In verità, in verità vi dico: viene l’ora ed è questa in
cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e coloro che l’avranno ascoltata
vivranno Gv 5 Vs 25 Primo tema.
Titolo: La parola di
Dio nella morte dell’uomo.
Argomenti: In tutto Dio parla con noi personalmente. L’azione negativa di Dio è per annullare la
nostra superbia. Accettare e capire l’opera
di Dio. Il dialogo con Dio. Intendere il significato dei segni di Dio. La consapevolezza dei valori.La morte spirituale e materiale. Udire e
ascoltare.
24/Dicembre/1978
Introduzione:
Luigi: L’acqua man mano che si allontana dalla sorgente diventa
meno pura, raccoglie detriti, ecc.. San Giovanni è il contemplativo, quindi
unito alla Sorgente: per questo il suo Vangelo è pensiero puro …
Eligio: San Paolo invece scrive in un contesto di polemiche, di
battaglie. C'è perciò una diversità enorme. San Giovanni invece me lo immagino
là nell’isola a contemplare e scrivere.
Luigi: Infatti Gesù stesso dice a Pietro che voltatosi gli
chiede: “E lui cosa sta a fare qui?”, “Se io voglio che lui resti fino al mio
ritorno, a te cosa importa? Tu segui me”, quasi a rivelare la missione che gli
affidava.
Rina: E non parla mai di sé, ma dell’apostolo che gli stava
vicino.
Luigi: Di colui che Gesù amava. Non parla mai in prima persona:
l’io scompare, forse perché è tutto fermo nella contemplazione di Dio, per cui
sente il bisogno di parlare solo di Dio. In Paolo invece la personalità è
pesante.
Pinuccia: Riassunto
dell’incontro n. 136 dell’11 giugno
(Lettura del libro X delle “Confessioni di
Sant’Agostino)
-
Riassunto sul versetto:
“Il primo che si buttava era guarito dal suo male qualunque fosse” (domeniche 5
e 11 febbraio).
-
Commento ai riassunti letti.
C'è un male che non può essere guarito, cioè un
peccato che non può essere perdonato, ed è il peccato che mi impedisce di
buttarmi. Chi si butta è guarito da qualunque male, ma se non mi butto, cioè se
non aderisco alla Parola, non posso guarire. La Parola di Dio, in quanto mi
parla di Dio, mi impegna ad occuparmi di Dio. Chi rifiuta la strada per Cuneo,
non arriverà mai a Cuneo. La strada che conduce alla Città di Dio è la Parola
di Dio. Chi la rifiuta, subisce necessariamente le conseguenze del rifiuto.
L’essere cosciente, appunto perché cosciente, ha la possibilità di dire: “Io
sono”, però deve dire: “Io non sono Dio, Dio è un Altro, quindi metto Dio prima
di me”. Quel “Alzati” di Gesù vuol dire: “Supera il pensiero di te stesso; tu
non sei Dio: alzati e guarda Dio”. Dobbiamo prendere coscienza che Dio ci sta
parlando personalmente in tutto. È attraverso la sua Parola che Lui ci tiene
uniti al suo Pensiero. In ogni cosa allora che mi arriva, è Dio che sta pensando
a me. La bellezza della vita sta nell’avere qualcuno che pensa a noi, che opera
per noi, che comanda a noi qualcosa.
Luigi: Siamo convinti che in tutto quello che avviene, che
arriva, è Dio che sta pensando a noi?
Emma: Ma se tutto dipende da Lui …
Luigi: No, chiedevo se è convinta che Dio sta pensando a lei in
tutto quello che le accade? Anche quando si rompe il lavandino, ad esempio? È
Dio che sta pensando a lei: è convinta o no?
Emma: Penso di si, anche se tante cose non le capisco.
Luigi: No, adesso le chiedo se è convinta che Dio sta pensando
a lei proprio in quell’incidente che magari le provoca. Se le rompe il
lavandino è per dirle: “Guarda che ci sono Io qui presente, non sei sola”. È
convinta di quello?
Emma: Ci sono momenti in cui è facile sentire che c'è Qualcuno
che mi guida; in altri momenti è più difficile.
Luigi: Il primo passo è quello di ritenere che tutto è opera di
Dio. Poi bisogna fare un altro passo;
sapendo che tutto è opera di Dio, convincerci che in tutto quello che
accade, è Dio che sta parlando con noi personalmente e quindi Dio sta pensando
a me.
Emma: Si, lo penso che è Dio che opera, ma non capisco quello
che vuole dirmi.
Luigi: A parte il capire il significato di quello che le fa …
Eligio: Anche se non capiamo, quel fatto modifica qualcosa di
noi (ad esempio il lavandino rotto), ma creano un impegno, un nuovo lavoro,
senza però che io capisca quel fatto.
Nino: Anche se non capisci, se lo accetti da Dio, questo
favorisce l’azione positiva dell’operare di Dio su di noi.
Luigi: Di fronte ad un avvenimento (e tutti i giorni noi siamo
bombardati da avvenimenti o anche semplicemente da notizie che forse non ci
toccano nemmeno, tanto sono lontane, però in quanto arrivano, modificano
qualcosa di noi), di fronte all’avvenimento, al fatto, alla notizia che arriva,
noi possiamo considerarlo come avvenimento in cui non c'è il Logos di Dio; per
esempio, in cui c'è l’avvenimento umano, gli uomini, la natura; allora qui c'è
un’interruzione tra la nostra anima e il Verbo di Dio che parla, quindi qui
siamo fuori, completamente fuori. L’avvenimento qui non ci modifica, anzi ci
modifica in peggio, cioè aumenta la nostra morte. Siamo in situazione staccata
da Dio e non entriamo in dialogo con il Logos. Il Logos parla, ma noi non
l’avvertiamo, non siamo in comunione.
Nino: Ma in qualche modo penso che Dio agisca lo stesso.
Luigi: Certo, agisce sempre.
Nino: Ma anche se la subiamo, la sua azione, non è mai nulla.
Luigi: No, nulla no, da parte di Dio mai. È assurdo che ci sia
l’inutile da parte di Dio; da parte di Dio è sempre positiva, però ci
schiaccia, cioè ci riduce magari in un Inferno o ci riduce a nulla. L’azione
negativa è sempre per annullare la nostra superbia.
Eligio: Ma se il fatto non lo collego a Dio, non mi avvicina di
più a Dio.
Luigi: No, mi allontana, mi porta verso il nulla; il nulla però
è ancora per recuperarmi = mi rende cieco. Non collegando con Dio, quell’azione
di Dio diventa negativa per noi, nel senso che ci prostra e ci fa sentire
maggiormente l’assenza di Dio, ci svuota completamente, cioè ci porta alla
cecità. Noi crediamo magari di essere illuminati; Dio operando su di noi, ci
porta ad essere ciechi, oppure ci porta ad essere peccatori, ci porta alla
paralisi, cioè ci mette alle corde e ci porta in agonia. Ecco, ti spoglia di tutto.
Da parte di Dio quindi l’azione è sempre positiva; è da parte nostra che
diventa negativa.
Eligio: Non è detto però che nell’agonia per forza di cose, noi
diciamo di “si” a Dio, perché siamo condizionati da tutti i “no” che abbiamo
detto.
Nino: Dio rispetta la nostra libertà e ci corregge a distanza.
Luigi: Il Signore tende a recuperarci, a recuperarci fino
all’impossibile, è logico.
Eligio: Ma è anche vero che più aumentano i miei “no”, più il
recupero diventa impossibile.
Luigi: Si capisce, andiamo verso l’impossibilità. Comunque
ritornando al punto di prima, dicevo che di fronte ad una avvenimento, noi
possiamo considerarlo staccato da Dio, considerarlo ad esempio opera di uomini,
opera del caso, cioè non vedere il Verbo di Dio che parla con noi. Oppure
possiamo vedere l’opera di Dio. Quindi abbiamo queste due posizioni: vedere
l’opera di Dio o non vederla. Vedendo l’opera di Dio noi possiamo:
-
1) accettarla da Dio e non capirci
niente;
-
2) accettarla da Dio, non capirci
niente, però sapere che Dio mi pensa perché lo fa per me;
-
3) accettarla da Dio e capirne il
significato.
Cioè gli Angeli ad esempio, capiscono il significato di
tutto. Invece noi per arrivare al significato, dobbiamo prima cercare di
conoscere Dio, perché noi non conosciamo Dio. Quindi noi un avvenimento
possiamo accettarlo da Dio e non capirci niente; possiamo accettarlo da Dio e
capire che è Lui che pensa a noi, anche se non lo capiamo; e possiamo
accettarlo e capirlo.
Eligio: Che differenza c'è tra la prima e la seconda posizione?
Luigi: C'è differenza perché l’avvenimento io posso pensare che
sia opera di Dio, lo accetto da Dio, ma per me è ancora anonimo. Cioè lo
accetto da Dio: è Dio che fa l’avvenimento, però per arrivare a capire che Dio
lo fa per me, personalmente per me, c'è un salto. C'è un salto di qualità.
Logicamente quando noi partiamo da Dio, dobbiamo concludere che Dio sta
operando personalmente per noi, però per arrivare lì … “È Dio che fa tutto”;
prova un po’ a dire: “È Dio che fa tutto per me; guarda che quel tutto, quella
stella lontanissima miliardi di anni luce, la fa splendere personalmente per
te, ti chiama per nome”.
Pinuccia: E nello stesso tempo che le fa splendere per me, le fa
splendere anche per gli altri, per ciascuno in particolare.
Luigi: Certo, personalmente. Dio parla personalmente. Dio parla
personalmente con ognuno di noi; a tutti, ma a ciascuno, non come massa, per
cui noi ci sentiamo pensati, conosciuti da Dio e dobbiamo ragionare così.
Pinuccia: E dobbiamo anche pensarci pensati personalmente da Lui
anche per esempio nell’avvenimento tragico dell’altra sera, di quella caduta
dell’aereo?
Luigi: Tutto, tutto quello che accade, tutto, tutto. Anche dei
fatti di cui non verremo mai a conoscenza; quei fatti che possiamo supporre e
che noi non conosciamo; anche quello, anche il mistero; la consapevolezza che
esiste un mondo per noi inconoscibile, tanto è lontano da noi: anche quello è
una Parola di Dio personalmente per ognuno di noi. L’avvenimento possiamo
accettarlo da Dio, ma accettarlo da Dio per l’umanità, senza capire la
direzionalità di esso.
Nino: C'è differenza tra ricevere una fucilata ad esempio
diretta al nemico in genere e quella sparata direttamente destinata a te.
Luigi: Proprio perché ti conosce personalmente e ce l’ha con
te.
Eligio: È difficile vedere la differenza perché Dio essendo
Persona infinitamente consapevole, mi pare impossibile che si possa credere,
che si possa accettare un fatto come fatto da Dio e non accettarlo per me
personalmente.
