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In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede in Colui che mi ha mandato ha la vita eterna e non è sottoposto a giudizio, ma è passato da morte a vita. Gv 5 Vs 24


Titolo: L’ascolto del Figlio e l’interesse per il Padre.


Argomenti: I cibi dell’anima.La capacità d’ascolto.Disponibilità all’ascolto. Preparazione all’ascolto. La rivelazione dei valori. La parola di Dio nella creazione, nei profeti e in Cristo. Il giudizio quotidiano. Luce del mondo è la proposta di Cristo. Ascoltare la voce di Dio o del mondo. La possibilità della comunione con Dio. La morte spirituale. La morte eterna.La dispersione.


 

17/Dicembre/1978


Pre-incontro:

Nino: Come va intesa l’espressione di Gesù: “Non buttate le vostre perle ai porci”.

Luigi: I doni di Dio presuppongono sempre il desiderio. È il desiderio che rende capaci di assimilare. Quando Lui parla di porci, cani, ecc., parla di creature che non hanno la capacità di assimilare certi cibi. I cibi vanno proporzionati. Tu ad un gatto non dai il cibo ad un cane, al cane non dai il cibo che dai ad un bue. Ognuno ha una sua esigenza. L’animale è espressione di certe capacità. Questo per dire che il cibo va sempre proporzionato alla capacità di assimilazione della creatura. San Paolo stesso dice: “Quando si è bambini ci si nutre con il latte, poi da adulti con cibi solidi”. E quando poi distingue tra cibi liquidi (latte, ecc.) e cibi solidi, fa distinzione tra “parole” e “contemplazione”. Il cibo solido è la contemplazione. La contemplazione non può essere data a chi prima non si è alimentato con il latte. Il latte è dato perché si formi in noi il desiderio. Man mano che in noi si forma il desiderio di una cosa, si diventa capaci di assimilarla. Quindi qui Gesù ci dice: “State attenti che il cibo va proporzionato alla capacità di assimilazione della creatura, quindi non date le vostre perle a chi non le può assimilare, perché le calpesterebbero e ucciderebbero voi”. Quindi tutte le cose bisogna darle al tempo opportuno. L’intelligenza o la sapienza sta proprio nel proporzionare i doni alla capacità di assimilazione della creatura. Tenendo presente Dio si percepisce la capacità di assimilazione della creatura, cioè il desiderio, perché la capacità di assimilazione è data dal desiderio. A uno che sia molto appassionato di foot-ball tu non vai a parlare dei  misteri del Regno di Dio, ma dai il cibo latte che è: “Non sprecare la tua vita dietro al foot-ball (questo è il latte), perché devi prima di tutto cercare Dio: lo scopo della vita è quello”. Quindi l’annullamento del valore che l’altro crede o esalta è il cibo-latte; ma il cibo della conoscenza, della Verità di Dio, ecc., questo lo dai soltanto quando si forma nella creatura il desiderio. E allora, man mano che si forma il desiderio, ecco, lo dai. Infatti tutto l’Avvento è tutto impostato su questa formazione di desiderio di Dio, preparazione, veglia. Perché è necessario vegliare? Perché vegliando si forma in noi il desiderio che ci renderà capaci di assimilare quella verità “Dio con noi, Dio presente”, quando si manifesterà, altrimenti non siamo capaci di assimilare. La Verità si manifesterà senz’altro, ma ci metterà in giudizio. Allora l’opera di Dio è sempre in due tempi:

-                     prima formare in noi la fame;

-                     e poi dare il dono, corrispondente alla fame.

Così ognuno di noi deve fare per non costringere alla ribellione o alla saturazione.

Nino: È anche valida un’altra interpretazione? Cioè quella che non dobbiamo sprecare i doni che abbiamo ricevuto in cose che non valgono?

Luigi: Può darsi.

Dall’esposizione di Luigi Bracco:

Luigi: Siamo giunti al versetto 23: “In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede in Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non è sottoposto a giudizio, ma è passato da morte a vita”. Anche questo è da mettere soprattutto in relazione con quello che abbiamo meditato domenica scorsa a Vigna sul versetto precedente che ci dice che è necessario che tutti onorino il Figlio come onorano il Padre, perché chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato. Allora abbiamo visto che il giudizio è riservato al Figlio, perché non siamo giudicati da quello che conosciamo, ma siamo giudicati dall’invito a conoscere. Rifiutando l’invito, rifiutiamo la conoscenza e restiamo giudicati. Il Figlio rappresenta l’invito, il Padre la conoscenza. Figlio di Dio è Colui che viene tra noi per invitarci a conoscere il Padre. L’invito, l’annuncio: questa è l’opera del Figlio. Ed è il Figlio che giudica, non in quanto venga a giudicarci, ma in quanto se noi rifiutiamo, restiamo giudicati da quell’offerta, da quella proposta, perché il Figlio in tutto rende onore al Padre e quindi tende a riferire tutto al Padre. Parlando tra noi, il Figlio viene per cercare di portarci a riconoscere il Padre: l’opera del Figlio è questa. Intanto però qui dice: “Chi ascolta la mia parola”, il che vuol dire che il Figlio, il Verbo di Dio parla a noi. Non direbbe: “Chi ascolta la mia parola” se Dio non parlasse agli uomini. Ecco, la prima deduzione: qui si afferma che Dio parla all’uomo e dà all’uomo la possibilità di ascoltarlo. Quindi parlando all’uomo, dà all’uomo la possibilità di ascoltare la sua parola. Perché se Dio parla, non parla a degli esseri che non sono capaci di ascoltarlo. Parlando rende capaci; per cui noi siamo capacità di ascolto. Se Dio parla all’uomo, l’uomo ha la capacità di ascoltare Dio che gli parla. Questa è la prima deduzione. Noi siamo creature alle quali Dio parla, quindi siamo capaci di ascoltare Dio. Capaci di ascoltare Dio, siamo responsabili di ciò che ascoltiamo. Dio non ha bisogno di creature. Gesù stesso dice: “Io non ho bisogno di testimonianze di creature”, parlando di Giovanni Battista. “Questo vi dico, che Giovanni Battista mi ha reso testimonianza, lo dico come soprappiù per voi, ma il Figlio non ha bisogno”. La Verità si afferma da sola, non ha bisogno degli uomini. La Verità si afferma. Inoltre c'è da tener presente che se il Figlio di Dio, il Verbo di Dio parla a noi, vuole che noi intendiamo. Non soltanto ascoltare la sua Parola, ma intenderla. Se parla la sua Parola, vuole essere intelletta. Quindi Dio non parla a noi affinché non intendiamo. Dio parla a noi e dà a noi la capacità di ascoltare, ma ascoltando, ci invita e ci dà la possibilità di intendere quello che Lui dice. Quindi le sue parole vanno intellette. E allora ritorniamo sull’argomento dell’altra volta: che il Figlio, in quanto ci invita a conoscere il Padre, dà a noi la possibilità di conoscere il Padre. Intendere le parole del Figlio vuol dire arrivare a conoscere il Padre. Ora, se il Figlio venendo tra noi ci invita a conoscere il Padre, dà a noi la possibilità di conoscere il Padre.

