Parimenti il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso ogni
giudizio al Figlio Gv 5 Vs 22
Titolo: Giudicati
dalla Parola del Figlio.
Argomenti: Vita del Padre: la possibilità di comunione. Vita del Figlio comunione con il
Padre. Le cose maggiori sono date al Figlio. La conoscenza derivata dal Padre. La proposta del Figlio. La variabile
possibilità di vita.La
risposta alla Proposta Il Giudizio quotidiano La disponibilità.
26/Novembre/1978
Pensieri tratti dalla conversazione:
Nino: Ieri sera abbiamo meditato: “Io non cerco la mia gloria:
c’è chi la cerca e giudicherà” (Giov. 8,51), e questo si riferisce al Padre,
quindi il Padre giudica?
Luigi: No, è per dire che Gesù non si difende: “Non cerca la
propria gloria”: c’è chi la cerca e giudica. Gesù riferendosi al Padre dice:
“Ci pensa il Padre a manifestare la gloria del Figlio. Il Figlio non cerca la
sua gloria e quindi non si difende.
Nino: Abbiamo interpretazioni diverse nel giudizio, perché Gesù
dice che non è venuto a giudicare e qui si dice che il Padre ha rimesso ogni
giudizio al Figlio; qui si dice che il Padre non giudica e ieri sera abbiamo
detto che è il Padre che giudica.
Eligio: Il giudizio del Padre è una conferma della gloria del Figlio.
Nino: Si, però nel confermare la gloria del Figlio
indirettamente giudica quelli che l’hanno offeso.
Luigi: Questa frase è piena di contraddizioni, a
cominciare già dal “parimenti”. La volta scorsa avevamo commentato il passo:
“Infatti come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così il Figlio fa vivere
chi vuole”. Ed ora: “Parimenti” (cioè allo stesso modo), il Padre non giudica
alcuno, e tu ti aspetteresti: “Così anche il Figlio non giudica alcuno”. Già lì
abbiamo una contraddizione, perché quel “parimenti” significa “allo stesso
modo”: come il Padre non giudica, così il Figlio non giudica. Invece no:
“Parimenti”, nello stesso modo, il Padre non giudica alcuno ma ha rimesso ogni
giudizio al Figlio. Allora, se ha rimesso ogni giudizio al Figlio, non è più un
parimenti, ma c’è proprio un salto. Così c’è anche un’altra contraddizione: “Il
Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio”. Abbiamo una
contraddizione perché prima Gesù aveva detto: “Il Figlio non fa niente se non
lo vede fare dal Padre”. E allora se il Padre non giudica, come fa il Figlio a
giudicare? Perché se il Padre non giudica, il Figlio non deve giudicare, quindi
qui abbiamo una contraddizione con quello che Gesù aveva detto prima: “Il
Figlio non può far nulla se non lo vede fare dal Padre”, perché qui c’è
un’iniziativa del Figlio. Naturalmente sarà un argomento da approfondire. Altre
volte ancora dice: “Io non sono venuto per giudicare, ma per salvare” e invece
qui dice che il Padre ha rimesso ogni giudizio al Figlio.
Nino: E altre volte dice: “Io non vi giudico, ma le vostre
opere stesse vi giudicheranno”.
Luigi: Si: “Le vostre opere vi condanneranno e vi salveranno”.
In un altro luogo dice che sono le sue parole che salvano e che condannano.
Indubbiamente è tutto da approfondire. Sono tutte contraddizioni, e il Vangelo
è pieno di queste contraddizioni su un certo piano, superficiale e apparente
per noi, che ci costringono ad approfondire. Più si va in profondità e più
queste si devono semplificare, unificare fino ad arrivare ad una visione
unitaria di tutto, in cui si fonde ogni cosa. Però prima di questo ascoltiamo i
riassunti.
Pinuccia: Lettura del riassunto del 4 giugno 1978 a
Vigna:
-
Chiarimenti sul significato
del “poco dopo”: dopo aver reso testimonianza, Gesù lo trovò nel tempio.
Necessità della prova per affermare lo spirito, perché la vita personale non
comincia col dono che riceviamo, ma con la testimonianza che diamo di esso,
perché questa testimonianza ci mette in possesso del dono cioè ci dà la
possibilità di vivere.
-
Si può entrare nel tempio e non essere trovati
da Dio, anzi esserne cacciati fuori. Cfr. l’abito nuziale che manca, le vergini
stolte. Si può avere il pane e non avere la fame. Quindi mai dare le cose per
scontate nell’amore, mai sederci, ma superarci continuamente. L’attesa fa
crescere la fame. L’amore non è mai il saldo di un debito, ma è sempre una
partecipazione consapevole, reciproca, rimanendo in questa dipendenza da Dio. La
strada della vita è difficile, perché la vita è unione, attenzione a Dio che
parla in tutto.
-
L’argomento del giorno: quand’è che l’uomo può
ritenersi veramente guarito; in che cosa consiste la malattia; da che cosa
deriva? Qual è la causa? E nella nostra malattia che cosa possiamo fare? Come
pensiero guida si è tenuto questo: “Solo che io tocchi un lembo del suo vestito
e sarò guarito”: in questo desiderio di toccarlo per essere guariti, c’è la
chiave per intendere qual è la vera malattia dell’uomo e la chiave per guarire.
Gli uomini sono malati perché non toccano niente di Dio. Il nostro toccare Dio
è una conseguenza dell’essere toccati, come l’amore è una conseguenza
dell’essere amati. Per essere toccati bisogna essere nel tempio e per essere
nel tempio bisogna testimoniare la nostra fede e amore.