Luigi: Eppure è possibile: ci vuole un salto di qualità. È una
illogicità, d’accordo, però prima di arrivare a renderci conto di questo, ce ne
vuole parecchio. Come per esempio, ci vuole parecchio prima di arrivare a
convincerci che Dio è Colui che opera tutto. Eppure è una cosa logicissima. Una
volta ammesso Dio, è logicissimo che Dio è Colui che opera tutto. Eppure guarda
che abisso che c'è tra il credere in Dio e credere che Lui sia Colui che opera
tutto. Per certe persone religiosissime è una cosa dell’altro mondo sentire che
Dio opera in tutto, e che tutto è opera di Dio.
Nino: Quanti preti che credono che Dio intervenga nelle cose
più importanti, ma non in tutte le bazzecole.
Eligio: E che ci considerano pazzi al crederlo.
Nino: E pensiamo noi, alla fatica che abbiamo fatto per
arrivare a convincercene, anche se per noi ora è naturale crederlo.
Luigi: Una volta acquisito, ti sembra logicissimo, ma arrivare
ad acquisirlo … Dio è molto semplice ma molto difficile.
Nino: Quando uno è arrivato a una certa logica, poi gli sembra
impossibile che un altro non arrivi allo stesso punto; dimentica la fatica che
ha fatto lui ad entrare in quell’ordine di idee.
Eligio: Però mi sembra molto facile, una volta accettato il
punto di partenza che Dio opera in tutto, accettare il fatto che Dio dialoga
con me personalmente e opera per me personalmente.
Nino: È un altro bel passo avanti.
Luigi: Si, perché guarda che il fatto di scoprire di essere
pensati, vuol dire scoprire di essere amati. Tu capisci che se la signora De
Bortoli sapesse che Dio rompendole il lavandino le ha dichiarato un atto
d’amore, le ha dichiarato di pensarla, lei con il lavandino rotto, non avrebbe
visto il fastidio, ma avrebbe cantato di gioia: Dio mi ama, Dio mi pensa! E
sarebbe andata cantando, perché il fatto di essere pensati è superiore ad ogni
inconveniente. Cioè noi preferiamo essere bastonati, piuttosto che essere
ignorati. Quindi il fatto di essere
pensati (Dio mi ha mandato una bastonata, ma mi vuole bene, cioè attraverso
quello, ha voluto dirmi che mi sta pensando), mi fa cantare di gioia! La
bestemmia scompare! Scompare perché? La Presenza del suo Pensiero è
infinitamente superiore alla bastonata che mi ha mandato. Dio ci dice di amarci
in ogni cosa, anche nei disagi che ci manda. Se uno dice: “Il disagio lo
accetto, non capisco, però accetto la Volontà di Dio”, vedi che c'è un salto
dal fatto di accettarlo tutto come Volontà al fatto di capire che in tutto Dio
pensa a noi? Perché quando io capisco che Dio sta pensando a me, tutti gli
avvenimenti diventano motivo di gioia, perché sono un segno del suo amore per
me, per me personalmente. Tutti gli avvenimenti, gioiosi e tristi …
Emma: Il fastidio l’ho accettato pensando che è Dio che me lo
manda e sarà per il mio bene.
Luigi: D’accordo, però lei sta sempre ragionando con: “Dio che
fa tutto” e dice: “Se è per il mio bene, io lo accetto”, però siamo ancora
molto lontani dal quell’altro: “Dio attraverso questo mi ha voluto dare un
cenno che mi sta pensando”. È una cosa molto diversa. C'è un salto di qualità
da fare.
Come c'è un salto di qualità tra
o
il fatto di ritenere che
l’avvenimento sia effetto del caso, sia opera degli uomini, del destino
o
e il fatto di ritenere invece che
sia opera di Dio.
o
E c'è altrettanto un salto di
qualità tra il ritenere che è opera di Dio e il fatto di ritenere, di capire
che attraverso ogni avvenimento Dio sta dichiarando il suo amore per me.
Nino: È veramente molto grande la differenza tra solo credere
che tutto viene da Dio e che invece è Dio che pensa personalmente a noi in ogni
avvenimento. Non è un rimprovero questo, è una spiegazione.
Luigi: Ma nel pensiero dell’io, lo si prende come un
rimprovero.
Pinuccia: Certo che deve essere bellissimo arrivare a capire
questo, perché allora si vede l’amore di Dio in ogni cosa.
Eligio: Ma è difficile capire quello che Dio vuole insegnarci ad
esempio attraverso un lavandino rotto.
Luigi: L’ultimo passo è quello di capire.
Nino: Siamo sempre sul piano della fede, finché non siamo suoi
figli.
Eligio: Solamente quando si arriva a quel piano, si capirà il
significato, vero? Perché prima aderiamo per fede.
Luigi: Certo, uno aderisce per fede: accetto da Dio, però non
capiamo ancora.
Nino: Però prima di arrivare lì, si può già avere una
comprensione parziale del significato, perché Dio ci va confermando nel cammino
verso di Lui.
Luigi: Cioè lui vuol dire che in quanto ha modificato in te
qualcosa facendoti fare ad esempio un atto di umiltà, c'è già una certa
giustificazione del fatto.
Eligio: Ma non è ancora l’intelligenza del fatto.
Nino: Però è un inizio di conoscenza, perché il vivere secondo
Dio, ci libera da tante cose, ci mette in armonia con tutto.
Eligio: Perché ci fa uscire dal pensiero dell’io.
Luigi: Certo, Però la conoscenza totale è la meta.
Nino: È un cammino progressivo di conoscenza che avviene man
mano che, tenendoci uniti a Lui, veniamo liberati dall’io.
Pinuccia: Continuazione della lettura del
riassunto.
Convincerci che non siamo mai soli, è l’inizio
di una grande gioia nella vita, e allora si vive dialogando con Dio in tutto;
siamo continuamente sorpresi dalla sua Presenza, in mille sfumature.
Eligio: Per condurre questo dialogo con Dio, dobbiamo capire il
significato di tutto ciò che ci accade o siamo già in dialogo semplicemente
accettandolo per fede?
Luigi: Siamo già in dialogo accettando tutto come opera di Dio.
Nino: Però dobbiamo anche sforzarci e chiedere per capire e
non accontentarci di accettare.
Luigi: Certo, però senza pretendere perché Dio è libero. Noi
non siamo in dialogo quando viviamo nelle cause seconde, cioè quando
attribuiamo la cosa agli uomini, alla natura, al caso, al fato; qui non siamo
in dialogo. Dio dialoga con noi perché essendo superiore a noi, dialoga nonostante
noi, ma noi non siamo in dialogo con Lui; noi dialoghiamo con le cause seconde
scambiandole per assoluto, quindi siamo nel campo degli idoli. Ma quando
cominciamo ad accettare tutto da Dio, anche se non capiamo, siamo già in
dialogo con Dio, perché è Lui poi che in questo dialogo illumina. Per cui prima
devi credere; in quanto credi, già sei in dialogo: credendo accogli.
Accogliendo cominci a capire, Lui ti illumina, ti fa capire che sta parlando
con te e poi arriva anche a spiegarti il significato della cosa. Ma il
significato è all’ultimo, la meta, che viene soltanto nel Pensiero del Padre,
quando si è figli.
Eligio: A me sembra che più che interrogare Dio sul significato
di una cosa che ci fa soffrire, sia più opportuno e un atteggiamento di maggior
amore quello di chi semplicemente accetta, ringrazia e rimane aperto all’azione
di Dio, in attesa di capire quando Lui vorrà.
Nino: Cercare il Signore prima di tutto a me sembra voglia
anche dire cercare di capire perché, come ogni Maestro, Lui mi parla per farmi
capire qualcosa, e penso che il nostro interesse per capire non dispiaccia a
Dio, anzi.
Luigi: L’importante è non pretendere di capire e non offendersi
se Lui tarda a farcelo capire.
Nino: Penso che sono due punto di vista entrambi corretti. È
che Dio, avendoci fatto diversi l’uno dall’altro come le impronte digitali, ci
tratta e ci fa capire in modo diverso e personale le cose. Da parte mia io ho
fretta di conoscere, perché credo di avere poco tempo davanti.
Luigi: È una fretta di amore, perché l’amore desidera conoscere
tutto dell’Essere amato. Ma in quanto al tempo esso è disposto da Lui.
Pinuccia: Continuazione della lettura del
riassunto: Noi siamo continuamente sorpresi dalla sua Presenza in mille
sfumature diverse e delicatissime. Noi siamo malati perché non vediamo questa
Presenza. Siamo malati perché non abbiamo superato la porta delle pecore. Dio
però non lo abbandona e interviene a intermittenza (l’Angelo che di tanto in
tanto agita l’acqua della piscina): la Parola di Dio qui diventa un vertice,
sul quale Dio ci fa giungere di tanto in tanto attraverso le prove della vita.
Se ci buttiamo “per primo”, cioè se mettiamo questa Parola in alto, scartando
gli altri pensieri, guariamo. Possiamo essere paralizzati al punto tale da non
poterci buttare. Ma lì arriva ancora il Cristo che ci dice: “Alzati!”. Se
l’uomo guarda in alto, incomincia a camminare e testimoniando l’amore verso chi
l’ha fatto camminare, entra nel Tempio dove è confermato nella guarigione.
“Quando l’acqua si muove un altro è già sceso prima di me”: questo ci significa il conflitto di pensieri cui
veniamo a trovarci quando siamo nel pensiero dell’io. Quindi il fatto che uno
si butti per primo non esclude che un altro possa buttarsi per primo; questo è
scena per noi, per dirci che quando in noi abbiamo un pensiero principale,
questo fa fuori tutti gli altri. Siamo creature fatte per un amore unico, per
cui se abbiamo molteplicità di amori, quando vogliamo impegnarci con Dio, gli
altri amori ce lo impediscono. Solo l’amore unico è “tanto amore”; invece la
molteplicità di amori, indebolisce l’amore. Dio ci libera da questa
molteplicità, da questo conflitto, solo nella misura in cui lo mettiamo al
primo posto e superiamo l’io. Pensare Dio è sempre un atto cosciente e richiede
sempre da noi questa vigilanza, un’attenzione presente, è questo è vita. Dio si
annuncia a tutti nella superficialità, ma si fa conoscere solo nella
profondità, cioè se noi entriamo nel Tempio. Il rifiuto dell’annuncio è colpa
perché è rifiuto di occuparci di Dio: “Era il tuo Dio che bussava alla porta e
tu non hai aperto!”. Il fatto di non occuparci di Dio è rifiutare Dio e questo
è già peccato: la causa è l’io al centro. Invece se la creatura è semplice,
tiene conto di Dio in tutto, perché è Dio che annuncia in tutto. La creatura
semplice, aderisce alla realtà, non la altera. Non è la legge che ci salva, ma
la conoscenza di Dio. È questo che Dio vuole, perché Dio è la vita. Dio non ha
bisogno di cultura per farsi conoscere; si fa conoscere a tutti, purché l’uomo
sia aperto e umile.
Eligio: Fa piacere sapere che Dio non ha bisogno di cultura per
farsi conoscere ma basta l’apertura e l’umiltà.
Luigi: Ma Lui quest’umiltà la riempie di Sé.
Eligio: Perché io ho bisogno di essere liberato dall’esigenza di
approfondire il significato dei segni e avvenimenti e questo proprio per
mancanza di tempo e allora preferisco risolverlo nell’amore.
