E come potete credere voi che mendicate la gloria gli uni gli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Gv 5 Vs 44 Primo tema.


Titolo: Le fonti dell’essere e le fonti del sembrare.

Argomenti:Pensare Dio-Recuperare il Principio. Il disordine interiore. La Parola di Dio ci concentra sull’essenziale. Il dogma è un’offerta di lavoro. Incompatibilità tra il nostro cercare il giudizio degli uomini e il credere. La fede è una conseguenza del nostro interesse per la gloria di Dio. L’interesse per la gloria di Dio viene da un atto di Giustizia. Mendicare la gloria dagli uomini. Riceviamo l’essere nella misura in cui cerchiamo la Gloria di Dio. Falsificare la vita. Illudersi di credere.

 


 

6/Maggio/1979


Introduzione:

Eligio: Quando mi raccolgo in silenzio qual è l’oggetto del mio pensiero se Dio noi lo accettiamo per fede?

Luigi: Non è che lo accettiamo per fede: lo pensiamo per fede! Guarda che tu Lui lo puoi pensare, perché lo pensi col Pensiero di Dio, perché il Pensiero di Dio è in te! Il Pensiero di Dio è in noi e Dio si dà a noi indipendentemente da noi.

E in quanto si dà a noi, noi possiamo raccoglierci nel suo Pensiero, possiamo pensarLo.

Teresa: Possiamo pensarlo e perché allora con tanta facilità ci sfugge e non Lo pensiamo sempre?

Luigi: È perché noi siamo figli delle nostre distrazioni; siccome siamo tanto distratti, ecco che quando tu ti metti un po’ in silenzio, prima devi smaltire tutto quel materiale in cui ti sei distratta per arrivare a recuperare il raccoglimento in Dio.

La vita sostanzialmente è un recupero di quel Principio che Dio ha posto in noi: “In Principio era il Verbo”. Cioè, a fondo di ogni creatura c'è il Verbo di Dio, all’inizio di ogni creatura c'è il Verbo di Dio.

Quando nel Vangelo si dice: “In Principio era il Verbo”, si annuncia quello che c'è, che era in principio della nostra vita, a fondamento della nostra vita; poi ha cominciato il mondo ad invadere la nostra vita.

Non è che in principio c'era e adesso non ci sia più: cioè non è che in principio ci fosse in Verbo e poi non ci sia più stato. No! È per noi quell’annuncio, per dirci: “Guarda che in principio in te  era il Verbo; dopo è entrato il mondo, gli uomini con le loro parole e sono tutte le loro sovrastrutture…”

E allora noi, come ci raccogliamo nel silenzio, dobbiamo incominciare ad eliminare tutte queste sovrastrutture, per recuperare quel principio.

La vita è un rinnovamento continuo; ma il rinnovamento avviene nel Principio, cioè abbiamo bisogno di ritornare sempre in quel Principio: “In principio era il Verbo; in principio era il Pensiero di Dio; in principio era il Verbo di Dio”.

Bisogna sempre recuperare questo principio ed è una fatica enorme questo recupero nel principio, perché noi abbiamo accumulato tanto materiale diverso.

La vita allora in noi diventa stanca, la vita diventa vecchia, perché è tutto questo materiale che la rende cosi.

Mentre in invece la vita dovrebbe essere un rinnovamento continuo, un raccoglimento continuo, un recupero continuo nel Principio.

Il Principio di Dio, il Verbo di Dio, è una Sorgente di novità continua in noi, se noi lo recuperiamo; ma in quanto è in noi, fin dal Principio, dà a noi la possibilità di recuperarlo.

Non è che si recuperi in cinque minuti di silenzio, per carità, ma facendo del silenzio, noi praticamente ammoniamo la nostra anima a ritrovarsi con il suo Principio.

Più noi ci avviciniamo a questo Principio e più la nostra vita si rinnova, diventa fresca.

Pinuccia: Si armonizza.

Eligio: Non è detto che nel silenzio si colga questo Principio, proprio perché prevale il mondo…

Luigi: Diventiamo figli delle nostre opere. Noi diciamo tante parole e generalmente non ci accorgiamo di essere schiavi di esse: ma come ci raccogliamo in silenzio, scopriamo questo mondo disordinato portiamo dentro di noi.

E prima di tutto bisogna cercare di ascoltare tutto questo disordine. Come quando noi ci mettiamo in preghiera; con la preghiera noi ammoniamo la nostra anima, la nostra mente, a  pensare a ciò che noi diciamo con le parole della preghiera. Ma la ammoniamo soltanto! Quando noi diciamo: “Padre nostro…” e arrivare a pensare al Padre, ce ne vuole!

Ecco, noi ammoniamo la nostra anima a pensare a questo, ma è molto difficile pensare a questo, perché  siamo carichi di tanto materiale che abbiamo bisogno di smaltire. Facendo silenzio si smaltisce un poco questo disordine. Noi idealmente dovremmo fare quel tanto silenzio fino ad arrivare a stabilire un contatto con il Verbo di Dio che vi è in principio di ogni creatura, che vi è in noi stessi.

Eligio: Invece personalmente col silenzio è dove maggiormente riesco a prendere coscienza di tutto questo mondo turbolento che è contrario …

Luigi: Si, ed è già una provvidenza, ed è già un atto di grazia, perché noi il più delle volte non ne prendiamo nemmeno coscienza. Questo è già grazia.

Eligio: Perché nella routine di tutti i giorni è normale essere immersi nel mondo.

Luigi: E già, noi ci consideriamo normali; quando invece ci mettiamo in silenzio scopriamo la nostra anormalità, perché la nostra normalità dovrebbe sempre essere raccolta nel Verbo di Dio, nell’attenzione a Dio, perché noi dovremmo imparare a vivere sempre nel Pensiero di Dio, uniti a Dio, in modo da lasciar trasparire, da lasciar parlare, da lasciar operare sempre Dio in noi. Questa è la normalità.

Come noi cerchiamo di raccoglierci, ci accorgiamo invece di tutta la anormalità che portiamo con noi. Questa anormalità però non la avvertiamo nemmeno vivendo nel mondo.

È solo quando incominciamo a recuperare un pochino, a raccoglierci, che ci accorgiamo di tutta la situazione anormale che portiamo con noi, dentro di noi.

Ma, per fede, dico, e non per conoscenza.

Per fede, perché Dio è presente in noi prima di noi, anche senza di noi, (confronta il rapporto di vicinanza).

Ora, essendo presente in noi, dà a noi la possibilità di pensarLo, per fede.

Quando arriveremo alla conoscenza, allora si.

Ecco, nella conoscenza ci sarà dato pensare Dio come ci pensiamo tra noi, perché allora Dio diventa concepibile.

Attualmente Lo pensiamo per fede, perché Lui è presente anche senza di noi e quindi essendo presente dà a noi la possibilità di pensarLo.

Dà a noi la possibilità di pensare a Lui; tant’è vero che sentiamo la difficoltà di pensarlo.

Il sentire la difficoltà di pensarlo, quando ci mettiamo in silenzio, già dimostra che abbiamo la possibilità di pensarlo, altrimenti non scopriremmo nemmeno questa difficoltà di pensarlo.

Scoprire la difficoltà di un problema, implicitamente vuol dire avere la possibilità di risolvere questo problema, altrimenti non avvertiremmo nemmeno l’esistenza del problema.

Eligio: Non so, però nel momento del silenzio io sento tutto il tumulto del mondo procedente che non è secondo Dio, perché Dio è pace.

Luigi: Si, quella è la prima grazia che il Signore ci fa quando facciamo un piccolo passo per raccoglierci alla sua Presenza. Ora, il farci prendere coscienza della nostra lontananza è grazia di Dio. Il far prendere coscienza del cumulo di materiale che portiamo in noi, del grande lavoro che abbiamo da fare è grazia.

Noi passiamo si può dire tutta la nostra vita nell’incoscienza: non ci rendiamo conto del vero lavoro che dobbiamo fare nella nostra vita.

Ecco, quando ci mettiamo in silenzio e incominciamo a meditare su Dio, incominciamo a prendere consapevolezza di questo.

Forse restiamo anche spaventati, però è da preferirsi lo stato di consapevolezza allo stato di incoscienza. Ecco, qui abbiamo un passaggio, un salto: dall’incoscienza alla consapevolezza.

Avendo preso consapevolezza, diciamo: “Quanto lavoro da fare!”. Ma intanto la vita incomincia a presentarsi di fronte a te come un cammino da fare. C'è tanto cammino da fare, però incomincio a capire: debbo arrivare là!

Nino: Non trovi più facile entrare in contatto con Dio quando hai qualche problema che ti angustia?

Eligio: Quando ho qualche contrarietà mi è facile pensare alle parole di Gesù: “Sono Io che parlo con te”. Invece quando mi metto in silenzio avverto l’aspetto negativo, cioè il tumulto del mondo.

Luigi: Si, ma l’aspetto negativo è positivo, perché ti fa capire il grado di lavoro che devo fare.

Eligio: Nella contrarietà durante il lavoro è più facile dire: “Sta attento che c'è una Volontà diversa che opera con te”, sempre nel silenzio che dovrebbe essere un elemento favorevole, non riesco.

Luigi: Forse riesci a ricevere quella luce che ti aiuta dopo nei momenti di contrarietà ascoltando parlare Dio, durante la conversazione, più che forse nel silenzio, perché nel silenzio ti si chiede l’adesione, invece ascoltando la conversazione…

Nino: Tante volte riceviamo senza renderci conto di ricevere. Quando ti trovi in qualche frangente e ti rivolgi a Dio, ti arriva l’idea per risolverlo in linea con Dio.

Luigi: E poi in quanto ti rivolgi, hai un rapporto con Lui, quindi Lo pensi. In quanto c'è un rapporto vuol dire che lo pensi, altrimenti non potresti avere un rapporto con una cosa impensabile.

Nino: Però aderisci per fede.

Luigi: Si, per fede, però è pensiero: Lo pensi.

Nino: Non possiamo pretendere di vedere Dio com’è in realtà… nei primi tempi cercavo di immaginarmi Dio, ma ….

Luigi: No, Dio non ha una figura. Dio è Pensiero.

Pinuccia: La seconda lettura di stamattina ci dice che un giorno vedremo Dio “faccia a faccia”

Luigi: Si, ma vedere Dio “faccia a faccia” non è vederLo cosi come ci vediamo tra noi. Se tu ti aspetti in cielo di vederLo fuori, davanti a te, non Lo vedrai mai! Dio non è una realtà esterna!

Pinuccia: Perché allora dice “faccia a faccia”?

Luigi: “Faccia a faccia” non è esteriorità, figura. Dice: “faccia a faccia” in quanto Lo possiamo individuare come Realtà. Se non è una Realtà esterna, nel senso che: io sono qui e Dio è li.

Pinuccia: È dentro di noi.

Luigi: Anche quel “dentro di noi” è molto da precisare, in quanto non è che Dio abiti dentro di noi per cui io sono un recipiente che contiene Dio: no, non in questi termini, altrimenti noi saremmo superiori addirittura a Dio perché  saremmo il recipiente che contiene Dio.

Teresa: È nella nostra mente, nel nostro pensiero, no?

Luigi: A me sembra che sia più facile capirlo nei rapporti tra Figlio e Padre: il Figlio è tutto Pensiero del Padre; è Pensiero di Colui che Lo fa essere.

Ecco, quindi il Figlio pensa il Padre, essendo tutto Pensiero del Padre, sa di essere Pensiero del Padre: per cui Lui, il Padre è Realtà, è la Realtà. Ma non è una Realtà fuori, per cui il Padre è là ed io sono qui che lo penso, come ad esempio adesso penso a Cina: Cina è li ed io sono qui che penso a Cina! Non è cosi, e noi in cielo non vedremo Dio cosi!

Teresa: Non è giusto dire: tutto il pensiero del Figlio è il Padre? No? Il Figlio è Pensiero del Padre.

Luigi: È tutto Pensiero del Padre. Si, il Figlio è tutto Pensiero del Padre.

Teresa: Pensa continuamente al Padre?

Luigi: Certo, perché è Pensiero del Padre.

Teresa: Quindi è giusto dire: tutto il Pensiero del Figlio è solamente il Padre?

Luigi: Si, è tutto Pensiero del Padre. Noi invece siamo pensiero di tante cose e tra le tante cose c'è anche il pensiero di Dio.

Ma per noi il Pensiero di Dio in noi è un punto in mezzo ad un’infinità di cose e le altre cose sono molto più grandi agli occhi nostri che non il Pensiero di Dio.

Il Pensiero di Dio è un punto piccolissimo nel nostro cielo: è una stella lontanissima per noi.

Invece per il Figlio di Dio, il Padre, il Pensiero del Padre, è tutto il suo cielo.

Noi invece abbiamo un’infinità di pensieri, altri, e siamo chiamati a diventare tutto Pensiero del Padre, tutto Pensiero di Dio.

La nostra fatica, la nostra dispersione, la nostra privazione di essere è proprio questa molteplicità.

Noi nasciamo dal nulla e siamo chiamati a diventare “tutto”, tutto con Dio. E tutta la nostra fatica è questo superamento della molteplicità.

Per questo dico che è la pazienza che forma l’anima nostra, questa pazienza che si rinnova in continuazione con la Sorgente, con il nostro Principio.

La nostra sorgente è Dio, la nostra Sorgente è quello che Dio, creandoci, ha messo come Principio in noi: Principio, il Verbo, la sua Parola.

La sua Parola è il Principio della nostra esistenza.

Poi noi nella nostra superficialità, abbiamo accolto tanti altri principi per cui crediamo in Dio, ma crediamo anche, crediamo anche, crediamo anche…

Ecco! Tutto questo ci crea una dispersione immensa, perché la vita è unificazione, la vita è nel Verbo.

“In Lui era la vita”; quindi la vita è avere un pensiero unico ed in questo unico pensiero poter raccogliere tutto. Per cui Dio è un Pensiero unico in cui è la ragione di tutto e quindi diciamo: è la Verità.

La vita è “reductio ad unum”. Riuscire a ridurre tutto ad uno, ad un Essere Unico e in quell’Essere unico…

Ora, questa fatica di unificare, di raccogliere tutto in quell’Essere unico, diventa vita per noi, ed è vera vita.

Ed è quello il “pensare”, il vero pensare.

Non facendo questo, noi ci priviamo della vita e facciamo poi consistere la vita in un raccogliere attorno a noi, cioè in un avere, anziché in un essere.

Invece l’unificazione in Uno solo, questo ci fa essere.

Mettere attorno a me tanta altra cosa è addirittura una privazione di essere.

È come se io fossi malato e mi riempissi tutta la casa di medicine, e non è che le medicine mi facciano guarire di per sé.

Eligio: È importante perciò avere ben chiaro il punto fisso di riferimento su cui dobbiamo far convergere e raccogliere ogni nostra dispersione.

Luigi: Si, questo punto fisso di riferimento ci è dato, per fede. In base a questa fede noi cominciamo a raccogliere, direi a cercare la gloria di Dio di cui si parla in questo versetto.

Più cerchiamo questa gloria, più ci avviciniamo a quel salto di qualità che sarà poi la Pentecoste in cui raggiungeremo la conoscenza.

Nino: Ieri sera si parlava che prima della conoscenza finale c'è una conoscenza per fede.

Luigi: Si, è il campione.

Nino: Ed è già vita eterna perché si tratta sempre di conoscenza, quindi la vita eterna comincia già qui. Se tutti noi sapessimo unificare in Dio le nostre azioni, cioè adeguandole al Pensiero di Dio, che bel mondo sarebbe! Non ci sarebbero più discussioni, né liti.

Luigi: E già, perché il tuo interesse principale è nello Spirito ed è una cosa nettamente personale. Tutto il resto, quando tu godi di una ricchezza immensa interiore, non t’importa proprio niente anche di perdere il resto.

Nino: Tu pensa tutti i problemi che ci creiamo continuamente: il dover andare in Piazza d’Armi se no ti considerano un orso. Questi problemi si risolvono in Dio.

Lettura del Vangelo di San Giovanni

Lettura del riassunto del 12/08/1978 a Pietraporzio.

Se ogni avvenimento noi lo consideriamo nel Pensiero di Dio è un richiamo a Dio, invece nel pensiero dell’io diventa un motivo di distrazione da Lui per cui sperimentiamo stanchezza e delusione: staccati da Dio non possiamo percepire queste differenze.

(Staccati da Dio non possiamo intenderlo.)

Il vero male è in noi, consiste in questo essere staccati da DIo; il problema è che noi le conseguenze negative che derivano dall’essere staccati da Dio, le attribuiamo agli altri, come se (il male) la responsabilità fosse negli altri.

Invece tutto è misericordia di Dio, per invitarci ad alzare continuamente (a Lui) il nostro sguardo a Lui.

Dio ci parla fuori per portarci all’ascolto interiore, per farci scoprire il Suo volto nel nostro intimo: tutto va trasceso e non rivestito del nostro io.

Quando si scopre questo tesoro, si lascia tutto il resto; ma la rinuncia è una conseguenza del cercare prima di tutto il Regno di Dio, per la ricerca del quale ogni mezzo diventa valido, anche la fuga da ciò che ci ostacola.

Ma è l’interesse alla meta che ci fa riconoscere gli ostacoli che ci impediscono di passare al silenzio interiore…

Infatti è solo nel silenzio di tutto che si può giungere a intendere Dio.

Si può stare con il Vangelo in mano tutto il giorno e non avere il silenzio in noi per ascoltarlo.

È un silenzio che può tardare anni a compiersi, per cui Dio tarda a farsi conoscere: i tempi sono suoi.

Quando si sarò fatto conoscere, allora nessuna folla urlante potrà rompere il silenzio in noi.

Riassunto dell’incontro 146 del 20/08/1978 a Vigna

Gv. 5, 18: “I Giudei cercavano di farlo morire perché oltre violare il sabato, chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio”.

Tema: Cos’è Dio per Gesù?

Gesù ci dice: “Non date a nessuno il nome di Padre, perché uno solo è il Padre vostro”.

Siamo chiamati a fare una cosa sola con Gesù; noi che siamo pensiero di tante cose, siamo chiamati a diventare come Gesù, Pensiero del Padre, ma questo può avvenire solo per opera del Padre nel silenzio di tutto, lasciando cadere il pensiero delle altre cose.

Non dobbiamo accettare nessun’altra autorità che quella di Dio, perché nessuno può sostituirsi a Dio, nemmeno il Papa; per cui qualsiasi argomento da chiunque ci giunga, deve trovare conferma presso Dio.

Quello che la Chiesa ci dice, noi dobbiamo accoglierlo e riportarlo a Dio perché è Dio rende valida la Chiesa, non viceversa.

Non possiamo ubbidire ciecamente, ma non possiamo neppure rifiutare: l’atteggiamento giusto è quello di riportare ogni cosa in Dio, poiché Dio è la Verità che parla in noi e ci illumina.

(Cosi noi) Abbiamo il dovere di accettare i dogmi proposti dalla Chiesa, anche se non li comprendiamo; tuttavia non (possiamo) dobbiamo rifiutarli per superbia. Ad esempio il dogma della verginità di Maria, il dogma della sua Assunzione, se li ragioniamo con Dio, disponiamo ad accettarli.

Maria è la creatura esemplare che ci rivela come Dio( voleva) ha voluto ogni creatura nel suo piano iniziale; all’inizio la morte non esisteva, perché Dio ha creato ogni creatura per la vita; staccandoci da Dio fu necessaria la lezione della morte per recuperare l’uomo.

Non siamo giustificati a rifiutare ciò che non capiamo; ad esempio i dogmi vanno accolti da Dio anche se non abbiamo prove giustificate in Dio per negarlo.

Bisogna aderire, anche senza capire, in attesa che la Verità si manifesti…

Più cerchiamo Dio e più Dio ci conferma interiormente.

Ognuno personalmente ha sempre da fare una verifica interiore presso Dio di ogni cosa che viene dal di fuori.

Anche le parole di Cristo giungono a noi dall’esterno, ma sono confermate come vere nel nostro animo dal Verbo interiore e per questo ci convincono.

Potremmo anche negarle, ma non saremmo convinti di questo rifiuto, perché la verità ci supera e si afferma in noi.

Un’affermazione esterna senza una conferma interiore non è verità, perché prevale la testimonianza interiore.

La Chiesa non può peccare di autoritarismo, pena il divenire farisaica, cioè sottomessa all’io.

Per i dogmi quindi se non siamo in grado di capirli ma neppure di dimostrali non veri, abbiamo l’obbligo di accettarli.

Nel rifiuto affermeremmo il nostro io; Gesù dice: “Capirai poi!”.

Si deve avere l’umiltà dell’allievo che non è mai umiliante: “Lasciati lavare i piedi da Lui per avere parte con Lui”.

È apertura, non umiliazione. I dogmi, i sacramenti, sono proposte da essere penetrate, punti fermi che Dio colloca sulla strada affinché credendo possiamo proseguire senza errori; sono aiuti a non disperderci, ma ad approfondire.

Tutte le parole di Gesù ci giungono come dogmi: sono Parole superiori che ci responsabilizzano nella scelta e nell’approfondimento, e non vanno rifiutate.

Si aderisce ad esse lasciando le parole delle creature per la Parola: è il prezzo dell’amore.

Non potremo più crescere nell’amore e nella conoscenza quando non avremo più niente da lasciare.

Più abbiamo possibilità di tradire e più possiamo essere fedeli.

Domanda: Come mai Gesù affermando che Dio è suo Padre scatena l’ira dei Farisei i quali ritenevano di avere anch’essi Dio come Padre?

Risposta: Evidentemente perché traviavano in modo tale il Dio che chiamavano Padre, che arrivano a non riconoscere il Figlio e ad ucciderlo.

E questo fanno in nome del Padre.

Similmente a Gesù noi dobbiamo considerare Dio nostro Padre; padre dei nostri pensieri, delle nostre parole, delle nostre azioni.

Mai essere autonomi, ma essere sempre motivati da Dio.

Se i Farisei di fronte al parlare di Gesù, avessero superato il loro io, avrebbero interrogato DIo: “Che lezione ci vuoi dare?”.

Invece essi hanno usavano la legge come strumento per affermare il loro autoritarismo, tendendo ad annullare Dio stesso in nome di Dio.

È’ lezione per noi che corriamo il rischio di scambiare per volontà di Dio il nostro pensiero, credendo di servire Dio, servendo invece alla nostra comodità e interessi, giustificando cosi il nostro disimpegno da Lui.

La fede vera ci porta sempre a superarci nella ricerca presso Dio, impegnandoci ad approfondire.

Invece se ci ripieghiamo nell’io, non possiamo sopportare che uno pensi diversamente.

Se Dio invece ci è veramente Padre, si accoglie tutti, si arriva a comprendere e ad amare il nemico perché in tutto si scorge la mano di Dio.

Ogni minimo superamento dell’io ci apre a Lui, e di superamento in superamento, Dio modifica il nostro modo di pensare, riempiendoci di gioia e di conoscenza di Dio.

Il nostro pensiero, creatura di Dio fatta a sua immagine e somiglianza, non ha limiti nella sua possibilità di seguire l’Infinito di Dio, anche se Dio sempre lo supererà. Basta essere aperti umilmente a Dio, il quale può portare la nostra anima fin dove è Lui.

Essa è spirito che si libera verso l’Infinito con il superamento del nostro io.

Non dobbiamo scoraggiarci: Dio ci sollecita e ci aiuta. Si incomincia a “camminare con Lui”, per finire a “camminare in Lui”, come il paralitico che ubbidendo alla Parola, viene trovato nel Tempio; se lui vi fosse rimasto, il Signore l’avrebbe fatto giungere alla conoscenza personale di Dio.

C'è il rischio di lasciare la luce per andare dietro ai segni, come successe al paralitico che usci dal Tempio per compiacere ai Farisei.

I Farisei si sentono sminuiti da Gesù, ma se avessero tenuto conto del Pensiero di Dio, questo li avrebbe portati ad accettare da Lui questa umiliazione, come azione divina per aiutarli.

Accettando l’annientamento, si riceve il massimo dei doni: la sua Presenza!

Nel crollo di tutto c'è Lui! Cioè nella dimenticanza totale di noi stessi.

Gesù che è tutto Pensiero del Padre, è generato dal Padre. Noi pure saremo figli del Padre quando saremo generati dal Padre, tutto pensiero suo.

Noi spesso chiamando Dio nostro Padre, non Lo chiamiamo come Gesù lo chiama, perché strumentalizziamo Dio alla nostra ambizione o ai nostri schemi, cosi come facevano i Farisei.

È per rivelare questo conflitto tra il Padre loro e il Padre suo, per arrivare a mettere in discussione il loro Dio e portarli alla conversione al vero Dio, al suo Dio, che Gesù ordinò al paralitico di violare il sabato portando il suo lettuccio.

Egli opera per salvare. Ci fa capire che solo avendo Dio come Padre, cioè come Colui che motiva il nostro pensiero e la nostra azione, noi possiamo cogliere il vero spirito della legge e ogni altra cosa.

Dobbiamo nascere in ogni cosa con Dio, cosi lo possiamo riconoscere Padre e riconoscerci figli con Gesù. Cosi possiamo con Gesù portare a compimento l’opera iniziata dal Padre, diversamente diventano nostri padri il pensiero delle creature che soffocano in noi e nei segni fuori di noi, la Parola di Dio, Cristo, il Verbo.

“Non chiamate nessuno con il nome di padre, perché uno solo è il Padre vostro”;

“Chi ama suo padre e sua madre più di me, non è degno di me”.

Prima di essere fatti figli del Padre, dobbiamo passare attraverso tutto quello che Gesù dice e fa. Il Verbo, la Parola di Dio, deve essere accolta, capita, assimilata, ma ci vuole l’interesse, la ricerca del Regno di Dio prima di tutto.

L’unico ostacolo è il nostro io. Se in noi c'è il vero interesse, Lui fa ogni cosa; ma bisogna chiedergli la luce e Lui ce la dà. Egli opera anche quando siamo apatici alla sua Parola; lo sentiamo allora lontano, ma se crediamo che Lui opera in tutto e gli chiediamo la luce, Lui ci rende ogni cosa chiara e semplice.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Cina: A me ha colpito quanto è stato detto sul dogma: quel punto fermo che abbiamo da accettare anche senza comprenderlo.

Teresa: Se non abbiamo un motivo e prove da affermare contro, dobbiamo credere.

Luigi: Certo, dobbiamo credere.

Eligio: È ben detto che le parole di Gesù sono dogmi, in esse allora abbiamo un punto di riferimento su cui lavorare, tutta la vita.

Luigi: Infatti Dio parla proprio per farci lavorare, ma per farci lavorare nelle sue Parole, perché proprio lavorando nelle sue Parole ci impegna moltissimo nell’essenziale.

Invece, se lavoriamo sulle parole degli uomini, con facilità ci disperdiamo e perdiamo di vista l’essenziale. La Parola di Dio ci concentra sull’essenziale, ce lo mette in evidenza.

Guarda quante discussioni, quante argomentazioni fanno a Gesù disperdendosi in altri argomenti e come Gesù invece puntualizza sempre l’essenziale.

Pensa soltanto all’argomento di Marta e Maria.

Apparentemente Marta che sta tribolando, che sta lavorando, dice a Gesù: “Dì a Maria che venga a darmi una mano”, è amor del prossimo in pieno, quindi più che dovere!

Invece Gesù immediatamente puntualizza: “Una cosa sola è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore”, ecco, è netto!

Nino: Basta vedere noi, nelle nostre discussioni, come è facile andare fuori tema, fuori del discorso…

Luigi: Ecco, è li l’importanza di avere sempre molto presente come punto fisso di riferimento, una Parola del Vangelo; ci aiuta moltissimo, perché sgombra la nostra mente, la nostra anima da tutto quel materiale di cui ci ingombriamo, per cui poi quando abbiamo bisogno di trovare Dio, non lo troviamo più, perché noi siamo ingombri di tutto questo.

Se noi mantenessimo sempre presente una Parola, un punto fisso di riferimento, questo ci sgombrerebbe il terreno: “Ma no! Queste sono storie! Questo è niente! Lascia, non voltarti indietro, guarda verso l’essenziale!”

Eligio: E quelli sono i dogmi su cui riflettere, più ancora di quelli che ci sono proposti.

Luigi: Noi molte volte parliamo di dogmi e crediamo che debbono essere delle verità che debbono essere accettate alla cieca, come di fronte ad una parete. No! Il dogma è un’offerta di lavoro: ti devi impegnare per penetrare.

Cosi tutte le parole del Signore: apparentemente ci sembrano dure, difficili: “Questo parlare è duro”, ma Dio parla per impegnarci, fa delle proposte di lavoro, per impegnare soprattutto la nostra mente, per educarci a pensare, per educarci cioè ad entrare nella vita eterna, perché la vita eterna è proprio questo riferire sempre al Padre; riportando tutto al Padre, rinnoviamo la nostra vita e acquistiamo vita e luce perché la luce ci viene proprio dall’avvicinare i nostri argomenti agli argomenti di Dio.

Dall’esposizione di  Luigi Bracco:

Riflettiamo ora sul versetto 44 del capitolo V di San Giovanni:

“E come potete credere voi che mendicate la gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?”

Qui è la continuazione del discorso che Gesù sta facendo con i Giudei e soprattutto dall’ultimo versetto su cui ci siamo soffermati la volta scorsa:

-         “Sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete: invece se un altro viene in nome proprio voi lo riceverete”

-         e come conseguenza: “Come potete credere voi che mendicate gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?”.

Però qui ci pone di fronte ad una conflittualità tra:

- l’atto del credere,

- e il cercare, il mendicare la gloria dagli uomini, la figura, il cercare la figura degli uomini.

Quasi a dirci che se noi pensiamo quello che possono giudicare gli uomini di noi, quindi se noi cerchiamo di salvare la nostra figura, il nostro onore di fronte al mondo, ci veniamo a trovare in una situazione di impossibilità di credere.

È impossibile credere: lo dice qui Gesù: “Come potete credere voi?”.

Quindi manifesta un caso di impossibilità, di incompatibilità tra il nostro cercare la figura, il giudizio, il pensiero degli uomini e il credere.

Se c'è questa conflittualità allora possiamo anche capire come tanti vengono a trovarsi in una situazione di impossibilità di credere.

Per cui, ad un certo momento, l’animo umano viene a trovarsi proprio in una situazione di impossibilità: non può credere.

Gesù ci insegna che tutte le volte che noi mendichiamo la figura, il giudizio degli altri, ci mettiamo nella impossibilità di credere a Dio, di credere alla Parola di Dio che arriva a noi.

Ci mettiamo nell’impossibilità: ecco, il punto centrale che Gesù vuol mettere qui in evidenza è proprio questo: questa incompatibilità.

Qui si vede che c'è un contrasto tra la ricerca del giudizio degli uomini e la fede in Dio; cioè si crea nella nostra anima una situazione di contrasto tale per cui non possiamo più credere.

Gli argomenti su cui dovremo soffermarci sono proprio:

-         1) questo atto del credere che non può darsi fintanto che in noi c'è questo desiderio di essere giudicati bene dagli uomini, di cercare la figura davanti agli altri;

-         2) e come soltanto cercando la gloria che viene dall’unico Dio noi possiamo entrare nella fede; e anche qui, mentre ci mette in evidenza l’impossibilità di poter credere fintanto che noi mendichiamo la gloria degli uomini, ci insegna che la fede è una conseguenza del nostro interesse per la gloria di Dio.

Perché dice: “… e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?”. Quindi ci fa capire che se noi cerchiamo la gloria che viene dall’unico Dio, noi possiamo credere.

Questo ci fa intendere che la fede, il credere, è una dipendenza, una conseguenza, della presenza in noi dell’interesse per la gloria di Dio, più che della gloria nostra.

Fintanto invece che noi pensiamo a noi, alla nostra gloria, ci mettiamo in una situazione di impossibilità di credere.

Ma l’interesse per la gloria di Dio da che cosa viene?

L’interesse per la gloria di Dio viene da un atto di giustizia: non siamo noi Dio, non siamo noi il Creatore, e quindi per giustizia noi dobbiamo occuparci più di Dio che di noi.

Dio deve essere il centro dei nostri pensieri.

È in base a questo atto di giustizia che noi ci mettiamo nella situazione di poter credere a tutte le cose che si riferiscono a Dio.

Abbiamo detto che noi nel nostro mondo interiore abbiamo la presenza di due pensieri, riducendo ai termini estremi, abbiamo la presenza di due pensieri: il pensiero di Dio e il pensiero del nostro io.

Noi generalmente mettiamo il pensiero del nostro io al centro, cioè ci comportiamo con il pensiero del nostro io come punto fisso di riferimento, e facendo cosi ci rendiamo impossibile la fede.

Per giustizia dobbiamo mettere il pensiero di Dio al centro.

Mettendo il pensiero di Dio al centro, immediatamente ne scaturisce in noi il bisogno di cercare la gloria di Dio, e questo cercare la gloria di Dio è poi il cercare la verità di Dio, la confermazione di questa Verità in tutto.

Questo interesse per Dio, ci apre alla fede, cioè ci apre ad accogliere (fede è accogliere, aderire ai “campioni” che ci arrivano da Dio, che sono le parole) le Parole di Dio che giungono a noi, cioè apre la nostra anima ad occuparci di tutti gli argomenti che arrivano a noi riguardo a Dio.

Più noi sentiamo parlare di Dio, argomenti di Dio, parole di Dio, pensieri su Dio, e più noi facciamo tesoro di questo.

Ma facciamo tesoro perché abbiamo interesse per la gloria di Dio.

Se invece noi pensiamo a noi, pensando a noi ci mettiamo in una situazione di impossibilità di ascoltare le cose di Dio.

-         3) Però c'è anche il concetto qui da approfondire di mendicità, perché Gesù parla: “voi che mendicate”; ecco, ci fa capire come noi, allontanandoci dalla ricerca della gloria di Dio, in effetti diventiamo dei mendicanti verso tutte le creature.

Quando abbiamo parlato della gloria, abbiamo notato che la gloria è ciò che uno è, è la    manifestazione di ciò che uno è. Ora, ciò che uno è lo riceve soltanto da Colui che è, cioè da Dio.

Più noi partecipiamo a Dio, più noi conosciamo Dio, più noi cerchiamo Dio, e più in effetti noi riceviamo il nostro essere da Dio.

Più ci occupiamo di Dio e più noi riceviamo il nostro essere da Dio, perché il nostro essere noi lo riceviamo da Colui che è.

Più noi trascuriamo Dio e più noi perdiamo del nostro vero essere.

Ecco, possiamo già intuire un po’ come si arrivi ad essere veri mendicanti: la mendicità si forma dal fatto che potenzialmente noi perdiamo dell’essere trascurando Dio e più noi perdiamo dell’essere e più ci rivolgiamo a tutte le creature per “avere”.

Però quel che abbiamo delle creature non è più l’essere, perché nessuna creatura ci può dare l’essere; nessuna creatura ci fa essere.

È li che incomincia lo sdoppiamento in noi: le creature chiedono soltanto a noi di apparire, non di essere.

Noi cerchiamo dalle creature non l’essere, ma la figura; cerchiamo di salvare la figura.

Sostanzialmente verso le creature interessa poco quello che siamo noi, interessa molto quello che appariamo a loro: cerchiamo di salvare l’onore, la faccia, la figura, ecco, ci vestiamo bene, ecc.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Nino: Cioè non ci interessa l’apprezzamento che noi possiamo avere di noi stessi…

Luigi: No, ma ci interessa solo l’apprezzamento degli altri, la facciata.

Nino: Quello che possiamo far credere.

Pinuccia: E poi magari quegli altri pensano una cosa diversa da quella che magari noi cercavamo.

Luigi: Ma quel cercare la gloria degli altri è cercare proprio soltanto la figura, il giudizio, e quindi salvare la figura, l’apparenza; per cui noi, a questo punto, sostituiamo la ricerca dell’essere con la ricerca dell’avere, perché cercando la gloria di Dio noi cerchiamo l’essere e cercando l’essere noi aumentiamo il vero nostro essere e, di conseguenza, interessa a noi poco la figura: quello che interessa molto è l'essere.

Invece perdendo questo e rivolgendoci alle creature, noi cerchiamo soltanto la soddisfazione dell’apparenza…

Pinuccia: E diventiamo però anche menzogneri….

Luigi: Ci sdoppiamo: è quella famosa frattura che si crea in noi, cioè un principio di divisione in noi, che diventa vera mendicità, vera povertà, vera miseria.

Nino: Ed è anche il più alto peccato di orgoglio, perché li mettiamo proprio l’io sull’altare al posto di Dio.

Luigi: Si, perché come noi trascuriamo l’essere di Dio, sostituiamo a Dio il nostro io; però  tu capisci che mettendo il nostro io sull’altare, per la legge del contrappasso, distruggiamo l’essere del nostro io, perché rivestiamo soltanto più  il nostro io di apparenza, perché andiamo a cercare il nostro io nella figura davanti agli altri. Rivestiamo quindi il nostro io di apparenza. Per cui mentre magari gli altri ci battono le mani, noi portiamo la morte dentro, una tristezza dentro, la vanità dentro di noi, perché ci svuotiamo dell’essere; infatti noi riceviamo l’essere soltanto nella misura in cui cerchiamo la gloria di Dio, nella misura in cui pensiamo Dio, raccogliamo in Dio cioè quel riportarci sempre al Principio.

Nella misura in cui noi ci raccogliamo in Dio, partecipiamo dell’Essere, quindi riceviamo l’essere, perché la gloria che viene dall’unico Dio (infatti Gesù dice: “… e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio”), è ciò che uno è in Dio.

Ora noi non dobbiamo cercare quello che noi siamo davanti agli uomini, perché gli uomini non ti danno l’essere, non possono darci l’essere. Solo Dio dà l’essere, perché Dio è Colui che è.

Allora soltanto cercando Dio, noi otteniamo nella misura in cui cerchiamo Dio, otteniamo da Dio l’essere, la partecipazione dell’Essere, la vera vita. Cosi magari fuori abbiamo la figura di mendicanti siamo vestiti male davanti al mondo, dentro invece abbiamo questa vita.

Invece operando al rovescio, si ha dentro il vuoto, e fuori tanta gloria, tanta apparenza.

Ma non c'è nessuna gloria esterna di mondo che possa riempire la nostra anima, il vuoto della nostra anima.

Eligio: In che tragedia andiamo a cacciarci… ci infiliamo in una strada dove poi continuiamo a recitare una certa parte.

Luigi: Perché tu sei costretto a recitare quella parte e non puoi farne a meno, e diventi tutto maschera.

Nino: Quanti attori cinematografici si sono suicidati, eppure avevano trionfato e li vedevamo sempre sorridenti.

Luigi: E si, perché recitavano una parte… ma è solo apparenza. Un tempo avevamo detto che è un principio di schizofrenia, questa divisione nostra interiore: quindi proprio un principio di pazzia, per cui ad un certo punto, la vita diventa insopportabile, perché non c'è nessun bene che viene dall’esterno che mi possa riempire il vuoto che porta dentro l’anima, quando recito. Per cui ad un certo momento per forza si arriva al suicidio, perché non si sostiene più il vivere.

Nino: Si arriva all’assurdo di darsi da fare per far credere agli altri di essere interessanti, quando non siamo interessanti nemmeno a noi stessi… quindi a che punto di falsità costruiamo la nostra personalità.

Luigi: Certo!

Pinuccia: Però  sostanzialmente siamo sempre dei mendicanti, tanto quando cerchiamo la gloria di Dio, come quando cerchiamo la gloria degli uomini: certo, si tratta di mendicità diverse.

Luigi: Qui parla proprio di “mendicità”, che è una cosa molto diversa dalla povertà.

Il povero di Dio è una cosa diversa dal mendicante.

Nino: Perché di fronte a Dio siamo mendicanti di Uno che ci vuole fare il dono.

Luigi: E poi soprattutto Dio è Uno che ci fa essere.

Nino: Invece se noi mendichiamo dall’uomo, l’uomo ha il suo io al centro non il nostro io …

E poi c'è già un conflitto tra i nostri interessi: basta solo toccare l’interesse di uno e quello smette ogni inchino.

Eligio: Oppure basta anche solo scalfire l’apparenza che lui si costruisce davanti agli altri.

Luigi: Si, perché è tutto un gioco reciproco; se l’altro rispetta la mia figura, io però debbo anche rispettare la sua recitazione, per cui debbo battere le mani alla sua recitazione, il che è anche recitazione.

Eligio: Affinché lui le batta anche a me …

Luigi: È proprio una mendicità, ed è terribile, perché al fondo della mendicità c'è il vuoto.

E noi sappiamo che l’altro è vuoto e che io sono vuoto, ci esaltiamo però a vicenda, battendoci le mani e dicendoci: “Sei grande!” e sappiamo che l’altro è vuoto.

È li la mendicità.

Invece con Dio quando tu dici: “Dio è grande!” lo sai che effettivamente è grande. Insomma, lodi una cosa che è. E tutto ti conferma questo!

Invece verso le creature no, perché ti accorgi che è tutto una falsificazione, ma una falsificazione che devi fare per interesse ma contro ciò di cui sei convinto dentro.

Perché penso: “Io sono vuoto e l’altro è vuoto, io però gli batto le mani, cosi anche lui mi batte le mani; e se io gli dico che è grande, anche lui mi dice che sono grande!” e diventiamo dei palloni gonfiati; ci gonfiamo reciprocamente.

Questo è il senso della mendicità, perché non sei sostenuto da un valore valido, mentre invece con Dio, tu sei sostenuto da una conferma continua.

Ti costerà magari tanto sacrificio, ma hai la gioia immensa della Verità che si conferma in tutto.

Pinuccia: È una mendicità quella con Dio che ci arricchisce.

Luigi: Ma certamente!

Nino: Perché sei su una strada per la quale sei stato chiamato; invece mendicando dagli uomini, nel momento in cui l’altro cessa di batterti le mani e tu ti ritrovi con te stesso è la disperazione.

Teresa: Se mendichiamo da Dio siamo nella Verità, invece con gli uomini ci illudiamo di essere qualcuno.

Luigi: Ma certamente, e per di più sapendo di essere nulla.

So che l’altro vale niente, però gli batto le mani, perché posso ottenere da Lui qualche piacere e qualcosa. È tutta una falsificazione continua.

Ed è proprio questa coscienza di falsificare le cose che rende triste la nostra vita.

Eppure non ne possiamo uscire perché altrimenti.. come faccio a mangiare? Come faccio carriera?

È tutto un processo di falsificazione continua, mentre invece con Dio abbiamo un processo di verificazione di autenticità continua, e quindi di vera liberazione.

È la conferma proprio di “conoscere la Verità”.

E poi perché  cercando la gloria gli uni gli altri, noi partiamo dal punto fisso: il mio io; e questo punto fisso del mio io mi rende impossibile il credere, perché credere vuol dire aderire ad un altro punto fisso, non più il mio io.

