensiero, possiamo pensarLo.
Teresa: Possiamo pensarlo e perché allora con tanta facilità ci
sfugge e non Lo pensiamo sempre?
Luigi: È perché noi siamo figli delle nostre distrazioni;
siccome siamo tanto distratti, ecco che quando tu ti metti un po’ in silenzio,
prima devi smaltire tutto quel materiale in cui ti sei distratta per arrivare a
recuperare il raccoglimento in Dio.
La vita sostanzialmente è un recupero di quel Principio
che Dio ha posto in noi: “In Principio
era il Verbo”. Cioè, a fondo di ogni creatura c'è il Verbo
di Dio, all’inizio di ogni creatura c'è il Verbo di Dio.
Quando nel Vangelo si dice: “In Principio era il Verbo”, si annuncia quello che c'è, che era in
principio della nostra vita, a fondamento della nostra vita; poi ha cominciato
il mondo ad invadere la nostra vita.
Non è che in principio c'era e adesso non ci sia più:
cioè non è che in principio ci fosse in Verbo e poi non ci sia più stato. No! È
per noi quell’annuncio, per dirci: “Guarda
che in principio in te era il Verbo;
dopo è entrato il mondo, gli uomini con le loro parole e sono tutte le loro
sovrastrutture…”
E allora noi, come ci
raccogliamo nel silenzio, dobbiamo incominciare ad eliminare tutte queste
sovrastrutture, per recuperare quel principio.
La vita è un rinnovamento continuo;
ma il rinnovamento avviene nel Principio, cioè abbiamo bisogno di ritornare sempre
in quel Principio: “In principio era il
Verbo; in principio era il Pensiero di Dio; in principio era il Verbo di Dio”.
Bisogna sempre recuperare questo principio ed è una
fatica enorme questo recupero nel principio, perché noi abbiamo accumulato
tanto materiale diverso.
La vita allora in noi diventa stanca, la vita diventa
vecchia, perché è tutto questo materiale che la rende cosi.
Mentre in invece la
vita dovrebbe essere un rinnovamento continuo, un raccoglimento continuo, un
recupero continuo nel Principio.
Il Principio di Dio, il Verbo di Dio, è una Sorgente di
novità continua in noi, se noi lo recuperiamo; ma in
quanto è in noi, fin dal Principio, dà a noi la possibilità di recuperarlo.
Non è che si recuperi
in cinque minuti di silenzio, per carità, ma facendo del silenzio, noi
praticamente ammoniamo la nostra anima a ritrovarsi con il suo Principio.
Più noi ci avviciniamo a questo Principio e più la nostra
vita si rinnova, diventa fresca.
Pinuccia: Si armonizza.
Eligio: Non è detto che nel silenzio si colga questo Principio,
proprio perché prevale il mondo…
Luigi: Diventiamo figli delle nostre opere. Noi diciamo
tante parole e generalmente non ci accorgiamo di essere schiavi di esse: ma
come ci raccogliamo in silenzio, scopriamo questo mondo disordinato portiamo
dentro di noi.
E prima di tutto bisogna cercare di ascoltare tutto
questo disordine. Come quando noi ci mettiamo in preghiera; con la
preghiera noi ammoniamo la nostra anima, la nostra mente, a pensare a ciò che noi diciamo con le parole
della preghiera. Ma la ammoniamo soltanto! Quando noi diciamo: “Padre nostro…” e arrivare a pensare al
Padre, ce ne vuole!
Ecco, noi ammoniamo la nostra anima a pensare a questo,
ma è molto difficile pensare a questo, perché
siamo carichi di tanto materiale che abbiamo bisogno di smaltire.
Facendo silenzio si smaltisce un poco questo disordine. Noi idealmente dovremmo
fare quel tanto silenzio fino ad arrivare a stabilire un contatto con il
Verbo di Dio che vi è in principio di ogni creatura, che vi è in noi
stessi.
Eligio: Invece personalmente col
silenzio è dove maggiormente riesco a prendere coscienza di tutto questo mondo
turbolento che è contrario …
Luigi: Si, ed è già una provvidenza,
ed è già un atto di grazia, perché noi il più delle volte non ne prendiamo
nemmeno coscienza. Questo è già grazia.
Eligio: Perché nella routine di tutti i giorni è normale essere
immersi nel mondo.
Luigi: E già, noi ci consideriamo normali; quando invece ci
mettiamo in silenzio scopriamo la nostra anormalità, perché la nostra normalità
dovrebbe sempre essere raccolta nel Verbo di Dio, nell’attenzione a Dio, perché
noi dovremmo imparare a vivere sempre nel Pensiero di Dio, uniti a Dio, in
modo da lasciar trasparire, da lasciar parlare, da lasciar operare sempre Dio
in noi. Questa è la normalità.
Come noi cerchiamo di raccoglierci, ci accorgiamo invece
di tutta la anormalità che portiamo con noi. Questa anormalità però non la
avvertiamo nemmeno vivendo nel mondo.
È solo quando
incominciamo a recuperare un pochino, a raccoglierci, che ci accorgiamo di
tutta la situazione anormale che portiamo con noi, dentro di noi.
Ma, per fede, dico, e non per conoscenza.
Per fede, perché Dio è presente in noi prima di noi,
anche senza di noi, (confronta il rapporto di vicinanza).
Ora, essendo presente in noi, dà a noi la possibilità di
pensarLo, per fede.
Quando arriveremo alla conoscenza, allora si.
Ecco, nella conoscenza ci sarà dato pensare Dio come
ci pensiamo tra noi, perché allora Dio diventa concepibile.
Attualmente Lo pensiamo
per fede, perché Lui è presente anche senza di noi e quindi essendo presente dà
a noi la possibilità di pensarLo.
Dà a noi la possibilità di pensare a Lui; tant’è vero che
sentiamo la difficoltà di pensarlo.
Il sentire la difficoltà di pensarlo, quando ci mettiamo
in silenzio, già dimostra che abbiamo la possibilità di pensarlo, altrimenti
non scopriremmo nemmeno questa difficoltà di pensarlo.
Scoprire la difficoltà
di un problema, implicitamente vuol dire avere la possibilità di risolvere
questo problema, altrimenti non avvertiremmo nemmeno l’esistenza del problema.
Eligio: Non so, però nel momento del silenzio io sento tutto il
tumulto del mondo procedente che non è secondo Dio, perché Dio è pace.
Luigi: Si, quella è la prima grazia che il Signore ci fa quando
facciamo un piccolo passo per raccoglierci alla sua Presenza. Ora, il farci
prendere coscienza della nostra lontananza è grazia di Dio. Il far prendere
coscienza del cumulo di materiale che portiamo in noi, del grande lavoro che
abbiamo da fare è grazia.
Noi passiamo si può dire tutta la nostra vita
nell’incoscienza: non ci rendiamo conto del vero lavoro che dobbiamo fare nella
nostra vita.
Ecco, quando ci mettiamo in
silenzio e incominciamo a meditare su Dio, incominciamo a prendere
consapevolezza di questo.
Forse restiamo anche
spaventati, però è da preferirsi lo stato di consapevolezza allo stato di
incoscienza. Ecco, qui abbiamo un passaggio, un salto: dall’incoscienza alla
consapevolezza.
Avendo preso consapevolezza, diciamo: “Quanto lavoro da fare!”. Ma intanto la
vita incomincia a presentarsi di fronte a te come un cammino da fare. C'è tanto
cammino da fare, però incomincio a capire: debbo arrivare là!
Nino: Non trovi più facile entrare in contatto con Dio quando
hai qualche problema che ti angustia?
Eligio: Quando ho qualche contrarietà mi è facile pensare alle
parole di Gesù: “Sono Io che parlo con
te”. Invece quando mi metto in silenzio avverto l’aspetto negativo, cioè il
tumulto del mondo.
Luigi: Si, ma l’aspetto negativo è
positivo, perché ti fa capire il grado di lavoro che devo fare.
Eligio: Nella contrarietà durante il lavoro è più facile dire: “Sta attento che c'è una Volontà diversa che
opera con te”, sempre nel silenzio che dovrebbe essere un elemento
favorevole, non riesco.
Luigi: Forse riesci a ricevere quella luce che ti aiuta dopo
nei momenti di contrarietà ascoltando parlare Dio, durante la conversazione,
più che forse nel silenzio, perché nel silenzio ti si chiede l’adesione, invece
ascoltando la conversazione…
Nino: Tante volte riceviamo senza renderci conto di ricevere.
Quando ti trovi in qualche frangente e ti rivolgi a Dio, ti arriva l’idea per
risolverlo in linea con Dio.
Luigi: E poi in quanto ti rivolgi, hai un rapporto con Lui,
quindi Lo pensi. In quanto c'è un rapporto vuol dire che lo pensi, altrimenti
non potresti avere un rapporto con una cosa impensabile.
Nino: Però aderisci per fede.
Luigi: Si, per fede, però è pensiero: Lo pensi.
Nino: Non possiamo pretendere di vedere Dio com’è in realtà…
nei primi tempi cercavo di immaginarmi Dio, ma ….
Luigi: No, Dio non ha una figura. Dio è Pensiero.
Pinuccia: La seconda lettura di stamattina ci dice che un giorno
vedremo Dio “faccia a faccia”…
Luigi: Si, ma vedere Dio “faccia
a faccia” non è vederLo cosi come ci vediamo tra noi. Se tu ti aspetti in
cielo di vederLo fuori, davanti a te, non Lo vedrai mai! Dio non è una realtà
esterna!
Pinuccia: Perché allora dice “faccia
a faccia”?
Luigi: “Faccia a faccia”
non è esteriorità, figura. Dice: “faccia
a faccia” in quanto Lo possiamo individuare come Realtà. Se non
è una Realtà esterna, nel senso che: io sono qui e Dio è li.
Pinuccia: È dentro di noi.
Luigi: Anche quel “dentro di noi”
è molto da precisare, in quanto non è che Dio abiti dentro di noi per cui
io sono un recipiente che contiene Dio: no, non in questi termini, altrimenti
noi saremmo superiori addirittura a Dio perché
saremmo il recipiente che contiene Dio.
Teresa: È nella nostra mente, nel nostro pensiero, no?
Luigi: A me sembra che sia più facile
capirlo nei rapporti tra Figlio e Padre: il Figlio è tutto Pensiero del
Padre; è Pensiero di Colui che Lo fa essere.
Ecco, quindi il Figlio
pensa il Padre, essendo tutto Pensiero del Padre, sa di essere Pensiero del
Padre: per cui Lui, il Padre è Realtà, è la Realtà. Ma non è una Realtà fuori,
per cui il Padre è là ed io sono qui che lo penso, come ad esempio adesso penso
a Cina: Cina è li ed io sono qui che penso a Cina! Non è cosi, e noi in cielo
non vedremo Dio cosi!
Teresa: Non è giusto dire: tutto il pensiero del Figlio è il
Padre? No? Il Figlio è Pensiero del Padre.
Luigi: È tutto Pensiero del Padre. Si, il Figlio è tutto
Pensiero del Padre.
Teresa: Pensa continuamente al Padre?
Luigi: Certo, perché è Pensiero del Padre.
Teresa: Quindi è giusto dire: tutto il Pensiero del Figlio è
solamente il Padre?
Luigi: Si, è tutto Pensiero del Padre. Noi invece siamo
pensiero di tante cose e tra le tante cose c'è anche il pensiero di Dio.
Ma per noi il Pensiero di Dio in noi è un punto in mezzo
ad un’infinità di cose e le altre cose sono molto più grandi agli occhi nostri
che non il Pensiero di Dio.
Il Pensiero di Dio è un punto piccolissimo nel nostro
cielo: è una stella lontanissima per noi.
Invece per il Figlio di Dio, il Padre, il Pensiero del
Padre, è tutto il suo cielo.
Noi invece abbiamo un’infinità di pensieri, altri, e siamo
chiamati a diventare tutto Pensiero del Padre, tutto Pensiero di Dio.
La nostra fatica, la nostra dispersione, la nostra privazione
di essere è proprio questa molteplicità.
Noi nasciamo dal nulla e siamo chiamati a diventare “tutto”, tutto con Dio. E tutta la
nostra fatica è questo superamento della molteplicità.
Per questo dico che è la pazienza che forma l’anima
nostra, questa pazienza che si rinnova in continuazione con la Sorgente, con il
nostro Principio.
La nostra sorgente è Dio, la nostra Sorgente è quello che
Dio, creandoci, ha messo come Principio in noi: Principio, il Verbo, la sua
Parola.
La sua Parola è il Principio della nostra esistenza.
Poi noi nella nostra superficialità, abbiamo accolto
tanti altri principi per cui crediamo in Dio, ma crediamo anche, crediamo
anche, crediamo anche…
Ecco! Tutto questo ci crea una dispersione immensa, perché
la vita è unificazione, la vita è nel Verbo.
“In Lui
era la vita”; quindi la vita è avere un pensiero unico ed in
questo unico pensiero poter raccogliere tutto. Per cui Dio è un Pensiero
unico in cui è la ragione di tutto e quindi diciamo: è la Verità.
La vita è “reductio
ad unum”. Riuscire a ridurre tutto ad uno, ad un Essere Unico e in
quell’Essere unico…
Ora, questa fatica di
unificare, di raccogliere tutto in quell’Essere unico, diventa vita per noi, ed
è vera vita.
Ed è quello il “pensare”,
il vero pensare.
Non facendo questo, noi
ci priviamo della vita e facciamo poi consistere la vita in un raccogliere
attorno a noi, cioè in un avere, anziché in un essere.
Invece l’unificazione in Uno solo, questo ci fa essere.
Mettere attorno a me tanta altra cosa è addirittura una
privazione di essere.
È come se io fossi malato e mi riempissi tutta la casa di
medicine, e non è che le medicine mi facciano guarire di per sé.
Eligio: È importante perciò avere ben chiaro il punto fisso di
riferimento su cui dobbiamo far convergere e raccogliere ogni nostra
dispersione.
Luigi: Si, questo punto fisso di riferimento ci è dato, per
fede. In base a questa fede noi cominciamo a raccogliere, direi a cercare la
gloria di Dio di cui si parla in questo versetto.
Più cerchiamo questa gloria, più ci avviciniamo a quel
salto di qualità che sarà poi la Pentecoste in cui raggiungeremo la conoscenza.
Nino: Ieri sera si parlava che prima della conoscenza finale
c'è una conoscenza per fede.
Luigi: Si, è il campione.
Nino: Ed è già vita eterna perché si tratta sempre di
conoscenza, quindi la vita eterna comincia già qui. Se tutti noi sapessimo
unificare in Dio le nostre azioni, cioè adeguandole al Pensiero di Dio, che bel
mondo sarebbe! Non ci sarebbero più discussioni, né liti.
Luigi: E già, perché il tuo interesse principale è nello
Spirito ed è una cosa nettamente personale. Tutto il resto, quando tu godi di
una ricchezza immensa interiore, non t’importa proprio niente anche di perdere
il resto.
Nino: Tu pensa tutti i problemi che ci creiamo continuamente:
il dover andare in Piazza d’Armi se no ti considerano un orso. Questi problemi
si risolvono in Dio.
Lettura del riassunto del 12/08/1978 a
Pietraporzio.
Se ogni avvenimento noi lo consideriamo nel
Pensiero di Dio è un richiamo a Dio, invece nel pensiero dell’io diventa un
motivo di distrazione da Lui per cui sperimentiamo stanchezza e delusione:
staccati da Dio non possiamo percepire queste differenze.
(Staccati da Dio non possiamo intenderlo.)
Il vero male è in noi, consiste in questo
essere staccati da DIo; il problema è che noi le conseguenze negative che
derivano dall’essere staccati da Dio, le attribuiamo agli altri, come se (il
male) la responsabilità fosse negli altri.
Invece tutto
è misericordia di Dio, per invitarci ad alzare continuamente (a Lui) il nostro
sguardo a Lui.
Dio ci parla fuori per portarci all’ascolto
interiore, per farci scoprire il Suo volto nel nostro intimo: tutto va trasceso
e non rivestito del nostro io.
Quando si scopre questo tesoro, si lascia tutto
il resto; ma la rinuncia è una conseguenza del cercare prima di tutto il Regno
di Dio, per la ricerca del quale ogni mezzo diventa valido, anche la fuga da
ciò che ci ostacola.
Ma è l’interesse alla
meta che ci fa riconoscere gli ostacoli che ci impediscono di passare al
silenzio interiore…
Infatti è solo nel silenzio di tutto che si può
giungere a intendere Dio.
Si può stare con il Vangelo in mano tutto il
giorno e non avere il silenzio in noi per ascoltarlo.
È un silenzio che può tardare anni a compiersi,
per cui Dio tarda a farsi conoscere: i tempi sono suoi.
Quando si sarò fatto
conoscere, allora nessuna folla urlante potrà rompere il silenzio in noi.
Gv. 5, 18: “I
Giudei cercavano di farlo morire perché oltre violare il sabato, chiamava Dio
suo Padre, facendosi uguale a Dio”.
Tema: Cos’è Dio per Gesù?
Gesù ci dice: “Non date a nessuno il nome di Padre, perché uno solo è il Padre
vostro”.
Siamo chiamati a fare una cosa sola con Gesù;
noi che siamo pensiero di tante cose, siamo chiamati a diventare come Gesù,
Pensiero del Padre, ma questo può avvenire solo per opera del Padre nel
silenzio di tutto, lasciando cadere il pensiero delle altre cose.
Non dobbiamo accettare nessun’altra autorità
che quella di Dio, perché nessuno può sostituirsi a Dio, nemmeno il Papa; per
cui qualsiasi argomento da chiunque ci giunga, deve trovare conferma presso
Dio.
Quello che la Chiesa ci dice, noi dobbiamo
accoglierlo e riportarlo a Dio perché è Dio rende valida la Chiesa, non
viceversa.
Non possiamo ubbidire ciecamente, ma non
possiamo neppure rifiutare: l’atteggiamento giusto è quello di riportare ogni
cosa in Dio, poiché Dio è la Verità che parla in noi e ci illumina.
(Cosi noi) Abbiamo il dovere di accettare i
dogmi proposti dalla Chiesa, anche se non li comprendiamo; tuttavia non
(possiamo) dobbiamo rifiutarli per superbia. Ad esempio il dogma della
verginità di Maria, il dogma della sua Assunzione, se li ragioniamo con Dio,
disponiamo ad accettarli.
Maria è la creatura esemplare che ci rivela
come Dio( voleva) ha voluto ogni creatura nel suo piano iniziale; all’inizio la
morte non esisteva, perché Dio ha creato ogni creatura per la vita; staccandoci
da Dio fu necessaria la lezione della morte per recuperare l’uomo.
Non siamo giustificati a rifiutare ciò che non
capiamo; ad esempio i dogmi vanno accolti da Dio anche se non abbiamo prove
giustificate in Dio per negarlo.
Bisogna aderire, anche senza capire, in attesa
che la Verità si manifesti…
Più cerchiamo Dio e più Dio ci conferma
interiormente.
Ognuno personalmente ha sempre da fare una
verifica interiore presso Dio di ogni cosa che viene dal di fuori.
Anche le parole di Cristo giungono a noi
dall’esterno, ma sono confermate come vere nel nostro animo dal Verbo interiore
e per questo ci convincono.
Potremmo anche negarle, ma non saremmo convinti
di questo rifiuto, perché la verità ci supera e si afferma in noi.
Un’affermazione esterna senza una conferma
interiore non è verità, perché prevale la testimonianza interiore.
La Chiesa non può peccare di autoritarismo,
pena il divenire farisaica, cioè sottomessa all’io.
Per i dogmi quindi se non siamo in grado di capirli
ma neppure di dimostrali non veri, abbiamo l’obbligo di accettarli.
Nel rifiuto affermeremmo il nostro io; Gesù
dice: “Capirai poi!”.
Si deve avere l’umiltà dell’allievo che non è
mai umiliante: “Lasciati lavare i piedi
da Lui per avere parte con Lui”.
È apertura, non umiliazione. I dogmi, i
sacramenti, sono proposte da essere penetrate, punti fermi che Dio colloca
sulla strada affinché credendo possiamo proseguire senza errori; sono aiuti a
non disperderci, ma ad approfondire.
Tutte le parole di Gesù ci giungono come dogmi:
sono Parole superiori che ci responsabilizzano nella scelta e
nell’approfondimento, e non vanno rifiutate.
Si aderisce ad esse
lasciando le parole delle creature per la Parola: è il prezzo dell’amore.
Non potremo più crescere nell’amore e nella
conoscenza quando non avremo più niente da lasciare.
Più abbiamo possibilità di tradire e più
possiamo essere fedeli.
Domanda: Come mai Gesù
affermando che Dio è suo Padre scatena l’ira dei Farisei i quali ritenevano di
avere anch’essi Dio come Padre?
Risposta: Evidentemente perché traviavano in modo tale
il Dio che chiamavano Padre, che arrivano a non riconoscere il Figlio e ad
ucciderlo.
E questo fanno in nome del Padre.
Similmente a Gesù noi dobbiamo considerare Dio
nostro Padre; padre dei nostri pensieri, delle nostre parole, delle nostre
azioni.
Mai essere autonomi, ma essere sempre motivati
da Dio.
Se i Farisei di fronte al parlare di Gesù,
avessero superato il loro io, avrebbero interrogato DIo: “Che lezione ci vuoi dare?”.
Invece essi hanno usavano la legge come
strumento per affermare il loro autoritarismo, tendendo ad annullare Dio stesso
in nome di Dio.
È’ lezione per noi che corriamo il rischio di
scambiare per volontà di Dio il nostro pensiero, credendo di servire Dio,
servendo invece alla nostra comodità e interessi, giustificando cosi il nostro
disimpegno da Lui.
La fede vera ci porta sempre a superarci nella
ricerca presso Dio, impegnandoci ad approfondire.
Invece se ci ripieghiamo nell’io, non possiamo
sopportare che uno pensi diversamente.
Se Dio invece ci è
veramente Padre, si accoglie tutti, si arriva a comprendere e ad amare il
nemico perché in tutto si scorge la mano di Dio.
Ogni minimo superamento dell’io ci apre a Lui,
e di superamento in superamento, Dio modifica il nostro modo di pensare, riempiendoci di gioia e di conoscenza di Dio.
Il nostro pensiero, creatura di Dio fatta a sua
immagine e somiglianza, non ha limiti nella sua possibilità di seguire
l’Infinito di Dio, anche se Dio sempre lo supererà. Basta essere aperti
umilmente a Dio, il quale può portare la nostra anima fin dove è Lui.
Essa è spirito che si libera verso l’Infinito
con il superamento del nostro io.
Non dobbiamo scoraggiarci: Dio ci sollecita e
ci aiuta. Si incomincia a “camminare
con Lui”, per finire a “camminare in
Lui”, come il paralitico che ubbidendo alla Parola, viene trovato nel
Tempio; se lui vi fosse rimasto, il Signore l’avrebbe fatto giungere alla
conoscenza personale di Dio.
C'è il rischio di lasciare la luce per andare
dietro ai segni, come successe al paralitico che
usci dal Tempio per compiacere ai Farisei.
I Farisei si sentono
sminuiti da Gesù, ma se avessero tenuto conto del Pensiero di Dio, questo
li avrebbe portati ad accettare da Lui questa umiliazione, come azione divina
per aiutarli.
Accettando l’annientamento, si riceve il
massimo dei doni: la sua Presenza!
Nel crollo di tutto c'è Lui! Cioè nella
dimenticanza totale di noi stessi.
Gesù che è tutto Pensiero del Padre, è generato
dal Padre. Noi pure saremo figli del Padre quando saremo
generati dal Padre, tutto pensiero suo.
Noi spesso chiamando Dio nostro Padre, non Lo
chiamiamo come Gesù lo chiama, perché strumentalizziamo Dio alla nostra
ambizione o ai nostri schemi, cosi come facevano i Farisei.
È per rivelare questo conflitto tra il Padre
loro e il Padre suo, per arrivare a mettere in discussione il loro Dio e
portarli alla conversione al vero Dio, al suo Dio, che Gesù ordinò al
paralitico di violare il sabato portando il suo lettuccio.
Egli opera per salvare. Ci fa capire che solo
avendo Dio come Padre, cioè come Colui che motiva il nostro pensiero e la
nostra azione, noi possiamo cogliere il vero spirito della legge e ogni
altra cosa.
Dobbiamo nascere in
ogni cosa con Dio, cosi lo possiamo riconoscere Padre e riconoscerci figli
con Gesù. Cosi possiamo con Gesù portare a compimento l’opera iniziata dal
Padre, diversamente diventano nostri padri il pensiero delle creature che
soffocano in noi e nei segni fuori di noi, la Parola di Dio, Cristo, il Verbo.
“Non chiamate nessuno con il nome di padre, perché uno solo è il
Padre vostro”;
“Chi ama suo padre e sua madre più di me, non è degno di me”.
Prima di essere fatti
figli del Padre, dobbiamo passare attraverso tutto quello che Gesù dice e fa.
Il Verbo, la Parola di Dio, deve essere accolta, capita, assimilata, ma ci
vuole l’interesse, la ricerca del Regno di Dio prima di tutto.
L’unico ostacolo è il nostro io. Se in noi c'è
il vero interesse, Lui fa ogni cosa; ma bisogna chiedergli la luce e Lui ce la
dà. Egli opera anche quando siamo apatici alla sua Parola; lo sentiamo allora
lontano, ma se crediamo che Lui opera in tutto e gli chiediamo la luce, Lui ci
rende ogni cosa chiara e semplice.
Pensieri tratti dalla conversazione:
Cina: A me ha colpito quanto è stato
detto sul dogma: quel punto fermo che abbiamo da accettare anche senza
comprenderlo.
Teresa: Se non abbiamo un motivo e prove da affermare contro,
dobbiamo credere.
Luigi: Certo, dobbiamo credere.
Eligio: È ben detto che le parole di Gesù sono dogmi, in esse
allora abbiamo un punto di riferimento su cui lavorare, tutta la vita.
Luigi: Infatti Dio parla proprio per farci lavorare, ma per
farci lavorare nelle sue Parole, perché proprio lavorando nelle sue Parole ci
impegna moltissimo nell’essenziale.
Invece, se lavoriamo sulle parole degli uomini, con
facilità ci disperdiamo e perdiamo di vista l’essenziale. La Parola di Dio ci
concentra sull’essenziale, ce lo mette in evidenza.
Guarda quante discussioni, quante argomentazioni fanno a
Gesù disperdendosi in altri argomenti e come Gesù invece puntualizza sempre
l’essenziale.
Pensa soltanto all’argomento di Marta e Maria.
Apparentemente Marta che sta tribolando, che sta
lavorando, dice a Gesù: “Dì a Maria che
venga a darmi una mano”, è amor del prossimo in pieno, quindi più che
dovere!
Invece Gesù immediatamente puntualizza: “Una cosa sola è necessaria. Maria ha scelto
la parte migliore”, ecco, è netto!
Nino: Basta vedere noi, nelle nostre discussioni, come è
facile andare fuori tema, fuori del discorso…
Luigi: Ecco, è li l’importanza di avere sempre molto presente
come punto fisso di riferimento, una Parola del Vangelo; ci aiuta moltissimo,
perché sgombra la nostra mente, la nostra anima da tutto quel materiale di cui ci
ingombriamo, per cui poi quando abbiamo bisogno di trovare Dio, non lo troviamo
più, perché noi siamo ingombri di tutto questo.
Se noi mantenessimo sempre presente una Parola, un punto
fisso di riferimento, questo ci sgombrerebbe il terreno: “Ma no! Queste sono storie! Questo è niente! Lascia, non voltarti
indietro, guarda verso l’essenziale!”
Eligio: E quelli sono i dogmi su cui riflettere, più ancora di
quelli che ci sono proposti.
Luigi: Noi molte volte parliamo di dogmi e crediamo che debbono
essere delle verità che debbono essere accettate alla cieca, come di fronte ad
una parete. No! Il dogma è un’offerta di lavoro: ti devi impegnare per
penetrare.
Cosi tutte le parole del Signore: apparentemente ci
sembrano dure, difficili: “Questo parlare
è duro”, ma Dio parla per impegnarci, fa delle proposte di lavoro, per
impegnare soprattutto la nostra mente, per educarci a pensare, per educarci
cioè ad entrare nella vita eterna, perché la vita eterna è proprio questo
riferire sempre al Padre; riportando tutto al Padre, rinnoviamo la nostra
vita e acquistiamo vita e luce perché la luce ci viene proprio dall’avvicinare
i nostri argomenti agli argomenti di Dio.
Dall’esposizione di Luigi Bracco:
Riflettiamo ora sul versetto 44 del capitolo V di San
Giovanni:
“E
come potete credere voi che mendicate la gloria gli uni dagli altri e non
cercate la gloria che viene dall’unico Dio?”
Qui è la continuazione del discorso che Gesù sta facendo
con i Giudei e soprattutto dall’ultimo versetto su cui ci siamo soffermati la
volta scorsa:
-
“Sono
venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete: invece se un altro viene
in nome proprio voi lo riceverete”
-
e come conseguenza: “Come potete credere voi che mendicate
gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?”.
Però qui ci pone di fronte ad
una conflittualità tra:
- l’atto del credere,
- e il cercare, il mendicare la
gloria dagli uomini, la figura, il cercare la figura degli uomini.
Quasi a dirci che se noi pensiamo quello che possono
giudicare gli uomini di noi, quindi se noi cerchiamo di salvare la nostra
figura, il nostro onore di fronte al mondo, ci veniamo a trovare in una
situazione di impossibilità di credere.
È impossibile credere: lo dice qui Gesù: “Come potete credere voi?”.
Quindi manifesta un caso di impossibilità, di
incompatibilità tra il nostro cercare la figura, il giudizio, il pensiero degli
uomini e il credere.
Se c'è questa conflittualità allora possiamo anche capire
come tanti vengono a trovarsi in una situazione di impossibilità di credere.
Per cui, ad un certo momento,
l’animo umano viene a trovarsi proprio in una situazione di impossibilità: non
può credere.
Gesù ci insegna che tutte le volte che noi mendichiamo la
figura, il giudizio degli altri, ci mettiamo nella impossibilità di credere a
Dio, di credere alla Parola di Dio che arriva a noi.
Ci mettiamo nell’impossibilità: ecco, il punto
centrale che Gesù vuol mettere qui in evidenza è proprio questo: questa
incompatibilità.
Qui si vede che c'è un contrasto tra la ricerca del giudizio
degli uomini e la fede in Dio; cioè si crea nella nostra anima una situazione
di contrasto tale per cui non possiamo più credere.
Gli argomenti su cui dovremo
soffermarci sono proprio:
-
1)
questo atto del credere che non può darsi fintanto che in noi c'è questo
desiderio di essere giudicati bene dagli uomini, di cercare la figura davanti
agli altri;
-
2)
e come soltanto cercando la gloria che viene dall’unico Dio noi possiamo
entrare nella fede; e anche qui, mentre ci mette in evidenza l’impossibilità
di poter credere fintanto che noi mendichiamo la gloria degli uomini, ci
insegna che la fede è una conseguenza del nostro interesse per la gloria di
Dio.
Perché dice: “… e
non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?”. Quindi ci fa capire che
se noi cerchiamo la gloria che viene dall’unico Dio, noi possiamo credere.
Questo ci fa intendere che la fede, il credere, è una
dipendenza, una conseguenza, della presenza in noi dell’interesse per la gloria
di Dio, più che della gloria nostra.
Fintanto invece che noi pensiamo a noi, alla nostra
gloria, ci mettiamo in una situazione di impossibilità di credere.
Ma l’interesse per la gloria di Dio da che cosa viene?
L’interesse per la gloria di Dio viene da un atto di
giustizia: non siamo noi Dio, non siamo noi il Creatore, e quindi per
giustizia noi dobbiamo occuparci più di Dio che di noi.
Dio deve essere il centro dei nostri pensieri.
È in base a questo atto di giustizia che noi ci mettiamo
nella situazione di poter credere a tutte le cose che si riferiscono a Dio.
Abbiamo detto che noi nel nostro mondo interiore
abbiamo la presenza di due pensieri, riducendo ai termini estremi, abbiamo la
presenza di due pensieri: il pensiero di Dio e il pensiero del nostro io.
Noi generalmente mettiamo il pensiero del nostro io al
centro, cioè ci comportiamo con il pensiero del nostro io come punto fisso di
riferimento, e facendo cosi ci rendiamo impossibile la fede.
Per giustizia dobbiamo mettere il pensiero di Dio al
centro.
Mettendo il pensiero di Dio al centro,
immediatamente ne scaturisce in noi il bisogno di cercare la gloria di Dio,
e questo cercare la gloria di Dio è poi il cercare la verità di Dio, la
confermazione di questa Verità in tutto.
Questo interesse per Dio, ci apre alla fede,
cioè ci apre ad accogliere (fede è accogliere, aderire ai “campioni” che ci
arrivano da Dio, che sono le parole) le Parole di Dio che giungono a noi, cioè
apre la nostra anima ad occuparci di tutti gli argomenti che arrivano a noi
riguardo a Dio.
Più noi sentiamo parlare di Dio, argomenti di Dio, parole
di Dio, pensieri su Dio, e più noi facciamo tesoro di questo.
Ma facciamo tesoro perché abbiamo interesse per la gloria
di Dio.
Se invece noi pensiamo a noi, pensando a noi ci mettiamo
in una situazione di impossibilità di ascoltare le cose di Dio.
-
3)
Però c'è anche il concetto qui da approfondire di mendicità, perché Gesù
parla: “voi che mendicate”; ecco, ci
fa capire come noi, allontanandoci dalla ricerca della gloria di Dio, in
effetti diventiamo dei mendicanti verso tutte le creature.
Quando abbiamo parlato della gloria, abbiamo notato che la
gloria è ciò che uno è, è la
manifestazione di ciò che uno è. Ora, ciò che uno è lo riceve
soltanto da Colui che è, cioè da Dio.
Più noi partecipiamo a Dio, più noi conosciamo Dio, più
noi cerchiamo Dio, e più in effetti noi riceviamo il nostro essere da Dio.
Più ci occupiamo di Dio e più noi riceviamo il nostro
essere da Dio, perché il nostro essere noi lo riceviamo da Colui che è.
Più noi trascuriamo Dio e più noi perdiamo del nostro
vero essere.
Ecco, possiamo già intuire un po’ come si arrivi ad
essere veri mendicanti: la mendicità si forma dal fatto che potenzialmente
noi perdiamo dell’essere trascurando Dio e più noi perdiamo dell’essere e
più ci rivolgiamo a tutte le creature per “avere”.
Però quel che abbiamo delle creature non è più l’essere,
perché nessuna creatura ci può dare l’essere; nessuna creatura ci fa essere.
È li che incomincia lo sdoppiamento in noi: le
creature chiedono soltanto a noi di apparire, non di essere.
Noi cerchiamo dalle creature non l’essere, ma la figura;
cerchiamo di salvare la figura.
Sostanzialmente verso le
creature interessa poco quello che siamo noi, interessa molto quello che
appariamo a loro: cerchiamo di salvare l’onore, la faccia, la figura, ecco, ci
vestiamo bene, ecc.
Pensieri
tratti dalla conversazione:
Nino: Cioè non ci interessa l’apprezzamento che noi possiamo
avere di noi stessi…
Luigi: No, ma ci interessa solo l’apprezzamento degli altri, la
facciata.
Nino: Quello che possiamo far credere.
Pinuccia: E poi magari quegli altri pensano una cosa diversa da
quella che magari noi cercavamo.
Luigi: Ma quel cercare la gloria degli altri è cercare
proprio soltanto la figura, il giudizio, e quindi salvare la figura,
l’apparenza; per cui noi, a questo punto, sostituiamo la ricerca dell’essere
con la ricerca dell’avere, perché cercando la gloria di Dio noi cerchiamo
l’essere e cercando l’essere noi aumentiamo il vero nostro essere e, di
conseguenza, interessa a noi poco la figura: quello che interessa molto è
l'essere.
Invece perdendo questo e rivolgendoci alle creature, noi
cerchiamo soltanto la soddisfazione dell’apparenza…
Pinuccia: E diventiamo però anche menzogneri….
Luigi: Ci sdoppiamo: è quella famosa frattura che si crea in
noi, cioè un principio di divisione in noi, che diventa vera mendicità, vera
povertà, vera miseria.
Nino: Ed è anche il più alto peccato di orgoglio, perché li
mettiamo proprio l’io sull’altare al posto di Dio.
Luigi: Si, perché come noi trascuriamo l’essere di Dio,
sostituiamo a Dio il nostro io; però tu
capisci che mettendo il nostro io sull’altare, per la legge del contrappasso,
distruggiamo l’essere del nostro io, perché rivestiamo soltanto più il nostro io di apparenza, perché andiamo a
cercare il nostro io nella figura davanti agli altri. Rivestiamo quindi il
nostro io di apparenza. Per cui mentre magari gli altri ci battono le mani, noi
portiamo la morte dentro, una tristezza dentro, la vanità dentro di noi, perché
ci svuotiamo dell’essere; infatti noi riceviamo l’essere soltanto nella misura
in cui cerchiamo la gloria di Dio, nella misura in cui pensiamo Dio,
raccogliamo in Dio cioè quel riportarci sempre al Principio.
Nella misura in cui noi ci raccogliamo in Dio,
partecipiamo dell’Essere, quindi riceviamo l’essere, perché la gloria che
viene dall’unico Dio (infatti Gesù dice: “… e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio”), è ciò che
uno è in Dio.
Ora noi non dobbiamo
cercare quello che noi siamo davanti agli uomini, perché gli uomini non ti
danno l’essere, non possono darci l’essere. Solo Dio dà l’essere, perché Dio è
Colui che è.
Allora soltanto cercando Dio, noi otteniamo nella misura
in cui cerchiamo Dio, otteniamo da Dio l’essere, la partecipazione dell’Essere,
la vera vita. Cosi magari fuori abbiamo la figura di mendicanti siamo vestiti
male davanti al mondo, dentro invece abbiamo questa vita.
Invece operando al rovescio, si ha dentro il vuoto, e
fuori tanta gloria, tanta apparenza.
Ma non c'è nessuna gloria esterna di mondo che possa
riempire la nostra anima, il vuoto della nostra anima.
Eligio: In che tragedia andiamo a cacciarci… ci infiliamo in una
strada dove poi continuiamo a recitare una certa parte.
Luigi: Perché tu sei costretto a recitare quella parte e non
puoi farne a meno, e diventi tutto maschera.
Nino: Quanti attori cinematografici si sono suicidati, eppure
avevano trionfato e li vedevamo sempre sorridenti.
Luigi: E si, perché recitavano una parte… ma è solo apparenza.
Un tempo avevamo detto che è un principio di schizofrenia, questa divisione
nostra interiore: quindi proprio un principio di pazzia, per cui ad un certo
punto, la vita diventa insopportabile, perché non c'è nessun bene che viene
dall’esterno che mi possa riempire il vuoto che porta dentro l’anima, quando
recito. Per cui ad un certo momento per forza si arriva al suicidio, perché non
si sostiene più il vivere.
Nino: Si arriva all’assurdo di darsi da fare per far credere
agli altri di essere interessanti, quando non siamo interessanti nemmeno a noi
stessi… quindi a che punto di falsità costruiamo la nostra personalità.
Luigi: Certo!
Pinuccia: Però
sostanzialmente siamo sempre dei mendicanti, tanto quando cerchiamo la
gloria di Dio, come quando cerchiamo la gloria degli uomini: certo, si tratta
di mendicità diverse.
Luigi: Qui parla proprio di “mendicità”, che è una cosa
molto diversa dalla povertà.
Il povero di Dio è una cosa diversa dal mendicante.
Nino: Perché di fronte a Dio siamo mendicanti di Uno che
ci vuole fare il dono.
Luigi: E poi soprattutto Dio è Uno che ci fa essere.
Nino: Invece se noi mendichiamo dall’uomo, l’uomo ha il suo io
al centro non il nostro io …
E poi c'è già un conflitto tra i nostri interessi: basta
solo toccare l’interesse di uno e quello smette ogni inchino.
Eligio: Oppure basta anche solo scalfire l’apparenza che lui si
costruisce davanti agli altri.
Luigi: Si, perché è tutto un gioco reciproco; se l’altro
rispetta la mia figura, io però debbo anche rispettare la sua recitazione, per cui
debbo battere le mani alla sua recitazione, il che è anche recitazione.
Eligio: Affinché lui le batta anche a me …
Luigi: È proprio una mendicità, ed è terribile, perché al
fondo della mendicità c'è il vuoto.
E noi sappiamo che l’altro è vuoto e che io sono vuoto,
ci esaltiamo però a vicenda, battendoci le mani e dicendoci: “Sei grande!” e sappiamo che l’altro è
vuoto.
È li la mendicità.
Invece con Dio quando tu dici: “Dio è grande!” lo sai che effettivamente è grande. Insomma, lodi
una cosa che è. E tutto ti conferma questo!
Invece verso le creature no,
perché ti accorgi che è tutto una falsificazione, ma una falsificazione che
devi fare per interesse ma contro ciò di cui sei convinto dentro.
Perché penso: “Io sono
vuoto e l’altro è vuoto, io però gli batto le mani, cosi anche lui mi batte le
mani; e se io gli dico che è grande, anche lui mi dice che sono grande!” e
diventiamo dei palloni gonfiati; ci gonfiamo reciprocamente.
Questo è il senso della mendicità, perché non sei
sostenuto da un valore valido, mentre invece con Dio, tu sei sostenuto da una
conferma continua.
Ti costerà magari tanto sacrificio, ma hai la gioia
immensa della Verità che si conferma in tutto.
Pinuccia: È una mendicità quella con Dio
che ci arricchisce.
Luigi: Ma certamente!
Nino: Perché sei su una strada per la quale sei stato
chiamato; invece mendicando dagli uomini, nel momento in cui l’altro cessa di
batterti le mani e tu ti ritrovi con te stesso è la disperazione.
Teresa: Se mendichiamo da Dio siamo nella Verità, invece con gli
uomini ci illudiamo di essere qualcuno.
Luigi: Ma certamente, e per di più sapendo di essere nulla.
So che l’altro vale niente, però gli batto le mani,
perché posso ottenere da Lui qualche piacere e qualcosa. È tutta una
falsificazione continua.
Ed è proprio questa coscienza di falsificare le cose che
rende triste la nostra vita.
Eppure non ne possiamo uscire perché altrimenti.. come
faccio a mangiare? Come faccio carriera?
È tutto un processo di falsificazione continua, mentre
invece con Dio abbiamo un processo di verificazione di autenticità continua,
e quindi di vera liberazione.
È la conferma proprio
di “conoscere la Verità”.
E poi perché
cercando la gloria gli uni gli altri, noi partiamo dal punto fisso: il
mio io; e questo punto fisso del mio io mi rende impossibile il credere,
perché credere vuol dire aderire ad un altro punto fisso, non più il mio io.
Se io metto come punto fisso il mio io, questo mi
rende impossibile la fede; ecco, diventa proprio incompatibile.
Perché non è che il mio io sia di per sé un
ostacolo: il nostro io è creatura di Dio, quindi non è che di per sé sia
incompatibile con la fede, tutt’altro, ma va messo al posto suo, cioè: prima
Dio come punto fisso di riferimento e il mio io in sottordine.
Allora il mio io diventa un fattore di fede.
Allora vuol dire che il
mio io cerca la gloria di Dio: il punto fisso di riferimento è Dio.
Se invece noi
trascuriamo la gloria di Dio e cerchiamo la nostra gloria, vuol dire che il
nostro punto fisso di riferimento è il pensiero di noi stessi.
E proprio mettendo come punto fisso di riferimento il
pensiero del nostro io, noi distruggiamo il nostro io, per contrappasso, perché
cercando la figura, annulliamo il nostro io, quello che invece noi vorremmo
salvare.
Eligio: E tendiamo a distruggere anche gli altri.
Luigi: È logico!
Eligio: Perché staccato da Dio il nostro io è omicida e suicida.
