Gesù disse: “In verità in verità vi dico: il Figlio nulla può fare da Sé se
non lo vede fare dal Padre, ma quello che questi fa, il Figlio pure lo fa. Gv 5 Vs 19
Titolo: Il fare del
Figlio
Argomenti: Il Figlio è tutto pensiero del Padre,
invece noi siamo molteplicità di pensieri. La molteplicità di amori. L’opera
del Figlio è attribuire al Padre tutto ciò che viene dal Padre. Il Figlio è
Colui per mezzo del quale tutte le cose sono fatte. La
figliolanza di Dio è conseguenza della conoscenza del Padre. La Madonna è
intenzionalità del Figlio che è intenzionalità del Padre. La
parola, mezzo del pensiero per comunicarsi. Dio parla
solo di Sè. L’uomo e la creazione. L’Essere
di Gesù è determinato dal Padre, il nostro dal nostro amore. La
coscienza del rapporto con Dio. Il Padre non fa
altro che il Figlio, e il Figlio non fa altro che riconoscere che tutto è opera
del Padre. Noi diventiamo figli del Padre
nella misura in cui riconosciamo che tutto è opera di Dio.
27/Agosto/1978
Dall'esposizione
di Luigi Bracco:
Da questo versetto, il
n. 19, traiamo l’argomento per la nostra riflessione di oggi e lo colleghiamo
con quello di domenica scorsa, cioè: che cosa Dio è per Gesù.
Abbiamo visto che Gesù dice
che Dio è suo Padre e per questo i Giudei lo condannavano e cercavano di farlo
morire.
Siamo partiti da:
- che cosa Dio
annuncia di Sé,
per giungere a
riflettere su:
- che cosa Dio è per
noi;
poi ci siamo soffermati
su:
- che cosa Dio è per
Gesù;
e adesso, proseguendo,
troviamo che Gesù dice:
- “Il Figlio non può fare nulla se non lo vede fare dal Padre”.
Questo è l’argomento
principale.
Un brano della lettera
di San Giacomo ci potrà aiutare per approfondirlo.
Ora teniamo presente
che questo argomento dobbiamo svilupparlo alla luce del significato che le
parole di Gesù hanno per noi.
Cioè che cosa Gesù
vuole insegnarci con queste parole: perché in tutte le sue opere, in tutte le
sua parole Gesù parla per noi.
Quindi se ci dice: “Il Figlio non fa nulla se non lo vede fare
dal Padre”, evidentemente queste parole hanno un significato per la nostra
vita vera, cioè per la nostra vita spirituale.
Siccome tutti noi siamo
chiamati a diventare figli di Dio, abbiamo bisogno di sapere come si vive da
figli di Dio.
Ricordiamoci che la
caratteristica del Figlio di Dio è quella di essere tutto pensiero del Padre,
mentre invece noi siamo pensiero di tante cose, dispersi coi nostri pensieri dietro
una molteplicità infinita di argomenti per cui possiamo dire che abbiamo tanti
padri, una molteplicità di padri, una molteplicità di vite, una molteplicità di
amori.
Ecco, bisogna mettere
prima in evidenza che questo non è un arricchimento; apparentemente sembrerebbe
che chi ha molto sia più ricco di colui che ha una cosa sola.
Qui Gesù dice che il
Figlio non può fare nulla se non lo vede fare dal Padre.
Noi possiamo fare tante
cose senza vederle fare dal Padre. Direi, la maggior parte delle cose noi le
facciamo senza vederle fare dal Padre, per cui questo senso di autonomia che
portiamo con noi, questo senso di libertà, d’indipendenza, apparentemente
potrebbe sembrare un arricchimento: noi più ricchi del Figlio di Dio, il quale
invece non può fare niente se non lo vede fare dal Padre.
Ecco anche queste cose
bisogna approfondire, meditare che questa apparente nostra ricchezza invece
sostanzialmente è una miseria, come è una miseria quella di colui che anziché
amare un essere unico abbia tanti amori.
La molteplicità degli
amori non è una ricchezza per la creatura, ma una dispersione delle sue facoltà
interiori e quindi è una miseria, una morte della creatura stessa, poiché
amando nella molteplicità, la nostra anima diventa incapace di amare.