Se io metto come punto fisso il mio io, questo mi rende impossibile la fede; ecco, diventa proprio incompatibile.

Perché  non è che il mio io sia di per sé un ostacolo: il nostro io è creatura di Dio, quindi non è che di per sé sia incompatibile con la fede, tutt’altro, ma va messo al posto suo, cioè: prima Dio come punto fisso di riferimento e il mio io in sottordine.

Allora il mio io diventa un fattore di fede.

Allora vuol dire che il mio io cerca la gloria di Dio: il punto fisso di riferimento è Dio.

Se invece noi trascuriamo la gloria di Dio e cerchiamo la nostra gloria, vuol dire che il nostro punto fisso di riferimento è il pensiero di noi stessi.

E proprio mettendo come punto fisso di riferimento il pensiero del nostro io, noi distruggiamo il nostro io, per contrappasso, perché cercando la figura, annulliamo il nostro io, quello che invece noi vorremmo salvare.

Eligio: E tendiamo a distruggere anche gli altri.

Luigi: È logico!

Eligio: Perché staccato da Dio il nostro io è omicida e suicida.

Luigi: È logico! Perché  diventiamo un principio di falsificazione. Il nostro io al centro è il demonio e il demonio è omicida; perché soltanto con Dio noi siamo fatti e viviamo.

Sembra strano perché è come dire ad una persona: “Dimenticati e allora incomincerai a vivere!”

Lei ti risponde: “No, io incomincio a vivere solo se mi penso”.

Ecco, sembra strano dover dire che per scoprire la vita dobbiamo dimenticarci, mentre tutto il mondo dice: “No, se io non penso a me, nessuno pensa a me ed io muoio!”.

Questa è la conferma della verità di Dio, perché se più mi dimentico, più vivo vuol dire che Dio veramente c'è.

Nino: E poi, mendicando con Dio noi non ci rendiamo mai schiavi: mendicando con gli uomini noi diventiamo debitori.

Luigi: Si, ma poi diventiamo schiavi del nulla, della non verità ed è quello che ci rattrista. Per cui io in coscienza so che quella cosa li non va fatta cosi, eppure la debbo fare altrimenti non salvo la figura.

È questa conflittualità che porto dentro di me che rattrista e svuota tutta la mia vita.

Nino: Per cui si può arrivare al suicidio non solo per il vuoto che si sente, ma anche per non aver trovato questa figura da parte degli altri…il che è poi il massimo del vuoto..

Luigi: Certo, avendo noi abbandonato Dio, finiamo poi di essere abbandonati da tutto e da tutti, quindi non siamo assolutamente più niente, perché indubbiamente, gli altri ci danno una mano, ci sostengono fintanto che noi li serviamo, ma il giorno in cui non interessiamo più loro, per forza ci abbandonano.

Pinuccia: Approfondendo questo versetto quando parla sull’importanza di cercare la gloria di Dio..

Luigi: Noi viviamo nella misura in cui cerchiamo la gloria di Dio; per giustizia. E allora ci apriamo alla fede.

Pinuccia: Ma questo rimprovero: “Non cercate la gloria che viene dall’Unico Dio”, lo possiamo vedere in contrapposizione con la constatazione: “Cercate la gloria gli uni dagli altri, cioè il riconoscimento di ciò che siete”; per cui lo possiamo intendere come un invito a voler essere riconosciuti solo da Dio, cioè a cercare il riconoscimento di ciò che siamo solo da Dio?

Luigi: Si, però il riconoscimento di ciò che siamo, noi lo riceviamo nella misura in cui cerchiamo Dio, ci interessiamo di Dio.

È l’interesse per Dio viene proprio per atto di giustizia, perché come noi riconosciamo che dobbiamo aderire a Dio, perché Dio è il Creatore, perché è Lui la Verità, perché non ci siamo fatti noi da soli, questo già suscita in noi il bisogno di riconoscere la sua Verità in tutto, perché questo ci è solo annunciato: “DIo è il Creatore”. Questo è il campione della merce; tra il campione e la merce, bisogna che in me scatti un certo interesse per la merce, perché altrimenti come arriva il campione lo scarto. E poi non basta che ci sia l’interesse per la merce, ma bisogna anche pagarne il prezzo. La merce, scusate il termine, è la gloria di Dio.

Il campione che arriva a me è la Parola di Dio che arriva a me, è il Dio Creatore che si annuncia a me.

Però tra il campione e l’arrivo della merce, prima di tutto deve scattare l’interesse per quella, perché se penso a me, scarto il campione, non mi interessa la merce.

Ma poi devo anche essere disposto a pagare il prezzo, perché a me può anche essere interessante la merce, ma posso trovare il prezzo troppo esoso e allora non mi rivolgo all’acquisto di quella merce.

Quindi debbo anche essere disposto a pagare.

Soltanto quando ho interesse per la merce e quando sono disposto a pagare quel prezzo, allora incomincio ad aprirmi alla fede, alla vera fede, perché la fede è camminare verso, è fare tutti quei passi per arrivare ad ottenere la merce corrispondente a quel campione, altrimenti la fede non scatta.

Ora noi il più delle volte, quando arrivano i campioni li scartiamo. I campioni di Dio arrivano sempre, ad ogni creatura: Dio ogni giorno ci manda i suoi campioni, però noi in continuazione diciamo che non ci interessano, perché abbiamo altri interessi, i allora diventiamo ciechi e li scartiamo. Per noi allora è assolutamente impossibile aprirci alla fede.

È come dire:È impossibile che quella persona a cui continuamente mando dei campioni della merce, che quella persona li desideri o si interessi alla mia merce, quando lei è rivolta a tutti altri interessi”.

Come arrivano i campioni me li scarta e me li mette subito nel cestino, perché la cosa non le interessa.

Soltanto il giorno in cui si apre all’interesse per, allora incomincerà a questo punto ad aprirsi alla fede, prima no.

Allora possiamo chiederci: che cos’è la fede di tanti che cercano la figura?

Perché quanti di noi magari viviamo per la figura davanti al mondo, per ricercare la nostra gloria gli uni gli altri eppure crediamo di credere. Che cos’è allora questa fede?

Evidentemente non è la fede di cui parla Gesù, perché la fede di cui parla Gesù è proprio quel camminare verso la meta finale, verso la gloria di Dio.

Purtroppo noi ci illudiamo di credere e non abbiamo la fede: facciamo consistere la fede nel fare certe azioni, per cui se passo per la tal strada e vado ad una certa funzione, io ho la fede: la fede è ben altro!

Perché fintanto che noi viviamo per cercare di salvare la nostra figura, pensando a quello che diranno gli altri di noi, quello che pensano gli altri e ci comportiamo in conseguenza, noi non possiamo entrare nella fede, perché la fede è camminare verso la gloria di Dio.

Eligio: È vero che c'è un prezzo da pagare per avere il prodotto che il campione ci presenta; ma pensavo al prezzo che dobbiamo pagare non scegliendo Dio, e scegliendo invece la figura presso il mondo.

Luigi: Pensa che prezzo paghiamo! È tremendo! Eppure …

Eligio: E tutto questo per avere un prodotto più scadente ma negativo, che si arriva a pagare a volte col suicidio.

Nino: E quando non c'è il suicidio c'è però la morte dentro.

Luigi: Certo, il vuoto, l’angoscia, la noia, tutto, perché tutto si svuota; e ancora, tu col vuoto dentro, la tristezza, l’angoscia dentro, devi magari ancora recitare la figura dell’uomo felice, dell’uomo arrivato, sorridere a destra e a sinistra… guarda che farsa!

Eligio: Che tragedia!

Cina: È una malattia che ci si porta addosso.

Luigi: Ma Dio vuole guarirci.

Nino: Ma non tutti sentono il disagio di questa situazione e sembrano appagati anche se sono lontani da Dio.

Luigi: Fino ad un certo punto… comunque Dio opera con tutti, forse anche soltanto nell’agonia, ma c'è da augurarsi che Dio salvi tutti; perché Lui vuole salvare tutti… perché se uno morisse in una convinzione sbagliata, allora vuol dire che va all’inferno.

C'è da augurarsi che Dio richiami tutti, anche magari all’ultimo, a glorificarlo cosi.

Certo, fintanto che io sono convinto che il denaro per me sia tutto, è logico, più guadagno denaro e più credo di vivere; ma arriva un momento in cui col denaro io non riesco più a risolvere la mia situazione: è li che arriva il dramma.

E Dio mi porta a toccare con mano che con tutto quello che io credevo di avere, non posso risolvere niente.

Oppure amo terribilmente una creatura, ma ad un certo momento Dio mi reca la delusione proprio con quella creatura, perché Dio è un Artista sottilissimo; magari non ci tocca in mille altre cose, ci tocca però soltanto in quel punto in cui noi siamo sensibili.

Per far crollare una creatura, basta toccarle un punto solo: quello che gli sta più a cuore.

Quante volte io ho sentito delle persone che dicono: “Se Dio mi avesse portato via tutto, tolto tutto, ma non quello! Non quel punto li!”.

E Dio ti tocca proprio in quel punto li, perché sa che ti fa crollare tutto il suo mondo proprio in quel punto li.

Se noi stiamo attenti, Dio è di un’arte estrema!

Eligio: Come c'è un punto immacolato in noi, direi che c'è pure un punto diabolico che lotta contro il punto immacolato.

Luigi: Certo!

Eligio: Direi che su quel punto diabolico Dio fa crollare l’altare del nostro io.

Luigi: Si, perché in un primo tempo noi abbiamo tanti interessi, e Dio aspetta che i nostri interessi si individuino in un punto unico.

Prima, quando abbiamo una molteplicità di interessi, se Lui ci toccasse in uno, avremmo quell’altro e quell’altro che lo sostituisce, ci trasferiremmo da uno all’altro; ma a poco per volta, man mano che viviamo, tutti i nostri interessi si concentrano su un punto unico.

Quando sono concentrati su quel punto unico li, li comincia Dio ad operare. E lo fa proprio per salvarci e li si vede il disegno del Regno di Dio.   


E come potete credere voi che mendicate la gloria gli uni gli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Gv 5 Vs 44 Secondo tema.


Titolo: Come vive l’uomo interiore

Argomenti: La gloria degli uomini e la Gloria di Dio. Portare a compimento in noi la gloria di Dio.  Il pensiero del nostro io è la fonte della vita apparente. La fonte della vita vera è il pensiero di Dio. Parlare di Dio e non di sè. La Gloria è partecipazione all’essere. La fonte dell’essere è Dio. I contemplativi.La gloria della creatura è poter conoscere Dio. Pensando Dio,  già implicitamente desideriamo tutta la gloria di Dio. Parole vicine e lontane a Dio.


 

7/Maggio/1979


Dall’esposizione di  Luigi Bracco:

Ieri sera, soffermandoci su questa frase di Gesù del versetto 44, abbiamo notato quali sono le fonti dell’essere e le fonti del sembrare, le fonti dell’apparenza in noi.

Cioè come cercando la gloria degli uomini, noi seminiamo nella nostra vita e facciamo crescere un’apparenza, una figura, un sembrare e siamo soddisfatti quando riusciamo a “sembrare” davanti agli altri; e questa non è vita.

Abbiamo notato che la vera vita viene dall’essere, non dal sembrare, e questo essere si riceve soltanto da Dio.

Quindi fintanto che noi cerchiamo il pensiero degli altri, la figura, il giudizio degli altri e viviamo per questo, noi facciamo crescere in noi quello che San Paolo chiama “l’uomo esteriore”, il quale è soggetto alla morte.

Solo cercando la gloria di Dio, noi facciamo crescere in noi l’uomo interiore, che è un uomo spirituale.

L’uomo interiore non muore, ma cresce di luce in luce, fino alla vita eterna.

Ecco l’argomento che proporrei per il nostro silenzio, il nostro raccoglimento:

 come si vive interiormente, cioè come si può far crescere questo uomo interiore.

Suggeriamo qualche punto di riferimento:

-                            II Lettera di San Paolo apostolo ai Corinti: 4,16.

-                            I Lettera ai Corinti cap. 15,12-36-46.

-                            Lettera agli Efesini dal Capitolo II al Cap. IV (specialmente 4,22-24).

La Lettera agli Efesini è abbastanza carica di questo argomento.

In essa San Paolo parla molto di uomo vecchio e uomo nuovo.

L’uomo vecchio è l’uomo che vive cercando la figura davanti agli altri, cercando il giudizio, cioè cercando la gloria, come ci dice qui Gesù: “Come potete credere voi che cercate la gloria gli uni dagli altri?”.

Quindi l’uomo vecchio è l’uomo che non può credere perché vive tutto per la figura davanti agli altri.

L’uomo nuovo invece è l’uomo che rinasce nella gloria di Dio.

Noi essenzialmente dovremmo cercare di approfondire (cercando di raccoglierci alla Presenza di DIo), e di vedere come si può sviluppare quest’uomo interiore.

San Paolo precisa che anzi: “Man mano che il nostro uomo esteriore deperisce, tramonta, l’uomo interiore si rafforza sempre più”.

Quindi è chiaro l’argomento? Cioè come possiamo far crescere quest’uomo interiore?

E in che cosa consiste questa vita, rapportata alla gloria di Dio?

Perché noi riceviamo l’essere nella misura in cui partecipiamo all’Essere; le creature, gli uomini, non ci possono dare l’Essere: gli uomini ci possono soltanto dare l’esteriorità.

L’essere lo si riceve solo da Dio: e questo è l’uomo interiore.

L’uomo interiore è fondato sull’Essere.

L’uomo esteriore è invece fondato sull’apparenza, per cui la sua vita diventa una recitazione, e questa è soggetta al deperimento, alla morte.

L’uomo interiore invece no.

Però come vive quest’uomo interiore? Come può crescere in noi giorno per giorno nella gloria di Dio?

Perché quanto più noi conosciamo la gloria di Dio, tanto più riceviamo in noi l’Essere, partecipiamo all’Essere. E questa è vera vita.

Ripresa dell’incontro dopo il silenzio:

Luigi: Dal versetto 44: “E come potete credere voi che mendicate la gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?” abbiamo tratto il tema: “Come vive l’uomo interiore”, avendo precisato che l’uomo interiore nasce dalla ricerca della gloria che viene dall’unico Dio, e che questo è l’uomo vero, l’uomo autentico, contrapposto invece all’uomo esteriore e, come lo chiama San Paolo, l’uomo vecchio che vive invece nell’apparenza, nell’esteriorità, nella mendicità della gloria dagli altri.

Ora mettiamo assieme quanto ognuno di noi ha pensato.

Cina: Mi trovo in questa malattia: invece di cerare la vita alla sorgente, ci si trova invece su altre strade.. San Paolo dice di non vivere “Come fanciulli sballottati dalle onde, portati qua e là da qualsiasi vento o dottrina, ma di vivere secondo la Verità, nella carità… per crescere fino alla statura del Cristo” (Ef. 4,13).

Luigi: Soprattutto i versetti 23 e 24, sono indicativi; li puoi leggere?

Cina: “… dovete deporre l’uomo vecchio… l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici; e dovete rinnovarvi nello Spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera…”.

Se rimango unita alla vite, ricevo vita, se la elemosino dalle creature, mi stacco dalla vita, e perdo la vita. Per ricevere la fede devo far tesoro delle cose di Dio; più le trascuro, più divento mendicante delle creature dalle quali non mi viene l’essere, ma l’apparire. Si riceve l’essere, solo se si cerca la gloria di Dio.

Luigi: Siccome dobbiamo cercare di approfondire l’argomento della vita vera, cioè quello che ci fa crescere nell’essere, bisogna cercare di precisare quando si parla di vita:

-                            1) da che cosa nasce questa vita, da che cosa inizia;

-                            2) come cresce;

-                            3) e in che cosa si conclude.

Cioè cercare possibilmente di precisare questi tre punti, perché una vita si caratterizza sempre da un luogo di nascita, da un punto di nascita, poi da un modo di crescere, perché anche quando si è nati, la vita non è che resti in noi in modo automatico: la vita può diminuire o può crescere; e si può concludere, cioè arrivare alla conclusione.

Cerchiamo allora possibilmente di precisare questi termini.

Il cercare la gloria dagli uomini ormai è scontata: quello non è vita, ma anzi è un perdere sempre più la vita, perché più noi cerchiamo la gloria degli uomini e più noi perdiamo l’essere interiore.

Abbiamo visto che la vera vita sta nel crescere, nel partecipare all’Essere; quindi più noi cerchiamo la figura e più noi ci svuotiamo interiormente dell’essere e quindi sostanzialmente ci diciamo vivi, ma ogni giorno è una morte quella che noi constatiamo.

Teresa: Non so se sono riuscita ad approfondire l’argomento.

Luigi: Comunque ogni cosa che ognuno di noi ha pensato, se lo prendiamo dalle mani di Dio tutto serve.

Teresa: Si può far crescere l’uomo interiore con la fede in Dio, riconoscendo che è Lui il datore di ogni bene… ringraziando anche quando ci sembra tutto fallito in noi, credendo nella sua misericordia e amore per noi. È l’amore di Dio che ci fa crescere, e quindi che ci fa vivere. Da parte nostra non abbiamo che da riscoprire la Parola di Dio che fin dal principio era in noi; non soffocarla  con le tante parole mie e del mondo, ma coltivarla dandole sempre il primo posto, lasciandoci guidare da Essa, cioè dal Verbo incarnato. Lui è il Vivente che ci vivifica, ci fa crescere portandoci fino al Padre per lodarlo in eterno. Ma per arrivare a questo, dobbiamo anche noi passare attraverso la morte, superando il nostro io, come Cristo che affrontò la morte e non cercò il suo interesse personale, ma cercò solo di portare a termine il piano del Padre, offrendo cosi, attraverso la sua donazione totale al Padre, la vita a tutte quelli che la desiderano.

Luigi: Si, applicando personalmente a noi questa donazione totale del Cristo, come la potremmo concretizzare questa donazione totale? Cioè Lui ha portato a termine il piano con la sua donazione totale. Questo l’ha fatto per indicare a noi la vita per portare a compimento il nostro destino, cioè il disegno di Dio.

Allora chiedo: in che cosa consiste per noi questa donazione totale?

Nino: Nel superamento dell’io.

Luigi: No, il superamento dell’io è negatività; noi dobbiamo sempre portarci sull’aspetto positivo.

Teresa: È stare in continuo ascolto, lasciandoci attrarre da Dio.

Luigi: Si, ma siccome qui abbiamo visto che il Signore parla della gloria che viene dall’unico Dio, direi che la nostra donazione totale deve essere a questa gloria, cioè donarci a questa gloria, portare a compimento in noi la gloria di Dio. Siccome la gloria di uno è ciò che egli è, e il vero ciò che uno è lo riceve solo da Dio, allora questa donazione nostra sta nell’applicarci con tutte le nostre forze a Dio..

Si capisce, l’applicarsi richiede il superamento dell’io, questo è pacifico, perché abbiamo visto, che il pensiero del nostro io è quello che ci porta a mendicare la gloria gli uni dagli altri, quindi il pensiero del nostro io diventa la fonte della vita apparente. Ora, quando si parla di vita apparente, evidentemente si tratta di una vita che si contrappone ad un’altra vita che è la vita vera. Quindi abbiamo una vita vera e una vita apparente. Abbiamo detto, la fonte della vita apparente è il pensiero del nostro io, perché il pensiero del nostro io ci proietta verso il giudizio degli altri verso la figura del mondo; quindi il pensiero del nostro io è la fonte, la sorgente di questa vita apparente.

Invece la sorgente della vita vera è il Pensiero di Dio.

Ora, quando si parla di vita vera, si parla di una vita che non tramonta più, quindi eterna (vita vera è uguale a vita eterna); la vita apparente invece, in quanto si dice apparente, è vita che ci fa toccare con mano che è solo apparente, per cui passa, tramonta, ci lascia nel nulla, non è vita vera. Allora, aprirci alla vita vera vuol dire aprirci ad una vita che non tramonta più, ma va di conferma in conferma, di gloria in gloria.

Teresa: Vuol dire aprirci alla Parola di Dio.

Luigi: Si, aprirci alla Parola di Dio, ma aprirci alla Parola di Dio vuol dire preoccuparci della gloria di Dio; perché molte volte noi ci apriamo alla Parola di Dio per applicare una certa regola, per trovare un certo nostro modo di essere. No, la Parola di Dio giunge a noi per rivelarci la gloria di Dio, e quindi richiede da noi questa donazione alla gloria di Dio, cioè cercare la gloria di Dio, cercare la manifestazione, la rivelazione della sua Verità in tutto. Ecco la donazione che si richiede a noi è questa in modo da poter glorificare Dio in tutto. Ora, per glorificare Dio in tutto, noi dobbiamo conoscere, perché la gloria è la manifestazione di ciò che uno è. Ora, la manifestazione di ciò che uno è viene solo da Dio e non da noi, quindi si richiede il superamento di noi, si richiede quindi questa immersione in Dio; e in Dio, Dio conduce la nostra anima a constatare ciò che Egli è, quindi la sua Verità in tutto: questa è la Sua gloria, quel “Lumen gloriae” che rende beate le anime nel cielo di Dio e che inizia già quaggiù, nella misura in cui noi ci applichiamo a questa gloria. Per questo Gesù rimprovera, ammonisce gli uomini, quando si rivolgono a cercare la gloria che viene dagli altri, anziché cercare la gloria che viene dall’unico Dio. Dio che viene: quindi ci rivela una fonte; la fonte di questa gloria viene noi dai nostri sforzi, non dalle nostre virtù, non dai nostri impegni nel mondo, ma viene da Dio, per cui dobbiamo immergerci in Dio, guardare Dio, conoscere Dio, perché più noi ci immergiamo in Lui e più noi possiamo glorificare, cioè possiamo partecipare di questa vita, che diventa autentica. Quindi questa donazione: più in noi c'è questa donazione alla gloria di Dio, direi, questa preoccupazione di conoscere Dio in tutto, e più in noi si forma la vera vita, la vita autentica; cioè cresce in noi l’uomo interiore.

Nino: Si vive interiormente rifiutando l’apparenza e puntando sull’essenziale: “Cosa vale conquistare il mondo intero se poi si perde l’anima?”. Vivere cioè uniti al Verbo, cercando il messaggio che Dio ha posto in ogni cosa e avvenimento, chiedendo al Padre la luce e riportare a Dio il nostro stesso pensiero.

Più stiamo uniti al Pensiero di Dio, che è Cristo, più cresce in noi la conoscenza del Padre, più cresce in noi l’uomo spirituale.

È questa la nostra vocazione, diventare suoi figli, generati dal Padre, tutto pensiero suo come il Verbo, e quindi chiederci sempre qual è la privazione del nostro pensare, parlare, agire: più questa motivazione è Dio, più avanziamo verso la meta. È questione di interesse per Dio e di amore per Lui: più cresce il nostro amore per Lui, più cresce l’ascolto, più si fanno silenziose le altre voci e la vera vita cresce in noi.

Ma Dio chiede a noi il superamento dell’io e delle creature per trascendere in Lui. Ogni giorno siamo provati: più testimoniamo il nostro amore, più cresce lo spirito, più diminuisce l’uomo materiale.

Cina: Ecco, questa è la nostra vocazione.

Luigi: Quella è la nostra vocazione: è vita vera e trascurandola, cioè trascurando di occuparci della gloria di Dio, noi trascuriamo la nostra vita vera. Perché, vivendo per l’apparenza, noi moriamo giorno dopo giorno, cioè diminuiamo giorno dopo giorno, perdiamo giorno dopo giorno la nostra vita: abbiamo soltanto l’apparenza di essere vivi. Dice l’Apocalisse: “Hai solo il nome di essere vivo, ma sei morto dentro”.

-                            La vita nostra nasce dalla gloria di Dio,

-                            cresce nella gloria di Dio

-                            e si conclude nella gloria di Dio.

Eligio: Prima di chiederci come vive l’uomo interiore, mi sono chiesto come nasce l’uomo interiore?

         Nasce dalla sua stessa interiorità, cioè dalle motivazioni stesse del suo vivere. Per giustizia che è la virtù base, l’uomo deve riconoscersi creatura dipendente dell’Essere, cessando ogni autonomia che è la caratteristica dell’uomo esteriore riconoscendo l’Essere, il Protagonista di tutto che si pone in rapporto con me attraverso i segni che vanno interpretati, perché racchiudono delle lezioni, dei richiami per avvicinarci di più alla Sorgente della vita interiore.

Come si svolge questa vita interiore? Dio è vita e la partecipazione nostra all’Essere, cioè alla vera vita, richiede il superamento della vita apparente, esteriore, proiettata sulle creature e un’attenzione e un amore sempre più penetranti. Si cresce proporzionalmente a questo superamento e attenzione. L’inizio è per fede. Cercando la gloria di Dio, cioè mettendolo al primo posto, si entra in comunione con la Vita, e questo è vera vita per noi.. La vita interiore è un processo di pensiero, cioè di adesione.

Luigi: Cioè, l’uomo interiore, nasce da, cresce in e si conclude in.

Qui c'è San Paolo che insiste su questo fatto: “L’uomo interiore si rinnova di giorno in giorno, mentre invece l’uomo esteriore di giorno in giorno decade, diminuisce”; ma diminuisce per dare spazio all’uomo interiore. Quindi il vivere, il vero concetto di vivere, è un rinnovarsi continuo, non è uno stato di passività: richiede una partecipazione attiva, quindi è un rinnovamento continuo, perché Dio in continuazione manda i segni a noi, (infatti noi, al livello in cui ci troviamo, che non è il livello della conoscenza ma della fede, Dio fa arrivare le sue sollecitazioni a partecipare alla sua vita, attraverso segni); però questi segni non debbono soltanto essere ricevuti passivamente da noi, ma debbono essere continuamente rinnovati in che cosa?

Ecco, la nostra vita si rinnova ritornando sempre al Principio: in Principio che cos’era? In Principio era il Verbo.

Ecco, questo è il Verbo che ci è stato posto al principio della nostra vita, come principio del nostro essere interiore, dell’uomo interiore: qui è il punto di nascita.

Il punto di nascita è questo: “In Principio era il Verbo”: questo è il luogo per la nascita del tuo uomo interiore che non nasce senza di te; il “senza di te”, nel senso che c'è il tuo uomo esteriore che deve morire.

L’uomo esteriore è l’uomo che ha la sua sorgente nel pensiero dell’io; ma mentre Dio dà a noi il pensiero di noi stessi, dà anche a noi il suo Verbo che è il Pensiero di Sé; per cui nello stato della nostra coscienza, nel pensiero del nostro io, abbiamo il Pensiero di Dio ed il pensiero del nostro io.

Ora, nel pensiero dell’io, Dio chiede, attraverso i segni di Sé, la partecipazione e quindi questo donarsi, questo superamento; ecco, la partecipazione a quello che Egli è. Ma quello che Egli è, Lui già l’ha dato nel Principio, nel suo Verbo, perché quello che Egli è, è  nel suo Verbo.

Allora noi rinnoviamo il nostro uomo interiore quanto più continuamente riportiamo nel principio tutti i doni che Dio ci dà. I doni che Dio ci dà, che se non sono raccolti, riportati, rinnovati nel Principio, diventano per noi motivo di dispersione, perché restano nel pensiero dell’io, quindi motivo di morte, se vengono invece rinnovati, riportati nel Principio, diventano motivo di vita per l’uomo interiore. Quindi abbiamo un’azione continuamente consapevole: è vita!

Eligio: Quindi per rinnovare tu intendi…

Luigi: Riportare continuamente nel Principio: “In Principio era il Verbo”; in questo Principio più noi riportiamo e più la gloria di Dio (che in Principio è il Verbo ma è un punto per noi) si amplia in noi: quanto più questa gloria si amplia, tanto più il nostro uomo interiore grandeggia, fino alla vita eterna, la conclusione.

Per cui la vita nasce dal Principio; dal Verbo di Dio che è in noi, e cresce rinnovandosi continuamente.

Questo rinnovarsi continuamente, avviene nella misura in cui noi riportiamo tutto quello che Dio giorno per giorno ci manda, sempre al suo Principio.

È un ritorno continuo al Principio, ma più noi riportiamo nel Principio, e più la sua gloria si amplia (in noi), perché la sua Verità si testimonia di giorno in giorno sempre più in noi.

Eligio: Cioè cresce in noi la visione dell’Essere? Cioè entriamo nella luce?

Luigi: Certo, ma noi entriamo nella misura in cui raccogliamo i doni di Dio, i dati di Dio, i segni che Dio ci dà, nella misura in cui noi li riportiamo nel suo Verbo, nel suo Principio; cresce con la nostra partecipazione consapevole.

Nino: Forse rende di più dire: “Nel Pensiero di Dio”, più che dire “Verbo”.

Luigi: Si, nel Pensiero di DIo; il Verbo è Pensiero di DIo: “In Principio era il Verbo”.

Nino: E allora tu cosa fai? Tu vai a cercare qual è l’intenzione di Dio in ogni cosa. Si, è il Verbo, però la parola “Pensiero”, forse renderebbe di più.

Pinuccia: Però nel Vangelo leggiamo: “In Principio era il Verbo”.

Luigi: Si, comunque il Verbo è Parola, ed è Pensiero, non possiamo separare.

Comunque stasera ci interessa mettere a fuoco che:

-                            il nostro uomo interiore, quindi la nostra vita interiore che è la vera partecipazione all’Essere, (mentre invece l’altra è soltanto una parvenza di vita), nasce in noi dal Verbo, dal Pensiero di Dio che è in noi;

-                            cresce nella misura in cui unifichiamo, raccogliamo, riportiamo ogni dono di Dio, ogni dato di Dio, ogni segno di Dio, in questo Pensiero.

Per cui tutti i doni di Dio sono per farci vivere, ma per farci vivere interiormente, per renderci partecipi del suo Essere, e questo è il compito principale, essenziale, che è richiesto ad ogni creatura.

E direi, anche qui, la significazione della sua Volontà, non sta tanto nel cercare di capire quello che Lui vuole da me esteriormente; quanto quello che vuole da me interiormente, ed è proprio questo riportare nel suo Principio, nel suo Verbo.

Ora, Lui il Principio me l’ha dichiarato: “In Principio era il Verbo; era: poi tu ti sei dimenticato di questo Principio, e ad un certo momento hai posto il tuo io come Principio”.

Lui ti dice: “Qui, in Lui era la Vita”, quindi Lui è il Principio della nostra vita; adesso riporta tutto in Lui, se vuoi far nascere il tuo uomo interiore. Mentre il tuo uomo esteriore sta perdendo tutto, raccogliti li e riporta tutto li; più tu riporti li e più cresce questa gloria di Dio che è partecipazione all’Essere, la vera vita”.

Eligio: Mi pare chiaro come l’uomo interiore debba vivere… cercando di trasformare tutto in possibilità di comunione a Dio.

Luigi: Per cui anche le parole del Vangelo stesse che leggiamo, sono segni di Dio che vanno sempre riportati a questo Principio, per attingere a questa gloria di Dio. E soltanto nella misura in cui attingiamo a questa gloria, intendiamo veramente il significato personale per noi; perché questo significato personale è proprio per far crescere in noi l’uomo interiore, l’uomo che partecipa dell’Essere di Dio.

Pinuccia: La vita interiore è la vita vera, quella basata sull’essere; è la vita secondo lo spirito, in contrapposizione alla vita esteriore che è basata sull’apparenza e che è poi morte.

La vita interiore è incentrata in Dio, la vita esteriore è incentrata sull’io.

Cosa vuol dire vivere interiormente?

Vive interiormente l’uomo nuovo, cioè l’uomo che è risorto con Cristo, cioè rinato da Dio, che non vive più per le cose di quaggiù, ma per le cose di lassù, non più per le cose visibile ma per le cose invisibili; è l’uomo che ormai ha superato l’io (cioè l’uomo vecchio è morto con Cristo) e vive ormai solo per Dio.

Luigi: Però questo vivere per Dio, l’abbiamo precisato, è questo rinnovarsi in continuazione nella fonte dell’Essere.

Ecco, è questo ritornare in continuazione alla Sorgente, la Sorgente dell’Essere, perché la gloria è partecipazione all’Essere di Dio, ma l’Essere di Dio noi lo riceviamo soltanto da Colui che è: Dio è Colui che è.

La fonte dell’Essere è Dio. allora si vive nella misura in cui in continuazione ci si rinnova in questa Sorgente, in cui bisogna sempre riportare tutto, e guai a trascurare questo lavoro.

Pinuccia: La fonte dell’Essere è il Padre, no?

Luigi: Si, va bene, la fonte dell’Essere in assoluto è il Padre.

Però in noi è il Pensiero di Dio, il Verbo, perché Dio creandoci ha posto in noi il Pensiero di Sé, per cui ha dato a noi la possibilità di pensarlo: e la possibilità di pensarlo è il grande tesoro che ha ogni uomo, per cui il Signore dice: “Va, vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri, vieni….”.

Questa è la grande ricchezza che Dio ha posto nell’uomo: non sono i beni materiali, non è la tua vita fisica, non è la tua salute, non sono le creature: il vero tesoro che Dio ha dato ad ogni uomo è la possibilità di pensare a Lui; e quando l’uomo trova questa ricchezza, rinuncia, lascia tutto, pur di poter pensare a Lui. Dice: “Prendetevi tutto, non mi importa niente; io ecco, voglio restare con questa eredità, con questo campo” e per questo campo è disposto a lasciare tutto.

Effettivamente questo è il grande tesoro che Dio dà ad ogni uomo: un tesoro di vita, perché è il tesoro che ci fa essere; tutto il resto invece, è solo apparenza e ci conduce al non essere, quindi ci conduce allo svuotamento di vita. invece qui abbiamo il Principio.

Per questo dico che è la Sorgente dell’Essere (per noi).

Però questa sorgente dell’essere non rimane in noi senza di noi. Sì, resta in noi senza di noi, però siccome noi diventiamo figli delle nostre opere, se noi in continuazione non ci rinnoviamo in questa Sorgente, ci separiamo; per cui tutti i doni di Dio, tutti i segni di Dio, se non sono in continuazione riportati in questa Sorgente, diventano per noi motivo di allontanamento dalla Sorgente, quindi di perdita.

Ecco perché si richiede da noi questa vita consapevole; questa azione nessuno la può fare in noi senza di noi.

Ecco, ci vuole questo rinnovamento continuo e non dire: “Ormai è scontato!”, non è mai scontato! Dio per noi, la fonte dell’Essere, non è mai scontata: richiede e richiederà in eternità, non soltanto adesso, ma in eternità, questa azione attuale da parte nostra, di riferimento sempre alla fonte dell’Essere, e più noi ci rivolgiamo alla fonte dell’Essere e più partecipiamo all’Essere, cioè cresce in noi l’uomo interiore, l’uomo vero.

Pinuccia: Continuazione……

Per l’uomo interiore la realtà è quella spirituale e vede la realtà materiale solo come un segno, come un aiuto, come una concessione da parte di Dio per aiutarlo a vivere nella vita dello spirito, per portarlo alla conoscenza di Sé. L’uomo nuovo è l’uomo che ha fatto il passaggio (la Pasqua) dal mondo centrato nell’io, al mondo di Dio; è l’uomo che non cerca più la propria gloria, ma la gloria di Dio. Questo è cammino crescente: nella misura in cui si supera l’io per cercare la gloria di Dio, si vive interiormente.

Come cresce questa vita interiore?

Cresce nella misura in cui si cerca e si riconosce la gloria di Dio.

Più glorifichiamo Dio, più attribuiamo tutto di noi e fuori di noi a Lui, più partecipiamo coscientemente del suo Essere, perché è Lui che dà l’essere ad ogni cosa, e quindi più viviamo nell’essere e non più nel sembrare, nell’apparenza.

Chi ci aiuta è il Figlio, cioè la Parola del Cristo: allora si resta nella vita interiore nella misura in cui si resta nella parole di Cristo.

È questo quanto dobbiamo fare per far crescere questa vita interiore: applicarci all’approfondimento delle Parole di Gesù, il quale approfondimento ci porta alla conoscenza di Dio, della gloria di Dio.

Luigi: Si, uno dei segni di questa presenza dell’uomo interiore, direi, della vita dell’uomo interiore in noi, è proprio il non parlare più di noi e invece il parlare tanto di Dio.

Cioè, più uno si rinnova nella fede dell’Essere, e più diventa capace di parlare di Dio, di lodare Dio, di glorificare Dio in tutto; non gli interessa più, evidentemente, di parlare di sé, perché il parlare del nostro io non è vita vera, vita autentica; quindi quando uno ha scoperto questo, sfugge alla vita apparente che è una diminuzione di essere (mentre il mondo crede che sia un aumento di vita).

Colui che invece ha scoperto la vera vita, ha anche scoperto che il parlare di sé è una diminuzione di essere, per cui più noi parliamo di noi, e più noi ci priviamo della vera vita, di sostanza, della partecipazione dell’essere, e allora per questo cerca di evitarlo: ecco un segno è proprio questo; il grande bisogno dell’anima di parlare di Dio, di glorificare Dio in tutto, di cercare Dio in tutto.

Quindi in tutto cerca i segni di Dio, glorifica Dio, parla di Dio.

Pinuccia: Se Gesù dice: “Come potere credere voi…”, ci fa capire praticamente che questa vita interiore è questa fede.

Luigi: Inizia con la fede.

Pinuccia: E il compimento è la visione.

Luigi: Si, si compie in vita eterna. Ed è già un inizio, un inizio di vita eterna perché la vita eterna inizia con il Pensiero di Dio e si conclude nel Pensiero di Dio.

Pinuccia: E cresce nel rinnovarsi?

Luigi: Si, cresce in questo rinnovarsi.

La nostra vita naturale si svolge automaticamente, ma questo è un perdere vita automaticamente, perché noi giorno per giorno andiamo verso la morte, una morte crescente: noi incominciamo a morire dal giorno in cui nasciamo, naturalmente parlando.

L’uomo interiore non nasce senza di noi, non è come l’altro. Noi abbiamo la presenza in noi del Pensiero di Dio, ma questo Pensiero di Dio in noi non diventa Principio di vita fintanto che noi non facciamo questo superamento dell’io per incominciare a riportare, a glorificare ed esaltare in noi, a mettere in alto questo Pensiero di Dio per fede.

Eligio: Però la fede penso che abbia come premessa la giustizia.

Luigi: Certo, si capisce! Dato il Pensiero di Dio, uno per atto di giustizia, deve metterlo al centro di tutto.

Eligio: Fare questo atto di credito a Dio non è per avere un marito, ma un atto solo giusto: è la premessa, il primo passo per poter pronunciare il nome di Dio e accostarci a Lui.

Luigi: È un atto di giustizia.

Pinuccia: Come diciamo nel “Sanctus”: “È cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza”..

Eligio: È giusto che io dia credito, cioè che io abbia fede, perché Dio mi supera infinitamente.

Luigi: Certo; nel pensiero del nostro io c'è sempre la presenza dell’Assoluto; ad un certo momento scopriamo che la coscienza del nostro io è la coscienza dell’Essere, cioè la Presenza del Pensiero di Dio in noi, quindi c'è sempre il Pensiero di Dio in noi.

Questo vuol dire che Dio creandoci, ci ha uniti a Sé, ci ha sposati a Sé, per cui in noi c'è la Presenza di questo Pensiero di Dio.

Qual è il primo effetto, la prima conseguenza della Presenza del Pensiero di Dio nel Pensiero del nostro io?

È questa: “Che io non sono il Creatore, che non mi sono fatto da solo”.

Ora, come facciamo noi a capire che non siamo noi la fonte di noi stessi? Proprio per la Presenza del Pensiero di Dio in noi: è qui la fonte della giustizia.

Ora, siccome noi sappiamo che non siamo noi il Creatore, è per questo che l’uomo orgoglioso, l’uomo egoista si sente poco o tanto peccatore, volente o nolente, quando si fa centro, poiché è in conflitto con il Pensiero di Dio che ha dentro di sé, che lo sconfessa in continuazione.

Lui a parole può dire: “Io sono tutto…. Io mi sono fatto da solo… io qui…. Io là….”

A parole lo può dire (come a parole posso dire: “Questo è rosso…”), però io sono continuamente sconfessato dalla presenza del Pensiero di Dio, che io non posso annullare.

Ora, la Presenza del Pensiero di Dio in noi, convince noi che siamo creature e quindi ci porta all’atto di giustizia: “Dai a Dio quello che è di Dio”; se aderiamo a questa giustizia, incominciamo il cammino della fede, incomincia la fede a lavorare, la quale fede non è altro che un cammino di intensificazione di gloria di Dio in noi.

Avendo aderito a Dio, noi tendiamo ad amplificare questa Verità di Dio sempre più, fino a renderla universale, cattolica, fino a renderla “tutto”.

E fintanto che c'è ancora qualche cosa, anche negli estremi confini della nostra terra, dei nostri pensieri, in cui non vediamo la gloria di Dio, noi non siamo contenti, non siamo soddisfatti.

Come abbiamo letto nel salmo: “Come il cervo che anela alle sorgenti”, noi tendiamo continuamente a riportare tutto in questa Sorgente, in modo da fare tutto espressione della Sorgente, della gloria di Dio, perché ci accorgiamo più noi raccogliamo, più attingiamo alla Sorgente e più si forma in noi vita, vita vera, una vita che diventa sempre più vita eterna, perché ha la testimonianza di sé in senso sempre più universale, tutte le creature rendono testimonianza a questo.

Quindi non abbiamo soltanto la testimonianza di Dio, ma più raccogliamo, più anche tutte le creature rendono testimonianza di questo; è una Verità che si rafforza di giorno in giorno, cresce!

Nino: È sempre una questione di giustizia, perché più aderiamo a Dio e più scopriamo che abbiamo ancora qualcosa che lo riteniamo nostro, e allora entriamo in crisi perché vediamo che per giustizia dobbiamo dare anche quel “nostro”.

Luigi: Sì, le esigenze di Dio naturalmente si allargano per sollecitarci ad entrare sempre più nella sua vita, cioè a renderci più partecipi…

La vita è partecipazione all’Essere: più partecipiamo all’Essere, più riceviamo essere, e ricevendo essere, noi partecipiamo della gloria di Dio. quello che dico molte volte: “Più noi parliamo di Dio e più non mortifichiamo la creatura, ma esaltiamo la creatura”.

Sembra strano, ma più noi glorifichiamo Dio, cioè dimentichiamo noi, e più esaltiamo la creatura, esaltiamo il nostro stesso io, ma indubbiamente è un io diverso.

È Dio che esalta la creatura che lo glorifica. È Dio che la fa vivere, perché Dio essendo Fonte di Vita, è fonte di personalità, è fonte di luce, e naturalmente dona questa, e quanto più le creature si rivolgono a questa fonte, ne sono fatte partecipi.

Pinuccia: Quindi il lavoro che dobbiamo fare è quello di attribuire ogni cosa, avvenimento a Dio.

Luigi: Sì, ma non basta attribuire a Dio. Ho detto prima: questo riportare è un lavoro di contemplazione, direi meglio, è ricerca della gloria di Dio.