Nino: Ritornando al problema di prima io lo metterei nel piano
dell’interesse.
Luigi: L’interesse per Dio è amore. D’altronde Lui parla per
farsi conoscere e il tanto interesse per conoscerlo è tanto amore.
Pinuccia: A proposito del fatto che Dio non ha bisogno di cultura
per farsi conoscere, in quell’incontro era stato raccontato l’episodio di
quella vedova con molti figli, la quale il giorno in cui le morì l’unica mucca
disse: “Dio finalmente si è ricordato di me”.
Luigi: Ecco, è quanto dicevamo all’inizio: la morte dell’unica
mucca diventa sorgente di gioia. Colleghi questo col fatto del lavandino.
“Finalmente Dio si è ricordato di me”. Ecco, vedi? Diventa motivo di gioia.
Emma: Allora Dio si ricorda spesso di me!
Luigi: Ma deve essere un motivo di gioia, non di fastidio!
Fintanto che le da fastidio, vuol dire che lei accetta soltanto passivamente,
ma non è convinta che Dio sta pensando a lei, perché se fosse convinta, questo
per lei sarebbe un motivo di gioia.
Pinuccia: Perché Dio pensa sempre con amore.
Luigi: Cioè uno si sente conosciuto, si sente amato. Ma lei
capisce cosa vuol dire sentirsi amato? Questo è un motivo di gioia! Qualunque
cosa ci venga dall’essere amato è un motivo di gioia perché sta pensando a me!
Sta parlando a me!
Nino: Se realmente credessimo questo in tutto (e dobbiamo
veramente fermarci a pensarci per esserne convinti), noi saremo felici tutti.
Quella è liberazione!
Luigi: È che non siamo convinti!
Eligio: Bisognerebbe però già trovarci sul piano di chi conosce
il significato della prova e allora la può accettare con gioia.
Luigi: Comprendere il significato è già essere all’ultimo
stadio, ma qui siamo allo stadio intermedio. È un passo abbastanza difficile
quello del ritenere che tutto sia opera di Dio al ritenere che in tutto ciò che
accade, Dio sta parlando con me e quindi mi sta pensando, per cui io mi sento
conosciuto, pensato, amato. Perché l’amore è pensare a. Ecco, noi siamo amati
nella misura in cui siamo pensati da. Invece nella misura in cui siamo ignorati
soffriamo. Ciò che ci fa terribilmente soffrire è essere ignorati o l’essere
trattati come massa, come il “tizio”: “Io sono un tizio qualunque” e allora ti
senti degradato a numero. L’amore è pensiero: quindi in quanto sono pensato da,
sono amato. E lo scoprire che noi siamo pensati da Dio, è sentirsi amati. E
l’amore è sorgente di vita e di gioia.
Pinuccia: Ed è anche la sorgente dell’amore che parte da noi,
vero?
Luigi: Certo, perché ricevendo amore, noi non facciamo altro
che ripagare amore. Noi, essendo creature, possiamo soltanto riflettere quello
che riceviamo, per cui, se noi siamo cattivi, sostanzialmente siamo cattivi,
perché non abbiamo ricevuto amore. Molte volte noi accusiamo: “Quel tale è
cattivo!”. Ma è cattivo perché non ha ricevuto amore. Chi invece riceve molto
amore, non può fare altro che amare. È come uno che abbia vinto cento milioni
nei confronti di chi deve misurare i centesimi. Non possiamo però dire che
costui sia avaro perché misura i centesimi, in rapporto all’altro che non li
misura. Tutto dipende da quello che riceviamo. Dio solo è la vera ricchezza,
Dio solo è Carità, Dio solo è Amore. Noi siamo nella misura in cui riceviamo. E
nella misura in cui riceviamo diventiamo capaci di dare, è logico. È come il
bacino che ricevendo tanta acqua, riesce naturalmente a distribuire tanta
acqua; il giorno in cui riceve poca acqua, però anche dare poca acqua. Noi
siamo un bacino, soltanto questo. E quindi noi siamo creature capaci di amare
soltanto nella misura in cui riceviamo amore. Ma per ricevere amore, ci vuole
questa apertura a Dio, altrimenti non entriamo nell’amore e allora, non
entrando nell’amore, noi pretendiamo, perché l’io, siccome soffre, allora
pretende dell’altro, e più pretende, meno ottiene, è logico, perché la misura
dell’amore è proprio quella di non pretendere, ma è quella di aprirsi, di
lasciare che l’Altro venga, come e quando vuole.
Eligio: E allora cosa dobbiamo fare per fare questo salto di
qualità dalla certezza che Dio opera in tutto al dialogo personale con Dio?
Luigi: Il salto è opera di Dio, nella misura in cui noi ci
fermiamo ad ascoltare: è Lui che si fa conoscere così, non siamo mica noi. È
Lui che si fa conoscere. Nella misura in cui noi riceviamo e raccogliamo le
parole sue; raccogliendole, Lui fa maturare in noi certe convinzioni; ci fa
passare di gradino in gradino, di luce in luce, verso questa meta. Ora, nella
misura in cui la luce cresce, in noi aumenta l’intimità e quindi il colloquio;
il colloquio si fa più amichevole. Verso una persona che io conosco soltanto
alla lontana naturalmente ho un discorso alla lontana; quanto più la conosco,
tanto più il discorso diventa intimo e a un certo momento c'è l’amicizia, c'è
la figliolanza. E a un certo momento uno conosce talmente l’altro, da
identificarlo con la sua stessa persona, direi, per cui non fa più distinzione
tra “l’altro e me”, perché c'è lo stesso pensiero. Uno è talmente padrone
dell’altro pensiero, per cui addirittura può decidere per l’altro, perché sa
che l’altro la pensa così. Ecco, qui abbiamo il rapporto di figliolanza: si
forma una cosa sola che è data dalla tanta conoscenza. Ma come arriviamo alla
tanta conoscenza? (Che diventa poi vera vita, vita eterna?). Nella misura in
cui raccogliamo ciò che Lui ci fa arrivare: raccogliamo e custodiamo. Ecco la
Vergine, la Madonna: è la Madre, la Maestra per noi. E cosa faceva lei?
Raccoglieva. Non parlava mica tanto, anzi, ha parlato pochissimo, ma
raccoglieva e custodiva tutto quello che riguardava il Verbo di Dio.
Eligio: Raccogliere vuol dire riferire a Dio tutto ciò di cui
siamo spettatori e attori?
Luigi: Si, questo è il piano fondamentale; il piano base, la
pietra fondamentale su cui si edifica; perché se io non accetto, allora sono
negli idoli, attribuisco le cause agli uomini, alla natura, ecc.. Per
raccogliere no: accetto tutto. In tutto quello che io accetto da Lui, Lui mi fa
capire ad esempio che Lui esiste, mi fa capire che mi sta pensando, mi fa
capire che mi vuole bene. Ecco, è Lui che edifica: edifica nella misura in cui
noi ci lasciamo edificare. Ma come ci lasciamo edificare? Nella misura in cui
accogliamo. E più noi accogliamo, più cresce anche questa amicizia. Crescendo
questa amicizia, uno desidera tanto (perché è amore) conoscere di Lui; non è
che gli importi poi tanto l’avvenimento, l’avvenimento lo lascia passare,
l’avvenimento si disfa; rendendomi una testimonianza, l’avvenimento passa. È il
segno per dirmi: “Ti sto pensando!”, “Ti lancio una pietra”. Se io penso a me
stesso, mi offendo: “Guarda, mi ha lanciato una pietra”, e mi offendo. Se sono
nell’amore, mi metto a sorridere, perché mi ha lanciato una pietra, per dirmi:
“Ecco, ti sto pensando, sto pensando a te, ti mando un saluto”. Allora più
cresce questa amicizia e naturalmente più uno guarda Lui; e naturalmente più
uno guarda Lui, più la sua anima si apre fino a diventare capace ad un certo
momento di intendere anche il significato di quello che Lui sta facendo. Il
tanto pensiero di Lui in noi, dà a noi la possibilità di capire il significato
prima ancora che l’avvenimento ti arrivi addosso. Capisci già dove vuole
arrivare. Il dialogo è dato da questo, perché il dialogo è amicizia. L’amicizia
ti porta al dialogo.
Eligio: Quindi questo è il piano su cui dobbiamo operare:
raccogliere e riferire a Lui e Lui ci porta al dialogo, all’intelligenza delle
sue opere.
Luigi: Certo, perché è Lui che ci porta. È Lui che parlando con
noi ci unisce e più noi siamo aperti ad ascoltare (abbiamo gli orecchi,
concepiamo per mezzo degli orecchi), siamo aperti ad accogliere, ad accettare
la sua Parola, tanto più Lui forma Sé in noi attraverso la sua Parola. Lui
forma Se stesso in noi attraverso il suo parlare. È Lui che forma in noi,
attraverso la sua Parola, Se stesso, nella misura in cui noi accogliamo,
raccogliamo e custodiamo. Per cui ad esempio, leggiamo una sua Parola: è una
Parola sua! Come l’altro giorno tu sei stato colpito da una parola udita da
Nino, ed essa ti è rimasta tutto il giorno, l’hai custodita, così è con Dio.
Leggi una parola, hai sentito una sua Parola: è Parola di Dio! E allora cominci
a custodirla, la mediti, ci rifletti per cercare di approfondirla: cosa ti
vuole significare, che cosa ti vuole dire. Certo, il piano base è quello
dell’accettazione, perché se io non accetto, quella mi passa immediatamente. Ad
esempio mi stanno parlando del foot-ball: io non accetto, per cui mi passa
immediatamente. Se tu ad esempio non ti interessi di politica, questo argomento
è acqua che scorre sopra una lastra, scorre immediatamente, non penetra niente.
Senti invece la Parola di Dio: “Oh, un momento!”, e ti fermi. Ecco, è
custodire. Il dialogo inizia attraverso il custodire, custodire in quanto uno
riferisce a Dio, riporta a Dio. Allora quanto più uno custodisce, tanto più la
Parola di Dio in noi fa crescere l’amicizia, la conoscenza, ci fa conoscere
Dio. Dio come lo conosciamo? Attraverso la sua Parola non attraverso le nostre
invenzioni. È Lui che parlando rivela Sé a noi. È logico che man mano si
rivela, diciamo: “Ma è semplice!”, è perché si è rivelato. Una cosa prima di
conoscerla, per noi è astrusa, lontana. Una volta che l’abbiamo capita, è
semplicissima! Dio è semplicissimo. Arriveremo a conoscere Lui, a dire: “Ma sei
sempre stato con me, ed io … eri semplicissimo, sei sempre stato con me ed io
non me ne sono mai accorto!”. È lì però la nostra sofferenza, perché è una cosa
semplicissima: “Sei sempre stato con me ed io non me ne sono mai accorto! Sono
proprio stato stupido!”. Ma è Lui che parlando a noi, ci conduce. Quindi ci
vuole questa semplicità di ascolto. Ecco: “Si faccia di me secondo la tua
parola!”. È dedizione, e quando diciamo dedizione, che è poi consacrazione,
vuol dire rendersi disponibili da tutto il resto, perché quando io sono molto
impegnato in tanti altri interessi, non sono più disponibile per custodire, per
accogliere la Parola di Dio. Quindi a noi sembra facile dire che basta
ascoltare e poi Lui forma tutto. E invece è una cosa terribilmente difficile,
perché noi siamo molto aperti all’ascolto di avvenimenti politici, o vari,
perché magari quello ci interessa, domani determinano il bello e il brutto
tempo nella nostra giornata e quindi devo stare molto attento, ecc. Per cui la
Parola di Dio scappa. Ecco, invece se c'è quella disponibilità per la Parola,
questa resta.