Luigi: È logico! Perché diventiamo
un principio di falsificazione. Il nostro io al centro è il demonio e il
demonio è omicida; perché soltanto con Dio noi siamo fatti e viviamo.
Sembra strano perché è come dire ad una persona: “Dimenticati e allora incomincerai a
vivere!”
Lei ti risponde: “No,
io incomincio a vivere solo se mi penso”.
Ecco, sembra strano dover dire che per scoprire la vita
dobbiamo dimenticarci, mentre tutto il mondo dice: “No, se io non penso a me, nessuno pensa a me ed io muoio!”.
Questa è la conferma della verità di Dio, perché se più
mi dimentico, più vivo vuol dire che Dio veramente c'è.
Nino: E poi, mendicando con Dio noi non ci rendiamo mai
schiavi: mendicando con gli uomini noi diventiamo debitori.
Luigi: Si, ma poi diventiamo schiavi del nulla, della non
verità ed è quello che ci rattrista. Per cui io in coscienza so che quella
cosa li non va fatta cosi, eppure la debbo fare altrimenti non salvo la figura.
È questa conflittualità che porto dentro di me che
rattrista e svuota tutta la mia vita.
Nino: Per cui si può arrivare al suicidio
non solo per il vuoto che si sente, ma anche per non aver trovato questa figura
da parte degli altri…il che è poi il massimo del vuoto..
Luigi: Certo, avendo noi abbandonato Dio, finiamo poi di essere
abbandonati da tutto e da tutti, quindi non siamo assolutamente più niente,
perché indubbiamente, gli altri ci danno una mano, ci sostengono fintanto che
noi li serviamo, ma il giorno in cui non interessiamo più loro, per forza ci
abbandonano.
Pinuccia: Approfondendo questo versetto quando parla sull’importanza
di cercare la gloria di Dio..
Luigi: Noi viviamo nella misura in cui cerchiamo la gloria di
Dio; per giustizia. E allora ci apriamo alla fede.
Pinuccia: Ma questo rimprovero: “Non cercate la gloria che viene dall’Unico Dio”, lo possiamo
vedere in contrapposizione con la constatazione: “Cercate la gloria gli uni dagli altri, cioè il riconoscimento di ciò
che siete”; per cui lo possiamo intendere come un invito a voler essere
riconosciuti solo da Dio, cioè a cercare il riconoscimento di ciò che siamo
solo da Dio?
Luigi: Si, però il riconoscimento di ciò che siamo, noi lo
riceviamo nella misura in cui cerchiamo Dio, ci interessiamo di Dio.
È l’interesse per Dio viene proprio per atto di
giustizia, perché come noi riconosciamo che dobbiamo aderire a Dio, perché Dio
è il Creatore, perché è Lui la Verità, perché non ci siamo fatti noi da soli,
questo già suscita in noi il bisogno di riconoscere la sua Verità in tutto,
perché questo ci è solo annunciato: “DIo
è il Creatore”. Questo è il campione della merce; tra il campione e la
merce, bisogna che in me scatti un certo interesse per la merce, perché
altrimenti come arriva il campione lo scarto. E poi non basta che ci sia
l’interesse per la merce, ma bisogna anche pagarne il prezzo. La merce, scusate
il termine, è la gloria di Dio.
Il campione che arriva a me è la Parola di Dio che arriva
a me, è il Dio Creatore che si annuncia a me.
Però tra il campione e l’arrivo della merce, prima di
tutto deve scattare l’interesse per quella, perché se penso a me, scarto il
campione, non mi interessa la merce.
Ma poi devo anche essere disposto a pagare il prezzo,
perché a me può anche essere interessante la merce, ma posso trovare il prezzo
troppo esoso e allora non mi rivolgo all’acquisto di quella merce.
Quindi debbo anche essere disposto a pagare.
Soltanto quando ho interesse per la merce e quando sono
disposto a pagare quel prezzo, allora incomincio ad aprirmi alla fede, alla
vera fede, perché la fede è camminare verso, è fare tutti quei passi per
arrivare ad ottenere la merce corrispondente a quel campione, altrimenti la
fede non scatta.
Ora noi il più delle volte, quando arrivano i campioni li
scartiamo. I campioni di Dio arrivano sempre, ad ogni creatura: Dio ogni giorno
ci manda i suoi campioni, però noi in continuazione diciamo che non ci
interessano, perché abbiamo altri interessi, i allora diventiamo ciechi e li
scartiamo. Per noi allora è assolutamente impossibile aprirci alla fede.
È come dire: “È impossibile che quella persona a cui continuamente
mando dei campioni della merce, che quella persona li desideri o si interessi
alla mia merce, quando lei è rivolta a tutti altri interessi”.
Come arrivano i campioni me li scarta e me li mette
subito nel cestino, perché la cosa non le interessa.
Soltanto il giorno in cui si apre all’interesse per,
allora incomincerà a questo punto ad aprirsi alla fede, prima no.
Allora possiamo chiederci: che cos’è la fede di tanti che
cercano la figura?
Perché quanti di noi magari viviamo per la figura davanti
al mondo, per ricercare la nostra gloria gli uni gli altri eppure crediamo di
credere. Che cos’è allora questa fede?
Evidentemente non è la
fede di cui parla Gesù, perché la fede di cui parla Gesù è proprio quel
camminare verso la meta finale, verso la gloria di Dio.
Purtroppo noi ci illudiamo di credere e non abbiamo la
fede: facciamo consistere la fede nel fare certe azioni, per cui se passo per
la tal strada e vado ad una certa funzione, io ho la fede: la fede è ben altro!
Perché fintanto che noi viviamo per cercare di salvare la
nostra figura, pensando a quello che diranno gli altri di noi, quello che
pensano gli altri e ci comportiamo in conseguenza, noi non possiamo entrare
nella fede, perché la fede è camminare verso la gloria di Dio.
Eligio: È vero che c'è un prezzo da pagare per avere il prodotto
che il campione ci presenta; ma pensavo al prezzo che dobbiamo pagare non
scegliendo Dio, e scegliendo invece la figura presso il mondo.
Luigi: Pensa che prezzo paghiamo! È tremendo! Eppure …
Eligio: E tutto questo per avere un prodotto più scadente ma
negativo, che si arriva a pagare a volte col suicidio.
Nino: E quando non c'è il suicidio c'è però la morte dentro.
Luigi: Certo, il vuoto, l’angoscia, la noia, tutto, perché
tutto si svuota; e ancora, tu col vuoto dentro, la tristezza, l’angoscia
dentro, devi magari ancora recitare la figura dell’uomo felice, dell’uomo
arrivato, sorridere a destra e a sinistra… guarda che farsa!
Eligio: Che tragedia!
Cina: È una malattia che ci si porta addosso.
Luigi: Ma Dio vuole guarirci.
Nino: Ma non tutti sentono il disagio di questa situazione e
sembrano appagati anche se sono lontani da Dio.
Luigi: Fino ad un certo punto… comunque Dio opera con tutti,
forse anche soltanto nell’agonia, ma c'è da augurarsi che Dio salvi tutti;
perché Lui vuole salvare tutti… perché se uno morisse in una convinzione
sbagliata, allora vuol dire che va all’inferno.
C'è da augurarsi che Dio richiami tutti, anche magari
all’ultimo, a glorificarlo cosi.
Certo, fintanto che io sono convinto che il denaro per me
sia tutto, è logico, più guadagno denaro e più credo di vivere; ma arriva un
momento in cui col denaro io non riesco più a risolvere la mia situazione: è li
che arriva il dramma.
E Dio mi porta a toccare con mano che con tutto quello che
io credevo di avere, non posso risolvere niente.
Oppure amo terribilmente una creatura, ma ad un certo
momento Dio mi reca la delusione proprio con quella creatura, perché Dio è un
Artista sottilissimo; magari non ci tocca in mille altre cose, ci tocca però
soltanto in quel punto in cui noi siamo sensibili.
Per far crollare una creatura, basta toccarle un punto
solo: quello che gli sta più a cuore.
Quante volte io ho sentito delle persone che dicono: “Se Dio mi avesse portato via tutto, tolto
tutto, ma non quello! Non quel punto li!”.
E Dio ti tocca proprio in quel punto li, perché sa che ti
fa crollare tutto il suo mondo proprio in quel punto li.
Se noi stiamo attenti, Dio è di un’arte estrema!
Eligio: Come c'è un punto immacolato in noi, direi che c'è pure
un punto diabolico che lotta contro il punto immacolato.
Luigi: Certo!
Eligio: Direi che su quel punto diabolico Dio fa crollare
l’altare del nostro io.
Luigi: Si, perché in un primo tempo noi abbiamo tanti
interessi, e Dio aspetta che i nostri interessi si individuino in un punto
unico.
Prima, quando abbiamo una molteplicità di interessi, se
Lui ci toccasse in uno, avremmo quell’altro e quell’altro che lo sostituisce,
ci trasferiremmo da uno all’altro; ma a poco per volta, man mano che viviamo,
tutti i nostri interessi si concentrano su un punto unico.
Quando sono concentrati su quel punto unico li, li
comincia Dio ad operare. E lo fa proprio per salvarci e li si vede il disegno
del Regno di Dio.
E come potete
credere voi che mendicate la gloria gli uni gli altri, e
non cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Gv 5 Vs 44 Secondo tema.
Argomenti: La gloria degli
uomini e la Gloria di Dio. Portare a compimento
in noi la gloria di Dio. Il pensiero del nostro io è la fonte della
vita apparente. La fonte della vita
vera è il pensiero di Dio. Parlare di Dio e
non di sè. La Gloria è
partecipazione all’essere. La fonte
dell’essere è Dio. I contemplativi.La gloria della creatura è poter conoscere Dio. Pensando Dio, già implicitamente
desideriamo tutta la gloria di Dio. Parole vicine
e lontane a Dio.
7/Maggio/1979
Dall’esposizione di Luigi Bracco:
Ieri sera,
soffermandoci su questa frase di Gesù del versetto 44, abbiamo notato quali
sono le fonti dell’essere e le fonti del sembrare, le fonti dell’apparenza in
noi.
Cioè come cercando la
gloria degli uomini, noi seminiamo nella nostra vita e facciamo crescere
un’apparenza, una figura, un sembrare e siamo soddisfatti quando riusciamo a
“sembrare” davanti agli altri; e questa non è vita.
Abbiamo notato che la
vera vita viene dall’essere, non dal sembrare, e questo essere si riceve
soltanto da Dio.
Quindi fintanto che noi
cerchiamo il pensiero degli altri, la figura, il giudizio degli altri e viviamo
per questo, noi facciamo crescere in noi quello che San Paolo chiama “l’uomo
esteriore”, il quale è soggetto alla morte.
Solo cercando la gloria
di Dio, noi facciamo crescere in noi l’uomo interiore, che è un uomo
spirituale.
L’uomo interiore non
muore, ma cresce di luce in luce, fino alla vita eterna.
Ecco l’argomento che
proporrei per il nostro silenzio, il nostro raccoglimento:
come si vive interiormente, cioè come si
può far crescere questo uomo interiore.
Suggeriamo qualche
punto di riferimento:
-
II Lettera di San Paolo
apostolo ai Corinti: 4,16.
-
I Lettera ai Corinti
cap. 15,12-36-46.
-
Lettera agli Efesini
dal Capitolo II al Cap. IV (specialmente 4,22-24).
La Lettera agli Efesini
è abbastanza carica di questo argomento.
In essa San Paolo parla
molto di uomo vecchio e uomo nuovo.
L’uomo vecchio è l’uomo
che vive cercando la figura davanti agli altri, cercando il giudizio, cioè
cercando la gloria, come ci dice qui Gesù: “Come
potete credere voi che cercate la gloria gli uni dagli altri?”.
Quindi l’uomo vecchio è
l’uomo che non può credere perché vive tutto per la figura davanti agli altri.
L’uomo nuovo invece è
l’uomo che rinasce nella gloria di Dio.
Noi essenzialmente
dovremmo cercare di approfondire (cercando di raccoglierci alla Presenza di
DIo), e di vedere come si può sviluppare quest’uomo interiore.
San Paolo precisa che
anzi: “Man mano che il nostro uomo
esteriore deperisce, tramonta, l’uomo interiore si rafforza sempre più”.
Quindi è chiaro
l’argomento? Cioè come possiamo far crescere quest’uomo interiore?
E in che cosa consiste
questa vita, rapportata alla gloria di Dio?
Perché noi riceviamo l’essere
nella misura in cui partecipiamo all’Essere; le creature, gli uomini, non ci
possono dare l’Essere: gli uomini ci possono soltanto dare l’esteriorità.
L’essere lo si riceve
solo da Dio: e questo è l’uomo interiore.
L’uomo interiore è
fondato sull’Essere.
L’uomo esteriore è
invece fondato sull’apparenza, per cui la sua vita diventa una recitazione, e
questa è soggetta al deperimento, alla morte.
L’uomo interiore invece
no.
Però come vive
quest’uomo interiore? Come può crescere in noi giorno per giorno nella
gloria di Dio?
Perché quanto più noi
conosciamo la gloria di Dio, tanto più riceviamo in noi l’Essere, partecipiamo
all’Essere. E questa è vera vita.
Ripresa
dell’incontro dopo il silenzio:
Luigi: Dal versetto 44: “E come potete credere voi che mendicate la
gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?”
abbiamo tratto il tema: “Come vive l’uomo
interiore”, avendo precisato che l’uomo interiore nasce dalla ricerca
della gloria che viene dall’unico Dio, e che questo è l’uomo vero, l’uomo
autentico, contrapposto invece all’uomo esteriore e, come lo
chiama San Paolo, l’uomo vecchio che vive invece nell’apparenza,
nell’esteriorità, nella mendicità della gloria dagli altri.
Ora mettiamo assieme
quanto ognuno di noi ha pensato.
Cina: Mi trovo in questa malattia:
invece di cerare la vita alla sorgente, ci si trova invece su altre strade..
San Paolo dice di non vivere “Come
fanciulli sballottati dalle onde, portati qua e là da qualsiasi vento o
dottrina, ma di vivere secondo la Verità, nella carità… per crescere fino alla
statura del Cristo” (Ef. 4,13).
Luigi: Soprattutto i versetti 23 e
24, sono indicativi; li puoi leggere?
Cina: “… dovete deporre l’uomo vecchio… l’uomo che si corrompe dietro le
passioni ingannatrici; e dovete rinnovarvi nello Spirito della vostra mente
e rivestire l’uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella santità
vera…”.
Se rimango unita alla
vite, ricevo vita, se la elemosino dalle creature, mi stacco dalla vita, e
perdo la vita. Per ricevere la fede devo far tesoro delle cose di Dio; più le
trascuro, più divento mendicante delle creature dalle quali non mi viene
l’essere, ma l’apparire. Si riceve l’essere, solo se si cerca la gloria di Dio.
Luigi: Siccome dobbiamo cercare di
approfondire l’argomento della vita vera, cioè quello che ci fa crescere
nell’essere, bisogna cercare di precisare quando si parla di vita:
-
1) da che cosa nasce questa vita, da che cosa inizia;
-
2) come cresce;
-
3) e in che cosa si conclude.
Cioè cercare
possibilmente di precisare questi tre punti, perché una vita si caratterizza
sempre da un luogo di nascita, da un punto di nascita, poi da un modo di
crescere, perché anche quando si è nati, la vita non è che resti in noi in modo
automatico: la vita può diminuire o può crescere; e si può concludere, cioè
arrivare alla conclusione.
Cerchiamo allora
possibilmente di precisare questi termini.
Il cercare la gloria
dagli uomini ormai è scontata: quello non è vita, ma anzi è un perdere sempre
più la vita, perché più noi cerchiamo la gloria degli uomini e più noi perdiamo
l’essere interiore.
Abbiamo visto che la
vera vita sta nel crescere, nel partecipare all’Essere; quindi più noi
cerchiamo la figura e più noi ci svuotiamo interiormente dell’essere e quindi
sostanzialmente ci diciamo vivi, ma ogni giorno è una morte quella che noi
constatiamo.
Teresa: Non so se sono riuscita ad
approfondire l’argomento.
Luigi: Comunque ogni cosa che ognuno
di noi ha pensato, se lo prendiamo dalle mani di Dio tutto serve.
Teresa: Si può far crescere l’uomo
interiore con la fede in Dio, riconoscendo che è Lui il datore di ogni bene…
ringraziando anche quando ci sembra tutto fallito in noi, credendo nella sua
misericordia e amore per noi. È l’amore di Dio che ci fa crescere, e quindi che
ci fa vivere. Da parte nostra non abbiamo che da riscoprire la Parola di Dio
che fin dal principio era in noi; non soffocarla con le tante parole mie e del mondo, ma
coltivarla dandole sempre il primo posto, lasciandoci guidare da Essa, cioè dal
Verbo incarnato. Lui è il Vivente che ci vivifica, ci fa crescere portandoci
fino al Padre per lodarlo in eterno. Ma per arrivare a questo, dobbiamo anche
noi passare attraverso la morte, superando il nostro io, come Cristo che
affrontò la morte e non cercò il suo interesse personale, ma cercò solo di
portare a termine il piano del Padre, offrendo cosi, attraverso la sua
donazione totale al Padre, la vita a tutte quelli che la desiderano.
Luigi: Si, applicando personalmente a
noi questa donazione totale del Cristo, come la potremmo concretizzare questa
donazione totale? Cioè Lui ha portato a termine il piano con la sua donazione
totale. Questo l’ha fatto per indicare a noi la vita per portare a compimento
il nostro destino, cioè il disegno di Dio.
Allora chiedo: in
che cosa consiste per noi questa donazione totale?
Nino: Nel superamento dell’io.
Luigi: No, il superamento dell’io è
negatività; noi dobbiamo sempre portarci sull’aspetto positivo.
Teresa: È stare in continuo ascolto,
lasciandoci attrarre da Dio.
Luigi: Si, ma siccome qui abbiamo
visto che il Signore parla della gloria che viene dall’unico Dio, direi che la
nostra donazione totale deve essere a questa gloria, cioè donarci a questa
gloria, portare a compimento in noi la gloria di Dio. Siccome la gloria di
uno è ciò che egli è, e il vero ciò che uno è lo riceve solo da Dio, allora
questa donazione nostra sta nell’applicarci con tutte le nostre forze a
Dio..
Si capisce,
l’applicarsi richiede il superamento dell’io, questo è pacifico, perché abbiamo
visto, che il pensiero del nostro io è quello che ci porta a mendicare la
gloria gli uni dagli altri, quindi il pensiero del nostro io diventa la fonte
della vita apparente. Ora, quando si parla di vita apparente, evidentemente si
tratta di una vita che si contrappone ad un’altra vita che è la vita vera.
Quindi abbiamo una vita vera e una vita apparente. Abbiamo detto, la fonte
della vita apparente è il pensiero del nostro io, perché il pensiero del nostro
io ci proietta verso il giudizio degli altri verso la figura del mondo; quindi
il pensiero del nostro io è la fonte, la sorgente di questa vita apparente.
Invece la sorgente
della vita vera è il Pensiero di Dio.
Ora, quando si parla di
vita vera, si parla di una vita che non tramonta più, quindi eterna (vita vera
è uguale a vita eterna); la vita apparente invece, in quanto si dice apparente,
è vita che ci fa toccare con mano che è solo apparente, per cui passa,
tramonta, ci lascia nel nulla, non è vita vera. Allora, aprirci alla vita vera
vuol dire aprirci ad una vita che non tramonta più, ma va di conferma in
conferma, di gloria in gloria.
Teresa: Vuol dire aprirci alla Parola
di Dio.
Luigi: Si, aprirci alla Parola di
Dio, ma aprirci alla Parola di Dio vuol dire preoccuparci della gloria di Dio; perché
molte volte noi ci apriamo alla Parola di Dio per applicare una certa regola,
per trovare un certo nostro modo di essere. No, la Parola di Dio giunge a noi
per rivelarci la gloria di Dio, e quindi richiede da noi questa donazione alla
gloria di Dio, cioè cercare la gloria di Dio, cercare la manifestazione, la
rivelazione della sua Verità in tutto. Ecco la donazione che si richiede a
noi è questa in modo da poter glorificare Dio in tutto. Ora, per glorificare
Dio in tutto, noi dobbiamo conoscere, perché la gloria è la manifestazione di
ciò che uno è. Ora, la manifestazione di ciò che uno è viene solo da Dio e non
da noi, quindi si richiede il superamento di noi, si richiede quindi questa
immersione in Dio; e in Dio, Dio conduce la nostra anima a constatare ciò che
Egli è, quindi la sua Verità in tutto: questa è la Sua gloria, quel “Lumen gloriae” che rende beate le anime
nel cielo di Dio e che inizia già quaggiù, nella misura in cui noi ci
applichiamo a questa gloria. Per questo Gesù rimprovera, ammonisce gli uomini,
quando si rivolgono a cercare la gloria che viene dagli altri, anziché cercare
la gloria che viene dall’unico Dio. Dio che viene: quindi ci rivela una fonte;
la fonte di questa gloria viene noi dai nostri sforzi, non dalle nostre virtù,
non dai nostri impegni nel mondo, ma viene da Dio, per cui dobbiamo immergerci
in Dio, guardare Dio, conoscere Dio, perché più noi ci immergiamo in Lui e più
noi possiamo glorificare, cioè possiamo partecipare di questa vita, che diventa
autentica. Quindi questa donazione: più in noi c'è questa donazione alla gloria
di Dio, direi, questa preoccupazione di conoscere Dio in tutto, e più in noi si
forma la vera vita, la vita autentica; cioè cresce in noi l’uomo interiore.
Nino: Si vive interiormente
rifiutando l’apparenza e puntando sull’essenziale: “Cosa vale conquistare il mondo intero se poi si perde l’anima?”.
Vivere cioè uniti al Verbo, cercando il messaggio che Dio ha posto in ogni cosa
e avvenimento, chiedendo al Padre la luce e riportare a Dio il nostro stesso
pensiero.
Più stiamo uniti al
Pensiero di Dio, che è Cristo, più cresce in noi la conoscenza del Padre, più
cresce in noi l’uomo spirituale.
È questa la nostra
vocazione, diventare suoi figli, generati dal Padre, tutto pensiero suo come il
Verbo, e quindi chiederci sempre qual è la privazione del nostro pensare,
parlare, agire: più questa motivazione è Dio, più avanziamo verso la meta. È
questione di interesse per Dio e di amore per Lui: più cresce il nostro amore
per Lui, più cresce l’ascolto, più si fanno silenziose le altre voci e la vera
vita cresce in noi.
Ma Dio chiede a noi il
superamento dell’io e delle creature per trascendere in Lui. Ogni giorno siamo
provati: più testimoniamo il nostro amore, più cresce lo spirito, più
diminuisce l’uomo materiale.
Cina: Ecco, questa è la nostra
vocazione.
Luigi: Quella è la nostra vocazione:
è vita vera e trascurandola, cioè trascurando di occuparci della gloria di Dio,
noi trascuriamo la nostra vita vera. Perché, vivendo per l’apparenza, noi
moriamo giorno dopo giorno, cioè diminuiamo giorno dopo giorno, perdiamo giorno
dopo giorno la nostra vita: abbiamo soltanto l’apparenza di essere vivi. Dice
l’Apocalisse: “Hai solo il nome di essere
vivo, ma sei morto dentro”.
-
La vita nostra nasce dalla gloria di Dio,
-
cresce nella gloria di Dio
-
e si conclude nella gloria di Dio.
Eligio: Prima di chiederci come vive
l’uomo interiore, mi sono chiesto come nasce l’uomo interiore?
Nasce dalla sua stessa interiorità, cioè dalle motivazioni
stesse del suo vivere. Per giustizia che è la virtù base, l’uomo deve
riconoscersi creatura dipendente dell’Essere, cessando ogni autonomia che è la
caratteristica dell’uomo esteriore riconoscendo l’Essere, il Protagonista di
tutto che si pone in rapporto con me attraverso i segni che vanno interpretati,
perché racchiudono delle lezioni, dei richiami per avvicinarci di più alla
Sorgente della vita interiore.
Come si svolge questa
vita interiore? Dio è vita e la partecipazione nostra all’Essere, cioè alla
vera vita, richiede il superamento della vita apparente, esteriore, proiettata
sulle creature e un’attenzione e un amore sempre più penetranti. Si cresce
proporzionalmente a questo superamento e attenzione. L’inizio è per fede.
Cercando la gloria di Dio, cioè mettendolo al primo posto, si entra in
comunione con la Vita, e questo è vera vita per noi.. La vita interiore è un
processo di pensiero, cioè di adesione.
Luigi: Cioè, l’uomo interiore,
nasce da, cresce in e si conclude in.
Qui c'è San Paolo che
insiste su questo fatto: “L’uomo interiore
si rinnova di giorno in giorno, mentre invece l’uomo esteriore di giorno in
giorno decade, diminuisce”; ma diminuisce per dare spazio all’uomo
interiore. Quindi il vivere, il vero concetto di vivere, è un rinnovarsi
continuo, non è uno stato di passività: richiede una partecipazione attiva,
quindi è un rinnovamento continuo, perché Dio in continuazione manda i segni a
noi, (infatti noi, al livello in cui ci troviamo, che non è il livello della
conoscenza ma della fede, Dio fa arrivare le sue sollecitazioni a partecipare
alla sua vita, attraverso segni); però questi segni non debbono soltanto essere
ricevuti passivamente da noi, ma debbono essere continuamente rinnovati in che
cosa?
Ecco, la nostra vita si
rinnova ritornando sempre al Principio: in Principio che cos’era? In Principio
era il Verbo.
Ecco, questo è il Verbo
che ci è stato posto al principio della nostra vita, come principio del nostro
essere interiore, dell’uomo interiore: qui è il punto di nascita.
Il punto di nascita è
questo: “In Principio era il Verbo”:
questo è il luogo per la nascita del tuo uomo interiore che non nasce senza di
te; il “senza di te”, nel senso che c'è il tuo uomo esteriore che deve morire.
L’uomo esteriore è
l’uomo che ha la sua sorgente nel pensiero dell’io; ma mentre Dio dà a noi il
pensiero di noi stessi, dà anche a noi il suo Verbo che è il Pensiero di Sé;
per cui nello stato della nostra coscienza, nel pensiero del nostro io, abbiamo
il Pensiero di Dio ed il pensiero del nostro io.
Ora, nel pensiero
dell’io, Dio chiede, attraverso i segni di Sé, la partecipazione e quindi
questo donarsi, questo superamento; ecco, la partecipazione a quello che Egli
è. Ma quello che Egli è, Lui già l’ha dato nel Principio, nel suo Verbo, perché
quello che Egli è, è nel suo Verbo.
Allora noi rinnoviamo
il nostro uomo interiore quanto più continuamente riportiamo nel principio
tutti i doni che Dio ci dà. I doni che Dio ci dà, che se non sono raccolti,
riportati, rinnovati nel Principio, diventano per noi motivo di dispersione,
perché restano nel pensiero dell’io, quindi motivo di morte, se vengono invece
rinnovati, riportati nel Principio, diventano motivo di vita per l’uomo
interiore. Quindi abbiamo un’azione continuamente consapevole: è vita!
Eligio: Quindi per rinnovare tu intendi…
Luigi: Riportare continuamente nel
Principio: “In Principio era il Verbo”;
in questo Principio più noi riportiamo e più la gloria di Dio (che in Principio
è il Verbo ma è un punto per noi) si amplia in noi: quanto più questa gloria
si amplia, tanto più il nostro uomo interiore grandeggia, fino alla vita
eterna, la conclusione.
Per cui la vita nasce
dal Principio; dal Verbo di Dio che è in noi, e cresce rinnovandosi
continuamente.
Questo rinnovarsi
continuamente, avviene nella misura in cui noi riportiamo tutto quello che Dio
giorno per giorno ci manda, sempre al suo Principio.
È un ritorno continuo
al Principio, ma più noi riportiamo nel Principio, e più la sua gloria si
amplia (in noi), perché la sua Verità si testimonia di giorno in giorno sempre
più in noi.
Eligio: Cioè cresce in noi la visione
dell’Essere? Cioè entriamo nella luce?
Luigi: Certo, ma noi entriamo nella
misura in cui raccogliamo i doni di Dio, i dati di Dio, i segni che Dio ci dà,
nella misura in cui noi li riportiamo nel suo Verbo, nel suo Principio; cresce
con la nostra partecipazione consapevole.
Nino: Forse rende di più dire: “Nel Pensiero di Dio”, più che dire “Verbo”.
Luigi: Si, nel Pensiero di DIo; il
Verbo è Pensiero di DIo: “In Principio
era il Verbo”.
Nino: E allora tu cosa fai? Tu vai a
cercare qual è l’intenzione di Dio in ogni cosa. Si, è il Verbo, però la parola
“Pensiero”, forse renderebbe di più.
Pinuccia: Però nel Vangelo leggiamo: “In Principio era il Verbo”.
Luigi: Si, comunque il Verbo è
Parola, ed è Pensiero, non possiamo separare.
Comunque stasera ci
interessa mettere a fuoco che:
-
il nostro uomo interiore, quindi la nostra vita
interiore che è la vera partecipazione all’Essere, (mentre invece l’altra è
soltanto una parvenza di vita), nasce in noi dal Verbo, dal Pensiero di Dio
che è in noi;
-
cresce nella misura in cui unifichiamo, raccogliamo,
riportiamo ogni dono di Dio, ogni dato di Dio, ogni segno di Dio, in questo
Pensiero.
Per cui tutti i doni di
Dio sono per farci vivere, ma per farci vivere interiormente, per renderci
partecipi del suo Essere, e questo è il compito principale, essenziale, che è
richiesto ad ogni creatura.
E direi, anche qui, la
significazione della sua Volontà, non sta tanto nel cercare di capire quello
che Lui vuole da me esteriormente; quanto quello che vuole da me interiormente,
ed è proprio questo riportare nel suo Principio, nel suo Verbo.
Ora, Lui il Principio
me l’ha dichiarato: “In Principio era il
Verbo; era: poi tu ti sei dimenticato di questo Principio, e ad un certo momento
hai posto il tuo io come Principio”.
Lui ti dice: “Qui, in Lui era la Vita”, quindi Lui è il Principio della nostra vita;
adesso riporta tutto in Lui, se vuoi far nascere il tuo uomo interiore. Mentre
il tuo uomo esteriore sta perdendo tutto, raccogliti li e riporta tutto li; più
tu riporti li e più cresce questa gloria di Dio che è partecipazione
all’Essere, la vera vita”.
Eligio: Mi pare chiaro come l’uomo
interiore debba vivere… cercando di trasformare tutto in possibilità di
comunione a Dio.
Luigi: Per cui anche le parole del
Vangelo stesse che leggiamo, sono segni di Dio che vanno sempre riportati a
questo Principio, per attingere a questa gloria di Dio. E soltanto nella misura
in cui attingiamo a questa gloria, intendiamo veramente il significato
personale per noi; perché questo significato personale è proprio per far
crescere in noi l’uomo interiore, l’uomo che partecipa dell’Essere di Dio.
Pinuccia: La vita interiore è la vita
vera, quella basata sull’essere; è la vita secondo lo spirito, in
contrapposizione alla vita esteriore che è basata sull’apparenza e che è poi
morte.
La vita interiore è
incentrata in Dio, la vita esteriore è incentrata sull’io.
Cosa vuol dire vivere
interiormente?
Vive interiormente
l’uomo nuovo, cioè l’uomo che è risorto con Cristo, cioè rinato da Dio, che non
vive più per le cose di quaggiù, ma per le cose di lassù, non più per le cose
visibile ma per le cose invisibili; è l’uomo che ormai ha superato l’io (cioè
l’uomo vecchio è morto con Cristo) e vive ormai solo per Dio.
Luigi: Però questo vivere per Dio,
l’abbiamo precisato, è questo rinnovarsi in continuazione nella fonte
dell’Essere.
Ecco, è questo
ritornare in continuazione alla Sorgente, la Sorgente dell’Essere, perché la
gloria è partecipazione all’Essere di Dio, ma l’Essere di Dio noi lo riceviamo
soltanto da Colui che è: Dio è Colui che è.
La fonte dell’Essere è
Dio. allora si vive nella misura in cui in continuazione ci si rinnova in
questa Sorgente, in cui bisogna sempre riportare tutto, e guai a trascurare
questo lavoro.
Pinuccia: La fonte dell’Essere è il
Padre, no?
Luigi: Si, va bene, la fonte
dell’Essere in assoluto è il Padre.
Però in noi è il
Pensiero di Dio, il Verbo, perché Dio creandoci ha posto in noi il Pensiero di
Sé, per cui ha dato a noi la possibilità di pensarlo: e la possibilità di
pensarlo è il grande tesoro che ha ogni uomo, per cui il Signore dice: “Va, vendi tutto quello che hai, dallo ai
poveri, vieni….”.
Questa è la grande
ricchezza che Dio ha posto nell’uomo: non sono i beni materiali, non è la tua
vita fisica, non è la tua salute, non sono le creature: il vero tesoro che Dio
ha dato ad ogni uomo è la possibilità di pensare a Lui; e quando l’uomo trova
questa ricchezza, rinuncia, lascia tutto, pur di poter pensare a Lui. Dice: “Prendetevi tutto, non mi importa niente; io
ecco, voglio restare con questa eredità, con questo campo” e per questo
campo è disposto a lasciare tutto.
Effettivamente questo è
il grande tesoro che Dio dà ad ogni uomo: un tesoro di vita, perché è il tesoro
che ci fa essere; tutto il resto invece, è solo apparenza e ci conduce al non
essere, quindi ci conduce allo svuotamento di vita. invece qui abbiamo il
Principio.
Per questo dico che è
la Sorgente dell’Essere (per noi).
Però questa sorgente
dell’essere non rimane in noi senza di noi. Sì, resta in noi senza di noi, però
siccome noi diventiamo figli delle nostre opere, se noi in continuazione non ci
rinnoviamo in questa Sorgente, ci separiamo; per cui tutti i doni di Dio, tutti
i segni di Dio, se non sono in continuazione riportati in questa Sorgente,
diventano per noi motivo di allontanamento dalla Sorgente, quindi di perdita.
Ecco perché si richiede
da noi questa vita consapevole; questa azione nessuno la può fare in noi senza
di noi.
Ecco, ci vuole questo
rinnovamento continuo e non dire: “Ormai è scontato!”, non è mai scontato! Dio
per noi, la fonte dell’Essere, non è mai scontata: richiede e richiederà in
eternità, non soltanto adesso, ma in eternità, questa azione attuale da parte
nostra, di riferimento sempre alla fonte dell’Essere, e più noi ci rivolgiamo
alla fonte dell’Essere e più partecipiamo all’Essere, cioè cresce in noi l’uomo
interiore, l’uomo vero.
Pinuccia: Continuazione……
Per l’uomo interiore la
realtà è quella spirituale e vede la realtà materiale solo come un segno, come
un aiuto, come una concessione da parte di Dio per aiutarlo a vivere nella vita
dello spirito, per portarlo alla conoscenza di Sé. L’uomo nuovo è l’uomo che ha
fatto il passaggio (la Pasqua) dal mondo centrato nell’io, al mondo di Dio; è
l’uomo che non cerca più la propria gloria, ma la gloria di Dio. Questo è
cammino crescente: nella misura in cui si supera l’io per cercare la gloria di
Dio, si vive interiormente.
Come cresce questa vita
interiore?
Cresce nella misura in
cui si cerca e si riconosce la gloria di Dio.
Più glorifichiamo Dio,
più attribuiamo tutto di noi e fuori di noi a Lui, più partecipiamo
coscientemente del suo Essere, perché è Lui che dà l’essere ad ogni cosa, e
quindi più viviamo nell’essere e non più nel sembrare, nell’apparenza.
Chi ci aiuta è il
Figlio, cioè la Parola del Cristo: allora si resta nella vita interiore nella
misura in cui si resta nella parole di Cristo.
È questo quanto
dobbiamo fare per far crescere questa vita interiore: applicarci
all’approfondimento delle Parole di Gesù, il quale approfondimento ci porta
alla conoscenza di Dio, della gloria di Dio.
Luigi: Si, uno dei segni di questa
presenza dell’uomo interiore, direi, della vita dell’uomo interiore in noi, è
proprio il non parlare più di noi e invece il parlare tanto di Dio.
Cioè, più uno si
rinnova nella fede dell’Essere, e più diventa capace di parlare di Dio, di
lodare Dio, di glorificare Dio in tutto; non gli interessa più, evidentemente,
di parlare di sé, perché il parlare del nostro io non è vita vera, vita
autentica; quindi quando uno ha scoperto questo, sfugge alla vita apparente che
è una diminuzione di essere (mentre il mondo crede che sia un aumento di vita).
Colui che invece ha
scoperto la vera vita, ha anche scoperto che il parlare di sé è una diminuzione
di essere, per cui più noi parliamo di noi, e più noi ci priviamo della vera
vita, di sostanza, della partecipazione dell’essere, e allora per questo cerca
di evitarlo: ecco un segno è proprio questo; il grande bisogno dell’anima di parlare
di Dio, di glorificare Dio in tutto, di cercare Dio in tutto.
Quindi in tutto cerca i
segni di Dio, glorifica Dio, parla di Dio.
Pinuccia: Se Gesù dice: “Come potere credere voi…”, ci fa capire
praticamente che questa vita interiore è questa fede.
Luigi: Inizia con la fede.
Pinuccia: E il compimento è la visione.
Luigi: Si, si compie in vita eterna.
Ed è già un inizio, un inizio di vita eterna perché la vita eterna inizia con
il Pensiero di Dio e si conclude nel Pensiero di Dio.
Pinuccia: E cresce nel rinnovarsi?
Luigi: Si, cresce in questo
rinnovarsi.
La nostra vita naturale
si svolge automaticamente, ma questo è un perdere vita automaticamente, perché
noi giorno per giorno andiamo verso la morte, una morte crescente: noi
incominciamo a morire dal giorno in cui nasciamo, naturalmente parlando.
L’uomo interiore non
nasce senza di noi, non è come l’altro. Noi abbiamo la presenza in noi del
Pensiero di Dio, ma questo Pensiero di Dio in noi non diventa Principio di vita
fintanto che noi non facciamo questo superamento dell’io per incominciare a
riportare, a glorificare ed esaltare in noi, a mettere in alto questo Pensiero
di Dio per fede.
Eligio: Però la fede penso che abbia
come premessa la giustizia.
Luigi: Certo, si capisce! Dato il
Pensiero di Dio, uno per atto di giustizia, deve metterlo al centro di tutto.
Eligio: Fare questo atto di credito a
Dio non è per avere un marito, ma un atto solo giusto: è la premessa, il primo
passo per poter pronunciare il nome di Dio e accostarci a Lui.
Luigi: È un atto di giustizia.
Pinuccia: Come diciamo nel “Sanctus”: “È cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza”..
Eligio: È giusto che io dia credito,
cioè che io abbia fede, perché Dio mi supera infinitamente.
Luigi: Certo; nel pensiero del nostro
io c'è sempre la presenza dell’Assoluto; ad un certo momento scopriamo che la
coscienza del nostro io è la coscienza dell’Essere, cioè la Presenza del
Pensiero di Dio in noi, quindi c'è sempre il Pensiero di Dio in noi.
Questo vuol dire che
Dio creandoci, ci ha uniti a Sé, ci ha sposati a Sé, per cui in noi c'è la
Presenza di questo Pensiero di Dio.
Qual è il primo
effetto, la prima conseguenza della Presenza del Pensiero di Dio nel Pensiero
del nostro io?
È questa: “Che io non sono il Creatore, che non mi
sono fatto da solo”.
Ora, come facciamo noi
a capire che non siamo noi la fonte di noi stessi? Proprio per la Presenza del
Pensiero di Dio in noi: è qui la fonte della giustizia.
Ora, siccome noi
sappiamo che non siamo noi il Creatore, è per questo che l’uomo orgoglioso, l’uomo
egoista si sente poco o tanto peccatore, volente o nolente, quando si fa
centro, poiché è in conflitto con il Pensiero di Dio che ha dentro di sé, che
lo sconfessa in continuazione.
Lui a parole può dire: “Io sono tutto…. Io mi sono fatto da solo…
io qui…. Io là….”
A parole lo può dire
(come a parole posso dire: “Questo è
rosso…”), però io sono continuamente sconfessato dalla presenza del
Pensiero di Dio, che io non posso annullare.
Ora, la Presenza del
Pensiero di Dio in noi, convince noi che siamo creature e quindi ci porta
all’atto di giustizia: “Dai a Dio quello
che è di Dio”; se aderiamo a questa giustizia, incominciamo il cammino
della fede, incomincia la fede a lavorare, la quale fede non è altro che un
cammino di intensificazione di gloria di Dio in noi.
Avendo aderito a Dio,
noi tendiamo ad amplificare questa Verità di Dio sempre più, fino a renderla
universale, cattolica, fino a renderla “tutto”.
E fintanto che c'è
ancora qualche cosa, anche negli estremi confini della nostra terra, dei nostri
pensieri, in cui non vediamo la gloria di Dio, noi non siamo contenti, non
siamo soddisfatti.
Come abbiamo letto nel
salmo: “Come il cervo che anela alle
sorgenti”, noi tendiamo continuamente a riportare tutto in questa Sorgente,
in modo da fare tutto espressione della Sorgente, della gloria di Dio, perché
ci accorgiamo più noi raccogliamo, più attingiamo alla Sorgente e più si forma
in noi vita, vita vera, una vita che diventa sempre più vita eterna, perché ha
la testimonianza di sé in senso sempre più universale, tutte le creature
rendono testimonianza a questo.
Quindi non abbiamo
soltanto la testimonianza di Dio, ma più raccogliamo, più anche tutte le
creature rendono testimonianza di questo; è una Verità che si rafforza di
giorno in giorno, cresce!
Nino: È sempre una questione di
giustizia, perché più aderiamo a Dio e più scopriamo che abbiamo ancora
qualcosa che lo riteniamo nostro, e allora entriamo in crisi perché vediamo che
per giustizia dobbiamo dare anche quel “nostro”.
Luigi: Sì, le esigenze di Dio
naturalmente si allargano per sollecitarci ad entrare sempre più nella sua
vita, cioè a renderci più partecipi…
La vita è
partecipazione all’Essere: più partecipiamo all’Essere, più riceviamo essere, e
ricevendo essere, noi partecipiamo della gloria di Dio. quello che dico molte
volte: “Più noi parliamo di Dio e più non mortifichiamo la creatura, ma
esaltiamo la creatura”.
Sembra strano, ma più
noi glorifichiamo Dio, cioè dimentichiamo noi, e più esaltiamo la creatura,
esaltiamo il nostro stesso io, ma indubbiamente è un io diverso.
È Dio che esalta la
creatura che lo glorifica. È Dio che la fa vivere, perché Dio essendo Fonte di
Vita, è fonte di personalità, è fonte di luce, e naturalmente dona questa, e
quanto più le creature si rivolgono a questa fonte, ne sono fatte partecipi.
Pinuccia: Quindi il lavoro che dobbiamo
fare è quello di attribuire ogni cosa, avvenimento a Dio.
Luigi: Sì, ma non basta attribuire a
Dio. Ho detto prima: questo riportare è un lavoro di contemplazione, direi
meglio, è ricerca della gloria di Dio.
Perché noi possiamo
dire: “Accetto questo perché so che c'è la mano di Dio, so che in quanto
mi viene, è voluto da Dio”; è logico, lo debbo fare questo! Però ad un
certo punto non basta, l’anima non è soddisfatta soltanto perché dice: “Ignoro,
io non capisco, però accetto tutto quello che mi mandi e ti lodo anche
perché penso che ci sia un atto di amore
in quello che Tu mi stai facendo, mi stai mandando, quindi un tuo disegno buono”.
È giusto, bisogna farlo
questo, perché questo rientra nella fede.
Però attualmente,
parlando della gloria di Dio, giungiamo a capire che questo non basta
all’anima. Dio ci chiede di arrivare alla contemplazione della sua gloria anche
in quei segni: “Capirai poi….”.