Perché noi possiamo dire: “Accetto questo perché  so che c'è la mano di Dio, so che in quanto mi viene, è voluto da Dio”; è logico, lo debbo fare questo! Però ad un certo punto non basta, l’anima non è soddisfatta soltanto perché dice: “Ignoro, io non capisco, però accetto tutto quello che mi mandi e ti lodo anche perché  penso che ci sia un atto di amore in quello che Tu mi stai facendo, mi stai mandando, quindi un tuo disegno buono”.

È giusto, bisogna farlo questo, perché questo rientra nella fede.

Però attualmente, parlando della gloria di Dio, giungiamo a capire che questo non basta all’anima. Dio ci chiede di arrivare alla contemplazione della sua gloria anche in quei segni: “Capirai poi….”. Comprendi? Bisogna accettare, è logico, bisogna lodare, glorificare, ma poi possiamo anche glorificare a parole; ma Dio mi dice: “No, non basta che tu mi glorifichi a parole! Certo, devi anche glorificarmi a parole”.        

Ecco, di fronte ad un avvenimento: “Signore, io ti ringrazio e ti lodo anche se mi hai pestato un piede”; ma lo posso dire a parole.

Il Signore mi dice: “Se tu non me lo dici a parole, ma dentro di te mi lodi, vale di più”.

La lode, è glorificazione interiore, io non la posso più fare se non la contemplo. E Dio ci chiede questo!

È quella gloria che nasce, che viene solo dall’Unico Dio e non c'è nessun altro che ci possa illuminare.

Ecco, è questo lavoro che il Signore chiede e vuol far crescere in noi, perché la gloria è proprio partecipazione all’Essere.

Allora noi scopriamo in che cosa consiste proprio questa partecipazione all’Essere, questo crescere dell’Essere in noi.

Più noi ci riportiamo e riportiamo tutte le opere di Dio alla fonte dell’Essere, e più aumenta in noi la contemplazione.

Ecco, si forma la contemplazione della Presenza di Dio, e questo ci rende partecipi dell’Essere.

Pinuccia: Quindi questa vita interiore è quella di cui ci parla Gesù quando ci dice: “Bisogna rinascere dall’Alto”.

Luigi: Certo, e questa rinascita consiste in questo continuo riportare in Dio tutto quello che ci viene da Dio: riportare alla Fonte.

Ed è tutto un lavoro interiore, un lavoro che esteriormente non si vede. Chi è addentro allo spirito lo vede dalle espressioni, perché più uno riporta alla Fonte dell’Essere, nella Sorgente, e più parla l’Essere, parla, diventa capace di parlare l’Essere.

Il Signore stesso dice: “La bocca parla di quello che tu hai nel cuore”. Ma il cuore è quello che tu contempli. Se io stasera vado al cinema, domattina parlerò del cinema perché ho contemplato il cinema. Ecco, il cuore ha contemplato quello e allora la bocca parla di quello.

Ora, fintanto che noi non facciamo giungere… al nostro cuore, il cuore dell’Essere, noi non possiamo parlare dell’Essere.

Ora questo lavoro di portare nel cuore dell’Essere, è tutto un lavoro nascosto che non si vede, non si può vedere.

Pinuccia: È vita nascosta con Cristo in Dio, come dice San Paolo.

Luigi: Ecco, il mondo non la può assolutamente vedere. Diventa capace soltanto di ascoltare: ascolta parole nuove, perché la bocca di chi ha raccolto in Dio parla parole nuove, perché Dio è Sorgente di vita nuova, e allora essendo sorgente di vita nuova, dice parole nuove per il mondo.

I veri doni nel mondo sono dati dai contemplativi e solo dai contemplativi.

Pinuccia: Anche se non parlano?

Luigi: Anche se non parlano. Quindi se c'è ancora della vita nel mondo, è data al mondo dei contemplativi, cioè da quelli che fanno questo lavoro della ricerca della gloria di Dio.

Perché il mondo è assetato di gloria di Dio, e soffre, patisce e muore perché non vede la gloria di Dio. Tutti quei nemici che premono sull’anima e dicono: “Dov’è il tuo Dio?”, praticamente ci sollecitano a dare loro un raggio di luce della gloria di Dio; non sono mica nemici! Sono amici! Noi li diciamo nemici perché confutano la nostra debolezza di fede e la nostra debolezza nel camminare verso Dio, e per sollecitarci ci dicono: “Dov’è il tuo Dio?” ma praticamente elemosinano la gloria di Dio e ci sollecitano a cercarla e ci aiutano. Perché cui ecco perché  si amano anche coloro che con il loro scetticismo, sembrano essere nemici di Dio.

San Paolo dice: “Io sono riconoscente agli amici e ai nemici, perché tutti quanti hanno contribuito a fare di me quello che sono”.

Ma quel “sono” è partecipazione all’Essere.

È l’ “Io sono del Figlio”, per cui “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”, dice San Paolo.

Quindi quando dice: “Quello che io sono..” (“…hanno contribuito a fare di me quello che sono, amici e nemici, per cui sono riconoscente verso di essi”), dice la sua gioia di poter glorificare Dio.

Per cui sono amici e nemici, perché tutti quanti hanno contribuito, cioè mi hanno sollecitato a cercare, ad approfondire questa gloria di Dio, a penetrare nel cielo di Dio.

Eligio: Come riuscire a pensare sempre a Dio, specie in certi ambienti?

Luigi: Quando uno cerca la gloria di Dio, di tutto fa motivo, anche di una canzonetta volgare, per pensare a Dio. È una conversazione continua: bisogna imparare a trarre aiuto da tutto e a far di tutto una scala.

Eligio: In certe situazioni, certe contrarietà, sembra impossibile superarle senza reagire violentemente… oppure bisognerebbe fare l’orso…

Luigi: La sorgente del vero squilibrio interiore in noi è la gloria di Dio in noi, quando questa parla.

Qui abbiamo la sapienza, ed è quella sapienza che non ti fa paura, non ti fa temere nulla, perché tu riesci a comprendere ogni argomento contrario, e non solo, ma riesci ad assimilarlo nella gloria di Dio, ne vedi l’aspetto positivo; per cui sotto la polemica che magari ti presenta l’argomento contrario, tu trovi l’inventivo per magari, ad esempio, illuminare e conquistare un’anima, quando hai presente Dio, quindi non c'è la necessità di fare l’orso.

Eligio: Però direi che qui siamo ai vertici…. Questo discorso presuppone il superamento di tutta una natura.

Luigi: Si, certo. L’ho detto molte volte: nella gloria di Dio non si disprezza niente, nemmeno il denaro. Tante volte diciamo: la ricchezza va superata, oppure bisogna disprezzare…

Ma il senso di disprezzo verso certe cose è soltanto espressione ancora di una nostra debolezza; si tratta di una situazione che è data da una nostra debolezza: siccome noi siamo deboli verso certe cose, abbiamo bisogno di reagire quasi con quel senso di disprezzo. Ma profondamente, in Dio, nemmeno il nostro io è cattivo.

Noi diciamo: “Bisogna morire al nostro io”; ma il nostro io è ancora una creatura di Dio e in Dio questa creatura che è il nostro io (e che attualmente noi diciamo che bisogna farlo morire), diventa espressione della glorificazione di Dio. Quindi si va proprio verso l’amore per tutto e per tutti; è vero amore, in Dio, questo, nella gloria di Dio.

È logico, lontano da Dio uno si difende come può; quindi naturalmente verso quelle cose verso le quali è particolarmente debole, si difende con una reazione violenta e contraria, perché si accorge di essere debole.

Il giorno in cui si arriverà a Dio, non sentirà più la debolezza.

Ad esempio San Francesco quando era debole, ha dovuto essere violento su se stesso, ha dovuto fare delle penitenze, digiuni; passò tutta una quaresima con un pezzo di pane e alla fine della Quaresima aveva ancora il suo pezzo di pane, nel Lago Trasimeno.

Ecco, ha fatto questo perché era debole: è il processo di ascesi.

Quando è arrivato ad essere forte nell’amore e nella conoscenza di Dio, sollecitava una signora a portargli i dolci che sapeva fare lei, mentre prima, non soltanto non mangiava i dolci, ma addirittura quando mangiava un pezzo di pane, sentiva il bisogno di metterci su un po’ di sabbia o un po’ di cenere, perché il pane era troppo buono.

Dopo invece magari mangiava i pasticcini e glorificava Dio.

Vedi, è tutta una questione di debolezza nostra, è un gradino, che invece il raggiungimento di una certa conoscenza di Dio per poter essere comprensivi verso tutto e verso tutti.

Teresa: Più difficile è vincersi nelle mancanze di carità che vincerci esteriormente nei cibi.

Luigi: Certo, ad esempio nei pettegolezzi…

Eligio: Certe musiche dove ritrovo la mia natura, rinuncio a sentirle, anzi le fuggo, perché mi cullerei in esse….

Luigi: Invece il giorno in cui uno si accorge che può anche ascoltare quella musica glorificando Dio, allora è libero…

Nino: Anzi lo può avvicinare a Dio…

Luigi: Allora è libero. Invece finché uno si culla in essa, vuol dire che la musica lo porta via, e fintanto che una cosa mi porta via, la debbo lasciare: denuncia una mia debolezza.

È li allora che uno dice: “Debbo fare l’orso”, appunto, debbo fare l’orso perché mi accorgo che mi sta portando via.

Ma indubbiamente non è quella la meta. La meta è proprio arrivare a quell’unione con il Signore per cui si loda e si ringrazia il Signore di tutto senza che nulla ti porti via.

Pensieri conclusivi:

Cina: Chiedere al Signore di essere almeno protesa verso l’essere che viene da Dio.

Luigi: Cioè verso la gloria di Dio che ci fa essere. Naturalmente questo richiede il superamento di tutto il resto. Perché bisogna porre questo come orientamento e poi bisogna imparare a vivere in questo: cioè crescere giorno per giorno con questo ritornare sempre alla Fonte dell’Essere, alla Sorgente: questa pazienza, sapendo che è li la nostra vita…

Questo è un lavoro interiore che giorno per giorno dobbiamo fare, per cercare di ricuperare sempre la Sorgente dell’Essere in noi, perché senza di noi non si ricupera, ma anzi si perde.

Dio è vicinissimo, ma noi non raccogliendo in Dio le opere di Dio, ci creiamo delle distanze da Colui che è vicinissimo a noi.

Teresa: Cercare di scoprire il Verbo di Dio in tutto.

Luigi: E di preoccuparci della gloria, di poter contemplare sempre di più la gloria di Dio in noi, crescere nella contemplazione della gloria di Dio in noi. Il punto fisso per crescere in questa gloria di Dio, è quello che era in principio: il Verbo di Dio, il Pensiero di Dio in noi, questa Sorgente dell’Essere in noi. Cercare di assimilare il più che sia possibile in quello ogni cosa.

Teresa: Noi possiamo cercarlo, però è poi Lui che ci fa tornare il quel pensiero.

Luigi: Certo, è Lui che ci sollecita, è Lui che ci pone il problema, ed è Lui che ci dà la grazia per… però se noi ci mettiamo a disposizione, ad esempio se noi gli concediamo del tempo, se noi ci fermiamo per questo, anche se gli diciamo: “Signore, io non so come fare… aiutami Tu: però ti metto a disposizione la mia anima, ti metto a disposizione il mio silenzio, mi raccolgo in Te; Tu aiutami per cercare la tua gloria, perché mi voglio preoccupare della tua gloria, in quanto la tua stessa parola mi ha ammonito che quello che io debbo cercare, è quello di cui io mi debbo preoccupare”. Perché altrimenti se io non cerco la gloria di Dio, automaticamente cerco al gloria che mi viene dagli uomini: automaticamente! E questa gloria che viene dagli uomini, può essere ad esempio la figura che ho nella mia comunità, ma è sempre però il pensiero degli altri; c'è il pensiero dell’io.

Invece il Signore ci ammonisce che dobbiamo preoccuparci di cercare la gloria che viene dall’unico Dio, perché li sta la nostra vera vita.

Teresa: Cioè non mettere il campione da parte.

Luigi: Non mettere il campione da parte.

Pinuccia: Gesù dice: “Non cercate la gloria che viene dall’unico Dio”: vuol dirci che dobbiamo cercare la gloria di Dio (senza pensare di riceverla noi) e cercare per noi la gloria che viene dall’unico Dio a noi?

Luigi: Questa gloria viene a noi dall’Unico Dio: viene a noi. Però è la gloria di Dio: dipende da Dio. siccome la gloria è ciò che uno è, quindi ciò che è ciò ci viene da Dio. La gloria di Dio viene da Dio, non viene da noi.

Pinuccia: Quindi non si tratta della glorificazione nostra.

Luigi: No, non è questa che va cercata, ma la gloria che viene dall’unico Dio. Non ti rendi conto cosa vuol dire la gloria che viene da Dio? La conoscenza di Dio viene da Dio!

Pinuccia: E quella la nostra gloria.

Luigi: E quella è la nostra gloria. “Di che cosa mi glorio? – dice San Paolo – mi glorio di conoscere Dio!”. Questa è la gloria della creatura!

La gloria della creatura è poter conoscere Dio!

Quindi la gloria di Dio è la nostra gloria! Perché è questo che ci fa essere ciò che siamo. Come il poter pensare Dio è la nostra ricchezza, la Vera nostra ricchezza. Di che cosa ti glori tu? Di quale ricchezza ti vanti? Ma io mi vanto della ricchezza di poter pensare Dio! e se nella giornata ho la possibilità di fermarmi un’ora, due ore, tra ore, ventiquattro ore a pensare Dio, questa è tutta la ricchezza di cui uno si vanta.

Pinuccia: E più uno pensa a Dio, più aumenta la conoscenza di Dio?

Luigi: Certo, più noi pensiamo Dio, e più facciamo una cosa sola con Dio. Dio chiede a noi solo il pensiero, non chiede altro. Non chiede che facciamo dei salti mortali e sacrifici, ecc.; chiede a noi il pensiero! E tutto il resto lo fa Lui! Perché tutto quello che fa Lui lo fa per sollecitare in noi questo pensiero! Quello che manca di noi a Dio non è mica il camminare su una strada piuttosto che un’altra, l’andare in convento piuttosto che lavorare nei campi, il fare certi atti di virtù piuttosto che non farli. Addirittura il Signore certe volte dice che è soddisfatto e contento quando ci vede mancare, quando facciamo del male, trova cosi il modo per usare la sua misericordia, per dimostrare il suo amore per noi. Quello che veramente di sostanziale noi possiamo difettare nei riguardi di Dio è il pensiero. Perché se manca l’anima noi, fossimo anche virtuosissimi in tutto il mondo, porteremmo un guasto enorme: se invece, fossimo in un mondo di fango, ma se ci fosse quest’anima che sospira, che pensa Dio, che invoca Dio, che guarda Dio, quell’anima Dio l’arricchisce immensamente, perché quella è la vera ricchezza, una ricchezza per la quale è giustificato lasciare tutto, vendere tutto, perché è un tesoro immenso! È il campo del tesoro, per cui uno con gioia va e vende tutto; con gioia, non fa mica fatica, non è una tristezza vendere tutto per conquistare quello; è una grande gioia! E uno lo fa con grande gioia.

Pinuccia: E per pensare a Dio è necessario raccogliere tutto in Lui, se non si pensa a Dio? oppure pensando a Dio si raccoglie?

Luigi: Si inizia, perché in noi (e il tesoro sta li), Dio dà a noi la possibilità di pensarLo. Possiamo anche nel male più grosso, noi abbiamo la possibilità di pensarLo perché Lui è con noi. “Non temerò niente, perché Tu sei con me”, dice il salmo 22 che abbiamo letto all’inizio. Il fatto che Lui sia con noi, questa Presenza sua, questa sua presenza con noi, si rivela in questo: che dà a noi la possibilità di pensarlo. È un atto di fede perché non è ancora conoscenza. È un campione. È il campione della sua gloria.

Pinuccia: E se io lo penso, Lui si fa conoscere?

Luigi: Lui si fa conoscere quando vuole Lui, perché Lui sa quali sono le condizioni perché la nostra anima si apra ad accogliere la sua gloria, la rivelazione della sua Presenza.

Ma se io Lo penso mi preparo ad accogliere il suo dono.

Il suo Pensiero in noi prepara la nostra anima ad accogliere la sua rivelazione, la sua gloria.

Certamente se non Lo penso nom mi comunica niente: cioè Lui opera soltanto per convincermi che sto morendo (quindi è solo lavoro negativo); più Lo penso e più Lui invece lavora in senso positivo, per dire: “Sì, è questo che Io voglio da te: voglio il pensiero!”

Pinuccia: E il pensare Lui mi porta a raccogliere.

Luigi: Si, mi porta a raccogliere, perché quando tu pensi ad una cosa, in quanto la pensi, già desideri essere là; cosa vuol dire “essere là”?

Noi attualmente pensiamo di tornare a casa, pensiamo a casa: praticamente il pensiero di casa, cosa fa in noi? Provoca in noi il desiderio di raccoglierci là.

Adesso siamo là solo col pensiero e la presenza fisica è altrove; il pensiero, ecco, già ci fa desiderare di essere in un certo luogo.

Pensando Dio, noi già implicitamente desideriamo tutta la gloria di Dio.

Il Pensiero in noi suscita in noi il desiderio: ma chi è che suscita in noi questo desiderio? É il Pensiero di Dio, perché se non penso Dio, questo desiderio non si forma. Quindi se noi ci fermiamo anche solo per un istante a pensare Dio, già in questo pensiero si forma in noi il desiderio di entrare nella sua gloria, di vedere tutto nella sua gloria, tutto il nostro mondo, tutta la nostra vita, tutto il nostro pensare, tutti i nostri problemi, di vederli tutti nella gloria di Dio.

Ecco, vedere tutto, far entrare tutto nella sua gloria.

E questo perché? Per il Pensiero. È il Pensiero di Dio che è il Movente. Quello è il Principio.

Pinuccia: Come pensiero conclusivo: cercare in tutto la gloria di Dio, e poi tener presente che un segno di questo è l’evitare di parlare di me stessa, quindi cercare di evitarlo.

Luigi: Si, questo è l’aspetto negativo.

Pinuccia: E cercare di parlare l’Essere, ma lo posso fare nella misura in cui….

Luigi: Tu parli l’Essere se lo conosci, perché più conosci l’Essere, più l’Essere ti canta dentro, e vuol parlare Lui! Non è che tu faccia fatica a non parlare di te.

Pinuccia: Anzi, farei fatica a parlare di me.

Luigi: E già! E non te lo proponi nemmeno di non parlare di te, perché se tu hai presente il Pensiero di Dio, non ti proponi mica di scappare nel negativo, non ti salta nemmeno per l’anticamera del cervello.

Pinuccia: Quindi debbo solo propormi di cercare la gloria di Dio.

Nino: In attesa di diventare tutto Pensiero di Dio, porre tutta la nostra attenzione ad interpellare il Pensiero di Dio in tutto, cioè a vedere in tutto il Pensiero del Padre, perseverando con pazienza in questo. Più tempo e più impegno metto nel rimanere in quelle parole li, più cammino. Quando non abbiamo più altri pensieri che ci disturbino, noi abbiamo fatto il silenzio interiore in noi, necessario per diventare tutto Pensiero del Padre.

Eligio: L’esigenza di arrivare a vedere Dio in tutto, in ogni cosa, è una sollecitazione per superarmi e poi farmi crescere nella vita interiore, portando la totalità della mia vita in Dio.

Luigi: Sì, tu dici: la meta è questa totalità che assorbe tutto (ed è Dio che ti ha convinto di questo).

Però per arrivare a questa totalità che assorbe tutto, c'è un processo di ascesi che chiamiamo: “distacco prima di tutto”.

Io non posso arrivare a questa totalità di Dio, mantenendo il “contatto con tutto”.

Ma si richiede un certo isolamento, un deserto, una certa amicizia con Dio, in un “distacco da tutto con l’anima”, con lo spirito, perché quanto più in noi grandeggia, si magnifica, si espande la gloria di Dio, la conoscenza di Dio, tanto più questa, discendendo dall’Alto, mi dà la capacità di comprendere e quindi di includere tutto; ma questo includere, non parte dal basso per arrivare all’Alto, ma parte dall’Alto e discende verso il basso e man mano che discende avvolge tutto a sé.

L’Apocalisse dice che la Città di Dio discende dall’Alto, discende da Dio.

Ma cosa vuol dire: “discende”'?

Vuol dire che man mano si amplifica in noi la gloria di Dio, assorbe a se tutto, tutto: arriva ad assorbire tutto. Ma la capacità di questo assorbimento di tutto, per cui più niente ti porta via, ti viene da Dio, ti viene dall’Alto.

Eligio: L’itinerario dall’Alto è quello ideale, ma io parto dal basso….

Luigi: Si arriva all’Alto, ma si arriva all’Alto per ascesi, per distacco. Poi dall’alto si discende comprendendo.

Eligio: Ma partendo dal basso lo sforzo che mi deve rendere sensibile alla Presenza di Dio in ogni avvenimento, in ogni persona, animale, ecc., lo faccio per fede.

Luigi: Certo, per fede; ma quel “per fede” è un rinnegamento dei tuoi istinti, dei tuoi stimoli, della tua natura, quindi è “distacco per” renderti molto disponibile per Dio.

Perché tu fai questo? Perché tu vai contro te stesso?

Data la nostra debolezza, data la nostra incapacità di raccogliere, per questa debolezza, noi abbiamo questa azione violenta di rinnegamento di tutto quello che è la nostra natura, il nostro istinto, perché sappiamo che il nostro io è un pericolo mortale, tutto questo avviene per rendere la nostra anima, disponibile, aperta, con del tempo interiore a disposizione per Dio, per conoscere Dio.

È poi questa tanta conoscenza di Dio che, discendendo, avvolge della sua luce, della sua gloria, tutto, trasforma, spiritualizza tutto; riesce a spiritualizzare tutto, anche il nostro io, anche la nostra natura, anche il nostro corpo. E il nostro corpo, la nostra natura, la terra, il mondo, ma mano che viene spiritualizzato dalla luce di Dio, diventa spirituale.

Nino: Alla luce di quanto hai detto, cioè discendendo dall’Alto, viene anche recuperata la sessualità, della quale si parla tanto ai giorni nostri come della scoperta del secolo, anche se purtroppo non la si intende in questa luce.

Luigi: Si, si recupera tutto, tutto. Ma poi c'è questo da dire: che tutto è carico di significatività.

Però non possiamo chiamarla “grande scoperta”: anche quello è un segno di Dio.

Abbiamo detto che ad esempio il denaro, che in un primo tempo noi possiamo essere portati a disprezzare quando capiamo che l’ostacolo che provoca in noi l’amore alla ricchezza, appunto perché testimonia una nostra debolezza, per cui dobbiamo usare una certa violenza o diventare un po’ orsi magari verso certe convenzioni sociali, ecc., viene poi considerato anche come creatura di Dio.

Come il denaro è creatura di Dio, come il nostro io è creatura di Dio, anche il sesso è creatura di Dio; quindi in quanto è creatura, significa qualcosa di Dio, dei rapporti tra Dio e la nostra anima, perché Dio non fa altro che significare Sé stesso in tutto.

Però non diciamo che sia la “grande scoperta”.

La “grande scoperta” è Dio! Sia ben chiaro! Purtroppo oggi si afferma che la fonte di tutti i conflitti in una famiglia, tra i coniugi è la disarmonia sessuale: è un errore!

I rapporti sono di anima. Quella, eventualmente, è una espressione, ma non la fonte di tutti i mali; quindi è un’utopia pensare di salvare le famiglie con l’educazione sessuale.

Penso che la “grande scoperta” sia la gloria di Dio.

Nino: Passando ad un altro argomento: non pensi che l’uso delle parole per esprimere un concetto è soprattutto personale: per cui è indifferente usare l’una o l’altra parola?

Ognuno poi deve fare il lavoro personale di traduzione, ma ognuno usa le sue parole.

Luigi: Sono d’accordo fino ad un certo punto. La parola. più è vicina a Dio e più diventa espressiva dello spirito. Tutte le parole, tutte, anche le parole più volgari, portano qualche cosa di significazione di Dio, però ci sono parole più vicine a Dio e parole più lontane.

Come il parlare di Cristo è molto diverso dal parlare degli uomini: eppure il Figlio di Dio, il Verbo di Dio parla in tutte le cose, anche nelle canzonette volgari; se noi abbiamo lo Spirito possiamo intenderle, quindi interpretarle spiritualmente e non fanno male. Non fanno male, perché una volta in cui noi capiamo o diamo interpretazione spirituale ad una cosa, quella cosa cessa di farci male. Il sesso stesso, una volta che noi capiamo la significatività di Dio, non fa più male.

Le cose ci fanno male in quanto non sono raccolte in Dio.

Allora, tra la parola del Cristo e la parola degli uomini, tra la parola che mi dà l’articolo di giornale e una pagina di Vangelo, c'è differenza.

Eppure in tutto c'è la Parola di Dio!

Però la parola del Vangelo, è molto più carica di spirito, di significatività, e quindi molto più espressiva che non quelle di un giornale.

Quindi dico: quanto più un segno è vicino, è prossimo a Dio, contemplato in Dio, tanto più diventa significativo di per sé-

Nino: Anzi il Vangelo è la premessa per poter capire tutto il resto nel Pensiero di Dio.

Luigi: Certo, ecco perché bisogna lasciar tutto il resto per dedicarci al Vangelo: è l’abbecedario.

Nino: Certe parole però a me dicono più di altre (ad esempio mi dice molto di più: “Dare il mio pensiero a Dio” che “avere interesse per Dio”); certe parole a volte ci colpiscono di più e sembrano dirci una cosa nuova. Quindi dobbiamo usare quelle parole che ci uniscono di più a Dio.

Luigi: Certo, le parole sono segni, e più noi contempliamo Dio e più sentiamo proprio il bisogno di decantare le parole.

Ad un certo momento il vocabolario stesso cambia.

Più noi ci raccogliamo in Dio, e più noi cambiamo il vocabolario, per cui andiamo alla ricerca proprio di parole sempre più essenziali, che rendano sempre più evidente lo Spirito.

C'è tutta una trasformazione di parole, man mano che ci avviciniamo a Dio, man mano che contempliamo Dio, fino ad arrivare alla Parola diretta del Cristo, che parla l’Essere del Padre. 


E come potete credere voi che mendicate la gloria gli uni gli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Gv 5 Vs 44 Terzo tema.


Titolo: La conclusione dell’uomo esteriore: perché conclude con la morte?

Argomenti: Credere nel mondo non è credere in Dio. L’uomo interiore e l’uomo esteriore. Dio è Trascendente, uno che chiede all’uomo e  fuoco che consuma tutto. Mondo inferiore e mondo superiore. Liberarsi dal mondo inferiore per occuparsi del superiore. L’uomo interiore prevale sull’uomo esteriore. Dio brucia, vuol dire che trasforma tutto in Spirito. La nostra partecipazione consapevole. Riportare a Dio tutto quello che viene da Dio è il compito dell’uomo interiore. Sapienza e conoscenza.L’uomo interiore non cresce “facendo” ma raccogliendo nel Principio.


 

13/Maggio/1979


Dall’esposizione di  Luigi Bracco:

Ci soffermiamo ancora su questo versetto 44, cercando di riassumere e di approfondire ancora qualche cosa. La prima cosa che viene messa in evidenza da Gesù è questa: l’incompatibilità della fede in Dio con la ricerca della gloria del mondo.

“Come potete credere voi che mendicate la gloria gli uni dagli altri?”.

Fintanto che ci preoccupiamo e ci sta a cuore il pensiero del giudizio degli altri, della nostra figura davanti al mondo, dell’onore, di quello che dicono gli altri, della mentalità del mondo, noi ci mettiamo in una situazione in cui ci è impossibile credere in Dio.

C'è una conflittualità qui: lo afferma Gesù, e lo abbiamo anche approfondito, perché il cercare la gloria del mondo sostanzialmente vuol dire credere nel mondo, e credere nel mondo evidentemente non è credere in Dio, perché il mondo non è Dio, anche se il mondo è opera di Dio. Però se noi crediamo nel mondo, cerchiamo la gloria del mondo, e evidentemente credere nel mondo non è credere in Dio, perché il mondo non è Dio.

E quindi possiamo anche capire come nel mondo ci sia tanta assenza di fede, e come nel mondo tanti che inizialmente hanno fede, poi ad un certo momento si accorgono di aver perso la fede. È proprio perché noi crediamo e ci illudiamo di poter mantenere la fede, cercando la nostra figura nel mondo: cercando la figura nel mondo noi perdiamo la fede.

Poi a Vigna, la volta scorsa, sempre riflettendo su questo versetto, abbiamo approfondito come la ricerca della gloria del mondo, la ricerca della gloria gli uni dagli altri, dia luogo alla formazione dell’uomo esteriore, dell’uomo vecchio, come lo chiamo San Paolo, tutto a detrimento dell’uomo nuovo e dell’uomo interiore.

Abbiamo visto che l’uomo interiore nasce dal pensiero di Dio, dal Verbo di Dio, dalla Parola di Dio; nasce li; vive alimentandosi continuamente a questo pensiero di Dio, cioè, secondo San Paolo, “rinnovandosi giorno per giorno nella fonte dell’Essere”, nel Principio, (“In Principio era il Verbo”), cioè rinnovandosi giorno per giorno nel Verbo di Dio.

Ora, quel “rinnovarsi giorno per giorno”, abbiamo visto che vuol dire questo accogliere tutti i giorni le opere di Dio, i segni che Dio ci manda e riportarli sempre nel Principio, il Pensiero di Dio, per cercare di contemplare la sua Presenza in tutto.

E questo è ricerca della gloria di Dio; per cui abbiamo detto che l’uomo interiore cresce, vive, nutrendosi della gloria di Dio e si conclude nella vita eterna: l’uomo interiore non passa attraverso la morte.

Invece l’uomo esteriore ha la sua fonte nel pensiero dell’io, nasce dal pensiero dell’io.

Il pensiero dell’io proietta noi stessi noi stessi all’esterno, nelle cose che egli vede, perché nel pensiero del nostro io noi non vediamo Dio, non possiamo vederlo; vediamo invece tutte le cose che dipendono dal nostro io o che sono in rapporto col nostro io, cioè tutte le cose esteriori.

Ed allora, questo nostro io cerca la sua vita nelle cose esteriori, proprio come dice qui: cerca la sua gloria dalle persone, dalle creature, dal mondo, non si può preoccupare di Dio e si alimenta delle cose esteriori.

Come l’uomo interiore alimenta la sua vita nella gloria di Dio, cosi l’uomo esteriore alimenta la sua vita, guadagnando le cose del mondo, accumulando attorno a sé, cercando la gloria degli altri, cioè sottomettendo a sé tante creature, cercando creature che gli battano le mani.

L’uomo esteriore però conclude non con la vita, ma con la morte.

Ecco, dovremo ancora approfondire questo fatto: perché l’uomo esteriore conclude con la morte.

Siccome dobbiamo sempre cercare le ragioni di tutti i fatti che avvengono, mettendoli in relazione con Dio, anche qui noi dobbiamo cercare possibilmente di capire come mai avvenga in noi questa deformazione; come mai questo nostro io, questa nostra anima che è stata creata per Dio, che nasce da Dio (perché anche il nostro io è una cosa buona, perché è creatura di Dio, anche se va superato), ad un certo momento devia al punto tale da perdere addirittura la fede in Dio, da proiettarsi tutto nelle cose esteriori.

Ecco, è qui che dico: dobbiamo rapportare le cose a Dio e cercare in Dio la ragione anche dei nostri errori.

In Dio noi dobbiamo tenere presenti come elementi che possono aiutarci per capire:

-         sia la fonte dell’uomo interiore sia la fonte dell’uomo esteriore;

-         sia la vita dell’uomo interiore, sia la vita dell’uomo esteriore;

-         sia la conclusione dell’uomo interiore nella vita eterna, nella gloria di Dio,

-         sia la conclusione dell’uomo esteriore nella morte, la morte interiore soprattutto, che poi reca questi segni: vuoto, non senso della vita, vanità, confusione, angoscia nella conflittualità.

Per cercare di capire la ragione di questi fatti, teniamo presente:

-         prima di tutto che Dio è Trascendente,

-         che Dio è Uno che chiede all’uomo,

-         e che Dio è Fuoco, Fuoco che consuma tutto.

1)                 Prima di tutto che Dio è Trascendente: che vuol dire che è superiore alla creatura.

Cosa vuol dire essere superiore alla creatura, per noi?

Essere superiori alla creatura per noi vuol dire che non si vede, non può essere visto da noi, nel pensiero del nostro io, perché è Superiore.

Ieri sera abbiamo accennato che Dio creando ha fatto un cielo e una terra, ha fatto un mondo superiore ed un mondo inferiore, ha fatto acqua del cielo e ha fatto acqua della terra, dice la Bibbia.

Cosa vuol dire mondo inferiore e mondo superiore, cielo e terra?

 Vuol dire che ha creato nell’uomo, sua creatura, perché tutto ha fatto per l’uomo, ha creato un mondo che lo supera e che quindi la creatura non vede, e ha creato un mondo che invece è in relazione alla creatura e che pertanto la creatura vede naturalmente nel pensiero di sé.

Allora cosa succede? Succede che noi, ognuno di noi, creatura di Dio, ci troviamo quindi nel pensiero del nostro io, cioè si trova in questa situazione:

-         si trova con un mondo che vede, che tocca, che esperimenta (è la nostra terra, tutta la vita di ogni nostro giorno),

-         e con un mondo che lo supera, che il nostro io non vede, ma che sente annunciare, perché il cielo si annuncia anche nelle cose della terra, si fa sentire (però il farsi sentire non è farsi vedere).

Allora nel nostro io, nella nostra anima che sente l’annuncio del cielo, l’annuncio del mondo trascendente, del mondo di Dio, cioè delle cose che non vede, si forma l’impegno ad occuparsi delle cose che ci sono annunciate e che ancora non vede.

Se se ne occupa, nasce l’uomo interiore, e si prepara a vedere le cose che gli sono annunciate.

Vedere le cose che ci sono annunciate, le cose cioè di Dio, le cose che hanno per centro Dio, è proprio vocazione alla gloria di Dio.

Noi siamo stati creati per la gloria di Dio.

Ha detto bene stamattina il sacerdote nella Messa: “Noi non siamo stati creati per il Paradiso (o per lo meno, dobbiamo approfondire questo concetto del Paradiso); noi siamo stati creati per la gloria di Dio”; e quando si dice “creati per”, è rivelazione di destino per.

Noi siamo stati destinati, creati con questo destino: “Tu uomo sei stato creato per la gloria di Dio”; ma dire ad una creatura, ad un essere cosciente, che è stato creato con questo destino, vuol dire invitarlo a camminare verso questo fine, invitarlo ad occuparsi di questo.

Nella misura in cui si occuperà di questo, si impegnerà personalmente per questo (d’altronde un destino non ci sarebbe annunciato se noi non dovessimo impegnarci in esso), ecco che allora il mondo trascendente di Dio, facendosi sentire in noi, diventa una richiesta: Dio chiede all’uomo.

2)                Dio chiede all’uomo: se l’uomo risponde, incomincia a dar luogo a questo uomo interiore, a questo uomo nuovo, che nasce dalla fede in Dio; ma nasce per la fede in Dio, l’abbiamo accennato, per un atto di giustizia.

Perché Dio si annuncia, noi per giustizia dobbiamo aderire, credere.

Se crediamo, diamo luogo a questa nascita dell’uomo interiore, il quale giorno per giorno, nasce in quanto continuamente si ricollega con il suo Fine e con il suo Principio, cioè si ricollega sempre con il pensiero di Dio.

E questa fatica di riportare tutto a Dio, lo fa vivere.

È una fatica che non avviene senza di noi, perché nelle cose di Dio, nelle cose trascendenti, si richiede sempre la nostra partecipazione consapevole. Con Dio non avviene niente di automatico, non avviene niente di inconsapevole.

Dio opera rendendoci sempre più consapevoli, perché Lui è la Verità e la Verità ci chiama alla conoscenza e la conoscenza è un atto nettamente di coscienza, nettamente consapevole. Quindi quanto più noi partecipiamo a Dio, alla ricerca di Dio, alla conoscenza di Lui, tanto più noi cresciamo in consapevolezza di quello che vogliamo.

Al rovescio dell’uomo esteriore; e quindi abbiamo anche già un inizio dei contrasti che caratterizzano l’uomo interiore dall’uomo esteriore, perché l’uomo esteriore, quanto più cresce nella gloria del mondo, nel possesso delle cose del mondo, tanto più perde la consapevolezza di ciò che egli è, perché dovrà lasciarsi guidare soprattutto dai sentimenti, dal pensiero del giudizio degli altri, che sono notte; cioè finisce per adorare quello che non conosce.

È il giudizio che dà Gesù: “Voi adorate quello che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo”, cioè, chi cerca Dio, adora ciò che conosce o ciò che egli conoscerà.

Chi adora il mondo, adora ciò che non conosce e ciò che lo porterà sempre più nella notte e nel caos, lo metterà sempre più in balia di avvenimenti e di fatti che contrastano con la sua coscienza, con la sua anima; lo mettono in conflitto, nel conflitto abbiamo la notte, la confusione, le tenebre, quindi abbiamo la dispersione.

Qui abbiamo un altro fatto: che l’uomo interiore cresce di conoscenza in conoscenza, e siccome il crescere nella conoscenza di Dio richiede molta disponibilità (proprio perché  è un fatto consapevole), l’uomo interiore tenderà sempre di più a liberarsi da tutto ciò che gli impedisce di occuparsi di Dio; quindi tenderà a sgomberare la sua vita da tutti i fatti del mondo; il più che sia possibile, cercherà di alleggerirsi dalle cose del mondo, per essere sempre più disponibile per le cose di Dio; perché quanto più cerca Dio, tanto più comprende, perché si avvicina alla conoscenza, e quindi tanto più comprende l’importanza, la meraviglia, la gioia, la vita, la liberazione che gli viene dal conoscere Dio. E quanto più si convince e constata questo, tanto più è deciso a perdere tutto il resto per rendersi maggiormente disponibile. E quindi vedremo l’uomo interiore che tende sempre di più ad amare il silenzio, la preghiera, il pensiero.

Al rovescio (e anche qui è un altro segno) dell’uomo esteriore, il quale uomo esteriore invece amerà soprattutto il guadagnare, il possedere le cose del mondo, il correre nelle cose del mondo, l’immergersi nelle cose del mondo, mentre invece il silenzio gli farà paura e il pensare gli sarà sempre più difficile; l’uomo del mondo, che vive per le cose del mondo, è incapace assolutamente a pensare.

A chi cammina verso le cose di Dio, Dio (e qui è un segno della Presenza di Dio) non chiede che cosa gli porta: chiede che cosa è capace di perdere, che cosa è capace di lasciare per occuparsi di Lui, delle cose di Dio.

Quanto più l’uomo esteriore cresce nelle cose del mondo, abbiamo detto, tanto più perde nella disponibilità per le cose trascendenti, per le cose di Dio, per le cose che non si vedono, che diventano sempre più astratte, sempre più lontane, e tanto più perde la possibilità di pensare. Ora, teniamo presente una cosa, che quanto più cresce questo uomo esteriore, (l’uomo esteriore cresce nella misura in cui accumula intorno a sé beni del mondo, creature, figura, onori, ecc.), tanto più l’uomo interiore deperisce, tramonta, si svuota.

Ma anche qui, c'è una cosa da tenere molto presente, ed è questa: che l’uomo interiore prevale sull’uomo esteriore. Cioè, se noi abbiamo il vuoto nell’anima, non serve che siamo pieni di vita nel mondo esterno; il vuoto dell’anima non si colma con la pienezza delle cose esteriori, e questa è un’esperienza che noi tutti quanti facciamo e possiamo fare. Quando siamo tristi dentro, non c'è nulla che dal di fuori ci possa dare gioia, e quando abbiamo la pace, la gioia dentro, questa pace, questa gioia prevale tanto che riesce ad assorbire qualunque tristezza che ci venga dal di fuori.

Questo è un segno per dire a noi che nella nostra vita l’uomo interiore predomina sopra la vita esteriore; è preponderante. Se è preponderante, vuol dire che noi dobbiamo dare molta più cura, molta più attenzione alla vita interiore, che alla vita esterna.

L’uomo interiore che cerca Dio, lo fa perché a contatto con Dio, riceve le lezioni della sapienza, viene istruito direttamente da Dio e quindi fa scelte giuste.

L’uomo esteriore fa il rovescio, però non è che facendo il rovescio non subisca la verità. Ora, mentre l’uomo interiore, cercando Dio, va di vita in vita, va di luce in luce, per cui non va incontro alla morte, ma va verso la vita eterna che è unificazione di tutto in Dio (perché lui ha cominciato ad unificare in Dio, quindi va di conferma in conferma), l’uomo esteriore invece va verso il vuoto, va verso lo svuotamento dell’anima, cioè va verso la morte. E questo è un segno anche della Presenza di Dio tra noi, perché il terzo elemento da tener presente è che Dio è Fuoco.

3)                Dio è Fuoco: vuol dire che Dio brucia, cioè consuma tutto. Ora, bruciare, consumare, cosa vuol dire? Vuol dire che trasforma tutto in Spirito. Lui è Spirito e tutto ciò che noi avviciniamo a Lui, lo trasforma in Spirito, in Luce. È per questo che l’uomo interiore cresce giorno per giorno, ritornando sempre, ricollegandosi sempre alla Fonte dell’Essere, al Principio: perché questo ricollegarsi, questo raccogliere sempre tutto alla fonte dell’Essere, vuol dire far trasformare da Dio tutto in luce (le cose per noi diventano tenebre in quanto sono lontane da Dio). Ma questo avviene nell’uomo interiore; in quanto che l’uomo interiore partecipa e partecipare vuol dire avvicinare tutto ciò che viene da Dio, avvicinarlo a Dio, alla sorgente dell’Essere. Più lo avvicina e più Dio lo trasforma in luce per la sua anima e l’uomo cresce di luce in luce. Ma, anche l’uomo esteriore che non partecipa a questa opera di unificazione con Dio, non è che esca fuori dal regno di Dio, perché Dio è Verità e la Verità si afferma in tutto. Quel fuoco che trasforma tutto in luce per chi raccoglie, avvicina le cose a Lui, diventa un fuoco che distrugge, brucia, consuma tutto ciò che non viene portato a Lui. Ecco perché l’uomo esteriore, l’uomo vecchio, va verso la morte, la delusione, il caos, le tenebre, perché verrà deluso da quelle stesse cose che lui ha amato, da quelle stesse cose che lui ha cercato, per le quali ha trascurato Dio.