Nino: Come dobbiamo intendere la parola “apertura”? È già
apertura, l’atteggiamento di chi dice, pur desiderando conoscere: “Non capisco,
ma so che un giorno Dio me lo farà capire quando vorrà”?
Luigi: Cosa intende Cina per “apertura a”? Capisce cosa vuol
dire essere “aperti a” o essere “chiusi a”?
Cina: Essere aperti vuol dire essere attenti a ciò che mi
arriva.
Luigi: E che cosa è che determina l’attenzione? Aperti vuol
dire essere attenti. E cos’è che determina l’attenzione? È l’attenzione per. E
il tanto “interesse per” che ci determina l’attenzione a. Noi parliamo di
apertura in quanto pensiamo all’orecchio.
Nino: Ma poi possiamo essere giocati dalle parole, se non le
approfondiamo, perché c'è una gradualità nell’apertura; l’apertura potrebbe
essere semplicemente quella di chi dice: “Io non mi chiudo, rimango aperto,
quando Lui me lo vorrà far conoscere, me lo farà conoscere”.
Luigi: È già un grado di apertura.
Nino: Ma c'è un grado di apertura più intenso e più giusto e
che comprende interesse, desiderio di conoscere, attenzione.
Rina: Disponibilità.
Nino: Comprensione che la vita ci arriva attraverso quello.
Luigi: Comunque l’apertura è attenzione. L’attenzione deriva
dall’interesse.
Nino: Dio non premia i talenti, ma l’interesse che traiamo da
essi; questo spiega e interpreta di più la parola “apertura”.
Luigi: Si, l’apertura è determinata dall’interesse, cioè
apertura è uguale a attenzione, l’attenzione è uguale a interesse. L’interesse
presuppone i valori. È la conoscenza dei valori! Ecco, noi diciamo un
proverbio: “Nessuno è più sordo di chi non vuol sentire”, cosa vuol dire
questo? Vedi? L’apertura vuol dire orecchio aperto, ma noi sentiamo non con gli
orecchi: noi sentiamo con il cuore. Dove ho il mio cuore, lì ho il mio
orecchio. Ma cosa vuol dire: dove ho il mio cuore? Dov’è il mio interesse.
Nino: Penso che è importante approfondire le parole per non
illudersi. Perché io una volta credevo di credere in Dio, ma il mio non era un
impegno con Dio.
Luigi: Nella terza parte del libro: “Liberazione dell’uomo”,
c'è proprio questo passaggio: l’apertura all’ascolto, ascolto – interesse,
interesse – valori.
Nino: Aggiungerei il desiderio.
Luigi: Il desiderio è una conseguenza dei valori. Quando io ho
capito che una cosa vale tanto, non posso fare a meno di desiderarla. Quando
desidero poco è perché sono convinto che quello per me vale poco, anche se per
un altro magari vale tanto: per ma valgono altre cose. È la consapevolezza dei
valori che fa sorgere in noi il desiderio. Bisogna arrivare a capire che per me
Dio è molto importante. Il giorno in cui ho capito che Dio è molto importante,
non posso fare a meno di desiderarlo, perché la nostra volontà è un campo di
gravitazione del pensiero. Quindi è che io possa desiderare. Il mio desiderio
si muove in quanto mi convinco che una cosa per me è inutile, non posso più
volerla. Il giorno in cui ho capito che la cosa è vana, se tutti mi dicessero
di volerla, non posso volerla. La volontà scatta in quanto c'è il valore in noi
che si è formato.
Nino: Ammesso che tutto è dono di Dio …
Luigi: Tutto è dono di Dio. La formazione dei valori è dono di
Dio.
Nino: Però Dio ti dà i suoi doni gradualmente, nella misura in
cui ti vede interessato.
Luigi: Nella misura in cui tu ti fermi ad ascoltarlo, perché
Lui comincia a parlarti e Lui parlandoti, ti invita ad ascoltarlo.
Nino: Ma tu gli dimostri l’interesse non a parole, ma …
Luigi: Ma con la dedizione, con la disponibilità. Lui parla
sempre anche se noi siamo morti (è l’argomento di stasera), Lui fa arrivare la
sua Parola a noi morti. “In verità, in verità vi dico: viene l’ora, ed è
questa, in cui i morti ascolteranno (udranno) la voce del Figlio di Dio e
coloro che l’avranno ascoltata vivranno”. Anche se siamo morti, Lui fa arrivare
la sua Parola a noi morti. Ora, il concetto di morte, qui non è il nostro
concetto di morte. Il concetto superficiale di morte è un essere assente. Ma
quelli che noi chiamiamo morti per noi, sono tutt’altro che morti; sono più
vivi di noi, perché sono entrati in una dimensione maggiore della nostra e
quindi naturalmente sono più vivi di noi. Noi però li chiamiamo morti, perché
pensando a noi stessi diciamo: “Non parlano più con me, per cui se io parlo e l’altro
non mi risponde, per me è morto”. Ma è come se io dicessi: “Per me esiste
soltanto quello che io conosco. Quello che non conosco per me non esiste”, è
perché faccio del mio io il centro: sono io l’assoluto. E così altrettanto: noi
non ci rendiamo conto, ma quelli che noi chiamiamo morti, li chiamiamo morti
nel pensiero dell’io, in quanto non parlano più con me, non rispondono più a
me, e allora io dico: “Sono morti”. Invece quelli sono più vivi di me. Il
concetto di morte presso Dio, è molto diverso: presso Dio noi siamo molto più
morti di quelli che noi chiamiamo morti. Ora, è in questo concetto che Dio
parla la sua Parola; cioè il vero morto, spiritualmente parlando, è colui che
non dialoga con il Verbo di Dio, ma che dialoga con le creature, cioè che parla
con le creature, che accetta le cose come avvenimenti del mondo, che dialoga
con il mondo e di cui tutta la vita è proiettata nelle cose del mondo: pensa al
mondo, ragiona con gli uomini, parla secondo gli uomini, attribuisce le cose
agli uomini, vede gli uomini che operano, che fanno, e tutte le cose le fa
dipendere dagli uomini: questo è morto. Però in questa morte, che è
dispersione, Dio fa arrivare la sua Parola. Qui dice una cosa molto importante:
“Viene l’ora ed è questa, in cui i morti ascolteranno (qui preciserei,
modificando: in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio) e coloro che
l’avranno ascoltata, vivranno”. Cioè qui fa una differenza tra:
-
Viene l’ora, ed è questa, in cui i
morti udranno la voce del Figlio di Dio: vuol dire che Dio fa sentire la sua
voce ai morti, a tutti: vivi e morti;
-
Non
tutti ascoltano.
Ecco, qui abbiamo una differenza tra la Parola di Dio che
arriva a noi e noi che ascoltiamo la Parola di Dio: c'è una differenza. La
differenza sta lì.
Nino: Alla parola ascoltare, dai il significato di intendere?
Luigi: No, non ancora intendere, no, perché quando la ascolto
non capisco ancora, però mi apro (ecco l’apertura), perché la cosa mi sta
interessando. C'è un ripiegamento, c'è un io che comincia a prestare
attenzione. La cosa arriva a me senza di me; io dormo: qualcuno mi chiama,
sento un rumore; il rumore arriva senza di me perché sto dormendo; ma come
incomincio a percepire il rumore, ecco, mi sveglio e sto attento. Qui abbiamo
la dedizione, l’ascolto: “… e quanti l’avranno ascoltata …”. Qui abbiamo
l’ascolto che richiede la partecipazione nostra che è dedizione; lì abbiamo la
Parola che comincia ad operare in noi. E man mano che noi ascoltiamo la Parola
di Dio, questa incomincia a parlarci dei valori: “Guarda che Dio è più
importante di questo, del tuo io, ecc.; non mettere il tuo io al centro, ecc.”.
Ecco, Lui mi sta parlando di questo, ed io, se aderisco a questi valori, a poco
per volta sento nascere l’interesse. L’interesse mi porta a maggior ascolto,
ecc., e abbiamo la grande apertura. Comunque l’Iniziatore dei valori è Dio. È
Dio, perché Dio parla ai morti. Il morto è colui che praticamente è piatto,
senza valori.
Nino: Noi passiamo tutti attraverso questo stadio di morte?
Luigi: Noi passiamo tutti in questa situazione qui: il cervello
che praticamente non più onde, è morto e quindi abbiamo la creatura morta
perché è senza valori, in balìa di tutto. Per lei, tutto quello che arriva è
importante, tutti passano, tutti dialogano, tutte le notizie servono a qualcosa
e viviamo così: siamo piatti. Ecco, in questa morte, Dio fa sentire la sua
Parola; e questa la fa sentire a tutti. Non tutti ascoltano. Gesù dice: “Quanto
ascoltano vivranno”. Ecco, vedi che si incomincia a vivere? Si passa dalla morte
alla vita, cioè uno comincia a drizzarsi in piedi, perché ha ascoltato,
qualcuno l’ha chiamato e allora comincia a drizzarsi, incomincia a vivere:
vivere vuol dire interessarsi di. Vivere vuol dire interessarsi di Dio. Ecco,
incomincia a interessarsi di Dio, aperto a Dio: allora incomincia la vita,
nasce la vita, il seme nuovo.
Conclusione:
Luigi: Bisogna accettarci così come siamo, con i nostri limiti.
Ognuno ha poi dei talenti diversi dagli altri. Tutto è dono di Dio e ognuno
serve all’altro. I talenti di uno servono e creano comunione con un altro; lo
scopo della differenziazione è creare unione. Dio differenzia per creare
unione. Così Dio ci fa toccare con mano la nostra povertà per unirci di più a
Sé: è la differenziazione che unisce.
In verità, in verità vi dico: viene l’ora ed è questa
in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e coloro che l’avranno
ascoltata vivranno Gv 5 Vs 25 Secondo tema.
Titolo: La morte e il
Natale.
Argomenti: Udire e ascoltare. Vita e possibilità
di vita. Morte materiale e spirituale. Desiderare i doni maggiori. Talenti e interesse.
Vivere in funzione del corpo. La morte
crescente è determinata dai rifiuti della Parola di Dio. Avere la vita eterna e essere nella vita eterna. La dispersione. La consapevolezza
dell’importanza dell’anima.
25/Dicembre/1978
Pensieri tratti
dalla conversazione:
Luigi: Qui bisogna evidenziare che c'è una differenza tra i due
verbi “ascolteranno”: il primo, per l’abitudine che abbiamo noi di linguaggio,
forse sarebbe meglio sostituirlo con “udranno”. “Viene l’ora ed è questa, in
cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e coloro che l’avranno ascoltata
vivranno”. Ecco, è meglio usare due verbi diversi (come già troviamo in alcune
traduzioni), perché si tratta di due cose diverse. Cioè il Figlio di Dio si fa
sentire dai morti, però non basta che si faccia sentire perché i morti vivano.