Eligio: Devono però realizzarsi certe condizioni. Come Gesù si è fatto precedere dai Profeti e dal Battista, così noi dobbiamo realizzare le condizioni praticate dai Profeti e dal Battista, per poterlo intendere.

Luigi: Si, Lui parlando e proponendoci una certa meta, proprio parlando (perché anche nei Profeti era Lui che parlava, anche in Giovanni Battista era lui che parlava, anche nella creazione è Lui che parla), parlando forma in noi la capacità di ascoltare. Cosa vuol dire questa capacità di ascoltare? È la sintesi del Giovanni Battista. Perché viene il Battista? Per preparare le genti. Nel Battista c'è il Figlio di Dio che parla, ma abbiamo la preparazione. Quindi Dio parlando prepara noi all’ascolto. Questa preparazione sta nella disponibilità. Quanto più noi ci rendiamo disponibili tanto più diventiamo capaci di intendere. Meno siamo disponibili, cioè se noi siamo sempre in movimento, non ci fermiamo mai, noi entriamo in una colpa ed è la colpa della non preparazione. Ma Dio parla per prepararci. Dio parla per prepararci e Dio parla per prepararci e Dio parla per rivelarci, per rivelare quello che è dato intendere alla creatura preparata. Sul vertice della preparazione troviamo la Vergine. E la Vergine è tutto ascolto, la creatura che è tutta disponibile per la parola: “Si faccia di me secondo la tua Parola”, ecco abbiamo, la creatura tutta solo per la Parola: “Non conosco altro, non voglio conoscere altro”. Ecco, abbiamo la creatura tutta disponibile. La creatura che è tutto disponibile è tutta intelligenza della Parola. La non intelligenza è difetto di disponibilità. Dio però parla per renderci disponibile, quindi intelligenti. E come parla per renderci disponibili? Presentandoci i valori: “Vedi questo vale più di quello?”. In quanto ci fa capire che una cosa vale più di un’altra, ci invita ad essere più disponibile per quello che vale di più. Ecco, qui abbiamo la preparazione: la rivelazione dei valori. Dio ad esempio vale più di tutto: il battesimo di giustizia. La giustizia è questione di valori. Ora la rivelazione dei valori, Dio la fa a noi proprio per educarci alla preparazione, perché rivelandoci quello che vale di più, ci invita ad essere maggiormente disponibili per quello che vale di più, altrimenti noi commettiamo un’ingiustizia. La maggior disponibilità diventa maggior intelligenza.

Eligio: Il Verbo parla anche nei Profeti e nel Battista, ma il loro parlare non è ancora il parlare del Figlio di Dio: possiamo paragonarlo al latte rispetto al cibo solido. I Profeti sono i primi elementi che ci formano e ci nutrono per darci la possibilità di diventare robusti per accogliere la Parola del Figlio di Dio che ci parla del Padre.