La conclusione è che l’uomo esteriore diventa il giustiziere di se stesso. Ad un certo momento noi possiamo anche constatare nella vita degli uomini, che ad un certo momento, l’uomo diventa il giudice di sé, perché denuncia da se stesso l’inutilità del suo vivere, la vanità per cui ha consumato tutto il suo tempo, tutta la sua vita, denuncia il caos interiore, l’inutilità del vivere, ecc.

Ecco, l’uomo diventa il giudice di se stesso.

Ma è Dio questo fuoco che annulla, consuma e confonde tutto ciò che noi non portiamo a Lui. Allora, mentre tutto ciò che noi portiamo a Lui, Dio lo trasforma in luce, tutto ciò che noi non portiamo a Lui, Dio lo distrugge, e lo distrugge ancora per far capire a noi l’errore che abbiamo fatto a trascurare Lui, per cercare la nostra gloria nel mondo, la nostra gloria dagli uomini.

E qui arriviamo all’ultimo atto, ed è questo (l’abbiamo già accennato a Vigna): l’uomo che cerca la gloria degli uomini, dagli altri, dal mondo, cioè in quanto pensa a sé, cerca la glorificazione di sé, conclude proprio con l’annullamento di sé, proprio all’opposto di quello che egli desiderava: cercava la sua gloria e conclude con la morte.

Conclude col testimoniare davanti a tutti il suo niente, il suo vuoto, la sua confusione e forse anche la sua disperazione.

Anche questo è una glorificazione di Dio, nolente l’uomo, come è la glorificazione di Dio da parte del demonio, da parte di satana che nolente, attraverso tutte le sue opere, deve glorificare Dio, deve testimoniare che Dio esiste.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Nino: Nel  mese di ottobre si era già trattato questo argomento parlando della finalità della creazione: tutte le cose sono state fatte da Dio per risvegliare nell’uomo il desiderio di conoscere Colui che le ha fatto, cogliendo in esso il significato, il pensiero che Dio ha posto in esse. Se non sorge in noi questo desiderio, allora strumentalizziamo tutte le cose a noi fermandoci alla loro apparenza, per cui rubiamo a Dio ciò che è di Dio; le cose perdono per noi la loro essenza, il loro significato, per cui noi saremo privi di esse e perfino del nostro io, cioè della nostra vita.

Luigi: E questo avviene per non aver cercato il significato in Dio di esse.

Nino: Invece se aderiamo a Dio e cerchiamo la sua conoscenza, ricuperiamo tutte le cose nel loro significato, e capiremo che erano state fatte proprio per la nostra ascesa a Dio.

Eligio: Pensavo al concetto di Dio come Fuoco, per cui tutte le cose che riferiamo a Lui vengono trasformate in motivo di luce e quelle che vengono riferite all’io vengono bruciate, consumate, come le altre, però diventano motivo di tenebre.

Luigi: E quindi anche la nostra vita viene bruciata.

Eligio: C'è però in questo anche un risvolto positivo, perché l’angoscia, la privazione ci fa rivolgere gli occhi alla luce.

Luigi: Si, Dio infatti consuma tutte le cose, brucia tutte le cose, per richiamarci, per farci capire che l’errore che abbiamo fatto e quindi per farci rinsavire.

Eligio: Ma anche questo allora termina in luce.

Luigi: No, perché diventi luce bisogna che ci sia la nostra partecipazione consapevole, altrimenti resta solo notte. Perché diventi luce bisogna che ci sia da parte nostra l’assunzione del segno in Colui che lo fa, cioè nello Spirito, nel Verbo di Dio. Bisogna che ci sia questo raccogliere il segno e portarlo in Dio: la Luce nasce soltanto da questa unificazione. Se questa unificazione non avviene, resta solo la notte; ma anche la notte ha il suo scopo, diciamo: anche la notte ha la sua speranza, in quanto ammonisce a cambiare strada, perché ci fa capire che abbiamo sbagliato.

Quando, camminando su un sentiero, noi veniamo a trovarci in un luogo completamente diverso da quello nel quale noi volevamo andare, diciamo: “Ho sbagliato strada!”. Anche il constatare il luogo completamente diverso ha la sua speranza, in quanto ammonisce: “Ritorna indietro e prendi l’altra strada”. Ha questa funzione; non ha la funzione di dirmi: “Sei dannato, ormai sei in un paese straniero”; no, ma ha la funzione di dirmi: “Hai sbagliato strada”. Ora, la nostra notte ha questa funzione.

Quindi Dio che brucia tutte le cose che noi non raccogliamo in Lui e quindi anche la nostra vita, la brucia per dirci: “Hai sbagliato strada”; non è che la trasformi in luce.

Se noi, ritorniamo a Dio e incominciamo a raccoglierci in Dio, allora incominciamo il cammino della luce, man mano che portiamo a Dio le cose, e anche i nostri fallimenti, vengono illuminati: Dio trasforma in luce anche i nostri fallimenti, anche i nostri paesi sbagliati.

Però bisogna che ci sia questo rapporto personale, cioè bisogna che ci sia la presenza dell’uomo interiore; bisogna che l’uomo interiore lavori.

L’uomo interiore, come abbiamo detto, non è un uomo passivo; l’uomo interiore è un uomo essenzialmente attivo, perché Dio chiede all’uomo interiore la collaborazione perché  è sempre necessario riportare a Dio tutto quello che viene da Dio. Questo è il compito dell’uomo interiore. Ora, siccome questo compito richiede molto all’anima, l’uomo interiore tende a sbarazzarsi, a liberarsi da tutti gli altri impegni che sono transitori, che sono nel mondo esterno, per rendersi in tutto disponibile per questo, perché capisce che li trova la vita. l’uomo non è che debba lasciare le cose prima di scoprire l’importanza della vera vita; l’uomo lascia le cose quando ha scoperto il vero tesoro. La parabola del Signore lo dice chiaro: quando l’uomo ha trovato il campo con il suo tesoro va e vende, non prima vende e poi va a cercare il campo. No, ha trovato il campo, ha trovato il suo tesoro, e allora va, vende tutto quello che ha per comprare quel campo e lo fa con gioia. Dio è Uno che chiede: chiede a colui che fa crescere interiormente non ciò che gli reca, ma ciò che è in grado di lasciare, per rendersi disponibile, perché Dio chiede disponibilità; non chiede apporti, perché è Lui che riempie tutto.

Nino: Però la fede vuol dire andare dietro una cosa senza ancora averla vista, rinunciando ad altro; quella cosa la vedrai dopo.

Luigi: Certo, è logico. Ma tu hai trovato il campo con il tesoro, hai scoperto che c'è il tesoro; non lo conosci ancora, non lo possiedi. Vai, vendi tutto quello che hai per comprare il campo in cui c'è il tesoro. Ora, quel campo in cui c'è il tesoro è proprio la vita interiore, la vita dell’anima, la vita del pensiero; quel campo è la “disponibilità per”.

Nino: Tu hai una convinzione, ma non hai ancora la sapienza, la conoscenza.

Luigi: Adesso bisogna distinguere tra sapienza e conoscenza; la sapienza è scoprire i valori; qui, a questo punto, tu hai scoperto i valori, perché se non scopri i valori non vedi il resto.

Nino: Ma la conoscenza tu ce l’hai ancora. Tu sei nella situazione del funzionario che sulla parola di Gesù ritorna da suo figlio, correndo il rischio di trovare il figlio morto; lascia qualcosa prima di conoscere che il figlio sia veramente guarito.

Luigi: Si, certo, ma ha lasciato questo qualcosa in quanto ha creduto in quella parola. Ha creduto in quanto aveva dei dati per credere in quella Parola: questa è la sapienza.

Nino: Comunque c'è sempre il rischio.

Luigi: Chi compra il campo con il tesoro, non è che possieda già il tesoro: può correre il rischio che il tesoro non lo trovi.

Eligio: Però Gesù lo dà per certo.

Luigi: Si, è sulla Parola di Dio che uno vende e compra… ma ha i motivi per credere. Certo, fintanto che non si arriva alla vita eterna c'è il rischio di restare nell’incompiuto.

Pinuccia: Il rischio però è da parte nostra perché possiamo stancarci, tornare indietro, ma non da parte di Dio, perché Dio è fedele alla sua promessa.

Nino: Già sul piano orizzontale in ogni nostra scelta corriamo dei rischi. Ora questo rischio c'è  anche nel piano spirituale e ci è difficile superarlo, perché ci fa paura e ci fa rinunciare al tesoro promesso per una cosa che abbiamo già in vista. Si, c'è la promessa di Dio, che noi dobbiamo accettare per fede, ma non conosciamo ancora.

Luigi: Si; poi molte volte noi facciamo l’esempio e diciamo: “Va, vendi quello che hai…” e crediamo che questo sia un atto unico, una tantum, che avviene nella vita. E invece no, è tutto un fatto progressivo. Cioè man mano che l’uomo interiore cresce, si convince sempre di più della validità, dell’importanza di un’applicazione maggiore e allora si libera sempre di più …. Non che faccia l’atto alla tale ora, al tale momento ed ecco fa il salto. No, è una crescita, una vita a man mano che cresce quello, non ha difficoltà a lasciare questo.

Eligio: Invece per Paolo di Tarso fu una cosa subitanea.

Luigi: Aveva una funzione speciale; ma anche per lui ci vollero poi anni di deserto. Man mano che tu scopri un valore maggiore, non penso che hai difficoltà a dar via le cose minori…. Anzi, Dio stesso ti chiede quello che sei capace di lasciare per Lui, perché è proprio in questo lasciare che la nostra anima ci allarga e diventa capace dei doni maggiori. Abbiamo detto che Dio ci promette sempre doni maggiori, ma che cos’è che trattiene Lui dal donare a noi i doni suoi maggiori? È l’incapacità che noi abbiamo di portare questi doni. E allora, man mano che noi intuiamo l’importanza che c'è  nella vita con Dio, lasciando le altre cose, la nostra anima diventa capace di portare cose maggiori. Man mano che diventa capace di portare, Dio dà i doni successivamente maggiori, fino a condurci alla vita eterna, cioè alla vita intima con il Padre e con il Figlio.

Nino: Si, è un’ascesa lenta e le cadute servono a farci sentire il bisogno che abbiamo di Lui e la nostra insufficienza.

Luigi: Comunque quello che viene messo qui in evidenza è la grande importanza dell’uomo interiore, il quale uomo interiore nasce dal Pensiero di Dio, cresce alimentandosi a questa gloria di Dio e conclude con la gloria di Dio. questo è ciò che dovrebbe chiedere a noi tutta l’attenzione possibile, tutta la cura possibile; far crescere quest’uomo interiore.

L’uomo esteriore invece essendo destinato ad essere assorbito tutto dall’uomo interiore, può essere trascurato. Non dobbiamo aver paura a trascurare l’uomo esteriore. Non è che noi trascurando l’uomo esteriore perdiamo qualcosa: perdiamo se trascuriamo l’uomo interiore.

Nino: Conoscendo Dio ricuperiamo tutto, quindi è inutile mettere il carro davanti ai buoi e dire: “Faccio questo e quello cosi mi avvicino a Dio!”, perché corro solo il rischio di allontanarmi da Dio.

Luigi: Certo, perché l’uomo interiore non cresce “facendo”. È l’uomo esteriore che cresce “facendo”. Il fare dell’uomo interiore è un fare diverso, non è il fare dell’uomo esteriore. Il fare dell’uomo esteriore è quello di guadagnare, di accumulare, di raccogliere attorno a sé, quindi è tutta una proiezione sul mondo esteriore, sulle cose che si vedono. Il fare dell’uomo interiore invece è proprio un distacco da tutto… è raccogliere in Dio, cioè questo continuo riportare, rinascere da Dio, questo ricollegarsi sempre con il Principio, perché il Principio non resta in noi in modo automatico. Il Principio resta in noi in quanto noi continuamente ci riportiamo alla fonte, alla Sorgente dell’Essere. La Sorgente dell’Essere ci è data; il Principio è in noi e ci è annunciato: “In Principio era il Verbo”. Il Principio è in noi. Ma non è che in quanto c'è Lui rimanga in noi. No, noi ci allontaniamo, cioè noi siamo un’acqua di una sorgente che continuamente si separa dalla sorgente, e separandosi dalla sorgente, si perde nel deserto, si perde nella sabbia, ecc. e ad un certo momento l’acqua non c'è più. Ecco, bisogna avere quella costanza di riportarci sempre continuamente alla sorgente. Il nostro fiume è un fiume che cresce nella misura in cui attinge sempre alla Sorgente.

Nino: È una fatica.

Luigi: Si, è una fatica, e il Signore dice: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta” e la porta è stretta in quanto richiede a noi questo impegno continuo di superamento delle cose che vediamo; perché non è fatica ad esempio ad abbandonarci alle cose che vediamo; li a noi sembra di riposare; invece il superamento del pensiero dell’io richiede fatica, sforzo che ad un certo punto invece diventa vita, diventa liberazione; ma ad un certo punto perché in un primo momento è fatica.

Nino: Questo è l’uomo nuovo.

Luigi: Questo è l’uomo nuovo, è l’uomo interiore, che è questo amore che continuamente si preoccupa di ricollegarsi sempre con la Sorgente, di non dimenticare mai Dio. Quindi tutte le cose che avvengono le riporta sempre a Dio, per cercare di capire che cosa significano in Dio. Ecco, è li che la gloria di Dio cresce in noi, perché tutto quello che noi riportiamo a Dio fa crescere, nella misura in cui la portiamo, in noi la gloria di Dio, la conoscenza di Dio, quindi diventa luce per noi; quella luce che è vira, perché in principio “la vita era la luce degli uomini”, poi gli uomini hanno cercato la vita in altre cose e non sono diventati uomini esteriori, cioè hanno cercato la vita nel lavorare, nel guadagnare, e allora abbiamo avuto l’uomo esteriore: hanno dimenticato che la vita era la luce.

Teresa: Più ci avviciniamo a Lui, più ci meravigliamo delle sue opere.

Luigi: La meraviglia viene dopo: man mano che conosciamo le opere di Dio, le cose di Dio, i significati di Dio, allora ci meravigliamo, scopriamo la sua bontà, il suo Amore, la sua Bellezza, la sua Sapienza, ecc.

Teresa: E quello è un entrare nella gloria?

Luigi: Quello è un effetto della gloria, la gloria è conoscenza. La gloria conclude con la conoscenza della sua Presenza in tutto, del Padre e del Figlio. La meraviglia viene dopo; la meraviglia è un effetto: “Guarda, io non sapevo che …”, ecco, hai visto, adesso ti meravigli ad esempio del grande amore che Lui ha avuto per te, perché Lui ti ha pensato ad esempio, da miliardi di anni, prima che tu nascessi, Lui già pensava a te.

E allora quando mi si dice questo, mi meraviglio dell’opera di Dio. Lui ci ama prima che noi lo amiamo: un’altra meraviglia, perché noi generalmente amiamo in quanto siamo amati; Dio invece ci ama prima che noi rispondiamo. Pensa a noi prima che noi pensiamo. Ecco, man mano che scopriamo queste cose ci meravigliamo della bontà di Dio, dell’Amore di Dio, della Misericordia di Dio, della grandezza di Dio, dell’Infinito di Dio: questo ci meraviglia perché è infinitamente superiore a noi; ma la meraviglia nasce in quanto io vedo qualche cosa. Tu ti affacci dal balcone, vedi il sole che sorge e dici: “Che meraviglia!”; lo vedi, allora ti meravigli, ma non ti meravigli prima di vederlo. Ecco, la meraviglia è una conseguenza. Ora, per arrivare a vedere, bisogna prima credere. Credendo, si raccoglie in Dio, si porta a Dio; riportando a Dio si vede, e allora ci si meraviglia. Comunque l’uomo interiore cresce in questo lavoro di conoscenza, che si conclude con la scoperta della gloria di Dio.

Ma conosciamo la gloria di Dio nella misura in cui riportiamo a Lui, perché Lui tutte le cose le fa, ce le manda, affinché noi le riportiamo a Lui. Ecco, Lui ci mette un dono nelle mani, e poi ci dice: “Adesso portalo a Me, perché se tu lo riporti a Me, io ti faccio scoprire qualcosa di nuovo”. Ecco, noi questo dono possiamo trattenercelo nelle mani, ad allora abbiamo l’uomo esteriore, e Dio ad un certo momento ci distrugge il dono: “Hai sbagliato tutto, non hai capito che questo dono io te l’ho dato perché tu alzassi gli occhi a me, guardassi il donatore. Tu ti sei fermato al dono!”. Ecco l’errore: nella maggior parte della nostra vita noi sciupiamo tutti i nostri giorni, perché tutti i giorni Dio ci mette i doni nelle nostre mani e noi li tratteniamo e non li riportiamo a Lui.

Rina Ma non basta dire: “Grazie che me li hai mandati!”.

Luigi: Si, grazie è una cosa, ma non basta. Non basta se usiamo per noi i doni e non cerchiamo di capire. Dobbiamo riportarli a Dio. Il dono suo è una lettera chiusa, che Lui solo però apre, che Lui solo può aprire. Nella lettera c'è un messaggio per noi, un messaggio di Lui in cui rivela qualcosa di sé. Noi riceviamo la lettera, ci fermiamo al vederla: “Oh, guarda che bella lettera!”; la lettera è chiusa. “Guarda che bella busta!”, magari ci può servire, ci scriverò sopra le mie annotazioni…”, ma non abbiamo capito niente: la lettera era chiusa, dovevo riportarla a Lui perché Lui me la aprisse e mi facesse leggere e capire quello che c'era dentro in Lui mi parlava di Sé, mi rivelava qualcosa di Sé. Io invece prendo il dono, cioè la busta chiusa, l’adopero magari per fare le mie annotazioni, l’adopero per quello che mi può servire, e non capisco che c'è una lettera dentro.

Eligio: Rivela una mancanza di amore, perché se amo una persona desidero conoscere quello che mi dice.

Luigi: È logico, ma il fatto è questo: che in noi prevale il pensiero del nostro io e questo ci impedisce di amare.

Rina O siamo appassionati di Dio e allora superiamo l’io.

Luigi: Ma per essere appassionati di Dio io debbo già averlo conosciuto; ecco, per cui ritorniamo all’atto di giustizia iniziale: per giustizia io debbo riferire, riportare tutto a Dio, ogni cosa a Dio, perché non sono io il Creatore. Ecco, è Dio che va messo come punto fisso di riferimento. È Lui il Creatore, quindi non debbo fermare le cose al mio io, non fare del mio io il punto fisso di riferimento. No, il mio io è una creatura, quindi per giustizia io debbo andare al di là del pensiero di me stesso. Ogni cosa che mi viene da Dio, deve essere riportata a Dio. ogni cosa, essendo fatta da Dio, ha qualcosa di bello, di buono, di vero, quindi naturalmente, arrivando a me, nel pensiero del mio io, dà una certa soddisfazione di bellezza, di bontà, di verità, e noi generalmente ci fermiamo a questa soddisfazione dell’io, cioè alla sensazione di piacere, di gioia, di pace, di tranquillità, che abbiamo ricevendo qualcosa da Dio e ci fermiamo all’io. E invece dobbiamo andare oltre. É certo che le cose che arrivano da Dio hanno qualcosa di buono, perché sono opere di DIo; però non dobbiamo fermarci alla sensazione che il mio io riceve, al sentimento che provo a contatto con le creature di Dio, ma debbo andare oltre, per giustizia. Tutto è bello, tutto è buono, però non debbo sostare nei miei sentimenti.

Nino: Ricordo un paesaggio lunare sul mare, stupendo, che mi ha riempito l’anima.

Luigi: Ma questo non basta, perché questo è sentimento; soddisfa l’io. Certo che le cose belle soddisfano l’anima: sono doni di Dio e sono tutti belli.

Nino: Però una scena del genere ci fa capire che Dio provvede a tutto, fuori di noi e in noi, e ci ama.

Eligio: Però vanno superate queste emozioni: ecco il momento arido della giustizia, del riportare a Dio, perché se mi fermo al sentimento, mi fermo all’io.

Nino: Comunque ritornando al discorso di prima, sul discorso del fare, penso che il fare le opere buone prima della conoscenza di Dio, ce ne fa reclamare il merito: fatte invece dopo la conoscenza di Dio, mossi da Dio, diciamo: “Siamo servi inutili”.

Luigi: Perché è Dio che le ha fatte.

Cina: Io penso che siamo creati per far nascere in noi questo uomo interiore.

Luigi: Si, noi siamo creati per la gloria di Dio, ed è l’uomo interiore che arriva a questa gloria di Dio.

Cina: Il brutto è che ci troviamo con il piede in due scarpe, e questo ci tiene fermi.

Luigi: Certo, quando seguiamo il sentimento.

Nino: Il …. Chiaro di luna e la giustizia interiore.

Ines: È difficile però.

Teresa: È un vero pericolo quello di fermarci alle cose dicendo grazie anche del denaro, senza porci altri problemi.

Luigi: Tutto invece va trasceso.

Pinuccia: Ma dicendo grazie non si trascende già? Cioè non si fa già la giustizia? Perché si riconosce che quella cosa bella arriva da Lui.

Luigi: Si, indubbiamente bisogna farlo; bisogna accettare tutto da Dio. È il fondamento, perché se non accetto da Dio, dico: “Guarda qui la natura che belle cose fa eppure guarda gli uomini cosa sono capaci di fare!” e quindi sono fuori.

Il fondamento è questo: tutto viene a noi da Dio, quindi dobbiamo accettare tutto da Dio, tutto dalle mani di Dio e ringraziare. Questo per prima cosa, è logico, ma non basta. Debbo chiedermi: perché Dio fa questo? Mica per giocare, ma per farsi conoscere. E allora che cosa Dio mi significa di Sé attraverso questo? Che cosa mi dice di Sé? Debbo cercare che cosa Dio mi dice, mi vuol significare, mi vuole rivelare di Sé.

Nino: Mentre ammiravo quello spettacolo lunare, pensavo che noi stentiamo a riconoscere l’opera di Dio in tutto, mentre Lui ci ha dato una casa cosi perfetta, insieme a infiniti altri doni.

Luigi: Ma noi non sappiamo riconoscerli. Tutt’al più godiamo di una bellezza, al livello sentimentale. Tu non ti sei fermato alla cosa bella, avevi presente il pensiero di Dio, mica è stato male, è logico. Ma se tu adesso facessi consistere la tua vita in: “Là ci sono dei bei spettacoli, adesso vado a vivere là per vederli!”, andresti fuori dal cammino. Le cose sono belle, però non possiamo vivere per le cose. Noi dobbiamo accettare tutto da Dio man mano che camminiamo, vedere e ringraziare Dio per tutto quello che ci dà, ma dobbiamo capire il senso delle cose che Lui fa, perché noi corriamo sempre il rischio: abbiamo mangiato un cibo e diciamo: “Oh, che buono! Ora ne compro un chilo cosi tutti i giorni mangerò questo!”, cosi ti rovini completamente. Dobbiamo accogliere tutti i doni da Dio man mano che vengono, ma non pretenderli e non vivere per quelli. La Persona del Donatore vale più dei doni, per cui: non voglio saperne dei doni per quanto belli e buoni, non li guardo nemmeno, non voglio nemmeno toccarli, se non vedo la Presenza del Donatore, di Colui che sta parlando con me, se non vedo l’intenzione che Lui ha nel farmi questi doni (se tutto è Parola di Dio, come posso ascoltare la Parola se non ho presente Colui che mi parla?). Se no, immediatamente corriamo il rischio. Quando vediamo una cosa bella, diciamo: “Adesso questa voglio possederla”. E come ne vediamo un’altra, pure, e noi cominciamo a vivere per le cose. L’uomo esteriore comincia a lavorare, perché: “Questo è bello, quell’altro è buono, quindi lo voglio, ne faccio una provvista…”: è finito!

Teresa: Se bastasse solo ringraziare ci ciò che si riceve… quanti ringraziano il Signore per l’intelligenza e il lavoro e quindi dei molti soldi che sono riusciti a guadagnare.

Luigi: È tutto sbagliato. L’uomo che nasce ricco, che nasce re: “DIo mi ha fatto ricco, Dio mi ha fatto re…”; ci fermiamo li e non capiamo il significato di quello che Dio ha fatto e dato: è tutto li l’errore. Certo, Dio ci manda anche le cose belle e noi dobbiamo e noi dobbiamo anche accettare le cose belle, riconoscerle come date da Lui e sempre riferirle a Lui, ma non dobbiamo vivere per quelle. Non dobbiamo fermarci ad esse.

Nino: Non solo ci dona cose belle, ma a volte ci combina Lui gli incontri, come mi è successo stamattina: avevo capito, pensando a Dio, che dovevo incontrarmi con una persona per alcune chiarificazioni e improvvisamente ma la trovo di fianco, a Messa.

 Luigi: Dio parla sempre con noi! Se fossimo attenti, ci accorgeremmo che Lui continuamente sta parlando ai nostri stessi pensieri! È che noi ci dimentichiamo di Dio: è li il fatto; altrimenti Dio è Colui che continuamente opera tra noi e parla con noi, personalmente! E cosa vuol dire personalmente? Che tiene presente i nostri pensieri, i nostri desideri! Dialoga con noi! Dialoga molte volte per dirci ad esempio: “Stai sbagliando tutto!”, però ci tratta sempre personalmente. Se noi avessimo presente Lui, continuamente avremmo le sorprese, ci accorgeremmo continuamente di essere pensati, perché Lui sta parlando con noi personalmente, con ognuno di noi, quindi con le nostre intenzioni, con i nostri desideri, le nostre passioni, tutto.

Pinuccia:  E produce esteriormente le cose che sono in relazione con i nostri pensieri.

Luigi: Si capisce, Lui le produce, poi magari manda Nino va chiedere a quel tale: “Perché sei venuto qui?” e l’altro: “Perché io dieci giorni fa avevo già deciso”, quando ancora Nino ancora non pensava ad avere quel colloquio. Tutte le cose sono giustificate: Lui ce le produce immediatamente perché tiene presente i nostri pensieri, però se andiamo a fondo le vediamo tutte collegate e ad un certo momento scopriamo che da millenni quell’evento maturava.


E come potete credere voi che mendicate la gloria gli uni gli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Gv 5 Vs 44 Quarto tema.


Titolo: La disoccupazione spirituale (I)

Argomenti: Assolutizzare. Il lavoro in proprio interiore. L’uomo interiore vive nella misura in cui riporta nel Principio le parole che vengono dal Principio. Le offerte di lavoro di Dio. Il lavoro con Dio è l’unico lavoro essenziale. Attenzione, vuol dire disposizione ad accogliere Colui che mi sta parlando. Si parte dalla sua Parola per arrivare al suo Pensiero. Il Vangelo è il sillabario.


 

20/Maggio/1979


Introduzione:

Eligio: Su quali elementi Gesù accusa i Giudei di accogliere la testimonianza di un altro (“Se venisse un altro voi lo accogliereste”)? Non è che loro rifiutando la testimonianza di Gesù abbiano accettato la testimonianza di un estraneo, almeno in queste pagine non si vede un fatto del genere.

Luigi: Penso che il linguaggio di Gesù non sia per i Giudei, ma sia per ogni uomo. Quando l’uomo rifiuta la testimonianza del Verbo di Dio, è aperto alla testimonianza degli uomini, necessariamente. Come quando non si cerca la gloria che viene da Dio necessariamente si elemosina la gloria degli uomini, non se ne può fare a meno.

Eligio: Quindi una situazione di scetticismo totale (cioè di colui che non crede né alla testimonianza di Dio né quella degli uomini) non è concepibile per Gesù?

Luigi: Non esiste lo scettico assoluto, no; l’ateo in assoluto non esiste:

-esiste l’uomo che scambia la materia al posto di Dio, ritiene che l’assoluto sia la materia, l’uomo, la natura;

-ed esiste l’uomo che ritiene che l’Assoluto sia Dio, lo Spirito.

Noi possiamo soltanto passare da un assoluto all’altro: non possiamo esistere senza fede, perché noi siamo in quanto ci appoggiamo a “qualcosa di altro da noi”, e questo “qualcosa” può essere l’uomo, la creatura, può essere la pietra, la materia, può essere il denaro e può essere lo Spirito. Ma ateismo nel senso pieno, cioè fede in niente, non esiste.

Eligio: C'è una corrente filosofica che usa come metodo il dubbio sistematico, per cui non accetta nessuna testimonianza.

Luigi: Si, come pensiero, ma poi all’atto pratico si fiderà magari del mangiare, del denaro e di altro;

-         una cosa è la logica che l’uomo magari fa, che adopera come atteggiamento di pensiero, 

-         una cosa è la pratica, perché all’atto pratico si deve fidare di qualcosa, altrimenti non può stare.

L’uomo non può esistere senza far conto su “qualcosa”: farà conto sul sole, sulla luna, farà conto sulle stelle, comunque fa conto su “qualcosa”. E noi facendo conto su “qualcosa”, scambiando quelle cose per “verità”, le riteniamo vere. Come ci stacchiamo da Dio, dalla Verità spirituale, non possiamo fare a meno di scambiare per verità assoluta, quindi come idolo, il denaro, la materia, l’uomo, la casa, la carriera.

Le scambiamo per verità assolute, quindi le mettiamo al posto di Dio, non possiamo considerarle come verità relative, perché noi siamo fatti per l’Assoluto e qualunque cosa tocchiamo, lo facciamo diventare per noi, assoluto.

Soltanto se in noi abbiamo come punto fisso di riferimento, quindi come Assoluto, Dio, e cerchiamo la gloria di Dio, quindi riferiamo tutto a Dio, unifichiamo tutto in Dio, allora possiamo effettivamente mantenerci nel relativo delle cose.

Le cose sono relative, le creature sono relative, gli uomini sono relativi, l’Assoluto è Dio.

Questo vale in quanto continuamente riferiamo ogni cosa a Dio. 

Ma il punto di riferimento è Dio.

Se non ho Dio come punto fisso di riferimento, ho un altro punto fisso di riferimento.

Faccio sempre riferimento ad un punto fisso, non posso farne a meno, perché l’uomo è fatto per l’Assoluto, e quindi scambia per assoluto qualunque cosa egli tocchi e guardi.

Nino: Penso che staccati da Dio arriviamo ad avere non solo uno, ma parecchi punti di riferimento.

Luigi: Certo, ed è li che succede la tragedia, perché noi, siccome abbiamo ritenuto assoluto quello che non era assoluto, quando questo ci viene a mancare, per noi è la fine di tutto, perché da soli non stiamo su, non possiamo stare su.

Nino: E vediamo ad esempio che il materialista diventa superstizioso.

Luigi: Per forza, non ne può fare a meno. Noi siamo fatti per l’Assoluto. Il nostro cuore è fatto per Dio. L’errore che facciamo noi è che noi non cerchiamo Dio dove è; lo cerchiamo altrove, là dove Dio non è. Cioè io cerco l’Assoluto dove l’Assoluto non può esserci.

Nino: Noi assolutizziamo qualcosa, ma non vogliamo ammetterlo.

Luigi: Uno dei segni più evidenti del nostro destino che noi siamo stati creati per Dio, è proprio questo: che noi assolutizziamo.

Tutti gli errori della nostra vita derivano da questo fatto: che noi assolutizziamo ciò che è relativo. Ed allora ad esempio tutta la nostra fatica, tutto il nostro lavorare, le scienze, ecc., sono un bisogno, una ricerca di assolutizzare quello che è relativo.

Se noi fossimo capaci di restare soltanto in quei limiti in cui la cosa si presenta, saremmo a posto. Incomincio a guadagnare denaro? Voglio guadagnare all’infinito; incomincio a conoscere una legge della natura? Voglio estendere questa legge all’infinito; amo una creatura? voglio che questa creatura sia assoluta come Dio, perfetta come Dio, buona come Dio, giusta come Dio.

Ecco, noi pretendiamo l’assoluto da ciò che assoluto non è e allora ci sobbarchiamo ad un’infinità di fatiche e tribolazioni fino alla morte.

Ora, tutta questa tribolazione di cui noi ci carichiamo è una conseguenza del fatto che assoluto non è.

Se noi riuscissimo ad amare le cose, le creature, soltanto per quello che sono, per la loro relatività, vivremmo molto liberi, molto gioiosi; perché tutta la nostra tribolazione sta li, nel pretendere dalle creature quello che le creature non possono darci perché non lo sono.

Se io dal denaro pretendo l’assoluto, il denaro ad un certo momento mi dice: “Io non sono assoluto, non posso quindi rispondere alle tue esigenze”.

Nino: È attraverso la delusione che ci viene dai nostri idoli che incominciamo a cercare veramente ciò che è Assoluto.

Luigi: Noi viviamo di utopie: anche questi avvenimenti sociali sono tutti fondati su utopie, perché scambiano per assoluto quello che assoluto non è e non può essere e non possono far altro che arrivare al fallimento.

Ad un certo momento tu vedi che debbono distruggere l’uomo (e l’abbiamo visto in Vietnam e in Cambogia) per affermare l’assoluto.

Tu arrivi alla negazione della vita proprio per affermare una cosa che ritieni assoluta: vuol dire che la cosa è veramente utopica, perché là dove tu trovi il vero valore, nel vero valore tu trovi la valorizzazione dell’uomo, la valorizzazione della vita, il potenziamento. Ma se tu, per affermare una cosa, distruggi l’uomo, soffochi l’uomo, gli impedisci di realizzarsi, questo vuol dire che il valore è utopico.

Nino: E costoro sono convinti che chi crede in Dio è nell’utopia.

Luigi: Certo, perché per loro è verità assoluta ciò che sostengono.

Eligio: Chi è con Dio può capire loro, ma loro non riescono a capire chi è con Dio.

Luigi: No, non possono.

Nino: Uno riesce a comprendere tutto, l’altro no.

Luigi: Cosi Dio riesce a comprendere tutti i nostri errori, ma noi i nostri errori non li possiamo vedere.

Eligio: Ogni creatura di Dio ha in sé una parte di verità perché fatta da Dio, ma questa parte di verità la possiamo cogliere solo guardando questa creatura da Dio.

Luigi: Si, bisogna rapportarla a DIo; soltanto rapportandola a Dio si può vedere la verità. È Dio che illumina e ci fa vedere la significazione di Sé nel fatto, nella creatura, nella cosa: allora cogliamo il vero aspetto delle cose. Se noi non riferiamo a Dio, non riportiamo a Dio la cosa, l’avvenimento, la sua parola, questo immediatamente per noi acquista una deformazione di assoluto, per cui noi lo sostituiamo a DIo: l’idolo si forma cosi.

Tutte le cose sono buone, tutte, anche il pensiero del nostro io è buono, tutto è buono, perché tutto è creatura di DIo: il tempo, il denaro, tutto è buono. Ma tutto è buono in quanto è rapportato a DIo; cioè Dio è un Essere che non possiamo mai dimenticare, in niente.

Se noi lo dimentichiamo, immediatamente quello a cui noi guardiamo diventa per noi dio.

Per cui non possiamo non cadere schiavi delle cose, e veramente solo Dio ci libera. Ecco perché se noi non cerchiamo la gloria di Dio, necessariamente dobbiamo cercare la gloria degli uomini; necessariamente, non possiamo farne a meno.

Soltanto che, cercando la gloria degli uomini, succede questo: che noi facciamo crescere, il guscio del frutto, la scorza, e l’uomo interiore resta sempre più soffocato. Il processo di vecchiaia è ingrossamento, un ispessimento delle membrane che crescono fino a soffocare i nuclei. E cosi è lo stesso: noi cercando la gloria degli uomini facciamo crescere l’uomo esteriore, quindi la nostra corteccia, il guscio, tutto a detrimento dell’uomo interiore.

Perché l’uomo esteriore cresce cercando l’apparenza, cercando la figura; mentre chi dà a noi l’essere è l’Essere assoluto, è soltanto Dio.

Tutte le opere di Dio, che sono segni di Dio, non possono dare a noi l’essere; danno a noi soltanto il segno, cioè l’apparenza, la figura.

Se noi cerchiamo la figura, (e questo lo sappiamo per esperienza), per quanto ci carichiamo di figura, questo non modifica quello che noi siamo. Io mi posso vestire da miliardario, ma se sono un povero diavolo, continuerò ad essere un povero diavolo vestito da miliardario.

Non è quello che sembra che modifica il mio essere. Chi modifica veramente il mio essere è soltanto l’Essere, quindi non sono le creature.

Le creature chiedono a noi e danno a noi soltanto la possibilità di apparire, di sembrare: salviamo la faccia, ma questo non modifica il nostro essere e noi continuiamo ad essere quello che siamo: se sono un villano, per quanta vernice io mi metta addosso, continuo ad essere villano; chi mi dà la possibilità di non essere più villano e di cambiare quello che sono è la gloria di Dio, cioè è Dio, Dio è l’Essere.

Più noi ci occupiamo di Dio, ci interessiamo di Dio, Dio allora modifica veramente il nostro essere.

Più noi trascuriamo Dio per curare la nostra figura davanti le creature e più noi aumentiamo soltanto la figura e il nostro essere sarà sempre lo stesso: alla conclusione noi ritroviamo di nuovo quell’Essere che era in principio, non modificato per niente, perché non è che il nostro essere, quello che noi siamo lo possiamo aumentare o diminuire di per sé, o perdere.

Noi non lo possiamo né aumentare, né diminuire, né perdere, perché il nostro essere, quello che viene da Dio.

Più noi cerchiamo Dio e più questo essere si modifica e grandeggia nella misura in cui partecipa della conoscenza della gloria di DIo; se noi non cerchiamo Dio, questo essere resta tale quale.

Eligio: Non pensi che subisca una diminuzione, guardando alle creature anziché a Dio?

Luigi: Si, una diminuzione, non annullamento, perché  quello che è essere, quello che è, è:  è seme, cioè ridotto ai minimi termini, è creatura che è tutto - bisogno dell’Essere, tutto -  bisogno di Dio. Questa creatura, con questa fame, con questo bisogno, noi non la possiamo assolutamente annullare; noi pensiamo si coprirla con tanto sembrare, con tanta figura, con tante apparenze, ma all’ultimo noi ritroviamo sempre questa: tutto il resto è servito a niente. E allora cosa succede? Che più noi cerchiamo la figura, l’apparenza, e più noi diventiamo veramente poveri del vero essere dentro di noi, perché il nostro essere interiore si arricchisce soltanto con Dio.

Più noi ci riempiamo di altro, più accumuliamo altro e più allora diventiamo veramente mendicanti, perché noi andiamo a mendicare dalle creature quello che dovremmo cercare da DIo: come ci volgiamo alle creature, chiediamo, cerchiamo da loro quello che Dio solo ci può dare, cioè l’essere.

Ma siccome le creature non ci possono dare questo, allora noi abbiamo un impoverimento progressivo e quindi la mendicità.

Se ci rivolgiamo a Dio, Dio ci nobilita; anche se siamo poveri, Dio ci nobilita. Invece le creature non ci nobilitano, anzi ci rendono mendiche, tant’è vero che rivolgendoci ad esse dobbiamo fare delle cose che sono contro la nostra coscienza: si crea in noi questa frattura che ci offende.

Con Dio abbiamo Colui che esalta la nostra coscienza, esalta quei valori, quelle convinzioni che abbiamo dentro; invece se cerco la figura, l’apparenza verso le creature, io debbo entrare in conflitto con i valori autentici che porto, cioè divento sempre meno autentico; il mondo non mi fa diventare autentico, ma doppio.

D’altronde non mi chiede mica l’autenticità il mondo, il mondo mi chiede soltanto un certo servizio, una certa strumentalizzazione, chiede soltanto che io lo serva in certi modi, mi chiede l’apparire.

Ora questo è tutto un conflitto con quel po’ di autenticità che uno porta dentro di sé, per cui uno si sente terribilmente offeso servendo il mondo; mentre invece servendo Dio uno si sente infinitamente nobilitato, compreso.

Nel mondo noi non potremmo mai assolutamente essere compresi. Da Dio invece siamo compresi, perché Dio esalta la nostra parte autentica, che viene da Lui. Quindi Lui la esalta; il mondo invece la comprime e la soffoca.

Eligio: Siamo solo presi e quindi subiamo una lacerazione.

Luigi: Certo, e allora in questo senso penso ci sia la diminuzione di essere, in quanto in noi c'è un aumento di offesa tra quello che siamo, che abbiamo ricevuto da Dio, e quello schiacciamento del sembrare che arreca in noi quell’offesa, perché dobbiamo duplicarci, per cui io sento in un modo, però debbo recitare in un altro modo. La mia vita diventa recitazione; è come se noi ci mettessimo una maschera e questa maschera si appiccicasse al volto in modo da impedirci di esprimere il nostro volto. Dobbiamo recitare con questa maschera, vivere con questa maschera.

Con il mondo noi ci mettiamo una maschera: non possiamo farne a meno. Ecco allora “L’uomo che ride” di Victor Hugo: dentro piange, ma deve ridere, non può farne a meno, ha la maschera del riso. Qui abbiamo la vera diminuzione; uno si sente offeso, perché non è riconosciuto; è convinto di una cosa, ma deve farne un’altra, in nome del partito, in nome della convenienza, in nome del direttore, in nome del guadagno, deve recitare. È quello che maggiormente offende la nostra vita  e fa sentire tutta la nostra miseria: ecco la mendicità. Mentre invece con Dio noi abbiamo una liberazione progressiva, quindi un’esaltazione di quello che veramente noi portiamo in noi di più autentico.

Rina Non tutti i rapporti umani hanno questo aspetto negativo, perché qualche volta ne usciamo addirittura arricchiti.

Luigi: L’arricchimento ci viene in quanto noi dal mondo riceviamo delle testimonianze di Dio. Quindi se dal mondo noi riceviamo aiuti per sviluppare questo fatto autentico che portiamo dentro di noi, cioè questo bisogno di Dio, allora abbiamo l’arricchimento. Ma l’arricchimento c'è in quanto dalle creature riceviamo la testimonianza di Dio. La creatura che porta Dio in sé, indubbiamente mi ammonisce: “Non vivere per le cose che passano”, e questo mi arricchisce. Il Cristo come uomo che porta a noi Dio, è un arricchimento, però in questo caso si presuppone sempre in noi che ci sia il Pensiero di Dio, che ci sia la fede in Dio, altrimenti non si può credere. Se noi cerchiamo la gloria degli uomini, qui Gesù lo dice chiaro: “Non potete credere”.

Il principio della fede è interesse per la Verità di Dio.

Della fede avevamo parlato parlando della gloria, quando avevamo detto che la fede è un campione di gloria di Dio che arriva a noi per farci desiderare la merce completa, cioè la gloria di Dio.

Ma se noi invece cerchiamo altra gloria, la gloria nostra, noi non possiamo credere, non abbiamo in noi la fede: quella fede che abbiamo è recitazione, ma non è fede; diventa una recitazione di fede.

Allora si, noi possiamo pensare a noi stessi, cercare la nostra gloria, la nostra figura, vivere per la nostra figura nel mondo, e andare in Chiesa, ritenere di credere, di essere fedeli, partecipare ai Sacramenti, ecc. ma è tutta soltanto una fede recitata: non è questa la fede.