Un secondo punto che
suggerisco di tener presente è questo: quando Gesù dice che “Nulla il Figlio può fare da Sé se non lo
vede fare dal Padre, ma quello che questi fa anche il Figlio lo fa”, a noi
apparentemente sembrerebbe che il Figlio si trovi nella posizione di un garzone
rispetto al suo maestro d’arte, di un allievo rispetto al suo maestro, cioè di
uno che ha bisogno di imparare a fare quello che fa il maestro.
Eligio: Un rapporto di subordinazione
direi…
Luigi: Di subordinazione e di
imitazione dell’opera. Ma questo solo apparentemente.
Eligio: Infatti sono due Persone
uguali e distinte.
Luigi: Da queste frasi noi potremmo
dedurre che il Figlio è quasi un Essere dipendente, come può essere dipendente
il garzone di bottega che ha bisogno di imparare il mestiere dal maestro.
Invece questo rapporto mi sembra sia contraddetto, per questo dico
“apparentemente”, dalla frase del Prologo: “Tutte
le cose sono state fatte per mezzo di Lui”; cioè per mezzo del Figlio.
Quindi se tutte le cose
sono state fatte, o meglio, sono fatte, per mezzo del Figlio, il Figlio non è
quindi uno che ha bisogno di imparare quello che fa il Padre e non è che il
Figlio imiti e ripeta l’opera del Padre, per cui: il Padre crea l’universo? Il
Figlio crea l’universo per imitazione. Nell’imitazione abbiamo un rapporto
esterno: creatura che imita l’altra creatura, quello che imita l’altra
creatura, quello che fa l’altra creatura. Ma già le volte scorse abbiamo notato
che l’azione del Figlio non è un’azione di ripetizione delle opere del Padre,
ma un’azione di riferimento al Padre delle opere del Padre.
L’opera del Figlio è
quella di attribuire al Padre tutto quello che viene dal Padre.
Questa è l’opera del
Figlio. Tenendo presente che tutto è stato fatto per mezzo di Lui, accostandolo
con il versetto su cui ci stiamo soffermando, a me sembra che elimini il
pensiero che il Figlio imiti l’opera del Padre, cioè direi che dobbiamo
escludere questo: l’opera del Figlio non è imitazione, non è ripetizione, ma è
qualcosa di più profondo.
Teniamo presente che il
Figlio è un Essere solo col Padre, un essere unico.
Queste cose il Signore
le dice per noi, per insegnare a noi qualche cosa, cioè per insegnare a noi a
vivere con il Padre perché lo scopo è questo: Gesù parla per dare a noi
l’exousia, la potenza, la possibilità di diventare figli del Padre.
Quindi queste parole
Gesù le dice per dare a noi la possibilità di diventare figli dell’opera di
Dio. Dobbiamo sempre tenere presente la finalità. Gesù dice: “Il Figlio non può fare niente se non lo
vede fare dal Padre”, affinché noi guardiamo questa cosa: noi che facciamo
tutto senza vedere il Padre, senza interrogare il Padre. Non ci preoccupiamo di
conoscere il Padre per agire. Noi agiamo per ben altri motivi. Ad esempio il
motivo della figura, il motivo del benessere, della comodità, del piacere, del
giudizio degli altri, di ciò che gli altri dicono, ecc.; abbiamo tanti motivi
che determinano la nostra vita. Per cui noi abbiamo tanti padri che muovono il
nostro agire. Il Figlio invece insegna a noi, affinché noi chiamati a diventare
per adozione figli di Dio, guardiamo alla meta. “Il Figlio di Dio non può fare
niente se non lo vede fare dal Padre”, però questo “fare” non sta nell’imitare.