Luigi: Ritorniamo all’argomento: “Parimenti il
Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio”. Cerchiamo
subito di raffrontarlo con l’argomento della volta scorsa cioè; “Come il Padre
risuscita i morti e dà la vita, così il Figlio fa vivere chi vuole”. Allora
avevamo visto che la vita che viene dal Padre sta nella possibilità di
comunione, perché vivere è comunicare con-. Avere la vita vuol dire avere la
possibilità di comunione. E la vita che dà il Padre alle creature è questa
possibilità di comunione. Cioè la nostra vita qui in terra è una possibilità di
comunione con Dio, ma non è ancora vita con Dio. Il “così il Figlio fa vivere
chi vuole”. Allora avevamo visto che la vita che viene dal Padre sta nella
possibilità di comunione, perché vivere è comunicare con -. Avere la vita vuol
dire avere la possibilità di comunione. E la vita che dà il Padre alle creature
è questa possibilità di comunione. Cioè la nostra vita qui in terra è una
possibilità di comunione con Dio, ma non è ancora vita con Dio. Il “così il
Figlio fa vivere chi vuole”, allora avevamo visto che la vita invece che dà il
Figlio, è la comunione con il Padre perché il Figlio rivela il Padre. Allora
abbiamo il Padre che dà la vita in quanto dà la possibilità di comunione. Il
Figlio dà la vita in quanto dà la vita in quanto porta alla comunione con il
Padre. Quindi direi quel “Come … così”, danno tutti e due la vita, però abbiamo
una differenziazione di doni: il dono del Padre è diverso dal dono del Figlio e
questo ce lo precisa Gesù stesso in quanto dice: “Nessuno può venire al Padre
se non per mezzo di me”. Allora nessuno di noi può arrivare al Padre, cioè
avere la comunione (perché la vita è comunione), nessuno può avere la comunione
con Dio, se non per mezzo del Figlio. Allora il Figlio ci porta alla comunione,
ma porta alla comunione chi? Chi ha la possibilità della comunione. E la
possibilità di comunione da chi ci arriva? Non dal Figlio, perché il Figlio è
quello che ci dà la comunione, ci porta alla comunione; quindi ci viene dal
Creatore, ci viene dal Padre, ci viene da Dio. Quindi stiamo
in questi termini:
-
Dio dà a tutti la possibilità
della comunione e questa è vita;
-
Il Figlio invece dà, non più a
tutti, ma a coloro che lo seguono (e qui abbiamo una scelta) la comunione più
la possibilità di comunione; ma la comunione porta a conoscere il Padre.
E questo ci conferma quello che abbiamo visto nei
versetti precedenti quando si parlava dei doni maggiori. I doni maggiori sono
manifestati al Figlio e abbiamo visto che “manifestare a”, per noi creature
vuol dire: “manifestare in”, cioè vuol dire che è nel Figlio che noi troviamo i
doni maggiori. E i doni maggiori sono proprio la comunione. Dire: i doni minori
sono la possibilità di comunione con il Padre; i doni maggiori sono comunione
con il Padre, cioè rivelazione del Padre. Ma questa conoscenza del Padre
l’abbiamo nel Figlio, per cui dice che il Padre ama il Figlio e gli mostra
tutto quello che fa e gli mostrerà cose maggiori. Non da detto: “mostrerà alle
creature cose maggiori”; direi meglio, che non le mostrerà mai alle creature le
cose maggiori. Le cose maggiori, il Padre le mostrerà sempre al Figlio. E
fintanto che noi attraverso il Figlio diventiamo figli, non vedremo queste cose
maggiori, perché le cose maggiori sono date al Figlio. Il che vuol dire: “Vuoi
arrivare alle cose maggiori? Cercale nel Figlio. Quindi, ecco, ci resta
confermato quello che troviamo qui, che il Figlio dà la vita a chi vuole. Poi
avevamo ancora precisato quel “chi vuole”. Avevamo detto che la volontà nostra
è un campo di gravitazione del pensiero e che quindi a seconda di quello che
abbiamo nel pensiero, vogliamo. Il Figlio è tutto Pensiero del Padre, quindi la
volontà del Figlio è il Padre, è la volontà del Padre. Quindi quel “chi vuole
il Figlio”, non è una Volontà autonoma, capriccio. Infatti il Figlio dice che
non scaccia nessuno di coloro che il Padre gli manda. Quindi rispetta la
volontà del Padre. Lui è tutto compimento del Padre. Lui stesso non cerca la
sua gloria: “È un altro che cerca la mia gloria”. Adesso, colleghiamoci con il
tema del giudizio. La volta scorsa abbiamo parlato del tema della vita (la vita
che viene dal Padre e la vita che viene dal Figlio). Adesso arriviamo al
“giudizio”.
Nino: Potresti precisare meglio la differenza che c’è tra
l’unione che dà il Figlio e l’unione che dà il Padre quando mostra le cose
maggiori?
Luigi: Le cose maggiori è Lui stesso.
Nino: Il Figlio ci porta a quella soglia in cui il Padre,
donandosi, genera in noi il Figlio.
Luigi: Che è il Pensiero di Sé.
Nino: Ma che differenza c’è tra la comunione alla quale si
arriva per mezzo del Figlio e la comunione che ci viene dal Padre?
Luigi: È un po’ come quanto già dicemmo una
volta: una cosa è sentir parlare di qualcosa, e una cosa è trovare chi mi dice:
“La cosa è così”. Cioè dal Padre noi abbiamo la comunione che deriva dal Padre
che dice: “Questo è mio”, “Tu sei mio”, perché fintanto che noi conosciamo il
Padre per sentito dire, anche per opera del Figlio, non siamo ancora in quella
comunione in cui veniamo a trovarci quando il Padre stesso dice: “Io oggi ti ho
generato, tu sei mio”: cioè quel salto di qualità di cui parlavamo.
Nino: Cioè col Figlio noi arriviamo ad appartenere al Padre …
Luigi: Si, perché il Figlio ci porta ad essere tutto Pensiero
del Padre. Poi aspettiamo l’adozione, cioè aspettiamo dal Padre una parola che
Lui stesso dirà.
Nino: C’è allora una graduazione tra le due conoscenze: una è
conoscenza tramite, l’altra è una conoscenza diretta.