Luigi: Senz’altro! Lui parla in tutto. Anche già nella creazione: “Sia fatta la luce”, ecc.. È il Verbo di Dio che parla, ma non è ancora la Parola che dirà Gesù. Perché una cosa è: “Siano fatti i luminari del cielo; si dividano le acque della terra, ecc.”, ed è parola di Dio (tutto è parola di Dio, noi stessi siamo una parola di Dio: “Facciamo l’uomo”, ed è parola di Dio) e un’altra cosa è la Parola di Dio che mi parla del Padre e mi rivela i misteri dei rapporti tra Padre e Figlio per inserire la mia vita nella sua Trinità. È sempre parlare di Dio, però Dio che si incarna, Dio che discende, Dio che si concede, a secondo delle capacità della creatura, perché la creatura che è capace di intendere soltanto per cinque secondi, richiede naturalmente da parte di Dio una concessione di cinque secondi. La creatura che è capace di ascoltare Dio per tutta l’eternità è capace del dono da parte di Dio di eternità. Ma Dio mentre parla di Sé, prepara la creatura, quindi allarga la creatura ai doni maggiori. Ecco: “Io ho tante cose da dirvi, ma non le potete portare”, quindi vedi che c'è da parte della creatura un difetto: “Non le potete portare”; però intanto mi annuncia che ha tante cose da dirmi. Ora Colui che mi dice: “Ho tante cose da dirti”, già mi sollecita ad essere più attento, a prepararmi a delle cose maggiori. Questo già mi fa sospirare una maggior disponibilità, una maggior attenzione. Quando io so che uno ha tante cose, sono sollecitato praticamente ad andarlo a trovare; ma per andarlo a trovare devo liberarmi da tante altre cose e rendermi disponibile. La maggior disponibilità mi prepara, mi rende accessibile. Quindi Dio parla a noi promettendo, ed è una promessa di doni sempre maggiori fino all’infinito. Naturalmente tutto è fondato sopra questa fede in Dio. Infatti Lui dice: “Chi ascolta le mie parole e crede in Colui che mi ha mandato”. Qui ci aspetteremmo che dicesse: “Chi ascolta le mie parole e crede in me”, invece troviamo: “Chi ascolta le mie parole e crede in Colui che mi ha mandato”. Vedi? Fa una distinzione e conferma l’argomento dell’altra volta, perché: “Chi non onora il Figlio non onora nemmeno il Padre”. Colui che mi ha mandato è il Padre, quindi chi ascolta le mie parole e crede in Colui che mi ha mandato. Non basta allora ascoltare le sue parole, cioè non basta ascoltare il Figlio. Abbiamo visto che c'è la possibilità di un difetto: di onorare il Padre e non onorare il Figlio; e c'è il difetto di onorare il Figlio e non onorare il Padre. La vita che Dio ci propone è questa: bisogna onorare il Figlio come si onora il Padre. Ecco, onorare il Padre è credere in “Colui che mi ha mandato”; credendo in “Colui che mi ha mandato”, la parola che arriva a me è la Parola del Figlio, ma sempre vista come “mandata da”: opera di Dio, mandata dal Padre. Io potrei amare Gesù per la sua attrazione, per il suo modo di dire, per i suoi argomenti che possono essere interessanti, e fermarmi soltanto a ciò che riguarda la terra. No, devo sempre tener presente: è Dio che opera in tutto; in quanto opera in tutto, questa parola che mi arriva, mi arriva per opera di Dio, quindi tenendo presente Dio, accolgo questa parola, mi interesso di questa parola, ma per arrivare a Dio, a Colui che l’ha mandata, a Colui che mi fa giungere questa parola. Quindi devo onorare la parola che mi arriva e onorare vuol dire rendermi attento, disponibile, non disprezzare la parola che mi arriva (quindi: “Chi ascolta la mia parola”) e credere “in Colui che mi ha mandato”: allora questo credere è desiderio di arrivare ad intendere la parola; per cui non mi fermo alla parola, ma attraverso questa tendo ad arrivare a Colui che me l’ha fatta arrivare, cioè ad intendere il Mandante. Gesù afferma: “Ha la vita eterna chi ascolta la mia parola e crede in Colui che mi ha mandato”: qui risponde più a fondo, direi secondo San Giovanni, a quella richiesta del giovane ricco: “Che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Secondo il Sinottici Gesù risponde: “Vuoi avere la vita eterna? Osserva i comandamenti”. E qui sembra che dica una cosa diversa: “Se vuoi avere la vita eterna, devi ascoltare le mie parole e credere in Colui che mi ha mandato”. Qui siamo più a fondo nel campo spirituale. Là dice: “Osserva i comandamenti”; direi che è la parola che dice a tutti, è il latte. L’anima dei comandamenti che cos’è? “Ama il Signore, cerca il Signore Dio tuo con tutte le tue forze: occupati di Dio. Se vuoi entrare nella vita eterna, ecco, occupati di Dio”. Qui precisa che l’occupazione di Dio sta nell’ascoltare la Parola di Dio e nel credere nel Padre, cioè onorare il Figlio e onorare il Padre, quindi far tesoro della parola di Dio, perché è la parola di Dio che mi introduce nella conoscenza del Padre. Ora quando abbiamo parlato della vita la volta scorsa, abbiamo detto che la vera vita, cioè la vita eterna è comunione. Dio dà a noi la possibilità di comunione. In questa possibilità della comunione, il Verbo di Dio parla: quanti ascoltano la parola di Dio, che è il Verbo, entrano nella comunione con il Padre, conoscono il Padre, e hanno la vita: quindi hanno la vita eterna. Chi invece non ascolta la parola di Dio, resta sotto giudizio. Il giudizio non va inteso nel senso che Dio condanni. No! Perché richiamando il concetto di vita nostra come possibilità di comunione, abbiamo detto che noi questa possibilità ogni giorno o l’aumentiamo o la diminuiamo fino a perderla; ecco, in questa possibilità di comunione, il Verbo di Dio parla e ci propone la comunione con il Padre, quindi la conoscenza del Padre. Se noi rifiutiamo la proposta del Verbo di Dio, noi ogni giorno perdiamo un po’ della possibilità di questa comunione, fino ad arrivare all’impossibilità della comunione. E il giudizio sta lì; perché il giudizio è separazione. Se la vita è comunione, il giudizio è non comunione, cioè è separazione.

Eligio: Direi che il giudizio è una sanzione che ci stabilisce in quella scelta che abbiamo operato.

Luigi: Si, perché ogni giorno noi non possiamo non scegliere: ogni giorno siamo interrogati da Dio e in quanto siamo interrogati, non possiamo non rispondere: ogni giorno noi aumentiamo o perdiamo, perché rispondiamo. Quindi ogni giorno c'è un giudizio, perché dopo ogni scelta c'è un giudizio. Il giudizio sta in questo: dopo ogni scelta io o ho aumentato la comunione e sono entrato nella vita eterna, oppure ho perso comunione e allora cado sotto giudizio, cioè sono entrato in una separazione, perché dopo ogni scelta, se la mia scelta non fatta secondo la Parola di Dio, mi trovo più lontano da Dio, più legato da condizioni che mi rendono impossibile la comunione con Dio; e questo è una conseguenza di una scelta sbagliata, per cui cresce in me il peso della terra e il peso della terra mi impedisce di alzare gli occhi al cielo. Questo è giudizio, perché il giudizio c'è già. Noi crediamo che il giudizio avvenga ad un certo punto. Il Signore dice di no. L’abbiamo visto al capitolo terzo, quando parlando con Nicodemo dice: “Questo è il giudizio”; il giudizio è ogni giorno: “Il giudizio sta in questo: che la luce è venuta nel mondo  e gli uomini hanno preferito le tenebre”. Qui sta il giudizio. La luce viene e gli uomini preferiscono le tenebre. Ecco qui approfondisce il concetto: in che cosa consiste questa luce che viene. La luce è la Parola, il Verbo, il Figlio che parla a noi e ci propone: “Ecco la luce”. Quindi la luce nel nostro mondo, non è la rivelazione del Padre, ma è la proposta. Il concetto di luce è proposta ad occuparci di occuparci di Dio. È proposta nella nostra vita di renderci disponibili per Dio, di mettere prima di tutto la ricerca del Regno di Dio: questa è luce che viene a noi. Rifiutando di occuparci di Dio, di cercare Dio, di interessarci di Dio, noi preferiamo le nostre tenebre e qui sta il giudizio, perché preferendo le tenebre, noi ci separiamo, cioè ci rendiamo impossibile o sempre più difficile la ricerca della conoscenza di Dio.

Eligio: Sul piano pratico come fare a distinguere il parlare di Dio, in cui c'è una progressione (latte e cibo solido)? Noi frequentemente ci troviamo a dover operare delle scelte …

Luigi: Tutti i giorni, anzi ogni istante …

Eligio: Possiamo distinguere le parole che preparano al Cristo dalle parole che ci parlano del Padre? Oppure se si è orientati al Padre non c'è questa distinzione, ma tutto è un parlare del Padre?

Luigi: Si, tutto è parlare di Dio.

Eligio: Cioè un parlare come parlerebbe a noi il Figlio?