Comprendi? Bisogna accettare, è logico, bisogna lodare, glorificare, ma poi
possiamo anche glorificare a parole; ma Dio mi dice: “No, non basta che tu mi glorifichi a parole! Certo, devi anche
glorificarmi a parole”.
Ecco, di fronte ad un
avvenimento: “Signore, io ti ringrazio e
ti lodo anche se mi hai pestato un piede”; ma lo posso dire a parole.
Il Signore mi dice: “Se tu non me lo dici a parole, ma dentro di
te mi lodi, vale di più”.
La lode, è
glorificazione interiore, io non la posso più fare se non la contemplo. E Dio
ci chiede questo!
È quella gloria che
nasce, che viene solo dall’Unico Dio e non c'è nessun altro che ci possa
illuminare.
Ecco, è questo lavoro
che il Signore chiede e vuol far crescere in noi, perché la gloria è proprio
partecipazione all’Essere.
Allora noi scopriamo in
che cosa consiste proprio questa partecipazione all’Essere, questo crescere
dell’Essere in noi.
Più noi ci riportiamo e
riportiamo tutte le opere di Dio alla fonte dell’Essere, e più aumenta in noi
la contemplazione.
Ecco, si forma la
contemplazione della Presenza di Dio, e questo ci rende partecipi dell’Essere.
Pinuccia: Quindi questa vita interiore è
quella di cui ci parla Gesù quando ci dice: “Bisogna
rinascere dall’Alto”.
Luigi: Certo, e questa rinascita
consiste in questo continuo riportare in Dio tutto quello che ci viene da Dio:
riportare alla Fonte.
Ed è tutto un lavoro
interiore, un lavoro che esteriormente non si vede. Chi è addentro allo spirito
lo vede dalle espressioni, perché più uno riporta alla Fonte dell’Essere, nella
Sorgente, e più parla l’Essere, parla, diventa capace di parlare l’Essere.
Il Signore stesso dice:
“La bocca parla di quello che tu hai nel
cuore”. Ma il cuore è quello che tu contempli. Se io stasera vado al
cinema, domattina parlerò del cinema perché ho contemplato il cinema. Ecco, il
cuore ha contemplato quello e allora la bocca parla di quello.
Ora, fintanto che noi
non facciamo giungere… al nostro cuore, il cuore dell’Essere, noi non possiamo
parlare dell’Essere.
Ora questo lavoro di
portare nel cuore dell’Essere, è tutto un lavoro nascosto che non si vede, non
si può vedere.
Pinuccia: È vita nascosta con Cristo in Dio, come dice San Paolo.
Luigi: Ecco, il mondo non la può
assolutamente vedere. Diventa capace soltanto di ascoltare: ascolta parole
nuove, perché la bocca di chi ha raccolto in Dio parla parole nuove, perché Dio
è Sorgente di vita nuova, e allora essendo sorgente di vita nuova, dice parole
nuove per il mondo.
I veri doni nel mondo
sono dati dai contemplativi e solo dai contemplativi.
Pinuccia: Anche se non parlano?
Luigi: Anche se non parlano. Quindi
se c'è ancora della vita nel mondo, è data al mondo dei contemplativi, cioè da
quelli che fanno questo lavoro della ricerca della gloria di Dio.
Perché il mondo è assetato
di gloria di Dio, e soffre, patisce e muore perché non vede la gloria di Dio.
Tutti quei nemici che premono sull’anima e dicono: “Dov’è il tuo Dio?”, praticamente ci sollecitano a dare loro un
raggio di luce della gloria di Dio; non sono mica nemici! Sono amici! Noi li
diciamo nemici perché confutano la nostra debolezza di fede e la nostra
debolezza nel camminare verso Dio, e per sollecitarci ci dicono: “Dov’è il tuo
Dio?” ma praticamente elemosinano la gloria di Dio e ci sollecitano a cercarla
e ci aiutano. Perché cui ecco perché si
amano anche coloro che con il loro scetticismo, sembrano essere nemici di Dio.
San Paolo dice: “Io sono riconoscente agli amici e ai
nemici, perché tutti quanti hanno contribuito a fare di me quello che sono”.
Ma quel “sono” è partecipazione all’Essere.
È l’ “Io sono del Figlio”, per cui “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che
vive in me”, dice San Paolo.
Quindi quando dice: “Quello che io sono..” (“…hanno contribuito a fare di me quello che
sono, amici e nemici, per cui sono riconoscente verso di essi”), dice la
sua gioia di poter glorificare Dio.
Per cui sono amici e
nemici, perché tutti quanti hanno contribuito, cioè mi hanno sollecitato a
cercare, ad approfondire questa gloria di Dio, a penetrare nel cielo di Dio.
Eligio: Come riuscire a pensare sempre a Dio, specie in certi
ambienti?
Luigi: Quando uno cerca la gloria di
Dio, di tutto fa motivo, anche di una canzonetta volgare, per pensare a Dio. È
una conversazione continua: bisogna imparare a trarre aiuto da tutto e a far di
tutto una scala.
Eligio: In certe situazioni, certe contrarietà, sembra
impossibile superarle senza reagire violentemente… oppure bisognerebbe fare
l’orso…
Luigi: La sorgente del vero squilibrio interiore in noi è la
gloria di Dio in noi, quando questa parla.
Qui abbiamo la sapienza, ed è quella sapienza che non ti
fa paura, non ti fa temere nulla, perché tu riesci a comprendere ogni argomento
contrario, e non solo, ma riesci ad assimilarlo nella gloria di Dio, ne vedi
l’aspetto positivo; per cui sotto la polemica che magari ti presenta
l’argomento contrario, tu trovi l’inventivo per magari, ad esempio, illuminare
e conquistare un’anima, quando hai presente Dio, quindi non c'è la necessità di
fare l’orso.
Eligio: Però direi che qui siamo ai vertici…. Questo discorso
presuppone il superamento di tutta una natura.
Luigi: Si, certo. L’ho detto molte volte: nella gloria di Dio
non si disprezza niente, nemmeno il denaro. Tante volte diciamo: la ricchezza
va superata, oppure bisogna disprezzare…
Ma il senso di disprezzo verso certe cose è soltanto
espressione ancora di una nostra debolezza; si tratta di una situazione che è
data da una nostra debolezza: siccome noi siamo deboli verso certe cose,
abbiamo bisogno di reagire quasi con quel senso di disprezzo. Ma profondamente,
in Dio, nemmeno il nostro io è cattivo.
Noi diciamo: “Bisogna
morire al nostro io”; ma il nostro io è ancora una creatura di Dio e in Dio
questa creatura che è il nostro io (e che attualmente noi diciamo che bisogna
farlo morire), diventa espressione della glorificazione di Dio. Quindi si va
proprio verso l’amore per tutto e per tutti; è vero amore, in Dio, questo,
nella gloria di Dio.
È logico, lontano da Dio uno si difende come può; quindi
naturalmente verso quelle cose verso le quali è particolarmente debole, si
difende con una reazione violenta e contraria, perché si accorge di essere
debole.
Il giorno in cui si arriverà a Dio, non sentirà più la
debolezza.
Ad esempio San Francesco quando era debole, ha dovuto
essere violento su se stesso, ha dovuto fare delle penitenze, digiuni; passò
tutta una quaresima con un pezzo di pane e alla fine della Quaresima aveva
ancora il suo pezzo di pane, nel Lago Trasimeno.
Ecco, ha fatto questo perché era debole: è il processo di
ascesi.
Quando è arrivato ad essere forte nell’amore e nella
conoscenza di Dio, sollecitava una signora a portargli i dolci che sapeva fare
lei, mentre prima, non soltanto non mangiava i dolci, ma addirittura quando
mangiava un pezzo di pane, sentiva il bisogno di metterci su un po’ di sabbia o
un po’ di cenere, perché il pane era troppo buono.
Dopo invece magari mangiava i pasticcini e glorificava
Dio.
Vedi, è tutta una questione di debolezza nostra, è un
gradino, che invece il raggiungimento di una certa conoscenza di Dio per poter
essere comprensivi verso tutto e verso tutti.
Teresa: Più difficile è vincersi nelle mancanze di carità che
vincerci esteriormente nei cibi.
Luigi: Certo, ad esempio nei pettegolezzi…
Eligio: Certe musiche dove ritrovo la mia natura, rinuncio a
sentirle, anzi le fuggo, perché mi cullerei in esse….
Luigi: Invece il giorno in cui uno si accorge che può anche
ascoltare quella musica glorificando Dio, allora è libero…
Nino: Anzi lo può avvicinare a Dio…
Luigi: Allora è libero. Invece finché uno si culla in essa,
vuol dire che la musica lo porta via, e fintanto che una cosa mi porta via, la
debbo lasciare: denuncia una mia debolezza.
È li allora che uno dice: “Debbo fare l’orso”, appunto, debbo fare l’orso perché mi accorgo
che mi sta portando via.
Ma indubbiamente non è quella la meta. La meta è proprio
arrivare a quell’unione con il Signore per cui si loda e si ringrazia il
Signore di tutto senza che nulla ti porti via.
Pensieri conclusivi:
Cina: Chiedere al Signore di essere almeno protesa verso
l’essere che viene da Dio.
Luigi: Cioè verso la gloria di Dio che ci fa essere.
Naturalmente questo richiede il superamento di tutto il resto. Perché bisogna
porre questo come orientamento e poi bisogna imparare a vivere in questo: cioè
crescere giorno per giorno con questo ritornare sempre alla Fonte dell’Essere,
alla Sorgente: questa pazienza, sapendo che è li la nostra vita…
Questo è un lavoro interiore che giorno per giorno
dobbiamo fare, per cercare di ricuperare sempre la Sorgente dell’Essere in noi,
perché senza di noi non si ricupera, ma anzi si perde.
Dio è vicinissimo, ma noi non raccogliendo in Dio le
opere di Dio, ci creiamo delle distanze da Colui che è vicinissimo a noi.
Teresa: Cercare di scoprire il Verbo di Dio in tutto.
Luigi: E di preoccuparci della gloria, di poter contemplare
sempre di più la gloria di Dio in noi, crescere nella contemplazione della
gloria di Dio in noi. Il punto fisso per crescere in questa gloria di Dio, è
quello che era in principio: il Verbo di Dio, il Pensiero di Dio in noi, questa
Sorgente dell’Essere in noi. Cercare di assimilare il più che sia possibile in
quello ogni cosa.
Teresa: Noi possiamo cercarlo, però è poi Lui che ci fa tornare
il quel pensiero.
Luigi: Certo, è Lui che ci sollecita, è Lui che ci pone il
problema, ed è Lui che ci dà la grazia per… però se noi ci mettiamo a
disposizione, ad esempio se noi gli concediamo del tempo, se noi ci fermiamo
per questo, anche se gli diciamo: “Signore,
io non so come fare… aiutami Tu: però ti metto a disposizione la mia anima, ti
metto a disposizione il mio silenzio, mi raccolgo in Te; Tu aiutami per cercare
la tua gloria, perché mi voglio preoccupare della tua gloria, in quanto la tua
stessa parola mi ha ammonito che quello che io debbo cercare, è quello di cui
io mi debbo preoccupare”. Perché altrimenti se io non cerco la gloria di
Dio, automaticamente cerco al gloria che mi viene dagli uomini:
automaticamente! E questa gloria che viene dagli uomini, può essere ad esempio
la figura che ho nella mia comunità, ma è sempre però il pensiero degli altri;
c'è il pensiero dell’io.
Invece il Signore ci ammonisce che dobbiamo preoccuparci
di cercare la gloria che viene dall’unico Dio, perché li sta la nostra vera
vita.
Teresa: Cioè non mettere il campione da parte.
Luigi: Non mettere il campione da parte.
Pinuccia: Gesù dice: “Non
cercate la gloria che viene dall’unico Dio”: vuol dirci che dobbiamo
cercare la gloria di Dio (senza pensare di riceverla noi) e cercare per noi la
gloria che viene dall’unico Dio a noi?
Luigi: Questa gloria viene a noi dall’Unico Dio: viene a noi.
Però è la gloria di Dio: dipende da Dio. siccome la gloria è ciò che uno è,
quindi ciò che è ciò ci viene da Dio. La gloria di Dio viene da Dio, non viene
da noi.
Pinuccia: Quindi non si tratta della glorificazione nostra.
Luigi: No, non è questa che va cercata, ma la gloria che viene
dall’unico Dio. Non ti rendi conto cosa vuol dire la gloria che viene da Dio?
La conoscenza di Dio viene da Dio!
Pinuccia: E quella la nostra gloria.
Luigi: E quella è la nostra gloria. “Di che cosa mi glorio? – dice San Paolo – mi glorio di conoscere Dio!”. Questa è la gloria della creatura!
La gloria della creatura è poter conoscere Dio!
Quindi la gloria di Dio è la nostra gloria! Perché è questo
che ci fa essere ciò che siamo. Come il poter pensare Dio è la nostra
ricchezza, la Vera nostra ricchezza. Di che cosa ti glori tu? Di quale
ricchezza ti vanti? Ma io mi vanto della ricchezza di poter pensare Dio! e se
nella giornata ho la possibilità di fermarmi un’ora, due ore, tra ore,
ventiquattro ore a pensare Dio, questa è tutta la ricchezza di cui uno si
vanta.
Pinuccia: E più uno pensa a Dio, più aumenta la conoscenza di Dio?
Luigi: Certo, più noi pensiamo Dio, e più facciamo una cosa
sola con Dio. Dio chiede a noi solo il pensiero, non chiede altro. Non chiede
che facciamo dei salti mortali e sacrifici, ecc.; chiede a noi il pensiero! E
tutto il resto lo fa Lui! Perché tutto quello che fa Lui lo fa per sollecitare
in noi questo pensiero! Quello che manca di noi a Dio non è mica il camminare
su una strada piuttosto che un’altra, l’andare in convento piuttosto che
lavorare nei campi, il fare certi atti di virtù piuttosto che non farli.
Addirittura il Signore certe volte dice che è soddisfatto e contento quando ci
vede mancare, quando facciamo del male, trova cosi il modo per usare la sua
misericordia, per dimostrare il suo amore per noi. Quello che veramente di
sostanziale noi possiamo difettare nei riguardi di Dio è il pensiero. Perché se
manca l’anima noi, fossimo anche virtuosissimi in tutto il mondo, porteremmo un
guasto enorme: se invece, fossimo in un mondo di fango, ma se ci fosse
quest’anima che sospira, che pensa Dio, che invoca Dio, che guarda Dio,
quell’anima Dio l’arricchisce immensamente, perché quella è la vera ricchezza,
una ricchezza per la quale è giustificato lasciare tutto, vendere tutto, perché
è un tesoro immenso! È il campo del tesoro, per cui uno con gioia va e vende
tutto; con gioia, non fa mica fatica, non è una tristezza vendere tutto per
conquistare quello; è una grande gioia! E uno lo fa con grande gioia.
Pinuccia: E per pensare a Dio è necessario raccogliere tutto in
Lui, se non si pensa a Dio? oppure pensando a Dio si raccoglie?
Luigi: Si inizia, perché in noi (e il tesoro sta li), Dio dà a
noi la possibilità di pensarLo. Possiamo anche nel male più grosso, noi abbiamo
la possibilità di pensarLo perché Lui è con noi. “Non temerò niente, perché Tu sei con me”, dice il salmo 22 che
abbiamo letto all’inizio. Il fatto che Lui sia con noi, questa Presenza sua,
questa sua presenza con noi, si rivela in questo: che dà a noi la possibilità
di pensarlo. È un atto di fede perché non è ancora conoscenza. È un campione. È
il campione della sua gloria.
Pinuccia: E se io lo penso, Lui si fa conoscere?
Luigi: Lui si fa conoscere quando vuole Lui, perché Lui sa
quali sono le condizioni perché la nostra anima si apra ad accogliere la sua
gloria, la rivelazione della sua Presenza.
Ma se io Lo penso mi preparo ad accogliere il suo dono.
Il suo Pensiero in noi prepara la nostra anima ad
accogliere la sua rivelazione, la sua gloria.
Certamente se non Lo penso nom mi comunica niente: cioè
Lui opera soltanto per convincermi che sto morendo (quindi è solo lavoro
negativo); più Lo penso e più Lui invece lavora in senso positivo, per dire: “Sì, è questo che Io voglio da te: voglio il
pensiero!”
Pinuccia: E il pensare Lui mi porta a raccogliere.
Luigi: Si, mi porta a raccogliere, perché quando tu pensi ad
una cosa, in quanto la pensi, già desideri essere là; cosa vuol dire “essere là”?
Noi attualmente pensiamo di tornare a casa, pensiamo a
casa: praticamente il pensiero di casa, cosa fa in noi? Provoca in noi il
desiderio di raccoglierci là.
Adesso siamo là solo col pensiero e la presenza fisica è
altrove; il pensiero, ecco, già ci fa desiderare di essere in un certo luogo.
Pensando Dio, noi già implicitamente desideriamo tutta la
gloria di Dio.
Il Pensiero in noi suscita in noi il desiderio: ma chi è
che suscita in noi questo desiderio? É il Pensiero di Dio, perché se non penso
Dio, questo desiderio non si forma. Quindi se noi ci fermiamo anche solo per un
istante a pensare Dio, già in questo pensiero si forma in noi il desiderio di
entrare nella sua gloria, di vedere tutto nella sua gloria, tutto il nostro
mondo, tutta la nostra vita, tutto il nostro pensare, tutti i nostri problemi,
di vederli tutti nella gloria di Dio.
Ecco, vedere tutto, far entrare tutto nella sua gloria.
E questo perché? Per il Pensiero. È il Pensiero di Dio
che è il Movente. Quello è il Principio.
Pinuccia: Come pensiero conclusivo: cercare in tutto la gloria di
Dio, e poi tener presente che un segno di questo è l’evitare di parlare di me
stessa, quindi cercare di evitarlo.
Luigi: Si, questo è l’aspetto negativo.
Pinuccia: E cercare di parlare l’Essere, ma lo posso fare nella
misura in cui….
Luigi: Tu parli l’Essere se lo conosci, perché più conosci
l’Essere, più l’Essere ti canta dentro, e vuol parlare Lui! Non è che tu faccia
fatica a non parlare di te.
Pinuccia: Anzi, farei fatica a parlare di me.
Luigi: E già! E non te lo proponi nemmeno di non parlare di te,
perché se tu hai presente il Pensiero di Dio, non ti proponi mica di scappare
nel negativo, non ti salta nemmeno per l’anticamera del cervello.
Pinuccia: Quindi debbo solo propormi di cercare la gloria di Dio.
Nino: In attesa di diventare tutto Pensiero di Dio, porre
tutta la nostra attenzione ad interpellare il Pensiero di Dio in tutto, cioè a
vedere in tutto il Pensiero del Padre, perseverando con pazienza in questo. Più
tempo e più impegno metto nel rimanere in quelle parole li, più cammino. Quando
non abbiamo più altri pensieri che ci disturbino, noi abbiamo fatto il silenzio
interiore in noi, necessario per diventare tutto Pensiero del Padre.
Eligio: L’esigenza di arrivare a vedere Dio in tutto, in ogni
cosa, è una sollecitazione per superarmi e poi farmi crescere nella vita
interiore, portando la totalità della mia vita in Dio.
Luigi: Sì, tu dici: la meta è questa totalità che assorbe tutto
(ed è Dio che ti ha convinto di questo).
Però per arrivare a questa totalità che assorbe tutto,
c'è un processo di ascesi che chiamiamo: “distacco prima di tutto”.
Io non posso arrivare a questa totalità di Dio,
mantenendo il “contatto con tutto”.
Ma si richiede un certo isolamento, un deserto, una certa
amicizia con Dio, in un “distacco da tutto con l’anima”, con lo spirito, perché
quanto più in noi grandeggia, si magnifica, si espande la gloria di Dio, la
conoscenza di Dio, tanto più questa, discendendo dall’Alto, mi dà la capacità
di comprendere e quindi di includere tutto; ma questo includere, non parte dal
basso per arrivare all’Alto, ma parte dall’Alto e discende verso il basso e man
mano che discende avvolge tutto a sé.
L’Apocalisse dice che la Città di Dio discende dall’Alto,
discende da Dio.
Ma cosa vuol dire: “discende”'?
Vuol dire che man mano si amplifica in noi la gloria di
Dio, assorbe a se tutto, tutto: arriva ad assorbire tutto. Ma la capacità di
questo assorbimento di tutto, per cui più niente ti porta via, ti viene da Dio,
ti viene dall’Alto.
Eligio: L’itinerario dall’Alto è quello ideale, ma io parto dal
basso….
Luigi: Si arriva all’Alto, ma si arriva all’Alto per ascesi,
per distacco. Poi dall’alto si discende comprendendo.
Eligio: Ma partendo dal basso lo sforzo che mi deve rendere
sensibile alla Presenza di Dio in ogni avvenimento, in ogni persona, animale,
ecc., lo faccio per fede.
Luigi: Certo, per fede; ma quel “per fede” è un rinnegamento dei tuoi istinti, dei tuoi
stimoli, della tua natura, quindi è “distacco per” renderti molto
disponibile per Dio.
Perché tu fai questo? Perché tu vai contro te stesso?
Data la nostra debolezza, data la nostra incapacità di
raccogliere, per questa debolezza, noi abbiamo questa azione violenta di
rinnegamento di tutto quello che è la nostra natura, il nostro istinto, perché
sappiamo che il nostro io è un pericolo mortale, tutto questo avviene per
rendere la nostra anima, disponibile, aperta, con del tempo interiore a
disposizione per Dio, per conoscere Dio.
È poi questa tanta conoscenza di Dio che,
discendendo, avvolge della sua luce, della sua gloria, tutto, trasforma, spiritualizza
tutto; riesce a spiritualizzare tutto, anche il nostro io, anche la nostra
natura, anche il nostro corpo. E il nostro corpo, la nostra natura, la terra,
il mondo, ma mano che viene spiritualizzato dalla luce di Dio, diventa
spirituale.
Nino: Alla luce di quanto hai detto, cioè discendendo
dall’Alto, viene anche recuperata la sessualità, della quale si parla tanto ai
giorni nostri come della scoperta del secolo, anche se purtroppo non la si
intende in questa luce.
Luigi: Si, si recupera tutto, tutto. Ma poi c'è questo da dire:
che tutto è carico di significatività.
Però non possiamo chiamarla “grande scoperta”: anche quello
è un segno di Dio.
Abbiamo detto che ad esempio il denaro, che in un primo
tempo noi possiamo essere portati a disprezzare quando capiamo che l’ostacolo
che provoca in noi l’amore alla ricchezza, appunto perché testimonia una nostra
debolezza, per cui dobbiamo usare una certa violenza o diventare un po’ orsi
magari verso certe convenzioni sociali, ecc., viene poi considerato anche come
creatura di Dio.
Come il denaro è creatura di Dio, come il nostro io è
creatura di Dio, anche il sesso è creatura di Dio; quindi in quanto è creatura,
significa qualcosa di Dio, dei rapporti tra Dio e la nostra anima, perché Dio
non fa altro che significare Sé stesso in tutto.
Però non diciamo che sia la “grande scoperta”.
La “grande scoperta” è Dio! Sia ben chiaro! Purtroppo
oggi si afferma che la fonte di tutti i conflitti in una famiglia, tra i
coniugi è la disarmonia sessuale: è un errore!
I rapporti sono di anima. Quella, eventualmente, è una
espressione, ma non la fonte di tutti i mali; quindi è un’utopia pensare di salvare
le famiglie con l’educazione sessuale.
Penso che la “grande scoperta” sia la gloria di Dio.
Nino: Passando ad un altro argomento: non pensi che l’uso
delle parole per esprimere un concetto è soprattutto personale: per cui è
indifferente usare l’una o l’altra parola?
Ognuno poi deve fare il lavoro personale di traduzione,
ma ognuno usa le sue parole.
Luigi: Sono d’accordo fino ad un certo punto. La parola. più è
vicina a Dio e più diventa espressiva dello spirito. Tutte le parole, tutte,
anche le parole più volgari, portano qualche cosa di significazione di Dio,
però ci sono parole più vicine a Dio e parole più lontane.
Come il parlare di
Cristo è molto diverso dal parlare degli uomini: eppure il Figlio di Dio, il
Verbo di Dio parla in tutte le cose, anche nelle canzonette volgari; se noi
abbiamo lo Spirito possiamo intenderle, quindi interpretarle spiritualmente e
non fanno male. Non fanno male, perché una volta in cui noi capiamo o diamo
interpretazione spirituale ad una cosa, quella cosa cessa di farci male. Il
sesso stesso, una volta che noi capiamo la significatività di Dio, non fa più
male.
Le cose ci fanno male in quanto non sono raccolte in Dio.
Allora, tra la parola del Cristo e la parola degli
uomini, tra la parola che mi dà l’articolo di giornale e una pagina di Vangelo,
c'è differenza.
Eppure in tutto c'è la Parola di Dio!
Però la parola del Vangelo, è molto più carica di
spirito, di significatività, e quindi molto più espressiva che non quelle di un
giornale.
Quindi dico: quanto più un segno è vicino, è prossimo a
Dio, contemplato in Dio, tanto più diventa significativo di per sé-
Nino: Anzi il Vangelo è la premessa per poter capire tutto il
resto nel Pensiero di Dio.
Luigi: Certo, ecco perché bisogna lasciar tutto il resto per
dedicarci al Vangelo: è l’abbecedario.
Nino: Certe parole però a me dicono più di altre (ad esempio
mi dice molto di più: “Dare il mio
pensiero a Dio” che “avere interesse
per Dio”); certe parole a volte ci colpiscono di più e sembrano dirci una
cosa nuova. Quindi dobbiamo usare quelle parole che ci uniscono di più a Dio.
Luigi: Certo, le parole sono segni, e più noi contempliamo Dio
e più sentiamo proprio il bisogno di decantare le parole.
Ad un certo momento il vocabolario stesso cambia.
Più noi ci raccogliamo in Dio, e più noi cambiamo il
vocabolario, per cui andiamo alla ricerca proprio di parole sempre più
essenziali, che rendano sempre più evidente lo Spirito.
C'è tutta una trasformazione di parole, man mano che ci
avviciniamo a Dio, man mano che contempliamo Dio, fino ad arrivare alla Parola
diretta del Cristo, che parla l’Essere del Padre.
E come potete
credere voi che mendicate la gloria gli uni gli altri, e non
cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Gv 5 Vs 44 Terzo tema.
Argomenti: Credere nel mondo non è credere in Dio. L’uomo interiore e l’uomo esteriore. Dio è
Trascendente, uno che chiede all’uomo e fuoco
che consuma tutto. Mondo inferiore e
mondo superiore. Liberarsi dal mondo
inferiore per occuparsi del superiore. L’uomo
interiore prevale sull’uomo esteriore. Dio brucia,
vuol dire che trasforma tutto in Spirito. La nostra
partecipazione consapevole. Riportare a Dio
tutto quello che viene da Dio è il compito dell’uomo interiore. Sapienza e conoscenza.L’uomo interiore non
cresce “facendo” ma raccogliendo nel Principio.
13/Maggio/1979
Dall’esposizione
di Luigi Bracco:
Ci soffermiamo ancora su questo
versetto 44, cercando di riassumere e di approfondire ancora qualche cosa. La
prima cosa che viene messa in evidenza da Gesù è questa: l’incompatibilità
della fede in Dio con la ricerca della gloria del mondo.
“Come
potete credere voi che mendicate la gloria gli uni dagli altri?”.
Fintanto che ci preoccupiamo e ci sta a cuore il
pensiero del giudizio degli altri, della nostra figura davanti
al mondo, dell’onore, di quello che dicono gli altri, della mentalità del
mondo, noi ci mettiamo in una situazione in cui ci è impossibile credere in
Dio.
C'è una conflittualità qui: lo afferma Gesù, e lo abbiamo
anche approfondito, perché il cercare la gloria del mondo sostanzialmente
vuol dire credere nel mondo, e credere nel mondo evidentemente non è
credere in Dio, perché il mondo non è Dio, anche se il mondo è opera di Dio.
Però se noi crediamo nel mondo, cerchiamo la gloria del mondo, e evidentemente
credere nel mondo non è credere in Dio, perché il mondo non è Dio.
E quindi possiamo anche capire come nel mondo ci sia
tanta assenza di fede, e come nel mondo tanti che inizialmente hanno fede, poi
ad un certo momento si accorgono di aver perso la fede. È proprio perché noi
crediamo e ci illudiamo di poter mantenere la fede, cercando la nostra figura
nel mondo: cercando la figura nel mondo noi perdiamo la fede.
Poi a Vigna, la volta scorsa,
sempre riflettendo su questo versetto, abbiamo approfondito come la ricerca
della gloria del mondo, la ricerca della gloria gli uni dagli altri, dia
luogo alla formazione dell’uomo esteriore, dell’uomo vecchio, come lo
chiamo San Paolo, tutto a detrimento dell’uomo nuovo e dell’uomo interiore.
Abbiamo visto che l’uomo
interiore nasce dal pensiero di Dio, dal Verbo di Dio, dalla Parola di Dio;
nasce li; vive alimentandosi continuamente a questo pensiero di Dio, cioè,
secondo San Paolo, “rinnovandosi giorno
per giorno nella fonte dell’Essere”, nel Principio, (“In Principio era il Verbo”), cioè rinnovandosi giorno per giorno
nel Verbo di Dio.
Ora, quel “rinnovarsi giorno
per giorno”, abbiamo visto che vuol dire questo accogliere tutti
i giorni le opere di Dio, i segni che Dio ci manda e riportarli sempre
nel Principio, il Pensiero di Dio, per cercare di contemplare la sua
Presenza in tutto.
E questo è ricerca della gloria
di Dio; per cui abbiamo detto che l’uomo interiore cresce, vive, nutrendosi
della gloria di Dio e si conclude nella vita eterna: l’uomo interiore non passa
attraverso la morte.
Invece l’uomo esteriore ha la sua fonte nel pensiero
dell’io, nasce dal pensiero dell’io.
Il pensiero dell’io proietta noi stessi noi stessi
all’esterno, nelle cose che egli vede, perché nel pensiero del nostro io noi
non vediamo Dio, non possiamo vederlo; vediamo invece tutte le cose che dipendono
dal nostro io o che sono in rapporto col nostro io, cioè tutte le cose
esteriori.
Ed allora, questo nostro io cerca la sua vita nelle cose
esteriori, proprio come dice qui: cerca la sua gloria dalle persone, dalle
creature, dal mondo, non si può preoccupare di Dio e si alimenta delle cose
esteriori.
Come l’uomo interiore alimenta la sua vita nella gloria
di Dio, cosi l’uomo esteriore alimenta la sua vita, guadagnando le cose del
mondo, accumulando attorno a sé, cercando la gloria degli altri, cioè
sottomettendo a sé tante creature, cercando creature che gli battano le mani.
L’uomo esteriore però conclude non con la vita, ma con la
morte.
Ecco, dovremo ancora approfondire questo fatto: perché
l’uomo esteriore conclude con la morte.
Siccome dobbiamo sempre cercare
le ragioni di tutti i fatti che avvengono, mettendoli in relazione con Dio,
anche qui noi dobbiamo cercare possibilmente di capire come mai avvenga in
noi questa deformazione; come mai questo nostro io, questa nostra anima che
è stata creata per Dio, che nasce da Dio (perché anche il nostro io è una cosa
buona, perché è creatura di Dio, anche se va superato), ad un certo momento devia
al punto tale da perdere addirittura la fede in Dio, da proiettarsi tutto nelle
cose esteriori.
Ecco, è qui che dico: dobbiamo rapportare le cose a
Dio e cercare in Dio la ragione anche dei nostri errori.
In Dio noi dobbiamo tenere presenti come elementi che
possono aiutarci per capire:
-
sia la fonte dell’uomo interiore
sia la fonte dell’uomo esteriore;
-
sia la vita dell’uomo interiore,
sia la vita dell’uomo esteriore;
-
sia la conclusione dell’uomo
interiore nella vita eterna, nella gloria di Dio,
-
sia la conclusione dell’uomo
esteriore nella morte, la morte interiore soprattutto, che poi reca questi
segni: vuoto, non senso della vita, vanità, confusione, angoscia nella
conflittualità.
Per cercare di capire la ragione di questi fatti, teniamo
presente:
-
prima di tutto che Dio è
Trascendente,
-
che Dio è Uno che chiede all’uomo,
-
e che Dio è Fuoco, Fuoco che
consuma tutto.
1)
Prima di tutto che Dio è
Trascendente: che vuol dire che è superiore alla creatura.
Cosa vuol dire essere superiore alla creatura, per noi?
Essere superiori alla creatura
per noi vuol dire che non si vede, non può essere visto da noi, nel pensiero
del nostro io, perché è Superiore.
Ieri sera abbiamo accennato che
Dio creando ha fatto un cielo e una terra, ha fatto un mondo superiore ed un
mondo inferiore, ha fatto acqua del cielo e ha fatto acqua della terra, dice la
Bibbia.
Cosa vuol dire mondo inferiore
e mondo superiore, cielo e terra?
Vuol dire che ha creato nell’uomo, sua
creatura, perché tutto ha fatto per l’uomo, ha creato un mondo che lo supera e
che quindi la creatura non vede, e ha creato un mondo che invece è in relazione
alla creatura e che pertanto la creatura vede naturalmente nel pensiero di sé.
Allora cosa succede? Succede
che noi, ognuno di noi, creatura di Dio, ci troviamo quindi nel pensiero del
nostro io, cioè si trova in questa situazione:
-
si trova con un mondo che vede, che tocca, che
esperimenta (è la nostra terra, tutta la vita di ogni nostro giorno),
-
e con un mondo che lo supera, che il nostro io non
vede, ma che sente annunciare, perché il cielo si annuncia anche nelle cose della
terra, si fa sentire (però il farsi sentire non è farsi vedere).
Allora nel nostro io, nella
nostra anima che sente l’annuncio del cielo, l’annuncio del mondo trascendente,
del mondo di Dio, cioè delle cose che non vede, si forma l’impegno ad
occuparsi delle cose che ci sono annunciate e che ancora non vede.
Se se ne occupa, nasce l’uomo
interiore, e si prepara a vedere le cose che gli sono annunciate.
Vedere le cose che ci sono
annunciate, le cose cioè di Dio, le cose che hanno per centro Dio, è proprio
vocazione alla gloria di Dio.
Noi siamo stati creati per la
gloria di Dio.
Ha detto bene stamattina il
sacerdote nella Messa: “Noi non siamo
stati creati per il Paradiso (o per lo meno, dobbiamo approfondire questo
concetto del Paradiso); noi siamo stati
creati per la gloria di Dio”; e quando si dice “creati per”, è rivelazione
di destino per.
Noi siamo stati destinati,
creati con questo destino: “Tu uomo sei
stato creato per la gloria di Dio”; ma dire ad una creatura, ad un
essere cosciente, che è stato creato con questo destino, vuol dire
invitarlo a camminare verso questo fine, invitarlo ad occuparsi di questo.
Nella misura in cui si occuperà
di questo, si impegnerà personalmente per questo (d’altronde un destino non ci
sarebbe annunciato se noi non dovessimo impegnarci in esso), ecco che allora il
mondo trascendente di Dio, facendosi sentire in noi, diventa una richiesta: Dio
chiede all’uomo.
2)
Dio chiede all’uomo: se l’uomo risponde, incomincia
a dar luogo a questo uomo interiore, a questo uomo nuovo, che nasce
dalla fede in Dio; ma nasce per la fede in Dio, l’abbiamo accennato, per
un atto di giustizia.
Perché Dio si annuncia, noi per
giustizia dobbiamo aderire, credere.
Se crediamo, diamo luogo a
questa nascita dell’uomo interiore, il quale giorno per giorno, nasce in
quanto continuamente si ricollega con il suo Fine e con il suo Principio,
cioè si ricollega sempre con il pensiero di Dio.
E questa fatica di riportare
tutto a Dio, lo fa vivere.
È una fatica che non avviene
senza di noi,
perché nelle cose di Dio, nelle cose trascendenti, si richiede sempre la nostra
partecipazione consapevole. Con Dio non avviene niente di automatico, non
avviene niente di inconsapevole.
Dio opera rendendoci sempre più
consapevoli, perché Lui è la Verità e la Verità ci chiama alla conoscenza e la conoscenza è un
atto nettamente di coscienza, nettamente consapevole. Quindi quanto più noi
partecipiamo a Dio, alla ricerca di Dio, alla conoscenza di Lui, tanto più noi
cresciamo in consapevolezza di quello che vogliamo.
Al rovescio dell’uomo
esteriore; e quindi abbiamo anche già un inizio dei contrasti che
caratterizzano l’uomo interiore dall’uomo esteriore, perché l’uomo
esteriore, quanto più cresce nella gloria del mondo, nel possesso delle cose
del mondo, tanto più perde la consapevolezza di ciò che egli è, perché
dovrà lasciarsi guidare soprattutto dai sentimenti, dal pensiero del giudizio
degli altri, che sono notte; cioè finisce per adorare quello che non conosce.
È il giudizio che dà Gesù: “Voi adorate quello che non conoscete, noi
adoriamo quello che conosciamo”, cioè, chi cerca Dio, adora ciò che conosce
o ciò che egli conoscerà.
Chi adora il mondo, adora ciò
che non conosce e ciò che lo porterà sempre più nella notte e nel caos, lo
metterà sempre più in balia di avvenimenti e di fatti che contrastano con la
sua coscienza, con la sua anima; lo mettono in conflitto, nel conflitto abbiamo
la notte, la confusione, le tenebre, quindi abbiamo la dispersione.
Qui abbiamo un altro fatto: che
l’uomo interiore cresce di conoscenza in conoscenza, e siccome il
crescere nella conoscenza di Dio richiede molta disponibilità (proprio
perché è un fatto consapevole), l’uomo
interiore tenderà sempre di più a liberarsi da tutto ciò che gli impedisce di
occuparsi di Dio; quindi tenderà a sgomberare la sua vita da tutti i fatti
del mondo; il più che sia possibile, cercherà di alleggerirsi dalle cose del
mondo, per essere sempre più disponibile per le cose di Dio; perché quanto più
cerca Dio, tanto più comprende, perché si avvicina alla conoscenza, e quindi
tanto più comprende l’importanza, la meraviglia, la gioia, la vita, la
liberazione che gli viene dal conoscere Dio. E quanto più si convince e
constata questo, tanto più è deciso a perdere tutto il resto per rendersi maggiormente
disponibile. E quindi vedremo l’uomo interiore che tende sempre di più ad amare
il silenzio, la preghiera, il pensiero.
Al rovescio (e anche qui è un
altro segno) dell’uomo esteriore, il quale uomo esteriore invece amerà
soprattutto il guadagnare, il possedere le cose del mondo, il correre nelle
cose del mondo, l’immergersi nelle cose del mondo, mentre invece il silenzio
gli farà paura e il pensare gli sarà sempre più difficile; l’uomo del mondo,
che vive per le cose del mondo, è incapace assolutamente a pensare.
A chi cammina verso le cose di
Dio,
Dio (e qui è un segno della Presenza di Dio) non chiede che cosa gli porta: chiede
che cosa è capace di perdere, che cosa è capace di lasciare per occuparsi di
Lui, delle cose di Dio.
Quanto più l’uomo esteriore
cresce nelle cose del mondo, abbiamo detto, tanto più perde nella disponibilità
per le cose trascendenti, per le cose di Dio, per le cose che non si vedono,
che diventano sempre più astratte, sempre più lontane, e tanto più perde la
possibilità di pensare. Ora, teniamo presente una cosa, che quanto più
cresce questo uomo esteriore, (l’uomo esteriore cresce nella misura in cui
accumula intorno a sé beni del mondo, creature, figura, onori, ecc.), tanto
più l’uomo interiore deperisce, tramonta, si svuota.
Ma anche qui, c'è una cosa da
tenere molto presente, ed è questa: che l’uomo interiore prevale sull’uomo
esteriore. Cioè, se noi abbiamo il vuoto nell’anima, non serve che siamo
pieni di vita nel mondo esterno; il vuoto dell’anima non si colma con la
pienezza delle cose esteriori, e questa è un’esperienza che noi tutti quanti
facciamo e possiamo fare. Quando siamo tristi dentro, non c'è nulla che dal di
fuori ci possa dare gioia, e quando abbiamo la pace, la gioia dentro, questa
pace, questa gioia prevale tanto che riesce ad assorbire qualunque tristezza
che ci venga dal di fuori.
Questo è un segno per dire a
noi che nella nostra vita l’uomo interiore predomina sopra la vita
esteriore; è preponderante. Se è preponderante, vuol dire che noi
dobbiamo dare molta più cura, molta più attenzione alla vita interiore, che
alla vita esterna.
L’uomo interiore che cerca Dio,
lo fa perché a contatto con Dio, riceve le lezioni della sapienza, viene
istruito direttamente da Dio e quindi fa scelte giuste.
L’uomo esteriore fa il
rovescio, però non è che facendo il rovescio non subisca la verità. Ora, mentre
l’uomo interiore, cercando Dio, va di vita in vita, va di luce in luce,
per cui non va incontro alla morte, ma va verso la vita eterna che è
unificazione di tutto in Dio (perché lui ha cominciato ad unificare in Dio,
quindi va di conferma in conferma), l’uomo esteriore invece va verso il
vuoto, va verso lo svuotamento dell’anima, cioè va verso la morte. E questo è
un segno anche della Presenza di Dio tra noi, perché il terzo elemento da tener
presente è che Dio è Fuoco.
3)
Dio è Fuoco: vuol dire che Dio brucia, cioè consuma tutto.
Ora, bruciare, consumare, cosa vuol dire? Vuol dire che trasforma tutto in
Spirito. Lui è Spirito e tutto ciò che noi avviciniamo a Lui, lo trasforma
in Spirito, in Luce. È per questo che l’uomo interiore cresce giorno per
giorno, ritornando sempre, ricollegandosi sempre alla Fonte dell’Essere, al
Principio: perché questo ricollegarsi, questo raccogliere sempre tutto alla
fonte dell’Essere, vuol dire far trasformare da Dio tutto in luce (le cose per
noi diventano tenebre in quanto sono lontane da Dio). Ma questo avviene
nell’uomo interiore; in quanto che l’uomo interiore partecipa e partecipare
vuol dire avvicinare tutto ciò che viene da Dio, avvicinarlo a Dio, alla
sorgente dell’Essere. Più lo avvicina e più Dio lo trasforma in luce per la sua
anima e l’uomo cresce di luce in luce. Ma, anche l’uomo esteriore che non
partecipa a questa opera di unificazione con Dio, non è che esca fuori dal
regno di Dio, perché Dio è Verità e la Verità si afferma in tutto. Quel fuoco
che trasforma tutto in luce per chi raccoglie, avvicina le cose a Lui, diventa
un fuoco che distrugge, brucia, consuma tutto ciò che non viene portato a Lui.
Ecco perché l’uomo esteriore, l’uomo vecchio, va verso la morte, la delusione,
il caos, le tenebre, perché verrà deluso da quelle stesse cose che lui ha
amato, da quelle stesse cose che lui ha cercato, per le quali ha trascurato
Dio.
La conclusione è che l’uomo
esteriore
diventa il giustiziere di se stesso. Ad un certo momento noi possiamo anche
constatare nella vita degli uomini, che ad un certo momento, l’uomo diventa il
giudice di sé, perché denuncia da se stesso l’inutilità del suo vivere, la
vanità per cui ha consumato tutto il suo tempo, tutta la sua vita, denuncia il
caos interiore, l’inutilità del vivere, ecc.
Ecco, l’uomo diventa il giudice
di se stesso.
Ma è Dio questo fuoco che
annulla, consuma e confonde tutto ciò che noi non portiamo a Lui. Allora,
mentre tutto ciò che noi portiamo a Lui, Dio lo trasforma in luce, tutto ciò
che noi non portiamo a Lui, Dio lo distrugge, e lo distrugge ancora per far
capire a noi l’errore che abbiamo fatto a trascurare Lui, per cercare la nostra
gloria nel mondo, la nostra gloria dagli uomini.