La fede è desiderio della gloria di Dio, quindi la fede è risveglio in noi dell’interesse per Dio, per la gloria di Dio, per conoscere Dio.

Se in noi la fede non è questo, non è fede.

Eligio: Si, la fede è sostanza delle cose sperate.

Luigi: Si, è un campione di quella merce sperata, di quella realtà che Dio ci promette, se noi ci interessiamo al campione.

Quindi Lui ci manda il campione affinché noi osservandola diciamo: “Questo mi interessa! Adesso voglio arrivare ad avere la merce!”.

Ma se invece io ho il pensiero del mio io al centro, il campione non mi interessa, non mi può interessare, perché quel campione li mi parla della gloria di Dio, non della gloria di me stesso.

Allora se viene un uomo che mi parla e mi offre un mezzo per aumentare un gradino la mia gloria, questo lo accolgo a casa mia, perché vedo attraverso lui, la soddisfazione della mia gloria, penso a me stesso.

Ma qui sono completamente all’opposto della fede, non posso credere, (“..come potete credere voi..”). Non potete credere! Perché la condizione per avere la fede è questa apertura a Dio, è questo interesse per Dio.

Ma se io ho interesse per me stesso, apro la porta soltanto a quelli che esaltano me stesso; forse poi mi deluderanno, mi inganneranno, però si presentano a me come messaggeri della mia gloria, per cui dicono: “Guarda che se tu accetti il mio patto, tu aumenterai di un gradino nella figura davanti al mondo”. E siccome la figura davanti al mondo è una cosa che mi interessa, allora ecco perché: “Se qualcuno viene in nome suo lo accetto!”.  Per cui se in noi non c'è interesse per Dio, noi apriamo le porte a tutte le creature, perché nelle creature noi vediamo il nostro io, quindi vediamo la possibilità di soddisfare il nostro io, quindi vediamo la possibilità di soddisfare il nostro io, la passione del nostro io.

Con Dio invece non vediamo la possibilità di soddisfare il nostro io, ecco perché non possiamo aprirci alla fede.

Nino: Sono due mete diverse, quindi non possiamo..

Luigi: Non possiamo servire due padroni. Nel Vangelo di Matteo la cosa è descritta cosi: “Voi non potete servire a due padroni”. Pretendere quindi di cercare la nostra gloria e credere, vorrebbe dire servite due padroni: non è possibile.

Pinuccia: Si perché in sostanza, il cercare la gloria in qualsiasi cosa, sarebbe sempre cercare un Assoluto dove non è. L’Assoluto è Uno solo.

Luigi: Certo, è logico.

Rina Però tutto è buono … quindi anche la carriera.

Luigi: Tutto è buono in rapporto a Dio, cioè rapportato a Dio. Ma non detto a parole, cosi: “Io ci metto l’etichetta di Dio e poi faccio la mia carriera!”. No!

Dio è fine e in quanto fine, va posto come fine: cioè deve essere il pensiero principale di ogni nostro giorno, altrimenti noi interiormente siamo disoccupati (e questo sarà l’argomento della prossima domenica).

Noi interiormente dobbiamo essere ogni giorno, quotidianamente, occupati; dobbiamo avere il nostro uomo interiore occupato.

Noi ci preoccupiamo di avere un posto fisso di lavoro esteriore: questo è l’uomo esteriore!

E non ci preoccupiamo invece il lavoro fisso dentro; noi siamo sempre dei disoccupati! È li tutta la tragedia!

Abbiamo visto cosa vuol dire un uomo disoccupato, che finisce di vivere di menzogne, di cadere schiavo dei vizi, e non può farne a meno. Questo è segno soltanto di una nostra disoccupazione interiore, e la nostra disoccupazione interiore non può fare a meno di farci cadere schiavi della menzogna, dei vizi, ecc., non può farne a meno, perché è la stanza vuota che necessariamente non può resistere alla pressione dei demoni e sarà invasa dai sette demoni. Ora, una delle cose più importanti è proprio trovare questa occupazione interiore.

Sempre, ogni istante, noi dobbiamo avere un’occupazione.

La preghiera “… dacci oggi il nostro pane quotidiano”, io la tradurrei: “.. dacci oggi il nostro lavoro, la nostra occupazione”.

“Perché state tutto il giorno a fare niente?”. Ve ne state tutto il giorno a fare niente?

Il Signore, mentre noi magari sudiamo dalla mattina alla sera, forse ci rimprovera, perché il nostro uomo interiore è disoccupato dalla mattina alla sera.

Oppure c'è chi ha il lavoro saltuario, di tanto in tanto trova un po’ di lavoro, ma è lavoro saltuario. Invece no, bisogna trovare il lavoro fisso, a tempo pieno.

Nino: Noi siamo tutti lavoratori occasionali.

Luigi: I dipendenti hanno un lavoro fisso, ma a ore, e invece il proprietario generalmente è full – time, cioè ha un lavoro a tempo pieno, perché anche quando è fuori dal suo lavoro, continua a pensare. Questo è un segno molto importante: soltanto se noi siamo proprietari, abbiamo veramente un impiego a tempo pieno, cioè qualche cosa che ci impiega, perché ci sta a cuore. Il pastore che provvede alle pecore, ha il pensiero verso le pecore impiegate a tempo pieno: pensa sempre a quello. Quindi dobbiamo ritenerci non soltanto a servizio di, salariati, pagati, impiegati per la paga, per lo stipendio.

Pinuccia: Ma lavorare come figli.

Luigi: Ecco, con amore, amore che partecipa, che fa sua la cosa. Ora, se noi facciamo nostro Dio, direi, l’azienda diventa nostra, e allora ci sta veramente a cuore.

Ecco, Dio dovrebbe starci a cuore come ci sta a cuore quello che è nostro, l’azienda nostra. Allora quello ci impegna a tempo pieno.

Nino: È che Dio è difficile come argomento, come occupazione, perché quelle poche volte che ho del tempo libero, una giornata libera, dico: e adesso da dove incomincio?

Luigi: Vedi che ti senti disoccupato?

Eligio: Si, mi sento disoccupato.

Luigi: Ti senti disoccupato! È li il problema: che noi ci sentiamo disoccupati. Vedi? E allora andiamo a cercare, a bussare alla porta dell’uno, dell’altro, ecc.: “Dammi un po’ di lavoro! Dammi un po’ di lavoro! Perché oggi non ho niente da fare”.

E invece il Signore è Uno che viene a darci del lavoro.

Pensa all’intimità di pensiero che Lui distribuisce! Però Dio parlando ci impegna. Le sue parole sono un’offerta di lavoro! È un’offerta di gloria! Ora, quando abbiamo parlato di come vive l’uomo interiore, abbiamo detto che l’uomo interiore vive nella misura in cui continuamente ritorna al Principio, riporta nel Principio tutte le parole che vengono dal Principio.

Tutte le parole di Dio che vengono a noi sono offerte di lavoro di Dio per darci la possibilità di arrivare a scoprire qualcosa della sua gloria (ecco il vero pane).

Però noi senza il nostro lavoro personale non possiamo arrivare a scoprire qualcosa della sua gloria; per cui tutte le offerte di lavoro arrivano a noi, ma noi non vediamo questa offerta di lavoro!

Teresa: Noi chiediamo a Lui il pane quotidiano, sappiamo che Lui ci vuole impegnare, ma nello stesso tempo se vogliamo mangiare andiamo a cercare il lavoro dagli altri e lo chiediamo a Lui!

Eligio: Facciamo nei confronti di Dio come quel tale che diceva al padrone: “Vero che non c'è lavoro oggi?”.

Teresa: Gli chiediamo il pane e poi andiamo a cercarlo da altri.

Luigi: Già. Perché il vero pane, nella versione di San Luca, è il pane sostanziale, soprasostanziale. Ma questo pane soprasostanziale è la sua Parola che ci impiega a lavorare, che ci offre lavoro; è pensiero che ci invita ad occuparci in -: “Ecco, oggi il tuo pane è questo! Datti da fare!”.

“Ti guadagnerai il tuo pane con il sudore della fronte!”.

Ecco, vedi il lavoro: non è il lavoro materiale, è questo lavoro: perché poi, abbiamo detto diverse volte, in un’altra parte il Signore dice: “Non affaticarti per il pane che passa! Cerca il pane che non passa!”; e qui siamo nel campo del pensiero, cioè il pane che non passa, cioè quel pensiero che ti porta alla vita eterna.

Allora, quando preghiamo il Signore: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, cosa chiediamo? Se il Signore si preoccupa di dirci: “Non preoccuparti del mangiare materiale, preoccupati invece del Regno di Dio, preoccupati del pane che non passa” e ci dice ancora: “Quando preghi, di: dà a noi il nostro pane quotidiano”, vuole insegnarci a chiedere il pane che non passa: “Dà a noi questo pane, questo, il pane che non passa”. Ma qual è questo pane che non passa? È quello che ci conduce a vedere la gloria di Dio, che ci conduce alla vita eterna, che mi fa conoscere qualcosa di Dio.

Allora: “Dà a me qualcosa che mi impegni!”, cioè chiediamo un lavoro!

Diciamo sempre nei confronti di chi chiede soldi: “È inutile dare dei soldi, diamo del lavoro, facciamoli lavorare!”. Ecco, il Signore ci dà del lavoro e: “… a ognuno sarà dato a seconda di quello che avrà lavorato personalmente con Dio, per cercare Dio, per conoscere Dio”.

Tutte le opere di Dio sono offerte di lavoro, come tutte le sue parole sono offerte di lavoro.

E tutta la nostra gioia è essere occupati da Lui, perché è molto triste essere disoccupati. Noi non ce ne rendiamo conto, ma pensate se foste disoccupati da mattino a sera: quale tristezza! Ora, rendiamo conto che noi interiormente siamo disoccupati da mattino a sera.

Pinuccia: Perché “… nessuno ci ha presi…”

Luigi: Perché “… nessuno ci ha presi a lavorare…”

Pinuccia: Lui ci vuol prendere, ma noi non ci lasciamo prendere.

Luigi: Lui ci prende, ma si capisce, con Dio non avviene mai niente di automatico. Dio ci prende in quanto noi ci offriamo, vogliamo: c'è la partecipazione. Ora, Dio, attraverso tutti gli avvenimenti, attraverso tutte le cose, fa giungere a noi le sue offerte di lavoro, ci presenta un campo di lavoro: “Va a lavorare nella mia vigna; c'è questo da fare, c'è quell’altro da fare, ecco, impegnati li!”, e noi non lo vediamo, e poi ci accorgiamo che siamo sempre disoccupati dentro, sempre vuoti.

Ora, il segno della disoccupazione interiore è un brutto segno, da cui dobbiamo cercare di uscire il più presto possibile. Dovremmo essere sempre occupati, non solo, ma avere una sovrabbondanza di lavoro che ci aspetta. L’uomo vive nella misura in cui si sente interiormente occupato, impegnato. L’uomo non vive fuori, l’uomo vive dentro! Ma se l’uomo interiore è disoccupato, è un uomo morto; è un uomo che patisce la morte, aspetta la morte anche esterna, non può farne a meno; anche se lavora da mattina a sera, non può farne a meno.

Non è altro che spettatore della sua disintegrazione, della sua morte; assiste alla sua morte progressiva, perché la vita viene dall’interno, viene da Dio, (Dio abita nell’interno di noi), nella misura in cui noi siamo occupati con Lui.

E la prima preoccupazione che dobbiamo avere è questa: “Signore, dammi, fammi arrivare un po’ del tuo lavoro di modo che io abbia la mente impegnata con Te e non abbia a correre a destra e a sinistra!”.

Eligio: Però possiamo fare contemporaneamente due lavori, perché per fare quello vero c'è bisogno di lasciare l’altro lavoro e chiuderci in una Trappa.

Luigi: Certo, è logico. Comunque il lavoro con Dio è l’unico lavoro essenziale. Il vero lavoro è questo; se c'è questo, qualunque lavoro uno faccia, può anche fischiare da mattino a sera, è felice e contento e si sente pieno di vita; qualunque cosa faccia: se è a contatto col pubblico, canta la sua vita dentro; ma se manca quella vita interiore, non c'è niente fuori che la possa supplire. L’uomo che è vuoto dentro, tu puoi impiegarlo da mattina a sera, ventiquattrore su ventiquattro, ma non lo fai vivere, come tu non fai vivere un albero se è secco: metti pure tutto il letame che vuoi attorno all’albero, se l’albero è secco tu non lo fai vivere. Quindi quello che conta non è il letame; quello che conta è che l’albero sia vivo.

Eligio: Però ci sono delle circostanze che favoriscono, perché ad esempio in quel viaggio in cui quella persona mi chiese una spiegazione sul Vangelo, io mi sono messo a pensarci con tutto il mio impegno e tutte le mattine avevo proprio la mia occupazione e chiedevo luce allo Spirito Santo.

Luigi: Ecco, Dio ti aveva occupato. Ma Dio ti vuole occupare e se noi siamo attenti, queste occasioni ci vengono offerte in continuazione.

Eligio: Ma ci sono occasioni più propizie. Certo se non mi fosse stata rivolta  quella domanda forse avrei trascorso quei giorni con meno tensione spirituale, forse più disoccupato.

Luigi: E quello cosa ti dice? Che Dio ti ha mandato un’offerta di lavoro! Ora, se noi fossimo attenti, Dio ogni giorno ci manda queste offerte di lavoro: è che il più delle volte noi non lo vediamo. Ogni giorno Dio ci manda delle offerte di lavoro! Ogni giorno! Li è stata specifica, chiara, ma quella è stata un segno per invitarci (perché Dio ci manda dei segni) a vedere queste offerte di lavoro in tutto. Dio naturalmente ci sorprende in certi punti particolari, ma sempre per educare noi a vedere queste offerte di lavoro. Più noi conosciamo Dio e più ci accorgiamo che Lui ci manda le sue offerte, perché guai se Lui non ci prendesse! È Lui che prende! “Non siete voi che avete scelto Me, ma sono Io ho scelto voi; che ho scelto e che scelgo voi!”. Se Lui non dà a noi il lavoro, noi siamo disoccupati! Noi da soli non possiamo darci il lavoro. Ecco, il lavoro ci viene da Lui. È Lui con il suo Spirito che ci impegna; se ci troviamo qui è perché è Lui che ci impegna a lavorare. Ma noi, se fossimo attenti, ogni istante troveremmo segni attraverso i quali ci propone argomenti suoi; ci propone argomenti; quindi sono offerte di lavoro, di vita eterna.

Eligio: Sono segni che però non hanno la chiarezza di queste che udiamo qui: questi oggi sono chiari, poi domani sul lavoro già meno, perché uno intoppa con problemi nuovi (che possono ad esempio essere il rivestimento della caldaia che è saltata); anche questo è un modo di parlare del Signore, però io preferisco sentire parlare il Signore col Vangelo di San Giovanni che affrontare ad esempio il problema della caldaia.

Luigi: Però tu capisci che se ci occupassimo veramente col Signore, vedremmo i suoi segni in tutto? Noi facciamo un po’ come quel disoccupato che cerca il lavoro e, anche se non arriviamo forse a dire come lui: “Neh che non c'è lavoro per me?”; però alla prima difficoltà, il più delle volte, diciamo: “Io questo non lo capisco, quel lavoro non è fatto per me, quest’altro è troppo faticoso!”, cioè scappiamo. E allora il Signore ci manda dei segni un po’ diversi che ci umiliano (ad esempio la caldaia che scoppia); però se noi fossimo capaci di restare nel lavoro, perché il difficile è li, tutto ci aiuterebbe. Le offerte di lavoro Dio ce le manda quotidianamente, ma noi di fronte alla prima distrazione (basta un volo di rondine e la nostra mente parte in aria), ci sottraiamo al nostro lavoro. Ecco, non siamo capaci a lavorare: quante volte lo esperimentiamo con tanta povera gente che viene a chiederci un po’ di lavoro e ci accorgiamo che non sono capaci di lavorare; segno che non siamo capaci a lavorare con Dio. Per cui Dio ci dà il lavoro, ci dà la possibilità di guadagnarci la vita, di entrare nella vita, ma noi purtroppo riveliamo questa incapacità a lavorare con Lui; e allora Lui le sue offerte di lavoro le deve degradare, degradare, degradare a quei linguaggi che sono accessibili alle nostre capacità. Noi non siamo capaci ad essere fedeli a Lui nel campo dello Spirito, ma forse un altro linguaggio, una pedata, ad esempio, lo capiamo un pochino meglio; e allora Lui scende; ma è la nostra incapacità che fa scendere Dio alle offerte di lavoro plateali, banali nella nostra vita, perché noi non siamo capaci ad essere liberi ad esempio, e allora naturalmente Lui deve adeguarsi ad un lavoro da schiavi; non siamo capaci ad essere fedeli nel molto e allora Lui deve degradare la Sua richiesta di fedeltà a piccole cose: “Ecco, sii fedele almeno in questo, cerca di essere fedele in quell’altro” per cercare di recuperarci.

Eligio: Io ho la convinzione che se ci trovassimo ad esempio tutti i giorni a parlare di queste cose, mi risulterebbe più facile restare nel Pensiero di Dio, e lo dico proprio constatando la mia debolezza a restare.

Nino: È perché ci lasciamo prendere da altri rumori; cioè non è che Dio diventi difficile nei suoi discorsi, ma siamo noi che non siamo capaci di prestargli attenzione quando usciamo di qui.

Luigi: Se noi fossimo capaci a tener preziose le cose che Lui ci fa arrivare e lavorare nelle cose che ci fa arrivare e come ce le fa arrivare, io penso che molto presto Lui allargherebbe gli spazi degli incontri, delle conversazioni, della preghiera. Ma noi dovremmo essere molto attenti ad essere fedeli a quelle cose che Lui ci fa arrivare, perché noi il più delle volte andiamo alla ricerca di altro e non ci accorgiamo o disprezziamo, o trascuriamo, quelle cose che Lui ci fa arrivare. Siamo sempre li con la pretesa: e altro! E altro! Ma dico: comincia a mangiare questo cibo che ti ho messo davanti. Vedi, il più delle volte noi non siamo capaci ad essere fedeli.

Nino: Noi consideriamo Parola di Dio solo questa del Vangelo e invece è tutto parola di Dio.

Luigi: È tutto parola di Dio. Certo, questa Parola di Dio (il Vangelo) è diversa in quanto è il sillabario che deve insegnarci a leggere l’altra.

Nino: E invece mi capita che dopo aver udita questa, chiudo la porta, come se fosse una parentesi, e accolgo ciò che viene dopo come fosse un altro capitolo.

Teresa: Ma Lui comincia a darci qualche ora di lavoro; se noi siamo fedeli Lui ci farà lavorare a tempo pieno.

Luigi: Vedi, siamo sempre li: noi dovremmo essere attenti, perché il Signore manda i suoi doni, Lui non ce li lascia mancare, però dobbiamo essere capaci ad apprezzarli; noi il più delle volte trascuriamo i doni che Lui ci manda per cercare altro; il Signore invece vuole che noi non pretendiamo altro, ma che cominciamo a valorizzare quello che Lui ci fa arrivare. Se noi siamo capaci a valorizzare quello che Lui ci fa arrivare, stai tranquilla che Lui i suoi doni non ce li lascia mancare. Lui non è Uno che misura, che sia avaro nei suoi doni; siamo noi che siamo in difetto.

Nino: C'è proprio bisogno di un’educazione anche spirituale.

Luigi: Certo, è logico, ma il fondamento dell’educazione sta li: nel sapere apprezzare ciò che uno ha, non nel cominciare a desiderare ciò che uno non ha. Incomincia ad apprezzare quello che tu hai a disposizione; incomincia a valorizzare, a camminare con quello che hai a disposizione, non incominciare a sognare quello che non hai, perché incominciando a sognare quello che non ho, io senza rendermi conto, trascuro quello che non ho.

Il Signore ad un certo momento mi dirà: “Io ero con te e tu non hai saputo vedermi, sognando altro!”. Cioè mi cercavi mentre io ero con te, mi cercavi lontano mentre io ero qui presente e parlavo con te. Ora bisogna incominciare a valorizzare, perché forse il Signore mi sta dando i doni di cui io ho bisogno, i doni che io sospiro magari lontano, il Signore me li sta dando, se io sto attento a valorizzare quello che Lui mi presenta giorno per giorno, perché i doni di vita il Signore giorno per giorno, ce li fa arrivare: siamo noi in difetto, non è Lui in difetto. Per cui se io dico: “Il giorno in cui io fossi missionario; il giorno in cui io fossi in una trappa; il giorno in cui io fossi in pensione; sarei libero e allora potrei dedicarmi a questo e a quello!”. No! No! Perché se tu oggi come oggi non sai vedere, non sai apprezzare, non ti impegni in quel lavoro che Dio oggi ti offre per la tua vita eterna, domani, quando sarai in pensione, sarai in una trappa, sarai in un deserto, sarai in missione, sarà peggio, perché magari avrai tanto tempo a disposizione e lo sprecherai tutto.

Eligio: Più che un problema di educazione da parte dell’ambiente è un problema di fede e di amore.

Rina Ma un po’ di disciplina ci vuole: magari moderare qualche parola, non distrarsi, ecc..

Eligio: Ma lo si deve fare per amore, se no facendo questo, posso arrivare ad esaltare il pensiero di me stesso.

Ines: Certo che è difficile, perché il nostro io si infiltra dappertutto, anche quando faccio una parola.

Luigi: Certo, il pensiero del nostro io non deve entrarci. Il pensiero del nostro io non deve entrarci. Il pensiero del nostro io ci è dato per glorificare Dio. Il pensiero del nostro io ci è dato per essere spettatore delle opere di Dio, per glorificare Dio. Noi viviamo nella misura in cui glorifichiamo Dio.

Franca: Quindi uno deve riconoscere ad esempio che è Dio che ci ha fatto tacere quella parola, che ci ha fatto stare zitti, ecc..

Luigi: No, mica lo si fa per stare zitti; il problema non è stare zitti, come il problema non è andare nel deserto. Il problema non sta li: tu fai silenzio. Perché? quand’è che fai silenzio? Tu fai silenzio per ascoltare qualcuno, in quanto l’altro parla. Anche se facesse mezz’ora di silenzio, per far silenzio, tu parleresti dentro: sei sempre tu che parli. No, non è cosi: si fa silenzio per ascoltare l’Altro. Quindi il problema è ascoltare l’Altro. Ora, l’Altro parla per manifestarmi il suo pensiero, e allora faccio silenzio per ascoltare l’Altro e per arrivare a capire il pensiero dell’Altro. Il Pensiero dell’Altro è il Verbo. Quindi la meta del mio silenzio è quella di arrivare alla presenza di Dio, è quella di arrivare a scoprire la Presenza di Dio, perché Lui mi sta parlando per rivelarmi il suo Pensiero che è già presente in me.

Ines: Quindi lo star zitti per fare attenzione è buono…

Luigi: Ma certo, l’attenzione ci va perché debbo mettermi in disposizione di ascolto. Attenzione, vuol dire disposizione ad accogliere Colui che mi sta parlando. Ma mi sta parlando per che cosa? Mi sta parlando manifestarmi il suo Pensiero. Quindi lo scopo del mio silenzio è quello di arrivare al Pensiero di Colui che mi sta parlando.

Rina Quindi ci vuole un’educazione all’ascolto.

Luigi: Certo!

Eligio: Ma come premessa deve avere un interesse di amore.

Luigi: L’interesse per Dio! Interesse per Dio! Quando noi leggiamo qui ad esempio: “Come potere credere voi che  mendicate la gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?”; abbiamo ascoltato. E adesso: “Cosa, Signore, mi vuoi dire? Quale pensiero di te mi vuoi manifestare in questo?”. Qui adesso abbiamo sentito una parola, l’abbiamo ascoltata: ma tra l’ascolto della parola e arrivare a vedere il pensiero di Dio in questa parola, c'è dello spazio, perché noi ascoltiamo la sua parola, ma non vediamo il suo pensiero.

Allora questo è il lavoro; Dio ci offre del lavoro: “Adesso io ti ho fatto sentire la mia parola, ti ho offerto del lavoro: impiegati per arrivare a capire quello che ti voglio dire”, perché Lui mi sta parlando personalmente. “Quindi, impiegati, datti da fare per arrivare a capire quello che ti voglio dire”. Se Dio parla, non dobbiamo dire: “Ma tu, Signore, mi hai fatto tonto o tonta!”. No, non posso giustificarmi, perché se Lui mi parla, sa a chi parla. Se Lui mi fa arrivare questa parola, se me la fa arrivare Lui, il mio Creatore, vuol dire che mi ha dato i numeri per capire la sua parola, altrimenti non me la farebbe dire nemmeno.

Se me la dice, non mi prende mica in giro. Io prenderei in giro quella persona alla quale mi mettessi a parlare in inglese quando l’inglese non lo conosco, e non mi può capire. Ma se invece Dio parla, certamente parla a delle creature alle quali ha dato la possibilità di capire quello che Lui dice, perché non le prende in giro. Noi tra noi che siamo cattivi possiamo prenderci in giro, ma Dio non ci prende in giro.

Allora, se parla, se fa arrivare a noi la sua parola, dà anche a noi la possibilità di capire la sua parola; cioè di arrivare al suo Pensiero. Però non c'è nessuno che possa fare al posto nostro questo lavoro. Non c'è nessuno che possa mangiare al posto nostro: e questo è mangiare, il vero mangiare; non c'è nessuno che possa mangiare al posto mio. Dio ci offre il pane da mangiare, ma io debbo mangiarlo personalmente. Non posso dire: “Mangia tu per me!” ad un altro. No, questo non serve; è questo il lavoro che chiede; è questa l’occupazione che Dio dà ad ogni uomo. Allora Dio fa arrivare a noi la sua parola. Facendo arrivare a noi la sua Parola e proponendoci di capirla, ci impiega, ci offre il suo lavoro, e questa è la vera preghiera: elevazione dell’anima al suo Pensiero, al Pensiero di Dio.

Si parte dalla sua Parola per arrivare al suo Pensiero. E se noi arriviamo, se facciamo questo lavoro, otteniamo un frutto di vita eterna, una mercede, una ricompensa di vita eterna, cioè una ricompensa di conoscenza di Dio.

Ines: E non ci esauriamo.

Luigi: E non ci esauriamo perché diventa vita eterna.

Ines: E noi abbiamo bisogno di tutte le altre parole non scritte?

Luigi: Soprattutto di questa scritta, perché la Bibbia, il Vangelo è il sillabario. Quando noi vogliamo imparare la lingua, abbiamo bisogno di un sillabario, di una grammatica. Questa è la grammatica che il Signore ci mette nella mani, attraverso le quali Lui ci insegna a lavorare con tutte le altre parole. Lui parla in tutto, ma questa parola è per insegnarci a capire le parole che Lui dice in tutto. Questa è la grammatica. Se io non mi impegno qui, me lo posso sognare di arrivare a capire ciò che Dio dice in tutto! Si, posso dire: “Dio parla in tutto”, però non capisco mai, non potrò mai arrivare a capire se trascuro la grammatica. Perché questa è la Parola del Figlio di Dio, attraverso la quale Dio mi fa capire il suo Pensiero. Qui abbiamo il Pensiero di Dio, il Verbo, ed è quel Verbo che parla a noi in tutto e che ci invita a  scoprirlo in tutto. Però qui Lui ce ne parla direttamente. Per cui qui abbiamo il Verbo di Dio che ci dice: “Guarda che nella tale parola, nella tale parabola, nel tale fatto, nella tale scena, io intendo questo e te lo spiego; e allora tu tutte le volte che troverai una scena cosi, una parabola cosi, un avvenimento cosi, una parola cosi, sono Io che voglio dire questo…”. E cosi ci educa. Quando impariamo una lingua straniera, ad esempio il francese, cosa facciamo? Incominciamo con una parola italiana, e vicino a quella parola italiana mettiamo una parola francese. Allora, tale parola francese vuol dire la tale parola italiana; quando sento questa parola intendo quell’altra.

È tutto cosi: bisogna arrivare al pensiero.

Il pensiero però essendo spirito, si esprime nei segni, ma non si identifica mai nei segni.

Quindi i segni sono soltanto delle offerte di lavoro, ma non sono il lavoro. Quando uno mi offre un lavoro: “Fammi questo lavoro”, mi fa arrivare un messaggio, un invito, ma non è il lavoro. Per avere il lavoro mi debbo impegnare in quello. Allora ogni parola che giunge a noi è un’offerta di lavoro per arrivare al Pensiero di Dio.

Il Pensiero è vita eterna, se arriviamo a quello; ma a quella vita eterna noi non arriviamo se non ci impegniamo sulla parola che Dio fa arrivare a noi.

Ines: Quindi per il fatto che sappiamo che c'è la Parola di Dio scritta, siamo impegnati a conoscerla, perché se Dio ce la dice, la possiamo capire.

Luigi: Certo, in quanto il Signore ce la offre, ci dà la possibilità di capirla. Magari ci costerà della fatica, ma possiamo capirla.

Ines: E a chi non arriva mai questa Parola scritta?

Luigi: Per migliaia di anni tutta l’umanità è vissuta in attesa di questo, e non c'era. Però nell’attesa si forma il desiderio, si forma la fame. Dio, prima di darci questo, forma in noi la fame, opera per formare in noi il bisogno, la fame di questa. Il giorno in cui l’incontrerò dirò: “Oh, l’aspettavo da tanto, lo desideravo!”.

Eligio: Quindi non cercando la gloria di Dio, noi necessariamente mendichiamo la gloria degli altri.

Luigi: Certo, non possiamo farne a meno, e perdiamo la fede. Anche se l’avessimo, la perdiamo, non possiamo farne a meno, perché noi sostituiamo un’altra gloria alla sua gloria; tu capisci: se io mi avvio verso Torino, non posso certamente andare a Cuneo. Qui Gesù lo dice chiaramente: “Come potete credere…?”. Dicendo: “Come potete …” rivela proprio una incompatibilità. C'è una incompatibilità: “Come potete credere voi che mendicate gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria di Dio?”. Vuol dire che fintanto che cerchiamo la gloria di Dio gli uni dagli altri non possiamo credere. Qui rivela una condizione di incompatibilità: vuol dire che la fede in Dio è incompatibile con la ricerca della gloria, con la ricerca della figura. Il che vuol dire in termini poveri: che l’uomo esteriore è incompatibile con l’uomo interiore; cioè la crescita dell’uomo esteriore è incompatibile con la crescita dell’uomo interiore.

Eligio: Soprattutto l’atteggiamento di indifferenza e di apatia.

Luigi: Non esiste. Non posso far a meno, perché io se non ho aperto a Dio la porta, apro la porta a quella creatura perché già dentro di me ho tradito Dio, e allora la creatura arriva a me in quanto alletta il mio desiderio di gloria, arriva cioè con una proposta che alletta il mio desiderio di gloria; ma io ho già dentro di me il desiderio di gloria: ho già posto il mio io al posto di Dio, allora necessariamente il mio io apre la porta alle creature, perché le creature le posso strumentalizzare, oppure mi esaltano. Allora dico: “Signore, come mai tu hai creato un mondo che ci inganna?”. No! Sono io che ho seminato, fatto la menzogna dentro di me; e allora se io faccio la menzogna dentro di me, sono ingannato dalle opere stesse di Dio. ma Dio non opera per ingannarmi. Se io facessi la Verità (“Chi fa la Verità arriva alla luce”) dentro di me, tutte le creature mi aiuterebbero a vedere la Verità. Se io invece faccio la menzogna dentro di me, io sono a mia volta ingannato da tutte le creature. Allora tutte le creature mi deludono, ma mi deludono perché io ho deluso Dio.

Eligio: Quindi praticamente Gesù ci insegna qui che non esiste il dubbio: se dubito è perché ho posto un idolo al posto di Dio.

Luigi: Dio è la certezza; più mi avvicino a Dio e più entro in una certezza, in luce; più mi allontano da Dio e più sprofondo nei dubbi, perché lontano da Dio ho i dubbi su tutto, ma qui proprio perché ho messo altro al posto di Dio, ho messo un assoluto al posto di Dio. Però in questo assoluto non è che io trovi la pace, non è che io trovi la certezza; quando io metto qualcos’altro al posto di Dio, non è che l’altro mi sostituisca Dio come Dio, no, l’altro mi delude, l’altro mi confonde, l’altro mi lascia nell’incertezza, l’altro mi lascia nell’angoscia, non può darmi la pace che mi dà Dio, non può darmi la luce che mi dà Dio, quindi non mi può dare la certezza. Quindi più noi ci allontaniamo da Dio e più navighiamo nei dubbi, nelle incertezze; ma questo è il segno che abbiamo sostituito un altro assoluto al posto di Dio.

Nino: Però questo idolo non ci illude subito, per cui per un po’ di tempo noi arriviamo ad una certezza e crediamo di vedere, pur essendo nel buio.

Luigi: Ci illudiamo; la nostra illusione è un’esaltazione…

Nino: Ma si è convinti di essere nella Verità. Ad esempio si dice che molti delle Brigate Rosse è gente uscita dalle file dell’Azione Cattolica, quindi…

Luigi: Tu vedi con che facilità si passa dall’Azione Cattolica al comunismo, e come un sacerdote ad un certo momento diventi comunista; come te lo spieghi questo?

Nino: Cioè l’inganno a loro non è stato chiaro. Essi sono passati da una certezza ad un’altra certezza.

Luigi: Io direi però una cosa, perché Dio non ci inganna e non ci lascia passare da una certezza ad un’altra certezza: è perché già dentro di te hai seminato qualcosa di diverso da Dio. Hai seminato il desiderio della tua gloria, e allora naturalmente resti illuso, altrimenti Dio non permette. Chi mette Dio prima di tutto non può essere ingannato.

Nino: Hai ragione, però è che si va fuori strada senza rendercene conto.

Luigi: D’accordo, ma sai perché si va fuori strada senza rendercene conto?

Nino: Noi adesso lo vediamo perché si va fuori strada senza rendercene conto: però ci siamo andati fuori strada senza rendercene conto.

Luigi: Si, senza rendersi conto. Però dentro di te avevi il pensiero del tuo io che ti faceva amare il denaro, che ti faceva amare la carriera, che ti faceva amare la figura; allora c'era altro da Dio.

Nino: Adesso uno lo capisce, ma allora uno vedeva solo che stava affondando nelle sabbie mobili e non sapeva il perché.

Luigi: Certo, è logico, chi si allontana non può sapere il perché, perché per saperlo bisogna già avere la luce della Verità; se no non puoi saperlo. Chi si allontana non lo può sapere. Chi è con Dio vede chi si allontana, ma chi si allontana non si può vedere.

Pinuccia: Comunque se si è in buona fede, Dio ci recupera sempre.

Luigi: Dio opera per recuperarci, ma non è detto che la cosa avvenga automaticamente. Dio opera per recuperarci, è logico, fino alla vita eterna; Dio opera per recuperarci, per farci capire gli errori, per deluderci, per farci battere il naso e farci prendere tante cantonate; Dio lo fa questo, in continuazione: non è detto che lo ottenga.

Pinuccia: Ci vuole la nostra risposta.

Luigi: Certo, e poi soprattutto ci vuole l’apertura a Dio, perché senza apertura a Dio, noi per quante cantonate Dio ci faccia prendere non rinsaviamo; non abbiamo noi il potere critico; non rinsaviamo; perché noi le cantonate le attribuiamo a: difetti della società, colpa di persone, destino e mali; noi non possiamo far altro che attribuirle ad altri, anziché a Dio. Se noi non ci convinciamo che dobbiamo mettere Dio come punto fisso di riferimento, anche tutte le lezioni che Dio ci dà, noi le travisiamo, perché le attribuiamo ad altri da Dio. È importantissimo: Dio è il Principio. Noi dobbiamo convincerci che dobbiamo partire da questo Principio. Non dobbiamo partire dall’uomo, non dobbiamo partire dalla società, non dobbiamo partire dalla virtù, dobbiamo partire da Dio. Ecco, è soltanto partendo da Dio che si entra nel Regno di Dio. Fintanto che non ci convinciamo che dobbiamo mettere Dio come principio, perché: “Io sono il Principio e non altro”, noi non possiamo rinsavire. E anche tutte le lezioni che Dio ci dà, noi le travisiamo, per cui da parte di Dio vengono buone e noi le facciamo diventare cattive.

Nino: Non possiamo neppure partire dal proposito di sotterrare il nostro io, ma “Cercare prima di tutto Dio”.

Luigi: Bisogna partire da Dio. Perché Dio l’ha detto: “Io sono il Principio, Io sono il Fine”. È una parola che non possiamo smentire, è una parola eterna. “Io sono il Principio: se Io sono il Principio, mettimi come Principio; Io sono il Fine, se Io sono il Fine, mettimi come Fine”. Quindi tuo Principio di vita, tuo Fine di vita, deve essere Dio. Allora noi batteremo delle cantonate, magari arriveremo all’agonia, perderemo tutto, fintanto che non ci decideremo a partire da Dio. E ci sarà sempre questa parola: “Io sono il Principio: mettimi come Principio”. Il giorno in cui noi cominciamo a metterlo come Principio, Lui ricostruisce tutto. Ma prima noi dobbiamo accettarlo come Principio. Partire da Dio per arrivare a Dio.

Angelo: E quella convinzione bisogna averla sempre…

Luigi: Si, perché  quando tu metti una cosa come Principio, non la metti a parole: “L’ho messa come principio!”. Quando tu ami una persona, non dici: “Per adesso ho detto che la amo!”. Ma tutti i giorni la debbo amare! Cosa vuol dire amare? Vuol dire che tutti i giorni tu la devi preferire ad altri. Cosi è lo stesso, se tu metti Dio come Principio, Lo devi mettere come Principio tutti i giorni, come prima cosa, come punto fisso di riferimento; non possiamo noi… accontentarci di dirlo. È un prima di tutto, per cui non basta dire: “Signore io mi consacro a te”. Adesso mi sono consacrato e non ci penso più. Eh, no! Quel prima di tutto, ogni giorno tu lo devi mettere prima di tutto, altrimenti è fasulla la tua consacrazione, la tua dedizione. Vuol dire che io mi debbo dedicare a questa cosa prima di tutto, come cosa che mi sta più a cuore.

Angelo: Magari ci riuscirò all’ultimo giorno…

Luigi: E va bene, c'è da augurarsi che per misericordia di Dio, noi riusciamo all’ultimo giorno. Perché anche nell’ultimo giorno si entra nella vita eterna. Il buon ladrone è entrato nell’ultimo giorno, però è entrato; da parte di Dio, Lui fa tutto per farci entrare. Non ci lascia mancare assolutamente niente. Ora: “Io sono il Principio, Io sono il Fine”, vedi che è un’offerta di lavoro da parte di Dio? Lui mi dice: “Io sono il Principio”. Dicendolo a me, invita me a metterlo come Principio: allora parti da Me, non partire da altro. Ecco l’offerta di lavoro. Io ho un punto fisso da cui partire, a cui tutto riferire. Questo è vivere. La volta scorsa abbiamo detto che l’uomo interiore veramente vive in quanto quotidianamente rinasce in questo Principio: è un rinnovamento continuo in questo Principio, per cui tutte le cose Lui le riporta sempre in questo Principio. Tutte le cose vengono da Dio, tutte le cose le debbo riportare in Dio. Ma riportandole a Dio, l’uomo vive, l’uomo interiore vive.

Pinuccia: Il più è “lasciarci prendere”… 

Luigi: Anche li avrei tante parole da dire… noi con la scusa di lasciarci prendere…..

Lui ci può dire: “Ma come? Io tutti i giorni sono qui per prenderti e tu dici: il più è lasciarci prendere?”

Rina Lasciarci prendere vuol dire essere disponibili a Lui.

Luigi: Si, però tu capisci che Lui viene per prenderci e viene a tutte le ore e noi a dire: “L’importante è lasciarci prendere”. È come se dicessi: “L’importante è lasciarmi prendere dal lavoro!”, ma il lavoro ce l’hai li: lavora! Datti da fare! Il lavoro c'è. Dio ti offre il lavoro ed io dico: “L’importante è che io mi lasci prendere dal lavoro!”. Ma no, anche se non ti lasci prendere dal lavoro, lavora! Il lavoro ti è dato!

Teresa: Se ci sta a cuore lo facciamo!

Luigi: Ecco, se ci sta a cuore. Il lavoro ci viene dato!

Pinuccia: È che non vediamo il lavoro a volte…

Luigi: E allora c'è da pensare: perché non vediamo il lavoro? Perché non lo vediamo? È perché vediamo altro, altri lavori. Noi siamo avvolti da una rete infinita di abitudini, di riflessi condizionati che ci siamo creati noi vivendo per altro. Noi viviamo sostanzialmente senza pensiero, senza pensiero vero. Mi alzo al mattino, faccio questo perché sono abituato a fare questo, vado al lavoro perché sono abituato a fare quello, e facciamo tutto cosi; il nostro vivere è tutto un riflesso condizionato, non c'è l’anima in noi. L’anima non vive. Il pensiero dovrebbe essere sempre fresco in noi, una creatura nuova, continua, giorno per giorno, in Dio, nell’Assoluto.

Dio mi dà questa giornata per conoscerlo di più, per entrare di più nella vita eterna, perché nella vita eterna devo entrare oggi.

Ogni giorno è un’offerta di vita eterna che il Signore mi fa, ed io lo spreco in cose banali. Sostanzialmente non pensiamo, cioè non colleghiamo il fatto di oggi con l’Assoluto di DIo; perché pensare vuol dire questo: collegare quello che Dio mi fa arrivare con il suo Assoluto, unificare con il suo Assoluto.

Collegandolo con il suo Assoluto scopro la sua presenza, cioè entro nella vita eterna, per quello che Lui mi ha dato da raccogliere; ma entro nella vita eterna per quello che, e quello diventa per me luce eterna.

Eligio: Da miliardi di anni Dio ha messo in movimento tutto questo processo di evoluzione per far scaturire il pensiero e noi lo sciupiamo.

Luigi: Certo, noi lo sprechiamo perché altrimenti: “Come faccio a mangiare, come faccio a vestirmi…”. E la grande tristezza della nostra vita è questa: che Dio ci ha dato tutto, per far scaturire una scintilla di pensiero di Sé da noi e noi passiamo tutta la nostra vita a preoccuparci di questo e di quello, perché abbiamo paura di questo e di quello, e non pensiamo. Perché noi adoperiamo il nostro pensiero, che Lui ha dato per conoscere Lui, lo adoperiamo per i nostri affari, affari al cui centro c'è il pensiero dell’io. E li sta tutto il tradimento ed è logico, mentre sarebbe già tutto fatto: “Guardate gli uccelli dell’aria….” dice Gesù. 

Eligio: La nostra anima è diventata una casa di traffico…

Luigi: Una spelonca di ladri.                        


E come potete credere voi che mendicate la gloria gli uni gli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Gv 5 Vs 44 Quinto tema.