Luigi: Deriva da -. È la conoscenza dell’in Sé del Padre, ma è
derivata dal Padre, viene dal Padre. Derivata non nel senso che noi la
deriviamo. Per deduzione: cioè procede dal Padre. Si, conoscenza diretta del
Padre, cioè è il Padre che conferma e dice: “Tu sei mio”. Una cosa è dire: “Io
voglio essere di un altro”, e una cosa è l’altro che dica: “Tu sei mio”. Ecco,
la diversità sta lì. Quindi fintanto che il Padre non dice questo, siamo noi
che procediamo sotto l’insegnamento del Maestro, procediamo verso una certa conoscenza
e quindi abbiamo una certa conoscenza, e diciamo: “Io voglio essere di”. Là
invece abbiamo l’Altro (maiuscolo) che prende possesso e dice: “Si, tu sei
mio”. È un po’ l’argomento della Messa: noi all’offertorio offriamo al Signore
qualche cosa, pane e vino; a un certo momento il Signore prende possesso e
dice: “Quanto è il mio corpo, questo è il mio sangue”: fa suo. Qui abbiamo una
differenza, un salto di qualità. Una cosa è quella che noi offriamo e una cosa
è quella che la parola che viene da Dio e trasforma. È la Parola
trasformatrice. È la Parola di trasforma, non siamo. Noi con tutta la nostra
dedizione non possiamo trasformare niente. La Parola di Dio invece è
trasformabile. Però per arrivare a questa Parola, dobbiamo trovarci in una
certa situazione, perché il Padre genera soltanto il Figlio. Invece a noi chi
parla è il Figlio cioè la Parola di Dio che parla a noi. Qui incominciamo ad
arrivare un po’ al tema di oggi, al tema del giudizio, perché chi parla alle
creature del Padre è il Verbo di Dio. E perché il Verbo di Dio? Perché il
Figlio? Perché il Figlio essendo tutto Pensiero del Padre, è quello che cerca
la gloria del Padre, è quello che riporta tutto al Padre per cui tutto viene
dal Padre, ma nulla fa ritorno al Padre se non per mezzo del Figlio. Quindi è
il Figlio che riporta al Padre
Nino: Allora quando noi riportiamo un avvenimento al Padre per
averne luce dal Padre …
Luigi: È per mezzo del Figlio. Infatti tu lo riporti per mezzo
del Pensiero di Dio. Il Pensiero di Dio è il Figlio di Dio in te.
Nino: Mi sembrava già un atto filiale.
Luigi: Si, è un atto filiale con il Figlio, perché noi possiamo
pensare Dio, in quanto abbiamo in noi (ma l’abbiamo, non siamo), il Pensiero di
Dio. Dio dà a noi suo Figlio, rappresentato nel campo terreno del Cristo. Dio
dà a noi, ad ogni creatura, ad ognuno di noi (ed allora siamo sul campo
dell’avere): noi abbiamo con noi il Pensiero di Dio. Noi possiamo pensare Dio,
ma possiamo pensare Dio perché con noi è il Figlio di Dio. Non l’avremo
eternamente: è un prestito che il Padre fa a noi di suo Figlio, perché senza il
Figlio noi non possiamo neanche pensare Dio. Allora abbiamo in noi il Pensiero
di Dio e il Pensiero di Dio è il Figlio di Dio.
Nino: E l’atto di risposta che ci viene dal Padre ci viene sempre
tramite il Figlio, la sua Parola.
Luigi: Certo, soltanto tramite il Figlio, però il Figlio è
tutto Pensiero del Padre, noi non siamo tutto Pensiero del Padre. Quindi la
diversità sta lì: che noi abbiamo un punto tra tanti infiniti, punti che
portiamo in noi, un punto che è possibilità di pensare Dio; invece il Figlio è
tutto Pensiero di Dio. E tutto il lavoro che si chiede a noi è proprio questo
passaggio: da quei tanti punti ad un punto solo, e questo si chiama
“raccogliere”, raccoglimento. Infatti Gesù dice: “Chi con me non raccoglie …”.
Noi potremmo chiederci: perché abbiamo tutti questi punti anziché averne uno
solo? È proprio perché noi siamo instabili e siamo incapaci di raccogliere e
restare nel Padre.
Nino: E noi siamo trovati nel Tempio quella volta che noi
arriviamo ad avere quel punto …
Luigi: Si, ogni volta che noi facciamo dipendere da Dio.
Nino: E usciamo del tempio quando cadiamo in un altro punto in
cui non c’è più l’unione.
Luigi: Certo. E allora cosa succede? Proprio
per la presenza tra noi del Verbo di Dio, il quale, essendo Figlio di Dio è
quell’Essere che riporta tutto al Padre (la sua caratteristica è quella di
portare tutto al Padre), allora avere con noi il Figlio di Dio, vuol dire avere
con noi uno Spirito, un Pensiero che ci sollecita continuamente a riportare
tutto al Padre. Per cui parlare del Figlio è una continua sollecitazione, una
continua proposta che Lui fa a noi, di non fermarci al nostro io, di non
fermarci alle creature, ma di riportare tutto al Padre: questa è l’opera del
Figlio. Però evidentemente se noi teniamo presente che una proposta fatta ad
una creatura richiede sempre una risposta, perché volenti o nolenti, noi diamo
sempre una risposta di fronte a una proposta, l’opera del Figlio diventa per
noi motivo di vita o di morte. Non possiamo non rispondere. Questa, direi, è
una situazione di dipendenza, è la situazione di creature. Noi non possiamo
essere indifferenti di fronte ad una proposta: non possiamo mantenere una
posizione di neutralità. La proposta ci supera, per cui quando uno fa a noi una
proposta, se rispondiamo: “Si” o “No”, in un modo o nell’altro una risposta la
diamo, anche se crediamo di non aver risposto. Noi una risposta la diamo
sempre. Direi che siamo obbligati, non possiamo farne a meno. È la situazione
propria della creatura. Il Creatore è superiore a noi, il Figlio è superiore a
noi: in quanto parla e ci impegna, non possiamo farne a meno. E allora qui
cominciamo a capire come il suo parlare diventi un giudizio e come il Figlio
giudichi.