E qui arriviamo all’ultimo
atto, ed è questo (l’abbiamo già accennato a Vigna): l’uomo che cerca la gloria
degli uomini, dagli altri, dal mondo, cioè in quanto pensa a sé, cerca la
glorificazione di sé, conclude proprio con l’annullamento di sé, proprio
all’opposto di quello che egli desiderava: cercava la sua gloria e conclude
con la morte.
Conclude col testimoniare
davanti a tutti il suo niente, il suo vuoto, la sua confusione e forse anche la
sua disperazione.
Anche questo è una
glorificazione di Dio, nolente l’uomo, come è la glorificazione di Dio da parte
del demonio, da parte di satana che nolente, attraverso tutte le sue opere,
deve glorificare Dio, deve testimoniare che Dio esiste.
Pensieri
tratti dalla conversazione:
Nino: Nel mese di
ottobre si era già trattato questo argomento parlando della finalità della
creazione: tutte le cose sono state fatte da Dio per risvegliare nell’uomo il
desiderio di conoscere Colui che le ha fatto, cogliendo in esso il significato,
il pensiero che Dio ha posto in esse. Se non sorge in noi questo desiderio,
allora strumentalizziamo tutte le cose a noi fermandoci alla loro apparenza,
per cui rubiamo a Dio ciò che è di Dio; le cose perdono per noi la loro essenza,
il loro significato, per cui noi saremo privi di esse e perfino del nostro io,
cioè della nostra vita.
Luigi: E questo avviene per non aver cercato il significato in Dio di
esse.
Nino: Invece se aderiamo a Dio e cerchiamo la sua
conoscenza, ricuperiamo tutte le cose nel loro significato, e capiremo che
erano state fatte proprio per la nostra ascesa a Dio.
Eligio: Pensavo al concetto di Dio come Fuoco, per cui tutte
le cose che riferiamo a Lui vengono trasformate in motivo di luce e quelle che
vengono riferite all’io vengono bruciate, consumate, come le altre, però
diventano motivo di tenebre.
Luigi: E quindi anche la nostra vita viene bruciata.
Eligio: C'è però in questo anche un risvolto positivo, perché
l’angoscia, la privazione ci fa rivolgere gli occhi alla luce.
Luigi: Si, Dio infatti consuma tutte le cose, brucia tutte le cose, per
richiamarci, per farci capire che l’errore che abbiamo fatto e quindi per farci
rinsavire.
Eligio: Ma anche questo allora termina in luce.
Luigi: No, perché diventi luce bisogna che ci sia la nostra
partecipazione consapevole, altrimenti resta solo notte. Perché diventi luce
bisogna che ci sia da parte nostra l’assunzione del segno in Colui che lo fa,
cioè nello Spirito, nel Verbo di Dio. Bisogna che ci sia questo raccogliere il
segno e portarlo in Dio: la Luce nasce soltanto da questa unificazione. Se
questa unificazione non avviene, resta solo la notte; ma anche la notte ha il
suo scopo, diciamo: anche la notte ha la sua speranza, in quanto ammonisce a
cambiare strada, perché ci fa capire che abbiamo sbagliato.
Quando, camminando su un
sentiero, noi veniamo a trovarci in un luogo completamente diverso da quello
nel quale noi volevamo andare, diciamo: “Ho
sbagliato strada!”. Anche il constatare il luogo completamente diverso ha
la sua speranza, in quanto ammonisce: “Ritorna
indietro e prendi l’altra strada”. Ha questa funzione; non ha la funzione
di dirmi: “Sei dannato, ormai sei in un
paese straniero”; no, ma ha la funzione di dirmi: “Hai sbagliato strada”. Ora, la nostra notte ha questa funzione.
Quindi Dio che brucia tutte le
cose che noi non raccogliamo in Lui e quindi anche la nostra vita, la brucia
per dirci: “Hai sbagliato strada”;
non è che la trasformi in luce.
Se noi, ritorniamo a Dio e
incominciamo a raccoglierci in Dio, allora incominciamo il cammino della luce,
man mano che portiamo a Dio le cose, e anche i nostri fallimenti, vengono
illuminati: Dio trasforma in luce anche i nostri fallimenti, anche i nostri
paesi sbagliati.
Però bisogna che ci sia questo
rapporto personale, cioè bisogna che ci sia la presenza dell’uomo interiore;
bisogna che l’uomo interiore lavori.
L’uomo interiore, come abbiamo
detto, non è un uomo passivo; l’uomo interiore è un uomo essenzialmente attivo,
perché Dio chiede all’uomo interiore la collaborazione perché è sempre necessario riportare a Dio tutto
quello che viene da Dio. Questo è il compito dell’uomo interiore. Ora, siccome
questo compito richiede molto all’anima, l’uomo interiore tende a sbarazzarsi,
a liberarsi da tutti gli altri impegni che sono transitori, che sono nel mondo
esterno, per rendersi in tutto disponibile per questo, perché capisce che li
trova la vita. l’uomo non è che debba lasciare le cose prima di scoprire
l’importanza della vera vita; l’uomo lascia le cose quando ha scoperto il vero
tesoro. La parabola del Signore lo dice chiaro: quando l’uomo ha trovato il
campo con il suo tesoro va e vende, non prima vende e poi va a cercare il
campo. No, ha trovato il campo, ha trovato il suo tesoro, e allora va, vende
tutto quello che ha per comprare quel campo e lo fa con gioia. Dio è Uno che
chiede: chiede a colui che fa crescere interiormente non ciò che gli reca, ma
ciò che è in grado di lasciare, per rendersi disponibile, perché Dio chiede
disponibilità; non chiede apporti, perché è Lui che riempie tutto.
Nino: Però la fede vuol dire andare dietro una cosa senza
ancora averla vista, rinunciando ad altro; quella cosa la vedrai dopo.
Luigi: Certo, è logico. Ma tu hai trovato il campo con il tesoro, hai
scoperto che c'è il tesoro; non lo conosci ancora, non lo possiedi. Vai, vendi
tutto quello che hai per comprare il campo in cui c'è il tesoro. Ora, quel
campo in cui c'è il tesoro è proprio la vita interiore, la vita dell’anima, la
vita del pensiero; quel campo è la “disponibilità per”.
Nino: Tu hai una convinzione, ma non hai ancora la sapienza,
la conoscenza.
Luigi: Adesso bisogna distinguere tra sapienza e conoscenza; la sapienza
è scoprire i valori; qui, a questo punto, tu hai scoperto i valori, perché se
non scopri i valori non vedi il resto.
Nino: Ma la conoscenza tu ce l’hai ancora. Tu sei nella
situazione del funzionario che sulla parola di Gesù ritorna da suo figlio,
correndo il rischio di trovare il figlio morto; lascia qualcosa prima di conoscere
che il figlio sia veramente guarito.
Luigi: Si, certo, ma ha lasciato questo qualcosa in quanto ha creduto in
quella parola. Ha creduto in quanto aveva dei dati per credere in quella
Parola: questa è la sapienza.
Nino: Comunque c'è sempre il rischio.
Luigi: Chi compra il campo con il tesoro, non è che possieda già il
tesoro: può correre il rischio che il tesoro non lo trovi.
Eligio: Però Gesù lo dà per certo.
Luigi: Si, è sulla Parola di Dio che uno vende e compra… ma ha i motivi
per credere. Certo, fintanto che non si arriva alla vita eterna c'è il rischio
di restare nell’incompiuto.
Pinuccia: Il rischio però è da parte nostra perché possiamo
stancarci, tornare indietro, ma non da parte di Dio, perché Dio è fedele alla
sua promessa.
Nino: Già sul piano orizzontale in ogni nostra scelta
corriamo dei rischi. Ora questo rischio c'è
anche nel piano spirituale e ci è difficile superarlo, perché ci fa
paura e ci fa rinunciare al tesoro promesso per una cosa che abbiamo già in
vista. Si, c'è la promessa di Dio, che noi dobbiamo accettare per fede, ma non
conosciamo ancora.
Luigi: Si; poi molte volte noi facciamo l’esempio e diciamo: “Va, vendi
quello che hai…” e crediamo che questo sia un atto unico, una tantum, che
avviene nella vita. E invece no, è tutto un fatto progressivo. Cioè man mano
che l’uomo interiore cresce, si convince sempre di più della validità,
dell’importanza di un’applicazione maggiore e allora si libera sempre di più ….
Non che faccia l’atto alla tale ora, al tale momento ed ecco fa il salto. No, è
una crescita, una vita a man mano che cresce quello, non ha difficoltà a
lasciare questo.
Eligio: Invece per Paolo di Tarso fu una cosa subitanea.
Luigi: Aveva una funzione speciale; ma anche per lui ci vollero poi anni
di deserto. Man mano che tu scopri un valore maggiore, non penso che hai
difficoltà a dar via le cose minori…. Anzi, Dio stesso ti chiede quello che sei
capace di lasciare per Lui, perché è proprio in questo lasciare che la nostra
anima ci allarga e diventa capace dei doni maggiori. Abbiamo detto che Dio ci
promette sempre doni maggiori, ma che cos’è che trattiene Lui dal donare a noi
i doni suoi maggiori? È l’incapacità che noi abbiamo di portare questi doni. E
allora, man mano che noi intuiamo l’importanza che c'è nella vita con Dio, lasciando le altre cose,
la nostra anima diventa capace di portare cose maggiori. Man mano che diventa
capace di portare, Dio dà i doni successivamente maggiori, fino a condurci alla
vita eterna, cioè alla vita intima con il Padre e con il Figlio.
Nino: Si, è un’ascesa lenta e le cadute servono a farci
sentire il bisogno che abbiamo di Lui e la nostra insufficienza.
Luigi: Comunque quello che viene messo qui in evidenza è la grande
importanza dell’uomo interiore, il quale uomo interiore nasce dal Pensiero di
Dio, cresce alimentandosi a questa gloria di Dio e conclude con la gloria di
Dio. questo è ciò che dovrebbe chiedere a noi tutta l’attenzione possibile,
tutta la cura possibile; far crescere quest’uomo interiore.
L’uomo esteriore invece essendo
destinato ad essere assorbito tutto dall’uomo interiore, può essere trascurato.
Non dobbiamo aver paura a trascurare l’uomo esteriore. Non è che noi
trascurando l’uomo esteriore perdiamo qualcosa: perdiamo se trascuriamo l’uomo
interiore.
Nino: Conoscendo Dio ricuperiamo tutto, quindi è inutile
mettere il carro davanti ai buoi e dire: “Faccio
questo e quello cosi mi avvicino a Dio!”, perché corro solo il rischio di
allontanarmi da Dio.
Luigi: Certo, perché l’uomo interiore non cresce “facendo”. È l’uomo esteriore
che cresce “facendo”. Il fare dell’uomo interiore è un fare diverso, non è il
fare dell’uomo esteriore. Il fare dell’uomo esteriore è quello di guadagnare,
di accumulare, di raccogliere attorno a sé, quindi è tutta una proiezione sul
mondo esteriore, sulle cose che si vedono. Il fare dell’uomo interiore invece è
proprio un distacco da tutto… è raccogliere in Dio, cioè questo continuo
riportare, rinascere da Dio, questo ricollegarsi sempre con il Principio,
perché il Principio non resta in noi in modo automatico. Il Principio resta in
noi in quanto noi continuamente ci riportiamo alla fonte, alla Sorgente
dell’Essere. La Sorgente dell’Essere ci è data; il Principio è in noi e ci è
annunciato: “In Principio era il Verbo”.
Il Principio è in noi. Ma non è che in quanto c'è Lui rimanga in noi. No, noi
ci allontaniamo, cioè noi siamo un’acqua di una sorgente che continuamente si
separa dalla sorgente, e separandosi dalla sorgente, si perde nel deserto, si
perde nella sabbia, ecc. e ad un certo momento l’acqua non c'è più. Ecco,
bisogna avere quella costanza di riportarci sempre continuamente alla sorgente.
Il nostro fiume è un fiume che cresce nella misura in cui attinge sempre alla
Sorgente.
Nino: È una fatica.
Luigi: Si, è una fatica, e il Signore dice: “Sforzatevi di entrare per la
porta stretta” e la porta è stretta in quanto richiede a noi questo impegno
continuo di superamento delle cose che vediamo; perché non è fatica ad esempio
ad abbandonarci alle cose che vediamo; li a noi sembra di riposare; invece il
superamento del pensiero dell’io richiede fatica, sforzo che ad un certo punto
invece diventa vita, diventa liberazione; ma ad un certo punto perché in un
primo momento è fatica.
Nino: Questo è l’uomo nuovo.
Luigi: Questo è l’uomo nuovo, è l’uomo interiore, che è questo amore che
continuamente si preoccupa di ricollegarsi sempre con la Sorgente, di non
dimenticare mai Dio. Quindi tutte le cose che avvengono le riporta sempre a
Dio, per cercare di capire che cosa significano in Dio. Ecco, è li che la gloria
di Dio cresce in noi, perché tutto quello che noi riportiamo a Dio fa crescere,
nella misura in cui la portiamo, in noi la gloria di Dio, la conoscenza di Dio,
quindi diventa luce per noi; quella luce che è vira, perché in principio “la
vita era la luce degli uomini”, poi gli uomini hanno cercato la vita in altre
cose e non sono diventati uomini esteriori, cioè hanno cercato la vita nel
lavorare, nel guadagnare, e allora abbiamo avuto l’uomo esteriore: hanno
dimenticato che la vita era la luce.
Teresa: Più ci avviciniamo a Lui, più ci meravigliamo delle
sue opere.
Luigi: La meraviglia viene dopo: man mano che conosciamo le opere di Dio,
le cose di Dio, i significati di Dio, allora ci meravigliamo, scopriamo la sua
bontà, il suo Amore, la sua Bellezza, la sua Sapienza, ecc.
Teresa: E quello è un entrare nella gloria?
Luigi: Quello è un effetto della gloria, la gloria è conoscenza. La
gloria conclude con la conoscenza della sua Presenza in tutto, del Padre e del
Figlio. La meraviglia viene dopo; la meraviglia è un effetto: “Guarda, io non sapevo che …”, ecco, hai
visto, adesso ti meravigli ad esempio del grande amore che Lui ha avuto per te,
perché Lui ti ha pensato ad esempio, da miliardi di anni, prima che tu
nascessi, Lui già pensava a te.
E allora quando mi si dice
questo, mi meraviglio dell’opera di Dio. Lui ci ama prima che noi lo amiamo:
un’altra meraviglia, perché noi generalmente amiamo in quanto siamo amati; Dio
invece ci ama prima che noi rispondiamo. Pensa a noi prima che noi pensiamo.
Ecco, man mano che scopriamo queste cose ci meravigliamo della bontà di Dio,
dell’Amore di Dio, della Misericordia di Dio, della grandezza di Dio,
dell’Infinito di Dio: questo ci meraviglia perché è infinitamente superiore a
noi; ma la meraviglia nasce in quanto io vedo qualche cosa. Tu ti affacci dal
balcone, vedi il sole che sorge e dici: “Che
meraviglia!”; lo vedi, allora ti meravigli, ma non ti meravigli prima di
vederlo. Ecco, la meraviglia è una conseguenza. Ora, per arrivare a vedere,
bisogna prima credere. Credendo, si raccoglie in Dio, si porta a Dio;
riportando a Dio si vede, e allora ci si meraviglia. Comunque l’uomo interiore
cresce in questo lavoro di conoscenza, che si conclude con la scoperta della
gloria di Dio.
Ma conosciamo la gloria di Dio
nella misura in cui riportiamo a Lui, perché Lui tutte le cose le fa, ce le
manda, affinché noi le riportiamo a Lui. Ecco, Lui ci mette un dono nelle mani,
e poi ci dice: “Adesso portalo a Me,
perché se tu lo riporti a Me, io ti faccio scoprire qualcosa di nuovo”. Ecco,
noi questo dono possiamo trattenercelo nelle mani, ad allora abbiamo l’uomo
esteriore, e Dio ad un certo momento ci distrugge il dono: “Hai sbagliato tutto, non hai capito che questo dono io te l’ho dato
perché tu alzassi gli occhi a me, guardassi il donatore. Tu ti sei fermato al
dono!”. Ecco l’errore: nella maggior parte della nostra vita noi sciupiamo
tutti i nostri giorni, perché tutti i giorni Dio ci mette i doni nelle nostre
mani e noi li tratteniamo e non li riportiamo a Lui.
Rina Ma non basta dire: “Grazie
che me li hai mandati!”.
Luigi: Si, grazie è una cosa, ma non basta. Non basta se usiamo per noi i
doni e non cerchiamo di capire. Dobbiamo riportarli a Dio. Il dono suo è una
lettera chiusa, che Lui solo però apre, che Lui solo può aprire. Nella lettera
c'è un messaggio per noi, un messaggio di Lui in cui rivela qualcosa di sé. Noi
riceviamo la lettera, ci fermiamo al vederla:
“Oh, guarda che bella lettera!”; la lettera è chiusa. “Guarda che bella busta!”, magari ci può servire, ci scriverò sopra
le mie annotazioni…”, ma non abbiamo capito niente: la lettera era chiusa,
dovevo riportarla a Lui perché Lui me la aprisse e mi facesse leggere e capire
quello che c'era dentro in Lui mi parlava di Sé, mi rivelava qualcosa di Sé. Io
invece prendo il dono, cioè la busta chiusa, l’adopero magari per fare le mie
annotazioni, l’adopero per quello che mi può servire, e non capisco che c'è una
lettera dentro.
Eligio: Rivela una mancanza di amore, perché se amo una
persona desidero conoscere quello che mi dice.
Luigi: È logico, ma il fatto è questo: che in noi prevale il pensiero del
nostro io e questo ci impedisce di amare.
Rina O siamo appassionati di Dio e allora superiamo l’io.
Luigi: Ma per essere appassionati di Dio io debbo già averlo conosciuto; ecco,
per cui ritorniamo all’atto di giustizia iniziale: per giustizia io debbo
riferire, riportare tutto a Dio, ogni cosa a Dio, perché non sono io il
Creatore. Ecco, è Dio che va messo come punto fisso di riferimento. È Lui il
Creatore, quindi non debbo fermare le cose al mio io, non fare del mio io il
punto fisso di riferimento. No, il mio io è una creatura, quindi per giustizia
io debbo andare al di là del pensiero di me stesso. Ogni cosa che mi viene da
Dio, deve essere riportata a Dio. ogni cosa, essendo fatta da Dio, ha qualcosa
di bello, di buono, di vero, quindi naturalmente, arrivando a me, nel pensiero
del mio io, dà una certa soddisfazione di bellezza, di bontà, di verità, e noi
generalmente ci fermiamo a questa soddisfazione dell’io, cioè alla sensazione
di piacere, di gioia, di pace, di tranquillità, che abbiamo ricevendo qualcosa
da Dio e ci fermiamo all’io. E invece dobbiamo andare oltre. É certo che le
cose che arrivano da Dio hanno qualcosa di buono, perché sono opere di DIo;
però non dobbiamo fermarci alla sensazione che il mio io riceve, al sentimento
che provo a contatto con le creature di Dio, ma debbo andare oltre, per
giustizia. Tutto è bello, tutto è buono, però non debbo sostare nei miei
sentimenti.
Nino: Ricordo un paesaggio lunare sul mare, stupendo, che mi
ha riempito l’anima.
Luigi: Ma questo non basta, perché questo è sentimento; soddisfa l’io.
Certo che le cose belle soddisfano l’anima: sono doni di Dio e sono tutti
belli.
Nino: Però una scena del genere ci fa capire che Dio provvede
a tutto, fuori di noi e in noi, e ci ama.
Eligio: Però vanno superate queste emozioni: ecco il momento
arido della giustizia, del riportare a Dio, perché se mi fermo al sentimento,
mi fermo all’io.
Nino: Comunque ritornando al discorso di prima, sul discorso
del fare, penso che il fare le opere buone prima della conoscenza di Dio, ce ne
fa reclamare il merito: fatte invece dopo la conoscenza di Dio, mossi da Dio,
diciamo: “Siamo servi inutili”.
Luigi: Perché è Dio che le ha fatte.
Cina: Io penso che siamo creati per far nascere in noi
questo uomo interiore.
Luigi: Si, noi siamo creati per la gloria di Dio, ed è l’uomo interiore
che arriva a questa gloria di Dio.
Cina: Il brutto è che ci troviamo con il piede in due
scarpe, e questo ci tiene fermi.
Luigi: Certo, quando seguiamo il sentimento.
Nino: Il …. Chiaro di luna e la giustizia interiore.
Ines: È difficile però.
Teresa: È un vero pericolo quello di fermarci alle cose
dicendo grazie anche del denaro, senza porci altri problemi.
Luigi: Tutto invece va trasceso.
Pinuccia: Ma dicendo grazie non si trascende già? Cioè non si fa
già la giustizia? Perché si riconosce che quella cosa bella arriva da Lui.
Luigi: Si, indubbiamente bisogna farlo; bisogna accettare tutto da Dio. È
il fondamento, perché se non accetto da Dio, dico: “Guarda qui la natura che belle cose fa eppure guarda gli uomini cosa
sono capaci di fare!” e quindi sono fuori.
Il fondamento è questo: tutto
viene a noi da Dio, quindi dobbiamo accettare tutto da Dio, tutto dalle mani di
Dio e ringraziare. Questo per prima cosa, è logico, ma non basta. Debbo
chiedermi: perché Dio fa questo? Mica per giocare, ma per farsi conoscere. E
allora che cosa Dio mi significa di Sé attraverso questo? Che cosa mi dice di
Sé? Debbo cercare che cosa Dio mi dice, mi vuol significare, mi vuole rivelare
di Sé.
Nino: Mentre ammiravo quello spettacolo lunare, pensavo che
noi stentiamo a riconoscere l’opera di Dio in tutto, mentre Lui ci ha dato una
casa cosi perfetta, insieme a infiniti altri doni.
Luigi: Ma noi non sappiamo riconoscerli. Tutt’al più godiamo di una
bellezza, al livello sentimentale. Tu non ti sei fermato alla cosa bella, avevi
presente il pensiero di Dio, mica è stato male, è logico. Ma se tu adesso
facessi consistere la tua vita in: “Là ci
sono dei bei spettacoli, adesso vado a vivere là per vederli!”, andresti
fuori dal cammino. Le cose sono belle, però non possiamo vivere per le cose.
Noi dobbiamo accettare tutto da Dio man mano che camminiamo, vedere e
ringraziare Dio per tutto quello che ci dà, ma dobbiamo capire il senso delle
cose che Lui fa, perché noi corriamo sempre il rischio: abbiamo mangiato un
cibo e diciamo: “Oh, che buono! Ora ne
compro un chilo cosi tutti i giorni mangerò questo!”, cosi ti rovini
completamente. Dobbiamo accogliere tutti i doni da Dio man mano che vengono, ma
non pretenderli e non vivere per quelli. La Persona del Donatore vale più dei
doni, per cui: non voglio saperne dei doni per quanto belli e buoni, non li
guardo nemmeno, non voglio nemmeno toccarli, se non vedo la Presenza del
Donatore, di Colui che sta parlando con me, se non vedo l’intenzione che Lui ha
nel farmi questi doni (se tutto è Parola di Dio, come posso ascoltare la Parola
se non ho presente Colui che mi parla?). Se no, immediatamente corriamo il
rischio. Quando vediamo una cosa bella, diciamo: “Adesso questa voglio possederla”. E come ne vediamo un’altra,
pure, e noi cominciamo a vivere per le cose. L’uomo esteriore comincia a
lavorare, perché: “Questo è bello,
quell’altro è buono, quindi lo voglio, ne faccio una provvista…”: è finito!
Teresa: Se bastasse solo ringraziare ci ciò che si riceve…
quanti ringraziano il Signore per l’intelligenza e il lavoro e quindi dei molti
soldi che sono riusciti a guadagnare.
Luigi: È tutto sbagliato. L’uomo che nasce ricco, che nasce re: “DIo mi ha fatto ricco, Dio mi ha fatto re…”;
ci fermiamo li e non capiamo il significato di quello che Dio ha fatto e dato:
è tutto li l’errore. Certo, Dio ci manda anche le cose belle e noi dobbiamo e
noi dobbiamo anche accettare le cose belle, riconoscerle come date da Lui e
sempre riferirle a Lui, ma non dobbiamo vivere per quelle. Non dobbiamo
fermarci ad esse.
Nino: Non solo ci dona cose belle, ma a volte ci combina Lui
gli incontri, come mi è successo stamattina: avevo capito, pensando a Dio, che
dovevo incontrarmi con una persona per alcune chiarificazioni e improvvisamente
ma la trovo di fianco, a Messa.
Luigi: Dio parla sempre con noi! Se fossimo
attenti, ci accorgeremmo che Lui continuamente sta parlando ai nostri stessi
pensieri! È che noi ci dimentichiamo di Dio: è li il fatto; altrimenti Dio è
Colui che continuamente opera tra noi e parla con noi, personalmente! E cosa
vuol dire personalmente? Che tiene presente i nostri pensieri, i nostri
desideri! Dialoga con noi! Dialoga molte volte per dirci ad esempio: “Stai sbagliando tutto!”, però ci tratta
sempre personalmente. Se noi avessimo presente Lui, continuamente avremmo le
sorprese, ci accorgeremmo continuamente di essere pensati, perché Lui sta
parlando con noi personalmente, con ognuno di noi, quindi con le nostre
intenzioni, con i nostri desideri, le nostre passioni, tutto.
Pinuccia: E produce
esteriormente le cose che sono in relazione con i nostri pensieri.
Luigi: Si capisce, Lui le produce, poi magari manda Nino va
chiedere a quel tale: “Perché sei venuto
qui?” e l’altro: “Perché io dieci
giorni fa avevo già deciso”, quando ancora Nino ancora non pensava ad avere
quel colloquio. Tutte le cose sono giustificate: Lui ce le produce immediatamente
perché tiene presente i nostri pensieri, però se andiamo a fondo le vediamo
tutte collegate e ad un certo momento scopriamo che da millenni quell’evento
maturava.
E come potete
credere voi che mendicate la gloria gli uni gli altri, e non
cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Gv 5 Vs 44 Quarto tema.
Argomenti: Assolutizzare. Il lavoro in
proprio interiore. L’uomo interiore vive nella misura in cui riporta nel Principio le parole
che vengono dal Principio. Le offerte di
lavoro di Dio. Il lavoro con Dio è
l’unico lavoro essenziale. Attenzione, vuol
dire disposizione ad accogliere Colui che mi sta parlando. Si parte dalla sua Parola per arrivare al suo Pensiero. Il Vangelo è il sillabario.
20/Maggio/1979
Introduzione:
Eligio: Su quali elementi Gesù accusa
i Giudei di accogliere la testimonianza di un altro (“Se venisse un altro voi lo accogliereste”)? Non è che loro
rifiutando la testimonianza di Gesù abbiano accettato la testimonianza di un
estraneo, almeno in queste pagine non si vede un fatto del genere.
Luigi: Penso che il linguaggio di
Gesù non sia per i Giudei, ma sia per ogni uomo. Quando l’uomo rifiuta la
testimonianza del Verbo di Dio, è aperto alla testimonianza degli uomini,
necessariamente. Come quando non si cerca la gloria che viene da Dio
necessariamente si elemosina la gloria degli uomini, non se ne può fare a meno.
Eligio: Quindi una situazione di
scetticismo totale (cioè di colui che non crede né alla testimonianza di Dio né
quella degli uomini) non è concepibile per Gesù?
Luigi: Non esiste lo scettico
assoluto, no; l’ateo in assoluto non esiste:
-esiste l’uomo che
scambia la materia al posto di Dio, ritiene che l’assoluto sia la materia,
l’uomo, la natura;
-ed esiste l’uomo che
ritiene che l’Assoluto sia Dio, lo Spirito.
Noi possiamo soltanto
passare da un assoluto all’altro: non possiamo esistere senza fede, perché noi
siamo in quanto ci appoggiamo a “qualcosa di altro da noi”, e questo “qualcosa”
può essere l’uomo, la creatura, può essere la pietra, la materia, può essere il
denaro e può essere lo Spirito. Ma ateismo nel senso pieno, cioè fede in
niente, non esiste.
Eligio: C'è una corrente filosofica
che usa come metodo il dubbio sistematico, per cui non accetta nessuna
testimonianza.
Luigi: Si, come pensiero, ma poi
all’atto pratico si fiderà magari del mangiare, del denaro e di altro;
-
una cosa è la logica che l’uomo magari fa, che adopera
come atteggiamento di pensiero,
-
una cosa è la pratica, perché all’atto pratico si deve
fidare di qualcosa, altrimenti non può stare.
L’uomo non può esistere
senza far conto su “qualcosa”: farà conto sul sole, sulla luna, farà conto sulle
stelle, comunque fa conto su “qualcosa”. E noi facendo conto su “qualcosa”,
scambiando quelle cose per “verità”, le riteniamo vere. Come ci stacchiamo da
Dio, dalla Verità spirituale, non possiamo fare a meno di scambiare per verità
assoluta, quindi come idolo, il denaro, la materia, l’uomo, la casa, la
carriera.
Le scambiamo per verità
assolute, quindi le mettiamo al posto di Dio, non possiamo considerarle come
verità relative, perché noi siamo fatti per l’Assoluto e qualunque cosa
tocchiamo, lo facciamo diventare per noi, assoluto.
Soltanto se in noi
abbiamo come punto fisso di riferimento, quindi come Assoluto, Dio, e cerchiamo
la gloria di Dio, quindi riferiamo tutto a Dio, unifichiamo tutto in Dio, allora
possiamo effettivamente mantenerci nel relativo delle cose.
Le cose sono relative,
le creature sono relative, gli uomini sono relativi, l’Assoluto è Dio.
Questo vale in quanto
continuamente riferiamo ogni cosa a Dio.
Ma il punto di
riferimento è Dio.
Se non ho Dio come
punto fisso di riferimento, ho un altro punto fisso di riferimento.
Faccio sempre
riferimento ad un punto fisso, non posso farne a meno, perché l’uomo è fatto
per l’Assoluto, e quindi scambia per assoluto qualunque cosa egli tocchi e
guardi.
Nino: Penso che staccati da Dio
arriviamo ad avere non solo uno, ma parecchi punti di riferimento.
Luigi: Certo, ed è li che succede la
tragedia, perché noi, siccome abbiamo ritenuto assoluto quello che non era
assoluto, quando questo ci viene a mancare, per noi è la fine di tutto, perché
da soli non stiamo su, non possiamo stare su.
Nino: E vediamo ad esempio che il
materialista diventa superstizioso.
Luigi: Per forza, non ne può fare a
meno. Noi siamo fatti per l’Assoluto. Il nostro cuore è fatto per Dio. L’errore
che facciamo noi è che noi non cerchiamo Dio dove è; lo cerchiamo altrove, là
dove Dio non è. Cioè io cerco l’Assoluto dove l’Assoluto non può esserci.
Nino: Noi assolutizziamo qualcosa,
ma non vogliamo ammetterlo.
Luigi: Uno dei segni più evidenti
del nostro destino che noi siamo stati creati per Dio, è proprio questo: che
noi assolutizziamo.
Tutti gli errori della
nostra vita derivano da questo fatto: che noi assolutizziamo ciò che è
relativo. Ed allora ad esempio tutta la nostra fatica, tutto il nostro
lavorare, le scienze, ecc., sono un bisogno, una ricerca di assolutizzare
quello che è relativo.
Se noi fossimo capaci
di restare soltanto in quei limiti in cui la cosa si presenta, saremmo a posto. Incomincio
a guadagnare denaro? Voglio guadagnare all’infinito; incomincio a conoscere una
legge della natura? Voglio estendere questa legge all’infinito; amo una
creatura? voglio che questa creatura sia assoluta come Dio, perfetta come Dio,
buona come Dio, giusta come Dio.
Ecco, noi pretendiamo
l’assoluto da ciò che assoluto non è e allora ci sobbarchiamo ad un’infinità di
fatiche e tribolazioni fino alla morte.
Ora, tutta questa
tribolazione di cui noi ci carichiamo è una conseguenza del fatto che assoluto
non è.
Se noi riuscissimo ad
amare le cose, le creature, soltanto per quello che sono, per la loro
relatività, vivremmo molto liberi, molto gioiosi; perché tutta la nostra
tribolazione sta li, nel pretendere dalle creature quello che le creature non
possono darci perché non lo sono.
Se io dal denaro
pretendo l’assoluto, il denaro ad un certo momento mi dice: “Io non sono assoluto, non posso quindi
rispondere alle tue esigenze”.
Nino: È attraverso la delusione che
ci viene dai nostri idoli che incominciamo a cercare veramente ciò che è Assoluto.
Luigi: Noi viviamo di utopie: anche
questi avvenimenti sociali sono tutti fondati su utopie, perché scambiano per
assoluto quello che assoluto non è e non può essere e non possono far altro che
arrivare al fallimento.
Ad un certo momento tu
vedi che debbono distruggere l’uomo (e l’abbiamo visto in Vietnam e in
Cambogia) per affermare l’assoluto.
Tu arrivi alla
negazione della vita proprio per affermare una cosa che ritieni assoluta: vuol
dire che la cosa è veramente utopica, perché là dove tu trovi il vero valore,
nel vero valore tu trovi la valorizzazione dell’uomo, la valorizzazione della
vita, il potenziamento. Ma se tu, per affermare una cosa, distruggi l’uomo,
soffochi l’uomo, gli impedisci di realizzarsi, questo vuol dire che il valore è
utopico.
Nino: E costoro sono convinti che
chi crede in Dio è nell’utopia.
Luigi: Certo, perché per loro è
verità assoluta ciò che sostengono.
Eligio: Chi è con Dio può capire loro,
ma loro non riescono a capire chi è con Dio.
Luigi: No, non possono.
Nino: Uno riesce a comprendere
tutto, l’altro no.
Luigi: Cosi Dio riesce a comprendere
tutti i nostri errori, ma noi i nostri errori non li possiamo vedere.
Eligio: Ogni creatura di Dio ha in sé
una parte di verità perché fatta da Dio, ma questa parte di verità la possiamo
cogliere solo guardando questa creatura da Dio.
Luigi: Si, bisogna rapportarla a DIo;
soltanto rapportandola a Dio si può vedere la verità. È Dio che illumina e ci
fa vedere la significazione di Sé nel fatto, nella creatura, nella cosa: allora
cogliamo il vero aspetto delle cose. Se noi non riferiamo a Dio, non
riportiamo a Dio la cosa, l’avvenimento, la sua parola, questo immediatamente
per noi acquista una deformazione di assoluto, per cui noi lo sostituiamo a
DIo: l’idolo si forma cosi.
Tutte le cose sono
buone, tutte, anche il pensiero del nostro io è buono, tutto è buono, perché
tutto è creatura di DIo: il tempo, il denaro, tutto è buono. Ma tutto è buono
in quanto è rapportato a DIo; cioè Dio è un Essere che non possiamo mai
dimenticare, in niente.
Se noi lo
dimentichiamo, immediatamente quello a cui noi guardiamo diventa per noi dio.
Per cui non possiamo
non cadere schiavi delle cose, e veramente solo Dio ci libera. Ecco perché se
noi non cerchiamo la gloria di Dio, necessariamente dobbiamo cercare la gloria
degli uomini; necessariamente, non possiamo farne a meno.
Soltanto che, cercando
la gloria degli uomini, succede questo: che noi facciamo crescere, il guscio
del frutto, la scorza, e l’uomo interiore resta sempre più soffocato. Il processo
di vecchiaia è ingrossamento, un ispessimento delle membrane che crescono fino
a soffocare i nuclei. E cosi è lo stesso: noi cercando la gloria degli uomini
facciamo crescere l’uomo esteriore, quindi la nostra corteccia, il guscio,
tutto a detrimento dell’uomo interiore.
Perché l’uomo esteriore
cresce cercando l’apparenza, cercando la figura; mentre chi dà a noi
l’essere è l’Essere assoluto, è soltanto Dio.
Tutte le opere di Dio,
che sono segni di Dio, non possono dare a noi l’essere; danno a noi soltanto il
segno, cioè l’apparenza, la figura.
Se noi cerchiamo la
figura, (e questo lo sappiamo per esperienza), per quanto ci carichiamo di
figura, questo non modifica quello che noi siamo. Io mi posso vestire da
miliardario, ma se sono un povero diavolo, continuerò ad essere un povero
diavolo vestito da miliardario.
Non è quello che sembra
che modifica il mio essere. Chi modifica veramente il mio essere è soltanto
l’Essere, quindi non sono le creature.
Le creature chiedono a
noi e danno a noi soltanto la possibilità di apparire, di sembrare: salviamo la
faccia, ma questo non modifica il nostro essere e noi continuiamo ad essere
quello che siamo: se sono un villano, per quanta vernice io mi metta addosso,
continuo ad essere villano; chi mi dà la possibilità di non essere più villano
e di cambiare quello che sono è la gloria di Dio, cioè è Dio, Dio è l’Essere.
Più noi ci occupiamo di
Dio, ci interessiamo di Dio, Dio allora modifica veramente il nostro essere.
Più noi trascuriamo Dio
per curare la nostra figura davanti le creature e più noi aumentiamo soltanto
la figura e il nostro essere sarà sempre lo stesso: alla conclusione noi
ritroviamo di nuovo quell’Essere che era in principio, non modificato per
niente, perché non è che il nostro essere, quello che noi siamo lo possiamo
aumentare o diminuire di per sé, o perdere.
Noi non lo possiamo né
aumentare, né diminuire, né perdere, perché il nostro essere, quello che viene
da Dio.
Più noi cerchiamo Dio e
più questo essere si modifica e grandeggia nella misura in cui partecipa della
conoscenza della gloria di DIo; se noi non cerchiamo Dio, questo essere resta
tale quale.
Eligio: Non pensi che subisca una
diminuzione, guardando alle creature anziché a Dio?
Luigi: Si, una diminuzione, non
annullamento, perché quello che è
essere, quello che è, è: è seme, cioè ridotto
ai minimi termini, è creatura che è tutto - bisogno dell’Essere, tutto - bisogno di Dio. Questa creatura, con
questa fame, con questo bisogno, noi non la possiamo assolutamente annullare;
noi pensiamo si coprirla con tanto sembrare, con tanta figura, con tante
apparenze, ma all’ultimo noi ritroviamo sempre questa: tutto il resto è servito
a niente. E allora cosa succede? Che più noi cerchiamo la figura, l’apparenza,
e più noi diventiamo veramente poveri del vero essere dentro di noi, perché il
nostro essere interiore si arricchisce soltanto con Dio.
Più noi ci riempiamo di
altro, più accumuliamo altro e più allora diventiamo veramente mendicanti,
perché noi andiamo a mendicare dalle creature quello che dovremmo cercare da
DIo: come ci volgiamo alle creature, chiediamo, cerchiamo da loro quello che
Dio solo ci può dare, cioè l’essere.
Ma siccome le creature
non ci possono dare questo, allora noi abbiamo un impoverimento progressivo e
quindi la mendicità.
Se ci rivolgiamo a Dio,
Dio ci nobilita; anche se siamo poveri, Dio ci nobilita. Invece le creature non
ci nobilitano, anzi ci rendono mendiche, tant’è vero che rivolgendoci ad esse
dobbiamo fare delle cose che sono contro la nostra coscienza: si crea in noi
questa frattura che ci offende.
Con Dio abbiamo Colui
che esalta la nostra coscienza, esalta quei valori, quelle convinzioni che
abbiamo dentro; invece se cerco la figura, l’apparenza verso le creature, io debbo
entrare in conflitto con i valori autentici che porto, cioè divento sempre meno
autentico; il mondo non mi fa diventare autentico, ma doppio.
D’altronde non mi
chiede mica l’autenticità il mondo, il mondo mi chiede soltanto un certo
servizio, una certa strumentalizzazione, chiede soltanto che io lo serva in
certi modi, mi chiede l’apparire.
Ora questo è tutto un
conflitto con quel po’ di autenticità che uno porta dentro di sé, per cui uno
si sente terribilmente offeso servendo il mondo; mentre invece servendo Dio
uno si sente infinitamente nobilitato, compreso.
Nel mondo noi non
potremmo mai assolutamente essere compresi. Da Dio invece siamo compresi,
perché Dio esalta la nostra parte autentica, che viene da Lui. Quindi Lui la
esalta; il mondo invece la comprime e la soffoca.
Eligio: Siamo solo presi e quindi
subiamo una lacerazione.
Luigi: Certo, e allora in questo
senso penso ci sia la diminuzione di essere, in quanto in noi c'è un aumento di
offesa tra quello che siamo, che abbiamo ricevuto da Dio, e quello
schiacciamento del sembrare che arreca in noi quell’offesa, perché dobbiamo
duplicarci, per cui io sento in un modo, però debbo recitare in un altro modo.
La mia vita diventa recitazione; è come se noi ci mettessimo una maschera e
questa maschera si appiccicasse al volto in modo da impedirci di esprimere il
nostro volto. Dobbiamo recitare con questa maschera, vivere con questa
maschera.
Con il mondo noi ci
mettiamo una maschera: non possiamo farne a meno. Ecco allora “L’uomo che ride” di Victor Hugo: dentro
piange, ma deve ridere, non può farne a meno, ha la maschera del riso. Qui
abbiamo la vera diminuzione; uno si sente offeso, perché non è riconosciuto; è
convinto di una cosa, ma deve farne un’altra, in nome del partito, in nome
della convenienza, in nome del direttore, in nome del guadagno, deve recitare.
È quello che maggiormente offende la nostra vita e fa sentire tutta la nostra miseria: ecco la
mendicità. Mentre invece con Dio noi abbiamo una liberazione progressiva,
quindi un’esaltazione di quello che veramente noi portiamo in noi di più
autentico.
Rina Non tutti i rapporti umani
hanno questo aspetto negativo, perché qualche volta ne usciamo addirittura
arricchiti.
Luigi: L’arricchimento ci viene in
quanto noi dal mondo riceviamo delle testimonianze di Dio. Quindi se dal mondo
noi riceviamo aiuti per sviluppare questo fatto autentico che portiamo dentro
di noi, cioè questo bisogno di Dio, allora abbiamo l’arricchimento. Ma
l’arricchimento c'è in quanto dalle creature riceviamo la testimonianza di Dio.
La creatura che porta Dio in sé, indubbiamente mi ammonisce: “Non vivere per le cose che passano”, e
questo mi arricchisce. Il Cristo come uomo che porta a noi Dio, è un
arricchimento, però in questo caso si presuppone sempre in noi che ci sia il
Pensiero di Dio, che ci sia la fede in Dio, altrimenti non si può credere. Se
noi cerchiamo la gloria degli uomini, qui Gesù lo dice chiaro: “Non potete credere”.
Il principio della fede
è interesse per la Verità di Dio.
Della fede avevamo
parlato parlando della gloria, quando avevamo detto che la fede è un campione
di gloria di Dio che arriva a noi per farci desiderare la merce completa, cioè
la gloria di Dio.
Ma se noi invece
cerchiamo altra gloria, la gloria nostra, noi non possiamo credere, non abbiamo
in noi la fede: quella fede che abbiamo è recitazione, ma non è fede; diventa
una recitazione di fede.
Allora si, noi possiamo
pensare a noi stessi, cercare la nostra gloria, la nostra figura, vivere per la
nostra figura nel mondo, e andare in Chiesa, ritenere di credere, di essere
fedeli, partecipare ai Sacramenti, ecc. ma è tutta soltanto una fede recitata:
non è questa la fede.
La fede è desiderio
della gloria di Dio, quindi la fede è risveglio in noi dell’interesse per Dio,
per la gloria di Dio, per conoscere Dio.
Se in noi la fede non è
questo, non è fede.
Eligio: Si, la fede è sostanza delle
cose sperate.
Luigi: Si, è un campione di quella
merce sperata, di quella realtà che Dio ci promette, se noi ci interessiamo al
campione.
Quindi Lui ci manda il
campione affinché noi osservandola diciamo: “Questo
mi interessa! Adesso voglio arrivare ad avere la merce!”.