Luigi: Si; il Figlio parla a noi in tutto, però parlando a noi in tutto, parla a noi creature che siamo incapaci di restare con Lui in tutto; per cui noi per percepire Lui o per restare nella sua Parola, dobbiamo isolarci da tante altre cose, dobbiamo metterci in silenzio, dobbiamo fermarci su una sua Parola nel Vangelo, perché le altre parole ci distraggono e noi non vediamo Lui. Ecco, allora Lui viene e ci isola con Sé appunto a motivo della nostra debolezza. Idealmente è logico, anche se fossimo in un mondo tutto pieno di rumori, con tante persone che parlano, noi dovremmo avere la possibilità di vedere e di ascoltare soltanto Dio. E questo lo possiamo anche capire: due persone che si amano molto, fossero anche in una festa, in un luogo in cui tutti parlano, hanno un’intesa tra loro tale per cui sono soli e non c'è nessuno che riesca a disturbare ciò che li unisce. Ma questa capacità deriva dalla tanta intensità d’amore, da un’intensità di conoscenza; ma questa intensità non è in noi. Il Figlio di Dio viene proprio per portarci là dove ancora noi non siamo capaci di essere. E allora come fa? Ci dice: “Guarda, esci fuori dalla festa danzante, perché è assurdo, non sei capace a restare unito a me lì; vieni con me, io ti insegnerò ad amare”. Mi porta in un luogo silenzioso, appartato. Ed io debbo accettare e non resistere: “No, io preferisco la sala danzante”. No, devo lasciarmi condurre da Lui, in disparte. Quando Lui curò quel sordomuto, lo condusse lontano dalla folla, in disparte. “Vieni nel deserto e parlerò al tuo cuore, perché hai bisogno di formarti, non sei capace di restare, cioè non sei capace di ascoltare me, in mezzo al rumore di tutti gli altri. E allora io ti prendo in disparte”. L’incarnazione è questo; viene per condurci in disparte, per curarci a tu per tu. Lui ci cura, ci rafforza, fino al punto in cu ci rende capaci di restare con Lui in tutto: “Affinché dove Io sono siate anche voi”. Ma Lui dov’è? Lui è dovunque. Tutto è opera sua, Lui parla in tutto. Ma affinché noi possiamo essere con Lui in tutto e ascoltare solo Lui in tutto ed intendere la Parola di Dio in tutto, è necessaria questa preparazione del deserto, isolata, a tu per tu: Lui ci forma qui. Allora in un primo tempo noi abbiamo questo processo di isolamento che è un processo di esposizione di valori, per cui Lui mi dice: “Guarda, lascia perdere questo, lascia perdere quell’altro, non cercare di capire la mia Parola nella parola che ti giunge attraverso tutte le creature, vieni solo con me, perché io sono più importante di tutti gli altri”. Allora abbiamo un primo parlare del Figlio di Dio tra noi che mi educa ai valori. Educarmi ai valori vuol dire che mi chiede questa disponibilità a quello che vale più di tutto: lascia perdere tutto il resto, guarda: anche il tuo occhio parla di me, ma guarda perdilo, perdilo, lascia, perdi tutto, non aver paura di perdere, ecco, resta solo con Me. È lì l’esposizione dei valori

Eligio: L’intendere i fatti, i segni, come parole che ci collegano al Padre è un fatto soggettivo, ma oggettivamente questi segni sono già parole di Dio.

Luigi: Certo, lo sono già. Ed è quello che poi ci costituisce in colpa, perché un giorno noi scopriremo che oggettivamente era già tutto parola di Dio. Non è che noi ci potremo giustificare: “Ma io ero in un mondo che mi parlava d’altro”. “No, tutto ti parlava di Me, perché ero Io che parlavo a te in tutto”. Ecco, è lì la colpa, perché oggettivamente noi siamo nel Regno di Dio. Non è che io Regno di Dio io lo debba fare, o che ci sia un Regno contrario, no: tutto è Regno di Dio. Cioè io sono circondato di amore. Noi siamo circondati dalla presenza di Dio, dall’amore di Dio. Però non siamo capaci a vedere. E allora Dio, ecco il processo di incarnazione, scende e mi dice: “Vieni con me”. Ecco, si fa piccolo nella mia piccolezza per parlare personalmente a me. Tutte le creature che ci mette attorno, mentre a un certo momento ci disturbano, da un altro punto di vista sono adeguate alla nostra debolezza, per dirci: “Insomma, non sei capace tu a restare con Dio”. E allora abbiamo bisogno di questa formazione, di questa educazione. Ma questa educazione è tutta fondata sopra la presentazione di quello che vale di più. E presentandomi quello che vale di più mi autorizza, mi sollecita e mi dice: “Ma lascia perdere il resto! Non riesci a tenere tutto, a fare la sintesi di tutto; e allora raccogliti soltanto nell’essenziale. Nell’essenziale poi, sarà lo Spirito che ti porterà a vedere la Verità in tutto. Ma prima che arrivi lo Spirito, non cercare di tenere tutto, perché ne fai una grande confusione; non riesci a vedere l’opera dello Spirito in tutto e allora lascia tutto; raccogliti soltanto in quello che in cui ti parlo io, nella conoscenza del Padre, fino ad arrivare ad avere lo Spirito in te. Quando avrai la presenza dello Spirito in te, lo Spirito ti condurrà a vedere la Parola di Dio in tutto, la Verità di Dio in tutto; ecco, allora sarai sempre con me, e faremo una cosa sola: sarete sempre dove Io sono”. Lui è in tutto e noi potremo essere con Lui in tutto. Quando Lui ci dice: “Dove sono Io siate anche voi”, non ci indica un luogo, ma ci offre una luce. Quando Lui dice: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”, non esprime un atto morale, ma rivela la capacità delle sue pecore di ascoltare la sua voce in tutto quello che ascoltano, perché tutto è sua voce. Noi invece, fintanto che non siamo sue pecore, anziché ascoltare la sua voce, ascoltiamo a voce delle creature, la voce del caso, la voce del mondo, la voce di tutti. Non cogliamo la sua voce. Ma la sua voce c'è e parla in tutto, però per coglierla abbiamo bisogno di essere pecore. Comunque era questo da mettere in rilievo: il giudizio è ogni giorno, ed è la conseguenza di una scelta, perché il giudizio è separazione, crisi. Invece chi ascolta la Parola di Dio non è sottoposto a giudizio, ed è altrettanto logico che chi ascolta la Parola di Dio non sia soggetto alla separazione, perché ascoltando la Parola di Dio si entra nella comunione. La separazione è l’opposto della comunione. Tutte le parole di Dio sono per la comunione. Sotto un certo aspetto qui cogliamo quel “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. È Parola di Dio per farci entrare nella comunione. Cristo muore per farci entrare nella comunione e quindi ci invita ancora, ci mantiene ancora la speranza. Chi ascolta la Parola di Dio, e Cristo morto è ancora Parola di Dio, passa dalla morte alla vita; ma chi non ascolta la Parola di Dio, entra nel giudizio. Il giudizio è separazione, perché perde la possibilità della comunione. L’uomo ha la possibilità della comunione, però da solo non può entrare nella comunione. Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me. Quindi è la Parola di Dio, la Parola del Padre che parlando a noi, dà a noi, la possibilità della comunione o meglio ci fa entrare in comunione, perché la possibilità della comunione ci viene dal Padre. Noi da soli senza la Parola di Dio non entriamo in comunione. Quindi Dio parlando a noi ci fa entrare nella comunione se ascoltiamo la sua Parola e quindi ci fa passare nella vita eterna; ma è altrettanto vero che se non ascoltiamo la Parola di Dio, perdiamo la possibilità della comunione e perdendo la possibilità della comunione entriamo nella separazione, quindi nel giudizio (giudizio è separazione, impossibilità di comunione).