Nino: Lì è un giudizio che viene dalla nostra risposta.
Luigi: Sì, però potremmo anche chiederci: come
mai allora c’è una differenza e perché Gesù stesso dice che Lui non è venuto
per giudicare? Adesso si fondono i due termini: Lui non viene per giudicare,
Lui viene per salvare, cioè viene per farci conoscere il Padre, Lui viene a
portarci alla comunione col Padre e quindi per darci la vita. Lui viene per
questo. In quanto parla, parla per questo: la sua volontà è questa, la volontà
è il Padre. Quindi lui non viene per dire: “Tu sei un lazzarone, tu sei un
adultero”, non viene per dirci questo. Lui viene per parlarci del Padre. Però
la Parola sua nei riflessi nostri, diventa proposta, perché viene detta ad uno
che ha la possibilità di comunione col il Padre. E abbiamo vista la volta
scorsa che avere la possibilità, è avere un equilibrio molto instabile in noi,
perché noi non possiamo mantenere in noi questa possibilità. Noi giorno per
giorno questa possibilità o l’accresciamo o la diminuiamo. La possibilità è un
valore instabile, essenzialmente instabile, per cui noi non possiamo mantenere
la stessa possibilità di comunione. La possibilità di comunione o cresce o
diminuisce: o cresce fino a diventare comunione (quindi sparisce la possibilità
e diventa certezza, vita, paradiso), oppure diventa impossibilità. Ora perché
questo? Perché non possiamo mantenere la possibilità? Appunto perché noi non
possiamo mantenere l’indifferenza. Man mano che viviamo (noi diciamo: “Noi
viviamo”, ma il nostro vivere non è altro che un continuo rispondere alle
sollecitazioni di Dio; è Dio che continuamente ci fa delle proposte), siccome
non possiamo essere indifferenti, ad ogni risposta che noi diamo, aumentiamo,
passiamo cioè dalla possibilità alla comunione, oppure se diamo una risposta contraria,
rifiutiamo, scendiamo verso l’impossibilità di comunione. Ecco perché dico come
non possiamo mantenere l’indifferenza, così non possiamo mantenere la stessa
situazione di possibilità. Ogni giorno per noi o è un giorno di guadagno o è un
giorno di perdita. Anzi, ogni istante, a seconda addirittura dei pensieri che
abbiamo in noi, perché ogni pensiero che noi portiamo in quanto lo portiamo è
già una risposta che diamo a chi ci sollecita a pensare: o pensi Dio, oppure
pensi a te stesso. E quindi ogni istante noi aumentiamo o diminuiamo la nostra
possibilità di comunione. O l’aumentiamo fino alla vita eterna e quindi diventa
comunione con il Padre, oppure questa possibilità la perdiamo giorno per giorno
fino a diventare impossibilità di comunione e abbiamo l’inferno. Allora ogni
discesa verso questa situazione estrema di impossibilità diventa giudizio:
giudizio del Figlio su di noi, perché avendo rifiutato la proposta, restiamo
giudicati. Non giudicati dal Padre, è logico, ma giudicati da quella Parola che
è arrivata, da quella proposta che ci ha fatto.
Eligio: Ma non è il Figlio che giudica, sono io che mi metto in
una situazione da essere giudicato.
Luigi: Certo, per cui il Figlio come soggetto non viene per
giudicare, perché il Figlio viene per salvarci; l’intenzione del Figlio è
questa. Il giudizio che cos’è? Il giudizio è un rapporto. È una misura, una
valutazione. Ora valutare che cosa vuol dire? Valutare è misurare. E misurare
vuol dire avere due termini: debbo avere un metro e debbo avere l’oggetto da
misurare. Quindi devo avere questi due termini. Allora chi mi viene per
giudicare: il termine da misurare sono io e chi mi giudica ha il metro per
misurarmi. Ma il Figlio di Dio non viene con il metro per misurare me. Il
Figlio di Dio viene per portarmi alla comunione con il Padre. Però
indubbiamente se io non rispondo, mi trovo giudicato in quanto mi vengo a
trovare in una situazione di aumento di impossibilità di comunione con Dio: mi
diventa sempre più difficile la comunione. Direi: più rifiutiamo e più ampliamo
in noi la solitudine perché perdiamo la possibilità di comunione. E dico: “Come
mai mi trovo nell’impossibilità di comunione con Dio?”. Ecco, grava su di me il
giudizio.
Eligio: Siamo giudicati però dalla nostra risposta, non dal
Figlio di Dio.
Nino: Possiamo arrivare ad abituarci a sbattere la porta alle
sue proposte, ma anche in questo caso noi non potremo dire: “Io non sapevo”.