Ma se invece io ho il
pensiero del mio io al centro, il campione non mi interessa, non mi può
interessare, perché quel campione li mi parla della gloria di Dio, non della
gloria di me stesso.
Allora se viene un uomo
che mi parla e mi offre un mezzo per aumentare un gradino la mia gloria, questo
lo accolgo a casa mia, perché vedo attraverso lui, la soddisfazione della mia
gloria, penso a me stesso.
Ma qui sono
completamente all’opposto della fede, non posso credere, (“..come potete credere voi..”). Non potete credere! Perché la
condizione per avere la fede è questa apertura a Dio, è questo interesse per
Dio.
Ma se io ho interesse
per me stesso, apro la porta soltanto a quelli che esaltano me stesso; forse
poi mi deluderanno, mi inganneranno, però si presentano a me come messaggeri
della mia gloria, per cui dicono: “Guarda
che se tu accetti il mio patto, tu aumenterai di un gradino nella figura
davanti al mondo”. E siccome la figura davanti al mondo è una cosa che mi
interessa, allora ecco perché: “Se
qualcuno viene in nome suo lo accetto!”.
Per cui se in noi non c'è interesse per Dio, noi apriamo le porte a
tutte le creature, perché nelle creature noi vediamo il nostro io, quindi
vediamo la possibilità di soddisfare il nostro io, quindi vediamo la
possibilità di soddisfare il nostro io, la passione del nostro io.
Con Dio invece non
vediamo la possibilità di soddisfare il nostro io, ecco perché non possiamo
aprirci alla fede.
Nino: Sono due mete diverse, quindi
non possiamo..
Luigi: Non possiamo servire due
padroni. Nel Vangelo di Matteo la cosa è descritta cosi: “Voi non potete servire a due padroni”. Pretendere quindi di
cercare la nostra gloria e credere, vorrebbe dire servite due padroni: non è
possibile.
Pinuccia: Si perché in sostanza, il
cercare la gloria in qualsiasi cosa, sarebbe sempre cercare un Assoluto dove
non è. L’Assoluto è Uno solo.
Luigi: Certo, è logico.
Rina Però tutto è buono … quindi
anche la carriera.
Luigi: Tutto è buono in rapporto a
Dio, cioè rapportato a Dio. Ma non detto a parole, cosi: “Io ci metto l’etichetta di Dio e poi faccio la mia carriera!”. No!
Dio è fine e in quanto
fine, va posto come fine: cioè deve essere il pensiero principale di ogni
nostro giorno, altrimenti noi interiormente siamo disoccupati (e questo sarà
l’argomento della prossima domenica).
Noi interiormente
dobbiamo essere ogni giorno, quotidianamente, occupati; dobbiamo avere il
nostro uomo interiore occupato.
Noi ci preoccupiamo di
avere un posto fisso di lavoro esteriore: questo è l’uomo esteriore!
E non ci preoccupiamo
invece il lavoro fisso dentro; noi siamo sempre dei disoccupati! È li tutta la tragedia!
Abbiamo visto cosa vuol
dire un uomo disoccupato, che finisce di vivere di menzogne, di cadere schiavo
dei vizi, e non può farne a meno. Questo è segno soltanto di una nostra
disoccupazione interiore, e la nostra disoccupazione interiore non può fare a
meno di farci cadere schiavi della menzogna, dei vizi, ecc., non può farne a
meno, perché è la stanza vuota che necessariamente non può resistere alla
pressione dei demoni e sarà invasa dai sette demoni. Ora, una delle cose più
importanti è proprio trovare questa occupazione interiore.
Sempre, ogni istante,
noi dobbiamo avere un’occupazione.
La preghiera “… dacci oggi il nostro pane quotidiano”,
io la tradurrei: “.. dacci oggi il nostro
lavoro, la nostra occupazione”.
“Perché state tutto il giorno a fare niente?”. Ve ne state tutto il
giorno a fare niente?
Il Signore, mentre noi
magari sudiamo dalla mattina alla sera, forse ci rimprovera, perché il nostro
uomo interiore è disoccupato dalla mattina alla sera.
Oppure c'è chi ha il
lavoro saltuario, di tanto in tanto trova un po’ di lavoro, ma è lavoro
saltuario. Invece no, bisogna trovare il lavoro fisso, a tempo pieno.
Nino: Noi siamo tutti lavoratori
occasionali.
Luigi: I dipendenti hanno un lavoro
fisso, ma a ore, e invece il proprietario generalmente è full – time, cioè ha
un lavoro a tempo pieno, perché anche quando è fuori dal suo lavoro, continua a
pensare. Questo è un segno molto importante: soltanto se noi siamo proprietari,
abbiamo veramente un impiego a tempo pieno, cioè qualche cosa che ci impiega,
perché ci sta a cuore. Il pastore che provvede alle pecore, ha il pensiero
verso le pecore impiegate a tempo pieno: pensa sempre a quello. Quindi dobbiamo
ritenerci non soltanto a servizio di, salariati, pagati, impiegati per la paga,
per lo stipendio.
Pinuccia: Ma lavorare come figli.
Luigi: Ecco, con amore, amore che
partecipa, che fa sua la cosa. Ora, se noi facciamo nostro Dio, direi,
l’azienda diventa nostra, e allora ci sta veramente a cuore.
Ecco, Dio dovrebbe
starci a cuore come ci sta a cuore quello che è nostro, l’azienda nostra.
Allora quello ci impegna a tempo pieno.
Nino: È che Dio è difficile come
argomento, come occupazione, perché quelle poche volte che ho del tempo libero,
una giornata libera, dico: e adesso da dove incomincio?
Luigi: Vedi che ti senti disoccupato?
Eligio: Si, mi sento disoccupato.
Luigi: Ti senti disoccupato! È li il
problema: che noi ci sentiamo disoccupati. Vedi? E allora andiamo a cercare, a
bussare alla porta dell’uno, dell’altro, ecc.: “Dammi un po’ di lavoro! Dammi un po’ di lavoro! Perché oggi non ho
niente da fare”.
E invece il Signore
è Uno che viene a darci del lavoro.
Pensa all’intimità di
pensiero che Lui distribuisce! Però Dio parlando ci impegna. Le sue parole sono
un’offerta di lavoro! È un’offerta di gloria! Ora, quando abbiamo parlato
di come vive l’uomo interiore, abbiamo detto che l’uomo interiore vive nella
misura in cui continuamente ritorna al Principio, riporta nel Principio tutte
le parole che vengono dal Principio.
Tutte le parole di Dio
che vengono a noi sono offerte di lavoro di Dio per darci la possibilità di
arrivare a scoprire qualcosa della sua gloria (ecco il vero pane).
Però noi senza il
nostro lavoro personale non possiamo arrivare a scoprire qualcosa della sua
gloria; per cui tutte le offerte di lavoro arrivano a noi, ma noi non vediamo
questa offerta di lavoro!
Teresa: Noi chiediamo a Lui il pane
quotidiano, sappiamo che Lui ci vuole impegnare, ma nello stesso tempo se
vogliamo mangiare andiamo a cercare il lavoro dagli altri e lo chiediamo a Lui!
Eligio: Facciamo nei confronti di Dio
come quel tale che diceva al padrone: “Vero
che non c'è lavoro oggi?”.
Teresa: Gli chiediamo il pane e poi
andiamo a cercarlo da altri.
Luigi: Già. Perché il vero pane,
nella versione di San Luca, è il pane sostanziale, soprasostanziale. Ma questo
pane soprasostanziale è la sua Parola che ci impiega a lavorare, che ci offre
lavoro; è pensiero che ci invita ad occuparci in -: “Ecco, oggi il tuo pane è questo! Datti da fare!”.
“Ti guadagnerai il tuo pane con il sudore della
fronte!”.
Ecco, vedi il lavoro:
non è il lavoro materiale, è questo lavoro: perché poi, abbiamo detto diverse
volte, in un’altra parte il Signore dice: “Non
affaticarti per il pane che passa! Cerca il pane che non passa!”; e qui
siamo nel campo del pensiero, cioè il pane che non passa, cioè quel pensiero
che ti porta alla vita eterna.
Allora, quando
preghiamo il Signore: “Dacci oggi il
nostro pane quotidiano”, cosa chiediamo? Se il Signore si preoccupa di
dirci: “Non preoccuparti del mangiare
materiale, preoccupati invece del Regno di Dio, preoccupati del pane che non
passa” e ci dice ancora: “Quando
preghi, di: dà a noi il nostro pane quotidiano”, vuole insegnarci a
chiedere il pane che non passa: “Dà a noi
questo pane, questo, il pane che non passa”. Ma qual è questo pane che non
passa? È quello che ci conduce a vedere la gloria di Dio, che ci conduce alla
vita eterna, che mi fa conoscere qualcosa di Dio.
Allora: “Dà a me qualcosa che mi impegni!”, cioè
chiediamo un lavoro!
Diciamo sempre nei
confronti di chi chiede soldi: “È inutile
dare dei soldi, diamo del lavoro, facciamoli lavorare!”. Ecco, il Signore
ci dà del lavoro e: “… a ognuno sarà dato
a seconda di quello che avrà lavorato personalmente con Dio, per cercare Dio,
per conoscere Dio”.
Tutte le opere di Dio
sono offerte di lavoro, come tutte le sue parole sono offerte di lavoro.
E tutta la nostra gioia
è essere occupati da Lui, perché è molto triste essere disoccupati. Noi non ce
ne rendiamo conto, ma pensate se foste disoccupati da mattino a sera: quale
tristezza! Ora, rendiamo conto che noi interiormente siamo disoccupati da
mattino a sera.
Pinuccia: Perché “… nessuno ci ha presi…”
Luigi: Perché “… nessuno ci ha presi a lavorare…”
Pinuccia: Lui ci vuol prendere, ma noi
non ci lasciamo prendere.
Luigi: Lui ci prende, ma si capisce,
con Dio non avviene mai niente di automatico. Dio ci prende in quanto noi ci
offriamo, vogliamo: c'è la partecipazione. Ora, Dio, attraverso tutti gli
avvenimenti, attraverso tutte le cose, fa giungere a noi le sue offerte di
lavoro, ci presenta un campo di lavoro: “Va
a lavorare nella mia vigna; c'è questo da fare, c'è quell’altro da fare, ecco,
impegnati li!”, e noi non lo vediamo, e poi ci accorgiamo che siamo sempre
disoccupati dentro, sempre vuoti.
Ora, il segno della
disoccupazione interiore è un brutto segno, da cui dobbiamo cercare di uscire
il più presto possibile. Dovremmo essere sempre occupati, non solo, ma avere
una sovrabbondanza di lavoro che ci aspetta. L’uomo vive nella misura in cui si
sente interiormente occupato, impegnato. L’uomo non vive fuori, l’uomo vive
dentro! Ma se l’uomo interiore è disoccupato, è un uomo morto; è un uomo
che patisce la morte, aspetta la morte anche esterna, non può farne a meno;
anche se lavora da mattina a sera, non può farne a meno.
Non è altro che
spettatore della sua disintegrazione, della sua morte; assiste alla sua morte
progressiva, perché la vita viene dall’interno, viene da Dio, (Dio abita
nell’interno di noi), nella misura in cui noi siamo occupati con Lui.
E la prima
preoccupazione che dobbiamo avere è questa: “Signore,
dammi, fammi arrivare un po’ del tuo lavoro di modo che io abbia la mente
impegnata con Te e non abbia a correre a destra e a sinistra!”.
Eligio: Però possiamo fare
contemporaneamente due lavori, perché per fare quello vero c'è bisogno di
lasciare l’altro lavoro e chiuderci in una Trappa.
Luigi: Certo, è logico. Comunque
il lavoro con Dio è l’unico lavoro essenziale. Il vero lavoro è questo; se
c'è questo, qualunque lavoro uno faccia, può anche fischiare da mattino a sera,
è felice e contento e si sente pieno di vita; qualunque cosa faccia: se è a
contatto col pubblico, canta la sua vita dentro; ma se manca quella vita
interiore, non c'è niente fuori che la possa supplire. L’uomo che è vuoto
dentro, tu puoi impiegarlo da mattina a sera, ventiquattrore su ventiquattro,
ma non lo fai vivere, come tu non fai vivere un albero se è secco: metti pure
tutto il letame che vuoi attorno all’albero, se l’albero è secco tu non lo fai
vivere. Quindi quello che conta non è il letame; quello che conta è
che l’albero sia vivo.
Eligio: Però ci sono delle circostanze
che favoriscono, perché ad esempio in quel viaggio in cui quella persona mi
chiese una spiegazione sul Vangelo, io mi sono messo a pensarci con tutto il
mio impegno e tutte le mattine avevo proprio la mia occupazione e chiedevo luce
allo Spirito Santo.
Luigi: Ecco, Dio ti aveva occupato.
Ma Dio ti vuole occupare e se noi siamo attenti, queste occasioni ci vengono
offerte in continuazione.
Eligio: Ma ci sono occasioni più
propizie. Certo se non mi fosse stata rivolta
quella domanda forse avrei trascorso quei giorni con meno tensione
spirituale, forse più disoccupato.
Luigi: E quello cosa ti dice? Che Dio
ti ha mandato un’offerta di lavoro! Ora, se noi fossimo attenti, Dio ogni
giorno ci manda queste offerte di lavoro: è che il più delle volte noi non lo
vediamo. Ogni giorno Dio ci manda delle offerte di lavoro! Ogni giorno!
Li è stata specifica, chiara, ma quella è stata un segno per invitarci (perché
Dio ci manda dei segni) a vedere queste offerte di lavoro in tutto. Dio
naturalmente ci sorprende in certi punti particolari, ma sempre per educare noi
a vedere queste offerte di lavoro. Più noi conosciamo Dio e più ci accorgiamo
che Lui ci manda le sue offerte, perché guai se Lui non ci prendesse! È Lui che
prende! “Non siete voi che avete scelto
Me, ma sono Io ho scelto voi; che ho scelto e che scelgo voi!”. Se Lui non
dà a noi il lavoro, noi siamo disoccupati! Noi da soli non possiamo darci il
lavoro. Ecco, il lavoro ci viene da Lui. È Lui con il suo Spirito che ci
impegna; se ci troviamo qui è perché è Lui che ci impegna a lavorare. Ma noi, se
fossimo attenti, ogni istante troveremmo segni attraverso i quali ci propone
argomenti suoi; ci propone argomenti; quindi sono offerte di lavoro, di vita
eterna.
Eligio: Sono segni che però non hanno la
chiarezza di queste che udiamo qui: questi oggi sono chiari, poi domani sul
lavoro già meno, perché uno intoppa con problemi nuovi (che possono ad esempio
essere il rivestimento della caldaia che è saltata); anche questo è un modo di
parlare del Signore, però io preferisco sentire parlare il Signore col Vangelo
di San Giovanni che affrontare ad esempio il problema della caldaia.
Luigi: Però tu capisci che se ci
occupassimo veramente col Signore, vedremmo i suoi segni in tutto? Noi
facciamo un po’ come quel disoccupato che cerca il lavoro e, anche se non
arriviamo forse a dire come lui: “Neh che
non c'è lavoro per me?”; però alla prima difficoltà, il più delle volte,
diciamo: “Io questo non lo capisco, quel
lavoro non è fatto per me, quest’altro è troppo faticoso!”, cioè scappiamo.
E allora il Signore ci manda dei segni un po’ diversi che ci umiliano (ad
esempio la caldaia che scoppia); però se noi fossimo capaci di restare nel
lavoro, perché il difficile è li, tutto ci aiuterebbe. Le offerte di lavoro
Dio ce le manda quotidianamente, ma noi di fronte alla prima distrazione
(basta un volo di rondine e la nostra mente parte in aria), ci sottraiamo al
nostro lavoro. Ecco, non siamo capaci a lavorare: quante volte lo
esperimentiamo con tanta povera gente che viene a chiederci un po’ di lavoro e
ci accorgiamo che non sono capaci di lavorare; segno che non siamo capaci a
lavorare con Dio. Per cui Dio ci dà il lavoro, ci dà la possibilità di
guadagnarci la vita, di entrare nella vita, ma noi purtroppo riveliamo questa
incapacità a lavorare con Lui; e allora Lui le sue offerte di lavoro le
deve degradare, degradare, degradare a quei linguaggi che sono accessibili alle
nostre capacità. Noi non siamo capaci ad essere fedeli a Lui nel campo dello
Spirito, ma forse un altro linguaggio, una pedata, ad esempio, lo capiamo un
pochino meglio; e allora Lui scende; ma è la nostra incapacità che fa
scendere Dio alle offerte di lavoro plateali, banali nella nostra vita,
perché noi non siamo capaci ad essere liberi ad esempio, e allora naturalmente
Lui deve adeguarsi ad un lavoro da schiavi; non siamo capaci ad essere fedeli
nel molto e allora Lui deve degradare la Sua richiesta di fedeltà a piccole
cose: “Ecco, sii fedele almeno in questo,
cerca di essere fedele in quell’altro” per cercare di recuperarci.
Eligio: Io ho la convinzione che se ci
trovassimo ad esempio tutti i giorni a parlare di queste cose, mi risulterebbe
più facile restare nel Pensiero di Dio, e lo dico proprio constatando la mia
debolezza a restare.
Nino: È perché ci lasciamo prendere
da altri rumori; cioè non è che Dio diventi difficile nei suoi discorsi, ma
siamo noi che non siamo capaci di prestargli attenzione quando usciamo di qui.
Luigi: Se noi fossimo capaci a
tener preziose le cose che Lui ci fa arrivare e lavorare nelle cose che ci fa
arrivare e come ce le fa arrivare, io penso che molto presto Lui allargherebbe
gli spazi degli incontri, delle conversazioni, della preghiera. Ma noi
dovremmo essere molto attenti ad essere fedeli a quelle cose che Lui ci fa arrivare,
perché noi il più delle volte andiamo alla ricerca di altro e non ci accorgiamo
o disprezziamo, o trascuriamo, quelle cose che Lui ci fa arrivare. Siamo sempre
li con la pretesa: e altro! E altro! Ma dico: comincia a mangiare questo
cibo che ti ho messo davanti. Vedi, il più delle volte noi non siamo capaci ad
essere fedeli.
Nino: Noi consideriamo Parola di Dio
solo questa del Vangelo e invece è tutto parola di Dio.
Luigi: È tutto parola di Dio. Certo,
questa Parola di Dio (il Vangelo) è diversa in quanto è il sillabario che deve
insegnarci a leggere l’altra.
Nino: E invece mi capita che dopo
aver udita questa, chiudo la porta, come se fosse una parentesi, e accolgo ciò
che viene dopo come fosse un altro capitolo.
Teresa: Ma Lui comincia a darci qualche
ora di lavoro; se noi siamo fedeli Lui ci farà lavorare a tempo pieno.
Luigi: Vedi, siamo sempre li: noi
dovremmo essere attenti, perché il Signore manda i suoi doni, Lui non ce li
lascia mancare, però dobbiamo essere capaci ad apprezzarli; noi il più delle
volte trascuriamo i doni che Lui ci manda per cercare altro; il Signore invece
vuole che noi non pretendiamo altro, ma che cominciamo a valorizzare quello che
Lui ci fa arrivare. Se noi siamo capaci a valorizzare quello che Lui ci fa
arrivare, stai tranquilla che Lui i suoi doni non ce li lascia mancare. Lui non
è Uno che misura, che sia avaro nei suoi doni; siamo noi che siamo in difetto.
Nino: C'è proprio bisogno di
un’educazione anche spirituale.
Luigi: Certo, è logico, ma il
fondamento dell’educazione sta li: nel sapere apprezzare ciò che uno ha, non
nel cominciare a desiderare ciò che uno non ha. Incomincia ad apprezzare quello
che tu hai a disposizione; incomincia a valorizzare, a camminare con quello
che hai a disposizione, non incominciare a sognare quello che non hai, perché
incominciando a sognare quello che non ho, io senza rendermi conto, trascuro
quello che non ho.
Il Signore ad un certo
momento mi dirà: “Io ero con te e tu non
hai saputo vedermi, sognando altro!”. Cioè mi cercavi mentre io ero con te,
mi cercavi lontano mentre io ero qui presente e parlavo con te. Ora bisogna
incominciare a valorizzare, perché forse il Signore mi sta dando i doni di cui
io ho bisogno, i doni che io sospiro magari lontano, il Signore me li sta
dando, se io sto attento a valorizzare quello che Lui mi presenta giorno per
giorno, perché i doni di vita il Signore giorno per giorno, ce li fa arrivare:
siamo noi in difetto, non è Lui in difetto. Per cui se io dico: “Il giorno in cui io fossi missionario; il
giorno in cui io fossi in una trappa; il giorno in cui io fossi in pensione;
sarei libero e allora potrei dedicarmi a questo e a quello!”. No! No!
Perché se tu oggi come oggi non sai vedere, non sai apprezzare, non ti impegni
in quel lavoro che Dio oggi ti offre per la tua vita eterna, domani, quando
sarai in pensione, sarai in una trappa, sarai in un deserto, sarai in missione,
sarà peggio, perché magari avrai tanto tempo a disposizione e lo sprecherai
tutto.
Eligio: Più che un problema di
educazione da parte dell’ambiente è un problema di fede e di amore.
Rina Ma un po’ di disciplina ci
vuole: magari moderare qualche parola, non distrarsi, ecc..
Eligio: Ma lo si deve fare per amore,
se no facendo questo, posso arrivare ad esaltare il pensiero di me stesso.
Ines: Certo che è difficile, perché
il nostro io si infiltra dappertutto, anche quando faccio una parola.
Luigi: Certo, il pensiero del nostro
io non deve entrarci. Il pensiero del nostro io non deve entrarci. Il pensiero
del nostro io ci è dato per glorificare Dio. Il pensiero del nostro io ci è
dato per essere spettatore delle opere di Dio, per glorificare Dio. Noi viviamo
nella misura in cui glorifichiamo Dio.
Franca: Quindi uno deve
riconoscere ad esempio che è Dio che ci ha fatto tacere quella parola, che ci
ha fatto stare zitti, ecc..
Luigi: No, mica lo si fa per stare
zitti; il problema non è stare zitti, come il problema non è andare nel
deserto. Il problema non sta li: tu fai silenzio. Perché? quand’è che fai
silenzio? Tu fai silenzio per ascoltare qualcuno, in quanto l’altro parla.
Anche se facesse mezz’ora di silenzio, per far silenzio, tu parleresti dentro:
sei sempre tu che parli. No, non è cosi: si fa silenzio per ascoltare l’Altro.
Quindi il problema è ascoltare l’Altro. Ora, l’Altro parla per manifestarmi il
suo pensiero, e allora faccio silenzio per ascoltare l’Altro e per arrivare a
capire il pensiero dell’Altro. Il Pensiero dell’Altro è il Verbo. Quindi la
meta del mio silenzio è quella di arrivare alla presenza di Dio, è quella di
arrivare a scoprire la Presenza di Dio, perché Lui mi sta parlando per
rivelarmi il suo Pensiero che è già presente in me.
Ines: Quindi lo star zitti per fare
attenzione è buono…
Luigi: Ma certo, l’attenzione ci va
perché debbo mettermi in disposizione di ascolto. Attenzione, vuol dire
disposizione ad accogliere Colui che mi sta parlando. Ma mi sta parlando per
che cosa? Mi sta parlando manifestarmi il suo Pensiero. Quindi lo scopo del mio
silenzio è quello di arrivare al Pensiero di Colui che mi sta parlando.
Rina Quindi ci vuole un’educazione
all’ascolto.
Luigi: Certo!
Eligio: Ma come premessa deve avere un
interesse di amore.
Luigi: L’interesse per Dio! Interesse
per Dio! Quando noi leggiamo qui ad esempio: “Come potere credere voi che
mendicate la gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che
viene dall’unico Dio?”; abbiamo ascoltato. E adesso: “Cosa, Signore, mi vuoi dire? Quale pensiero di te mi vuoi manifestare
in questo?”. Qui adesso abbiamo sentito una parola, l’abbiamo ascoltata: ma
tra l’ascolto della parola e arrivare a vedere il pensiero di Dio in questa
parola, c'è dello spazio, perché noi ascoltiamo la sua parola, ma non vediamo
il suo pensiero.
Allora questo è il lavoro;
Dio ci offre del lavoro: “Adesso io ti ho
fatto sentire la mia parola, ti ho offerto del lavoro: impiegati per arrivare a
capire quello che ti voglio dire”, perché Lui mi sta parlando
personalmente. “Quindi, impiegati, datti
da fare per arrivare a capire quello che ti voglio dire”. Se Dio parla, non
dobbiamo dire: “Ma tu, Signore, mi hai
fatto tonto o tonta!”. No, non posso giustificarmi, perché se Lui mi parla,
sa a chi parla. Se Lui mi fa arrivare questa parola, se me la fa arrivare Lui,
il mio Creatore, vuol dire che mi ha dato i numeri per capire la sua parola,
altrimenti non me la farebbe dire nemmeno.
Se me la dice, non mi
prende mica in giro. Io prenderei in giro quella persona alla quale mi mettessi
a parlare in inglese quando l’inglese non lo conosco, e non mi può capire. Ma
se invece Dio parla, certamente parla a delle creature alle quali ha dato la
possibilità di capire quello che Lui dice, perché non le prende in giro. Noi
tra noi che siamo cattivi possiamo prenderci in giro, ma Dio non ci prende in
giro.
Allora, se parla, se fa
arrivare a noi la sua parola, dà anche a noi la possibilità di capire la sua
parola; cioè di arrivare al suo Pensiero. Però non c'è nessuno che possa fare
al posto nostro questo lavoro. Non c'è nessuno che possa mangiare al posto
nostro: e questo è mangiare, il vero mangiare; non c'è nessuno che possa
mangiare al posto mio. Dio ci offre il pane da mangiare, ma io debbo mangiarlo
personalmente. Non posso dire: “Mangia tu per me!” ad un altro. No, questo non
serve; è questo il lavoro che chiede; è questa l’occupazione che Dio dà ad ogni
uomo. Allora Dio fa arrivare a noi la sua parola. Facendo arrivare a noi la sua
Parola e proponendoci di capirla, ci impiega, ci offre il suo lavoro, e questa
è la vera preghiera: elevazione dell’anima al suo Pensiero, al Pensiero di Dio.
Si parte dalla sua
Parola per arrivare al suo Pensiero. E se noi arriviamo, se facciamo questo
lavoro, otteniamo un frutto di vita eterna, una mercede, una ricompensa di vita
eterna, cioè una ricompensa di conoscenza di Dio.
Ines: E non ci esauriamo.
Luigi: E non ci esauriamo perché
diventa vita eterna.
Ines: E noi abbiamo bisogno di tutte
le altre parole non scritte?
Luigi: Soprattutto di questa scritta,
perché la Bibbia, il Vangelo è il sillabario. Quando noi vogliamo imparare la
lingua, abbiamo bisogno di un sillabario, di una grammatica. Questa è la
grammatica che il Signore ci mette nella mani, attraverso le quali Lui ci
insegna a lavorare con tutte le altre parole. Lui parla in tutto, ma questa parola
è per insegnarci a capire le parole che Lui dice in tutto. Questa è la
grammatica. Se io non mi impegno qui, me lo posso sognare di arrivare a capire
ciò che Dio dice in tutto! Si, posso dire: “Dio
parla in tutto”, però non capisco mai, non potrò mai arrivare a capire se
trascuro la grammatica. Perché questa è la Parola del Figlio di Dio, attraverso
la quale Dio mi fa capire il suo Pensiero. Qui abbiamo il Pensiero di Dio, il
Verbo, ed è quel Verbo che parla a noi in tutto e che ci invita a scoprirlo in tutto. Però qui Lui ce ne parla
direttamente. Per cui qui abbiamo il Verbo di Dio che ci dice: “Guarda che nella tale parola, nella tale
parabola, nel tale fatto, nella tale scena, io intendo questo e te lo spiego; e
allora tu tutte le volte che troverai una scena cosi, una parabola cosi, un
avvenimento cosi, una parola cosi, sono Io che voglio dire questo…”. E cosi
ci educa. Quando impariamo una lingua straniera, ad esempio il francese, cosa
facciamo? Incominciamo con una parola italiana, e vicino a quella parola
italiana mettiamo una parola francese. Allora, tale parola francese vuol dire
la tale parola italiana; quando sento questa parola intendo quell’altra.
È tutto cosi: bisogna
arrivare al pensiero.
Il pensiero però
essendo spirito, si esprime nei segni, ma non si identifica mai nei segni.
Quindi i segni sono
soltanto delle offerte di lavoro, ma non sono il lavoro. Quando uno mi offre un
lavoro: “Fammi questo lavoro”, mi fa
arrivare un messaggio, un invito, ma non è il lavoro. Per avere il lavoro mi debbo
impegnare in quello. Allora ogni parola che giunge a noi è un’offerta di
lavoro per arrivare al Pensiero di Dio.
Il Pensiero è vita
eterna, se arriviamo a quello; ma a quella vita eterna noi non arriviamo se non
ci impegniamo sulla parola che Dio fa arrivare a noi.
Ines: Quindi per il fatto che
sappiamo che c'è la Parola di Dio scritta, siamo impegnati a conoscerla, perché
se Dio ce la dice, la possiamo capire.
Luigi: Certo, in quanto il Signore ce
la offre, ci dà la possibilità di capirla. Magari ci costerà della fatica, ma
possiamo capirla.
Ines: E a chi non arriva mai questa
Parola scritta?
Luigi: Per migliaia di anni tutta
l’umanità è vissuta in attesa di questo, e non c'era. Però nell’attesa si forma
il desiderio, si forma la fame. Dio, prima di darci questo, forma in noi la
fame, opera per formare in noi il bisogno, la fame di questa. Il giorno in cui
l’incontrerò dirò: “Oh, l’aspettavo da
tanto, lo desideravo!”.
Eligio: Quindi non cercando la gloria di
Dio, noi necessariamente mendichiamo la gloria degli altri.
Luigi: Certo, non possiamo farne a
meno, e perdiamo la fede. Anche se l’avessimo, la perdiamo, non possiamo farne
a meno, perché noi sostituiamo un’altra gloria alla sua gloria; tu capisci: se io
mi avvio verso Torino, non posso certamente andare a Cuneo. Qui Gesù lo dice
chiaramente: “Come potete credere…?”.
Dicendo: “Come potete …” rivela
proprio una incompatibilità. C'è una incompatibilità: “Come potete credere voi che mendicate gloria gli uni dagli altri e non
cercate la gloria di Dio?”. Vuol dire che fintanto che cerchiamo la gloria
di Dio gli uni dagli altri non possiamo credere. Qui rivela una condizione di
incompatibilità: vuol dire che la fede in Dio è incompatibile con la ricerca
della gloria, con la ricerca della figura. Il che vuol dire in termini poveri:
che l’uomo esteriore è incompatibile con l’uomo interiore; cioè la crescita
dell’uomo esteriore è incompatibile con la crescita dell’uomo interiore.
Eligio: Soprattutto l’atteggiamento di
indifferenza e di apatia.
Luigi: Non esiste. Non posso far a
meno, perché io se non ho aperto a Dio la porta, apro la porta a quella
creatura perché già dentro di me ho tradito Dio, e allora la creatura arriva a
me in quanto alletta il mio desiderio di gloria, arriva cioè con una proposta
che alletta il mio desiderio di gloria; ma io ho già dentro di me il desiderio
di gloria: ho già posto il mio io al posto di Dio, allora necessariamente il
mio io apre la porta alle creature, perché le creature le posso
strumentalizzare, oppure mi esaltano. Allora dico: “Signore, come mai tu hai creato un mondo che ci inganna?”. No!
Sono io che ho seminato, fatto la menzogna dentro di me; e allora se io faccio
la menzogna dentro di me, sono ingannato dalle opere stesse di Dio. ma Dio non
opera per ingannarmi. Se io facessi la Verità (“Chi fa la Verità arriva alla
luce”) dentro di me, tutte le creature mi aiuterebbero a vedere la Verità. Se
io invece faccio la menzogna dentro di me, io sono a mia volta ingannato da tutte
le creature. Allora tutte le creature mi deludono, ma mi deludono perché io ho
deluso Dio.
Eligio: Quindi praticamente Gesù ci
insegna qui che non esiste il dubbio: se dubito è perché ho posto un idolo al
posto di Dio.
Luigi: Dio è la certezza; più mi avvicino
a Dio e più entro in una certezza, in luce; più mi allontano da Dio e più
sprofondo nei dubbi, perché lontano da Dio ho i dubbi su tutto, ma qui proprio
perché ho messo altro al posto di Dio, ho messo un assoluto al posto di Dio.
Però in questo assoluto non è che io trovi la pace, non è che io trovi la
certezza; quando io metto qualcos’altro al posto di Dio, non è che l’altro mi
sostituisca Dio come Dio, no, l’altro mi delude, l’altro mi confonde, l’altro
mi lascia nell’incertezza, l’altro mi lascia nell’angoscia, non può darmi la
pace che mi dà Dio, non può darmi la luce che mi dà Dio, quindi non mi può dare
la certezza. Quindi più noi ci allontaniamo da Dio e più navighiamo nei dubbi,
nelle incertezze; ma questo è il segno che abbiamo sostituito un altro assoluto
al posto di Dio.
Nino: Però questo idolo non ci
illude subito, per cui per un po’ di tempo noi arriviamo ad una certezza e
crediamo di vedere, pur essendo nel buio.
Luigi: Ci illudiamo; la nostra
illusione è un’esaltazione…
Nino: Ma si è convinti di essere
nella Verità. Ad esempio si dice che molti delle Brigate Rosse è gente uscita
dalle file dell’Azione Cattolica, quindi…
Luigi: Tu vedi con che facilità si
passa dall’Azione Cattolica al comunismo, e come un sacerdote ad un certo
momento diventi comunista; come te lo spieghi questo?
Nino: Cioè l’inganno a loro non è
stato chiaro. Essi sono passati da una certezza ad un’altra certezza.
Luigi: Io direi però una cosa, perché
Dio non ci inganna e non ci lascia passare da una certezza ad un’altra certezza:
è perché già dentro di te hai seminato qualcosa di diverso da Dio. Hai seminato
il desiderio della tua gloria, e allora naturalmente resti illuso, altrimenti
Dio non permette. Chi mette Dio prima di tutto non può essere ingannato.
Nino: Hai ragione, però è che si va
fuori strada senza rendercene conto.
Luigi: D’accordo, ma sai perché si va
fuori strada senza rendercene conto?
Nino: Noi adesso lo vediamo perché
si va fuori strada senza rendercene conto: però ci siamo andati fuori strada
senza rendercene conto.
Luigi: Si, senza rendersi conto. Però
dentro di te avevi il pensiero del tuo io che ti faceva amare il denaro, che ti
faceva amare la carriera, che ti faceva amare la figura; allora c'era altro da
Dio.
Nino: Adesso uno lo capisce, ma
allora uno vedeva solo che stava affondando nelle sabbie mobili e non sapeva il
perché.
Luigi: Certo, è logico, chi si
allontana non può sapere il perché, perché per saperlo bisogna già avere la luce
della Verità; se no non puoi saperlo. Chi si allontana non lo può sapere. Chi è
con Dio vede chi si allontana, ma chi si allontana non si può vedere.
Pinuccia: Comunque se si è in buona
fede, Dio ci recupera sempre.
Luigi: Dio opera per recuperarci, ma
non è detto che la cosa avvenga automaticamente. Dio opera per recuperarci, è
logico, fino alla vita eterna; Dio opera per recuperarci, per farci capire gli
errori, per deluderci, per farci battere il naso e farci prendere tante
cantonate; Dio lo fa questo, in continuazione: non è detto che lo ottenga.
Pinuccia: Ci vuole la nostra risposta.
Luigi: Certo, e poi soprattutto ci
vuole l’apertura a Dio, perché senza apertura a Dio, noi per quante cantonate
Dio ci faccia prendere non rinsaviamo; non abbiamo noi il potere critico; non
rinsaviamo; perché noi le cantonate le attribuiamo a: difetti della società,
colpa di persone, destino e mali; noi non possiamo far altro che attribuirle ad
altri, anziché a Dio. Se noi non ci convinciamo che dobbiamo mettere Dio come
punto fisso di riferimento, anche tutte le lezioni che Dio ci dà, noi le
travisiamo, perché le attribuiamo ad altri da Dio. È importantissimo: Dio è il
Principio. Noi dobbiamo convincerci che dobbiamo partire da questo Principio.
Non dobbiamo partire dall’uomo, non dobbiamo partire dalla società, non
dobbiamo partire dalla virtù, dobbiamo partire da Dio. Ecco, è soltanto
partendo da Dio che si entra nel Regno di Dio. Fintanto che non ci convinciamo
che dobbiamo mettere Dio come principio, perché: “Io sono il Principio e non altro”, noi non possiamo rinsavire. E
anche tutte le lezioni che Dio ci dà, noi le travisiamo, per cui da parte di
Dio vengono buone e noi le facciamo diventare cattive.
Nino: Non possiamo neppure partire
dal proposito di sotterrare il nostro io, ma “Cercare prima di tutto Dio”.
Luigi: Bisogna partire da Dio. Perché
Dio l’ha detto: “Io sono il Principio, Io
sono il Fine”. È una parola che non possiamo smentire, è una parola eterna.
“Io sono il Principio: se Io sono il
Principio, mettimi come Principio; Io sono il Fine, se Io sono il Fine, mettimi
come Fine”. Quindi tuo Principio di vita, tuo Fine di vita, deve essere
Dio. Allora noi batteremo delle cantonate, magari arriveremo all’agonia,
perderemo tutto, fintanto che non ci decideremo a partire da Dio. E ci sarà
sempre questa parola: “Io sono il
Principio: mettimi come Principio”. Il giorno in cui noi cominciamo a
metterlo come Principio, Lui ricostruisce tutto. Ma prima noi dobbiamo
accettarlo come Principio. Partire da Dio per arrivare a Dio.
Angelo: E quella convinzione bisogna
averla sempre…
Luigi: Si, perché quando tu metti una cosa come Principio, non
la metti a parole: “L’ho messa come
principio!”. Quando tu ami una persona, non dici: “Per adesso ho detto che la amo!”. Ma tutti i giorni la debbo
amare! Cosa vuol dire amare? Vuol dire che tutti i giorni tu la devi preferire
ad altri. Cosi è lo stesso, se tu metti Dio come Principio, Lo devi mettere
come Principio tutti i giorni, come prima cosa, come punto fisso di
riferimento; non possiamo noi… accontentarci di dirlo. È un prima di tutto, per
cui non basta dire: “Signore io mi
consacro a te”. Adesso mi sono consacrato e non ci penso più. Eh, no! Quel
prima di tutto, ogni giorno tu lo devi mettere prima di tutto, altrimenti è
fasulla la tua consacrazione, la tua dedizione. Vuol dire che io mi debbo
dedicare a questa cosa prima di tutto, come cosa che mi sta più a cuore.
Angelo: Magari ci riuscirò all’ultimo
giorno…
Luigi: E va bene, c'è da augurarsi che
per misericordia di Dio, noi riusciamo all’ultimo giorno. Perché anche
nell’ultimo giorno si entra nella vita eterna. Il buon ladrone è entrato
nell’ultimo giorno, però è entrato; da parte di Dio, Lui fa tutto per farci
entrare. Non ci lascia mancare assolutamente niente. Ora: “Io sono il Principio, Io sono il Fine”, vedi che è un’offerta di
lavoro da parte di Dio? Lui mi dice: “Io
sono il Principio”. Dicendolo a me, invita me a metterlo come Principio:
allora parti da Me, non partire da altro. Ecco l’offerta di lavoro. Io ho un
punto fisso da cui partire, a cui tutto riferire. Questo è vivere. La volta
scorsa abbiamo detto che l’uomo interiore veramente vive in quanto
quotidianamente rinasce in questo Principio: è un rinnovamento continuo in
questo Principio, per cui tutte le cose Lui le riporta sempre in questo
Principio. Tutte le cose vengono da Dio, tutte le cose le debbo riportare in
Dio. Ma riportandole a Dio, l’uomo vive, l’uomo interiore vive.
Pinuccia: Il più è “lasciarci prendere”…
Luigi: Anche li avrei tante parole da
dire… noi con la scusa di lasciarci prendere…..
Lui ci può dire: “Ma come? Io tutti i giorni sono qui per
prenderti e tu dici: il più è lasciarci prendere?”
Rina Lasciarci prendere vuol dire
essere disponibili a Lui.
Luigi: Si, però tu capisci che Lui
viene per prenderci e viene a tutte le ore e noi a dire: “L’importante è lasciarci prendere”. È come se dicessi: “L’importante è lasciarmi prendere dal
lavoro!”, ma il lavoro ce l’hai li: lavora! Datti da fare! Il lavoro
c'è. Dio ti offre il lavoro ed io dico: “L’importante
è che io mi lasci prendere dal lavoro!”. Ma no, anche se non ti lasci
prendere dal lavoro, lavora! Il lavoro ti è dato!
Teresa: Se ci sta a cuore lo facciamo!
Luigi: Ecco, se ci sta a cuore. Il
lavoro ci viene dato!
Pinuccia: È che non vediamo il lavoro a
volte…
Luigi: E allora c'è da pensare: perché
non vediamo il lavoro? Perché non lo vediamo? È perché vediamo altro,
altri lavori. Noi siamo avvolti da una rete infinita di abitudini, di
riflessi condizionati che ci siamo creati noi vivendo per altro. Noi viviamo
sostanzialmente senza pensiero, senza pensiero vero. Mi alzo al mattino,
faccio questo perché sono abituato a fare questo, vado al lavoro perché sono
abituato a fare quello, e facciamo tutto cosi; il nostro vivere è tutto un
riflesso condizionato, non c'è l’anima in noi. L’anima non vive. Il pensiero
dovrebbe essere sempre fresco in noi, una creatura nuova, continua, giorno per
giorno, in Dio, nell’Assoluto.
Dio mi dà questa
giornata per conoscerlo di più, per entrare di più nella vita eterna, perché
nella vita eterna devo entrare oggi.
Ogni giorno è
un’offerta di vita eterna che il Signore mi fa, ed io lo spreco in cose banali.
Sostanzialmente non pensiamo, cioè non colleghiamo il fatto di oggi con
l’Assoluto di DIo; perché pensare vuol dire questo: collegare quello che Dio
mi fa arrivare con il suo Assoluto, unificare con il suo Assoluto.
Collegandolo con il suo
Assoluto scopro la sua presenza, cioè entro nella vita eterna, per quello che
Lui mi ha dato da raccogliere; ma entro nella vita eterna per quello che, e
quello diventa per me luce eterna.
Eligio: Da miliardi di anni Dio ha
messo in movimento tutto questo processo di evoluzione per far scaturire il
pensiero e noi lo sciupiamo.
Luigi: Certo, noi lo sprechiamo
perché altrimenti: “Come faccio a
mangiare, come faccio a vestirmi…”. E la grande tristezza della nostra vita
è questa: che Dio ci ha dato tutto, per far scaturire una scintilla di pensiero
di Sé da noi e noi passiamo tutta la nostra vita a preoccuparci di questo e di
quello, perché abbiamo paura di questo e di quello, e non pensiamo. Perché noi
adoperiamo il nostro pensiero, che Lui ha dato per conoscere Lui, lo adoperiamo
per i nostri affari, affari al cui centro c'è il pensiero dell’io. E li sta
tutto il tradimento ed è logico, mentre sarebbe già tutto fatto: “Guardate gli uccelli dell’aria….” dice
Gesù.
Eligio: La nostra anima è diventata
una casa di traffico…
Luigi: Una spelonca di ladri.
E come potete
credere voi che mendicate la gloria gli uni gli altri, e non
cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Gv 5 Vs 44 Quinto tema.