Eligio: Più che in una separazione entriamo in una minor comunione.

Luigi: Si, abbiamo una perdita progressiva di possibilità di comunione. Questa perdita progressiva tende all’impossibilità e arriviamo poi ad un certo punto in cui c'è l’impossibilità.

Eligio: Che è poi la separazione.

Luigi: In quanto ogni giorno Dio parla a noi, ogni giorno c'è il giudizio per chi non tiene conto della Parola di Dio, mentre ogni giorno abbiamo, per chi l’ascolta, un incremento di comunione, quindi di vita eterna, quindi una facilitazione, per cui passiamo dalla possibilità verso la certezza, certezza che è comunione, è vita eterna. Ma anche qui abbiamo un incremento progressivo giorno per giorno, per cui aumentiamo la comunione quanto più noi ascoltiamo la Parola di Dio e crediamo nel Padre, cioè siamo interessati al Padre, perché io posso ascoltare la Parola del Figlio e non essere interessato al Padre, perché io posso ascoltare la Parola del Figlio e non essere interessato al Padre, ecco, creare questa scissione, cioè fermarmi soltanto alla dizione esterna, oppure a dei modi di essere della Parola di Dio e non interessarmi al Padre. Per questo Gesù dice così: “Chi ascolta la mia parola e crede (credere vuol dire avere interesse per) in Colui che mi ha mandato (quindi ha interesse per il Padre), ha la vita eterna”; quindi la vita eterna consiste in questo. Il che vuol dire che cercare il Padre, il Volto del Padre, è già appartenere alla vita eterna. Infatti ci fa capire che desiderare di conoscere è già conoscere, è già un appartenere alla conoscenza.

Eligio: Credere vuol dire affidarsi.

Luigi: Si, ma: “Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato”. Vedi che chi cerca già appartiene? Vedi il linguaggio di Dio? Chi cerca già appartiene, quindi chi desidera conoscere, appartiene già alla conoscenza. Desidera conoscere chi ha ascoltato la Parola.

Nino: Cercare di vivere la Parola ascoltata, cioè viverla nel suo significato, coincide con il desiderio di conoscere.

Luigi: Vedi, noi possiamo interpretare la Parola di Dio nel pensiero del nostro io, e tradurla quindi in modo di essere che è poi un’orizzontalità. La Parola di Dio mi parla del Padre.

Nino: Ma la Parola di Gesù è sempre in contrasto con il nostro io.

Luigi: Noi possiamo anche interpretarla nel pensiero dell’io. L’errore è una verità limitata ed è estesa alla vita. Siccome il Verbo di Dio parla per prepararci (abbiamo i due tempi), per renderci più disponibili, a un certo momento il Signore dice: “Va, vendi tutto quello che hai, renditi povero” e noi possiamo fermarci a questo modo di essere e non intendere il desiderio del Padre.

Nino: Quello è per aumentare la disponibilità.

Luigi: Ecco, perché la sostanza della Parola del Figlio è quella di portarmi alla comunione con il Padre. Ma nel pensiero dell’io noi ci fermiamo alla lettera.

Nino: E finiamo di non onorare né il Padre né il Figlio. Ma Gesù dice: “Non chi dice: Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio”.

Luigi: L’importante è cogliere quel “fare”, che può anche essere inteso nel pensiero dell’io. Dobbiamo unificare:

-                     “Non chi dice: Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio, questi entra nella vita eterna”; con questo:

-                     “Chi ascolta la mia Parola e crede in Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna”.

Devono coincidere, perché il fine è uguale, quindi quel “fare” di cui parla là è questo: “Ascoltare la mia parola e credere in Colui che mi ha mandato”. Dobbiamo sempre unificare tutte le parole perché a un certo momento mi si dice: “Per avere la vita eterna, osserva i comandamenti”; bene, io osservo i comandamenti, non uccido nessuno, non rubo, ho sempre osservato i comandamenti dall’infanzia e come mai non sono entrato? Quindi mi si dice:

-                     “Vuoi la vita eterna? Osserva i comandamenti”.

-                     “Vuoi la vita eterna? Non dire: Signore, Signore, ma fa la volontà del Padre mio”.

-                     “Vuoi la vita eterna? Ascolta la mia Parola e credi in Colui che mi ha mandato”.

Vedi che poco per volta approfondisce e mi precisa i termini, per cui mi fa capire che il “fare” non è quel “fare” come possiamo intendere noi nel pensiero del nostro io; no! È un fare molto diverso. Fare la volontà del Padre vuol dire arrivare a conoscere il Padre e vivere in unione con il Padre. La vita è comunione e il Figlio parla per portarci in questa comunione e la comunione non sta in un “fare” qui. È una cosa molto diversa per cui a un certo momento si arriva ad operare quello che opera il Figlio, perché facciamo una cosa sola con il Figlio. Ma come opera il Figlio? Opera per richiamarci sempre all’essenzialità; cioè è il Figlio, la Parola di Dio che ci mantiene, che ci dà e ci prepara alla comunione con il Padre.

Nino: Comunque quel “fare” lì è sempre in contrasto con l’io. La prova del nove, in negativo, è vedere se tu assecondi il tuo io.

Luigi: Certo.

Nino: Quindi abbiamo una doppia prova per vedere se siamo corretti: l’una è la volontà del Padre espressa nel Figlio, l’altra in quello che fa di nascosto il nostro io.

Luigi: Io non prenderei tanto il nostro io come metro di misura, perché ci può molto ingannare. Io prenderei come metro di misura proprio il Pensiero del Padre. Perché noi potremo anche dire: “Io faccio sempre tutto al rovescio di quello che mi piace”. Posso cioè arrivare al gusto del rovescio e c'è l’io.

Nino: Certo, però è facile trovare l’io quando ci raccogliamo nel Pensiero del Padre.