Luigi: E poi non è che possiamo sbattere tante volte la porta …
Nino: Non la sbatteremo all’infinito, perché Lui può arrivare
come un ladro …
Luigi: Se non siamo preparati, perché se
siamo preparati, non arriva come un ladro. Comunque ritorniamo ai termini di
impostazione di questo argomento: cioè noi ci troviamo creature che hanno con
sé il Figlio di Dio, il quale Figlio di Dio continuamente, giorno dopo giorno,
ci sollecita a superare noi stessi, il nostro mondo, per avvicinarci al Padre,
perché Lui ci parla del Padre. Però tutto il suo parlare, per noi che abbiamo
la possibilità di comunione è una proposta. Parlare ad uno che ha possibilità,
è sempre fargli delle proposte, perché ha la possibilità. Quindi tutto il
parlare del Figlio verso noi, è sempre un continuo proporre. Dio ci propone
sempre qualcosa di superiore a noi, quindi ci impegna. Noi continuamente,
necessariamente dobbiamo dare delle risposte e diamo delle risposte. A seconda
delle risposte che diamo, facciamo oscillare questa possibilità verso una
maggior facilità di comunione oppure verso una perdita di possibilità, cioè
verso una difficoltà crescente. Però, precisiamo: ogni aumento, ogni
facilitazione di comunione è grazia di Dio; ogni gradino di discesa, verso
maggior difficoltà di comunione con Dio fino ad arrivare al punto estremo di
impossibilità di comunione, è opera nostra. È opera della creatura perché è
rifiuto di una proposta. Allora qui cadiamo sotto il giudizio: questo è
giudizio. Quell’altro è grazia, è amore, perché è dono di Dio. Questo non è
dono di Dio. La discesa non è dono di Dio, perché la discesa è soltanto effetto
di rifiuto di proposta, quindi non è dono, è giudizio. Ai punti estremi potrei
dire: l’inferno è tutto dominato dal giudizio di Dio, cioè è tutto giudizio di
Dio; il Paradiso è tutto amore, tutto carità. La situazione nostra intermedia è
tutta croce, perché impegna continuamente ad un superamento di noi stessi; è
una situazione di difficoltà. La situazione della nostra vita terrena è tutta
croce, il Paradiso è tutto amore, tutto carità, l’inferno è tutto giudizio. Ma
è sempre uno stesso atto che opera tutto, è sempre una stessa presenza che
opera tutto, ed è la presenza del Figlio, che è collegata col termine “vita”,
perché la vita è possibilità di comunione. La possibilità di comunione però non
è una situazione stabile. È equilibrio instabile. È una situazione di
instabilità, cioè è continuamente mutevole, continuamente oscillante a seconda
dell’adesione o del rifiuto.
Eligio: Ciò che ci inganna è pensare per analogia al giudizio
umano, come se Dio valutasse le azioni nostre e di conseguenza ci facesse
subire certe cose.
Luigi: No, non è così. Generalmente noi riteniamo
che il giudizio sia futuro: “Avverrà poi”. No, il giudizio, avviene giorno per
giorno, quotidianamente, perché ogni giorno noi siamo sollecitati dal Figlio
che ci chiede di passare oltre, di andare avanti. Ora se il giudizio è una
conseguenza di una risposta negativa, noi continuamente, ogni giorno, subiamo
un giudizio, se diamo una risposta negativa; noi ogni giorno riceviamo un atto
di amore se diamo una risposta positiva.
Eligio: Solitamente per giudizio però intendiamo la sanzione
definitiva: “Via da me”, oppure: “Venite benedetti dal Padre mio”, come
leggiamo nel vangelo di oggi.
Luigi: Ma anche questo: “Venite benedetti”, conferma proprio
questo, perché lì è il Figlio che dice: “Venite benedetti dal Padre mio”. Quel:
“Venite benedetti dal Padre mio” (e abbiamo visto che “benedetti” vuol dire
“attratti da”), equivale a: “Venite voi che siete attratti dal Padre, ad
accogliere quanto io vi dico”. Quindi Lui non fa altro che confermare
l’ascensione, per questo dico che l’ascensione verso il Padre è grazia; ma quel
“venite” ce lo dice ogni giorno se noi diciamo: “Si”. Cioè, se noi prestiamo
attenzione alla Parola del Figlio, il Figlio ogni giorno dice a noi: “Vieni!”,
“Venite!”: ci fa salire verso il Padre. E ogni giorno se noi diciamo: “No”,
cioè se noi rifiutiamo l’attrazione del Padre, ogni giorno Lui dice: “Via da
me, maledetti”. Ma teniamo presente che quel “maledetti” lo dice per salvarci.
Nino: Quando distruggo la tela e Lui viene a ricostruirla, lì
vedo maggiormente l’amore.
Luigi: Teniamo presente che ogni parola che
Lui dice, se non trova in noi la vigilanza, la disponibilità, l’adesione per
cui dico: “Signore, io ti rinvio di cinque minuti”, oppure: “Domani sarò
disponibile”, diventa in noi motivo di separazione, per cui quando credo di
riprendere quella parola, non la trovo più, o per lo meno la trovo, ma come
memoria, come fotografia, come registrazione, ma non è più viva e non ha più
quella grazia. Per questo Gesù dice: “Vegliate!”, perché: “Non sapete quando
siete visitati”. Ci vuole questa situazione di disponibilità. Più l’anima è
disponibile a partire immediatamente e più partecipa della grazia che Dio le fa
giungere con la sua Parola. (Ecco la Pasqua ebraica, per cui bisogna mangiare,
ma mangiare in piedi, col bastone: da una parte mangi, dall’altra bisogna avere
il bastone, pronto per partire appena l’angelo passa: è tutto simbolo di quello
che deve avvenire nella nostra vita. Ci deve essere una disponibilità tale per
il Signore, per cui appena parla: “Io sono tutto disponibile, perché vegliavo
per Te”. Se vegliavo per te, anche se mi occupavo di tante cose, il mio cuore
era per Te, e appena ho sentito la tua voce, subito sono partito dietro la tua
Parola. Come Dio parla e fa giungere a noi la sua parola, abbiamo la grazia di
Dio che muove la nostra volontà. Quando invece crediamo di poter scegliere noi
e di occuparci noi della Parola, manca a noi questa grazia di Dio. Questo per
dire che ogni parola, soltanto rinviata, già ci indebolisce nell’adesione, ci
fa scendere il livello della possibilità di comunione. C’è qui ancora un altro
argomento da tener presente: il Padre non giudica perché il giudizio è un
rapporto che richiede sempre due presenze: cioè l’oggetto giudicato e la
presenza del giudicante. Ora se il Padre giudicasse, sarebbe presente, ma se
fosse presente, noi saremmo beati, perché chi conosce il Padre, chi vede il
Padre è nel massimo della felicità. Vedere il Padre è conferma, per cui uno non
può più tornare indietro. Nel Paradiso non si può più peccare perché si vede il
Padre. Noi possiamo peccare soltanto in quanto non vediamo il Padre. Il Padre
non giudica, il Padre è termine d’arrivo. Il giudizio è sempre precedente.