Argomenti: L’importanza di avere un lavoro interiore. L’uomo disoccupato è lo specchio del nostro uomo
interiore disoccupato. Quello che ci fa
lavorare è l’orientamento al nostro destino, al nostro fine. Dio si è fatto nostro lavoro. Quello che impedisce a noi di ascoltare, di avere
l’Occupazione interiore, è un’altra occupazione. La parte migliore di Maria. Quello che rende incostanti, è il pensiero del nostro
io. È il nostro io che dà valore (alterato)
alle cose. Quello che
modifica quello che io sono è soltanto l’Essere. La mancanza di volontà è una conseguenza del non essere
presi, perché non guardiamo Dio. Convincerci
del destino per cui siamo stati creati. L’amore
umano, Tende a convivere.
27/Maggio/1979
Dal Libro del profeta
Daniele 3,3-57
“Opere del Signore benedite
tutte quante il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli…”
Salmo 117
“Celebrate il Signore
perché Egli è buono. Questo è il giorno fatto dal Signore…”
Dalla esposizione di Luigi Bracco:
Luigi: Fermandoci su questo versetto 44, abbiamo già considerato la
conflittualità tra la fede e la ricerca della propria gloria che il Signore ha
voluto mettere qui in evidenza; per cui fintanto che noi viviamo per cercare la
nostra figura, la nostra gloria dagli uomini, ci situiamo in una posizione di
impossibilità della fede. Poi abbiamo considerato a Vigna, in che cosa consista
la vita dell’uomo interiore, poiché meditando sopra la ricerca della gloria gli
uni dagli altri, abbiamo notato che nell’uomo ci sono due vite: c'è la vita
come ricerca dell’essere e c'è la vita come ricerca del sembrare, della figura.
Abbiamo anche notato come la vita nella ricerca dell’Essere (che dà luogo
all’uomo interiore), predomini sulla vita dell’uomo come ricerca del sembrare,
della figura; per cui per quanto l’uomo viva per sembrare, se dentro è vuoto,
quello non gli modifica ciò che egli è, l’essere interiore. Per cui l’uomo
interiore prevale sull’uomo esteriore, ma l’uomo esteriore non modifica l’uomo
interiore.
Adesso, io proporrei come
meditazione nostra la situazione della disoccupazione interiore, cioè l’uomo
interiore disoccupato (argomento iniziato già domenica scorsa). Noi nel nostro
mondo ci preoccupiamo molto di avere un lavoro, possibilmente fisso, a tempo
pieno, sorgente di guadagno, ma quello che maggiormente trascuriamo è di avere
un lavoro interiore. Ora, se ci siamo convinti che la vita dell’uomo interiore
è dominante sulla vita dell’uomo esteriore, non basta che il nostro uomo
esteriore abbia un lavoro, sia occupato magari durante tutto il giorno, se poi
il nostro uomo interiore è disoccupato. Tutto il nostro lavoro, tutte le nostre
preoccupazioni esteriori non servono a niente e non danno un briciolo di lavoro
all’uomo interiore, se l’uomo interiore è disoccupato. Ecco vorrei che si
mettesse possibilmente in evidenza questo fatto: l’importanza di avere un
lavoro interiore. Se noi non siamo occupati interiormente, per quanto
lavoriamo, fatichiamo, sudiamo interiormente, nulla vale.
Suggerirei alcuni pensieri
guida circa questo, soprattutto:
1) la
scena di Marta e di Maria. Marta rappresenta l’uomo esteriore, Maria l’uomo
interiore. Marta lavora molto, chiede aiuto all’uomo interiore, Maria; Gesù
capovolge la situazione. Gesù fa capire che chi lavora molto di più è Maria e
non Marta.
2) E teniamo anche presente soprattutto queste
frasi del Vangelo: Gesù che è venuto ad insegnare a noi soprattutto
l’occupazione interiore, il lavoro da fare dentro, (perché questo è
l’essenziale, questa è la parte principale, “l’unica
cosa necessaria”: avere questo uomo interiore occupato, avere la nostra
giornata occupata interiormente), a dodici anni dice a Maria e a Giuseppe
quando lo trovano nel Tempio: “Non
sapevate che mi debbo occupare delle cose che riguardano il Padre mio?”.
Ecco, questo lo dico per ognuno di noi, soprattutto per il nostro uomo
interiore, per la vita del nostro uomo interiore. Noi siamo stati creati per
occuparci come figli di Dio, quindi interiormente per occuparci del Padre
nostro di fronte a tutti quelli che ci cercano, noi dobbiamo sempre dire: “Non sai che io mi debbo trovare, mi debbo
occupare nelle cose che riguardano il Padre mio? Il mio impegno, il mio lavoro
è questo: occuparmi del Padre”.
3) In contrapposizione noi abbiamo anche quella frase della parabola
di Gesù dei lavoratori della vigna, dove il padrone che va ad assumere
i lavoratori, ad un certo momento rimprovera quelli che trova sulla piazza: “Perché ve ne state qui tutto il giorno a
fare niente?”. Ecco, teniamo presente che il disoccupato è colui
che fa niente e che il fare niente non è come possiamo intendere noi: fare
niente, perché il niente non esiste: non si può fare niente. Il niente va
sempre rapportato ad un tutto, che si deve fare, cioè ad una cosa necessaria,
per cui quando si trascura il necessario, tutto ciò che si fa è niente,
perché non si fa il necessario. Per cui questo il Signore lo dice a tutti noi
che siamo sulla piazza del paese, cioè all’uomo esteriore che vive sulla piazza
del paese: lo dice a noi che magari passiamo tutta la giornata li, e magari
siamo molto occupati in lavori esterni, ma dentro siamo disoccupati, per cui il
Signore ci chiede: “Perché passi tutta la
tua vita a fare niente?” cioè “Non
fai quell’unica cosa necessaria, cui ho accennato riguardo a Maria nei rispetti
di Marta?”.
Rispetto a questo teniamo
presente il versetto di San Giovanni nel Prologo che dice che “Senza di Lui tutto ciò che facciamo è
niente”, tutto ciò che si fa è niente senza di Lui. Cioè quando il
nostro uomo interiore non è impegnato con Dio, tutto quello che facciamo è
niente.
Eligio: Tra il niente e il necessario c'è tutta una gamma di
diversificazioni di posizioni…
Luigi: No, il niente scaturisce dal rapporto con il necessario (non
esiste il niente di per sé, come lo zero non esiste di per sé). Il niente è
sempre quando non c'è il tutto, quando non c'è l’essenziale, quando non c'è
l’essenziale tutto diventa niente, anche se fosse la cosa più santa di questo
mondo, è niente, lo direi in modo nettissimo: è niente. Cioè il resto non
conta. Se c'è il necessario tutto il resto viene valorizzato. È come se
avessimo tanti zero: per quanto noi moltiplichiamo gli zeri e facessimo una
fila infinita di zeri, il nostro numero vale niente; se mettiamo l’uno,
valorizza tutto. Così, tutte le azioni che noi facciamo, quando non c'è
l’essenziale, non c'è l’uno, valgono sempre zero, non facciamo altro che
ripetere lo zero. Se mettiamo l’uno davanti, allora questo valorizza tutto; ma
bisogna che ci sia l’essenziale.
Nel campo spirituale è questo: “Una cosa sola è necessaria – dice Gesù a
Marta – Maria ha scelto la parte migliore”. Quindi apparentemente sembra
che Marta faccia molto e che Maria faccia niente, perché ascolta.
C'è molto ancora da dire su
questo fatto: che l’essenziale del lavoro interiore, della vita interiore,
sia nell'ascolto, perché noi quando abbiamo visto in che cosa consiste la
vita dell’uomo interiore, abbiamo notato che l’uomo interiore vive nella
misura in cui continuamente riporta al Principio, riferisce tutto al Principio.
Ora, siccome il Signore continuamente parla a noi, tutto il suo parlare è
sempre una proposta di lavoro, perché ci impegna sempre a riportare tutto ciò
che Egli dice e fa a Lui. Ieri sera abbiamo visto che la vera vita inizia
soltanto nel riportare a Lui. Ora se Dio manda a noi tante cose, ci riempie di
proposte di lavoro.
Nino: Per questo Gesù ci dice: “È necessario pregare sempre”
Luigi: È necessario pregare sempre. C'è questo lavoro interiore da fare
in continuazione, perché Dio sovrabbonda sempre in richieste di lavoro; e noi
siamo sempre in difetto rispetto al lavoro che Dio ci offre. Non possiamo
essere disoccupati.
Comunque circa questa
disoccupazione interiore cerchiamo di mettere bene in evidenza quale sia la
fonte, la causa di essa. Noi molte volte diciamo: “Quel tale non ha voglia di lavorare”, cioè manca di volontà. Molte
volte uno non è preso dal lavoro o non è convinto di quel lavoro. Infatti cosa
rispondono quegli uomini che se ne stavano sulla piazza, quando il padrone
chiede loro: “Perché ve ne state tutto il
giorno a fare niente?”, rispondono: “Nessuno
ci ha presi a lavorare”. L’uomo da solo non può darsi il lavoro se non è
preso, se non è attratto. Bisogna essere presi, bisogna quindi essere convinti.
Quindi bisogna proprio cercare
di capire qual è la fonte della nostra disoccupazione interiore e quali sono
anche le conseguenze. Le conseguenze poi di questa disoccupazione le mette
molto bene in evidenza San Paolo nel I capitolo della Lettera ai Romani, dal
versetto 18 in poi, parlando dell’uomo che non si preoccupa di cercare la
gloria di Dio e di tutte le conseguenze che ricadono su di Lui. Anche la
Lettera agli Efesini capitolo II, versetto 4 e poi al capitolo V, soprattutto
il versetto 8 che è molto bello.
Come aiuto per capire cos’è
questa disoccupazione interiore, pensiamo a quando ci troviamo con un
disoccupato: quali sono le conseguenze della disoccupazione, e come viene a
trovarci, perché l’uomo disoccupato è lo specchio del nostro uomo interiore
disoccupato: si è in balia della piazza, in balia di tutti, si va a destra e a
sinistra a cercare chi ci offre del lavoro, o qualcosa; si resta schiavi di … e
si obbliga gli altri a lavorare per noi, a darsi da fare per aiutarci, ecc.
Rina E si arriva alla droga…
Luigi: E una delle conseguenze è questa: la droga. E noi siamo tutti
drogati, perché noi siamo molto disoccupati interiormente. L’uomo moderno è
tutto disoccupato interiormente. Quante persone non sanno lavorare
interiormente, sono disoccupate interiormente. Proviamo un po’ a chiedere:
“Dove sei occupato?” noi siamo molto occupati esteriormente…
Uno degli errori più grossi sta
li: oggi è la giornata dei mass-media.
Siamo tutti li alla ricerca di potenziare i mezzi di comunicazione, e
non ci accorgiamo che non abbiamo niente da comunicare: cosa comunichiamo?
Quando io avessi dei grandi megafoni e altoparlanti, cosa posso dire se non ho
niente dentro di me? non sono i mezzi da potenziare. Oggi come oggi l’uomo
moderno ha una infinità di mezzi a disposizione, ma non ha il fine! Non sa per
che cosa vivere! Che cosa comunichiamo? Diciamo niente! E noi crediamo con i
mezzi di riuscire a risolvere la situazione?
Nino: È che sbraita di più chi non ha niente da comunicare.
Pinuccia: Per riempire il vuoto.
Luigi: Certo, invece il problema è questo: dobbiamo cercare il messaggio
da comunicare. Quando arriva il messaggio, tutti i mezzi arrivano a
disposizione per comunicarli, noi invece andiamo alla ricerca dei mezzi senza
avere il messaggio. Come costruiamo delle grandi case e poi non abbiamo nessuno
da metterci dentro e non sappiamo cosa farne (cfr. la stazione di Savona).
Comunque l’importante è proprio tendere all’essenziale e il Cristo mette bene
in evidenza gli argomenti e i problemi essenziali, all’anima delle cose e non
preoccuparci poi dei mezzi. I mezzi sono tutti una conseguenza. Noi invece
purtroppo ci preoccupiamo di avere i mezzi prima di avere il fine. No, prima
cerca il fine; cioè prima cerca per che cosa devi vivere; devi sapere quello
che vuoi, quello che vuoi in senso eterno, in senso assoluto, per il quale sei
stato creato. Tutti i mezzi vengono dopo. E chiedendoci anche: quali rimedi
sono possibili per uscire da questa disoccupazione interiore.
Quindi:
1°) quali sono le causa'?
2°) quali sono le conseguenze?
3°) quali sono i rimedi possibili?
Eligio: È confortante per noi vedere dalla lettura della Messa
di oggi che anche gli apostoli a pochi giorni dalla Pentecoste rivelano di non
aver capito niente, e quindi di essere disoccupati interiormente, chiedendo a
Gesù: “È ora che ricostituirai il regno
di Israele?”.
Pinuccia: Il rimedio allora è lo Spirito Santo.
Luigi: Certo, in dieci giorni però c'è stato in essi un capovolgimento. E
quello è proprio una testimonianza della validità della discesa dello
Spirito Santo. Cioè non è stato un fatto loro: loro sarebbero stati con la
loro mentalità, perché l’uomo non può volere da solo nel campo dello Spirito. Se
non riceve lo spirito, da solo continua sempre terra terra con i suoi argomenti.
È Dio che quando i tempi sono maturi capovolge ogni cosa. Ma l’uomo da
solo non può volare.
Eligio: E pensare che stettero tre anni a tempo pieno con
Gesù.
Nino: Anche noi abbiamo la comodità di ricevere molto.
Luigi: E può essere un danno, perché si fa lavorare gli altri, e non
si cerca più personalmente.
Nino: E si pensa meno. Invece dovremmo fermarci di più a
contemplare ciò che Dio ha fatto e a rispettarlo.
Luigi: Noi siamo spettatori della gloria di Dio, e dobbiamo imparare a
approfondirla, a conoscerla per poterlo veramente lodare, glorificare.
Nino: O almeno per poterci vivere coscientemente, perché se
no sbagliamo sempre senza saperlo.
Luigi: Appunto perché manca la profondità di questa gloria di Dio di
cui Dio ci fa spettatori.
Eligio: Impegnando di più il nostro pensiero ad esempio sul
Vangelo, si colgono delle sintesi e nessi logici meravigliosi e allora si loda
il Signore.
Luigi: A noi manca la profondità, siamo in superficie e in superficie
vediamo tutto slegato e allora non possiamo glorificare Dio.
Ma per poco che approfondiamo, vediamo
la sintesi e cominciamo a cantare la bellezza di Dio, delle opere di Dio,
che sono una meraviglia: e diventiamo talmente meravigliati di questa bellezza,
che non osiamo più nemmeno toccarla, metterci la nostra mano, tanto è fatta in
modo perfetto. E allora l’uomo diventa sempre più contemplatore che attore,
perché sa che l’attore è Dio. Nella possibilità di cantare Dio, di poter lodare
Dio, per poterlo glorificare per la bellezza delle cose e la perfezione delle
cose che fa, lui trova tutta la sua vita. Ad un certo momento arriviamo a
sfiorare come la vita sia conoscenza, sia conoscere, perché in quanto noi
conosciamo la bellezza, la profondità, la sapienza che c'è in una cosa, non
osiamo più toccare quella cosa, ne parliamo soltanto più: la glorifichiamo. E li troviamo tutta la nostra vita. non
vogliamo più toccarla, e invece più noi siamo superficiali e più noi vogliamo
modificare e non ci accorgiamo degli sgarbi che facciamo; per cui tutti si trattengono
dal ridere nel vedere questa creatura cosi piccola che vuole cambiare il mondo.
Nino: A livello di gruppi nazionali e internazionali si
studia tanto per le ricerche scientifiche, per le fonti di energia, ma chi si
occupa della questione essenziale di vita? magari qualche persona isolata, e
anche se ci riunisce in gruppo, siamo dei dilettanti, degli impiegati a tempo
pieno, non dei professionisti… anche qui, io vorrei impegnarmi a tempo pieno,
ma….
Luigi: Il fatto di volere è già una cosa. Guarda che la via per uscire
dalla disoccupazione è proprio quella di incominciare a volere il lavoro,
perché il peggiore dei disoccupati è quello che non vuole lavorare, che ha
paura di lavorare.
Nino: Ma è necessario proprio dare un taglio con tante cose
e isolarsi, perché è proprio isolandosi per riflettere che possiamo ricuperare
poi tutto il resto; se no si continuano a fare gli sbagli senza saperlo.
Eligio: Ma se Dio mi vuole in una situazione esterna di
disagio, debbo accettarla, pur sognando un’occupazione interiore a tempo pieno.
Come faccio a spezzare le sbarre di ferro dietro cui mi trovo?
Nino: Io non sono convinto che “Dio mi voglia li”; Dio mi vuole li perché non sono ancora maturo per un’occupazione a
tempo pieno. Però io debbo volere…
Luigi: Si, devo maturare dentro. Non debbo preoccuparmi di
spezzare le sbarre; debbo preoccuparmi di maturare dentro.
Nino: Se interrogo Dio, Egli mi dice: “Tu non sei giustificato in quello che fai, anche se fai questo o
quello, ma sarai giustificato il giorno in cui avrai conosciuto Me”. Quando
mi avrai conosciuto, potrai ritornare, ma prima mi devi conoscere. Per ora io
ho una croce che non è quella di Cristo, ma è mia. Non posso fare confusione
tra le due cose; per Dio mi parla troppo chiaro. Dio è Luce e non ci dà le cose
confuse.
II PARTE
Luigi: L’argomento tratto dal versetto 44 è la disoccupazione dell’uomo
interiore: la causa, le conseguenze di questa disoccupazione interiore e
possibilmente trovarne i rimedi.
Cina: Sono disoccupata quando non ho presente il fine per
cui sono stata creata e allora vivo di abitudini, delle cose che premono e
prendono di più tutto subito, ecc.
Luigi: Quindi quello che ci fa lavorare è l’orientamento al nostro
destino, al nostro fine. Se noi non abbiamo questo, il nostro uomo interiore
resta disoccupato. E quindi non abbiamo molto da cercare noi, perché la Parola
stessa di Dio ci dice il fine per cui siamo stati destinati, per cui ci ha
creati. Non è che Lui ci abbia creati e poi ci abbia lasciato al buio. Dio
stesso ci ha detto che ci ha creati per conoscerlo; ce l’ha dichiarato, e per
partecipare alla sua vita eterna.
Teresa: Una delle cause della nostra disoccupazione è il
pensiero del nostro io.
Luigi: È la causa.
Teresa: È l’essere schiavi della figura, per cui ci
affaccendiamo come Marta per delle cose non necessarie. Tante cose si fanno o
non si fanno per convinzione, ma perché non siamo liberi dal giudizio della
gente, anche se in realtà alla gente poi importa molto meno di quanto pensiamo
noi. Un altro motivo è l’ignoranza: ci fermiamo ai nostri argomenti umani senza
interpellare Dio, senza approfondire la sua Parola che ci illuminerebbe sul
vero lavoro da farsi.
I rimedi quindi sono: credere
in Dio, lasciarsi attrarre da Lui, rimanere nel sua ascolto; cosi Egli ci
trasmette il suo spirito che ci farà superare il pensiero del nostro io e ci
farà vedere i veri valori e ci darà il desiderio di occuparci subito.
Luigi: Tu sei convinta che siamo creati per conoscere Dio?
Teresa: Una volta lo sapevo a memoria dal Catechismo, ma
ultimamente me ne sono resa maggiormente conto.
Luigi: Quindi è li il lavoro principale che Dio chiede a noi. Un figlio
di un re che è destinato a regnare, si prepara per regnare; quindi tutta la sua
occupazione è determinata dal suo destino. Se noi siamo stati destinati a
conoscere Dio, tutta la nostra occupazione principale dovrebbe essere
determinata da questo nostro destino, giorno per giorno. Quindi il nostro vero
lavoro dovrebbe stare li. È li la vera occupazione interiore.
Teresa: Prima per me conoscere Dio non era un’occupazione;
credevo bastasse sapere che è nostro Padre, e conoscere i suoi comandi. Però
ora capisco che non è mai conosciuto.
Luigi: Dio si è fatto nostro lavoro. È li la meraviglia: Dio si è fatto
nostro lavoro! Si è fatto nostra occupazione: “Tu ti occuperai di Me!”. Ci ha
creati destinandoci a Sé e ci ha detto: “Ti occuperai di Me!”. Più noi ci
occupiamo di Lui e più noi entriamo nella vita. Ecco, è per questo che Maria
lavorava molto più di Marta: perché il lavoro essenziale sta nell’ascoltare.
Noi ci occupiamo molto di una persona nella misura in cui ci fermiamo ad
ascoltarla molto, per conoscerla molto. Per cui Dio creandoci, ci ha detto: “Ti
occuperai di Me!”. Naturalmente, più noi ci allontaniamo da Lui, non capiamo il
nostro destino, più Lui ci deve in un certo modo ricuperare attraverso le
catene che ci mette con il mondo, perché altrimenti noi moriremmo. E allora ci
mette in un’infinità di bisogni, di doveri, per mantenerci in qualche dialogo,
sotto qualche forma nella nostra decadenza. Ma il lavoro principale è li: “Ti
occuperai di Me, per conoscere Me!”.
Teresa: Ciò che per noi è un valore (figura, mangiare, ecc.)
lo offriamo anche agli altri.
Luigi: Certo, perché siamo convinti che quelli siano valori.
Teresa: Per cui Marta amava Gesù e voleva offrirgli del suo
meglio, ma il suo meglio per lei era preparargli un bel pranzo.
Luigi: Pensa se Gesù avesse detto a Maria: “Dai una mano a Marta”.
Facciamo questa ipotesi: che Gesù avesse detto a Maria: “Da’ una mano a Marta,
perché effettivamente ha molto lavoro”. Tiriamo le conseguenze.
Rina Si sarebbero sbrigate prima e quindi tutte e due sarebbero state
disponibili all’ascolto.
Luigi: Così dici tu..
Pinuccia: Bisognerebbe sapere se anche Marta aveva lo stesso
desiderio di Maria.
Teresa: Bisogna vedere: se le due cose sono necessarie,
allora…
Luigi: Perché Gesù rimproverò Marta, anziché dire a Maria: “Dai una mano
a Marta, così fa più in fretta e potete ascoltare tutte e due?” perché non
disse questo?
Tutte le cose che ha fatto
Gesù, le ha fatte per insegnare a noi qualcosa di molto importante e di molto
valido. Ma pensiamo che Gesù avesse detto così: Marta sarebbe stata confermata
nel suo lavoro: “Ah, questo lavoro che faccio è molto importante perché Gesù
stesso ha distaccato Maria”, quindi avrebbe confermato Marta nel suo errore.
L’avrebbe confermata: “È una cosa necessaria quello che sta facendo Marta: dai
una mano! È necessario”. Ha liberato Marta dall’errore: l’ha messa nella
possibilità veramente di ascoltare.
Perché quello che impedisce a
noi di ascoltare e quindi di fare, di avere l’occupazione interiore, è un’altra
occupazione.
È quella che ci impedisce di
ascoltare, perché noi riteniamo necessario altro, e quel ritenere necessario
altro impedisce a noi di ascoltare anche quando quel lavoro li è cessato.
Se Gesù avesse detto a Maria:
“Dai una mano a Marta”, non è detto che finito il lavoro, tutte e due sarebbero
state più disponibili per ascoltare Gesù: tutte e due non sarebbero più state disponibili per ascoltare Gesù.
Interiormente: perché Gesù non sarebbe più stata l’unica cosa necessaria. Cosa
necessaria sarebbe stata il lavoro da fare, per cui quel lavoro che avrebbero
fatto avrebbe impedito loro di ascoltare Gesù. il lavoro fatto, finito: avrebbe
impedito loro di ascoltare Gesù. La soddisfazione del lavoro fatto! Perché noi
diventiamo figli delle nostre opere, quando siamo confermati circa la validità
di quello che facciamo.
Teresa: Ma tu togli tutto al completo!
Luigi: Non sono io, è Gesù che…
Teresa: Alcuni interpretano quello che Gesù ha detto: “Una
cosa sola è necessaria” come “Un solo piatto è necessario, basta uno”.
Luigi: No, Gesù non ha detto questo. È sbagliato, è proprio sbagliato,
perché “Maria ha scelto la parte migliore” e non sta facendo nessun piatto.
Maria non sta facendo nessun piatto, eppure stava facendo il piatto migliore;
infatti Gesù ha detto: “Ha scelto la parte migliore”. E che parte stava facendo
Maria? Stava seduta ai piedi di Gesù o Lo stava ad ascoltare. Questo è il
lavoro principale. Ora, come Gesù apriva l’orecchio, il cuore di Marta al
lavoro principale? Proprio segnalando che Maria stava facendo il lavoro
principale, per cui era Marta che doveva aiutare Maria, e non Maria aiutare
Marta. Era Maria quella che faceva il lavoro principale, non era Marta che lo
faceva. Questo è Gesù, questo è il Verbo di Dio, ecco, il Verbo di Dio che
viene a recuperare le creature dalla loro dispersione. Questa è la funzione
dell’Incarnazione. Gesù non si è incarnato per aiutarci a sbrigare in fretta i
nostri lavori! In modo da poter aprire i nostri orecchi all’ascolto.
Teresa: Ci libera si, ma proprio da quel tutto..
Luigi: Ma vedi, allora non siamo convinti che siamo stati creati per conoscere
Dio. Se siamo stati creati per conoscere Dio, tra Marta e Maria, chi è che ha
fatto il lavoro principale?
Teresa: Ma intanto tutti mangiamo!
Luigi: Sii coerente: se siamo stati creati per conoscere Dio, tra Marta e
Maria chi è che faceva il lavoro principale? Tu mi hai detto che sei convinta
che siamo stati creati per conoscere Dio. Se siamo stati creati per conoscere
Dio, chi lavora di più è colui che maggiormente cammina su quella strada li, si
avvicina al fine per il quale è stato destinato: quello fa il lavoro, il vero
lavoro. Ora, se siamo convinti che siamo stati creati per quel fine, il vero
lavoro sta li.
Teresa: Si, quello è il lavoro principale, primario, ma non
unico.
Eligio: Non è facile a capirsi, perché Gesù è andato in quella
casa invitato a pranzo: qualcuno quindi doveva pur prepararlo.
Luigi: Teniamo presente che Gesù ha moltiplicato i pani, quindi è Lui che
dà da mangiare; non è che Lui abbia bisogno di mangiare, ma è Lui che lo dà.
Quell’invito a pranzo che Lui ha accettato era un mezzo… lui era amico, era in
amicizia con le persone di quella casa, però questo non giustificava il fatto
che essendo amico non aiutasse gli amici a salvarsi. Non è che perché erano
amici Lui li confermasse nel loro errore per non rimproverarli. No, anche verso
gli amici Gesù usava i rimproveri, appunto perché è venuto per salvarli; quindi
Lui non veniva meno alla sua funzione essenziale anche in casa di amici.
Teresa: Penso che Gesù ha rimproverato Marta solo perché si
affannava, non perché ha preparato il pranzo. Perché se ad esempio Cina crede
che invece Gesù voglia dire che l’attività di Maria è l’unica cosa necessaria,
domani non deve più preparare da mangiare. Ma penso che Gesù voglia dire che
non dobbiamo preoccuparci di questo, cioè non metterlo come fine della nostra
vita, però la dobbiamo fare, perché nessuno di noi sta senza mangiare.
Nino: Ma non dobbiamo considerare la preparazione del
mangiare come il lavoro.
Luigi: Va bene, uno fa tante cose: cammina, dorme, si sveglia e tutto fa
per la gloria di Dio. Si possono fare tante cose, ma uno deve sempre dire: “Ma questo è niente, questo è niente…”,
cioè avere sempre la consapevolezza del niente rispetto al tutto per cui siamo
creati, rispetto a quello che vale. Quando io ho preparato tutto per mangiare,
quando io ho dato tutto ai poveri, quando io ho fatto tutto, ecc.: è niente
questo! Perché devo avere la consapevolezza di quello che veramente vale. Per
cui se Cina, convinta di quello che veramente vale, si volesse dedicare a
quell’essenziale, stai tranquilla, che il Signore se fosse necessario, e non ci
fosse nessuno che preparasse da mangiare, glielo fa trovare sul tavolo. Dio ha
questa possibilità. A quanti santi ha fatto trovare il mangiare e li ha
liberati dal problema del mangiare. Noi non dobbiamo opporci e dire: “Ah, un momento, noi dobbiamo mangiare”.
Non poniamo questo, poniamoci l’essenziale e il resto in un modo o nell’altro
viene. Viene, perché c'è sempre qualche creatura che in cammino che fa quello
di cui tu hai bisogno. Il Signore dice: “Lascia
che i morti seppelliscano i loro morti…. E lascia che quelli di cucina facciamo
la cucina…”. C'è sempre cioè qualche creatura in cammino che fa quello di
cui tu hai bisogno. Il Signore dispone Lui.
Nino: Se Gesù in persona ci parlasse stasera qui, sentiremmo
ancora il problema di mangiare stasera? O al massimo ci accontenteremmo di un
pezzo di pane!
Luigi: Ma no, uno non sente il problema di mangiare, perché di fronte al
Signore trova pienezza di vita.
Teresa: Invece Marta aveva talmente il pensiero del mangiare
che..
Luigi: Voleva sottrarre anche Maria dall’ascolto di Gesù.
Teresa: Eppure lo faceva per ospitalità nei confronti di Gesù.
Luigi: Si, ma tante cose si fanno per il Signore! Es.: seppellire i
morti; eppure Gesù dice: “Lascia che i
morti seppelliscano i loro morti: tu vieni e seguimi”. Cioè bisogna avere
l’anima disponibile per Dio e non preoccuparci. “Ma allora i morti chi li seppellisce?”, ci preoccupiamo. Quante
volte si sente dire: “Ma allora il mondo
come farebbe a tirare avanti?”
Teresa: Marta si preoccupa di dare mentre Gesù era venuto per
dare a lei.
Luigi: Si capisce. Il Signore mette sempre a posto i voleri, cioè il
Signore si preoccupa dell’essenziale. guarda come recupera l’essenziale di
fronte ad esempio a sua Madre, addirittura, e quanti richiami: “Cosa importa a me e a te, o donna?”
ecco, vedi? È sempre questo richiamo all’essenziale: “Chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli? Chiunque ascolta la
parola di Dio, questi è mio fratello, mia sorella, mia madre”. Sempre
questo richiamo continuamente all’essenziale.
Lui ci salva proprio attraverso
questo, perché noi continuamente scivoliamo, ci allontaniamo dall’essenziale,
dicendo: “Questo è necessario farlo;
questo è necessario farlo, ecc.”; ad un certo momento noi facciamo tutto il
resto e non facciamo più l’essenziale, perché diciamo: “Questo è necessario farlo, questo è necessario farlo!”. No, il tuo
cuore deve essere talmente preso dall’essenziale, per cui quando tu hai fatto
anche tutto, dici: “È niente tutto quello
che ho fatto, perché quello che mi sta a cuore è altro!”. Quando noi
abbiamo qualcosa che ci sta molto a cuore, tutto quello che facciamo, perché
dobbiamo ubbidire ad uno, all’altro, lo facciamo si, ma diciamo: “Intanto questo è niente, perché mi sta a cuore
quell’altro!”. Ecco, se uno fosse preso da un amore intensissimo, si, fa
tanti lavori, ma il suo cuore è talmente là per cui ritiene niente tutto quello
che fa, perché la sua gioia è soltanto restare con la persona amata. Il giorno,
il momento, i cinque minuti di tempo libero che ha, corre subito da lei: ecco,
quello è veramente ciò che vale; vedi?
Quando noi siamo veramente
convinti che ciò che veramente vale è questo, non è che non si faccia altro: si
fa tutto quello che si deve fare, perché naturalmente Dio ci manda il prossimo,
ci manda delle creature, ci manda questo, uno lo fa perché è Dio che lo manda,
però sa che è niente, perché quello che vale è l’altro. E uno ha la
consapevolezza di questo, e non distoglie Maria dall’ascolto anzi dice: “Io sospiro un momento…” ma non distolgo
l’altra, voglio anch’io arrivare ad essere cosi disponibile come è disponibile
Maria, perché so che quello è il lavoro essenziale. cioè, se siamo veramente
convinti che siamo creati per conoscere Dio, non possiamo fare a meno di
ritenere che l’essenziale sta nel fermarsi ad ascoltare Lui.
Per cui ogni nostra giornata
vale in quanto ci siamo impegnati, occupati nell’ascolto della Parola di Dio,
ad approfondire la Parola di Dio, perché questo è il vero lavoro.
Dio ci inonda di segni suoi, di
parole sue: sono tutte rivelazioni. Lui ci parla attraverso tutte le cose. E
noi ogni giorno dovremmo avere il nostro uomo interiore occupato
nell’approfondire che cosa Dio ci vuole significare attraverso questo,
attraverso quell’altro, per cercare di arrivare alla sua Presenza, attraverso
la sua Parola (le sue parole sono un sentiero, sono una scala, attraverso la
quale arrivare alla Presenza), perché lo scopo è quello di arrivare alla
Presenza. L’amore conduce, fa desiderare la Presenza dell’Essere amato. E
fintanto che uno non arriva li, ritiene niente tutto quello che fa. Sei
convinta?
Cina: Cioè sarebbe cosi: so che restare col Signore è la
cosa più importante, però data la mia debolezza e incapacità perché non so
restare, faccio anche altri lavori: anche, quasi come un sollievo.
Teresa: Allora vuol dire che ci stanchiamo col Signore?
Luigi: No, noi siamo incapaci a restare col Signore. Tuttavia la nostra
difficoltà sta li: che noi siamo incapaci a restare nella vita eterna. La vita
eterna è già adesso, ma noi non siamo capaci a restare.
Nino: Dopo essere stato un’ora con Dio, lo sforzo che debbo
fare è di portare il pensiero di Dio anche in quel lavoro li che faccio dopo.
Luigi: Certo, è logico. Cioè, non è che facendo un lavoro uno si
distragga.
Nino: Ma il lavoro però tende a distrarci.
Luigi: Tu capisci che se avessimo tutta la giornata a disposizione per
Dio, io penso quanto tempo sprecheremmo. E il Signore che ci conosce, allora ci
manda altre cose perché non siamo capaci, non siamo capaci a restare.
Nino: Certo, è normale, è un lavoro, è un impegno. Ma la
testa si stanca e allora sento il bisogno di cambiare e fare altro per un po’
di tempo.
Luigi: Si capisce, il Signore che sa la nostra debolezza, manda il fratello,
se uno sta pregando, a bussare alla porta, per cui uno non può giustificarsi
dicendo: “Io sto pregando, tu stai
fuori!”. No, perché il Signore nel giudizio mi potrà dire: “Ero io e tu mi hai
chiuso fuori, perché dicevi che stavi pregando Me, e non ti sei accorto che ero
io che suonavo alla porta”. Dio interviene in tutto per aiutare noi nel lavoro
principale. Ora siccome noi possiamo credere di pregare, e poi invece andiamo a
zonzo con la nostra vita, peggio che se fossimo invece sul lavoro, allora ecco
che il Signore ci manda qualche impegno, ecco non fosse altro che per fermare
le nostre distrazioni, che forse sono molte quando crediamo di avere tutta la
giornata a disposizione. Io sono convinto che se avessimo tutta la giornata a
disposizione, noi sprecheremmo la maggior parte della nostra giornata in
niente. Ed ecco allora che il Signore magari ci fa fare qualche cosa verso il
prossimo, che ci aiuti a superare il nostro egoismo e intanto prepara la nostra
anima ad essere costante, perché quanto più noi siamo educati a superare il
pensiero del nostro io, tanto più diventiamo capaci di restare con il Signore.
Ma è necessario avere molto superato il nostro io. Quello che rende incostanti,
è il pensiero del nostro io: è questo che ci fa stancare nel pensiero di Dio.
cioè, non siamo capaci di portare, ci dice Gesù, le molte cose che ho da dirvi,
e lo dice ancora adesso ad ognuno di noi: “Io ho molte cose da dirvi”. Abbiamo
visto ieri sera le belle sintesi a cui il Signore ci conduce quando ci fermiamo
un po? A contemplare la sua gloria. Dice: “Io ho molte cose da dirvi, ma non
siete capaci a portarle”, e che cos’è che ci rende incapaci di portarle? È il
pensiero del nostro io.
Il Signore dice questo alla
fine dei tre anni con i suoi discepoli e noi ci accorgiamo alla vigilia di
Pentecoste che i discepoli sono ancora immersi nel mondo, per cui ritengono che
il regno di Dio debba venire sulla terra. Vedi? Ecco quello che ci rende
incapaci di portare le tante cose che Lui ha da dirci! È un infinito che Lui ha
da dirci, che Lui deve riversare in noi! È tutta una vita infinita, perché è il
suo stesso Infinito che diventa nostra vita eterna. Però noi non siamo capaci…
allora Lui vedendo che noi non siamo capaci di portarlo, ecco che magari ci
manda a due a due a parlare al prossimo, ci manda a fare qualcosa, a preparare
il Cenacolo, perché non siamo capaci di portare tutto quello che Lui ha da
dirci.
Pinuccia: Quindi diventa un aiuto, una misericordia sua.
Luigi: È una misericordia di Dio, perché se vede che noi non siamo
capaci, allora ci sorprende con tante piccole cose, nei riguardi del prossimo,
e intanto proprio attraverso queste cose ci aiuta. Però non dobbiamo mai
scambiare e ritenere quelle piccole cose che il Signore ci dà da fare, siano
necessarie, perché il giorno in cui io dico: “è necessario”, è finita! Perché
allora faccio la Marta, allora ritengo che quello che sto facendo è necessario
e che invece il necessario, cioè ascoltare Dio, cercare Dio, conoscere Dio,
quello sia passato in secondo ordine, cosi capovolgiamo ogni valore.
Pinuccia: È questione di formarci quella mentalità, quella
gerarchia giusta dei valori dentro di noi.
Luigi: Debbo capire che gli atti di misericordia del Signore che ci dà
per supplire alla nostra incapacità a restare nel lavoro essenziale, sono per
la nostra debolezza e quindi dobbiamo sempre dire: “Ma questo è niente, perché il mio amore è lassù; soltanto che io non
sono capace a restare con Lui; resto cinque minuti e poi non sono più capace;
eppure voglio, ma per debolezza non riesco”.
Invece succede che noi nel
pensiero dell’io diciamo: “Quello che sto
facendo è importante”. Quante volte ho sentito dire: “Questo è importantissimo”, e magari cinque minuti dopo era già nel
cestino della carta. Qualunque cosa tocco, qualunque cosa faccio: questo è
importantissimo, questo vale molto. Sempre cosi. È il nostro io che dà valore
alle cose. No, noi dobbiamo sempre continuamente dire: “Questo è niente!”, perché quello che veramente vale è altrove,
quello che mi sta a cuore è altro.
Cina: È molto più facile che sia il materiale a portare via
lo spirituale che viceversa.
Luigi: Certo! Ma poi non dobbiamo aver paura dello spirituale, capisci?
Non bisogna aver paura che ad un certo momento lo spirituale ci porti via il
mangiare, stai tranquilla! È il mangiare che ci porta via lo spirituale, ma lo
spirituale non ci porta via il mangiare, no, no. Non deperisci, stai
tranquilla!
Teresa: Penso che gli altri lavori siano anche un banco di
prova, perché pregando a volte, uno si può illudere…
Luigi: Si, molte volte possiamo anche illuderci di pregare, invece col
pensiero andiamo a zonzo.
Teresa: Noi possiamo illuderci di essere uniti al Signore: se
siamo veramente uniti il fare altro non ci disunisce. Se non siamo disposti ad
accogliere chi ci bussa alla porta, vuol dire che credevamo di essere uniti a
Dio, ma…
Luigi: Anche quello è un segno, certo. però quello, ad esempio, non ci
autorizza ad andare in piazza, capisci? Se mio fratello viene, si, lo accolgo,
però non mi autorizza ad andare in piazza. Perché noi possiamo poi scambiare,
ad un certo momento, e ritenere necessario, utile, ecc.. questo o altro.
Dobbiamo sempre rispettare tutto, perché in tutto c'è la mano di Dio, però non
dobbiamo scambiarlo come oggetto di vita, perché altrimenti arriviamo a
trasformare la nostra vita in una chiacchiera. Come possiamo anche sbagliare
nel pregare, altrettanto possiamo sbagliare nel rapporto con il prossimo, per
cui: faccio cucina? Ad un certo momento ritengo di fare il mio dovere facendo
bene la mia cucina e la mia giornata è a posto. Parlo con una persona? È un
atto di amore del prossimo, e finisco in chiacchiere e barzellette e credo che
questo sia amore del prossimo, comprendi? Con facilità noi viviamo soltanto più
di pagliativi e l’essenziale l’abbiamo completamente dimenticato. No, è
l’orientamento al fine è quello che ci salva, sempre il Fine, cioè il Pensiero
di Dio che ci fa ritenere: “Ma questo è niente, questo è niente, questo è
niente!”. “Va, lascia tutto quello che hai, vieni e segui me!”. Ecco: “Va e
lascia tutto quello che hai!”. Il Signore questo in continuazione ce lo dice.
In continuazione ci dice: “Va, vendi tutto quello che hai e segui Me, va vendi
tutto quello che hai”. È soltanto se in noi c'è questa convinzione che possiamo
mantenerci orientati all’essenziale. È questa convinzione che ci fa dire in
continuazione: “Questo è niente!”. Se non si forma in noi questa convinzione
noi siamo disoccupati, credi pure, disoccupati interiormente. Facciamo, ci
agitiamo tanto, ma interiormente siamo disoccupati.
Nino: L’uomo è disoccupato quando non pensa Dio, ma è
rivolto a tanti amori. Dio ha posto in noi il desiderio dell’assoluto e ci ha
reso manifesto che esso non si trova né nell’uomo, né nelle creature. Se siamo
interessati a conoscerlo prima di tutto, ci fa incontrare il Cristo, il solo
Maestro che soddisfa il nostro interesse e ci conduce alla conoscenza di Dio,
convincendoci, con tutto il suo operare, di ciò che è essenziale e che non è
possibile servire a due padroni, convincendoci che la vita eterna è conoscere
il Padre e che la vera occupazione è dare a Dio il nostro pensiero e la nostra
attenzione. “Non sapete che debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre
mio?”. Difende Maria nei confronti di Marta. Ci fa capire che il vero valore
non è la figura, ricchezze, benessere, ma il nostro impegno con DIo; ci invita
al nostro vero lavoro: “Pregate sempre”. Pregare è accogliere tutto da Dio e riportarlo a Dio
per comprenderlo alla luce di Dio ed è avere come meta la conoscenza personale
del Padre, per la quale vale la pena dar via tutto il resto. Il nostra gran
daffare in tante altre cose è fare niente agli occhi di Dio se non ci occupiamo
di Lui.
Luigi: Teresa, sei convinta che il disoccupato è colui che fa niente?
Teresa: No, è colui che si da fare per soddisfare i propri
interessi e non cerca il regno di Dio.
Luigi: Ma il niente salta fuori dal rapporto con quello che si deve fare.
Se non fa quello che si deve fare, è niente tutto quello che fa. Se si agitasse
anche da mattino a sera, è niente, fa niente e resta disoccupata e noi siamo
disoccupati interiormente; ma ci agitassimo anche da mattino a sera, se non
facciamo l’essenziale, tutto quello che facciamo è niente. “Perché state tutto
il giorno a fare niente?”. Se non siamo presi da Dio, tutto quello che facciamo
è niente, perché non facciamo l’essenziale, non rispondiamo al nostro destino,
ed è niente tutto quello che facciamo.
Nino: La lettera ai Romani al capitolo I ci dice: “Il
trascurare di conoscere Dio (e Dio offre ad ognuno la possibilità di
conoscerlo), determina in noi la pazzia della nostra ragione, per cui ci
crediamo sapienti, essendo stolti.