Luigi: Alla presenza del Padre, appunto. Il metro di misura è il Pensiero del Padre. L’io nel Pensiero di Dio non è un male, cioè l’io nostro nato dal Padre, forma una cosa sola con il Figlio, cioè parla il linguaggio del Figlio.

Nino: L’io, l’egoismo si camuffa in mille modi, ma dal momento in cui ci rivolgiamo al Padre, immediatamente lo scopriamo.

Luigi: Senz’altro, ed è logico, perché il rivelatore è il Padre, il Padre della luce. Guarda però che nel pensiero del Padre l’io sparisce talmente, che uno non lo avverte nemmeno, perché diventa figlio di Dio.

Cina: L’argomento di oggi mi sembra un approfondimento dell’argomento della volta scorsa.

Luigi: Si, qui Gesù ci dice: “Chi ascolta la mia parola e crede in Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna”. In un altro luogo Gesù ci dice: “Chi crede nel Figlio ha la vita eterna”. Sembra che sia in contraddizione. Bisogna credere nel Figlio o credere in Colui che l’ha mandato?

Nino: Chi crede nel Figlio crede nel Padre.

Cina: È una conferma dell’argomento della domenica scorsa: sono una cosa sola.

Luigi: Quindi il Figlio va onorato come il Padre. Però il Figlio è Colui che parlando a noi, ci propone la conoscenza del Padre, ci invita ad occuparci per conoscere il Padre. Questa è l’opera del Figlio. Tutte le volte che noi ci troviamo sollecitati all’essenzialità, a cercare prima di tutto Dio, qui è il Figlio che parla a noi. Il Figlio di Dio parla a noi. Ecco, se vogliamo distinguere quand’è che il Figlio parla a noi: tutte le volte che siamo sollecitati a mettere prima di tutto l’interesse per conoscere Dio. Questa è l’opera del Figlio, perché il Figlio viene per glorificare il Padre e lo glorifica in quale modo? Sollecitando tutte le creature, tutti gli uomini a cercare prima di tutto Dio. Questa è l’opera del Figlio, per cui noi pecchiamo contro il Figlio se non ci interessiamo per conoscere Dio, allora rifiutiamo di conoscere la Verità. E lì sta il peccato dell’uomo. Il peccato dell’uomo non sta nel non conoscere la Verità, sta nel non voler conoscere la Verità; ma il non voler conoscere la Verità, presuppone l’invito ad occuparsi per conoscere la Verità. Ora è il Figlio che ci invita a conoscere la Verità, ad occuparci per conoscere la Verità, perché la Verità non si dona se non è desiderata. È lì il “Non date il vostro cibo ai cani”. La Verità non si dona se non là dove trova la preparazione, dove trova la fame, ma la fame precisa di quello. Ecco perché dobbiamo diventare capaci di sapere quello che veramente vogliamo. Fintanto che noi non abbiamo identificato (e chi ce lo fa identificare è il Figlio) quello che veramente vogliamo, la Verità di Dio non si dona a noi; ci sollecita a prendere coscienza di quello che vogliamo, ma noi non sappiamo quello che vogliamo. E fintanto che noi non arriviamo a identificare, cioè a polarizzare i nostri desideri: “Io voglio quello”, la Verità di Dio non si dona. Dio non si dona se non là dove è desiderato espressamente come deve essere voluto, come deve essere desiderato, altrimenti non è che non si doni, nel senso che non voglia donarsi: non si dona perché noi non siamo capaci di portarlo. Soltanto il tanto desiderio, quindi la tanta preparazione, la veglia, rende la creatura, capace di ricevere il dono. I doni maggiori di Dio non sono donati se non quando sono desiderati. Quindi il Figlio di Dio opera per formare in noi quel desiderio in modo tale da farci capaci di ricevere i doni maggiori. Perché i doni maggiori sono dati al Figlio e fintanto che in noi il Figlio non ha formato questa fame dei doni maggiori (ecco perché dobbiamo diventare capaci di sapere quello che vogliamo), la Verità non può donarsi. I doni maggiori sono dati al Figlio, invece i doni che sollecitano la richiesta, il desiderio dei doni maggiori, sono dati a tutti: a tutti gli uomini Dio rivela la sua esistenza e quindi chiede a tutti gli uomini di occuparsi prima di tutto di Lui. Questo lo chiede a tutti: “Cercate prima di tutto il Regno di Dio e non preoccupatevi del mangiare e del vestire”, questo lo dice a tutti. La rivelazione del Padre, la dà soltanto là dove c'è il Figlio. Per questo Gesù dice: “Io non prego per il mondo, ma prego per quelli che Tu mi hai dato”, quelli che hanno ascoltato la sua Parola. Ascoltando la parola, la Parola rende la creatura capace di ricevere, perché Cristo prega per quello, opera per quello. È chiara la distinzione tra l’opera del Padre e l’opera del Figlio in noi? Perché conoscere il Padre è già vita eterna, è già conoscenza e lì non si può non amare. Non amare si può prima. La nostra libertà è un difetto; quello che noi chiamiamo libertà, ed avviene prima perché noi possiamo rifiutare di conoscere Dio. Il giudizio non sta nel non rifiutare la conoscenza, ma nel rifiutare di conoscere Dio.

Cina: “Se oggi ascoltate la mia voce, non indurite il vostro cuore”. “La luce vera venne nel mondo e il mondo non la conobbe e hanno preferito le tenebre”.

Luigi: Certo, però dobbiamo tenere presente che questa luce che viene nel mondo, questa luce per noi, è una proposta di occuparci di Dio. Questa è la luce del mondo, la luce delle tenebre. Molte volte si sente dire: “A me la luce non è arrivata, quindi non sono responsabile”. No, in quanto a te è stato proposto di cercare Dio, la luce è arrivata. Questa è la luce che risplende nelle tenebre: non aspettare quell’altra luce per deciderti perché quell’altra luce non arriverà mai, se tu non la desideri e non la cerchi, nemmeno nella vita eterna, perché la condizione per poter vedere quella luce è di desiderarla, è di avere la fame. Il Figlio di Dio viene tra noi per formare in noi questa fame. Il rimandare è indurire il cuore.

Cina: Il Natale è Gesù che viene per portarci questo.