Quindi noi non siamo giudicati dalla Verità; noi siamo giudicati dalla proposta
della Verità. Vedere Dio è amarlo. Chi vede Dio non può non amarlo. Se noi non
amiamo Dio è perché non lo vediamo. È soltanto la debolezza di vista che ci
rende liberi. Ma chi vede Dio non può non amare Dio. Vedere Dio è vedere il
Padre, perché Dio è l’Essere da cui deriva tutto. Quindi chi vede non può non
amare. L’amore non è una conseguenza della conoscenza. Chi conosce ama. Il che
vuol dire che il giudizio deve essere precedente alla conoscenza, perché il
giorno in cui noi conosciamo, non possiamo non amare, non possiamo più voltarci
indietro. Il Paradiso è irreversibile.
Nino: In noi ora c’è già una chiarezza di convinzioni
fondamentali, per grazia di Dio, ma non siamo ancora tutto pensiero del Padre,
pur avendone il desiderio …
Luigi: C’è davvero in tutti questa chiarezza?
Cina: Se la vita è possibilità di comunione per noi …
Luigi: E tende alla comunione, perché la vita è comunione.
Cina: E se uno tribola tanto a comunicare, è un segno che
manca la vita, allora altro che chiarezza!!
Nino: Però è la certezza della verità di certe convinzioni che
ci aiuta a riagganciarci dopo i momenti di distacco. Sono però incomprensibili
i momenti di freddezza …
Luigi: E allora tu ti chiedi che cosa ancora ti manca?
Nino: Avendo capito che la mia vita mi è data per conoscere il
Padre, qualcosa del Padre già lo conosco e allora perché succedono ancora
questi momenti di distacco pur non volendoli? Cosa devo fare?
Luigi: Il problema non è: “Cosa devo fare?”, piuttosto: “Che
cosa non devo fare?”. La domanda che tu hai fatto corrisponde a quella che un
giorno gli apostoli fecero a Gesù, già al termine della sua vita, dopo l’ultima
cena: “Facci vedere il Padre e ci basta”. Avevano capito una grande cosa: che
tutta la missione del Figlio era quella di portarli a vedere il Padre: “Facci
vedere il Padre e ci basta!”. Arriviamo lì. Siamo partiti un tempo credendo che
tutto stesse nella Passione del Cristo, nell’imitare il Cristo, e a poco per
volta, seguendo il Cristo, arriviamo a questa precisazione di volontà. Ecco,
abbiamo una volontà che acquista una direzione e si concentra in un punto ben
preciso. Sa quello che vuole.
Nino: Ma non capisco perché credo di sapere quello che voglio
e poi scopro della incoerenza in me ogni tanto.
Luigi: È logico, perché noi crediamo di conoscerci, ma chi ci
conosce è Dio e non siamo noi. Noi siamo illusi nel crederci di conoscerci, ma
noi ci conosceremo veramente solo quando saremo conosciuti, quando ci troveremo
conosciuti, ed è lì che allora avremo la vera conoscenza del Padre, perché noi
ci scopriremo come conosciuti dal Padre. Ameremo in quanto scopriremo di essere
amati, non come: “Io cosa devo fare?”. Perché fintanto che mi chiedo: “Cosa devo
fare?”, sono in una situazione di difetto. E preciserei: “Cosa devo fare?”,
perché a quel punto io devo soltanto capire quello che non devo fare per
ricevere, perché chi fa è il Padre, chi genera è il Padre. Ecco, a un certo
momento si arriva proprio a quel punto in cui uno deve preoccuparsi di quello
che non deve fare, perché diventiamo riceventi, perché è il Padre che genera:
non siamo più noi a fare. All’inizio, sì, perché Dio chiede una scelta; poi
arriva un certo momento in cui Dio dice: “Adesso taci, adesso lascia fare a
me”. Noi diventiamo dei vasi ricettori: ecco la Vergine, la Madonna che riceve:
“Si faccia di me, secondo la tua Parola”. Chi parla è un Altro; la creatura
riceve, è tutta ricezione.
Nino: Nel pensiero di Dio noi possiamo verificare se “quei
punti fermi” sono realmente fissi in noi, no?
Luigi: Si, perché Dio conferma. Dio conferma in continuazione,
se noi siamo disponibili: non si va di delusione in delusione, ma si va di
conferma in conferma fino ad una conferma universale, diventa certezza.
Comunque l’argomento di oggi era questo “giudizio”.
Nino: La lettera di San Paolo stamattina mi ha fatto pensare
come Dio regna veramente, anche in questo momento in cui il mondo sembra vada
in rovina. Lo conduce a toccare il fondo, perché possa invocare: “Venga il tuo
regno”.
Luigi: Certo, Dio sta operando e parlando fortemente. C’è da
ringraziare.
Nino: In superficie è il caos (es. suicidio collettivo della
Guyana).
Luigi: Noi non sappiamo giudicare: queste sono lezioni per noi
…
Pinuccia: Bisognerebbe sapere le motivazioni che hanno condotto
questi a suicidarsi.
Luigi: È che gli uomini sono talmente incerti, confusi, che si
lasciano trascinare da chiunque. C’è un tale disorientamento! Così successe
qualche anno fa quando fu detto: “Sul monte Bianco ci sarà la salvezza!”;
quanta gente vi andò!
Nino: Pare che Dio stia facendo una purificazione collettiva,
non solo personale.
Luigi: Ritorniamo ora all’argomento di oggi: “Il Padre non
giudica alcuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio”. Il Padre non giudica,
in quanto se giudicasse, si dovrebbe far vedere. Vederlo vuol dire essere
beati, e quindi non è subire il giudizio. Quindi il Padre è termine di arrivo.