Soltanto coloro che avranno ascoltato vivranno. Quindi c'è differenza tra Dio
che parla alla creatura e la creatura che ascolta Dio. Qui abbiamo l’apertura.
Dio parla per dare a noi la possibilità di ascoltare, perché se Dio non
parlasse, noi non potremmo nemmeno ascoltare. Dio parlando, dà a noi la
possibilità di entrare in comunione con Dio. Bisogna fare la distinzione tra
“vita come possibilità di comunione” e “la vita come comunione”. La vera vita è
comunione. La vita in cui ci troviamo adesso, è soltanto possibilità di
comunione. Però qui parla di morti. Ed è collegato questo anche al tema di
Natale: “Vieni, Signore, ad illuminare e a salvare coloro che giacciono
all’ombra della morte”. Il tema della morte è associato al Natale, alla venuta
di Dio tra noi, alla Presenza di Dio tra noi. Il concetto di morte, l’abbiamo
già accennato ieri sera, evidentemente non è il concetto di morte nostro, quale
intendiamo noi. Per morte noi intendiamo la non più comunione, la non più
rispondenza. Ma quando noi pensiamo ai morti o alla morte, li riferiamo sempre
al pensiero del nostro io, in quanto non rispondono più a noi, non parlano più
con noi; quindi il nostro io chiede, interroga e trovando il silenzio dice: “Lì
c'è la morte, perché l’essere non risponde più”. Ma evidentemente questo
concetto di morte è rapportato al concetto di: “Io sono vivo”. Noi, ritenendoci
vivi, quando incontriamo qualcuno che non risponde a noi, diciamo: “Questo è
morto”. Ma nei riguardi di Dio è molto diverso perché nei riguardi di Dio,
prima di tutto bisogna vedere se noi siamo vivi. In secondo luogo, sappiamo che
quelli che noi riteniamo morti, sono andati verso un più di vita, verso cose
maggiori: il cielo è un più di vita rispetto a noi, quindi sono più vivi di
noi. Soltanto che sono entrati in una dimensione superiore, quindi non sono più
dipendenti da noi. Non essendo più dipendenti da noi, noi li chiamiamo morti,
perché facendo il rapporto con noi, riteniamo noi vivi. Invece se noi
ritenessimo loro più vivi di noi, facendo il rapporto con loro vivi, riterremmo
noi morti, come effettivamente è secondo lo spirito. Allora bisogna cercare di
chiarire che cosa si debba intendere per questi morti ai quali Dio fa sentire
la sua voce, per dare loro la possibilità di entrare nella vita, cioè per dare
loro la possibilità di entrare in comunione con Lui. Abbiamo detto che la
nostra vita attuale così è solo una possibilità di comunione, non è comunione.
La comunione ci verrà data dalla conoscenza del Padre; è il Padre che unisce a
Sé: “Ut unum sint”. È il Padre che comunica, che dà l’unione. Il Verbo, il
Figlio di Dio parlando a noi, ci immette nella possibilità di comunione.
Amalia: È possibile la comunione qui?
Luigi: È possibile la comunione, si, nella misura in cui
conosciamo il Padre; la riceviamo dal Padre. Ed è possibile ricevere la
comunione qui. Gesù lo dice: “Vi sono alcuni tra voi (tra voi che ascoltate
me), che vedranno il Regno di Dio prima di morire”. Il Verbo di Dio dice che è
possibile. Perché evidentemente il concetto di morte non è il nostro concetto
di morte.
Nino: Altre volte dice che vedranno il Figlio dell’uomo.
Luigi: È lo stesso: “Vedere il Figlio dell’uomo”, “Vedere il
Regno di Dio”, “la fine del mondo”, “la venuta del Figlio di Dio”, “Conoscere
il Figlio”, ecc., è sempre lo stesso.
Nino: Conosceranno il Figlio perché il Padre l’ha rivelato.
Luigi: Perché il Padre Lo rivela. È solo il Padre che conosce
il Figlio ed è il Padre che rivela il Figlio, però è necessario conoscere il
Padre. Appunto, quando Gesù dice: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”,
non lo dice mica per escluderci: lo dice per orientarci, affinché noi sappiamo che
soltanto trovando il Padre troveremo il Figlio. Anche quando Gesù se ne va,
dirà: “È necessario che io me ne vada per prepararvi un posto, affinché dove io
sono siate anche voi. Ecco ci rivedremo alla destra del Padre”. Ecco, ma è
sempre un appuntamento al Padre e questo lo dice affinché noi ci rivolgiamo al
Padre, alla Sorgente. È soltanto nella Sorgente, nel Principio che noi
troveremo la vera luce. Infatti il Padre è chiamato il Padre della luce. Dice
San Giacomo: “Quanti hanno bisogno di luce, la chiedano al Padre, il quale la
dà abbondantemente, senza rimproverare nulla”; quando hanno bisogno di luce, la
chiedano al Padre, perché il Padre la dà abbondantemente: non rimprovera nulla,
perché, anzi, è amore; essendo amore vuole donare. Soltanto che per donare la
luce, si richiede il desiderio della luce. Si richiede l’apertura, l’interesse
per la luce; perché la condizione per ricevere i doni maggiori è proprio quella
di desiderarli, come la condizione per mangiare il pane è quella di avere fame.
Noi il più delle volte ci escludiamo dal ricevere i doni maggiori proprio non
desiderandoli, non chiedendoli. Noi facciamo una vita da miserabili; siamo
figli di signori e ci accontentiamo di fare la vita da mendicanti, proprio
perché non desideriamo. Il Signore invece ci dice: “Chiedi molto”. Anzi dice:
“Chiedete molto affinché la vostra gioia sia piena, fino a raggiungere la
pienezza della gioia”.
Pinuccia: Questo chiedere però non è tanto un chiedere così,
quanto un applicarci, vero?
Luigi: È un desiderare ciò che il Padre vuole darci. È un
desiderio di. Il desiderio è una conseguenza della valutazione: chi valuta
molto un dono, lo desidera molto. Allora Dio vuole che noi valutiamo molto i
suoi doni; se li valutiamo molto li desideriamo; è il famoso piatto di lenticchie
e il diritto alla primogenitura. Chi valuta molto il diritto alla
primogenitura, svaluta il piatto di lenticchie.
Nino: Il Vangelo dice anche che il Regno di Dio i violenti lo
rapiscono.
Luigi: Si, il Regno di Dio subisce violenza, cioè viene dato a
coloro che lo vogliono.
Nino: Cioè che si applica con desiderio a quello …
Luigi: È l’interesse dei talenti. Dio non premia i talenti che
dà alle creature, ma premia l’interesse che le creature sanno trarre dai
talenti: l’interesse per Dio. Tutti i doni che attualmente abbiamo: la vita, il
pensiero, il Pensiero stesso di Dio che abbiamo tra noi, il Vangelo, il tempo
da vivere, l’intelligenza, la capacità di volere, la capacità di amare, la
capacità di sacrificio, ecc., tutti questi doni sono talenti che Dio dà a noi:
l’universo stesso è un talento che Dio dà a noi, il Cristo stesso, sono tutti
doni di Dio. Dio però non premia questi doni che ci dà; Dio premia l’interesse
per Lui che noi sappiamo trarre da questi doni, quindi l’interesse per i doni
maggiori, in quanto ci svegliamo all’interesse per di cose maggiori. Se noi
capiamo ad esempio dall’universo – un talento – che Dio esiste e incominciamo
ad occuparci di Dio, ecco qui si è svegliato un interesse per Dio in noi.
Abbiamo tratto un interesse da un talento. Dio dà a noi il pensiero, la
possibilità di pensare Lui, ed è il Figlio di Dio tra noi. Noi abbiamo la
possibilità di pensare Lui: questo Pensiero di Dio che è con noi, noi lo
possiamo accantonare, lo possiamo trascurare, lo possiamo seppellire sotto
un’infinità di nostre preoccupazioni, di nostri interessi, ecc., oppure
possiamo metterlo in primo piano, occuparci molto di questo: la possibilità di
pensare Dio. Se ci dedichiamo molto, ecco, in noi si è svegliato un interesse
per quello. Dio premia questo interesse, perché questo interesse è fame, fame
che nasce da. Allora Dio, in tutta questa nostra vita, in questa possibilità di
comunione che Lui dà a noi, dà la possibilità a noi di diventare fame. Nella
capacità in cui ci trasformiamo e anzi noi dovremmo trasformare tutto (= fuoco:
tutto l’universo è fuoco) in fame, trasformarci tutti in fame. Ecco, ogni dono
di Dio tende a trasformare a trasformare noi in tutta fame, in fame di Dio. Più
diventiamo fame di Dio e più la nostra anima diventa capace di ricevere i doni
maggiori, cioè di ricevere il Padre. E allora si entra in comunione. Quindi si
passa dalla possibilità di comunione alla comunione con Dio che è vera vita.
Qui abbiamo la vera vita. Però già quando l’anima si apre all’interesse per Dio
incomincia a vivere. Ma per aprirsi all’interesse per Dio, deve ascoltare la
Parola di Dio. È la Parola di Dio che giungendo a noi, ci propone l’interesse.
Il Figlio di Dio, la Parola di Dio, venendo tra noi, parlando a noi, fa delle
proposte: ci propone l’essenziale. La prima parola che Gesù dice venendo tra
noi è: “Non preoccuparti del mangiare, non preoccuparti del vestire … cerca
prima di tutto il Regno di Dio … Vedi i gigli dei campi, vedi gli uccelli
dell’aria, è il Padre che provvede loro; tu sei molto più importante di un
eccello dell’aria, di un giglio del campo che dura magari lo spazio di un
giorno … quindi preoccupati prima di tutto di Dio, non sprecare la tua vita per
il mangiare, per il vestire, perché questo è tutto scontato; Dio te lo
assicura!”.
Pinuccia: Però oggi giorno si spreca la vita non tanto per il
mangiare e vestire, ma in tante altre cose (divertimenti, cinema, politica,
ecc.).