Titolo: La disoccupazione interiore (II)

Argomenti: L’importanza di avere un lavoro interiore. L’uomo disoccupato è lo specchio del nostro uomo interiore disoccupato. Quello che ci fa lavorare è l’orientamento al nostro destino, al nostro fine. Dio si è fatto nostro lavoro. Quello che impedisce a noi di ascoltare, di avere l’Occupazione interiore, è un’altra occupazione. La parte migliore di Maria. Quello che rende incostanti, è il pensiero del nostro io. È il nostro io che dà valore (alterato) alle cose. Quello che modifica quello che io sono è soltanto l’Essere. La mancanza di volontà è una conseguenza del non essere presi, perché non guardiamo Dio. Convincerci del destino per cui siamo stati creati. L’amore umano, Tende a convivere.


 

27/Maggio/1979


Dal Libro del profeta Daniele 3,3-57

“Opere del Signore benedite tutte quante il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli…”

Salmo 117

“Celebrate il Signore perché Egli è buono. Questo è il giorno fatto dal Signore…”

Dalla esposizione di  Luigi Bracco:

Luigi: Fermandoci su questo versetto 44, abbiamo già considerato la conflittualità tra la fede e la ricerca della propria gloria che il Signore ha voluto mettere qui in evidenza; per cui fintanto che noi viviamo per cercare la nostra figura, la nostra gloria dagli uomini, ci situiamo in una posizione di impossibilità della fede. Poi abbiamo considerato a Vigna, in che cosa consista la vita dell’uomo interiore, poiché meditando sopra la ricerca della gloria gli uni dagli altri, abbiamo notato che nell’uomo ci sono due vite: c'è la vita come ricerca dell’essere e c'è la vita come ricerca del sembrare, della figura. Abbiamo anche notato come la vita nella ricerca dell’Essere (che dà luogo all’uomo interiore), predomini sulla vita dell’uomo come ricerca del sembrare, della figura; per cui per quanto l’uomo viva per sembrare, se dentro è vuoto, quello non gli modifica ciò che egli è, l’essere interiore. Per cui l’uomo interiore prevale sull’uomo esteriore, ma l’uomo esteriore non modifica l’uomo interiore.

Adesso, io proporrei come meditazione nostra la situazione della disoccupazione interiore, cioè l’uomo interiore disoccupato (argomento iniziato già domenica scorsa). Noi nel nostro mondo ci preoccupiamo molto di avere un lavoro, possibilmente fisso, a tempo pieno, sorgente di guadagno, ma quello che maggiormente trascuriamo è di avere un lavoro interiore. Ora, se ci siamo convinti che la vita dell’uomo interiore è dominante sulla vita dell’uomo esteriore, non basta che il nostro uomo esteriore abbia un lavoro, sia occupato magari durante tutto il giorno, se poi il nostro uomo interiore è disoccupato. Tutto il nostro lavoro, tutte le nostre preoccupazioni esteriori non servono a niente e non danno un briciolo di lavoro all’uomo interiore, se l’uomo interiore è disoccupato. Ecco vorrei che si mettesse possibilmente in evidenza questo fatto: l’importanza di avere un lavoro interiore. Se noi non siamo occupati interiormente, per quanto lavoriamo, fatichiamo, sudiamo interiormente, nulla vale.

Suggerirei alcuni pensieri guida circa questo, soprattutto:

1)      la scena di Marta e di Maria. Marta rappresenta l’uomo esteriore, Maria l’uomo interiore. Marta lavora molto, chiede aiuto all’uomo interiore, Maria; Gesù capovolge la situazione. Gesù fa capire che chi lavora molto di più è Maria e non Marta.

2)    E teniamo anche presente soprattutto queste frasi del Vangelo: Gesù che è venuto ad insegnare a noi soprattutto l’occupazione interiore, il lavoro da fare dentro, (perché questo è l’essenziale, questa è la parte principale, “l’unica cosa necessaria”: avere questo uomo interiore occupato, avere la nostra giornata occupata interiormente), a dodici anni dice a Maria e a Giuseppe quando lo trovano nel Tempio: “Non sapevate che mi debbo occupare delle cose che riguardano il Padre mio?”. Ecco, questo lo dico per ognuno di noi, soprattutto per il nostro uomo interiore, per la vita del nostro uomo interiore. Noi siamo stati creati per occuparci come figli di Dio, quindi interiormente per occuparci del Padre nostro di fronte a tutti quelli che ci cercano, noi dobbiamo sempre dire: “Non sai che io mi debbo trovare, mi debbo occupare nelle cose che riguardano il Padre mio? Il mio impegno, il mio lavoro è questo: occuparmi del Padre”.

3)      In contrapposizione noi abbiamo anche quella frase della parabola di Gesù dei lavoratori della vigna, dove il padrone che va ad assumere i lavoratori, ad un certo momento rimprovera quelli che trova sulla piazza: “Perché ve ne state qui tutto il giorno a fare niente?”. Ecco, teniamo presente che il disoccupato è colui che fa niente e che il fare niente non è come possiamo intendere noi: fare niente, perché il niente non esiste: non si può fare niente. Il niente va sempre rapportato ad un tutto, che si deve fare, cioè ad una cosa necessaria, per cui quando si trascura il necessario, tutto ciò che si fa è niente, perché non si fa il necessario. Per cui questo il Signore lo dice a tutti noi che siamo sulla piazza del paese, cioè all’uomo esteriore che vive sulla piazza del paese: lo dice a noi che magari passiamo tutta la giornata li, e magari siamo molto occupati in lavori esterni, ma dentro siamo disoccupati, per cui il Signore ci chiede: “Perché passi tutta la tua vita a fare niente?” cioè “Non fai quell’unica cosa necessaria, cui ho accennato riguardo a Maria nei rispetti di Marta?”.

Rispetto a questo teniamo presente il versetto di San Giovanni nel Prologo che dice che “Senza di Lui tutto ciò che facciamo è niente”, tutto ciò che si fa è niente senza di Lui. Cioè quando il nostro uomo interiore non è impegnato con Dio, tutto quello che facciamo è niente.

Eligio: Tra il niente e il necessario c'è tutta una gamma di diversificazioni di posizioni…

Luigi: No, il niente scaturisce dal rapporto con il necessario (non esiste il niente di per sé, come lo zero non esiste di per sé). Il niente è sempre quando non c'è il tutto, quando non c'è l’essenziale, quando non c'è l’essenziale tutto diventa niente, anche se fosse la cosa più santa di questo mondo, è niente, lo direi in modo nettissimo: è niente. Cioè il resto non conta. Se c'è il necessario tutto il resto viene valorizzato. È come se avessimo tanti zero: per quanto noi moltiplichiamo gli zeri e facessimo una fila infinita di zeri, il nostro numero vale niente; se mettiamo l’uno, valorizza tutto. Così, tutte le azioni che noi facciamo, quando non c'è l’essenziale, non c'è l’uno, valgono sempre zero, non facciamo altro che ripetere lo zero. Se mettiamo l’uno davanti, allora questo valorizza tutto; ma bisogna che ci sia l’essenziale.

Nel campo spirituale è questo: “Una cosa sola è necessaria – dice Gesù a Marta – Maria ha scelto la parte migliore”. Quindi apparentemente sembra che Marta faccia molto e che Maria faccia niente, perché ascolta.

C'è molto ancora da dire su questo fatto: che l’essenziale del lavoro interiore, della vita interiore, sia nell'ascolto, perché noi quando abbiamo visto in che cosa consiste la vita dell’uomo interiore, abbiamo notato che l’uomo interiore vive nella misura in cui continuamente riporta al Principio, riferisce tutto al Principio. Ora, siccome il Signore continuamente parla a noi, tutto il suo parlare è sempre una proposta di lavoro, perché ci impegna sempre a riportare tutto ciò che Egli dice e fa a Lui. Ieri sera abbiamo visto che la vera vita inizia soltanto nel riportare a Lui. Ora se Dio manda a noi tante cose, ci riempie di proposte di lavoro.

Nino: Per questo Gesù ci dice: “È necessario pregare sempre”

Luigi: È necessario pregare sempre. C'è questo lavoro interiore da fare in continuazione, perché Dio sovrabbonda sempre in richieste di lavoro; e noi siamo sempre in difetto rispetto al lavoro che Dio ci offre. Non possiamo essere disoccupati.

Comunque circa questa disoccupazione interiore cerchiamo di mettere bene in evidenza quale sia la fonte, la causa di essa. Noi molte volte diciamo: “Quel tale non ha voglia di lavorare”, cioè manca di volontà. Molte volte uno non è preso dal lavoro o non è convinto di quel lavoro. Infatti cosa rispondono quegli uomini che se ne stavano sulla piazza, quando il padrone chiede loro: “Perché ve ne state tutto il giorno a fare niente?”, rispondono: “Nessuno ci ha presi a lavorare”. L’uomo da solo non può darsi il lavoro se non è preso, se non è attratto. Bisogna essere presi, bisogna quindi essere convinti.

Quindi bisogna proprio cercare di capire qual è la fonte della nostra disoccupazione interiore e quali sono anche le conseguenze. Le conseguenze poi di questa disoccupazione le mette molto bene in evidenza San Paolo nel I capitolo della Lettera ai Romani, dal versetto 18 in poi, parlando dell’uomo che non si preoccupa di cercare la gloria di Dio e di tutte le conseguenze che ricadono su di Lui. Anche la Lettera agli Efesini capitolo II, versetto 4 e poi al capitolo V, soprattutto il versetto 8 che è molto bello.

Come aiuto per capire cos’è questa disoccupazione interiore, pensiamo a quando ci troviamo con un disoccupato: quali sono le conseguenze della disoccupazione, e come viene a trovarci, perché l’uomo disoccupato è lo specchio del nostro uomo interiore disoccupato: si è in balia della piazza, in balia di tutti, si va a destra e a sinistra a cercare chi ci offre del lavoro, o qualcosa; si resta schiavi di … e si obbliga gli altri a lavorare per noi, a darsi da fare per aiutarci, ecc.

Rina E si arriva alla droga…

Luigi: E una delle conseguenze è questa: la droga. E noi siamo tutti drogati, perché noi siamo molto disoccupati interiormente. L’uomo moderno è tutto disoccupato interiormente. Quante persone non sanno lavorare interiormente, sono disoccupate interiormente. Proviamo un po’ a chiedere: “Dove sei occupato?” noi siamo molto occupati esteriormente…

Uno degli errori più grossi sta li: oggi è la giornata dei mass-media.  Siamo tutti li alla ricerca di potenziare i mezzi di comunicazione, e non ci accorgiamo che non abbiamo niente da comunicare: cosa comunichiamo? Quando io avessi dei grandi megafoni e altoparlanti, cosa posso dire se non ho niente dentro di me? non sono i mezzi da potenziare. Oggi come oggi l’uomo moderno ha una infinità di mezzi a disposizione, ma non ha il fine! Non sa per che cosa vivere! Che cosa comunichiamo? Diciamo niente! E noi crediamo con i mezzi di riuscire a risolvere la situazione?

Nino: È che sbraita di più chi non ha niente da comunicare.

Pinuccia: Per riempire il vuoto.

Luigi: Certo, invece il problema è questo: dobbiamo cercare il messaggio da comunicare. Quando arriva il messaggio, tutti i mezzi arrivano a disposizione per comunicarli, noi invece andiamo alla ricerca dei mezzi senza avere il messaggio. Come costruiamo delle grandi case e poi non abbiamo nessuno da metterci dentro e non sappiamo cosa farne (cfr. la stazione di Savona). Comunque l’importante è proprio tendere all’essenziale e il Cristo mette bene in evidenza gli argomenti e i problemi essenziali, all’anima delle cose e non preoccuparci poi dei mezzi. I mezzi sono tutti una conseguenza. Noi invece purtroppo ci preoccupiamo di avere i mezzi prima di avere il fine. No, prima cerca il fine; cioè prima cerca per che cosa devi vivere; devi sapere quello che vuoi, quello che vuoi in senso eterno, in senso assoluto, per il quale sei stato creato. Tutti i mezzi vengono dopo. E chiedendoci anche: quali rimedi sono possibili per uscire da questa disoccupazione interiore.

         Quindi:

         1°) quali sono le causa'?

         2°) quali sono le conseguenze?

         3°) quali sono i rimedi possibili?

Eligio: È confortante per noi vedere dalla lettura della Messa di oggi che anche gli apostoli a pochi giorni dalla Pentecoste rivelano di non aver capito niente, e quindi di essere disoccupati interiormente, chiedendo a Gesù: “È ora che ricostituirai il regno di Israele?”.

Pinuccia: Il rimedio allora è lo Spirito Santo.

Luigi: Certo, in dieci giorni però c'è stato in essi un capovolgimento. E quello è proprio una testimonianza della validità della discesa dello Spirito Santo. Cioè non è stato un fatto loro: loro sarebbero stati con la loro mentalità, perché l’uomo non può volere da solo nel campo dello Spirito. Se non riceve lo spirito, da solo continua sempre terra terra con i suoi argomenti. È Dio che quando i tempi sono maturi capovolge ogni cosa. Ma l’uomo da solo non può volare.

Eligio: E pensare che stettero tre anni a tempo pieno con Gesù.

Nino: Anche noi abbiamo la comodità di ricevere molto.

Luigi: E può essere un danno, perché si fa lavorare gli altri, e non si cerca più personalmente.

Nino: E si pensa meno. Invece dovremmo fermarci di più a contemplare ciò che Dio ha fatto e a rispettarlo.

Luigi: Noi siamo spettatori della gloria di Dio, e dobbiamo imparare a approfondirla, a conoscerla per poterlo veramente lodare, glorificare.

Nino: O almeno per poterci vivere coscientemente, perché se no sbagliamo sempre senza saperlo.

Luigi: Appunto perché manca la profondità di questa gloria di Dio di cui Dio ci fa spettatori.

Eligio: Impegnando di più il nostro pensiero ad esempio sul Vangelo, si colgono delle sintesi e nessi logici meravigliosi e allora si loda il Signore.

Luigi: A noi manca la profondità, siamo in superficie e in superficie vediamo tutto slegato e allora non possiamo glorificare Dio.

Ma per poco che approfondiamo, vediamo la sintesi e cominciamo a cantare la bellezza di Dio, delle opere di Dio, che sono una meraviglia: e diventiamo talmente meravigliati di questa bellezza, che non osiamo più nemmeno toccarla, metterci la nostra mano, tanto è fatta in modo perfetto. E allora l’uomo diventa sempre più contemplatore che attore, perché sa che l’attore è Dio. Nella possibilità di cantare Dio, di poter lodare Dio, per poterlo glorificare per la bellezza delle cose e la perfezione delle cose che fa, lui trova tutta la sua vita. Ad un certo momento arriviamo a sfiorare come la vita sia conoscenza, sia conoscere, perché in quanto noi conosciamo la bellezza, la profondità, la sapienza che c'è in una cosa, non osiamo più toccare quella cosa, ne parliamo soltanto più: la glorifichiamo.  E li troviamo tutta la nostra vita. non vogliamo più toccarla, e invece più noi siamo superficiali e più noi vogliamo modificare e non ci accorgiamo degli sgarbi che facciamo; per cui tutti si trattengono dal ridere nel vedere questa creatura cosi piccola che vuole cambiare il mondo.

Nino: A livello di gruppi nazionali e internazionali si studia tanto per le ricerche scientifiche, per le fonti di energia, ma chi si occupa della questione essenziale di vita? magari qualche persona isolata, e anche se ci riunisce in gruppo, siamo dei dilettanti, degli impiegati a tempo pieno, non dei professionisti… anche qui, io vorrei impegnarmi a tempo pieno, ma….

Luigi: Il fatto di volere è già una cosa. Guarda che la via per uscire dalla disoccupazione è proprio quella di incominciare a volere il lavoro, perché il peggiore dei disoccupati è quello che non vuole lavorare, che ha paura di lavorare.

Nino: Ma è necessario proprio dare un taglio con tante cose e isolarsi, perché è proprio isolandosi per riflettere che possiamo ricuperare poi tutto il resto; se no si continuano a fare gli sbagli senza saperlo.

Eligio: Ma se Dio mi vuole in una situazione esterna di disagio, debbo accettarla, pur sognando un’occupazione interiore a tempo pieno. Come faccio a spezzare le sbarre di ferro dietro cui mi trovo?

Nino: Io non sono convinto che “Dio mi voglia li”; Dio mi vuole li perché  non sono ancora maturo per un’occupazione a tempo pieno. Però io debbo volere…

Luigi: Si, devo maturare dentro. Non debbo preoccuparmi di spezzare le sbarre; debbo preoccuparmi di maturare dentro.

Nino: Se interrogo Dio, Egli mi dice: “Tu non sei giustificato in quello che fai, anche se fai questo o quello, ma sarai giustificato il giorno in cui avrai conosciuto Me”. Quando mi avrai conosciuto, potrai ritornare, ma prima mi devi conoscere. Per ora io ho una croce che non è quella di Cristo, ma è mia. Non posso fare confusione tra le due cose; per Dio mi parla troppo chiaro. Dio è Luce e non ci dà le cose confuse.

II PARTE

Luigi: L’argomento tratto dal versetto 44 è la disoccupazione dell’uomo interiore: la causa, le conseguenze di questa disoccupazione interiore e possibilmente trovarne i rimedi.

Cina: Sono disoccupata quando non ho presente il fine per cui sono stata creata e allora vivo di abitudini, delle cose che premono e prendono di più tutto subito, ecc.

Luigi: Quindi quello che ci fa lavorare è l’orientamento al nostro destino, al nostro fine. Se noi non abbiamo questo, il nostro uomo interiore resta disoccupato. E quindi non abbiamo molto da cercare noi, perché la Parola stessa di Dio ci dice il fine per cui siamo stati destinati, per cui ci ha creati. Non è che Lui ci abbia creati e poi ci abbia lasciato al buio. Dio stesso ci ha detto che ci ha creati per conoscerlo; ce l’ha dichiarato, e per partecipare alla sua vita eterna.

Teresa: Una delle cause della nostra disoccupazione è il pensiero del nostro io.

Luigi: È la causa.

Teresa: È l’essere schiavi della figura, per cui ci affaccendiamo come Marta per delle cose non necessarie. Tante cose si fanno o non si fanno per convinzione, ma perché non siamo liberi dal giudizio della gente, anche se in realtà alla gente poi importa molto meno di quanto pensiamo noi. Un altro motivo è l’ignoranza: ci fermiamo ai nostri argomenti umani senza interpellare Dio, senza approfondire la sua Parola che ci illuminerebbe sul vero lavoro da farsi.

I rimedi quindi sono: credere in Dio, lasciarsi attrarre da Lui, rimanere nel sua ascolto; cosi Egli ci trasmette il suo spirito che ci farà superare il pensiero del nostro io e ci farà vedere i veri valori e ci darà il desiderio di occuparci subito.

Luigi: Tu sei convinta che siamo creati per conoscere Dio?

Teresa: Una volta lo sapevo a memoria dal Catechismo, ma ultimamente me ne sono resa maggiormente conto.

Luigi: Quindi è li il lavoro principale che Dio chiede a noi. Un figlio di un re che è destinato a regnare, si prepara per regnare; quindi tutta la sua occupazione è determinata dal suo destino. Se noi siamo stati destinati a conoscere Dio, tutta la nostra occupazione principale dovrebbe essere determinata da questo nostro destino, giorno per giorno. Quindi il nostro vero lavoro dovrebbe stare li. È li la vera occupazione interiore.

Teresa: Prima per me conoscere Dio non era un’occupazione; credevo bastasse sapere che è nostro Padre, e conoscere i suoi comandi. Però ora capisco che non è mai conosciuto.

Luigi: Dio si è fatto nostro lavoro. È li la meraviglia: Dio si è fatto nostro lavoro! Si è fatto nostra occupazione: “Tu ti occuperai di Me!”. Ci ha creati destinandoci a Sé e ci ha detto: “Ti occuperai di Me!”. Più noi ci occupiamo di Lui e più noi entriamo nella vita. Ecco, è per questo che Maria lavorava molto più di Marta: perché il lavoro essenziale sta nell’ascoltare. Noi ci occupiamo molto di una persona nella misura in cui ci fermiamo ad ascoltarla molto, per conoscerla molto. Per cui Dio creandoci, ci ha detto: “Ti occuperai di Me!”. Naturalmente, più noi ci allontaniamo da Lui, non capiamo il nostro destino, più Lui ci deve in un certo modo ricuperare attraverso le catene che ci mette con il mondo, perché altrimenti noi moriremmo. E allora ci mette in un’infinità di bisogni, di doveri, per mantenerci in qualche dialogo, sotto qualche forma nella nostra decadenza. Ma il lavoro principale è li: “Ti occuperai di Me, per conoscere Me!”.

Teresa: Ciò che per noi è un valore (figura, mangiare, ecc.) lo offriamo anche agli altri.

Luigi: Certo, perché siamo convinti che quelli siano valori.

Teresa: Per cui Marta amava Gesù e voleva offrirgli del suo meglio, ma il suo meglio per lei era preparargli un bel pranzo.

Luigi: Pensa se Gesù avesse detto a Maria: “Dai una mano a Marta”. Facciamo questa ipotesi: che Gesù avesse detto a Maria: “Da’ una mano a Marta, perché effettivamente ha molto lavoro”. Tiriamo le conseguenze.

Rina Si sarebbero sbrigate prima e quindi tutte e due sarebbero state disponibili all’ascolto.

Luigi: Così dici tu..

Pinuccia: Bisognerebbe sapere se anche Marta aveva lo stesso desiderio di Maria.

Teresa: Bisogna vedere: se le due cose sono necessarie, allora…

Luigi: Perché Gesù rimproverò Marta, anziché dire a Maria: “Dai una mano a Marta, così fa più in fretta e potete ascoltare tutte e due?” perché non disse questo?

Tutte le cose che ha fatto Gesù, le ha fatte per insegnare a noi qualcosa di molto importante e di molto valido. Ma pensiamo che Gesù avesse detto così: Marta sarebbe stata confermata nel suo lavoro: “Ah, questo lavoro che faccio è molto importante perché Gesù stesso ha distaccato Maria”, quindi avrebbe confermato Marta nel suo errore. L’avrebbe confermata: “È una cosa necessaria quello che sta facendo Marta: dai una mano! È necessario”. Ha liberato Marta dall’errore: l’ha messa nella possibilità veramente di ascoltare.

Perché quello che impedisce a noi di ascoltare e quindi di fare, di avere l’occupazione interiore, è un’altra occupazione.

È quella che ci impedisce di ascoltare, perché noi riteniamo necessario altro, e quel ritenere necessario altro impedisce a noi di ascoltare anche quando quel lavoro li è  cessato.

Se Gesù avesse detto a Maria: “Dai una mano a Marta”, non è detto che finito il lavoro, tutte e due sarebbero state più disponibili per ascoltare Gesù: tutte e due non sarebbero più  state disponibili per ascoltare Gesù. Interiormente: perché Gesù non sarebbe più stata l’unica cosa necessaria. Cosa necessaria sarebbe stata il lavoro da fare, per cui quel lavoro che avrebbero fatto avrebbe impedito loro di ascoltare Gesù. il lavoro fatto, finito: avrebbe impedito loro di ascoltare Gesù. La soddisfazione del lavoro fatto! Perché noi diventiamo figli delle nostre opere, quando siamo confermati circa la validità di quello che facciamo.

Teresa: Ma tu togli tutto al completo!

Luigi: Non sono io, è Gesù che…

Teresa: Alcuni interpretano quello che Gesù ha detto: “Una cosa sola è necessaria” come “Un solo piatto è necessario, basta uno”.

Luigi: No, Gesù non ha detto questo. È sbagliato, è proprio sbagliato, perché “Maria ha scelto la parte migliore” e non sta facendo nessun piatto. Maria non sta facendo nessun piatto, eppure stava facendo il piatto migliore; infatti Gesù ha detto: “Ha scelto la parte migliore”. E che parte stava facendo Maria? Stava seduta ai piedi di Gesù o Lo stava ad ascoltare. Questo è il lavoro principale. Ora, come Gesù apriva l’orecchio, il cuore di Marta al lavoro principale? Proprio segnalando che Maria stava facendo il lavoro principale, per cui era Marta che doveva aiutare Maria, e non Maria aiutare Marta. Era Maria quella che faceva il lavoro principale, non era Marta che lo faceva. Questo è Gesù, questo è il Verbo di Dio, ecco, il Verbo di Dio che viene a recuperare le creature dalla loro dispersione. Questa è la funzione dell’Incarnazione. Gesù non si è incarnato per aiutarci a sbrigare in fretta i nostri lavori! In modo da poter aprire i nostri orecchi all’ascolto.

Teresa: Ci libera si, ma proprio da quel tutto..

Luigi: Ma vedi, allora non siamo convinti che siamo stati creati per conoscere Dio. Se siamo stati creati per conoscere Dio, tra Marta e Maria, chi è che ha fatto il lavoro principale?

Teresa: Ma intanto tutti mangiamo!

Luigi: Sii coerente: se siamo stati creati per conoscere Dio, tra Marta e Maria chi è che faceva il lavoro principale? Tu mi hai detto che sei convinta che siamo stati creati per conoscere Dio. Se siamo stati creati per conoscere Dio, chi lavora di più è colui che maggiormente cammina su quella strada li, si avvicina al fine per il quale è stato destinato: quello fa il lavoro, il vero lavoro. Ora, se siamo convinti che siamo stati creati per quel fine, il vero lavoro sta li.

Teresa: Si, quello è il lavoro principale, primario, ma non unico.

Eligio: Non è facile a capirsi, perché Gesù è andato in quella casa invitato a pranzo: qualcuno quindi doveva pur prepararlo.

Luigi: Teniamo presente che Gesù ha moltiplicato i pani, quindi è Lui che dà da mangiare; non è che Lui abbia bisogno di mangiare, ma è Lui che lo dà. Quell’invito a pranzo che Lui ha accettato era un mezzo… lui era amico, era in amicizia con le persone di quella casa, però questo non giustificava il fatto che essendo amico non aiutasse gli amici a salvarsi. Non è che perché erano amici Lui li confermasse nel loro errore per non rimproverarli. No, anche verso gli amici Gesù usava i rimproveri, appunto perché è venuto per salvarli; quindi Lui non veniva meno alla sua funzione essenziale anche in casa di amici.

Teresa: Penso che Gesù ha rimproverato Marta solo perché si affannava, non perché ha preparato il pranzo. Perché se ad esempio Cina crede che invece Gesù voglia dire che l’attività di Maria è l’unica cosa necessaria, domani non deve più preparare da mangiare. Ma penso che Gesù voglia dire che non dobbiamo preoccuparci di questo, cioè non metterlo come fine della nostra vita, però la dobbiamo fare, perché nessuno di noi sta senza mangiare.

Nino: Ma non dobbiamo considerare la preparazione del mangiare come il lavoro.

Luigi: Va bene, uno fa tante cose: cammina, dorme, si sveglia e tutto fa per la gloria di Dio. Si possono fare tante cose, ma uno deve sempre dire: “Ma questo è niente, questo è niente…”, cioè avere sempre la consapevolezza del niente rispetto al tutto per cui siamo creati, rispetto a quello che vale. Quando io ho preparato tutto per mangiare, quando io ho dato tutto ai poveri, quando io ho fatto tutto, ecc.: è niente questo! Perché devo avere la consapevolezza di quello che veramente vale. Per cui se Cina, convinta di quello che veramente vale, si volesse dedicare a quell’essenziale, stai tranquilla, che il Signore se fosse necessario, e non ci fosse nessuno che preparasse da mangiare, glielo fa trovare sul tavolo. Dio ha questa possibilità. A quanti santi ha fatto trovare il mangiare e li ha liberati dal problema del mangiare. Noi non dobbiamo opporci e dire: “Ah, un momento, noi dobbiamo mangiare”. Non poniamo questo, poniamoci l’essenziale e il resto in un modo o nell’altro viene. Viene, perché c'è sempre qualche creatura che in cammino che fa quello di cui tu hai bisogno. Il Signore dice: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti…. E lascia che quelli di cucina facciamo la cucina…”. C'è sempre cioè qualche creatura in cammino che fa quello di cui tu hai bisogno. Il Signore dispone Lui.

Nino: Se Gesù in persona ci parlasse stasera qui, sentiremmo ancora il problema di mangiare stasera? O al massimo ci accontenteremmo di un pezzo di pane!

Luigi: Ma no, uno non sente il problema di mangiare, perché di fronte al Signore trova pienezza di vita.

Teresa: Invece Marta aveva talmente il pensiero del mangiare che..

Luigi: Voleva sottrarre anche Maria dall’ascolto di Gesù.

Teresa: Eppure lo faceva per ospitalità nei confronti di Gesù.

Luigi: Si, ma tante cose si fanno per il Signore! Es.: seppellire i morti; eppure Gesù dice: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti: tu vieni e seguimi”. Cioè bisogna avere l’anima disponibile per Dio e non preoccuparci. “Ma allora i morti chi li seppellisce?”, ci preoccupiamo. Quante volte si sente dire: “Ma allora il mondo come farebbe a tirare avanti?”

Teresa: Marta si preoccupa di dare mentre Gesù era venuto per dare a lei.

Luigi: Si capisce. Il Signore mette sempre a posto i voleri, cioè il Signore si preoccupa dell’essenziale. guarda come recupera l’essenziale di fronte ad esempio a sua Madre, addirittura, e quanti richiami: “Cosa importa a me e a te, o donna?” ecco, vedi? È sempre questo richiamo all’essenziale: “Chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli? Chiunque ascolta la parola di Dio, questi è mio fratello, mia sorella, mia madre”. Sempre questo richiamo continuamente all’essenziale.

Lui ci salva proprio attraverso questo, perché noi continuamente scivoliamo, ci allontaniamo dall’essenziale, dicendo: “Questo è necessario farlo; questo è necessario farlo, ecc.”; ad un certo momento noi facciamo tutto il resto e non facciamo più l’essenziale, perché diciamo: “Questo è necessario farlo, questo è necessario farlo!”. No, il tuo cuore deve essere talmente preso dall’essenziale, per cui quando tu hai fatto anche tutto, dici: “È niente tutto quello che ho fatto, perché quello che mi sta a cuore è altro!”. Quando noi abbiamo qualcosa che ci sta molto a cuore, tutto quello che facciamo, perché dobbiamo ubbidire ad uno, all’altro, lo facciamo si, ma diciamo: “Intanto questo è niente, perché mi sta a cuore quell’altro!”. Ecco, se uno fosse preso da un amore intensissimo, si, fa tanti lavori, ma il suo cuore è talmente là per cui ritiene niente tutto quello che fa, perché la sua gioia è soltanto restare con la persona amata. Il giorno, il momento, i cinque minuti di tempo libero che ha, corre subito da lei: ecco, quello è veramente ciò che vale; vedi?

Quando noi siamo veramente convinti che ciò che veramente vale è questo, non è che non si faccia altro: si fa tutto quello che si deve fare, perché naturalmente Dio ci manda il prossimo, ci manda delle creature, ci manda questo, uno lo fa perché è Dio che lo manda, però sa che è niente, perché quello che vale è l’altro. E uno ha la consapevolezza di questo, e non distoglie Maria dall’ascolto anzi dice: “Io sospiro un momento…” ma non distolgo l’altra, voglio anch’io arrivare ad essere cosi disponibile come è disponibile Maria, perché so che quello è il lavoro essenziale. cioè, se siamo veramente convinti che siamo creati per conoscere Dio, non possiamo fare a meno di ritenere che l’essenziale sta nel fermarsi ad ascoltare Lui.

Per cui ogni nostra giornata vale in quanto ci siamo impegnati, occupati nell’ascolto della Parola di Dio, ad approfondire la Parola di Dio, perché questo è il vero lavoro.

Dio ci inonda di segni suoi, di parole sue: sono tutte rivelazioni. Lui ci parla attraverso tutte le cose. E noi ogni giorno dovremmo avere il nostro uomo interiore occupato nell’approfondire che cosa Dio ci vuole significare attraverso questo, attraverso quell’altro, per cercare di arrivare alla sua Presenza, attraverso la sua Parola (le sue parole sono un sentiero, sono una scala, attraverso la quale arrivare alla Presenza), perché lo scopo è quello di arrivare alla Presenza. L’amore conduce, fa desiderare la Presenza dell’Essere amato. E fintanto che uno non arriva li, ritiene niente tutto quello che fa. Sei convinta?

Cina: Cioè sarebbe cosi: so che restare col Signore è la cosa più importante, però data la mia debolezza e incapacità perché non so restare, faccio anche altri lavori: anche, quasi come un sollievo.

Teresa: Allora vuol dire che ci stanchiamo col Signore?

Luigi: No, noi siamo incapaci a restare col Signore. Tuttavia la nostra difficoltà sta li: che noi siamo incapaci a restare nella vita eterna. La vita eterna è già adesso, ma noi non siamo capaci a restare.

Nino: Dopo essere stato un’ora con Dio, lo sforzo che debbo fare è di portare il pensiero di Dio anche in quel lavoro li che faccio dopo.

Luigi: Certo, è logico. Cioè, non è che facendo un lavoro uno si distragga.

Nino: Ma il lavoro però tende a distrarci.

Luigi: Tu capisci che se avessimo tutta la giornata a disposizione per Dio, io penso quanto tempo sprecheremmo. E il Signore che ci conosce, allora ci manda altre cose perché non siamo capaci, non siamo capaci a restare.

Nino: Certo, è normale, è un lavoro, è un impegno. Ma la testa si stanca e allora sento il bisogno di cambiare e fare altro per un po’ di tempo.

Luigi: Si capisce, il Signore che sa la nostra debolezza, manda il fratello, se uno sta pregando, a bussare alla porta, per cui uno non può giustificarsi dicendo: “Io  sto pregando, tu stai fuori!”. No, perché il Signore nel giudizio mi potrà dire: “Ero io e tu mi hai chiuso fuori, perché dicevi che stavi pregando Me, e non ti sei accorto che ero io che suonavo alla porta”. Dio interviene in tutto per aiutare noi nel lavoro principale. Ora siccome noi possiamo credere di pregare, e poi invece andiamo a zonzo con la nostra vita, peggio che se fossimo invece sul lavoro, allora ecco che il Signore ci manda qualche impegno, ecco non fosse altro che per fermare le nostre distrazioni, che forse sono molte quando crediamo di avere tutta la giornata a disposizione. Io sono convinto che se avessimo tutta la giornata a disposizione, noi sprecheremmo la maggior parte della nostra giornata in niente. Ed ecco allora che il Signore magari ci fa fare qualche cosa verso il prossimo, che ci aiuti a superare il nostro egoismo e intanto prepara la nostra anima ad essere costante, perché quanto più noi siamo educati a superare il pensiero del nostro io, tanto più diventiamo capaci di restare con il Signore. Ma è necessario avere molto superato il nostro io. Quello che rende incostanti, è il pensiero del nostro io: è questo che ci fa stancare nel pensiero di Dio. cioè, non siamo capaci di portare, ci dice Gesù, le molte cose che ho da dirvi, e lo dice ancora adesso ad ognuno di noi: “Io ho molte cose da dirvi”. Abbiamo visto ieri sera le belle sintesi a cui il Signore ci conduce quando ci fermiamo un po? A contemplare la sua gloria. Dice: “Io ho molte cose da dirvi, ma non siete capaci a portarle”, e che cos’è che ci rende incapaci di portarle? È il pensiero del nostro io.

Il Signore dice questo alla fine dei tre anni con i suoi discepoli e noi ci accorgiamo alla vigilia di Pentecoste che i discepoli sono ancora immersi nel mondo, per cui ritengono che il regno di Dio debba venire sulla terra. Vedi? Ecco quello che ci rende incapaci di portare le tante cose che Lui ha da dirci! È un infinito che Lui ha da dirci, che Lui deve riversare in noi! È tutta una vita infinita, perché è il suo stesso Infinito che diventa nostra vita eterna. Però noi non siamo capaci… allora Lui vedendo che noi non siamo capaci di portarlo, ecco che magari ci manda a due a due a parlare al prossimo, ci manda a fare qualcosa, a preparare il Cenacolo, perché non siamo capaci di portare tutto quello che Lui ha da dirci.

Pinuccia: Quindi diventa un aiuto, una misericordia sua.

Luigi: È una misericordia di Dio, perché se vede che noi non siamo capaci, allora ci sorprende con tante piccole cose, nei riguardi del prossimo, e intanto proprio attraverso queste cose ci aiuta. Però non dobbiamo mai scambiare e ritenere quelle piccole cose che il Signore ci dà da fare, siano necessarie, perché il giorno in cui io dico: “è necessario”, è finita! Perché allora faccio la Marta, allora ritengo che quello che sto facendo è necessario e che invece il necessario, cioè ascoltare Dio, cercare Dio, conoscere Dio, quello sia passato in secondo ordine, cosi capovolgiamo ogni valore.

Pinuccia: È questione di formarci quella mentalità, quella gerarchia giusta dei valori dentro di noi.

Luigi: Debbo capire che gli atti di misericordia del Signore che ci dà per supplire alla nostra incapacità a restare nel lavoro essenziale, sono per la nostra debolezza e quindi dobbiamo sempre dire: “Ma questo è niente, perché il mio amore è lassù; soltanto che io non sono capace a restare con Lui; resto cinque minuti e poi non sono più capace; eppure voglio, ma per debolezza non riesco”.

Invece succede che noi nel pensiero dell’io diciamo: “Quello che sto facendo è importante”. Quante volte ho sentito dire: “Questo è importantissimo”, e magari cinque minuti dopo era già nel cestino della carta. Qualunque cosa tocco, qualunque cosa faccio: questo è importantissimo, questo vale molto. Sempre cosi. È il nostro io che dà valore alle cose. No, noi dobbiamo sempre continuamente dire: “Questo è niente!”, perché quello che veramente vale è altrove, quello che mi sta a cuore è altro.

Cina: È molto più facile che sia il materiale a portare via lo spirituale che viceversa.

Luigi: Certo! Ma poi non dobbiamo aver paura dello spirituale, capisci? Non bisogna aver paura che ad un certo momento lo spirituale ci porti via il mangiare, stai tranquilla! È il mangiare che ci porta via lo spirituale, ma lo spirituale non ci porta via il mangiare, no, no. Non deperisci, stai tranquilla!

Teresa: Penso che gli altri lavori siano anche un banco di prova, perché pregando a volte, uno si può illudere…

Luigi: Si, molte volte possiamo anche illuderci di pregare, invece col pensiero andiamo a zonzo.

Teresa: Noi possiamo illuderci di essere uniti al Signore: se siamo veramente uniti il fare altro non ci disunisce. Se non siamo disposti ad accogliere chi ci bussa alla porta, vuol dire che credevamo di essere uniti a Dio, ma…

Luigi: Anche quello è un segno, certo. però quello, ad esempio, non ci autorizza ad andare in piazza, capisci? Se mio fratello viene, si, lo accolgo, però non mi autorizza ad andare in piazza. Perché noi possiamo poi scambiare, ad un certo momento, e ritenere necessario, utile, ecc.. questo o altro. Dobbiamo sempre rispettare tutto, perché in tutto c'è la mano di Dio, però non dobbiamo scambiarlo come oggetto di vita, perché altrimenti arriviamo a trasformare la nostra vita in una chiacchiera. Come possiamo anche sbagliare nel pregare, altrettanto possiamo sbagliare nel rapporto con il prossimo, per cui: faccio cucina? Ad un certo momento ritengo di fare il mio dovere facendo bene la mia cucina e la mia giornata è a posto. Parlo con una persona? È un atto di amore del prossimo, e finisco in chiacchiere e barzellette e credo che questo sia amore del prossimo, comprendi? Con facilità noi viviamo soltanto più di pagliativi e l’essenziale l’abbiamo completamente dimenticato. No, è l’orientamento al fine è quello che ci salva, sempre il Fine, cioè il Pensiero di Dio che ci fa ritenere: “Ma questo è niente, questo è niente, questo è niente!”. “Va, lascia tutto quello che hai, vieni e segui me!”. Ecco: “Va e lascia tutto quello che hai!”. Il Signore questo in continuazione ce lo dice. In continuazione ci dice: “Va, vendi tutto quello che hai e segui Me, va vendi tutto quello che hai”. È soltanto se in noi c'è questa convinzione che possiamo mantenerci orientati all’essenziale. È questa convinzione che ci fa dire in continuazione: “Questo è niente!”. Se non si forma in noi questa convinzione noi siamo disoccupati, credi pure, disoccupati interiormente. Facciamo, ci agitiamo tanto, ma interiormente siamo disoccupati.

Nino: L’uomo è disoccupato quando non pensa Dio, ma è rivolto a tanti amori. Dio ha posto in noi il desiderio dell’assoluto e ci ha reso manifesto che esso non si trova né nell’uomo, né nelle creature. Se siamo interessati a conoscerlo prima di tutto, ci fa incontrare il Cristo, il solo Maestro che soddisfa il nostro interesse e ci conduce alla conoscenza di Dio, convincendoci, con tutto il suo operare, di ciò che è essenziale e che non è possibile servire a due padroni, convincendoci che la vita eterna è conoscere il Padre e che la vera occupazione è dare a Dio il nostro pensiero e la nostra attenzione. “Non sapete che debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?”. Difende Maria nei confronti di Marta. Ci fa capire che il vero valore non è la figura, ricchezze, benessere, ma il nostro impegno con DIo; ci invita al nostro vero lavoro: “Pregate sempre”. Pregare  è accogliere tutto da Dio e riportarlo a Dio per comprenderlo alla luce di Dio ed è avere come meta la conoscenza personale del Padre, per la quale vale la pena dar via tutto il resto. Il nostra gran daffare in tante altre cose è fare niente agli occhi di Dio se non ci occupiamo di Lui.

Luigi: Teresa, sei convinta che il disoccupato è colui che fa niente?

Teresa: No, è colui che si da fare per soddisfare i propri interessi e non cerca il regno di Dio.

Luigi: Ma il niente salta fuori dal rapporto con quello che si deve fare. Se non fa quello che si deve fare, è niente tutto quello che fa. Se si agitasse anche da mattino a sera, è niente, fa niente e resta disoccupata e noi siamo disoccupati interiormente; ma ci agitassimo anche da mattino a sera, se non facciamo l’essenziale, tutto quello che facciamo è niente. “Perché state tutto il giorno a fare niente?”. Se non siamo presi da Dio, tutto quello che facciamo è niente, perché non facciamo l’essenziale, non rispondiamo al nostro destino, ed è niente tutto quello che facciamo.

Nino: La lettera ai Romani al capitolo I ci dice: “Il trascurare di conoscere Dio (e Dio offre ad ognuno la possibilità di conoscerlo), determina in noi la pazzia della nostra ragione, per cui ci crediamo sapienti, essendo stolti.