Noi non siamo giudicati dalla Presenza della Verità, ma siamo giudicati dalla
proposta della Verità, dalla Parola. Chi rifiuta di occuparsi di Dio, resta
giudicato dalla parola che gli è arrivata. E allora il giudizio da che cosa mi
viene? Dalla parola udita. Conoscere la Verità è amarla, non si può non amare
Dio quando lo si conosce. Chi conosce Dio non può non amarlo. Ma questo è il
termine e qui non c’è giudizio, qui “Si passa dalla morte alla vita”, dice
Gesù. “Chi mi segue, chi ascolta la mia parola, non gusta la morte, ma passa da
morte a vita; chi rifiuta resta giudicato da quella stessa parola che gli era
venuta per portarlo nella vita”. Quindi Dio, siccome parla positivamente, non
viene per giudicare: viene per salvare. Però se noi rifiutiamo restiamo
giudicati dalla Parola. Esempio della proposta della strada per andare a Cuneo:
se voglio andare a Cuneo e mi viene segnalata la strada, se io rifiuto la
segnalazione, non arriverò mai a Cuneo: le conseguenze le porto su di me,
perché sono causate da quel rifiuto. Non sono stato giudicato da Cuneo, ma sono
giudicato dalla segnalazione: “La strada per Cuneo era questa”.
Pinuccia: Mi pare invece che sono giudicata dalla mia stessa
scelta.
Luigi: No, resto giudicato da chi mi ha fatto la proposta, la
segnalazione, perché questa è la pietra che mi determina tutte le conseguenze;
la pietra che ho scartato mi impedirà di costruire ogni altro edificio e mi
diventa la pietra di scandalo. Ogni edificio che cade addosso mi fa ricordare:
“Già, ho scartato quella pietra”. Ecco, questo diventa il punto nodale di tutte
le conseguenze che ricadranno su di noi. Ma il Padre non giudica in quanto non
si rivela se non a chi è come il Figlio, a chi è già tutto pensiero suo. La sua
rivelazione è beatitudine, è felicità e quindi è conferma, è approvazione, non
è giudizio.
Nino: Pensare che il Padre giudichi è una contraddizione in
termini.
Luigi: Certo, perché il Padre è il termine di arrivo dopo
l’adesione alla Parola; ma il punto critico è la Parola che parla, perché chi
parla nel nostro io è il Figlio di Dio.
Nino: Se la Verità si presentasse a noi, fosse anche per giudicarci,
noi non potremmo non seguirla e non saremmo più giudicati e diventeremmo
paradiso.
Luigi: Non possiamo non seguirla. Soltanto che noi non possiamo
vedere la Verità se non superando noi stessi; ma chi mi sollecita a superare me
stesso è la Parola che mi viene dalla Verità; è la Parola, non è la conoscenza.
Ecco perché la fede precede la luce, perché soltanto se aderisco alla Parola (=
fede) arriverò a comprendere. Ma arrivando a comprendere non posso fare a meno
di amare.
Eligio: Volevo ancora chiedere: il Padre dà a tutti la
possibilità di comunione, e invece il Figlio dà la comunione stessa …
Luigi: Porta alla comunione.
Eligio: La conclusione comunque del processo di salvezza è Dio
stesso; quindi noi stabiliamo una comunione con il Figlio e una comunione con
il Padre: che differenza c’è tra la comunione con il Figlio e la comunione con
il Padre dal momento che il Figlio è Dio stesso? Infatti il Pensiero di Dio è
Dio stesso.
Luigi: Si, certo, però noi non lo sappiamo. È l’argomento di
cui parlavi tu stesso ieri sera: noi seguiamo il Cristo, ma non sappiamo chi
sia, perché per sapere chi sia devo essere col Padre; però se lo seguo è perché
risponde al mio bisogno, sono attratto dal Padre. C’è l’attrazione del Padre,
ma l’attrazione del Padre non basta, perché io posso essere attratto dal
Monviso, ma non so come devo fare per arrivare in cima. Ecco, il Figlio è
quello che viene per rispondere a questa attrazione e mi dice: “Io sono la
vita, seguimi” e mi porta. Però io non so chi sia quel Uno che viene a me e mi
dice: “Io sono la via”.
Eligio: Quindi impropriamente noi diciamo di essere in comunione
con il Padre, vero?
Luigi: Sì, indubbiamente. Noi siamo attratti dal Padre e siamo in
comunione col Figlio, ma anche senza saperlo: “Per ora non mi conoscete, non
sapete chi sono io: mi conoscerete quando arriverete al Padre”, perché chi
conosce il Figlio è il Padre. Arrivando alla luce del Padre, noi troviamo il
Figlio: “Ah, eri Tu!”. Noi seguiamo il Figlio soltanto perché Lui risponde ad
un nostro interesse, risponde al bisogno di vita eterna che abbiamo.
Nino: Seguendolo siamo confermati dentro di noi dal Padre.
Luigi: Dal Padre, perché è il Padre che conferma; ma conferma
senza che ce ne rendiamo conto che è il Padre che conferma in noi, perché non
lo conosciamo ancora; siamo attratti da Dio ma non percepiamo la presenza di
Dio.
Cina: Per me è una grossa tribolazione l’impossibilità di
comunione.
Luigi: Che diventa non comunione.
Cina: E allora vuol dire che non c’è la vita, dato che la vita
è comunione?
Luigi: Si, la vita è comunione con Dio ed è soltanto arrivando
alla comunione con Dio che noi arriviamo anche alla comunione vera con le
creature. Non possiamo noi da soli arrivare; è un beato sogno … Se tu credi di
dire: “Io faccio la comunione con le creature …” è un’utopia, ti illudi; con
tutti gli sforzi che fai o che puoi fare per comunicare o per essere in
comunione con le creature, non riuscirai mai ad essere in comunione con le creature,
perché soltanto realizzando la comunione con il Padre (grazia di Dio), questa
ci dà la possibilità di comunione con le creature, perché la comunione con le
creature è molto più difficile che la comunione con Dio. A noi sembra sia
facile la comunione con le creature; invece la comunione con le creature è più
difficile che la comunione con Dio, e quindi bisogna prima passare attraverso
la comunione con Dio. È la comunione con Dio che ci rende capaci della
comunione con le creature.
Emma: Senza Dio non possiamo nemmeno conoscere chi siamo
noi.