Luigi: Si, ma lo scopo è sempre quello: il termine ultimo è
sempre il corpo. San Giovanni dice: “L’uomo è tutto concupiscenza degli occhi
(= vedere), dell’udito (= ascoltare), della bocca (= gustare), del mangiare,
ecc”. Viviamo tutto in funzione del corpo. Ma Dio non ci ha dato il corpo
affinché avessimo a vivere per il corpo: il corpo è uno strumento. Dio non ci
ha dato la biro o la penna perché io avessi a vivere per esse. Dio mi ha dato
la penna affinché la usassi per scrivere un pensiero. E così Dio ci ha dato un
corpo affinché lo usassimo, non affinché vivessimo per esso. Il corpo è un
mezzo ottimo, bellissimo, è fatto stupendamente per servire e serve
stupendamente, ma in quanto serve. Diventa un pessimo padrone se noi viviamo
per esso, perché allora non finisce di angariarci, perché più lo curiamo e più
manifesta delle esigenze, è logico. No, il corpo è ottimo servitore. Ma è
servitore in quanto noi viviamo per qualcosa di diverso; allora serve
stupendamente. La meraviglia del corpo quando sta bene, sta nel fatto che è
tutto silenzio. Cioè noi abbiamo un servitore che è tutto disponibile per la
nostra anima, tutto disponibile per il pensiero. Sant’Agostino dice: “Tutto
l’universo, Tu Signore, l’hai creato per il nostro corpo; il corpo l’ha creato
per la nostra anima, affinché la nostra anima possa pensare a Te, si apra a
Te”. Qui abbiamo tutta una scala. L’universo è silenziosissimo; è tutto fatto
perché il nostro corpo viva. Il nostro corpo è silenziosissimo: è tutto fatto
perché la nostra anima pensi. La nostra anima è fatta per Dio. È tutto un
silenzio, un ordine stupendo. Noi stiamo viaggiando attorno al sole alla
velocità di centomila chilometri all’ora e chi se ne accorge? In questo
momento, stiamo precipitando alla velocità di centomila chilometri orari e se
noi potessimo staccarci un pochino, potremmo vedere un corpo alla velocità di
centomila chilometri orari. Eppure chi se ne accorge? Ecco l’armonia che c'è.
Perché? Come mai Dio ha fatto tutto in questa armonia? Il nostro organismo
com’è? Eppure è silenziosissimo e fa un lavoro enorme, stupendo e perché?
Perché noi possiamo pensare e pensare Dio. Come invece cominciamo a rivolgere
il nostro pensiero, a ripiegarci, a fare attenzione al nostro corpo, questo
comincia a far rumore e comincia ad ammalarsi; perché noi sostanzialmente ci
ammaliamo col pensiero, col pensiero che si stacca dalla sorgente della vita.
Comunque, ritornando a quel concetto di “morti” di cui parla Gesù, diciamo:
“Noi ci troviamo attualmente in questa possibilità di comunione che ci è data
dal Verbo di Dio che parla tra noi, ed è una possibilità che giorno per giorno
noi perdiamo, perché noi tutti i giorni, in quanto viviamo, viviamo di Parola
di Dio. Anche se non ce ne accorgiamo, se non ci rendiamo conto, Dio parla in
continuazione con noi. Tutta la creazione, tutti i fatti sono tutte opere di
Dio che Egli fa davanti ai nostri occhi, per noi: Dio parla con noi. E siccome
abbiamo detto che la Parola di Dio è una proposta, in quanto Dio ci fa delle
proposte, ci impone una scelta, cioè noi dobbiamo dare una risposta. Di fronte
ad una proposta, diamo sempre una risposta. E la risposta è sempre questa: o
noi aderiamo a quel valore essenziale che Lui ci propone, oppure rifiutiamo.
Più aderiamo e più aumenta la nostra possibilità di comunione, fino ad arrivare
al termine estremo che è poi identificato con la comunione stessa, cioè con la
certezza (probabilità che va verso la certezza: l’uno). Invece più noi
rifiutiamo (noi rifiutiamo le cose di Dio senza esserne consapevoli, sia ben
chiaro, perché noi rifiutiamo le cose di Dio senza saperlo), più perdiamo
questa possibilità di comunione. Se noi aderiamo, andiamo di consapevolezza in
consapevolezza e quindi prendiamo sempre più coscienza dei doni di Dio, perché
la luce è presso Dio. Ma nei rifiuti noi non siamo coscienti. Noi sperimentiamo
soltanto le conseguenze di questi rifiuti e più noi rifiutiamo, più noi andiamo
verso l’impossibilità della comunione; quindi il termine opposto è
l’impossibilità. Noi oscilliamo tra la certezza e l’impossibilità.
Nell’impossibilità di comunione abbiamo la situazione di vera morte. Noi
possiamo venirci a trovare (e questo lo sperimentiamo anche nella nostra vita)
nell’impossibilità di comunione con Dio, perché quanto più ci lasciamo invadere
dalle cose del mondo, tanto più gli argomenti di Dio, il Pensiero di Dio,
diventano astratti per noi, diventano lontani, non attirano più, non legano
più. Noi incominciamo ad avvertire una infinità di ostacoli e cresce la nostra
impossibilità di comunione. Diminuisce cioè la nostra possibilità di comunione.
Potremmo definire così: la morte in noi (è una morte crescente) è determinata
dai rifiuti; è il campo dei rifiuti della Parola di Dio, cioè dei rifiuti delle
proposte di Dio, dell’essenziale.
Pinuccia: Sono sempre incoscienti i rifiuti?
Luigi: Sono incoscienti. “Gerusalemme, Gerusalemme, quante
volte … non hai conosciuto l’ora in cui sei stata visitata”, perché la
consapevolezza è nel positivo, la consapevolezza è dono di Dio. Infatti più noi
aderiamo alla Parola di Dio e più prendiamo coscienza. Indubbiamente il Verbo
di Dio parlando, ci propone dei valori. Di questi valori noi sappiamo
l’importanza. Il valore lo sappiamo, perché quando Dio mi pone Se stesso come
massimo valore, è un problema di giustizia; io mi rendo conto che io non sono
Dio; tutti noi sappiamo che: “Io non sono Dio”. Ecco il nostro io non è Dio,
questo lo sappiamo. Sappiamo che pensando a noi o essendo egoisti, vivendo per
noi, ecco sappiamo di porre un’ingiustizia. Tant’è vero che noi non osiamo
apertamente giustificarci dicendo: “Questo lo faccio per il mio orgoglio,
ecc.”. Dobbiamo sempre metterci un’etichetta: doveri, famiglia, figura, ecc.
Abbiamo delle etichette, ma sotto sotto c'è l’io. Appunto perché noi sappiamo
che il nostro io non è giustificato. Ed è proprio lì perché non è giustificato
che noi siamo consapevoli: perché non c'è la giustificazione. La vera
giustificazione ce l’abbiamo solo presso Dio. In Dio, nel Padre noi abbiamo
tutta luce, perché è tutto giustificato, perché Dio trasforma tutto.
Pinuccia: Ma uno può avere una giustificazione che non è giusta,
però è un rifiuto consapevole.
Luigi: Ma non è giustificazione: una giustificazione non giusta
portata in Dio è una non giustificazione. Noi crediamo di giustificarci, ma ci
giustifichiamo solo di fronte alle creature: “Io ho il lavoro”. E domani puoi
venire? “No, ho il lavoro”, = pienamente giustificato. Davanti a Dio no. Cosa
c'è di più onesto e giustificato: i buoi, i campi, la moglie, la casa? Cosa c'è
di più giustificato? Eppure Dio dice: non assaggeranno la mia cena. Il Signore
non dice: “Non assaggeranno la mia cena le prostitute”. Dice: “Le prostitute vi
precederanno addirittura nel regno dei cieli”. “Non assaggeranno la mia cena”,
perché sotto c'è l’io e l’io non giustifica davanti a Dio. Il Signore
giustifica qualunque distacco, addirittura dai doveri che secondo gli occhi
umani sono i più sacri. Quindi il Verbo di Dio fa sentire la sua voce, poiché
Dio è onnipotente, ovunque, anche ai morti. Però non tutti coloro ai quali il
Verbo di Dio fa sentire la sua voce, ascoltano. Perché questa possibilità di
ascoltare, è relativa alla possibilità di comunione che noi giorno per giorno
incrementiamo o perdiamo. Quanto più incrementiamo la possibilità di comunione,
tanto più siamo aperti (ecco l’apertura; l’orecchio aperto), alla parola di
Dio. Si arriva al punto in cui non si ascolta più nessuna altra parola. Si
ascolta solo la Parola di Dio: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”. Ma “le
mie pecore ascoltano la mia voce”, vuol dire che “non ascoltano la mia voce
soltanto in certi luoghi, in certi momenti, in certe ore del giorno”, ma
“ascoltano la mia voce in tutto”, cioè vedono sempre la mia presenza, sono
sempre con me. Questa è la caratteristica delle pecore di Dio. Per cui più noi
ascoltiamo le proposte di Dio, quindi aderiamo a quel essenziale di cui ci
parla il Verbo di Dio, più in noi aumenta l’apertura all’ascolto. Poiché
aumenta l’interesse per Dio, aumenta l’apertura all’ascolto della Parola di
Dio. Più noi rifiutiamo di interessarci delle cose di Dio e più in noi si forma
la chiusura: si va verso la morte. Ecco, morto in questo caso è uno che,
interrogato, non risponde più. È interrogato perché il Figlio di Dio parla
ovunque, anche nell’Inferno fa sentire la sua voce e l’Inferno è costituito
proprio dalla Parola di Dio. Quella Parola di Dio che in Paradiso costituisce
il Paradiso, quella stessa identica parola, costituisce l’Inferno, perché ci
troviamo con la creatura che non risponde; sente, ma non risponde, non può
rispondere, perché la massa dei rifiuti le impedisce di rispondere. Si rimane
soffocati nei proprio rifiuti. Ogni rifiuto che noi facciamo, ci condiziona per
la risposta successiva; diminuisce in noi la possibilità di ascoltare. Da parte
di Dio abbiamo sempre l’opera positiva: Dio parla per portarci nella comunione,
quindi per portarci nella vita eterna; però per entrare nella vita eterna è
necessaria la risposta della creatura, cioè l’ascolto, l’interesse per, che
come ho detto, è condizionato. Allora si può capire come nella nostra vita noi
ci giochiamo l’eternità, perché non è che noi viviamo cinquanta, sessanta,
settant’anni o quello che si vive, mantenendo una certa dotazione di
possibilità. Noi giorno per giorno perdiamo o aumentiamo questa possibilità.
Cioè noi giorno per giorno andiamo verso la vita eterna o perdiamo la vita
eterna. Giorno per giorno noi decidiamo questo, perché siamo continuamente
interrogati da Dio. E in quanto noi siamo interrogati da Dio, noi rispondiamo a
Dio.
Pinuccia: Quindi tutti coloro che si trovano in questa morte, in
questa dispersione e ascoltano la voce del Figlio di Dio, rivivranno, cioè nella
misura in cui restano nell’ascolto.
Luigi: Si, però il vivere qui, come abbiamo già visto la volta
scorsa ( = passare da morte a vita), non va inteso nel senso che si entri
subito nella vita eterna. Quando Lui dice: “Hanno la vita eterna”, dice: “Già in
quanto hanno interesse per conoscere Dio, già si ha in noi il seme della vita
eterna”. Qui dice: “Hanno” la vita eterna, non dice: “Sono” nella vita eterna.
Hanno la vita eterna in quanto sono già orientati a Dio. “Tu non mi cercheresti
se non mi avessi già trovato”, quindi, tu cerchi il Signore? Hai già il
Signore. Tu ti interessi delle cose assolute? Hai già la vita eterna, hai
seminato la vita eterna. C'è l’apertura: hai.
Rina: Però è già vivere il desiderare.