Luigi: Certo. E poi anche nella lettera agli Efesini: “Voi un tempo vivevate senza Dio, schiavi degli elementi del mondo”. Quel vivere senza DIo: cioè vivevate senza avere la vostra vita orientata a Dio, orientata all’essenziale, e allora eravate schiavi degli elementi del mondo. Ecco, adesso avete trovato il Salvatore delle anime vostre: Colui che vi porta a lavorare con Dio: ecco la salvezza! Che vi porta cioè all’essenziale. Un tempo vivevate senza Dio: ecco l’uomo disoccupato. L’uomo che è senza Dio è disoccupato, perché allora cade schiavo degli elementi del mondo, ritenendoli necessari, perché senza quelli non può vivere. Ecco allora trasformati in idoli tutti quelli che sono invece i mezzi.

L’uomo è interiormente occupato quando è tutto disponibile ad accogliere e approfondire le parole che Dio gli fa giungere, a raccogliere tutto in Lui: è assorbito dalla totalità di Dio. L’uomo interiore invece è disoccupato quando non fa niente di tutto questo: tutto preso dalle cose della terra, dimentica il fine per cui deve vivere.

Luigi: Quindi più cresce l’uomo esteriore, più occupato è l’uomo interiore e più diminuisce l’uomo interiore, cioè resta disoccupato l’uomo interiore. È li la tragedia dei nostri tempi; nei tempi moderni hanno creato molta occupazione per l’uomo esteriore, ma l’uomo moderno, sostanzialmente è un disoccupato nel mondo interiore. Tutta la tragedia sta li. L’essere nostro (quello che conta è l’essere, non l’avere), l’essere nostro non è sembrare, l’essere nostro viene dall’Essere. Quindi quanto più noi partecipiamo all’Essere, tanto più in noi cresce l’essere nostro, quello che siamo. Ma quanto più noi facciamo crescere il sembrare, che è l’uomo esterno, l’uomo esterno non modifica l’essere nostro, per cui noi all’ultimo ci troviamo con lo zero di prima: noi siamo uno zero. Non modifichiamo il nostro essere.

Nino: È chiara la contrapposizione tra essere e avere. Se mettiamo la nostra vita nell’avere, alla fine i soldi non ce li portiamo dietro.

Luigi: È evidente ad un certo momento Dio interviene con le sue lezioni per farci capire che non possiamo portarci niente dietro di ciò che abbiamo. È proprio evidente questo: per quanto noi abbiamo, questo non cambia quello che siamo. Cioè, quello che io sembro, non cambia quello che io sono. L’importante è invece scoprire quello che modifica quello che io sono, e quello che modifica quello che io sono è soltanto l’Essere. Quindi più uno si occupa di Dio, più modifica quello che veramente è, cresce nell’essere. Magari perde in avere, ma cresce nell’essere, e questo è l’essenziale, perché è ciò che resta. È quello che vorrei mettere bene in evidenza. Ecco perché è necessario che l’uomo interiore sia occupato, perché è soltanto l’occupazione interiore che modifica quello che noi siamo, mentre invece l’occupazione esterna non modifica quello che noi siamo, ma ci lascia quello che siamo, cioè con tutta la nostra miseria addosso. Noi non possiamo modificare noi stessi con l’avere. Noi modifichiamo noi stessi con l’Essere. Quindi più noi partecipiamo all’Essere, più noi cresciamo in vita.

Nino: Con l’avere possiamo modificare in peggio.

Luigi: Si, perdiamo e rendiamo niente magari anche tutto quello che Dio ci ha fatti essere: se ci preoccupiamo dell’avere. Mentre invece modifichiamo quello che siamo, cambiamo veramente quello che siamo, quanto più ci occupiamo dell’Essere, cioè partecipiamo all’Essere.

Eligio: Quindi quando uno dimentica il fine per cui è stato creato, tutto quello che fa è niente (niente rapportato a ciò che deve fare). E che cosa deve fare? Deve modificare ciò che è, e non fermarsi al sembrare dell’uomo esteriore. In nostro essere si modifica cercando Dio. E Gesù ce lo conferma: “Non sapevate che debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?” per cui chi ascolta, modifica se stesso.

Luigi: Ecco per Maria faceva il lavoro vero nei confronti di Marta. Marta non faceva niente, perché non modificava se stessa. Maria, ascoltando Gesù, il Verbo di Dio, modificava se stessa e quindi lavorava veramente. E Marta non lavorava; non lavorava perché non modificava se stessa. Ora, il lavoro essenziale è questo modificare noi stessi, ma non siamo noi che possiamo modificare noi stessi, è Dio che modifica noi stessi. Quindi nella misura in cui noi ascoltiamo Dio, Dio comunica a noi il suo lavoro, quindi ci fa salire di essere in essere, di luce in luce, e la luce di Dio è Essere, e quindi ci rende partecipi… cioè ci rende capaci di restare. Ecco quel famoso restare, restare con Lui.

Rina La causa della disoccupazione è il pensiero dell’io, per cui non c'è attrazione per il Padre (“non si è presi”, non si è convinti) e non si sa come fare.

Luigi: Certo, fintanto che c'è il nostro io al centro non possiamo essere attratti.

Rina Non si sa come fare per incominciare.

Luigi: Per incominciare bisogna partire dal Principio.

Rina Non si ha nemmeno la volontà per incominciare.

Luigi: Si, la mancanza di volontà è una conseguenza del non essere presi. Ma noi non siamo presi, perché non guardiamo Dio; cioè: Dio è il Principio, il Principio anche del nostro lavoro, quindi il Principio della nostra attrazione. Ora, Dio si annuncia a tutti. Infatti si definisce che Dio è Colui che nessuno può ignorare.

Cina: “Saranno tutti ammaestrati da Dio” dice…

Luigi: Siamo tutti ammaestrati da Dio. Ora, io non posso ignorare la persona che parla con me. La posso disprezzare, la posso bestemmiare, posso scappare, ma non la posso ignorare. Ecco, Dio parla con ognuno di noi. Noi cominciamo ad essere attratti, presi, incominciamo a lavorare, soltanto dal momento in cui facciamo attenzione; per cui Dio diventa il Principio. Ma fintanto che pensiamo a noi, non facciamo altro che dire: “Che barba!”. Ecco, perché  abbiamo un altro pensiero, il pensiero del nostro io. E allora questo ci impedisce di essere attratti, e allora ci toglie la volontà, ci priva della volontà, però la volontà in noi è la forza di gravità che procede da ciò a cui guardiamo. Se io guardo un albero da frutta, resto attratto e incomincio a desiderare i frutti. Ognuno di noi è attratto da ciò a cui pensa. È li la volontà. Ora, se noi guardiamo Dio, incomincia ad operare in noi la Volontà di DIo: la Volontà di Dio, non la volontà nostra. Se noi guardiamo a noi stessi, al nostro io, alla nostra figura, un’altra volontà subentra e allora Dio non mi attrae più, non sentiamo più la volontà di lavorare con Lui.

Rina I rimedi: per uscire dalla disoccupazione bisogna voler lavorare, anche se questo non è che dipenda da noi, pur avendone il desiderio.

Luigi: Cioè: da parte nostra ci vuole il superamento dell’io. E questo desiderio è grazia di Dio, è dono di Dio. Se guardiamo Dio, il desiderio di Dio, la volontà che abbiamo in noi è dono di Dio. Se noi non guardiamo Dio, il rifiuto è nostro, perché Dio parla. Cioè, se una persona parla con me, se io ascolto quella persona, il dono è tutto di quella persona perché essa, in quanto io l’ascolto, si dona a me. Ma se io mi rifiuto, il rifiuto è mio, solo mio, perché quella persona sta parlando a me.

Teresa: Cioè debbo agire, ma non debbo attribuire a me…

 Luigi: È tutto dono di quella persona. Se quella persona non mi parlasse, io non potrei nemmeno desiderarla. Noi amiamo in quanto riceviamo amore. La creatura è niente. La creatura è un essere che riceve, soltanto ricezione. Nella misura in cui riceve, ha la possibilità; non è detto che lo faccia, di donare l’attenzione…

L’attenzione a Dio è un dono d’amore verso Dio, ma noi possiamo donare questo atto d’amore verso Dio (perché chi fa attenzione ama), noi possiamo far attenzione a Dio, e quindi amare, fare questo dono a Dio, nella misura in cui Dio guarda noi, dona Sé a noi, ama noi: per cui è una risposta d’amore. Non è detto che avvenga. Allora, se noi diamo attenzione a Dio, il dono è di Dio, perché noi non potremmo fare attenzione, se Dio per primo non donasse il suo amore a noi. Se noi non facciamo attenzione a Dio, la colpa è nostra, solo nostra, perché noi abbiamo avuto la possibilità di fare attenzione, in quanto Dio ci ha amati.

Sei convinta, o no?

Rina Si, tra i rimedi quindi anche quello di vedere qual è il nostro destino, e convincercene.

Luigi: Ecco, prima di tutto, convincerci del destino per cui siamo stati creati. È li il rimedio. Se noi non siamo convinti di questo, tutto parte. Bisogna essere convinti di questo: per che cosa tu sei stato creato? Quale destino ho? Che cosa ci sto a fare? Ecco, se non siamo convinti di questo, non sorge il lavoro, non ci impegniamo, perché noi crediamo che il nostro lavoro sia altro: non sono destinato a quello. Ma se io so e mi convinco, e sono veramente sicuro che sono destinato li, sono sciocco, se non mi impegno li, perché tutto quello che faccio altrimenti è niente. È come se perdessi tempo. Ora, se questo è l’essenziale per la mia vita, perché risolvo tutta la mia soltanto andando là, tutto quello che faccio di altro, anche se mi affaticassi e sudassi, è niente, perché non faccio l’essenziale. È inutile che tu perda tempo, allora: tu sei destinato ad andare là. Ora soltanto il giorno in cui mi convinco che debbo veramente andare là, allora mi impegno veramente a fare un lavoro che vale, perché mi organizzo per arrivare là. Allora tutto: muovo una paglia? La muovo in quanto mi serve per arrivare là. Mi compro un paio di scarpe? Lo faccio perché mi servono per andare là. Mi alleno, faccio camminate, sempre perché mi serve per andare là. Allora tutto: anche le minime cose: mi riposo? Mi riposo perché debbo essere forte per poter andare là. Ecco, tutto è orientato là. Allora tutto quello che faccio, acquista valore, perché finalizzato là, dov’è il mio scopo, il mio destino, tutto quello che faccio è niente e serve a niente.

Pinuccia: Tutto è mezzo.

Luigi: Si, ma il mezzo presuppone il fine, e il fine va messo come principio, altrimenti tutto quello che io faccio diventa fine a sua volta, e quindi si annulla; perché come noi sostituiamo al mezzo il fine, immediatamente Dio ce lo annulla, non fosse altro facendoci pensare: “Ma questo domani lo perderò tutto, è niente”. Ecco, ce lo annulla psicologicamente, in quanto ci capire che è niente, che è vano.

Eligio: La vera occupazione presuppone la passione per Dio: è l’unicità d’amore. Gli atteggiamenti fondamentali dell’uomo interiore sono: la coscienza che tutto è opera di DIo; l’attenzione viva all’operare di Dio; la certezza che l’operare di Dio è un dialogo con noi personalmente e che è un operare per amore, per portare l’anima all’unione con Sé; e per ultimo: la risposta della creatura non può essere che una risposta d’amore alle continue proposte di amore da parte di Dio.

Luigi: No, può anche non essere d’amore; cioè non è detto che necessariamente debba essere una risposta d’amore.

Eligio: È però la condizione se voglio essere uomo interiore.

Luigi: Se vuoi essere tale, senz’altro, d’accordo.

Eligio: Cristo è il Maestro che ci insegna a restare nel Pensiero del Padre, a dare cioè questa risposta di amore, facendoci scoprire l’amore infinito del Padre. Come si può non tendere con il massimo di tensione interiore a questo Essere che ci ha amato infinitamente e quindi non essere occupati illimitatamente? Se una creatura che amiamo, che è piena di limiti, quando è lontana la amiamo con il pensiero costante, tanto più, conoscendo Dio, Lo amiamo a tempo pieno.

Luigi: Tu vedi però che anche proprio nell’amore umano, l’amore tende ad eliminare le distanze. Cosa vuol dire quel tendere ad eliminare le distanze? Tende a convivere, perché nell’amore umano uno incomincia a trovarsi cinque minuti, poi i cinque minuti debbono diventare dieci, poi un quarto d’ora, poi un’ora e ad un certo momento si desidera a tempo pieno la convivenza. Infatti due che si amano, ad un certo momento mettono su casa, perché? Qual è la molla di tutto questo? Voler essere sempre assieme. E questo è simbolo, perché tutto è simbolo, tutto è segno. Ora, vedi che anche qui c'è un’eternità che si prospetta davanti agli occhi. L’amore umano è segno del grande Amore. Ora, nel grande amore verso Dio, si tende ad essere sempre insieme. Ciò vuol dire che è questo il destino. Ora, sarebbe sciocco che due che volessero sempre stare insieme non si preoccupassero, non lavorassero per realizzare questo fine. È la sciocchezza che facciamo noi nei riguardi di Dio, perché destinati ad essere sempre insieme non lavoriamo per essere sempre insieme: il che vuol dire che non c'è amore. Non siamo convinti, è chiaro, non c'è amore. No? Ecco, è questo il lavoro principale, il lavoro interiore, l’essere occupati interiormente. Quante volte si sentono persone che si debbono sposare, e come sono occupate per preparare la casa, e si danno da fare per sistemare tutto. Fossimo noi altrettanto intelligenti come sono intelligenti gli uomini nel cercare di sistemarsi, per realizzare quel vivere insieme. Allora noi diciamo: siamo destinati ad essere insieme con Dio e poi viviamo come se…

È questa la stoltezza. È questa la disoccupazione.

Pinuccia: Per capire in che cosa consiste la disoccupazione interiore, debbo capire che cos’è l’occupazione interiore, e quindi la sua importanza.

La vita è un impegno a donarci a Dio, a occuparci di Dio, perché Dio ci ha creati per Sé, in coppia per Sé, per farci partecipi della Sua vita divina attraverso la conoscenza di Sé.

Il vivere in coppia con Dio richiede un impegno continuo, un dono continuo del nostro pensiero a Lui, che si concretizza in un costante atteggiamento di ascolto, in un accogliere tutto in noi e fuori di noi a Lui, e riportare tutto a Lui, per captare il messaggio che ci vuol trasmettere e cosi progressivamente conoscerlo.

In una parola: la vita con Dio è un impegno di raccolta in Dio, per cui il nostro lavoro interiore, che deve essere un lavoro a tempo pieno, “Pregate sempre” dice Gesù, si sintetizza in un verbo solo: raccogliere.

Questo è l’unico lavoro che porta molto frutto, frutto di vita eterna, cioè di conoscenza di Dio, per sé e per gli altri.

“Chi raccoglie con Me riceve mercede di vita eterna”. È il lavoro essenziale, l’unica cosa necessaria di cui parla Gesù a Marta che si agita e si affanna per altre cose che lei crede necessarie; l’unica cosa necessaria per noi e per gli altri.

Infatti vediamo in questa scena di Marta e Maria che Maria ha dato il vero aiuto anche a Marta, perché è proprio attraverso la sua testimonianza che Gesù richiama Marta al vero lavoro che si attende da lei.

Questo fa capire che se anche lavorassimo da mattina a sera per gli altri, se dessimo anche il nostro corpo a bruciare alle fiamme, se distribuissimo tutti i nostri beni ai poveri, se non facciamo questo lavoro a nulla serve: sfruttiamo inutilmente il terreno; siamo dei disoccupati: nessuno ci ha presi.

“Questa pianta sfrutta il terreno: a che serve tenerla?” dice Gesù.

E poi ancora: “A che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l’anima?”.

Cioè: a che giova tanto lavoro esteriore, se manca quello interiore?

“Perché ve ne state tutto il giorno a fare niente?”. Se non facciamo il lavoro essenziale infatti facciamo niente.

Certo, la mentalità del mondo è in opposizione a quella di Cristo e di fronte ad una persona che si impegna a tempo pieno in questo lavoro interiore, il mondo giudica e condanna: “A che tanto spreco?”, infatti ai suoi occhi questa è una vita sprecata, come fu sprecato per Giuda il vaso di unguento prezioso versato da Maria ai piedi di Gesù.

-         Le cause della nostra disoccupazione interiore:

-         1) la mancanza di convinzione e di idee chiare su ciò che vuole e si aspetta Dio da noi;

-         2) l’attaccamento al pensiero dell’io;

-         3)quindi l’attaccamento al giudizio degli altri, del mondo che ha altri criteri per valutare la validità o l’efficacia o meno di un lavoro;

-         4)la poca fede: non ci lasciamo prendere da Dio, perché solo se Lui ci prende possiamo occuparci di Lui.

 

-         Le conseguenze: non facendo questo lavoro interiore si riduce a niente tutto ciò che è fatto e tutto ciò che facciamo: “Senza di Lui è fatto niente tutto ciò che è fatto”, leggiamo nel Prologo, perché “Senza di me non potete fare nulla”. Quindi la nostra anima rimane come una stanza vuota, pronta ad essere invasa da sette demoni (altra conseguenza) e allora ci droghiamo, ci ubriachiamo, siamo obbligati a contare delle storie: ecco le ultime conseguenze.

 

-         I rimedi:

 

-         1) sapere e convincerci di ciò che Dio vuole da noi, perché solo cosi avremo in noi la forza di opporci alla mentalità del mondo: “Non sapete che io mi debbo occupare delle cose che riguardano il Padre mio?”;

 

-         3)quindi essere disposti a superare l’io;

-         4)contare su Dio, invocando il suo aiuto;

-         5) fermarci molto sulle parole del Vangelo che ci aiutano in questo lavoro di raccolta e a rafforzare la convinzione sul vero lavoro che Dio attende da noi;

-         6) lasciarci prendere da Dio totalmente: mente, cuore, volontà.

Pensieri conclusivi:

Cina: Chiedere al Signore che mi aiuti ad essere sempre orientata al fine.

Teresa: Lasciarmi attrarre dalle cose di Dio.

Luigi: Bisogna guardare molto a Dio, più guardiamo a Dio e più Lui ci attrae.

Nino: Dio ci da tutto, anche la volontà di rimanere uniti a Lui.

Luigi: Dobbiamo aspettarci tutto da Lui, anche quella: per cui se non ho la volontà, soltanto guardando a Lui ricevo questa volontà; non è che la volontà debba partire da me: anche la volontà ci viene da Lui. Per cui se io non ho la volontà di lavorare, debbo guardare Lui. Chi è disoccupato cosa fa? Va a cercare il datore di lavoro a destra e a sinistra perché gli dia qualche cosa. Ecco, bisogna aspettarci tutto da Lui: volontà e lavoro. Bisogna guardare. Bisogna guardare a Lui. Invece se noi cominciamo a dire: io prima debbo volere… debbo… eh no!

Cina: Il brutto è quando non si va a cercare il lavoro.

Luigi: Cioè, quando non si guarda il Datore di lavoro. Il più delle volte noi crediamo di avere già tutto il lavoro, di avere molto lavoro, per cui non guardiamo più: crediamo già di essere occupati: è anche li l’errore.

Rina La volontà ci viene solo dalla preghiera.

Luigi: La preghiera come sguardo a Dio.

Eligio: Io chiedo al Signore l’amore come risposta alle continue sollecitazioni di Dio, per essere disponibili non solo ad ascoltare da Dio tutto, ma per riportare tutto a Lui.

Luigi: Certo, bisogna riportare tutto a Dio.

Nino: La volontà di conoscerlo è proprio l’amore che Lui chiede e che non è un amore sentimentale.

Teresa: Amore come donazione, dedizione, interesse.

Pinuccia: In tutto quello che faccio, anche cose buone, anche la lettura e riflessione del Vangelo, debbo dire sempre ciò che Gesù ci invita a dire: “Siamo servi inutili”. Tutto è niente se non mi occupo di Dio, se non contemplo Dio. Dio è il vero lavoro. Debbo sentirmi occupata solo quando contemplo Dio, perché solo la contemplazione può cambiarmi interiormente.

Luigi: E quello è vero amore. A questo punto forse siamo in grado di poter capire molte sfumature del capitolo VIII versetto 5 e seguenti della Lettera ai Romani: “Quelli infatti che vivono secondo la carne gustano le cose della carne, ma quelli che vivono secondo lo spirito gustano le cose dello spirito. Ora, la saggezza della carne è morte, la saggezza dello spirito è vita e pace, perché la saggezza della carne è nemica di DIo…. non potendosi assoggettare alla legge di Dio. quindi quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio. ma voi non vivete più secondo la carne, ma secondo lo spirito, se lo spirito di Dio abita in voi. Ma se uno non ha lo spirito di Cristo non è dei suoi. Se Cristo è in voi, il corpo certamente è morto a causa del peccato (io direi che il corpo è l’uomo esteriore, lo spirito l’uomo interiore). Ma lo spirito vive a motivo della giustizia, se lo spirito si Colui che risuscitò Gesù da morte abita in voi, Chi resuscitò Gesù da morte renderà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo spirito che abita in voi. Cosi dunque, fratelli, noi non dobbiamo essere debitori alla carne, da vivere secondo la carne. Se vivrete secondo la carne, morirete, se invece con lo spirito darete morte alle azioni della carne vivrete, essendo tutti quelli che sono mossi dallo spirito di Dio, figli di Dio. Voi infatti non avete ricevuto lo spirito di servitù per nuovo timore, ma avete ricevuto lo spirito di adozione a figli per il quale gridiamo: “Abbà! Padre!”. Questo stesso spirito attesta allo spirito nostro che siamo figli di Dio, e se figli, anche eredi, eredi di Dio, e coeredi di Cristo, se però soffriamo con Lui da essere con Lui glorificati. Io tengo per certo, che i patimenti del tempo presente non sono da paragonare alla futura gloria che sarà manifestata in noi. Difatti la creazione sta ansiosamente aspettando la rivelazione dei figli di DIo…

Versetto 26: Nello stesso modo anche lo spirito sostituisce la nostra debolezza, perché noi non sappiamo pregare come si deve, ma lo stesso Spirito chiede per noi con gemiti ineffabili e Colui che scruta i cuori conosce quello che desidera lo Spirito e come Egli interceda secondo Dio per i santi. Noi sappiamo che tutte le cose tornano a bene di coloro che amano Dio, di coloro che secondo il disegno sono chiamati ad essere santi, perché quelli che Dio ha preveduti, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Suo Figlio, affinché questi sia il primogenito tra molti fratelli”.

Sintesi degli argomenti tratti dall’incontro:

Conflittualità tra la fede e la ricerca della propria gloria: fintanto che  noi viviamo per cercare la nostra gloria, non possiamo credere, non possiamo aver fede.

L’uomo interiore prevale sull’uomo esteriore, ma l’uomo esteriore non modifica l’uomo interiore.

La disoccupazione interiore.

L’importanza di avere un lavoro interiore:

-         la scena di Marta e Maria; Marta è l’uomo esteriore e Maria l’uomo interiore. Marta lavora molto e chiede aiuto all’uomo interiore, ma Gesù ribalta la situazione e ci fa capire che quella che lavora di più è Maria. “Una cosa sola è necessario e Maria ha scelto la parte migliore”. L’essenziale del lavoro interiore sta nell’ascolto.

-         Gesù è venuto per insegnarci soprattutto l’occupazione interiore, il lavoro da fare dentro: questo è l’essenziale, “Non sapevate che io mi debbo occupare delle cose che riguardano il Padre mio?”.

-         La parabola degli operai della vigna: “Perché ve ne state qui tutto il giorno a fare niente?”. Se si trascura il necessario, tutto quello che si fa è niente; (niente che scaturisce dal rapporto col necessario, perché il niente non esiste; quando non c'è l’essenziale tutto diventa niente. Mentre se c'è il necessario tutto viene valorizzato).

-         “Senza di Lui tutto ciò che facciamo è niente”, cioè quando il nostro uomo interiore non è impegnato con Dio, tutto quello che facciamo è niente.

Le cause della disoccupazione interiore:

1)      La mancanza di convinzione e di idee chiare su ciò che vuole e si aspetta Dio da noi;

2)    l’attaccamento al pensiero dell’io;

3)    quindi l’attaccamento al giudizio degli altri, dal mondo che ha altri criteri per valutare la validità e l’efficacia o meno di un lavoro;

4)    la poca fede; non ci lasciamo prendere da Dio, perché solo se Lui ci prende possiamo occuparci di Lui.

 

Le conseguenze;

-         non facendo questo lavoro interiore si riduce a niente tutto ciò che è fatto e tutto ciò che è fatto e tutto ciò che facciamo: “Senza di lui è fatto niente tutto ciò che è fatto”, leggiamo ne Prologo, perché “senza di me non potete fare nulla”. Quindi la nostra anima rimane come una stanza vuota, pronta ad essere invasa da sette demoni, altra conseguenza, e allora ci droghiamo, ci ubriachiamo, siamo obbligati a contare delle storie: ecco le conseguenze.

 

Lettera di San Paolo ai Romani 1,18; Efesini 2,4-8.

 

Quali sono i rimedi possibili per uscire da questa disoccupazione:

-         Il rimedio è lo Spirito Santo.

-         1)Sapere e convincerci di ciò che Dio vuole da noi, perché solo cosi avremo in noi la forza di opporci alla mentalità del mondo: “Non sapete che debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?”

-         2) Voler lavorare;

-         3) quindi essere disposti a superare l’io;

-         4) contare su Dio, invocando il suo aiuto.

-         5) fermarmi molto sulle parole del Vangelo che ci aiutano in questo lavoro di raccolta, e rafforzare la convinzione sul vero lavoro che Dio attende da noi;

-         6) lasciarsi prendere da Dio totalmente: mente, cuore, volontà.

-         lettera agli Efesini 8, 5…

Gli apostoli, a pochi giorni dalla Pentecoste, rivelano di non aver capito niente, quindi di essere disoccupati interiormente perché dicono: “È ora che ricostituirai il Regno di Israele?”.

La causa di questo è che anche se da tre anni erano con Gesù a tempo pieno, non lavoravano personalmente, facevano lavorare gli altri. In dieci giorni però c'è stato in loro un capovolgimento. E quel capovolgimento è proprio la validità della discesa dello Spirito Santo; cioè non è stato un fatto loro, perché loro sarebbero rimasti con la loro mentalità, l’uomo non può volare da solo nel campo dello Spirito. Se non riceve lo Spirito, da solo continua sempre con i suoi argomenti terreni. È Dio che quando i tempi sono maturi capovolge ogni cosa.

Noi siamo spettatori della gloria di Dio, e dobbiamo imparare ad approfondirla, a conoscerla per poter veramente lodare Dio, glorificare.

A noi manca la profondità, siamo in superficie per cui vediamo tutte le cose slegate e allora non possiamo glorificare Dio.

Ma per poco che approfondiamo, vediamo la sintesi, e incominciamo a cantare la bellezza di Dio, delle opere di Dio, che sono una meraviglia: siamo talmente meravigliati di questa bellezza, che non osiamo nemmeno più toccarla, metterci la nostra mano, tanto è fatta in modo perfetto.

Allora l’uomo diventa sempre più contemplatore che attore, perché sa che l’attore è DIo; e nella possibilità di cantare Dio, di poter lodare Dio, di poterlo glorificare per la bellezza delle cose o la perfezione delle cose che fa, lui trova tutta la sua vita.

Ad un certo momento arriviamo a sfiorare come la vita sia conoscenza, sia conoscere, perché in quanto noi conosciamo la bellezza, la profondità, la sapienza che c'è in una cosa, non osiamo più toccare quella cosa, ne parliamo soltanto più: la glorifichiamo.

E li troviamo tutta la nostra vita; non vogliamo più toccarla, e invece più noi siamo superficiali e più vogliamo modificare e non ci accorgiamo degli sgorbi che facciamo.

La via per uscire dalla disoccupazione è cominciare a volere il lavoro perché il peggiore dei disoccupati è quello che non vuole lavorare, che ha paura di lavorare.

La soluzione deve maturare dentro; non devo preoccuparmi di liberarmi da solo.

Quello che ci fa lavorare è l’orientamento al nostro destino, al nostro fine; se non abbiamo l’orientamento il nostro uomo interiore è disoccupato.

E qui non abbiamo molto da cercare noi, ci viene annunciato: Dio ci ha creati per conoscerlo e per partecipare della vita eterna.

E questa deve diventare la nostra occupazione interiore vera.

La causa della nostra disoccupazione interiore è il pensiero del nostro io.

DIo si è fatto nostro lavoro: è li la meraviglia! “Tu ti occuperai di Me!”

Quello che ci impedisce di ascoltare, di essere occupati interiormente, è il fatto di avere un’altra occupazione che crediamo sia più importante di quella di ascoltare Gesù.

“Una cosa sola è necessaria” cioè ascoltare Gesù; dicendo queste parole Gesù libera anche Marta dalla sua occupazione e la rende disponibile per ascoltare le sue parole.

Se tutte e due avessero lavorato in casa, poi non sarebbero più state disponibili interiormente per ascoltare Gesù, perché Lui non sarebbe più stata per loro l’unica cosa necessaria.

Marta voleva sottrarre Maria all’ascolto di Gesù.

La funzione dell’Incarnazione è quella di raccoglierci dalla nostra dispersione, di recuperarci nell’essenziale.

Davanti a tutto quello che facciamo dobbiamo dire: “Questo non è niente confronto al tutto per cui siamo stati creati, rispetto a quello che vale veramente”.

Non dobbiamo preoccuparci dei nostri bisogni perché Dio dispone Lui: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti”, c'è sempre qualche creatura in cammino che fa quello di cui tu hai bisogno. A certi santi il Signore li ha liberati dal problema del mangiare.

Moltiplicazione dei pani.

Di fronte al Signore trovi pienezza di vita per cui non senti più il problema del mangiare.

Ogni giornata vale in quanto ci siamo impegnati, occupati nell’ascolto della Parola di Dio, ad approfondire la Parola di Dio, perché questo è il nostro vero lavoro.

Ogni giorno dobbiamo avere il nostro uomo interiore impegnato ad approfondire che cosa Dio ci vuole significare attraverso quello che ci manda ogni giorno, per cercare di arrivare alla sua Presenza; le sue parole sono un sentiero, sono una scala, per arrivare alla sua Presenza, perché lo scopo è arrivare alla sua Presenza.

L’amore conduce, fa desiderare la Presenza dell’essere amato.

E fintanto che uno non arriva li, ritiene niente tutto quello che fa.

Il problema è che noi siamo incapaci a restare col Signore. Tutta la nostra difficoltà sta li: che noi siamo incapaci a restare nella vita eterna. La vita eterna è già adesso ma noi non siamo capaci a restare.

Noi siamo superficiali; e in che cosa consiste la nostra superficialità? Nell’incostanza. La superficialità è incostanza, la profondità è costanza.

Dio interviene in tutto per aiutare noi nel lavoro principale; ci manda qualcosa che ci aiuta a superare il nostro egoismo e intanto prepara la nostra anima ad essere costante, perché quanto più noi siamo educati a superare il pensiero del nostro io, tanto più diventiamo capaci di restare con il Signore.

Ma è necessario aver superato il nostro io.

Quello che rende incostanti è il pensiero del nostro io: è questo che ci fa stancare nel Pensiero di Dio.

“Io ho molte cose da dirvi, ma non siete capaci di portarle”. E cos’è che ci rende incapaci di portarle? È il pensiero del nostro io.

È un infinito che Lui ha da dirci, da riversare in noi, è tutta una vita infinita, perché è il suo stesso Infinito che diventa nostra vita eterna. Allora vedendo che noi non siamo capaci di portarlo, ecco che ci manda a due a due a parlare al prossimo, ci manda a fare qualcosa, a preparare il Cenacolo, perché non siamo capaci di portare tutto quello che Lui ha da dirci.

È misericordia di Dio perché vede che non siamo capaci; gli atti di misericordia del Signore sono per supplire alla nostra incapacità a restare nel lavoro essenziale; sono per la nostra debolezza.

L’importante è scoprire quello che modifica quello che io sono, e quello che modifica quello che io sono è l’Essere.

Quindi più uno si occupa di Dio, più modifica quello che veramente è, cresce nell’Essere.

Magari perdo in avere ma cresco nell’essere e questo è l’essenziale perché è ciò che resta.

Ecco perché è necessario che l’uomo interiore sia occupato, perché è soltanto l’occupazione interiore che modifica quello che noi siamo; più partecipiamo all’Essere e più cresciamo in vita.

 

Lettera ai Romani 1,1

“Il trascurare di conoscere Dio (e Dio offre ad ognuno la possibilità di conoscerlo), determina in noi la pazzia della nostra ragione, per cui ci crediamo sapienti, essendo stolti….”

Lettera agli Efesini:

“Voi un tempo vivevate senza Dio, schiavi degli elementi del mondo”

Vivevate senza orientamento a Dio, schiavi degli elementi del mondo, disoccupati; trasformando in idoli i mezzi.

Adesso avete trovato il Salvatore delle vostre anime, Colui che vi porta a lavorare con Dio, che ci porta all’essenziale. Ecco la salvezza!

Lettera di san Paolo a Romani cap.8,5…

“Quelli infatti che vivono secondo la carne gustano le cose della carne, ma quelli che vivono secondo lo spirito, gustano le cose dello spirito. Ora, la saggezza della carne è morte, la saggezza dello spirito è vita e pace, perché la saggezza della carne è nemica di DIo…

non potendosi assoggettare alla legge di Dio.

Quindi quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio.

Ma voi non vivete più secondo la carne, ma secondo lo spirito di Dio che abita in voi.

E se uno non ha lo Spirito di Cristo non è dei suoi.

Se Cristo è in voi, il corpo certamente è morto a causa del peccato.

(Il corpo è l’uomo esteriore e lo spirito è l’uomo interiore).

Ma lo spirito vive a motivo della giustizia, se lo Spirito di Colui che risuscitò Gesù da morte renderà la vita anche ai suoi corpi mortali per messo del suo Spirito che abita in voi.

Cosi dunque, fratelli, noi non dobbiamo essere debitori alla carne, da vivere secondo la carne.

Se vivete secondo la carne, morirete, se invece con lo spirito darete morte alle nazioni della carne, vivrete, essendo tutti quelli che sono mossi dallo Spirito di Dio, figli di Dio.

Voi infatti non avete ricevuto lo spirito di schiavitù per nuovo timore, ma avete ricevuto lo spirito di adozione a figli per il quale gridiamo: “Abbà! Padre!”.

Questo stesso Spirito attesta allo spirito nostro che siamo figli di Dio, e se figli anche eredi, eredi di Dio, e coeredi di Cristo, se però soffriamo con Lui da essere con Lui glorificati.

Io tengo per certo, che i patimenti del tempo presente non sono da paragonarsi alla gloria futura che sarà manifestata in noi.

Infatti la creazione sta ansiosamente aspettando la rivelazione dei figli di DIo…

Versetto 26 “Nello stesso modo anche lo Spirito sostiene la nostra debolezza, perché noi non sappiamo pregare come si deve, ma lo stesso Spirito chiede per noi con gemiti ineffabili e Colui che scruta i cuori conosce quello che desidera lo Spirito e come Egli interceda secondo Dio per i santi.

Noi sappiamo che tutte le cose tornano a bene di coloro che amano Dio, di coloro che secondo il disegno sono chiamati ad essere santi, perché quelli che Dio ha provveduti li ha predestinati ad essere conformi all’immagine di suo Figlio, affinché questi sia il primogenito tra molti fratelli”.


E come potete credere voi che mendicate la gloria gli uni gli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Gv 5 Vs 44 Sesto tema.


Titolo: La consacrazione a Dio.

Argomenti: Povertà e miseria. Tutti i mali derivano dal fatto che il nostro uomo interiore è disoccupato. Il lavoro da fare è  riportarci in continuazione nell’unità che c'è nel Principio di Dio.

Si muore a se stessi occupandoci di un Altro da noi, di altro. Trascurare la Parola di Dio vuol dire non raccoglierla, non unificarla nel Pensiero di Dio, nel Pensiero del Padre. Nella disoccupazione, si cerca la gloria gli uni dagli altri. Il naufragio dell’uomo. La consacrazione è occupazione in-. La schiavitù interna al pensiero dell’io. “Occupali nella Verità”.


 

3/Giugno/1979


Introduzione:

Teresa: Consacrarsi vuol dire appartenere solo a Dio ed è Dio che ci consacra; siamo sua proprietà, riservati per Lui.

Nino: Ci vuole però il nostro consenso. Lettura del Vangelo 5,31-44.

Luigi: Ci soffermiamo sopra questo versetto: “Come potete credere voi che mendicate la gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?”.

Nelle domeniche scorse, meditando su questo versetto, abbiamo approfondito:

-         1) Come Gesù ci mette in evidenza l’inconciliabilità della permanenza della fede in noi con il cercare la gloria gli uni dagli altri.

-         2) Poi ci siamo soffermati sopra la mendicità che gli uomini, proprio non cercando la gloria che viene dall’unico Dio, sono costretti ad avere verso il mondo, perché debbono andare ad elemosinare un po’ di vita, un po’ di luce, un po’ di amore dalle creature.

-         3)  Ed avevamo concluso l’ultima volta con la disoccupazione interiore.

-         4) Penso che bisognerebbe ancora approfondire, ora, il rapporto che passa tra la mendicità e la disoccupazione interiore, perché il più delle volte noi, (notiamo che mendicità è poi schiavitù alle cose, agli altri, al mondo) puntiamo tutte le nostre energie e le nostre forze per liberarci da tante nostre schiavitù, da tanti nostri difetti e non ci rendiamo conto che forse bisogna far leva essenzialmente su altro. Per questo dico che è importante cercare di capire il rapporto che passa tra la mendicità in cui noi ci troviamo e la disoccupazione interiore e vedere come una sia effetto dell’altra.

Proprio tenendo presente quello che all’inizio ha detto Teresa sulla consacrazione, prendiamo come pensiero guida questa frase che Gesù dice nell’ultima preghiera, la preghiera sacerdotale, rivolto al Padre: “Consacrali nella Verità” e aggiunge: “La tua parola è Verità”. Questo ci può aiutare nel capire:

-         il rapporto di dipendenza tra la mendicità e la disoccupazione interiore

-         e su cosa bisogna puntare per cercare di uscire liberi dalla nostra miseria.

Non la chiamo povertà, perché c'è una povertà che è beata, perché è proprio quella che ci conduce al Regno di Dio: “Beati i poveri in spirito”, ma parlo di mendicità, perché la caratteristica dell’uomo, quando si separa da Dio, quando non tiene conto di Dio, quando non unifica in Dio, non è tanto la povertà quanto la mendicità, che è una cosa diversa, perché è costretto a mendicare sul ciglio della strada dai passanti, anziché mendicare dall’Eterno.

Ma chi mendica dall’Eterno è povero; chi mendica dai passanti invece è mendicante, è in miseria.

Ora dobbiamo anche tener presente per cercare di approfondire questo rapporto, questo fatto; cioè, che tutto ciò che non è unito a Dio, è destinato ad essere annullato, è destinato a perire, ad essere annientato.

Ma quanto più perisce, tanto più ci porta in quella situazione di mendicità di cui parlavo, cioè quella situazione di miseria come un naufrago: quando la nave su cui egli sta incomincia ad affondare, comincia ad annegare nell’acqua, alla ricerca di un sostegno, di un trave, di un qualche cosa, perché tutto sta perdendo. Tutto quello che noi non raccogliamo, non unifichiamo in Dio, è una nave che sta affondando, e noi siamo immersi nei marosi, e allora ci agitiamo a destra e a sinistra: ecco la mendicità.

Ma il problema non si risolve aggrappandoci ad una cosa o ad un’altra. Perché tutto ciò cui noi ci aggrappiamo quando non unifichiamo in Dio, ci porta a fondo; non c'è nulla che ci sostenga, e quindi più noi ci afferriamo e più la mendicità va in progressione crescente, fino alla morte, fino all’annullamento di tutto.

Ora, quando noi abbiamo parlato dell’importanza della occupazione interiore, abbiamo parlato della necessità di sfuggire a questa disoccupazione interiore, perché tutti i mali derivano dal fatto che il nostro uomo interiore è disoccupato. Quindi tutti i mali, tutte le schiavitù, tutte le mendicità in cui veniamo a trovarci, sono una conseguenza di questa disoccupazione interiore. Per questo dicevo: non dobbiamo tanto preoccuparci di liberarci da quello che sono le nostre schiavitù, da quello che sono le nostre miserie, le nostre povertà, i nostri mali che ci portiamo addosso, le nostre dispersioni, la nostra incapacità: perché questi sono effetti, sono conseguenze; conseguenze di che cosa?

Conseguenze del nostro uomo interiore che è disoccupato.

Noi più che cercare di rimediare alle nostre incapacità, dobbiamo cercare piuttosto di trovare il lavoro, l’occupazione per il nostro uomo interiore.

E quando abbiamo riflettuto sopra la vera occupazione dell’uomo interiore, abbiamo detto che l’uomo interiore vive nella misura in cui continuamente si riporta nell’unità di Dio.

E quando non riporta all’unità di Dio, tutto ciò che non riporta all’unità di Dio, in Lui non è che rimanga, cosi a metà strada, no; incomincia a perire per opera stessa del Regno di Dio.

E incominciando a perire, ci porta necessariamente a quella servitù, a quella schiavitù verso tutte le cose. Ecco allora il lavoro principale su cui dobbiamo puntare per cercare di rimediare a tutti i nostri mali è questo: riportarci in continuazione verso il Principio, questa unità che c'è nel Principio di Dio: “In Principio era il Verbo”. Riportare tutto qui, perché Dio ogni giorno opera un’infinità di cose con noi, attorno a noi, ma tutte queste cose che opera con noi, sono soltanto delle proposte di lavoro che noi dobbiamo vedere e unificare nel suo Spirito, in Lui.

E questo è un lavoro personale che ognuno di noi deve fare. È l’occupazione vera. Ho detto: teniamo presente la preghiera che Gesù dice e la dice per noi, per tutti coloro che sono in ascolto di Lui: “Consacrali nella Verità” e aggiunge: “La tua Parola è Verità”.

Ora, perché lo dice? Questo lo dice affinché l’uomo sia occupato, l’uomo interiore.

Abbiamo due tipi di disoccupati:

-         ci sono i disoccupati che sono tali perché non trovano lavoro;

-         ma ci sono anche i disoccupati che sono tali perché  non sanno lavorare.

Ora Gesù dicendo: “Consacrali nella Verità”, dice, tradotto in termini più accessibili a noi: “Occupali nella Verità”, perché Teresa ha detto che il termine consacrazione vuol dire appartenere tutto; certo, è appartenere tutto; ma questa appartenenza non avviene senza di noi, perché se è vero che Dio ogni giorno fa arrivare a noi le sue proposte di lavoro, anche senza di noi, non è vero che Lui ci consacri senza di noi.