Luigi: Come proposta. Il Natale è una proposta di vita per noi, dicendoci: “Dio è con te, quindi occupati di Lui”. La vedi la proposta? A Natale Dio si presenta come un bimbo che ci viene dato nelle nostre mani dicendoci: “Fallo crescere, ma stai attento, perché se tu non ti occupi, il bambino muore”. Quindi vedi che viene per risvegliare in noi un’occupazione, un interesse per quello: “Ecco vedi, io mi sono messo nelle tue mani, fa di me quello che vuoi”. Mettere un bambino nelle mani di una madre, vuol dire sollecitare tutto un interesse; la giornata della madre, e anche la notte, è tutta condizionata dalla presenza di questo bambino, perché dipende da lei: ecco, sappilo. Cristo viene per risvegliare in noi questo interesse, questa occupazione: ed è questa la luce che viene nel mondo: non aspettiamoci quindi l’altra luce, quella del Padre. Perché questa luce del Padre, presuppone quella; se noi non aderiamo a quella luce, cioè se noi non accettiamo la proposta, non arriveremo certamente alla luce eterna, bensì alle tenebre eterne.

Pinuccia: Gesù dicendoci: “Chi ascolta la mia Parola passa dalla morte alla vita”, mi sembra che dia per scontato che noi siamo nella morte.

Luigi: Si, ma anche lì: il concetto di morte è molto diverso dal concetto che noi riteniamo morte. Il concetto di morte, nello Spirito, nella Bibbia, è contrapposto al concetto di vita. Vita è comunione, morte è non comunione. Quando noi siamo dispersi dietro a tante cose, non siamo in comunione con Dio. Il passaggio dalla dispersione alla conoscenza, al raccoglimento in Dio, segna il passaggio dalla morte alla vita. Ma la morte, come annullamento, non esiste. Esiste la morte come dispersione di facoltà. Questa facoltà che ci è data per restare uniti a Dio, per contemplare Dio, per restare in comunione con Dio, per amare Dio, noi possiamo disperderla in infinite comunioni, in comunioni con tante creature. Ma moltiplicando le comunioni, queste ci indeboliscono al punto tale da creare la morte, una morte cosciente, per cui non restiamo più fermi in niente, perché tutto ci porta via. Siccome diventiamo figli delle nostre opere, ogni opera che noi facciamo non secondo Dio, ci condiziona, crea un legame: un legame non più secondo Dio, e questo è un segno di morte.

Cina: È tanto facile questa dispersione.

Luigi: Per questo Gesù dice: “Sforzatevi di entrare”.

Cina: Basta un niente per portarci via: è una malattia.

Luigi: È la morte; ma noi siamo nella morte e Dio viene proprio per risuscitarci, se viviamo secondo Dio. Lo vedremo nel passaggio successivo: la Parola di Dio è tanto potente da penetrare le tombe degli uomini, dove gli uomini sono morti; è tanto potente da arrivare lì: “Quanto l’ascolteranno, risusciteranno”. Ecco, vedi il passaggio dalla morte alla vita, perché: “Come il Padre dà la vita, così anche il Figlio ha la possibilità di risuscitare i morti”. Ma dobbiamo anche lì avere ben chiaro il concetto: che cosa si intende secondo lo Spirito, per morte e per vita. Vita è comunione; essere nella morte vuol dire non essere in comunione, non avere la possibilità di restare in comunione con Dio.

Pinuccia: Quindi la situazione di possibilità di comunione è una situazione di morte?

Luigi: È una situazione di morte, perché il Verbo di Dio parla a questi morti.

Pinuccia: Ma abbiamo però la possibilità di comunione.

Luigi: Noi da soli no: la possibilità ci viene dalla Parola di Dio che parla a noi; parlando ci sollecita. Il tralcio da solo non far altro che morire. La vita del tralcio gli è data dalla comunione con la vite. È dall’unione con la vite che il tralcio vive. “Io sono la vite, voi i tralci”. Ma il tralcio può staccarsi dalla vite.

Nino: Però è vero che la possibilità di comunione non è ancora vita, ma non è ancora nemmeno vera morte.

Luigi: Non è morte eterna.

Eligio: Siamo in gestazione.

Luigi: La vera morte implica la non più possibilità. Infatti abbiamo la situazione di impossibilità.

Nino: Quindi ai due poli c'è la morte e c'è la vita: la possibilità della vita, della comunione è un gradino più su della morte.

Luigi: Si, però qui Gesù la chiama ancora morte.

Nino: Siamo cioè in uno stato di morte.

Luigi: Apparente.

Nino: Temporanea, ancora possibilità di vita.

Luigi: Si, perché dice: “Viene l’ora, ed è questa, in cui i morti ascolteranno la voce del Figlio di Dio”. I morti ascolteranno: quindi un morto che può ascoltare non è un morto eterno, è logico, perché un morto eterno non può più ascoltare la parola di Dio. “Viene l’ora ed è questa …”, spiritualmente parla di morte, non si tratta di morte corporea.

Nino: Mi suona difficile, per me il concetto di morte è un concetto irreversibile; proprio nel campo dello spirito. Invece qui questa possibilità di vita, esclude l’irreversibilità, anche se comunque non è vita.

Luigi: Però in quanto qui si parla di morte che ha la possibilità di vita, c'è reversibilità; evidentemente qui è per sollecitarci al approfondire il concetto di vita: per contrapposizione viene fuori il concetto di morte. Lui non ci invita alla morte, ma alla vita poiché dice: “All’ultimo la morte sarà distrutta, non sarà più; sarà soltanto tutta vita per quelli che si salvano.

Nino: Passeranno da morte a vita.

Luigi: Però qui, siccome molte volte abbiamo un concetto sbagliato di vita, me lo contrappone al concetto di morte e quindi come conseguenza salta fuori un concetto di morte che non è secondo i nostri schemi. Se noi teniamo presente che la vita è comunione, tutto quello che non è comunione, lo chiamiamo col concetto di morte. Ma la creatura che non è in comunione, è la creatura che è dispersa, che è distratta da tutte le cose, quindi che non ha la possibilità di fermarsi, di restare. Questa è la creatura che si trova nella morte. Il concetto di morte quindi è un concetto di dispersione in tante cose. Il Figlio di Dio viene per raccoglierci da questa dispersione, viene per raccogliere i morti e portarli nella vita. Ecco, indubbiamente se a questo punto i morti rifiutano di ascoltare, passano ad una morte definitiva e qui cresce la morte eterna, perché abbiamo una dispersione confermata da un rifiuto, dal rifiuto dell’io. Prima noi siamo dispersi ma senza la scelta del nostro io, siamo dispersi in tutte le cose per un processo naturale; ma quando il mio io si rivela di fronte alla Parola di Dio che mi sollecita, qui adesso sposo la mia dispersione al concetto del mio io, e quindi saldo una morte e confermo la morte definitiva. Qui abbiamo una morte definitiva che cresce, che diventa irreversibile, che diventa eterna. Perché la morte eterna non è soltanto dispersione, ma è saldatura della dispersione con il pensiero del mio io, perché è il mio io che sceglie e sceglie in quanto rifiuta: è la conseguenza di un rifiuto; sono stato sollecitato ad occuparmi di Dio: ho detto di no, quindi ho preferito la creatura. E qui abbiamo non soltanto la creatura che mi disperde, ma ho io mio io che si unisce alla creatura che disperde: ecco, abbiamo un processo di saldatura che diventa assoluto, una morte che diventa assoluta, una dispersione assoluta.