Luigi: Hai infilato la strada per Cuneo? Sei già a Cuneo, anche
se ci sono ancora tanti chilometri, ma sei già a Cuneo perché praticamente hai
già trovato la tua strada.
Nino: Se non viene interrotta però essere già vita eterna.
Luigi: È già un inizio di vita eterna. Però la vita eterna è
totalità di contemplazione. È una vita crescente fino ad una totalità. “Vi
condurrà a vedere la Verità in tutto”.
Nino: Cioè non è ancora arrivato alla conoscenza diretta del
Padre.
Luigi: Però abbiamo un inizio: si è infilata la strada. Non
siamo più lì nell’incertezza: quale strada prendere o non prendere. Noi
possiamo benissimo misurarci, perché se viviamo di cose che passano, se la
nostra vita è improntata a pensare soltanto agli uomini, al mondo, ai fatti di
questo mondo, se il nostro dialogo (perché noi siamo sempre in dialogo, il
nostro pensiero è sempre in dialogo), se il nostro dialogo della giornata è
sempre soltanto con le notizie che ci arrivano, con le persone che ci stanno
attorno, noi siamo morti: questa è morte, perché morte è non comunione con il
Verbo di Dio. Il Verbo di Dio parla con noi, ma noi non parliamo con il Verbo
di Dio. Con chi parli tu? Io parlo con gli uomini, io parlo con le creature,
parlo con i fatti, parlo con quello che mi succede: ecco, tu sei in situazione
di morte. La morte è non comunione. Ora, non comunione con chi? Con Colui che
sta parlando a me. Ma chi parla a te? Dio parla a te! Ecco, il Verbo di Dio sta
parlando a te. Tu con chi parli? Ecco, quando noi ci manteniamo al di sotto del
Verbo di Dio, del Logos che parla in tutto, noi siamo staccati; allora parliamo
soltanto con i segni, perdiamo ormai il campo delle cose eterne, non siamo più
in vita eterna qui, noi siamo ormai nelle cose che passano: e le cose che
passano già ci portano la morte. Mentre invece la vita eterna è dialogare con
Colui che parla con noi. Colui che parla con noi è l’Eterno. Nella misura con
cui noi parliamo con Lui, Egli ci fa entrare nella vita eterna. Indubbiamente
la possibilità di parlare con Lui è Lui che ce la dà, ma è possibilità. Ora se
noi notiamo cosa vuol dire possibilità, capiamo che noi possiamo benissimo
perdere questa possibilità. Il Verbo di Dio parlando, dà a noi (e questo è
grazia), la possibilità di parlare con Lui. Una persona quando parla con me, mi
dà la possibilità di parlare con lei e quindi è grazia di quella persona. Una
persona che venga a trovarmi in casa, è grazia che mi fa, perché la presenza
della persona è sempre una grazia, è un dono. Dio parlando con noi è grazia che
ci fa. E in che cosa consiste questa grazia? La grazia consiste nella
possibilità che mi dà di parlare con Lui. Ma se io anziché parlare con Lui
parlo con altro, rifiuto la grazia e offendo la persona. È lì che c'è la
frattura, per cui: “Uomo, non dividere quello che Dio ha unito”. Dio tutte le
sue parole, quindi tutta la sua creazione, l’ha unita a Sé, nel Pensiero di Dio
Sé: tu non separare la creazione di Dio (per creazione di Dio intendo anche
tutti i fatti del giorno che accadono, tutte le notizie che ci arrivano, tutte
le persone che incontriamo; è tutta creazione di Dio: la creazione di Dio è
continua). Ora essendo tutto creazione di Dio, tu uomo, non dividere la
creazione dal Creatore. Esempio della chiave inglese: non separare la chiave
inglese dal tecnico che la porta. Invece noi dividiamo, e qui è opera del
diavolo. Il diavolo è proprio quello che divide, che si mette in mezzo, che
scorpora, che non sta nella verità. È il problema dell’io: allora l’io si ferma
al segno, strumentalizza la cosa e dimentica l’Autore, dimentica Dio: quindi
non dialoga più con Dio. Non dialogando con Dio, ecco, si crea la morte. Siamo
noi che seminiamo la morte: la morte è divisione. In conseguenza di questa
divisione abbiamo la dispersione e nella dispersione noi cadiamo in balìa di
tutti gli avvenimenti, perché proprio quegli avvenimenti che noi abbiamo
separato da Dio, diventano padroni nostri. Prima abbiamo detto che il nostro
corpo è un ottimo servitore, ma servitore in quanto è mezzo a servizio di; ma
se io non lo metto a servizio di, questo corpo diventa padrone della mia anima
e diventa un pessimo padrone. E allora noi diventiamo schiavi proprio di coloro
che noi abbiamo eletto. Ecco: “Saranno torturati, tormentati dai loro stessi
idoli”: ognuno di noi diventa tormentato dagli idoli che ha messo al posto di
Dio.
Nino: Perdiamo la visione generale e ci fermiamo al
particolare.
Luigi: Si, e quel particolare lì, però diventa il nostro
padrone e ci chiude. Ecco perché non più in vita eterna. Allora la nostra anima
non è più nelle nostre mani. La nostra anima è in balìa di tutti gli
avvenimenti esterni, di tutti i fatti, e allora quando noi cerchiamo di
metterci in ascolto di Dio, troviamo l’impossibilità. Quando noi cerchiamo di
metterci in ascolto di Dio, cioè cerchiamo di raccogliere la nostra anima, di
renderla disponibile per Dio, non lo possiamo più: la nostra anima è dominata
da tutti gli avvenimenti. La nostra anima è ormai in balìa degli altri e non è
più in padronanza nostra: noi vogliamo dedicare la nostra anima alla preghiera?
Stai fresco! La tua anima è sulla piazza, non è in mano tua. E come mai sei
sulla piazza? Perché l’hai aperta alla piazza, adesso non è più in casa tua.
Ecco come si forma in noi l’impossibilità della comunione e quindi
dell’ascolto.
Pinuccia: L’impossibilità è anche una situazione di morte da cui
si può risorgere?
Luigi: Si può risorgere, si, si può risorgere. Il Signore parla
sempre per darci vita.
Nino: Diventa però sempre più difficile.
Luigi: Questo però lo parla affinché noi ci rendiamo conto di
quello che ci giochiamo giorno per giorno con le scelte. Il Verbo di Dio parla
e se noi ascoltiamo, ci rende consapevoli. Più ci rende consapevoli e più ci
libera. Il Signore dice: “Ogni parola inutile che avete detto vi sarà messa in
conto”. Ma quel mettere in conto, non è che il Signore tutte le parole che noi
diciamo ce le scriva: è che quelle parole ricadono su di noi e ci portano via!
Rina: Con un quadro così della situazione … moriamo ogni
momento. Non è molto incoraggiante!
Luigi: È consolante, pensi un po’. Il Signore parla per
portarci nella speranza. È dono di Dio.
Nino: Se ci sforziamo di vedere tutte le cose come venute da
Dio, noi non ci chiudiamo.
Luigi: Dio ci rende evidente, tende a renderci evidenti le cose
per liberarci, per evitarci di fare quelle cose che inconsapevolmente ci
portano nella morte perché noi ci portiamo nella morte senza rendercene conto!
Pinuccia: È quello che impressiona!
Luigi: Se noi ci fermiamo però ad ascoltare la Parola di Dio,
la Parola di Dio illumina e ci rende consapevoli appunto perché ci dice:
“Guarda, tu stai camminando su strade sbagliate; io ti faccio capire che la
strada vera è quella, convinciti!”. E ce lo dimostra in tutti i modi affinché
noi ci rendiamo conto veramente. Lui parla per illuminarci. Perché il Verbo di
Dio parla tra noi? Parla tra noi proprio per illuminarci. Dice: “Chi cammina
dietro di me, non cammina nelle tenebre”. “Io sono la luce del mondo”. Quindi
la Parola di Dio parla per evitarci di camminare nelle tenebre. Noi il più
delle volte ci troviamo nella notte, ci sentiamo dispersi, in balia di tutte le
cose, degli avvenimenti e non sappiamo come. Il Signore ci dice: “Guarda, tu
cadi i balia di tutti gli avvenimenti del mondo soltanto per questo motivo
qui”.
Nino: È grave che ci sia tanta poca gente che è arrivata a
capire che in tutto c'è la mano di Dio. È Lui il Padre di tutti: “Padre nostro
…”.
Luigi: E nota che questo è solo il primo passo.
Amalia: Dio ci pensa Lui e farlo capire alla gente semplice che
infatti sa prendere tutto dalle mani di Dio.
Luigi: Dio non ha bisogno di cultura.
Nino: Ma lo capisce la gente semplice che sa vivere nel
silenzio e nell’ascolto di Dio. Il libro: “Pustinia” è un forte richiamo a
questo, perché magari noi ci isoliamo nel deserto, ma il silenzio dov’è?
Luigi: Abbiamo testimonianze di fede vera dalla gente semplice,
come quella vedova con molti figli che alla morte dell’unica mucca disse:
“Finalmente il Signore si è ricordato anche di noi”. Quindi lo vede come un
atto d’amore. Lo citavamo ieri sera per la faccenda del lavandino rotto. Questo
è il primo passo: ritenere che tutto è opera di Dio. Il secondo passo è quello
di capire che in tutte le opere che il Signore fa, le fa pensando personalmente
a noi per cui Lui in tutto ciò che fa dice: “Io sto pensando a te, lo faccio per
te”. Quindi tutto è un atto di amore, e allora un momento di gioia. Quindi
anche quello che noi diciamo disgrazia, disturbo o inconveniente, diventa
sorgente di gioia perché attraverso di esso, Dio mi dice che sta pensando a me.
Questo è il secondo passo e bisogna arrivare lì, al dialogo, comunione. La vita
è comunione, ma la comunione è personale. Se Dio sta parlando personalmente con
me, chiede a me di parlare personalmente con Lui: personalmente.
Nino: Anche una donna africana non cattolica ha detto: “Dio me
l’ha portata via: sia fatta la volontà di Dio”.
Luigi: E cosa insegna a noi questo? Che il Verbo di Dio parla
con ogni creatura, non ha bisogno di cultura, non ha bisogno di preparazione.
Dio parla con tutti; richiede soltanto l’apertura, la semplicità. Bisogna
uscire dagli schemi: “Io sono religioso perché sono devoto, faccio le mie
pratiche regolarmente, recito le mie preghiere, seguo certe regole, ecc.”. No
guarda che Dio chiede amore. La vita con Dio non è abitudine, come l’amore non
è abitudine. L’amore è pensiero e pensare vuol dire attingere ad una sorgente
di novità continua: l’amore sorprende in continuazione, perché pensa e precede
i tempi, non si lascia sorprendere dai tempi.
Pinuccia: Vorrei vedere che cos’è che determina il passaggio dal credere
che tutto è opera di Dio, al credere che in tutto Dio sta dialogando con me.
Perché ci sono persone che dicono: “Si, credo che è Dio che fa tutti questi
problemi che ci sono nel mondo, ma appunto per questo, dobbiamo preoccuparci di
darci da fare”.