Cioè le proposte di lavoro Lui le fa giungere a noi senza di noi, ed è logico, perché se Lui non ci prende a lavorare (“Nessuno ci ha presi a lavorare”), cioè se Lui non ci fa arrivare le sue proposte di lavoro, noi siamo disoccupati interiormente e con tutte le conseguenze; per cui se noi possiamo occuparci in qualche modo, è tutta grazia di DIo: è Dio che fa arrivare a noi le sue proposte di lavoro. Ma che le proposte di lavoro giungano a noi da Dio senza di noi, il lavoro però non si compie senza di noi. Cioè Dio ogni giorno, attraverso la sua Parola, i fatti, gli incontri con noi, ci presenta un campo da lavorare: “Va a lavorare anche tu nella mia vigna”. Ecco, ci presenta una vigna, ci presenta un campo da lavorare. Ma la vigna non resta lavorata senza di noi, cioè se noi non ci impegniamo ad ascoltare.

E allora direi che quel: “Consacrali nella Verità”, vuol dire: “Occupali! Occupali nella Verità!”.

Ora il Signore prega il Padre, perché l’occupazione noi la riceviamo dal Padre, ma la riceviamo proprio in quanto riportiamo al Padre. Diciamo, sotto un certo aspetto, la vigna in cui dobbiamo lavorare è il Padre, il campo del nostro lavoro è il Padre. Ma il lavoro da fare avviene tutto attraverso la Parola di Dio che giunge a noi da Dio, che giunge a noi dal Padre. Infatti Lui aggiunge: “La tua Parola è Verità”; quindi “Consacrali nella Verità” va inteso: “Occupali nel campo della tua Verità”. E qui ci fa capire il lavoro, il lavoro essenziale che è chiesto ad ogni uomo. Ogni uomo deve essere interessato a questo campo di lavoro: cioè alla Verità di Dio, la Verità di Dio che deve essere l’oggetto principale del nostro interesse, deve essere l’oggetto principale del nostro lavoro, di ogni giorno, l’essenza, quello che caratterizza ogni nostra giornata: questo interesse per fare in noi, soprattutto in noi, luce sulla Verità di Dio, perché Dio in continuazione ci manda dei motivi per convincerci sempre di più e quindi per renderci sempre più vicino, sempre più intimo la testimonianza della sua Verità. Però questa testimonianza della sua Verità non si fa in noi senza di noi. Dio fa giungere a noi la possibilità di vedere, di rendere intima, di rendere personale, di rendere presente sempre più, fino alla vita eterna, questa sua Verità che è Presenza di Lui; ma questa sua Verità non diventa luminosa in noi senza di noi.

Dopo averci presentato il campo di lavoro, ci presenta anche il mezzo per lavorare, perché ha detto che molti di noi sono disoccupati perché non hanno da lavorare: alcuni perché non sono presi, altri perché non sanno, e allora il Signore aggiunge: “La tua Parola è Verità”. Ecco, la sua Parola è il mezzo di lavoro che Dio fa giungere a noi, per cui mentre ci manda le proposte, ci dà anche i mezzi per poter compiere il nostro lavoro attraverso di Lui.

Allora dobbiamo puntare non tanto sopra la liberazione da quelli che sono i nostri difetti, i nostri errori, le nostre schiavitù, le nostre dipendenze, le nostre miserie, la nostra mendicità. Cioè, ciò che conta non è tanto cercare di liberarci da quello, come non è nemmeno poi il puntare soltanto la nostra attenzione sopra il morire a noi stessi, perché, è vero che bisogna morire a noi stessi, però non è dicendo: “Io debbo morire a me stesso!”, perché quanto più noi ci preoccupiamo di morire a noi stessi, tanto più continuiamo a pensare a noi stessi. Si muore a se stessi occupandoci di un Altro da noi, di altro.

Ecco, allora: dobbiamo puntare tutto sopra l’occupazione interiore. Però perché  ci sia questa occupazione interiore, è necessario prima di tutto che noi vediamo qual è il campo da lavorare, da dare da lavorare a questo uomo interiore. Il campo che Dio offre a questo uomo interiore per occuparlo, è la sua Verità. Per questo Gesù dice: “Consacrali nella Verità”, cioè “Occupali nella tua Verità”. Il nostro uomo interiore trova il suo lavoro in quanto si occupa della Verità di Dio. e Dio offre la sua Verità come campo di lavoro per noi. Però, presentato il campo di lavoro, noi possiamo trovarci anche nella situazione di non essere capaci a lavorare; cioè l’abbiamo di fronte, si; dobbiamo occuparci della Verità di DIo; ma come fare? Allora il Signore dice: “La mia Parola…..”.

Ecco, se noi siamo attenti alla Parola di Dio, la sua Parola mentre ci chiama a lavorare, ci insegna anche il modo per lavorare questo lavoro, per lavorare questa vigna, per lavorare questo campo. Ci insegna a lavorare.

Naturalmente noi dobbiamo essere molto attenti a questa Parola di Dio che arriva a noi: dobbiamo ascoltarla, dobbiamo curarla con attenzione e se noi ci impegniamo in essa, essa stessa ci guida a lavorare. Se invece la trascuriamo, trascurandola, rendiamo disoccupato il nostro uomo interiore, e rendendolo disoccupato, ricadiamo in quella situazione di mendicità. Perché, come il nostro uomo interiore trascura la Parola di Dio (e trascurare la Parola di Dio vuol dire non raccoglierla, non unificarla nel Pensiero di Dio, nel Pensiero del Padre), questa incomincia a morire in noi, a decadere; come decade, noi cominciamo a sentire il vuoto, e allora dobbiamo abbarbicarci alle creature e chiedere, a destra e a sinistra, un po’ di gloria, un po’ di luce, un po’ di vita, un po’ di amore, qualche cosa che mi sostenga, perché ci sentiamo morire. E allora la preoccupazione principale deve essere quella di fare tesoro della Parola di Dio, perché le Parole di Dio sono delle proposte di lavoro per il nostro uomo interiore, e nello stesso tempo, sono delle lezioni attraverso le quali il Signore ci insegna come si fa a lavorare nella sua Verità, nella quale ci chiede di consacrarci.

Cina: Succede che non si è capaci di lavorare, quindi non si lavora.

Luigi: Certo, perché non essere capaci a lavorare è uguale a non vedere il lavoro; è lo stesso, perché in conclusione, sia colui che non è preso a lavorare, sia colui che non sa lavorare, vengono a trovarsi tutti e due nella stessa situazione, sono tutti e due disoccupati. E, nella disoccupazione, si cerca la gloria gli uni dagli altri, con tutte le conseguenze. Le conseguenze di questa mendicità sono la schiavitù, la droga, l’oppressione, fino alla morte, perché la mendicità è già una morte. Come noi trascuriamo la Parola di Dio, incomincia il mondo dello Spirito a decadere in noi, cioè incomincia la vita a decadere in noi. E come la vita decade, noi siamo naufraghi. Il naufrago non fa altro che cercare di afferrarsi a tutto quello che può. Ecco perché noi ci afferriamo alle creature!

Non si può dire ad un naufrago: “Non afferrarti alla creatura, non afferrarti al trave, non afferrarti a tutto quello che trovi!”; necessariamente egli si deve afferrare, non può farne a meno, perché sta affondando.

Ora noi il più delle volte facciamo questo errore anche verso noi stessi. Ci diciamo: “Ma non afferrarti a questo, non afferrarti a quell’altro”; ma non possiamo farne a meno. Noi sentiamo questo naufragio in noi. Dobbiamo piuttosto cercare di capire qual è la causa del naufragio stesso, perché nelle cose dello spirito, è proprio intendendo le cause che si dà la possibilità di non naufragare, per noi siamo salvati dalla conoscenza. La conoscenza è vita; è la conoscenza che ci fa essere! Soltanto la conoscenza dell’Essere fa noi essere. Abbiamo visto prima, quando abbiamo fatto la differenza tra l’uomo interiore e l’uomo esteriore: che l’uomo interiore è in quanto partecipa all’Essere; l’uomo esteriore invece vive di apparenza.

È logico che, quanto più l’uomo esteriore cresce, tanto più soffoca l’uomo interiore; cioè quanto più noi cerchiamo l’apparenza, tanto più questa apparenza ci fa morire nel mondo dell’Essere, in quello che veramente siamo.

Ora, invece, quello che veramente siamo, lo siamo non in assoluto, ma per partecipazione con Colui che è.

Dio è l’Essere: quindi noi siamo nella misura in cui conosciamo Lui. Ma per arrivare a conoscere Lui, bisogna lavorare il campo di Dio. La conoscenza di Lui è questo campo lavorato. Quando il campo è lavorato in noi c'è la conoscenza di Dio.

Dio ci offre il campo da lavorare. Il campo da lavorare è una proposta di Dio, ma non è ancora conoscenza. Il campo è da lavorare, Dio ce lo offre: “Vieni a lavorare nella mia vigna!”, “Consacrali nella Verità”. È la stessa cosa. Quindi vigna e Verità sono la stessa cosa: “Vieni a lavorare nella mia Verità!”.

Ecco il campo di lavoro; ma quando uno mi dice: “Vieni a lavorare nella mia Verità”, il campo è da lavorare. Il campo non si lavora senza di me, in me. quanto più noi lavoriamo nel campo al quale la Parola di Dio ci invita, tanto più cresce il nostro essere, perché partecipa alla conoscenza di Dio, della Verità. La partecipazione alla Verità di Dio è comunione con l’Essere e quindi il nostro essere si modifica, cresce di luce in luce, di conoscenza in conoscenza, e crescendo matura per la vita eterna; la vita eterna che è conoscenza in tutto della Presenza di Dio. In questa conoscenza totale (“Lo Spirito Santo vi condurrà a vedere la Verità totale”), abbiamo la vita eterna. Perché? perché in tutto restiamo sempre con Lui. Quando invece non ciò la conoscenza totale, in qualche cosa siamo con Lui, in altro non possiamo restare con Lui, perché là dove noi non Lo conosciamo, non possiamo restare: si può restare soltanto con ciò che si conosce.

Per cui un po’ ci siamo e un po’ non ci siamo, e allora abbiamo questo oscillare tra essere con Dio e non essere con Dio, perché non vediamo Lui in tutto.

Ma non vedendo Lui in tutto, abbiamo in continuazione la proposta di Dio: “Occupati nella Verità. Hai da raccogliere, hai da unificare!”. Più ci occupiamo, più il nostro essere cresce. È Dio che lo fa crescere, è logico, però chiede da parte nostra questa dedizione, questa consacrazione, che non avviene senza di noi. Non basta dire: “Signore, io mi consacro a Te”. Queste sono parole! Il Signore osserva i nostri pensieri.

Teresa: Secondo te, lo vedi come un aggrapparsi a qualcosa per esempio la consacrazione con i voti?

Luigi: Non dire: “Secondo te…”; cerchiamo qui insieme, secondo quello che dice Gesù, perché “secondo me” non interessa un bel niente, il mio io non conta: quello che conta è la Parola del Signore. Cerchiamo quindi cosa dice Lui.

Teresa: È in contrasto? O è un ripiego, dato che non riusciamo perennemente a stare uniti alla Parola di Dio, per cui cerchiamo qualcos’altro? O è un aiuto per portarci li, cioè ad essere sempre uniti?

Nino: Noi dobbiamo imparare ad ascoltare Dio: è da Lui che ci viene l’indicazione se quello è o non  è secondo Lui, se quello vale o non vale.

Teresa: Perché se è una cosa che rimpiazza la sostanza, cioè se è un surrogato, nel senso che se non si arriva là, ci si accontenta di fare una promessa, meglio evitarla.

Luigi: No, se tu dici “surrogato”, meglio evitarlo. Può invece essere un aiuto per evitare ciò che disperde.

Teresa: In questo caso, la cosa è diversa…

Luigi: Certo, può essere la trave del naufragio. Però come ho già detto a Cina: la consacrazione alla Verità non sta nel dire: “Signore, io mi consacro a Te”, non sta li evidentemente; perché il Signore mi dice: “Tu a parole dici questo, ma io osservo in che cosa ti occupi”; qui il Signore ci fa vedere che c'è un’incompatibilità tra il cammino della fede e la nostra occupazione quando la nostra occupazione non è Dio (“Come potete credere voi… che non cercate la gloria dell’unico Dio?”). Ora, la consacrazione è occupazione in. Ad esempio: io vivo per la carriera? Mi sono consacrato alla carriere, vivo tutto per la carriera. Io vivo per la famiglia? Mi sono consacrato alla famiglia e in funzione della famiglia. Vivo per tirarmi su una casa? Mi sono consacrato alla casa. Il Signore ci osserva li: per che cosa vivi? Li è la tua consacrazione. In che cosa ti occupi giorno per giorno? Li è la tua consacrazione! Non sono le parole che tu dici o le promesse che fai. Ecco, il Signore ci osserva in ciò in cui noi ci occupiamo effettivamente. Se Dio ci sta veramente a cuore, noi ci occupiamo di Dio, e allora anche se non abbiamo detto: “Signore, mi consacro a Te”, i nostri pensieri, le nostre preoccupazioni sono dedicate a questo.

Teresa: Ma le promesse, le parole, non devono essere di impedimento, al contrario. Se Gesù dice: “Dove sono due o tre riuniti, Io sono in mezzo a loro”, penso che…

Luigi: “Riuniti in mio nome…”. Quel “suo Nome” è questo glorificare il Padre.

Teresa: Se è di ostacolo è diverso…

Luigi: Guarda, stai attenta: tutte le cose che non sono questo impegno attuale: “occupazione per Dio”, possono e dico possono, essere un ripiego, un sostitutivo; ecco la trave del naufragio a cui ci afferriamo, proprio perché non facciamo quel lavoro principale.

Possono essere di aiuto, possono; quando ad esempio uno dice: “Io non vado al cinema, perché al cinema mi distraggo”; non vado al cinema per avere un tempo di raccoglimento, di silenzio. Il fatto di non andare al cinema può essere un aiuto, se però mi dedico a ciò che vale di più, perché posso anche non andare al cinema e non fare il lavoro essenziale.

Allora il fatto di non andare al cinema (“ho fatto la promessa di non andare al cinema”) può essere un surrogato. La mia promessa diventa fasulla, se non andando, non mi occupo dell’essenziale, di Dio.

Teresa: Certo, se è solamente un’etichetta.

Luigi: Ora, dico, tutto ciò che non è questa occupazione essenziale (che non si fa con una promessa, ma che si facendola), ci ha correre il rischio di avere soltanto un’etichetta: può essere un’etichetta; non è che lo sia, ma può esserlo. Perché può darsi che ci accontentiamo dicendo: “Ho fatto il mio voto, ho fatto la mia consacrazione, e ora me ne sto tranquillo!”. No, il Signore dice: “Non chi dice: Signore! Ma chi fa la volontà di Dio”.

Cioè la consacrazione è disponibilità per. Disponibilità: quindi se mi sono reso disponibile, mi debbo occupare.

Ora, se non c'è l’occupazione, tutta la mia consacrazione è fasulla.

Per questo ho sostituito il termine: “Consacrali nella verità”, con il termine che mi sembra più efficace, secondo il nostro linguaggio: “Occupali nella verità” (non è che io voglia correggere il Vangelo, per carità, ma ogni epoca ha le sue parole, più efficaci, più vicine allo spirito), e lo dice al Padre, perché se Dio non fa giungere a noi le sue proposte, noi non possiamo occuparci della Verità, è logico. Perché dice: “Occupali”, e perché non dice: “Occupatevi”?

Per dire a noi, che siamo disoccupati, che soltanto guardando Dio, possiamo essere occupati. Per cui se io mi sento disoccupato, interiormente disoccupato e non so cosa fare, ecco, Gesù mi dice: “Guarda il Padre, il Padre ti occuperà!”. Per cui basta guardare, guardando Dio, Lui già fa sentire a noi un problema, già ci mette in movimento, ci impegna: per questo dice cosi: “Occupali!”.

Se tu ti trovi con un disoccupato e vai alla ricerca di un lavoro, di qualcuno che abbia del lavoro da dargli, gli dici: “Per favore, dagli del lavoro!”. Comprendi? Qui è Gesù che dice al Padre: “Dagli del lavoro! Dà a loro del lavoro!”. Ma, siccome questa Parola la dice per noi, dice a noi: “Guarda al Padre, perché Lui ha la possibilità di darti del lavoro!”. Quindi, se sei disoccupato, e non sai trovare il lavoro, non vedi il lavoro, guarda il Padre, e il Padre ti darà lavoro. Ma se tu vedi il lavoro e non sai come si fa a lavorare… “La tua Parola…”, ecco, capisci? La sua Parola, la Parola di Dio ti insegna a lavorare. Allora, afferrati alla Parola di Dio, seguila con pazienza, custodiscila… ti insegnerà come si fa a lavorare nel campo del Padre, perché la Parola ci parla del Padre. In quanto ci parla del Padre, quanto più la raccogliamo, la custodiamo, l’approfondiamo, tanto più ci insegna a lavorare. La Parola del Signore, è il pane spezzato, è il lavoro spezzato; se ho tutto il terreno da lavorare, ma non so da che parte incominciare: ecco la parola che presenta la zappa, e mi insegna come si lavora con la zappa; oppure mi presenta un pezzetto di terreno, ecc. se seguo la parola, tutte le parole del Signore sono un lavoro spezzettato in questo campo, in cui sono richiesto di lavorare. Più lo lavoro e più in me si forma la conoscenza di Dio.

La consacrazione è dedizione a questo lavoro. San Paolo dice: “Il Signore mi ha tolto, mi ha sottratto da tutti gli impegni del mondo, mi ha riservato per Sé”: ecco la consacrazione: mi ha riservato per Sé. Ma per fare un certo lavoro! Per cui se io cerco di piacere agli uomini, non posso essere del Cristo.

“Come potete avere fede voi, credere, se cercate la gloria gli uni dagli altri?”.

Cercando la gloria gli uni dagli altri c'è incompatibilità con la fede.

Infatti il termine greco della parola santo è aghios che vuol dire: a = privazione, ghe = terra, cioè senza terra, sottratto dalla terra, sottratto dalla terra, cioè sottratto dalle cose del mondo. Il santo è colui che è dedicato tutto a qualcosa del cielo; uno che Dio ha liberato da tutte le cose del mondo, dalle cose che passano, perché si occupasse delle cose che non passano.

Quando il Signore dice: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire”, non lo dice affinché per fare la volontà del Padre uno debba stare seduto su una poltrona. Molte volte il termine “consacrazione” può essere inteso “Non preoccuparti del mangiare e del vestire”. No, non preoccuparti del mangiare e del vestire in quanto c'è una preoccupazione maggiore che devi avere e che ti deve occupare tanto da non avere tempo per altro, perché Dio ti impiega a tempo pieno. Questo è il termine “consacrazione”.

Teresa: Però io penso che la “comunità” ci aiuta a vivere la consacrazione; come in questo gruppo.

Luigi: Si, ci possiamo ammonire a vicenda a non perdere tempo.

Teresa: A vivere la vera consacrazione.

Nino: Si, ha ragione lui quando dice che bisogna avere in mente solo l’essenziale, perché è facile perderci: ogni cosa ha la doppia faccia.

Luigi: Si, tutto quello che non è essenziale può prendere il posto all’essenziale.

Cina: C'è il pericolo di un’etichetta.

Luigi: Certo! Tutto può diventare etichetta!

Teresa: Ma io posso anche vivere sola, in un eremitaggio ed avere anche l’etichetta del deserto.

Luigi: Certo, anche questo!

Teresa: Ed essere molto egoista.

Luigi: E non fare niente tutto il giorno.

Teresa: E credo di amare Dio e non mi interessa del prossimo, se il prossimo è il banco di prova.

Cina: È un lavoro personale.

 Luigi: Certo, è un lavoro personale.

 Teresa: Però non penso che la comunità debba essere un impedimento.

Cina: Impedimento non penso…

Nino: È un processo di purificazione nel Pensiero di Dio. Ieri riflettevo appunto su questo: che il pensiero è il più grande dono che Dio ha fatto all’uomo, affinché l’uomo, donandolo a Lui, giunga alla sua conoscenza. Purtroppo il pensiero può assolutizzare il proprio io (mendicano cosi la gloria dagli altri) e le creature, le quali passano e quindi vanno superate per giungere a Colui che le fa essere. Chi ha scoperto che Dio è l’Essere che fa essere ogni cosa, vuole rimanere col pensiero solo più in Dio, con l’aiuto e sotto la guida di Dio stesso. È tutta opera di Dio sull’uomo che ha accettato di mettere Dio prima di tutto perché il problema è sempre quello di mettere Dio prima di tutto!

 Luigi: Certo!

Nino: Il resto, la comunità, l’andare in Africa, sono cose esterne.

 Luigi: Sono soltanto mezzi, non si possono mettere al posto del fine. Io non posso mettere la Comunità al posto del fine: è assurdo! Non posso vivere per la comunità, perché con Dio si vive personalmente, non si vive in comunità, si vive personalmente, la comunità mi deve aiutare a vivere con Dio. Ma se la comunità ad un certo momento si mette al posto di Dio, io debbo salutare la comunità, debbo salutare qualunque cosa: ho il dovere di salutarla, perché non si può metterla al posto di DIo! La Comunità è una struttura, un’istituzione, sono creature.

Nino: Quanti religiosi si vede che hanno fatto della loro istituzione il fine! Ho visto l’ospedale diventare il fine.

 Luigi: Certo, tutte le cose possono diventare fine, perché come noi ci separiamo dall’essenziale, immediatamente le altre cose diventano fine; i mezzi diventano fine; allora tutta la nostra vita va a rotoli, per forza. E allora comincia tutto a morire. È logico, come noi trascuriamo Dio, l’essenziale, tutto comincia a perire. È Dio che ce lo fa perire, perché Lui regna! Ce lo fa perire, e allora noi sentiamo il naufragio.

Nino: Dio tutto opera per purificare il pensiero dell’uomo, fino a farlo diventare tutto pensiero di Dio e l’uomo si identifica con il proprio pensiero. Quando ha fatto il sé la giustizia verso Dio, identifica in Lui l’unico vero Assoluto, Principio e Fine della sua vita, allora non vuole più che il suo pensiero sia motivato da altro: per questo vigila e sorveglia interrogando Dio. Non rifiuta il suo io e le creature, ma può solo pensare ad essi in Dio.

 Luigi: D’accordo, è chiaro Teresa?

Teresa: Ma io l’avevo già chiaro prima che questo non è il fine.

 Luigi: Certo, in tutte le cose; ad esempio perché uno scappa da un ambiente di lavoro e si raccoglie in un ambiente di silenzio? Perché? Perché l’ambiente di silenzio lo trova come un mezzo che lo aiuta di più per l’essenziale. Ma il problema non sta nell’ambiente di silenzio, perché se io facessi il deserto per il deserto, e il silenzio per il silenzio, di per sé, non sarebbe valido: sarebbe il mezzo che sostituisce, che prende il nome di fine; allora il mio fine sarebbe il silenzio! No, è sbagliato! Il fine non è il silenzio. Si, uno si raccoglie nel silenzio perché nel silenzio è aiutato nell’essenziale, a raccogliersi in Dio, a cercare Dio, a fare ciò che Dio gli chiede. Ma il silenzio è un mezzo, il deserto è un mezzo.

Cina: Lo facilita.

 Luigi: Certo, cosi anche ognuno si cerca quegli ambienti e quelle persone che lo facilitano a camminare verso il suo fine.

Teresa: Non è detto però che si arrivi. Posso anche stare nel silenzio, ma non è detto che io arrivi a Dio.

 Luigi: L’arrivare è tutto dono di DIo! Non è perché io tocco questo tasto che ottengo quello! Non è automatica la cosa. Però se io, preoccupato di Dio, sfuggo tutte quelle occasioni che Dio mi fa vedere che possono danneggiare, rivelo che Dio mi sta molto a cuore. Ad esempio quando sto mangiando e mi accorgo che in cibo incomincia a pesare e mi dà fastidio, lo scarto, perché? Perché il problema non è quello di riempirmi di cibo ma è quello di avere la mente libera per occuparmi dell’essenziale e quindi non debbo avere difficoltà a scartare un certo cibo. Il Signore dice: “Vigilate su voi stessi, affinché nel mangiare e nel bere non appesantiate la vostra anima”. Allora uno che cosa fa? Scarta quella cosa che si accorge che sono dannose e si rivolge invece a quelle cose che sono mezzi che lo aiutano, sempre in vista dell’essenziale. Si capisce, se non c'è l’orientamento, tutto è sfasato. Quindi svende l’orientamento all’essenziale, uno a poco per volta, preoccupato di quello, va a cercare quei mezzi che maggiormente lo aiutano, anche le persone. Se incontro una persona che si mette a chiacchierare del tempo e della moda, del mercato, scappo appena mi è possibile, perché debbo perdere del tempo in cose inutili? Cosi anche si vanno a cercare quello persone, quell’amicizia, quegli incontri che maggiormente aiutano all’essenziale, cioè che sono più vicini al Vangelo; ma sono sempre tutti aiuti, non possono essere scopi. Lo scopo è sempre Dio.

Ho fatto molte volte l’esempio di andare a Cuneo: il fine è andare a Cuneo, ma poi c'è la strada, ci sono le macchine, ci sono i mezzi che mi debbono aiutare per arrivare là.

Ora noi possiamo avere la volontà di arrivare a quella meta e non sapere, oppure confonderci circa i mezzi, e allora a poco per volta, se ci proponiamo di arrivare, il Signore ci aiuta  a scoprire quali sono i mezzi, qual è la strada buona che conduce là.

Ma possiamo anche non avere la volontà di arrivare là. E allora il Signore ci ammonisce, ci manda tutte le lezioni necessarie per farci capire che noi dobbiamo mettere la volontà di arrivare là, perché quello è il nostro destino. Dio ci ha creati per la sua gloria. La sua gloria deve essere il campo del nostro lavoro nella nostra vita.

Noi possiamo non interessarci della gloria di Dio, e allora Dio opera per farci capire che  tutti gli scopi per cui noi viviamo, sono tutti fasulli, fossimo anche in una trappa: la nostra trappa è fasulla. Perché? perché a noi non interessa la gloria di Dio, a noi interessa magari la trappa! E allora diventa fasulla la cosa.

Possiamo invece avere interesse per la gloria di Dio e magari sbagliare tante volte, per cui noi crediamo di andare qui, di andare là e di essere aiutati, e invece ad un certo momento scopriamo che siamo danneggiati, però se abbiamo vero interesse per la gloria di Dio, questo interesse, quell’amore per Dio ci illumina e ci fa capire: qui mi fanno perdere tempo, qui sto sprecando. E allora a poco per volta il Signore mi fa vedere quello che mi danneggia e mi aiuta a liberarmi. È Lui che libera, perché mi fa vedere le cose mi impediscono di camminare.

Teresa: Non è forse che se non arrivo la causa è dentro di me e non fuori di me? perché allora debbo liberarmi di quello che sta fuori di me?

Luigi: Non sono io che mi libero; è l’amore per Dio, cioè il Pensiero di Dio che mi libera.

Teresa: Ma non sono le cose esterne che mi impediscono, è il mio interiore, no?

Luigi: Certo!

Teresa: Pur trovandoci in ambienti diversi, se non raggiungiamo il fine non è certamente per ciò che mi circonda.

Luigi: Certamente, è logico.

Nino: È perché il mio io ha deviato e si è rivolto alla cosa esterna, ma non è la cosa esterna che me lo ha impedito.

Teresa: Se è Dio che mi parla attraverso gli avvenimenti e le persone, io posso solo ricevere aiuto da tutto questo.

Luigi: Senz’altro: “Non c'è nulla dall’esterno che possa fare del male all’uomo”.

Teresa: Se io lo ricevo dalle persone mi può danneggiare; ma se io lo ricevo da Dio, nessuno e niente mi danneggia, anzi, mi può solamente aiutare.

Luigi: Certo! Non danneggia, ma aiuta, è logico. Non c'è niente dall’esterno che possa danneggiare, perché è tutta opera di Dio.

Nino: Se tu trovi un portafoglio (fatto esterno) e non lo restituisci, la colpa non è del portafoglio, ma è il tuo interno.

Luigi: Non è il fatto esterno, certo. La causalità del nostro male è sempre dentro di noi, che ci lasciamo attrarre da altro da Dio.

Teresa: Il male è perché si dimentica che tutto viene da Dio.

Nino: Posso vedere il portafoglio che ho trovato nel pensiero dell’io e nel pensiero di DIo; dipende tutto di li.

Teresa: Allora non debbo pormi il problema di scartare quello che dal di fuori non mi aiuta, se no sarebbe come dire: “In questo momento Dio, in quello, non opera per il mio bene”.

Pinuccia: No, può essere invece una prova che Dio mi mette davanti perché io dica di no.

Luigi: Dio mi aiuta anche attraverso quel mezzo per fortificarmi dentro.

Pinuccia: Ma se dipende da me liberamente?

Luigi: Si, infatti San Paolo cosa dice? “Se potete rendervi liberi, non restate schiavi. Dio vi ha liberati, adesso non ritornate ad essere di nuovo schiavi delle creature, del mondo, degli usi e dei costumi, perché siete stati liberati a prezzo del sangue del Cristo”.

Teresa: Ma sono io che mi rendo schiava, non sono gli altri.

Luigi: Quando dici ad esempio: “Senza questo tavolo non posso vivere!”, il tavolo non è cattivo; sono io che faccio l’errore dicendo: “Senza quel tavolo non posso vivere!”.

Teresa: Allora quando dici “liberarci”, va inteso: “liberarci da questa schiavitù interna”.

Luigi: Ma certo; è questa schiavitù interna al pensiero del mio io che mi fa schiavo ad esempio del portafoglio, per cui il portafoglio, che magari è un mezzo che Dio mi presenta per compiere un atto di amore, può diventare un mezzo di schiavitù. Ma la colpa non è del portafoglio, come non è del tavolo che se dico: “Senza questo non posso vivere”.

È cosi, ritorniamo al termine della regola. Con molta facilità la regola che dovrebbe essere un mezzo per aiutarmi a cercare Dio, può invece diventare un’etichetta. Lo comprendi?

Teresa: Ma la colpa è in me.

Luigi: E già.

Teresa: Perché se io fossi autentica…

Luigi: E già perché non sono autentica nel cercare Dio.

Teresa: Se fossi autentica, darei solo dell’aiuto agli altri, lo riceverei e nessuno mi porterebbe del danno.

Luigi: Ma l’autenticità nostra è tale in quanto c'è la ricerca dell’essenziale, c'è la passione per Dio, per la vita eterna. È questo che rende autentico. Ora, se questo l’ho in me, allora tutto diventa mezzo che mi aiuta per potenziare sempre di più questo.

Pinuccia: Però tra questi mezzi io debbo pur fare una scelta.

Luigi: Certo, io debbo accogliere, perché se veramente sono autentico, scelgo quello che maggiormente mi aiuta in questo mio amore, questa mia passione.

Pinuccia: Non è che tutto sia uguale e che ci aiuti in modo uguale come mi pare voglia dire Teresa.

Luigi: Dio ci offre dei beni che poi ci invita a lasciare: “Va, vendi quello che hai!”

Nino: La scelta ce la consiglia Dio.

Luigi: È Dio che fa vedere ciò che dobbiamo preferire.

Nino: E tutte le volte che scelgo senza Dio, sbaglio.

Teresa: No, non pensavo che tutto fosse uguale; mi era parso invece che si volesse scartare qualcosa come se la causa del nostro allontanamento da Dio venisse dal di fuori.

Luigi: No, le cause degli errori…

Teresa: Ce le portiamo dentro.

Luigi: Certo, sempre dentro, quando siamo troppo attaccati a qualcosa che non vogliamo lasciare.

Teresa: Perché  se non lo tengo presente posso pensare tutta la mia vita a correre per liberarmi da questo è da quello, però mi porterei sempre il mio io dietro e allora…

Luigi: No, il problema non è liberarmi da questo o liberarmi da quello. Il problema è di conoscere il Signore, perché siamo stati creati per la gloria di Dio. Questo è il problema. Il problema non è di scappare da una cosa anziché da un’altra. Perché allora io posso anche scappare da tutto e allora faccio come mio problema il deserto, il silenzio, e ritengo che la perfezione stia nel silenzio, nel deserto; ma questo è sbagliato, perché allora faccio un idolo del deserto. L’essenza è altro!

Nino: È il desiderio stesso di conoscere Dio che pian piano ci libera dalla voglia di andare al cinema, ad esempio; dalla voglia di guardare la TV, di mangiare questo o quello, di vestire alla moda, ecc..

Pinuccia: Cioè uno non se lo propone, però…

Luigi: Certamente. Perché uno scappa da tutte quello cose?

Nino: Se uno dice: “Ora butto via tutti i vestiti belli che ho perché voglio piacere a Dio…”

Luigi: Sarebbe un errore!

Nino: E invece siccome ho capito quello che veramente vale è solo Dio, non mi interessa più quello!

Cina: Conta aver cura del grano buono.

Luigi: L’essenziale è sempre li: il grano buono! È questo che deve crescere!

Nino: È naturale che tu hai la passione per i vestiti, e pensi anche a Dio, incominci a non andare le vetrine dei vestiti, se no è facile che ad un certo punto entri dentro e compri il vestito invece di pensare a Dio.

Luigi: Non è che il vestito di per sé sia male; mica devi andare svestita; però ad un certo momento, con molta facilità il vestito può diventare una schiavitù.

Quindi chi ha lo Spirito si comporta anche nel vestire, nel parlare, in modo completamente caratteristico, tutto diverso, perché è lo Spirito che lo guida.

E lo Spirito parla in modo suo caratteristico. Guarda come parla il Cristo. Parla in modo che nessun uomo ha parlato mai come Lui. Ma anche il parlare non è tutta opera di Dio? Perché allora Gesù parla in modo caratteristico? Vuol dire che lo Spirito ha i suoi gusti in cui si manifesta, si rivela; per cui ad esempio lo Spirito non segue tutte le mode e non va in ambienti dove si perde tempo, non va a perdere tempo a ballare, non va a perdere tempo a divertirsi nelle fiere del mondo. Non è che tutto questo sia proibito. Non è il fatto di proibire questo o quell’altro, per cui: “Io non faccio né questo, né quest’altro e sono a posto!”. Il problema non sta nel proibire una cosa piuttosto che un’altra. No, il problema è avere un amore. Chi ha un amore fa delle scelte guidate dall’amore. Cosi anche la consacrazione: potrebbe diventare per noi un’etichetta. Invece deve diventare qualcosa di vivo in noi, che occupa noi, che occupa la nostra anima. È Dio che ci occupa. Invece di essere occupati da tanti argomenti del mondo, l’anima è occupata da Dio.

Pinuccia: Però succede che pur comprendendo che devo occuparmi, impegnarmi in quello, pur desiderandolo, sento tutta l’incapacità: non so lavorare.

Luigi: Ecco, il Signore dice: “La tua Parola è Verità, la tua Parola insegna loro a lavorare. Consacrali nella Verità, la tua Parola è Verità: la tua Parola insegna loro a lavorare”.

Se effettivamente ti sta a cuore la cosa, guarda che chi ti insegna a lavorare è la Parola del Signore. Se io andassi a lavorare in un’officina, o in un ufficio: non sono capace a lavorare, ma il datore di lavoro, il direttore mi direbbe: “Guarda, io ti metto accanto uno che a poco per volta ti dice cosa e come devi fare; tu stai solo vicino a Lui, guarda come fa lui e imparerai a lavorare”. Sei a posto! Per la seconda volta posso dire: “Ma io non sono capace a lavorare!”, allora vuol dire che io non ho voglia di lavorare. Ma se effettivamente io voglio lavorare e l’altro mi dice: “Sta accanto a Lui! Nessun problema, Lui ti insegnerà poco per volta!”

Pinuccia: Accanto a Lui, sarebbe accanto alla Parola, al Cristo che parla.

Luigi: Certo, Lui parlando a te, ti insegna a lavorare. Tu seguilo passo a passo. Vedrai che imparerai a lavorare.

Nino: È il Maestro.

Luigi: È il Maestro di tutto; è Maestro come orientamento. È il campo, il lavoro ed è anche il Maestro nel lavoro. Quindi, vedi: non ci sono problemi!   

 

Sintesi degli argomenti principali trattati nell’incontro:

 

Consacrazione vuol dire: appartenere solo a Dio (non avviene senza la nostra partecipazione); occupazione in -; è Dio che ci consacra, siamo sua proprietà, riservati per Lui.

Se Dio non ci prende a lavorare nella sua vigna, nel suo campo (il campo della verità, il Padre), se non ci manda la sua proposta di lavoro, noi siamo disoccupati interiormente.

 

Il termine greco della parola “santo” è aghios: cioè a= senza, privazione; ghios = terra; quindi senza – terra, sottratto dalle cose del mondo per occuparsi di Dio.

“Non preoccupatevi del mangiare e del vestire in quanto c'è una preoccupazione maggiore  che devi avere e che ti deve occupare tanto tempo da non avere più tempo per altro”, perché Dio ci impegna a tempo pieno.

 

Noi non dobbiamo preoccuparci di liberarci dalle nostre schiavitù, ma dobbiamo preoccuparci di trovarci il lavoro, l’occupazione per il nostro uomo interiore.

L’uomo interiore vive nella misura in cui continuamente si riporta nell’unità di Dio.

 

Ci sono due tipi di disoccupati:

-         disoccupati che non trovano lavoro;

-         disoccupati che vedono il lavoro ma non sanno lavorare.

 

Gesù dice al Padre: “Consacrali nella verità; la tua parola è verità”. Il che significa: “Occupali nella tua verità”; non dice: “Occupatevi della verità”, perché soltanto guardando il Padre possiamo essere occupati.

Per cui se io mi sento disoccupato, e non so come fare, Gesù mi dice: “Guarda il Padre, il Padre ti occuperà”; per cui basta guardare, guardando Dio Lui fa già sentire a noi un problema, già ci mette in movimento, già ci impegna.

 

Se non sai lavorare, la sua Parola ti insegna a lavorare. Afferrati alla parola di Dio, seguila con pazienza, custodiscila, ti insegnerà come si fa a lavorare nel campo del Padre, perché la parola ci parla del Padre, la parola è il pane spezzato.

Il campo non si lavora senza di me, in me.

“La tua parola è verità”: se ti sta veramente a cuore la cosa, guarda  che chi ti insegna a lavorare è la Parola del Signore.

Gesù parlando a te, ti insegna a lavorare; tu seguilo passo a passo. Vedrai che imparerai a lavorare. Lui è il tuo Maestro, è il tuo Maestro in tutto. È Maestro come orientamento, è il campo di lavoro ed è anche il Maestro nel lavoro. Quindi non ci sono più problemi!

Quanto più noi lavoriamo nel campo al quale la parola di Dio ci invita, tanto più cresce il nostro essere, perché partecipa alla conoscenza di Dio della verità.

La partecipazione alla verità di Dio è comunione con l’Essere e quindi il nostro essere si modifica, cresce di luce in luce, di conoscenza in conoscenza, e crescendo matura per la vita eterna; la vita eterna che è conoscenza in della Presenza di Dio, perché in tutto noi restiamo con Lui “Quando verrà lo Spirito vi condurrà a vedere la verità totale”.

 

Attenzione: tutto ciò che non è essenziale può prendere il posto dell’essenziale in noi.

I mezzi possono diventare fine; come noi ci separiamo dall’essenziale, immediatamente le altre cose diventano fine.

Perché vado nel deserto? Perché mi aiuta nel mio rapporto con Dio. Il fine non è il deserto.

Ognuno cerca quegli ambienti e quelle persone che lo facilitano a camminare verso il suo fine.

La funzione del gruppo è quella di ammonirci a vicenda a non perdere tempo.

 

L’autenticità nostra è tale in quanto c'è la ricerca dell’essenziale. c'è la passione per Dio, per la vita eterna. È questo che rende veramente autentico.

Ora, se questo l’ho in me, allora tutto diventa mezzo che mi aiuta per potenziare sempre di più questo.

 

Quindi chi la lo Spirito si comporta anche nel vestire, nel parlare, in modo completamente caratteristico, tutto diverso, perché è lo spirito che lo guida.

E lo Spirito parla in modo suo caratteristico.

Guarda come parla il Cristo. Parla in modo che nessuno ha mai parlato come Lui.

Ma anche il parlare non è tutta opera di Dio? perché allora Gesù parla in modo caratteristico?

Vuol dire che lo Spirito ha i suoi gusti in cui si manifesta, si rivela; per cui ad esempio lo Spirito non segue le mode e non va in ambienti in cui si perde tempo, non va a perdere tempo a ballare, non va a perdere tempo a divertirsi nelle fiere del mondo.

Non è che tutto questo sia proibito, non è il fatto di proibire questo o quell’altro, per cui io non faccio né questo né quell’altro quindi sono a posto. Il problema non sta nel proibire una cosa piuttosto che un’altra. No, il problema è avere un amore.

Chi ha un amore, fa delle scelte guidate dall’amore.

Cosi anche la consacrazione potrebbe diventare per noi un’etichetta. Invece deve essere qualcosa di vivo in noi, che occupa noi, che occupa la nostra anima. È Dio che ci occupa. Invece di essere occupati da tanti argomenti del mondo, l’anima è occupata da Dio.

 

Però se io, preoccupato di Dio, sfuggo tutte quelle occasioni che Dio mi fa vedere che mi possono danneggiare, rivelo che Dio mi sta molto a cuore.

Ad esempio quando sto mangiando e mi accorgo che un cibo incomincia a pesare e mi dà fastidio, lo scarto, perché? perché il problema non è quello di riempirci di cibo, il problema è quello di avere la mente libera per occuparci dell’essenziale e quindi non debbo avere difficoltà a scartare un certo cibo.

Il Signore dice: “Vigilate su voi stessi, affinché nel mangiare e nel bere non appesantiate la vostra anima”.

 

Se abbiamo l’orientamento all’essenziale ci cerchiamo i mezzi che ci aiutano di più a raggiungere il fine.

Ora, possiamo:

-         avere la volontà di arrivare alla meta e non sapere, confondere i mezzi, allora il Signore ci aiuta a scoprire i mezzi buoni, la strada buona;

-         non avere la volontà di raggiungere il fine e allora il Signore ci ammonisce, ci manda tutte le lezioni necessarie per farci capire che noi dobbiamo mettere la volontà di arrivare là, perché quello è il nostro destino;

-         avere interesse per la gloria di Dio e sbagliare tante volte, ma il Signore mi corregge.

San Paolo dice: “Se potete rendervi liberi, non restate schiavi. Dio vi ha liberati, adesso non ritornate ad essere di nuovo schiavi delle creature, del mondo, degli usi e dei costumi, perché siete stati liberati a prezzo del sangue di Cristo”.

Gesù è il Maestro di tutto, è Maestro come orientamento, è il campo di lavoro ed è anche il Maestro nel lavoro.

Gesù parlando a te, ti insegna a lavorare, tu seguilo passo  a passo; vedi che imparerai a lavorare.