Luigi: Certo. E poi anche nella lettera agli Efesini: “Voi un tempo
vivevate senza Dio, schiavi degli elementi del mondo”. Quel vivere senza DIo:
cioè vivevate senza avere la vostra vita orientata a Dio, orientata
all’essenziale, e allora eravate schiavi degli elementi del mondo. Ecco, adesso
avete trovato il Salvatore delle anime vostre: Colui che vi porta a lavorare
con Dio: ecco la salvezza! Che vi porta cioè all’essenziale. Un tempo vivevate
senza Dio: ecco l’uomo disoccupato. L’uomo che è senza Dio è disoccupato,
perché allora cade schiavo degli elementi del mondo, ritenendoli necessari,
perché senza quelli non può vivere. Ecco allora trasformati in idoli tutti
quelli che sono invece i mezzi.
L’uomo è interiormente occupato
quando è tutto disponibile ad accogliere e approfondire le parole che Dio gli
fa giungere, a raccogliere tutto in Lui: è assorbito dalla totalità di Dio.
L’uomo interiore invece è disoccupato quando non fa niente di tutto questo:
tutto preso dalle cose della terra, dimentica il fine per cui deve vivere.
Luigi: Quindi più cresce l’uomo esteriore, più occupato è l’uomo
interiore e più diminuisce l’uomo interiore, cioè resta disoccupato l’uomo
interiore. È li la tragedia dei nostri tempi; nei tempi moderni hanno creato
molta occupazione per l’uomo esteriore, ma l’uomo moderno, sostanzialmente è un
disoccupato nel mondo interiore. Tutta la tragedia sta li. L’essere nostro
(quello che conta è l’essere, non l’avere), l’essere nostro non è sembrare,
l’essere nostro viene dall’Essere. Quindi quanto più noi partecipiamo
all’Essere, tanto più in noi cresce l’essere nostro, quello che siamo. Ma
quanto più noi facciamo crescere il sembrare, che è l’uomo esterno, l’uomo
esterno non modifica l’essere nostro, per cui noi all’ultimo ci troviamo con lo
zero di prima: noi siamo uno zero. Non modifichiamo il nostro essere.
Nino: È chiara la contrapposizione tra essere e avere. Se
mettiamo la nostra vita nell’avere, alla fine i soldi non ce li portiamo
dietro.
Luigi: È evidente ad un certo momento Dio interviene con le sue lezioni
per farci capire che non possiamo portarci niente dietro di ciò che abbiamo. È
proprio evidente questo: per quanto noi abbiamo, questo non cambia quello che
siamo. Cioè, quello che io sembro, non cambia quello che io sono. L’importante
è invece scoprire quello che modifica quello che io sono, e quello che modifica
quello che io sono è soltanto l’Essere. Quindi più uno si occupa di Dio, più
modifica quello che veramente è, cresce nell’essere. Magari perde in avere, ma
cresce nell’essere, e questo è l’essenziale, perché è ciò che resta. È quello
che vorrei mettere bene in evidenza. Ecco perché è necessario che l’uomo interiore
sia occupato, perché è soltanto l’occupazione interiore che modifica quello che
noi siamo, mentre invece l’occupazione esterna non modifica quello che noi
siamo, ma ci lascia quello che siamo, cioè con tutta la nostra miseria addosso.
Noi non possiamo modificare noi stessi con l’avere. Noi modifichiamo noi stessi
con l’Essere. Quindi più noi partecipiamo all’Essere, più noi cresciamo in
vita.
Nino: Con l’avere possiamo modificare in peggio.
Luigi: Si, perdiamo e rendiamo niente magari anche tutto quello che Dio
ci ha fatti essere: se ci preoccupiamo dell’avere. Mentre invece modifichiamo
quello che siamo, cambiamo veramente quello che siamo, quanto più ci occupiamo
dell’Essere, cioè partecipiamo all’Essere.
Eligio: Quindi quando uno dimentica il fine per cui è stato
creato, tutto quello che fa è niente (niente rapportato a ciò che deve fare). E
che cosa deve fare? Deve modificare ciò che è, e non fermarsi al sembrare
dell’uomo esteriore. In nostro essere si modifica cercando Dio. E Gesù ce lo
conferma: “Non sapevate che debbo
occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?” per cui chi ascolta,
modifica se stesso.
Luigi: Ecco per Maria faceva il lavoro vero nei confronti di Marta. Marta
non faceva niente, perché non modificava se stessa. Maria, ascoltando Gesù, il
Verbo di Dio, modificava se stessa e quindi lavorava veramente. E Marta non
lavorava; non lavorava perché non modificava se stessa. Ora, il lavoro
essenziale è questo modificare noi stessi, ma non siamo noi che possiamo
modificare noi stessi, è Dio che modifica noi stessi. Quindi nella misura in
cui noi ascoltiamo Dio, Dio comunica a noi il suo lavoro, quindi ci fa salire
di essere in essere, di luce in luce, e la luce di Dio è Essere, e quindi ci
rende partecipi… cioè ci rende capaci di restare. Ecco quel famoso restare,
restare con Lui.
Rina La causa della disoccupazione è il pensiero dell’io, per cui non
c'è attrazione per il Padre (“non si è presi”, non si è convinti) e non si sa
come fare.
Luigi: Certo, fintanto che c'è il nostro io al centro non possiamo essere
attratti.
Rina Non si sa come fare per incominciare.
Luigi: Per incominciare bisogna partire dal Principio.
Rina Non si ha nemmeno la volontà per incominciare.
Luigi: Si, la mancanza di volontà è una conseguenza del non essere presi.
Ma noi non siamo presi, perché non guardiamo Dio; cioè: Dio è il Principio, il
Principio anche del nostro lavoro, quindi il Principio della nostra attrazione.
Ora, Dio si annuncia a tutti. Infatti si definisce che Dio è Colui che nessuno
può ignorare.
Cina: “Saranno tutti
ammaestrati da Dio” dice…
Luigi: Siamo tutti ammaestrati da Dio. Ora, io non posso ignorare la
persona che parla con me. La posso disprezzare, la posso bestemmiare, posso scappare,
ma non la posso ignorare. Ecco, Dio parla con ognuno di noi. Noi cominciamo ad
essere attratti, presi, incominciamo a lavorare, soltanto dal momento in cui
facciamo attenzione; per cui Dio diventa il Principio. Ma fintanto che pensiamo
a noi, non facciamo altro che dire: “Che barba!”. Ecco, perché abbiamo un altro pensiero, il pensiero del
nostro io. E allora questo ci impedisce di essere attratti, e allora ci toglie
la volontà, ci priva della volontà, però la volontà in noi è la forza di
gravità che procede da ciò a cui guardiamo. Se io guardo un albero da frutta,
resto attratto e incomincio a desiderare i frutti. Ognuno di noi è attratto da
ciò a cui pensa. È li la volontà. Ora, se noi guardiamo Dio, incomincia ad
operare in noi la Volontà di DIo: la Volontà di Dio, non la volontà nostra. Se
noi guardiamo a noi stessi, al nostro io, alla nostra figura, un’altra volontà
subentra e allora Dio non mi attrae più, non sentiamo più la volontà di
lavorare con Lui.
Rina I rimedi: per uscire dalla disoccupazione bisogna voler lavorare,
anche se questo non è che dipenda da noi, pur avendone il desiderio.
Luigi: Cioè: da parte nostra ci vuole il superamento dell’io. E questo
desiderio è grazia di Dio, è dono di Dio. Se guardiamo Dio, il desiderio di
Dio, la volontà che abbiamo in noi è dono di Dio. Se noi non guardiamo Dio, il
rifiuto è nostro, perché Dio parla. Cioè, se una persona parla con me, se io
ascolto quella persona, il dono è tutto di quella persona perché essa, in
quanto io l’ascolto, si dona a me. Ma se io mi rifiuto, il rifiuto è mio, solo
mio, perché quella persona sta parlando a me.
Teresa: Cioè debbo agire, ma non debbo attribuire a me…
Luigi: È tutto dono di quella persona. Se quella
persona non mi parlasse, io non potrei nemmeno desiderarla. Noi amiamo in
quanto riceviamo amore. La creatura è niente. La creatura è un essere che
riceve, soltanto ricezione. Nella misura in cui riceve, ha la possibilità; non
è detto che lo faccia, di donare l’attenzione…
L’attenzione a Dio è un dono
d’amore verso Dio, ma noi possiamo donare questo atto d’amore verso Dio (perché
chi fa attenzione ama), noi possiamo far attenzione a Dio, e quindi amare, fare
questo dono a Dio, nella misura in cui Dio guarda noi, dona Sé a noi, ama noi:
per cui è una risposta d’amore. Non è detto che avvenga. Allora, se noi diamo
attenzione a Dio, il dono è di Dio, perché noi non potremmo fare attenzione, se
Dio per primo non donasse il suo amore a noi. Se noi non facciamo attenzione a
Dio, la colpa è nostra, solo nostra, perché noi abbiamo avuto la possibilità di
fare attenzione, in quanto Dio ci ha amati.
Sei convinta, o no?
Rina Si, tra i rimedi quindi anche quello di vedere qual è il nostro
destino, e convincercene.
Luigi: Ecco, prima di tutto, convincerci del destino per cui siamo stati
creati. È li il rimedio. Se noi non siamo convinti di questo, tutto parte.
Bisogna essere convinti di questo: per che cosa tu sei stato creato? Quale
destino ho? Che cosa ci sto a fare? Ecco, se non siamo convinti di questo, non
sorge il lavoro, non ci impegniamo, perché noi crediamo che il nostro lavoro
sia altro: non sono destinato a quello. Ma se io so e mi convinco, e sono
veramente sicuro che sono destinato li, sono sciocco, se non mi impegno li,
perché tutto quello che faccio altrimenti è niente. È come se perdessi tempo.
Ora, se questo è l’essenziale per la mia vita, perché risolvo tutta la mia
soltanto andando là, tutto quello che faccio di altro, anche se mi affaticassi
e sudassi, è niente, perché non faccio l’essenziale. È inutile che tu perda
tempo, allora: tu sei destinato ad andare là. Ora soltanto il giorno in cui mi
convinco che debbo veramente andare là, allora mi impegno veramente a fare un
lavoro che vale, perché mi organizzo per arrivare là. Allora tutto: muovo una
paglia? La muovo in quanto mi serve per arrivare là. Mi compro un paio di
scarpe? Lo faccio perché mi servono per andare là. Mi alleno, faccio camminate,
sempre perché mi serve per andare là. Allora tutto: anche le minime cose: mi
riposo? Mi riposo perché debbo essere forte per poter andare là. Ecco, tutto è
orientato là. Allora tutto quello che faccio, acquista valore, perché
finalizzato là, dov’è il mio scopo, il mio destino, tutto quello che faccio è
niente e serve a niente.
Pinuccia: Tutto è mezzo.
Luigi: Si, ma il mezzo presuppone il fine, e il fine va messo come
principio, altrimenti tutto quello che io faccio diventa fine a sua volta, e
quindi si annulla; perché come noi sostituiamo al mezzo il fine, immediatamente
Dio ce lo annulla, non fosse altro facendoci pensare: “Ma questo domani lo
perderò tutto, è niente”. Ecco, ce lo annulla psicologicamente, in quanto ci
capire che è niente, che è vano.
Eligio: La vera occupazione presuppone la passione per Dio: è
l’unicità d’amore. Gli atteggiamenti fondamentali dell’uomo interiore sono: la
coscienza che tutto è opera di DIo; l’attenzione viva all’operare di Dio; la
certezza che l’operare di Dio è un dialogo con noi personalmente e che è un
operare per amore, per portare l’anima all’unione con Sé; e per ultimo: la
risposta della creatura non può essere che una risposta d’amore alle continue
proposte di amore da parte di Dio.
Luigi: No, può anche non essere d’amore; cioè non è detto che
necessariamente debba essere una risposta d’amore.
Eligio: È però la condizione se voglio essere uomo interiore.
Luigi: Se vuoi essere tale, senz’altro, d’accordo.
Eligio: Cristo è il Maestro che ci insegna a restare nel
Pensiero del Padre, a dare cioè questa risposta di amore, facendoci scoprire
l’amore infinito del Padre. Come si può non tendere con il massimo di tensione
interiore a questo Essere che ci ha amato infinitamente e quindi non essere
occupati illimitatamente? Se una creatura che amiamo, che è piena di limiti,
quando è lontana la amiamo con il pensiero costante, tanto più, conoscendo Dio,
Lo amiamo a tempo pieno.
Luigi: Tu vedi però che anche proprio nell’amore umano, l’amore tende ad
eliminare le distanze. Cosa vuol dire quel tendere ad eliminare le distanze?
Tende a convivere, perché nell’amore umano uno incomincia a trovarsi cinque minuti,
poi i cinque minuti debbono diventare dieci, poi un quarto d’ora, poi un’ora e
ad un certo momento si desidera a tempo pieno la convivenza. Infatti due che si
amano, ad un certo momento mettono su casa, perché? Qual è la molla di tutto
questo? Voler essere sempre assieme. E questo è simbolo, perché tutto è
simbolo, tutto è segno. Ora, vedi che anche qui c'è un’eternità che si
prospetta davanti agli occhi. L’amore umano è segno del grande Amore. Ora, nel
grande amore verso Dio, si tende ad essere sempre insieme. Ciò vuol dire che è
questo il destino. Ora, sarebbe sciocco che due che volessero sempre stare
insieme non si preoccupassero, non lavorassero per realizzare questo fine. È la
sciocchezza che facciamo noi nei riguardi di Dio, perché destinati ad essere
sempre insieme non lavoriamo per essere sempre insieme: il che vuol dire che
non c'è amore. Non siamo convinti, è chiaro, non c'è amore. No? Ecco, è questo
il lavoro principale, il lavoro interiore, l’essere occupati interiormente.
Quante volte si sentono persone che si debbono sposare, e come sono occupate
per preparare la casa, e si danno da fare per sistemare tutto. Fossimo noi
altrettanto intelligenti come sono intelligenti gli uomini nel cercare di
sistemarsi, per realizzare quel vivere insieme. Allora noi diciamo: siamo
destinati ad essere insieme con Dio e poi viviamo come se…
È questa la stoltezza. È questa
la disoccupazione.
Pinuccia: Per capire in che cosa consiste la disoccupazione
interiore, debbo capire che cos’è l’occupazione interiore, e quindi la sua
importanza.
La vita è un impegno a donarci
a Dio, a occuparci di Dio, perché Dio ci ha creati per Sé, in coppia per Sé,
per farci partecipi della Sua vita divina attraverso la conoscenza di Sé.
Il vivere in coppia con Dio
richiede un impegno continuo, un dono continuo del nostro pensiero a Lui, che
si concretizza in un costante atteggiamento di ascolto, in un accogliere tutto
in noi e fuori di noi a Lui, e riportare tutto a Lui, per captare il messaggio
che ci vuol trasmettere e cosi progressivamente conoscerlo.
In una parola: la vita con Dio
è un impegno di raccolta in Dio, per cui il nostro lavoro interiore, che deve
essere un lavoro a tempo pieno, “Pregate
sempre” dice Gesù, si sintetizza in un verbo solo: raccogliere.
Questo è l’unico lavoro che
porta molto frutto, frutto di vita eterna, cioè di conoscenza di Dio, per sé e
per gli altri.
“Chi
raccoglie con Me riceve mercede di vita eterna”. È il lavoro essenziale,
l’unica cosa necessaria di cui parla Gesù a Marta che si agita e si affanna per
altre cose che lei crede necessarie; l’unica cosa necessaria per noi e per gli
altri.
Infatti vediamo in questa scena
di Marta e Maria che Maria ha dato il vero aiuto anche a Marta, perché è proprio
attraverso la sua testimonianza che Gesù richiama Marta al vero lavoro che si
attende da lei.
Questo fa capire che se anche
lavorassimo da mattina a sera per gli altri, se dessimo anche il nostro corpo a
bruciare alle fiamme, se distribuissimo tutti i nostri beni ai poveri, se non
facciamo questo lavoro a nulla serve: sfruttiamo inutilmente il terreno; siamo
dei disoccupati: nessuno ci ha presi.
“Questa pianta sfrutta il
terreno: a che serve tenerla?” dice Gesù.
E poi ancora: “A che giova
all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l’anima?”.
Cioè: a che giova tanto lavoro
esteriore, se manca quello interiore?
“Perché ve ne state tutto il
giorno a fare niente?”. Se non facciamo il lavoro essenziale infatti facciamo
niente.
Certo, la mentalità del mondo è
in opposizione a quella di Cristo e di fronte ad una persona che si impegna a
tempo pieno in questo lavoro interiore, il mondo giudica e condanna: “A che
tanto spreco?”, infatti ai suoi occhi questa è una vita sprecata, come fu
sprecato per Giuda il vaso di unguento prezioso versato da Maria ai piedi di
Gesù.
-
Le cause della nostra disoccupazione interiore:
-
1) la mancanza di convinzione e di idee chiare su ciò
che vuole e si aspetta Dio da noi;
-
2) l’attaccamento al pensiero dell’io;
-
3)quindi l’attaccamento al giudizio degli altri, del
mondo che ha altri criteri per valutare la validità o l’efficacia o meno di un
lavoro;
-
4)la poca fede: non ci lasciamo prendere da Dio, perché
solo se Lui ci prende possiamo occuparci di Lui.
-
Le conseguenze: non facendo questo lavoro
interiore si riduce a niente tutto ciò che è fatto e tutto ciò che facciamo:
“Senza di Lui è fatto niente tutto ciò che è fatto”, leggiamo nel Prologo,
perché “Senza di me non potete fare nulla”. Quindi la nostra anima rimane come
una stanza vuota, pronta ad essere invasa da sette demoni (altra conseguenza) e
allora ci droghiamo, ci ubriachiamo, siamo obbligati a contare delle storie:
ecco le ultime conseguenze.
-
I rimedi:
-
1) sapere e convincerci di ciò che Dio vuole da noi,
perché solo cosi avremo in noi la forza di opporci alla mentalità del mondo:
“Non sapete che io mi debbo occupare delle cose che riguardano il Padre mio?”;
-
3)quindi essere disposti a superare l’io;
-
4)contare su Dio, invocando il suo aiuto;
-
5) fermarci molto sulle parole del Vangelo che ci
aiutano in questo lavoro di raccolta e a rafforzare la convinzione sul vero
lavoro che Dio attende da noi;
-
6) lasciarci prendere da Dio totalmente: mente, cuore,
volontà.
Pensieri conclusivi:
Cina: Chiedere al Signore che mi aiuti ad essere sempre
orientata al fine.
Teresa: Lasciarmi attrarre dalle cose di Dio.
Luigi: Bisogna guardare molto a Dio, più guardiamo a Dio e più Lui ci
attrae.
Nino: Dio ci da tutto, anche la volontà di rimanere uniti a
Lui.
Luigi: Dobbiamo aspettarci tutto da Lui, anche quella: per cui se non ho
la volontà, soltanto guardando a Lui ricevo questa volontà; non è che la
volontà debba partire da me: anche la volontà ci viene da Lui. Per cui se io
non ho la volontà di lavorare, debbo guardare Lui. Chi è disoccupato cosa fa?
Va a cercare il datore di lavoro a destra e a sinistra perché gli dia qualche
cosa. Ecco, bisogna aspettarci tutto da Lui: volontà e lavoro. Bisogna
guardare. Bisogna guardare a Lui. Invece se noi cominciamo a dire: io prima
debbo volere… debbo… eh no!
Cina: Il brutto è quando non si va a cercare il lavoro.
Luigi: Cioè, quando non si guarda il Datore di lavoro. Il più delle volte
noi crediamo di avere già tutto il lavoro, di avere molto lavoro, per cui non
guardiamo più: crediamo già di essere occupati: è anche li l’errore.
Rina La volontà ci viene solo dalla preghiera.
Luigi: La preghiera come sguardo a Dio.
Eligio: Io chiedo al Signore l’amore come risposta alle continue
sollecitazioni di Dio, per essere disponibili non solo ad ascoltare da Dio
tutto, ma per riportare tutto a Lui.
Luigi: Certo, bisogna riportare tutto a Dio.
Nino: La volontà di conoscerlo è proprio l’amore che Lui
chiede e che non è un amore sentimentale.
Teresa: Amore come donazione, dedizione, interesse.
Pinuccia: In tutto quello che faccio, anche cose buone, anche la
lettura e riflessione del Vangelo, debbo dire sempre ciò che Gesù ci invita a
dire: “Siamo servi inutili”. Tutto è niente se non mi occupo di Dio, se non
contemplo Dio. Dio è il vero lavoro. Debbo sentirmi occupata solo quando
contemplo Dio, perché solo la contemplazione può cambiarmi interiormente.
Luigi: E
quello è vero amore. A questo punto forse siamo in grado di poter capire molte
sfumature del capitolo VIII versetto 5 e seguenti della Lettera ai Romani:
“Quelli infatti che vivono secondo la carne gustano le cose della carne, ma
quelli che vivono secondo lo spirito gustano le cose dello spirito. Ora, la
saggezza della carne è morte, la saggezza dello spirito è vita e pace, perché
la saggezza della carne è nemica di DIo…. non potendosi assoggettare alla legge
di Dio. quindi quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio. ma
voi non vivete più secondo la carne, ma secondo lo spirito, se lo spirito di
Dio abita in voi. Ma se uno non ha lo spirito di Cristo non è dei suoi. Se
Cristo è in voi, il corpo certamente è morto a causa del peccato (io direi che
il corpo è l’uomo esteriore, lo spirito l’uomo interiore). Ma lo spirito vive a
motivo della giustizia, se lo spirito si Colui che risuscitò Gesù da morte
abita in voi, Chi resuscitò Gesù da morte renderà la vita anche ai vostri corpi
mortali per mezzo del suo spirito che abita in voi. Cosi dunque, fratelli, noi
non dobbiamo essere debitori alla carne, da vivere secondo la carne. Se vivrete
secondo la carne, morirete, se invece con lo spirito darete morte alle azioni
della carne vivrete, essendo tutti quelli che sono mossi dallo spirito di Dio,
figli di Dio. Voi infatti non avete ricevuto lo spirito di servitù per nuovo
timore, ma avete ricevuto lo spirito di adozione a figli per il quale gridiamo:
“Abbà! Padre!”. Questo stesso spirito attesta allo spirito nostro che siamo
figli di Dio, e se figli, anche eredi, eredi di Dio, e coeredi di Cristo, se
però soffriamo con Lui da essere con Lui glorificati. Io tengo per certo, che i
patimenti del tempo presente non sono da paragonare alla futura gloria che sarà
manifestata in noi. Difatti la creazione sta ansiosamente aspettando la rivelazione
dei figli di DIo…
Versetto 26: Nello stesso modo anche lo spirito sostituisce
la nostra debolezza, perché noi non sappiamo pregare come si deve, ma lo stesso
Spirito chiede per noi con gemiti ineffabili e Colui che scruta i cuori conosce
quello che desidera lo Spirito e come Egli interceda secondo Dio per i santi.
Noi sappiamo che tutte le cose tornano a bene di coloro che amano Dio, di
coloro che secondo il disegno sono chiamati ad essere santi, perché quelli che
Dio ha preveduti, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del
Suo Figlio, affinché questi sia il primogenito tra molti fratelli”.
Sintesi degli
argomenti tratti dall’incontro:
Conflittualità tra la fede e la ricerca della
propria gloria: fintanto che noi viviamo
per cercare la nostra gloria, non possiamo credere, non possiamo aver fede.
L’uomo interiore prevale
sull’uomo esteriore, ma l’uomo esteriore non modifica l’uomo interiore.
La disoccupazione interiore.
L’importanza di avere un lavoro interiore:
-
la scena di Marta e Maria; Marta è
l’uomo esteriore e Maria l’uomo interiore. Marta lavora molto e chiede aiuto
all’uomo interiore, ma Gesù ribalta la situazione e ci fa capire che quella che
lavora di più è Maria. “Una cosa sola è
necessario e Maria ha scelto la parte migliore”. L’essenziale del lavoro
interiore sta nell’ascolto.
-
Gesù è venuto per insegnarci
soprattutto l’occupazione interiore, il lavoro da fare dentro: questo è
l’essenziale, “Non sapevate che io mi
debbo occupare delle cose che riguardano il Padre mio?”.
-
La parabola degli operai della
vigna: “Perché ve ne state qui tutto il
giorno a fare niente?”. Se si trascura il necessario, tutto quello che si
fa è niente; (niente che scaturisce dal rapporto col necessario, perché il
niente non esiste; quando non c'è l’essenziale tutto diventa niente. Mentre se c'è il necessario
tutto viene valorizzato).
-
“Senza
di Lui tutto ciò che facciamo è niente”, cioè
quando il nostro uomo interiore non è impegnato con Dio, tutto quello che
facciamo è niente.
Le cause della disoccupazione interiore:
1) La
mancanza di convinzione e di idee chiare su ciò che vuole e si aspetta Dio da
noi;
2)
l’attaccamento
al pensiero dell’io;
3) quindi
l’attaccamento al giudizio degli altri, dal mondo che ha altri criteri per valutare
la validità e l’efficacia o meno di un lavoro;
4) la
poca fede; non ci lasciamo prendere da Dio, perché solo se Lui ci prende
possiamo occuparci di Lui.
Le conseguenze;
-
non facendo questo lavoro
interiore si riduce a niente tutto ciò che è fatto e tutto ciò che è fatto e
tutto ciò che facciamo: “Senza di lui è
fatto niente tutto ciò che è fatto”, leggiamo ne Prologo, perché “senza di me non potete fare nulla”.
Quindi la nostra anima rimane come una stanza vuota, pronta ad essere invasa da
sette demoni, altra conseguenza, e allora ci droghiamo, ci ubriachiamo, siamo
obbligati a contare delle storie: ecco le conseguenze.
Lettera di San Paolo ai Romani 1,18; Efesini 2,4-8.
Quali sono i rimedi possibili per uscire da questa
disoccupazione:
-
Il rimedio è lo Spirito Santo.
-
1)Sapere e convincerci di ciò che
Dio vuole da noi, perché solo cosi avremo in noi la forza di opporci alla
mentalità del mondo: “Non sapete che
debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?”
-
2)
Voler lavorare;
-
3) quindi essere disposti a
superare l’io;
-
4) contare su Dio, invocando il
suo aiuto.
-
5) fermarmi molto sulle parole del
Vangelo che ci aiutano in questo lavoro di raccolta, e rafforzare la
convinzione sul vero lavoro che Dio attende da noi;
-
6) lasciarsi prendere da Dio
totalmente: mente, cuore, volontà.
-
lettera
agli Efesini 8, 5…
Gli apostoli, a pochi giorni dalla Pentecoste, rivelano
di non aver capito niente, quindi di essere disoccupati interiormente perché
dicono: “È ora che ricostituirai il Regno
di Israele?”.
La causa di questo è che anche se da tre anni erano con
Gesù a tempo pieno, non lavoravano personalmente, facevano lavorare gli altri.
In dieci giorni però c'è stato in loro un capovolgimento. E quel capovolgimento
è proprio la validità della discesa dello Spirito Santo; cioè non è stato
un fatto loro, perché loro sarebbero rimasti con la loro mentalità, l’uomo non
può volare da solo nel campo dello Spirito. Se non riceve lo Spirito, da solo
continua sempre con i suoi argomenti terreni. È Dio che quando i tempi sono
maturi capovolge ogni cosa.
Noi siamo spettatori della gloria di Dio, e dobbiamo
imparare ad approfondirla, a conoscerla per poter veramente lodare Dio,
glorificare.
A noi manca la profondità, siamo in superficie per cui
vediamo tutte le cose slegate e allora non possiamo glorificare Dio.
Ma per poco che approfondiamo,
vediamo la sintesi, e incominciamo a cantare la bellezza di Dio, delle
opere di Dio, che sono una meraviglia: siamo talmente meravigliati di questa
bellezza, che non osiamo nemmeno più toccarla, metterci la nostra mano, tanto è
fatta in modo perfetto.
Allora l’uomo diventa sempre più contemplatore che
attore, perché sa che l’attore è DIo; e nella possibilità di cantare Dio,
di poter lodare Dio, di poterlo glorificare per la bellezza delle cose o la
perfezione delle cose che fa, lui trova tutta la sua vita.
Ad un certo momento arriviamo a sfiorare come la vita sia
conoscenza, sia conoscere, perché in quanto noi conosciamo la bellezza, la
profondità, la sapienza che c'è in una cosa, non osiamo più toccare quella
cosa, ne parliamo soltanto più: la glorifichiamo.
E li troviamo tutta la nostra vita; non vogliamo più
toccarla, e invece più noi siamo superficiali e più vogliamo modificare e non
ci accorgiamo degli sgorbi che facciamo.
La via per uscire dalla disoccupazione è cominciare a
volere il lavoro perché il peggiore dei disoccupati è quello che non vuole
lavorare, che ha paura di lavorare.
La soluzione deve maturare dentro; non devo preoccuparmi
di liberarmi da solo.
Quello che ci fa lavorare è l’orientamento al nostro
destino, al nostro fine; se non abbiamo l’orientamento il nostro uomo interiore
è disoccupato.
E qui non abbiamo molto da cercare noi, ci viene
annunciato: Dio ci ha creati per conoscerlo e per partecipare della vita
eterna.
E questa deve diventare la nostra occupazione interiore
vera.
La causa della nostra disoccupazione interiore è il
pensiero del nostro io.
DIo si è fatto nostro lavoro: è li la meraviglia! “Tu ti occuperai di Me!”
Quello che ci impedisce di ascoltare, di essere occupati
interiormente, è il fatto di avere un’altra occupazione che crediamo sia più
importante di quella di ascoltare Gesù.
“Una
cosa sola è necessaria” cioè ascoltare Gesù; dicendo queste
parole Gesù libera anche Marta dalla sua occupazione e la rende disponibile per
ascoltare le sue parole.
Se tutte e due avessero lavorato in casa, poi non
sarebbero più state disponibili interiormente per ascoltare Gesù, perché Lui
non sarebbe più stata per loro l’unica cosa necessaria.
Marta voleva sottrarre Maria all’ascolto di Gesù.
La
funzione dell’Incarnazione è quella di raccoglierci dalla nostra dispersione,
di recuperarci nell’essenziale.
Davanti a tutto quello che facciamo dobbiamo dire: “Questo non è niente confronto al tutto per
cui siamo stati creati, rispetto a quello che vale veramente”.
Non dobbiamo preoccuparci dei nostri bisogni perché Dio
dispone Lui: “Lascia che i morti
seppelliscano i loro morti”, c'è sempre qualche creatura in cammino che
fa quello di cui tu hai bisogno. A certi santi il Signore li ha liberati
dal problema del mangiare.
Moltiplicazione dei pani.
Di fronte al Signore trovi pienezza di vita per cui non
senti più il problema del mangiare.
Ogni giornata vale in quanto ci siamo impegnati, occupati
nell’ascolto della Parola di Dio, ad approfondire la Parola di Dio, perché
questo è il nostro vero lavoro.
Ogni giorno dobbiamo avere il
nostro uomo interiore impegnato ad approfondire che cosa Dio ci vuole
significare attraverso quello che ci manda ogni giorno, per cercare di arrivare
alla sua Presenza; le sue parole sono un sentiero, sono una scala, per arrivare
alla sua Presenza, perché lo scopo è arrivare alla sua Presenza.
L’amore conduce, fa desiderare la Presenza dell’essere
amato.
E fintanto che uno non arriva li, ritiene niente tutto
quello che fa.
Il problema è che noi siamo incapaci a restare col
Signore. Tutta la nostra difficoltà sta li: che noi siamo incapaci a restare
nella vita eterna. La vita eterna è già adesso ma noi non siamo capaci a
restare.
Noi siamo superficiali; e in che cosa consiste la nostra
superficialità? Nell’incostanza. La superficialità è incostanza, la profondità
è costanza.
Dio interviene in tutto per aiutare noi nel lavoro
principale; ci manda qualcosa che ci aiuta a superare il nostro egoismo e intanto
prepara la nostra anima ad essere costante, perché quanto più noi siamo educati
a superare il pensiero del nostro io, tanto più diventiamo capaci di restare
con il Signore.
Ma è necessario aver superato il nostro io.
Quello che rende incostanti è il pensiero del nostro io:
è questo che ci fa stancare nel Pensiero di Dio.
“Io ho
molte cose da dirvi, ma non siete capaci di portarle”. E cos’è
che ci rende incapaci di portarle? È il pensiero del nostro io.
È un infinito che Lui ha da dirci, da riversare in noi, è
tutta una vita infinita, perché è il suo stesso Infinito che diventa nostra
vita eterna. Allora vedendo che noi non siamo capaci di portarlo, ecco che ci
manda a due a due a parlare al prossimo, ci manda a fare qualcosa, a preparare
il Cenacolo, perché non siamo capaci di portare tutto quello che Lui ha da
dirci.
È misericordia di Dio perché vede che non siamo capaci;
gli atti di misericordia del Signore sono per supplire alla nostra incapacità a
restare nel lavoro essenziale; sono per la nostra debolezza.
L’importante è scoprire quello che modifica quello che io
sono, e quello che modifica quello che io sono è l’Essere.
Quindi più uno si occupa di Dio, più modifica quello che
veramente è, cresce nell’Essere.
Magari perdo in avere ma cresco nell’essere e questo è
l’essenziale perché è ciò che resta.
Ecco perché è necessario che l’uomo interiore sia
occupato, perché è soltanto l’occupazione interiore che modifica quello che
noi siamo; più partecipiamo all’Essere e più cresciamo in vita.
“Il
trascurare di conoscere Dio (e Dio offre ad ognuno la possibilità di
conoscerlo), determina in noi la pazzia della nostra ragione, per cui ci
crediamo sapienti, essendo stolti….”
Lettera agli Efesini:
“Voi
un tempo vivevate senza Dio, schiavi degli elementi del mondo”
Vivevate
senza orientamento a Dio, schiavi degli elementi del mondo, disoccupati;
trasformando in idoli i mezzi.
Adesso
avete trovato il Salvatore delle vostre anime, Colui che vi porta a lavorare
con Dio, che ci porta all’essenziale. Ecco la salvezza!
Lettera di san Paolo a Romani cap.8,5…
“Quelli
infatti che vivono secondo la carne gustano le cose della carne, ma quelli che
vivono secondo lo spirito, gustano le cose dello spirito. Ora, la saggezza
della carne è morte, la saggezza dello spirito è vita e pace, perché la
saggezza della carne è nemica di DIo…
non
potendosi assoggettare alla legge di Dio.
Quindi
quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio.
Ma
voi non vivete più secondo la carne, ma secondo lo spirito di Dio che abita in
voi.
E
se uno non ha lo Spirito di Cristo non è dei suoi.
Se
Cristo è in voi, il corpo certamente è morto a causa del peccato.
(Il
corpo è l’uomo esteriore e lo spirito è l’uomo interiore).
Ma
lo spirito vive a motivo della giustizia, se lo Spirito di Colui che risuscitò
Gesù da morte renderà la vita anche ai suoi corpi mortali per messo del suo
Spirito che abita in voi.
Cosi
dunque, fratelli, noi non dobbiamo essere debitori alla carne, da vivere
secondo la carne.
Se
vivete secondo la carne, morirete, se invece con lo spirito darete morte alle
nazioni della carne, vivrete, essendo tutti quelli che sono mossi dallo Spirito
di Dio, figli di Dio.
Voi
infatti non avete ricevuto lo spirito di schiavitù per nuovo timore, ma avete
ricevuto lo spirito di adozione a figli per il quale gridiamo: “Abbà! Padre!”.
Questo
stesso Spirito attesta allo spirito nostro che siamo figli di Dio, e se figli
anche eredi, eredi di Dio, e coeredi di Cristo, se però soffriamo con Lui da
essere con Lui glorificati.
Io
tengo per certo, che i patimenti del tempo presente non sono da paragonarsi
alla gloria futura che sarà manifestata in noi.
Infatti
la creazione sta ansiosamente aspettando la rivelazione dei figli di DIo…
Versetto
26 “Nello stesso modo anche lo Spirito sostiene la nostra debolezza, perché noi
non sappiamo pregare come si deve, ma lo stesso Spirito chiede per noi con
gemiti ineffabili e Colui che scruta i cuori conosce quello che desidera lo
Spirito e come Egli interceda secondo Dio per i santi.
Noi sappiamo che tutte le cose tornano a bene di coloro
che amano Dio, di coloro che secondo il disegno sono chiamati ad essere santi,
perché quelli che Dio ha provveduti li ha predestinati ad essere conformi all’immagine
di suo Figlio, affinché questi sia il primogenito tra molti fratelli”.
E come potete
credere voi che mendicate la gloria gli uni gli altri, e non
cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Gv 5 Vs 44 Sesto tema.
Argomenti: Povertà e miseria. Tutti i mali
derivano dal fatto che il nostro uomo interiore è disoccupato. Il lavoro da fare è riportarci in
continuazione nell’unità che c'è nel Principio di Dio.
Si muore a se
stessi occupandoci di un Altro da noi, di altro. Trascurare la Parola di Dio vuol dire non raccoglierla, non unificarla nel
Pensiero di Dio, nel Pensiero del Padre. Nella
disoccupazione, si cerca la gloria gli uni dagli altri. Il naufragio dell’uomo. La consacrazione è
occupazione in-. La schiavitù interna
al pensiero dell’io. “Occupali nella
Verità”.
3/Giugno/1979
Introduzione:
Teresa: Consacrarsi vuol dire appartenere solo a Dio ed è Dio
che ci consacra; siamo sua proprietà, riservati per Lui.
Nino: Ci vuole però il nostro consenso. Lettura del Vangelo
5,31-44.
Luigi: Ci soffermiamo sopra questo versetto: “Come potete credere voi che mendicate la
gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?”.
Nelle domeniche scorse, meditando su questo versetto,
abbiamo approfondito:
-
1) Come Gesù ci mette in
evidenza l’inconciliabilità della permanenza della fede in noi con il cercare
la gloria gli uni dagli altri.
-
2) Poi ci siamo soffermati
sopra la mendicità che gli uomini, proprio non cercando la gloria che viene
dall’unico Dio, sono costretti ad avere verso il mondo, perché debbono andare
ad elemosinare un po’ di vita, un po’ di luce, un po’ di amore dalle creature.
-
3) Ed avevamo concluso l’ultima volta con la
disoccupazione interiore.
-
4) Penso che bisognerebbe
ancora approfondire, ora, il rapporto che passa tra la mendicità e la
disoccupazione interiore, perché il più delle volte noi, (notiamo che
mendicità è poi schiavitù alle cose, agli altri, al mondo) puntiamo tutte le
nostre energie e le nostre forze per liberarci da tante nostre schiavitù, da
tanti nostri difetti e non ci rendiamo conto che forse bisogna far leva
essenzialmente su altro. Per questo dico che è importante cercare di capire il
rapporto che passa tra la mendicità in cui noi ci troviamo e la disoccupazione
interiore e vedere come una sia effetto dell’altra.
Proprio tenendo presente quello
che all’inizio ha detto Teresa sulla consacrazione, prendiamo come pensiero
guida questa frase che Gesù dice nell’ultima preghiera, la preghiera
sacerdotale, rivolto al Padre: “Consacrali
nella Verità” e aggiunge: “La tua
parola è Verità”. Questo ci può aiutare nel capire:
-
il rapporto di dipendenza tra la mendicità e la disoccupazione
interiore
-
e su cosa bisogna puntare per cercare di uscire liberi
dalla nostra miseria.
Non la chiamo povertà, perché c'è
una povertà che è beata, perché è proprio quella che ci conduce al Regno di Dio:
“Beati i poveri in spirito”, ma parlo
di mendicità, perché la caratteristica dell’uomo, quando si separa da Dio,
quando non tiene conto di Dio, quando non unifica in Dio, non è tanto la
povertà quanto la mendicità, che è una cosa diversa, perché è
costretto a mendicare sul ciglio della strada dai passanti, anziché
mendicare dall’Eterno.
Ma chi mendica dall’Eterno è
povero; chi mendica dai passanti invece è mendicante, è in miseria.
Ora dobbiamo anche tener
presente per cercare di approfondire questo rapporto, questo fatto; cioè, che tutto
ciò che non è unito a Dio, è destinato ad essere annullato, è destinato a
perire, ad essere annientato.
Ma quanto più perisce, tanto
più ci porta in quella situazione di mendicità di cui parlavo, cioè quella
situazione di miseria come un naufrago: quando la nave su cui egli sta
incomincia ad affondare, comincia ad annegare nell’acqua, alla ricerca di un
sostegno, di un trave, di un qualche cosa, perché tutto sta perdendo. Tutto
quello che noi non raccogliamo, non unifichiamo in Dio, è una nave che sta
affondando, e noi siamo immersi nei marosi, e allora ci agitiamo a destra e a
sinistra: ecco la mendicità.
Ma il problema non si risolve
aggrappandoci ad una cosa o ad un’altra. Perché tutto ciò cui noi ci
aggrappiamo quando non unifichiamo in Dio, ci porta a fondo; non c'è nulla che
ci sostenga, e quindi più noi ci afferriamo e più la mendicità va in
progressione crescente, fino alla morte, fino all’annullamento di tutto.
Ora, quando noi abbiamo parlato
dell’importanza della occupazione interiore, abbiamo parlato della necessità di
sfuggire a questa disoccupazione interiore, perché tutti i mali derivano dal
fatto che il nostro uomo interiore è disoccupato. Quindi tutti i mali,
tutte le schiavitù, tutte le mendicità in cui veniamo a trovarci, sono una
conseguenza di questa disoccupazione interiore. Per questo dicevo: non dobbiamo
tanto preoccuparci di liberarci da quello che sono le nostre schiavitù, da
quello che sono le nostre miserie, le nostre povertà, i nostri mali che ci
portiamo addosso, le nostre dispersioni, la nostra incapacità: perché questi
sono effetti, sono conseguenze; conseguenze di che cosa?
Conseguenze del nostro uomo
interiore che è disoccupato.
Noi più che cercare di
rimediare alle nostre incapacità, dobbiamo cercare piuttosto di trovare il
lavoro, l’occupazione per il nostro uomo interiore.
E quando abbiamo riflettuto
sopra la vera occupazione dell’uomo interiore, abbiamo detto che l’uomo
interiore vive nella misura in cui continuamente si riporta nell’unità di Dio.
E quando non riporta all’unità
di Dio, tutto ciò che non riporta all’unità di Dio, in Lui non è che rimanga,
cosi a metà strada, no; incomincia a perire per opera stessa del Regno di Dio.
E incominciando a perire, ci
porta necessariamente a quella servitù, a quella schiavitù verso tutte le cose.
Ecco allora il lavoro principale su cui dobbiamo puntare per cercare di
rimediare a tutti i nostri mali è questo: riportarci in continuazione verso il
Principio, questa unità che c'è nel Principio di Dio: “In Principio era il Verbo”. Riportare tutto qui, perché Dio ogni
giorno opera un’infinità di cose con noi, attorno a noi, ma tutte queste cose
che opera con noi, sono soltanto delle proposte di lavoro che noi dobbiamo
vedere e unificare nel suo Spirito, in Lui.
E questo è un lavoro personale
che ognuno di noi deve fare. È l’occupazione vera. Ho detto: teniamo presente
la preghiera che Gesù dice e la dice per noi, per tutti coloro che sono in
ascolto di Lui: “Consacrali nella Verità”
e aggiunge: “La tua Parola è Verità”.
Ora, perché lo dice? Questo lo
dice affinché l’uomo sia occupato, l’uomo interiore.
Abbiamo due tipi di
disoccupati:
-
ci sono i disoccupati che sono tali perché non trovano
lavoro;
-
ma ci sono anche i disoccupati che sono tali
perché non sanno lavorare.
Ora Gesù dicendo: “Consacrali nella Verità”, dice,
tradotto in termini più accessibili a noi: “Occupali
nella Verità”, perché Teresa ha detto che il termine consacrazione vuol
dire appartenere tutto; certo, è appartenere tutto; ma questa appartenenza non
avviene senza di noi, perché se è vero che Dio ogni giorno fa arrivare a noi le
sue proposte di lavoro, anche senza di noi, non è vero che Lui ci consacri
senza di noi.