Rina: Io pensavo che nel nostro operare bastasse seguire
la voce della coscienza, invece bisogna seguire la Parola.
Luigi: Sì, la nostra coscienza è destinata ad ampliarsi fino
alla conoscenza del Padre, per cui, al punto estremo, la nostra coscienza
diventa poi il Padre in noi; ma siccome noi possiamo avere una coscienza molto
sbagliata, determinataci dal mondo, dalle opinioni del mondo, da quello che noi
abbiamo accettato come vero, come nostro dovere e allora abbiamo bisogno
continuamente di controllare la nostra coscienza con la Parola del Cristo, con
la Parola di Dio che arriva a noi. È questa che ci sollecita e ci purifica,
nella misura in cui l’approfondiamo.
Eligio: Nel caso che per un’anima avvenga il giudizio, vedo Dio
come una carica d’amore che gli dice: “Guarda che tu hai rifiutato”.
Luigi: L’inferno è tutto nostro, il paradiso è tutto di Dio.
L’inferno è solo tutto nostro, nel senso che la creatura non può attribuire a
Dio la sua condanna, ma l’attribuisce tutta a se stessa; perché: “Sono io che
ho rifiutato, Dio i doni me li ha dati”.
Pinuccia: Ma anche ora, ogni mio rifiuto deve attribuirlo a me?
Luigi: Ogni rifiuto è opera mia.
Pinuccia: E se voglio uscire da questa situazione?
Luigi: Ebbene, tribola, e se tu ne esci è tutta opera del Padre
che misericordiosamente …
Pinuccia: Devo attribuire tutto al Padre. E se trascuro per
stanchezza di applicarmi alla Parola di Dio, non posso attribuire questo al
Padre?
Luigi: No, in quanto tu trascuri … Tu trascuri in quanto sei
sollecitata, invitata. Il sollecito arriva da Dio. La trascuratezza è opera
nostra.
Rina: Ma se c’è stato un impedimento?
Luigi: Se c’è un impedimento, allora l’impedimento viene da
Dio. Attribuisce l’impedimento al Padre e allora lo accetta da Dio; ma allora
non c’è la trascuranza, c’è l’adesione.
Pinuccia: Ma non bisogna attribuire anche “le colpe esterne” al
Padre?
Luigi: Certo, perché tutto è opera di Dio. Però tu capisci che
quando Dio mi dice: “Metti Me prima di tutto”, se io non metto Lui prima di
tutto, il difetto è mio, non lo posso attribuire a Dio, perché lì c’è la Parola
che mi sollecita. La Parola è una proposta. Quindi il difetto è solo nostro.
L’adesione è grazia di Dio, perché noi non potremmo aderire a Dio, se Dio non
fosse sceso a noi, offrendoci l’adesione, un atto d’amore. Quindi l’amore è
dono di Dio, è grazia di Dio. Il rifiuto d’amore è soltanto opera nostra,
perché noi quello che rifiutiamo non possiamo non averlo presente come rifiuto
di: è rifiuto di -. Quindi noi abbiamo presente il rifiuto, ma ne rifiuto c’è
sempre il positivo, c’è sempre la proposta: la proposta mi è arrivata: io sono
tutto rifiuto di -.
Pinuccia: E se io non capto la proposta?
Luigi: Se non la capti non sei colpevole; non c’è il rifiuto.
Perché anche quegli altri a cui Gesù dirà: “Ero carcerato, ero povero, ero
malato, ecc.”, risponderanno: “Quando mai?”, non hanno captato che fosse Dio,
però hanno aderito all’opera di Dio. Così chi segue il Cristo, non si rende
conto che è il Figlio di Dio, però aderisce all’opera di Dio. In quanto
aderisce, arriverà al termine, in cui Lui gli dirà: “Ero io”. Per questo ogni
atto di adesione ci amplia verso la luce e trova una conferma e trovando una
conferma dice: “Cammini bene, sono Io”. È Dio che conferma. Ogni atto di
rifiuto invece, ci mette soltanto di fronte al mio io che ha rifiutato
quell’occasione. Tu capisci che quando tu dici: “Io ho rifiutato
quell’occasione”, tu hai presente l’occasione e hai presente la risposta sua?
Hai presente due termini, non hai presente un termine unico. Con Dio si ha
presente un termine unico. Nel tuo io invece tu hai il “si” (il primo termine,
l’invito a dire “si”) e hai il tuo “no”. Quindi noi siamo due, cioè noi siamo
doppi, noi abbiamo due termini in noi; Dio ha un termine unico. Dio è tutto
“si”. Se noi arriveremo a Dio, alla conoscenza del Padre, saremo tutto “si”.
Oggi come oggi, siamo “si” e “no”, ma in quanto siamo “no”, per quel che siamo
“no”, abbiamo presente il “si”, per cui non possiamo dire: “Il mio no è Dio”,
no, perché Dio è “si”. Se io aderisco e dico “si”, col “si” di Dio, ecco allora
divento tutto “si”; allora dice: “Questa è opera di Dio”. Senza Dio non avrei
potuto dire: “Si”. È Lui che mi ha detto “dì si”. Noi da soli siamo rifiuto. La
creatura di per sé è incostante, è ribellione, è rifiuto. Direi, si distingue
per il rifiuto. Infatti noi nel pensiero del nostro io, dobbiamo sempre
distinguerci dall’altro e quindi dobbiamo sempre fare diverso dall’altro, ecco,
dobbiamo differenziarci, perché noi ci distinguiamo per differenziazione.
Invece in Dio ci differenziamo per comunione, per amore: è una cosa molto
diversa.
Pinuccia: Questo argomento si era in parte già trattato con
Nicodemo: “Chi non crede è già giudicato”, perché già noi siamo in una
situazione di rischio, per cui se io non accetto la salvezza che mi è offerta,
sono già giudicato, perché sono già in un rischio. Ma il Figlio non viene per
giudicare, ma per salvare.
Nino: È la proposta che mi giudica.