Nino: Secondo l’autore del libro: “La vita oltre la vita” sembrerebbe che ci sia uno stadio tra la vita corporale e la morte definitiva, uno stadio in cui praticamente il corpo ha ceduto e la mente è più libera di colloquiare con Dio.

Luigi: Certo,è più libera.

Nino: Dio farebbe vedere in quei pochi istanti con una rapidità estrema che è difficile da poter immaginare, tutta la vita dell’individuo e dirà a lui: “Tu la vedi? Ne valeva la pena?”. Ma questo dice che non ha mai l’aspetto di un giudizio, ma ha sempre un aspetto molto amorevole, come l’ultima proposta.

Luigi: Si, non è una proposta drammatica: non si vede la tragicità, ma si vede la serenità, mentre gli dice: “Vedi?”.

Eligio: È la tesi di San Tommaso: man mano che il nostro corpo si indebolisce, si rinvigorisce l’anima che vede i valori dello spirito.

Luigi: Si, l’anima rinvigorisce.

Nino: La tesi di questo libro sembra una conferma a quanto tante volte abbiamo pensato anche noi: cioè che non possiamo giudicare l’azione di Dio nei nostri confronti, perché ancora nel momento della morte, avrà qualche mezzo suo per aiutarci a capire, a conoscere. Inoltre in questo libro, c'è anche l’invito alla conoscenza.

Luigi: Certo. Effettivamente ci conferma che quello che ci disturba nella ricerca di Dio, nella conoscenza della Verità, è proprio il peso del corpo, non tanto corpo fisico, ma proprio corpo come legame con tutta la creazione, perché il corpo è poi questo: è legame con tutto. Quindi quanto più noi alleggeriamo o ci separiamo da tutto questo mondo che è legato con il nostro corpo, tanto più la nostra anima percepisce, intuisce la vera realtà, perché la vera realtà è spirituale. Per cui bisogna alleggerire. Allora si capisce come il nostro corpo morendo, liberi questa potenza enorme di un’anima che è fatta per intuire immediatamente la Verità, quindi abbiamo una testimonianza in quel senso lì. Fa capire come ci sia questa morte “transitoria”, che non è la morte in senso assoluto, ma una morte che è proprio dispersione. Quanto più questa dispersione viene alleggerita, tanto più l’anima passa a quella che è la vera vita, a quella che è la comunione con Dio, la conoscenza di Dio, perché l’anima è fatta per questo. Però l’anima nostra è appesantita da tutti i desideri delle cose del mondo, che costituiscono poi il nostro corpo, perché il nostro corpo non è altro che un legame con: l’albero, l’acqua, l’uomo, la donna, il gatto, il sole; sono tutte aderenze che giorno per giorno diventano più pesanti perché io giorno per giorno scelgo e scavo un solco: preferisco il sole, preferisco l’acqua, preferisco ecc. e scavo il solco tra l’anima e Dio e l’anima resta sempre più compressa. Il giorno in cui Dio interviene drasticamente e taglia tutto, l’anima è come un pallone voltante che parte immediatamente. Però l’anima può essere appesantita da tutto quelle scelte che si porta dietro. Fintanto che le scelte non è l’anima che le fa, non ne è appesantita; quando invece l’anima incomincia a partecipare e l’anima decide sempre alla presenza di Dio (perché “Proprio davanti a Te ho peccato”), allora incomincia a portarsi il peso delle sue scelte. Diciamo con il corpo noi non pecchiamo davanti al Volto di Dio, ma l’anima pecca davanti a Dio, perché l’anima è desiderio di Assoluto, desiderio di Dio; continuamente essa fa una scelta tra Dio e ciò che non è Dio. Noi non ci rendiamo conto, però scegliamo sempre davanti alla Presenza di Dio. Noi diciamo: “Ma è il tale che mi ha detto”. No, guarda, non è il tale, non è quell’occasione, quel fatto: tu hai scelto tra Dio e quella cosa, hai scelto tra Dio e quella creatura, sempre davanti a Dio. Perché l’anima è desiderio assoluto.

Eligio: Però l’anima e il corpo formano un’unità, quindi non è possibile che il corpo operi scelte diverse (sul piano per esempio del lavoro, ecc.) da quelle dell’anima.

Luigi: Si, però siccome la nostra anima è desiderio di assoluto e il nostro corpo non è desiderio di assoluto (il mio corpo ad esempio è desiderio di pane, di bere, di vestirmi, l’anima no), ci troviamo con due desideri che possono non essere in conflitto o possono essere in conflitto.

Nino: In quel caso è l’anima che cede al corpo.

Luigi: Quante volte tu stesso dici: “Ho dovuto proprio fare così, non potevo fare in modo diverso, c’era una pressione, ecc.”, però tu provi sempre una nostalgia, una sofferenza, una tristezza. Perché c'è questo? È l’anima che soffre, perché l’anima vorrebbe, a costo magari di vivere in una baita, di vivere a pane e acqua, ma vorrebbe soltanto l’Assoluto, perché è fame di Assoluto, e tutte le volte che deve cedere, cede davanti all’Assoluto e crea in noi questa tristezza; mentre tutte le volte che scegliamo l’Assoluto, proviamo una maggior vita che è comunione, anche se questo ci è costato del sangue; tutte le volte invece che noi per un motivo o per l’altro dobbiamo preferire altro, la nostra anima piange: cosa vuol dire quel pianto? È una diminuzione di vita in noi; diminuisce la comunione con l’Assoluto. Questa diminuzione di vita in noi si fa constatare con una tristezza, che poi, a lungo andare, può diventare angoscia. L’angoscia è sempre una dimostrazione di una rinuncia ad un destino, ad un fine. La nostra anima è soprattutto desiderio di assoluto; noi non possiamo dimenticare questo. Allora le scelte le fa sempre davanti a questa fame di assoluto e soffre tutte le volte che deve scegliere cose relative. Ora, la sofferenza è diminuzione di vita.