Cioè le proposte di lavoro Lui
le fa giungere a noi senza di noi, ed è logico, perché se Lui non ci prende a
lavorare (“Nessuno ci ha presi a
lavorare”), cioè se Lui non ci fa arrivare le sue proposte di lavoro, noi
siamo disoccupati interiormente e con tutte le conseguenze; per cui se noi
possiamo occuparci in qualche modo, è tutta grazia di DIo: è Dio che fa
arrivare a noi le sue proposte di lavoro. Ma che le proposte di lavoro giungano
a noi da Dio senza di noi, il lavoro però non si compie senza di noi. Cioè Dio
ogni giorno, attraverso la sua Parola, i fatti, gli incontri con noi, ci
presenta un campo da lavorare: “Va a
lavorare anche tu nella mia vigna”. Ecco, ci presenta una vigna, ci
presenta un campo da lavorare. Ma la vigna non resta lavorata senza di noi,
cioè se noi non ci impegniamo ad ascoltare.
E allora direi che quel: “Consacrali nella Verità”, vuol dire: “Occupali! Occupali nella Verità!”.
Ora il Signore prega il Padre,
perché l’occupazione noi la riceviamo dal Padre, ma la riceviamo proprio in
quanto riportiamo al Padre. Diciamo, sotto un certo aspetto, la vigna in cui
dobbiamo lavorare è il Padre, il campo del nostro lavoro è il Padre. Ma il
lavoro da fare avviene tutto attraverso la Parola di Dio che giunge a noi da
Dio, che giunge a noi dal Padre. Infatti Lui aggiunge: “La tua Parola è Verità”; quindi “Consacrali nella Verità” va inteso: “Occupali nel campo della tua Verità”. E qui ci fa capire il
lavoro, il lavoro essenziale che è chiesto ad ogni uomo. Ogni uomo deve essere
interessato a questo campo di lavoro: cioè alla Verità di Dio, la Verità di Dio
che deve essere l’oggetto principale del nostro interesse, deve essere
l’oggetto principale del nostro lavoro, di ogni giorno, l’essenza, quello che
caratterizza ogni nostra giornata: questo interesse per fare in noi,
soprattutto in noi, luce sulla Verità di Dio, perché Dio in continuazione ci
manda dei motivi per convincerci sempre di più e quindi per renderci sempre più
vicino, sempre più intimo la testimonianza della sua Verità. Però questa
testimonianza della sua Verità non si fa in noi senza di noi. Dio fa giungere a
noi la possibilità di vedere, di rendere intima, di rendere personale, di
rendere presente sempre più, fino alla vita eterna, questa sua Verità che è
Presenza di Lui; ma questa sua Verità non diventa luminosa in noi senza di noi.
Dopo averci presentato il campo
di lavoro, ci presenta anche il mezzo per lavorare, perché ha detto che molti
di noi sono disoccupati perché non hanno da lavorare: alcuni perché non sono
presi, altri perché non sanno, e allora il Signore aggiunge: “La tua Parola è Verità”. Ecco, la sua
Parola è il mezzo di lavoro che Dio fa giungere a noi, per cui mentre ci manda
le proposte, ci dà anche i mezzi per poter compiere il nostro lavoro attraverso
di Lui.
Allora dobbiamo puntare non
tanto sopra la liberazione da quelli che sono i nostri difetti, i nostri errori,
le nostre schiavitù, le nostre dipendenze, le nostre miserie, la nostra
mendicità. Cioè, ciò che conta non è tanto cercare di liberarci da quello, come
non è nemmeno poi il puntare soltanto la nostra attenzione sopra il morire a
noi stessi, perché, è vero che bisogna morire a noi stessi, però non è dicendo:
“Io debbo morire a me stesso!”,
perché quanto più noi ci preoccupiamo di morire a noi stessi, tanto più
continuiamo a pensare a noi stessi. Si muore a se stessi occupandoci di un
Altro da noi, di altro.
Ecco, allora: dobbiamo puntare
tutto sopra l’occupazione interiore. Però perché ci sia questa occupazione interiore, è
necessario prima di tutto che noi vediamo qual è il campo da lavorare, da dare
da lavorare a questo uomo interiore. Il campo che Dio offre a questo uomo
interiore per occuparlo, è la sua Verità. Per questo Gesù dice: “Consacrali nella Verità”, cioè “Occupali nella tua Verità”. Il nostro
uomo interiore trova il suo lavoro in quanto si occupa della Verità di Dio. e
Dio offre la sua Verità come campo di lavoro per noi. Però, presentato il campo
di lavoro, noi possiamo trovarci anche nella situazione di non essere capaci a
lavorare; cioè l’abbiamo di fronte, si; dobbiamo occuparci della Verità di DIo;
ma come fare? Allora il Signore dice: “La
mia Parola…..”.
Ecco, se noi siamo attenti alla
Parola di Dio, la sua Parola mentre ci chiama a lavorare, ci insegna anche il
modo per lavorare questo lavoro, per lavorare questa vigna, per lavorare questo
campo. Ci insegna a lavorare.
Naturalmente noi dobbiamo
essere molto attenti a questa Parola di Dio che arriva a noi: dobbiamo
ascoltarla, dobbiamo curarla con attenzione e se noi ci impegniamo in essa,
essa stessa ci guida a lavorare. Se invece la trascuriamo, trascurandola,
rendiamo disoccupato il nostro uomo interiore, e rendendolo disoccupato,
ricadiamo in quella situazione di mendicità. Perché, come il nostro uomo
interiore trascura la Parola di Dio (e trascurare la Parola di Dio vuol dire
non raccoglierla, non unificarla nel Pensiero di Dio, nel Pensiero del Padre),
questa incomincia a morire in noi, a decadere; come decade, noi cominciamo a
sentire il vuoto, e allora dobbiamo abbarbicarci alle creature e chiedere, a
destra e a sinistra, un po’ di gloria, un po’ di luce, un po’ di vita, un po’ di
amore, qualche cosa che mi sostenga, perché ci sentiamo morire. E allora la
preoccupazione principale deve essere quella di fare tesoro della Parola di
Dio, perché le Parole di Dio sono delle proposte di lavoro per il nostro uomo
interiore, e nello stesso tempo, sono delle lezioni attraverso le quali il
Signore ci insegna come si fa a lavorare nella sua Verità, nella quale ci
chiede di consacrarci.
Cina: Succede che non si è capaci di lavorare, quindi non si
lavora.
Luigi: Certo, perché non essere capaci a lavorare è uguale a non vedere
il lavoro; è lo stesso, perché in conclusione, sia colui che non è preso a
lavorare, sia colui che non sa lavorare, vengono a trovarsi tutti e due nella
stessa situazione, sono tutti e due disoccupati. E, nella disoccupazione, si
cerca la gloria gli uni dagli altri, con tutte le conseguenze. Le conseguenze
di questa mendicità sono la schiavitù, la droga, l’oppressione, fino alla
morte, perché la mendicità è già una morte. Come noi trascuriamo la Parola di
Dio, incomincia il mondo dello Spirito a decadere in noi, cioè incomincia la
vita a decadere in noi. E come la vita decade, noi siamo naufraghi. Il naufrago
non fa altro che cercare di afferrarsi a tutto quello che può. Ecco perché noi
ci afferriamo alle creature!
Non si può dire ad un naufrago:
“Non afferrarti alla creatura, non
afferrarti al trave, non afferrarti a tutto quello che trovi!”;
necessariamente egli si deve afferrare, non può farne a meno, perché sta
affondando.
Ora noi il più delle volte
facciamo questo errore anche verso noi stessi. Ci diciamo: “Ma non afferrarti a questo, non afferrarti a quell’altro”; ma non
possiamo farne a meno. Noi sentiamo questo naufragio in noi. Dobbiamo piuttosto
cercare di capire qual è la causa del naufragio stesso, perché nelle cose dello
spirito, è proprio intendendo le cause che si dà la possibilità di non
naufragare, per noi siamo salvati dalla conoscenza. La conoscenza è vita; è la
conoscenza che ci fa essere! Soltanto la conoscenza dell’Essere fa noi essere.
Abbiamo visto prima, quando abbiamo fatto la differenza tra l’uomo interiore e
l’uomo esteriore: che l’uomo interiore è in quanto partecipa all’Essere; l’uomo
esteriore invece vive di apparenza.
È logico che, quanto più l’uomo
esteriore cresce, tanto più soffoca l’uomo interiore; cioè quanto più noi
cerchiamo l’apparenza, tanto più questa apparenza ci fa morire nel mondo
dell’Essere, in quello che veramente siamo.
Ora, invece, quello che
veramente siamo, lo siamo non in assoluto, ma per partecipazione con Colui che
è.
Dio è l’Essere: quindi noi
siamo nella misura in cui conosciamo Lui. Ma per arrivare a conoscere Lui,
bisogna lavorare il campo di Dio. La conoscenza di Lui è questo campo lavorato.
Quando il campo è lavorato in noi c'è la conoscenza di Dio.
Dio ci offre il campo da
lavorare. Il campo da lavorare è una proposta di Dio, ma non è ancora
conoscenza. Il campo è da lavorare, Dio ce lo offre: “Vieni a lavorare nella mia vigna!”, “Consacrali nella Verità”. È
la stessa cosa. Quindi vigna e Verità sono la stessa cosa: “Vieni a lavorare nella mia Verità!”.
Ecco il campo di lavoro; ma
quando uno mi dice: “Vieni a lavorare
nella mia Verità”, il campo è da lavorare. Il campo non si lavora senza di
me, in me. quanto più noi lavoriamo nel campo al quale la Parola di Dio ci
invita, tanto più cresce il nostro essere, perché partecipa alla conoscenza di
Dio, della Verità. La partecipazione alla Verità di Dio è comunione con
l’Essere e quindi il nostro essere si modifica, cresce di luce in luce, di conoscenza
in conoscenza, e crescendo matura per la vita eterna; la vita eterna che è
conoscenza in tutto della Presenza di Dio. In questa conoscenza totale (“Lo Spirito Santo vi condurrà a vedere la
Verità totale”), abbiamo la vita eterna. Perché? perché in tutto restiamo
sempre con Lui. Quando invece non ciò la conoscenza totale, in qualche cosa
siamo con Lui, in altro non possiamo restare con Lui, perché là dove noi non Lo
conosciamo, non possiamo restare: si può restare soltanto con ciò che si
conosce.
Per cui un po’ ci siamo e un
po’ non ci siamo, e allora abbiamo questo oscillare tra essere con Dio e non
essere con Dio, perché non vediamo Lui in tutto.
Ma non vedendo Lui in tutto,
abbiamo in continuazione la proposta di Dio: “Occupati nella Verità. Hai da raccogliere, hai da unificare!”. Più
ci occupiamo, più il nostro essere cresce. È Dio che lo fa crescere, è logico,
però chiede da parte nostra questa dedizione, questa consacrazione, che non
avviene senza di noi. Non basta dire: “Signore, io mi consacro a Te”. Queste
sono parole! Il Signore osserva i nostri pensieri.
Teresa: Secondo te, lo vedi come un aggrapparsi a qualcosa per
esempio la consacrazione con i voti?
Luigi: Non dire: “Secondo te…”;
cerchiamo qui insieme, secondo quello che dice Gesù, perché “secondo me” non
interessa un bel niente, il mio io non conta: quello che conta è la Parola del
Signore. Cerchiamo quindi cosa dice Lui.
Teresa: È in contrasto? O è un ripiego, dato che non riusciamo
perennemente a stare uniti alla Parola di Dio, per cui cerchiamo qualcos’altro?
O è un aiuto per portarci li, cioè ad essere sempre uniti?
Nino: Noi dobbiamo imparare ad ascoltare Dio: è da Lui che
ci viene l’indicazione se quello è o non
è secondo Lui, se quello vale o non vale.
Teresa: Perché se è una cosa che rimpiazza la sostanza, cioè
se è un surrogato, nel senso che se non si arriva là, ci si accontenta di fare
una promessa, meglio evitarla.
Luigi: No, se tu dici “surrogato”, meglio evitarlo. Può invece essere un
aiuto per evitare ciò che disperde.
Teresa: In questo caso, la cosa è diversa…
Luigi: Certo, può essere la trave del naufragio. Però come ho già detto a Cina: la consacrazione alla Verità non sta nel
dire: “Signore, io mi consacro a Te”,
non sta li evidentemente; perché il Signore mi dice: “Tu a parole dici questo, ma io osservo in che cosa ti occupi”; qui
il Signore ci fa vedere che c'è un’incompatibilità tra il cammino della fede e
la nostra occupazione quando la nostra occupazione non è Dio (“Come potete credere voi… che non cercate
la gloria dell’unico Dio?”). Ora, la consacrazione è occupazione in. Ad
esempio: io vivo per la carriera? Mi sono consacrato alla carriere, vivo tutto
per la carriera. Io vivo per la famiglia? Mi sono consacrato alla famiglia e in
funzione della famiglia. Vivo per tirarmi su una casa? Mi sono consacrato alla
casa. Il Signore ci osserva li: per che cosa vivi? Li è la tua consacrazione.
In che cosa ti occupi giorno per giorno? Li è la tua consacrazione! Non sono le
parole che tu dici o le promesse che fai. Ecco, il Signore ci osserva in ciò in
cui noi ci occupiamo effettivamente. Se Dio ci sta veramente a cuore, noi ci
occupiamo di Dio, e allora anche se non abbiamo detto: “Signore, mi consacro a Te”, i nostri pensieri, le nostre
preoccupazioni sono dedicate a questo.
Teresa: Ma le promesse, le parole, non devono essere di
impedimento, al contrario. Se Gesù dice: “Dove
sono due o tre riuniti, Io sono in mezzo a loro”, penso che…
Luigi: “Riuniti in mio nome…”. Quel
“suo Nome” è questo glorificare il
Padre.
Teresa: Se è di ostacolo è diverso…
Luigi: Guarda, stai attenta: tutte le cose che non sono questo impegno
attuale: “occupazione per Dio”, possono e dico possono, essere un ripiego, un
sostitutivo; ecco la trave del naufragio a cui ci afferriamo, proprio perché non
facciamo quel lavoro principale.
Possono essere di aiuto,
possono; quando ad esempio uno dice: “Io
non vado al cinema, perché al cinema mi distraggo”; non vado al cinema per
avere un tempo di raccoglimento, di silenzio. Il fatto di non andare al cinema
può essere un aiuto, se però mi dedico a ciò che vale di più, perché posso
anche non andare al cinema e non fare il lavoro essenziale.
Allora il fatto di non andare
al cinema (“ho fatto la promessa di non
andare al cinema”) può essere un surrogato. La mia promessa diventa
fasulla, se non andando, non mi occupo dell’essenziale, di Dio.
Teresa: Certo, se è solamente un’etichetta.
Luigi: Ora, dico, tutto ciò che non è questa occupazione essenziale (che
non si fa con una promessa, ma che si facendola), ci ha correre il rischio di
avere soltanto un’etichetta: può essere un’etichetta; non è che lo sia, ma può
esserlo. Perché può darsi che ci accontentiamo dicendo: “Ho fatto il mio voto, ho fatto la mia consacrazione, e ora me ne sto
tranquillo!”. No, il Signore dice: “Non
chi dice: Signore! Ma chi fa la volontà di Dio”.
Cioè la consacrazione è
disponibilità per. Disponibilità: quindi se mi sono reso disponibile, mi debbo
occupare.
Ora, se non c'è l’occupazione,
tutta la mia consacrazione è fasulla.
Per questo ho sostituito il
termine: “Consacrali nella verità”,
con il termine che mi sembra più efficace, secondo il nostro linguaggio: “Occupali nella verità” (non è che io
voglia correggere il Vangelo, per carità, ma ogni epoca ha le sue parole, più
efficaci, più vicine allo spirito), e lo dice al Padre, perché se Dio non fa
giungere a noi le sue proposte, noi non possiamo occuparci della Verità, è
logico. Perché dice: “Occupali”, e
perché non dice: “Occupatevi”?
Per dire a noi, che siamo
disoccupati, che soltanto guardando Dio, possiamo essere occupati. Per cui se
io mi sento disoccupato, interiormente disoccupato e non so cosa fare, ecco,
Gesù mi dice: “Guarda il Padre, il Padre
ti occuperà!”. Per cui basta guardare, guardando Dio, Lui già fa sentire a noi
un problema, già ci mette in movimento, ci impegna: per questo dice cosi: “Occupali!”.
Se tu ti trovi con un
disoccupato e vai alla ricerca di un lavoro, di qualcuno che abbia del lavoro
da dargli, gli dici: “Per favore, dagli
del lavoro!”. Comprendi? Qui è Gesù che dice al Padre: “Dagli del lavoro! Dà a loro del lavoro!”. Ma, siccome questa
Parola la dice per noi, dice a noi: “Guarda
al Padre, perché Lui ha la possibilità di darti del lavoro!”. Quindi, se
sei disoccupato, e non sai trovare il lavoro, non vedi il lavoro, guarda il
Padre, e il Padre ti darà lavoro. Ma se tu vedi il lavoro e non sai come si fa
a lavorare… “La tua Parola…”, ecco,
capisci? La sua Parola, la Parola di Dio ti insegna a lavorare. Allora,
afferrati alla Parola di Dio, seguila con pazienza, custodiscila… ti insegnerà
come si fa a lavorare nel campo del Padre, perché la Parola ci parla del Padre.
In quanto ci parla del Padre, quanto più la raccogliamo, la custodiamo,
l’approfondiamo, tanto più ci insegna a lavorare. La Parola del Signore, è il
pane spezzato, è il lavoro spezzato; se ho tutto il terreno da lavorare, ma non
so da che parte incominciare: ecco la parola che presenta la zappa, e mi
insegna come si lavora con la zappa; oppure mi presenta un pezzetto di terreno,
ecc. se seguo la parola, tutte le parole del Signore sono un lavoro spezzettato
in questo campo, in cui sono richiesto di lavorare. Più lo lavoro e più in me
si forma la conoscenza di Dio.
La consacrazione è dedizione a
questo lavoro. San Paolo dice: “Il
Signore mi ha tolto, mi ha sottratto da tutti gli impegni del mondo, mi ha
riservato per Sé”: ecco la consacrazione: mi ha riservato per Sé. Ma per
fare un certo lavoro! Per cui se io cerco di piacere agli uomini, non posso
essere del Cristo.
“Come
potete avere fede voi, credere, se cercate la gloria gli uni dagli altri?”.
Cercando la gloria gli uni
dagli altri c'è incompatibilità con la fede.
Infatti il termine greco della
parola santo è aghios che vuol dire: a = privazione, ghe = terra, cioè senza
terra, sottratto dalla terra, sottratto dalla terra, cioè sottratto dalle cose
del mondo. Il santo è colui che è dedicato tutto a qualcosa del cielo; uno che
Dio ha liberato da tutte le cose del mondo, dalle cose che passano, perché si
occupasse delle cose che non passano.
Quando il Signore dice: “Non preoccuparti del mangiare e del
vestire”, non lo dice affinché per fare la volontà del Padre uno debba
stare seduto su una poltrona. Molte volte il termine “consacrazione” può essere
inteso “Non preoccuparti del mangiare e
del vestire”. No, non preoccuparti del mangiare e del vestire in quanto
c'è una preoccupazione maggiore che devi avere e che ti deve occupare tanto da
non avere tempo per altro, perché Dio ti impiega a tempo pieno. Questo è il
termine “consacrazione”.
Teresa: Però io penso che la “comunità” ci aiuta a vivere la
consacrazione; come in questo gruppo.
Luigi: Si, ci possiamo ammonire a vicenda a non perdere tempo.
Teresa: A vivere la vera consacrazione.
Nino: Si, ha ragione lui quando dice che bisogna avere in
mente solo l’essenziale, perché è facile perderci: ogni cosa ha la doppia
faccia.
Luigi: Si, tutto quello che non è essenziale può prendere il posto
all’essenziale.
Cina: C'è il pericolo di un’etichetta.
Luigi: Certo! Tutto può diventare etichetta!
Teresa: Ma io posso anche vivere sola, in un eremitaggio ed
avere anche l’etichetta del deserto.
Luigi: Certo, anche questo!
Teresa: Ed essere molto egoista.
Luigi: E non fare niente tutto il giorno.
Teresa: E credo di amare Dio e non mi interessa del prossimo,
se il prossimo è il banco di prova.
Cina: È un lavoro personale.
Luigi: Certo, è un lavoro personale.
Teresa: Però non penso che la comunità debba
essere un impedimento.
Cina: Impedimento non penso…
Nino: È un processo di purificazione nel Pensiero di Dio. Ieri
riflettevo appunto su questo: che il pensiero è il più grande dono che Dio ha
fatto all’uomo, affinché l’uomo, donandolo a Lui, giunga alla sua conoscenza.
Purtroppo il pensiero può assolutizzare il proprio io (mendicano cosi la gloria
dagli altri) e le creature, le quali passano e quindi vanno superate per
giungere a Colui che le fa essere. Chi ha scoperto che Dio è l’Essere che fa
essere ogni cosa, vuole rimanere col pensiero solo più in Dio, con l’aiuto e
sotto la guida di Dio stesso. È tutta opera di Dio sull’uomo che ha accettato
di mettere Dio prima di tutto perché il problema è sempre quello di mettere Dio
prima di tutto!
Luigi: Certo!
Nino: Il resto, la comunità, l’andare in Africa, sono cose
esterne.
Luigi: Sono soltanto mezzi, non si possono
mettere al posto del fine. Io non posso mettere la Comunità al posto del fine:
è assurdo! Non posso vivere per la comunità, perché con Dio si vive
personalmente, non si vive in comunità, si vive personalmente, la comunità mi
deve aiutare a vivere con Dio. Ma se la comunità ad un certo momento si mette
al posto di Dio, io debbo salutare la comunità, debbo salutare qualunque cosa:
ho il dovere di salutarla, perché non si può metterla al posto di DIo! La
Comunità è una struttura, un’istituzione, sono creature.
Nino: Quanti religiosi si vede che hanno fatto della loro
istituzione il fine! Ho visto l’ospedale diventare il fine.
Luigi: Certo, tutte le cose possono diventare
fine, perché come noi ci separiamo dall’essenziale, immediatamente le altre cose
diventano fine; i mezzi diventano fine; allora tutta la nostra vita va a
rotoli, per forza. E allora comincia tutto a morire. È logico, come noi
trascuriamo Dio, l’essenziale, tutto comincia a perire. È Dio che ce lo fa
perire, perché Lui regna! Ce lo fa perire, e allora noi sentiamo il naufragio.
Nino: Dio tutto opera per purificare il pensiero dell’uomo,
fino a farlo diventare tutto pensiero di Dio e l’uomo si identifica con il
proprio pensiero. Quando ha fatto il sé la giustizia verso Dio, identifica in
Lui l’unico vero Assoluto, Principio e Fine della sua vita, allora non vuole
più che il suo pensiero sia motivato da altro: per questo vigila e sorveglia
interrogando Dio. Non rifiuta il suo io e le creature, ma può solo pensare ad
essi in Dio.
Luigi: D’accordo, è chiaro Teresa?
Teresa: Ma io l’avevo già chiaro prima che questo non è il
fine.
Luigi: Certo, in tutte le cose; ad esempio perché
uno scappa da un ambiente di lavoro e si raccoglie in un ambiente di silenzio?
Perché? Perché l’ambiente di silenzio lo trova come un mezzo che lo aiuta di
più per l’essenziale. Ma il problema non sta nell’ambiente di silenzio, perché
se io facessi il deserto per il deserto, e il silenzio per il silenzio, di per
sé, non sarebbe valido: sarebbe il mezzo che sostituisce, che prende il nome di
fine; allora il mio fine sarebbe il silenzio! No, è sbagliato! Il fine non è il
silenzio. Si, uno si raccoglie nel silenzio perché nel silenzio è aiutato
nell’essenziale, a raccogliersi in Dio, a cercare Dio, a fare ciò che Dio gli
chiede. Ma il silenzio è un mezzo, il deserto è un mezzo.
Cina: Lo facilita.
Luigi: Certo, cosi anche ognuno si cerca quegli
ambienti e quelle persone che lo facilitano a camminare verso il suo fine.
Teresa: Non è detto però che si arrivi. Posso anche stare nel
silenzio, ma non è detto che io arrivi a Dio.
Luigi: L’arrivare è tutto dono di DIo! Non è
perché io tocco questo tasto che ottengo quello! Non è automatica la cosa. Però
se io, preoccupato di Dio, sfuggo tutte quelle occasioni che Dio mi fa vedere
che possono danneggiare, rivelo che Dio mi sta molto a cuore. Ad esempio quando
sto mangiando e mi accorgo che in cibo incomincia a pesare e mi dà fastidio, lo
scarto, perché? Perché il problema non è quello di riempirmi di cibo ma è
quello di avere la mente libera per occuparmi dell’essenziale e quindi non
debbo avere difficoltà a scartare un certo cibo. Il Signore dice: “Vigilate su
voi stessi, affinché nel mangiare e nel bere non appesantiate la vostra anima”.
Allora uno che cosa fa? Scarta quella cosa che si accorge che sono dannose e si
rivolge invece a quelle cose che sono mezzi che lo aiutano, sempre in vista
dell’essenziale. Si capisce, se non c'è l’orientamento, tutto è sfasato. Quindi
svende l’orientamento all’essenziale, uno a poco per volta, preoccupato di
quello, va a cercare quei mezzi che maggiormente lo aiutano, anche le persone.
Se incontro una persona che si mette a chiacchierare del tempo e della moda,
del mercato, scappo appena mi è possibile, perché debbo perdere del tempo in
cose inutili? Cosi anche si vanno a cercare quello persone, quell’amicizia,
quegli incontri che maggiormente aiutano all’essenziale, cioè che sono più
vicini al Vangelo; ma sono sempre tutti aiuti, non possono essere scopi. Lo
scopo è sempre Dio.
Ho fatto molte volte l’esempio
di andare a Cuneo: il fine è andare a Cuneo, ma poi c'è la strada, ci sono le
macchine, ci sono i mezzi che mi debbono aiutare per arrivare là.
Ora noi possiamo avere la
volontà di arrivare a quella meta e non sapere, oppure confonderci circa i
mezzi, e allora a poco per volta, se ci proponiamo di arrivare, il Signore ci
aiuta a scoprire quali sono i mezzi,
qual è la strada buona che conduce là.
Ma possiamo anche non avere la
volontà di arrivare là. E allora il Signore ci ammonisce, ci manda tutte le
lezioni necessarie per farci capire che noi dobbiamo mettere la volontà di
arrivare là, perché quello è il nostro destino. Dio ci ha creati per la sua
gloria. La sua gloria deve essere il campo del nostro lavoro nella nostra vita.
Noi possiamo non interessarci
della gloria di Dio, e allora Dio opera per farci capire che tutti gli scopi per cui noi viviamo, sono
tutti fasulli, fossimo anche in una trappa: la nostra trappa è fasulla. Perché?
perché a noi non interessa la gloria di Dio, a noi interessa magari la trappa!
E allora diventa fasulla la cosa.
Possiamo invece avere interesse
per la gloria di Dio e magari sbagliare tante volte, per cui noi crediamo di
andare qui, di andare là e di essere aiutati, e invece ad un certo momento
scopriamo che siamo danneggiati, però se abbiamo vero interesse per la gloria
di Dio, questo interesse, quell’amore per Dio ci illumina e ci fa capire: qui
mi fanno perdere tempo, qui sto sprecando. E allora a poco per volta il Signore
mi fa vedere quello che mi danneggia e mi aiuta a liberarmi. È Lui che libera,
perché mi fa vedere le cose mi impediscono di camminare.
Teresa: Non è forse che se non arrivo la causa è dentro di me
e non fuori di me? perché allora debbo liberarmi di quello che sta fuori di me?
Luigi: Non sono io che mi libero; è l’amore per Dio, cioè il Pensiero di
Dio che mi libera.
Teresa: Ma non sono le cose esterne che mi impediscono, è il
mio interiore, no?
Luigi: Certo!
Teresa: Pur trovandoci in ambienti diversi, se non
raggiungiamo il fine non è certamente per ciò che mi circonda.
Luigi: Certamente, è logico.
Nino: È perché il mio io ha deviato e si è rivolto alla cosa
esterna, ma non è la cosa esterna che me lo ha impedito.
Teresa: Se è Dio che mi parla attraverso gli avvenimenti e le
persone, io posso solo ricevere aiuto da tutto questo.
Luigi: Senz’altro: “Non c'è nulla
dall’esterno che possa fare del male all’uomo”.
Teresa: Se io lo ricevo dalle persone mi può danneggiare; ma
se io lo ricevo da Dio, nessuno e niente mi danneggia, anzi, mi può solamente
aiutare.
Luigi: Certo! Non danneggia, ma aiuta, è logico. Non c'è niente
dall’esterno che possa danneggiare, perché è tutta opera di Dio.
Nino: Se tu trovi un portafoglio (fatto esterno) e non lo
restituisci, la colpa non è del portafoglio, ma è il tuo interno.
Luigi: Non è il fatto esterno, certo. La causalità del nostro male è
sempre dentro di noi, che ci lasciamo attrarre da altro da Dio.
Teresa: Il male è perché si dimentica che tutto viene da Dio.
Nino: Posso vedere il portafoglio che ho trovato nel
pensiero dell’io e nel pensiero di DIo; dipende tutto di li.
Teresa: Allora non debbo pormi il problema di scartare quello
che dal di fuori non mi aiuta, se no sarebbe come dire: “In questo momento Dio,
in quello, non opera per il mio bene”.
Pinuccia: No, può essere invece una prova che Dio mi mette
davanti perché io dica di no.
Luigi: Dio mi aiuta anche attraverso quel mezzo per fortificarmi dentro.
Pinuccia: Ma se dipende da me liberamente?
Luigi: Si, infatti San Paolo cosa dice? “Se potete rendervi liberi, non
restate schiavi. Dio vi ha liberati, adesso non ritornate ad essere di nuovo
schiavi delle creature, del mondo, degli usi e dei costumi, perché siete stati
liberati a prezzo del sangue del Cristo”.
Teresa: Ma sono io che mi rendo schiava, non sono gli altri.
Luigi: Quando dici ad esempio: “Senza questo tavolo non posso vivere!”,
il tavolo non è cattivo; sono io che faccio l’errore dicendo: “Senza quel
tavolo non posso vivere!”.
Teresa: Allora quando dici “liberarci”, va inteso: “liberarci
da questa schiavitù interna”.
Luigi: Ma certo; è questa schiavitù interna al pensiero del mio io che mi
fa schiavo ad esempio del portafoglio, per cui il portafoglio, che magari è un
mezzo che Dio mi presenta per compiere un atto di amore, può diventare un mezzo
di schiavitù. Ma la colpa non è del portafoglio, come non è del tavolo che se
dico: “Senza questo non posso vivere”.
È cosi, ritorniamo al termine
della regola. Con molta facilità la regola che dovrebbe essere un mezzo per
aiutarmi a cercare Dio, può invece diventare un’etichetta. Lo comprendi?
Teresa: Ma la colpa è in me.
Luigi: E già.
Teresa: Perché se io fossi autentica…
Luigi: E già perché non sono autentica nel cercare Dio.
Teresa: Se fossi autentica, darei solo dell’aiuto agli altri,
lo riceverei e nessuno mi porterebbe del danno.
Luigi: Ma l’autenticità nostra è tale in quanto c'è la ricerca
dell’essenziale, c'è la passione per Dio, per la vita eterna. È questo che
rende autentico. Ora, se questo l’ho in me, allora tutto diventa mezzo che mi
aiuta per potenziare sempre di più questo.
Pinuccia: Però tra questi mezzi io debbo pur fare una scelta.
Luigi: Certo, io debbo accogliere, perché se veramente sono autentico,
scelgo quello che maggiormente mi aiuta in questo mio amore, questa mia
passione.
Pinuccia: Non è che tutto sia uguale e che ci aiuti in modo
uguale come mi pare voglia dire Teresa.
Luigi: Dio ci offre dei beni che poi ci invita a lasciare: “Va, vendi
quello che hai!”
Nino: La scelta ce la consiglia Dio.
Luigi: È Dio che fa vedere ciò che dobbiamo preferire.
Nino: E tutte le volte che scelgo senza Dio, sbaglio.
Teresa: No, non pensavo che tutto fosse uguale; mi era parso
invece che si volesse scartare qualcosa come se la causa del nostro
allontanamento da Dio venisse dal di fuori.
Luigi: No, le cause degli errori…
Teresa: Ce le portiamo dentro.
Luigi: Certo, sempre dentro, quando siamo troppo attaccati a qualcosa che
non vogliamo lasciare.
Teresa: Perché se non
lo tengo presente posso pensare tutta la mia vita a correre per liberarmi da
questo è da quello, però mi porterei sempre il mio io dietro e allora…
Luigi: No, il problema non è liberarmi da questo o liberarmi da quello. Il
problema è di conoscere il Signore, perché siamo stati creati per la gloria di
Dio. Questo è il problema. Il problema non è di scappare da una cosa anziché da
un’altra. Perché allora io posso anche scappare da tutto e allora faccio come
mio problema il deserto, il silenzio, e ritengo che la perfezione stia nel
silenzio, nel deserto; ma questo è sbagliato, perché allora faccio un idolo del
deserto. L’essenza è altro!
Nino: È il desiderio stesso di conoscere Dio che pian piano
ci libera dalla voglia di andare al cinema, ad esempio; dalla voglia di
guardare la TV, di mangiare questo o quello, di vestire alla moda, ecc..
Pinuccia: Cioè uno non se lo propone, però…
Luigi: Certamente. Perché uno scappa da tutte quello cose?
Nino: Se uno dice: “Ora butto via tutti i vestiti belli che
ho perché voglio piacere a Dio…”
Luigi: Sarebbe un errore!
Nino: E invece siccome ho capito quello che veramente vale è
solo Dio, non mi interessa più quello!
Cina: Conta aver cura del grano buono.
Luigi: L’essenziale è sempre li: il grano buono! È questo che deve
crescere!
Nino: È naturale che tu hai la passione per i vestiti, e
pensi anche a Dio, incominci a non andare le vetrine dei vestiti, se no è
facile che ad un certo punto entri dentro e compri il vestito invece di pensare
a Dio.
Luigi: Non è che il vestito di per sé sia male; mica devi andare
svestita; però ad un certo momento, con molta facilità il vestito può diventare
una schiavitù.
Quindi chi ha lo Spirito si
comporta anche nel vestire, nel parlare, in modo completamente caratteristico,
tutto diverso, perché è lo Spirito che lo guida.
E lo Spirito parla in modo suo
caratteristico. Guarda come parla il Cristo. Parla in modo che nessun uomo ha
parlato mai come Lui. Ma anche il parlare non è tutta opera di Dio? Perché
allora Gesù parla in modo caratteristico? Vuol dire che lo Spirito ha i suoi
gusti in cui si manifesta, si rivela; per cui ad esempio lo Spirito non segue
tutte le mode e non va in ambienti dove si perde tempo, non va a perdere tempo
a ballare, non va a perdere tempo a divertirsi nelle fiere del mondo. Non è che
tutto questo sia proibito. Non è il fatto di proibire questo o quell’altro, per
cui: “Io non faccio né questo, né quest’altro e sono a posto!”. Il problema non
sta nel proibire una cosa piuttosto che un’altra. No, il problema è avere un
amore. Chi ha un amore fa delle scelte guidate dall’amore. Cosi anche la
consacrazione: potrebbe diventare per noi un’etichetta. Invece deve diventare
qualcosa di vivo in noi, che occupa noi, che occupa la nostra anima. È Dio che
ci occupa. Invece di essere occupati da tanti argomenti del mondo, l’anima è
occupata da Dio.
Pinuccia: Però succede che pur comprendendo che devo occuparmi,
impegnarmi in quello, pur desiderandolo, sento tutta l’incapacità: non so
lavorare.
Luigi: Ecco, il Signore dice: “La tua Parola è Verità, la tua Parola
insegna loro a lavorare. Consacrali nella Verità, la tua Parola è Verità: la
tua Parola insegna loro a lavorare”.
Se effettivamente ti sta a
cuore la cosa, guarda che chi ti insegna a lavorare è la Parola del Signore. Se
io andassi a lavorare in un’officina, o in un ufficio: non sono capace a
lavorare, ma il datore di lavoro, il direttore mi direbbe: “Guarda, io ti metto
accanto uno che a poco per volta ti dice cosa e come devi fare; tu stai solo vicino
a Lui, guarda come fa lui e imparerai a lavorare”. Sei a posto! Per la seconda
volta posso dire: “Ma io non sono capace a lavorare!”, allora vuol dire che io
non ho voglia di lavorare. Ma se effettivamente io voglio lavorare e l’altro mi
dice: “Sta accanto a Lui! Nessun problema, Lui ti insegnerà poco per volta!”
Pinuccia: Accanto a Lui, sarebbe accanto alla Parola, al Cristo
che parla.
Luigi: Certo, Lui parlando a te, ti insegna a lavorare. Tu seguilo passo
a passo. Vedrai che imparerai a lavorare.
Nino: È il Maestro.
Luigi: È il Maestro di tutto; è Maestro come orientamento. È il campo, il
lavoro ed è anche il Maestro nel lavoro. Quindi, vedi: non ci sono
problemi!
Sintesi degli argomenti principali trattati
nell’incontro:
Consacrazione vuol
dire: appartenere solo a Dio (non avviene senza la nostra
partecipazione); occupazione in -; è Dio che ci consacra, siamo sua proprietà,
riservati per Lui.
Se Dio non ci prende a lavorare
nella sua vigna, nel suo campo (il campo della verità, il Padre), se non ci
manda la sua proposta di lavoro, noi siamo disoccupati interiormente.
Il termine greco della parola “santo” è aghios:
cioè a= senza, privazione; ghios = terra; quindi senza – terra, sottratto
dalle cose del mondo per occuparsi di Dio.
“Non
preoccupatevi del mangiare e del vestire in quanto c'è una preoccupazione
maggiore che devi avere e che ti deve
occupare tanto tempo da non avere più tempo per altro”, perché Dio ci impegna
a tempo pieno.
Noi non dobbiamo preoccuparci di liberarci dalle nostre schiavitù,
ma dobbiamo preoccuparci di trovarci il lavoro, l’occupazione per il nostro
uomo interiore.
L’uomo interiore vive nella misura in cui continuamente
si riporta nell’unità di Dio.
Ci sono due tipi di disoccupati:
-
disoccupati che non trovano lavoro;
-
disoccupati che vedono il lavoro
ma non sanno lavorare.
Gesù dice al Padre: “Consacrali
nella verità; la tua parola è verità”. Il che significa: “Occupali nella tua verità”; non dice: “Occupatevi della verità”, perché
soltanto guardando il Padre possiamo essere occupati.
Per cui se io mi sento disoccupato, e non so come
fare, Gesù mi dice: “Guarda il Padre, il
Padre ti occuperà”; per cui basta guardare, guardando Dio Lui fa già
sentire a noi un problema, già ci mette in movimento, già ci impegna.
Se non sai lavorare, la sua
Parola ti insegna a lavorare. Afferrati alla parola di Dio, seguila con
pazienza, custodiscila, ti insegnerà come si fa a lavorare nel campo del Padre,
perché la parola ci parla del Padre, la parola è il pane spezzato.
Il campo non si lavora senza di me, in me.
“La tua
parola è verità”: se ti sta veramente a cuore la cosa,
guarda che chi ti insegna a lavorare è
la Parola del Signore.
Gesù parlando a te, ti insegna a lavorare; tu seguilo
passo a passo. Vedrai che imparerai a lavorare. Lui è il tuo Maestro, è il tuo
Maestro in tutto. È Maestro come orientamento, è il campo di lavoro ed è anche
il Maestro nel lavoro. Quindi non ci sono più problemi!
Quanto più noi lavoriamo nel campo al quale la parola
di Dio ci invita, tanto più cresce il nostro essere, perché partecipa alla
conoscenza di Dio della verità.
La partecipazione alla verità di Dio è comunione con
l’Essere e quindi il nostro essere si modifica, cresce di luce in luce, di
conoscenza in conoscenza, e crescendo matura per la vita eterna; la vita
eterna che è conoscenza in della Presenza di Dio, perché in tutto noi restiamo
con Lui “Quando verrà lo Spirito vi
condurrà a vedere la verità totale”.
Attenzione: tutto ciò che non è essenziale può prendere
il posto dell’essenziale in noi.
I mezzi possono diventare fine; come noi ci separiamo
dall’essenziale, immediatamente le altre cose diventano fine.
Perché vado nel deserto? Perché mi aiuta nel mio rapporto
con Dio. Il fine non è il deserto.
Ognuno cerca quegli ambienti e quelle persone che lo
facilitano a camminare verso il suo fine.
La funzione del gruppo è quella di ammonirci a vicenda a
non perdere tempo.
L’autenticità nostra è tale in quanto c'è la ricerca
dell’essenziale. c'è la passione per Dio, per la vita eterna. È
questo che rende veramente autentico.
Ora, se questo l’ho in me, allora tutto diventa mezzo che
mi aiuta per potenziare sempre di più questo.
Quindi chi la lo Spirito si comporta anche nel vestire, nel
parlare, in modo completamente caratteristico, tutto diverso, perché è lo
spirito che lo guida.
E lo Spirito parla in modo suo caratteristico.
Guarda come parla il Cristo. Parla in modo che nessuno ha
mai parlato come Lui.
Ma anche il parlare non è tutta opera di Dio? perché
allora Gesù parla in modo caratteristico?
Vuol dire che lo Spirito ha i suoi gusti in cui si
manifesta, si rivela; per cui ad esempio lo Spirito non segue le mode e non va
in ambienti in cui si perde tempo, non va a perdere tempo a ballare, non va a
perdere tempo a divertirsi nelle fiere del mondo.
Non è che tutto questo sia proibito, non è il fatto di
proibire questo o quell’altro, per cui io non faccio né questo né quell’altro
quindi sono a posto. Il problema non sta nel proibire una cosa piuttosto che
un’altra. No, il problema è avere un amore.
Chi ha un amore, fa delle scelte guidate dall’amore.
Cosi anche la consacrazione
potrebbe diventare per noi un’etichetta. Invece deve essere qualcosa di vivo in
noi, che occupa noi, che occupa la nostra anima. È Dio che ci occupa. Invece di
essere occupati da tanti argomenti del mondo, l’anima è occupata da Dio.
Però se io, preoccupato di Dio, sfuggo tutte quelle
occasioni che Dio mi fa vedere che mi possono danneggiare, rivelo che Dio mi sta
molto a cuore.
Ad esempio quando sto mangiando e mi accorgo che un cibo
incomincia a pesare e mi dà fastidio, lo scarto, perché? perché il problema non
è quello di riempirci di cibo, il problema è quello di avere la mente libera
per occuparci dell’essenziale e quindi non debbo avere difficoltà a
scartare un certo cibo.
Il Signore dice: “Vigilate
su voi stessi, affinché nel mangiare e nel bere non appesantiate la vostra
anima”.
Se abbiamo l’orientamento all’essenziale ci cerchiamo i
mezzi che ci aiutano di più a raggiungere il fine.
Ora,
possiamo:
-
avere la volontà di arrivare alla
meta e non sapere, confondere i mezzi, allora il Signore ci
aiuta a scoprire i mezzi buoni, la strada buona;
-
non avere la volontà di
raggiungere il fine e allora il Signore ci ammonisce, ci manda
tutte le lezioni necessarie per farci capire che noi dobbiamo mettere la
volontà di arrivare là, perché quello è il nostro destino;
-
avere interesse per la gloria di
Dio e sbagliare tante volte, ma il Signore mi corregge.
San Paolo dice: “Se
potete rendervi liberi, non restate schiavi. Dio vi ha liberati, adesso non
ritornate ad essere di nuovo schiavi delle creature, del mondo, degli usi e dei
costumi, perché siete stati liberati a prezzo del sangue di Cristo”.
Gesù è il Maestro di tutto, è Maestro come orientamento,
è il campo di lavoro ed è anche il Maestro nel lavoro.
Gesù parlando a te, ti insegna a lavorare, tu seguilo
passo a passo; vedi che imparerai a
lavorare.