Luigi: È un salto di qualità quello con cui si passa dal
ritenere che tutto è opera di Dio al fatto di ritenere che Dio sta parlando
personalmente con me; perché quando io dico: “Tutto è opera di Dio”, c'è il mio
io ancora che salta fuori, per cui io mi devo dare da fare. Invece Dio in tutte
le cose opera per cambiare il mio cuore, per far capire a me il mio niente e il
suo Tutto. Ma quando ha fatto capire a me il mio niente e il suo Tutto, io sono
in rapporto personale con Lui. Dio non mi presenta quella cosa perché io mi
tiri fuori oppure vada a cambiare la testa a quel tale perché ha una testa
sbagliata. No, se noi tenessimo sempre presente il Vangelo, sarebbe sempre
chiarissimo: “Perché tu guardi la paglia che c'è nell’occhio del fratello? Sta
attento al trave che hai nel tuo”. Allora a questo punto posso chiedermi: “Ma
perché il Signore mi presenta un fratello con la paglia nell’occhio?”. È lo
specchio di quello che c'è in me! Quindi se ti fa vedere il paralitico, sta
attento che è una paralisi in te e tu la devi scoprire. Se ti fa vedere un
morto, sta attento, perché c'è la morte in te e tu la devi scoprire. Perché è
Dio che sta parlando a te. Dio sta parlando a te presentandoti così quello che
tu sei nel segreto e che non sai. Quante volte nelle scene del Vangelo il
Signore ci presenta i paralitici, idropici, perché attorno a Sé ha i farisei
che sono (e non lo sanno perché lo sono nell’anima) paralitici, idropici. Noi
le malattie dell’anima non le vediamo. Vediamo le malattie fisiche. Allora Dio
scrive nel fisico quello che noi portiamo nell’anima per farci prendere
coscienza di quello che portiamo, in modo da renderci coscienti. Perché noi
possiamo essere morti e credere di essere nel pieno della vita, e invece siamo
morti: “Tu ti credi ricco, ti crede potente, e invece sei un miserabile”, dice
l’Apocalisse.
Cina: Siamo mendicanti perché non accogliamo la vita che Dio
ci offre.
Luigi: E la mendichiamo gli uni dagli altri. C'è una parabola
bellissima, un sogno, una visione di Nicola de Flue: “C'è una sorgente
stupenda, un fiume dorato che scende da essa. E tutti quanti stanno lì in
piazza a litigare tra loro per farsi dare un soldino, l’elemosina l’uno
dall’altro, e litigare e si uccidono e nessuno va a vedere la sorgente che
offre gratuitamente le ricchezze. Si uccidono per avere il soldino e lì c'è una
ricchezza enorme e nessuno va ad attingerla.
Pinuccia: Anche Isaia lo dice: “Venite voi che avete fame e
attingete gratuitamente alla sorgente della vita.
Luigi: È nel pensiero dell’io che noi diventiamo mendicanti.
Gesù nel vangelo di San Giovanni ce lo dice: “Voi mendicate la gloria gli uni
dagli altri”. Tutti siamo mendicanti! Mendichiamo un po’ di figura, un po’ di
stima, un po’ di onore: “Chiamami cavaliere, io ti chiamerò commendatore”,
ecco: “Io ti assicuro questo, ma tu dammi quell’altro”. Tutti lì: gli uni ad
elemosinare dagli altri e non vediamo il tesoro che abbiamo a disposizione.
“Come potete credere, come potete aver fede voi?”, chiede Gesù.
Cina: E Dio è venuto per darci questa vita: il Natale è questo.
Luigi: Si, ed è morto in croce per portarci questa vita,
s’immagini un po’; non solo venuto ma addirittura è morto per poterci portare
in questa vita, che è poi una ricchezza. Ci dice: “Ma non vedi che razza di errore
fai?”. E Lui per liberarci da questi errori, errori proprio stolti, per
aiutarci ad uscire da questa stoltezza, si lascia mettere in croce e uccidere.
E non è detto che noi ci svegliamo.
Amalia: È importante stare sempre in ascolto e non slegare la creazione
dal Creatore e ascoltare il Verbo di Dio che parla in tutto.
Luigi: Lui parla nella nostra morte, perché noi rispetto a Lui
siamo sempre in una situazione di morte. Lui parla nella nostra morte per
collegarci con la vita. Perché se Lui parla, in quanto parla, dà la possibilità
di ascolto. Però è l’apertura all’ascolto che noi dobbiamo mantenere. Ma questa
apertura si fa sempre più tenue per noi quanto più cresce il peso, l’attrazione
per le cose del mondo, perché siccome diventiamo figli delle nostre opere, ogni
scelta che facciamo non secondo Dio, pesa su di noi e pesando fa rumore in noi:
più cresce il rumore e meno abbiamo la possibilità di ascoltare, perché per
l’ascolto ci vuole il silenzio. Ma noi, ogni scelta che facciamo separata da
Dio, senza tener conto di Dio, aumenta un rumore in noi. Cioè noi siamo
assordati, resi sordi, dalle nostre stesse opere.
Nino: Alla base di tutto c'è sempre questo: scelgo Dio oppure
scelgo i giochi stolti e mortali che noi facciamo nel mondo?
Luigi: Certo, però noi non ci rendiamo conto. Non ci rendiamo
conto proprio di questa scelta. Noi scegliamo così, ritenendo magari ciò che
scegliamo buono e doveroso: agli occhi di Dio sono giochi da bambino, ma
mortali. Sono giochi mortali, ma noi non conosciamo l’importanza dell’anima.
Noi non ci rendiamo conto dell’anima! Ma ha un’importanza enorme! L’universo è
grande ma la nostra anima è molto più grande dell’universo, dice Pascal.
L’universo, con tutto il suo infinito, è capito dal nostro pensiero. Il nostro
pensiero può capire l’universo, quindi è più grande dell’universo. Eppure noi
sprechiamo questo pensiero, lo buttiamo nell’immondizia con una facilità
enorme. Noi non ci rendiamo conto della ricchezza immensa che abbiamo in noi
con la possibilità di pensare: possiamo pensare Dio! Sciupiamo un tesoro
enorme. Tant’è vero che Gesù nelle prime parabole, paragona proprio il Regno di
Dio a quel tale che scopre il tesoro in un campo. E va, vende tutto quello che
ha per comperare quel campo. Se noi scoprissimo la bellezza, l’importanza del
pensare Dio, noi stessi anche se nessuno ce lo dicesse, vorremmo perdere ogni
cosa per non separarci mai da esso, e perderemmo ogni cosa con gioia, come
l’uomo della parabola: lui lo fa con gioia; è tutt’altro che sacrificio.
Vendere tutto, cedere tutto pur di poter ottenere quel campo di ascolto, quel
campo di pensiero, quella possibilità di pensare. È lì la ricchezza. L’uomo si
differenzia dall’animale soltanto per il pensiero. Eppure vediamo come lo
sciupiamo, lo buttiamo via al punto di diventare incapaci di pensare. Non siamo
più capaci di pensare, pensare le cose con Dio, con la Verità.
Eligio: Pensavo al concetto di Dio come attualità. È di
un’importanza capitale, in quanto se io mi rendo conto che Dio è attualità,
cioè che Dio è Atto puro, Dio diventa della mia vita l’Unico Soggetto di
azione. Quindi sbaglio tutte le volte che dico: “Io faccio questo, cioè non
tengo conto che Dio come attualità, come Atto puro, come l’unico Agente
nell’universo, è Lui che crea tutte le condizioni per dare a me la possibilità
di inserirmi in questo riflusso consapevole della creazione verso di Lui. Ma
per inserirmi in quest’onda di ritorno all’Essere, a Lui, devo non agire io,
devo stare attento, così come è stata attenta la Madonna. Cioè debbo stare in ascolto.
Luigi: Certo.
Eligio: E smettere di fare quei giochi che non hanno più
l’innocuità dei giochi da ragazzi.
Luigi: Sono giochi mortali. C'è il rischio di morte.
Eligio: Un altro pensiero: dato che finché viviamo abbiamo la
possibilità di uscire dal Tempio e perdere la guarigione, a me sembrava più
verosimile alla condizione umana se Gesù avesse detto: “Eccoti meno malato”,
anziché: “Eccoti guarito”. Poi tu avevi fatto presente che l’eccoti guarito,
riguardava una certa malattia, poi ce n’erano molte altre.
Luigi: Riguardava una certa frase.
Eligio: Quindi è grande la difficoltà di sentirci guariti
totalmente o anche solo parzialmente, anche da quanto ci hai detto oggi.
Nino: Però è anche possibile per uno che è sempre andato
avanti, raggiungere quella situazione da cui è impossibile tornare indietro,
sempre in questa vita.
Luigi: Si, lo dice il Signore, certo.
Pinuccia: E ce lo dice perché lo desideriamo.
Eligio: Ma sono persone eccezionali che vi arrivano e sarebbe
presunzione pensare di entrare in queste categorie.
Nino: Ma è peccato non presumerlo, non desiderarlo. Lui ce lo
dice perché dobbiamo arrivare alla santità, perché è Lui che lo vuole.
Luigi: Si, Dio ce lo propone.
Nino: E bisogna chiederlo al Signore da mattino a sera. Il
Santo Curato d’Ars, San Giovanni della Croce, Sant’Agostino, penso siano
arrivati a quel livello lì. Per cui se io non ci arrivo sarà solo difetto mio,
perché non avrò tratto dai talenti che Dio mi ha dato, un interesse maggiore.
Luigi: Il difetto è sempre della creatura e mai attribuibile a
Dio, è logico. Dio non fa preferenza di persona.
Nino: Dispero al vedere su che piano sono, ma dall’altro lato
sono nella speranza, perché Dio me lo propone non per prendermi in giro.
Luigi: Ma perché vuole donarmelo: vuole donarmelo.
Nino: Dio ce ne dà la possibilità, però dobbiamo sforzarci con
sacrificio, rinunciando a tante cose, perdendo la nostra vita per Lui. Prima di
tutto dobbiamo stare molto attenti al nostro io nascosto in ogni punto.
Luigi: Dobbiamo diventare attenti a Dio! Non al nostro io.
Perché è soltanto la tanta attenzione a Dio che ci libera.
Cina: A me fa sempre coraggio la parabola del grano buono e
della zizzania: “Abbi cura del grano buono …”.
Luigi: … e non preoccuparti della zizzania.
Nino: Comunque se Dio ce lo propone, è perché Lui sa che noi
possiamo arrivarci.
Luigi: Lui arriva a dirci: “Siate perfetti come il Padre vostro
che è nei cieli”. Tu capisci? Ad una creatura come siamo noi che siamo
continuamente perduti, distratti, dispersi, (basta un piccolo soffio che
immediatamente noi siamo chissà dove), il Signore propone: “Siate perfetti come
il Padre vostro che è nei cieli”. Eppure è Parola di Dio!
Emma: Certo noi non ce la facciamo, ma …
Eligio: Cioè mi sembra che se chiedo la guarigione, Gesù mi
risponde: “Tu cerca di entrare nel Tempio e non pensare se sarai totalmente o
solo parzialmente guarito …”.
Luigi: “Sarò io che te lo dico”. È la Parola di Dio che ce lo
dice, certo!