Questo “veder fare dal Padre” non è imitazione, ma è un qualcosa di diverso, perché
il Figlio è Colui per mezzo del quale tutte le cose sono fatte. Teniamo
presente ancora questo fatto: che il Padre abita in noi, è in noi ed è l’unica
Sorgente della luce. Dio in noi è l’unica Sorgente della luce. Tutti gli altri
argomenti che arrivano a noi dal di fuori, non sono luce. Ci provocano la luce,
ma non sono luce, non ci illuminano. Per cui, per quanti argomenti sentiamo
parlare, noi ci accorgiamo che tutti non sono sufficienti ad illuminare la
nostra anima. C’è Uno solo che apre e c’è Uno solo che chiude. Se quello apre,
tutto resta aperto. Cioè se il Padre ci illumina, la luce splende nella nostra
anima. Ecco perché la sorgente della luce è unica. Se questa luce, se questo
fare illumina noi, non c’è più nessun argomento del mondo che ci possa
illuminare.
Eligio: Gesù però il Padre lo vedeva e
vedeva come operava, noi invece Dio non lo vediamo.
Luigi: Certo. Quindi Gesù, dicendoci
questo, cosa fa? Ci sollecita a conoscere il Padre. Infatti Gesù viene per
farci conoscere il Padre. Dicendoci questo ci fa capire che la nostra impotenza
trova la sua giustificazione nel fatto che non conosciamo il Padre; quindi ci
invita a cercare il Padre prima di tutto. Ed è la luce.
Eligio: Mentre ci manca ancora la
presenza del Padre, quale ha avuto Gesù, quale punto di riferimento possiamo
avere?
Luigi: Prima di tutto dobbiamo tener
molto presente questo fatto: capire, ed è una scelta molto grande,
l’importanza che ha per noi la conoscenza del Padre, perché solo conoscendo il
Padre noi possiamo fare le opere secondo il Padre. Perché se noi non
conosciamo il Padre non possiamo essere figli di Dio. La figliolanza di Dio è
una conseguenza della conoscenza del Padre, perché è il Padre che genera il
Figlio e soltanto il Padre conosce il Figlio. Allora Gesù, dicendo che il
Figlio non può fare nulla se non lo vede fare dal Padre, insegna a noi,
sollecita noi a conoscere il Padre per poter agire secondo il Padre, altrimenti
noi ci troveremmo nell’incapacità di vivere. Sì, noi viviamo in tanti modi, ma
di fronte alle parole di Gesù capiamo che il nostro vivere è un morire. Ora
scoprendo quell’incapacità, scopriamo anche l’importanza, la quale è una
scoperta molto importante, che ha per noi la conoscenza del Padre, cioè il
bisogno che noi abbiamo di conoscere il Padre, l’orientamento al Padre. Quando
noi capiamo l’importanza di un Essere per noi, ecco che tutta la nostra vita è
orientata a quello. Essere orientati a quello è già tanta liberazione da tante
altre illusioni. Perché noi nella nostra vita, siamo sovente disorientati verso
altri bisogni non essenziali, perché riteniamo che di lì venga per noi la vita,
venga per noi il bene. Gesù ci insegna che il vero nostro bisogno essenziale
è il Padre, per poter essere a nostra volta generati, per poter nascere a
nostra volta dal Padre; perché solo il Padre illumina la nostra anima e la
nostra vita, mentre tutti gli altri motivi non sono luce per noi, anzi
diventano per noi motivi di schiavitù e quindi ci svuotano l’anima di ogni
significato del nostro vivere. Più viviamo per altri motivi diversi dal Padre e
più la nostra vita perde di senso, perché noi seminiamo in noi punti non
luminosi, punti tenebrosi e questi ci spogliano del significato.
Eligio: Però come possiamo fare? Quale
punto di riferimento per il nostro “fare”,
per noi che non vediamo il “fare” del
Padre?
Nino: Gesù parlandoci del Padre, ci
spiega come è il Padre, ciò che fa e ciò che Lui vuole.
Luigi: Ce lo sta dicendo. In questo
momento per esempio noi abbiamo un punto di riferimento e che ce l’ha dato è proprio
Gesù.
Eligio: Cioè fare ciò che fa il Padre.
Luigi: Di “Non poter fare niente se non lo vediamo fare dal Padre”. Ma nel
dirci questo, ci dà un punto di riferimento. È Lui il motivo di riferimento: la
parola stessa di Dio è per noi punto di riferimento. In quanto parla a noi, la
sua Parola è già punto di riferimento per noi, perché ci dice una parola
diversa che ci disincanta da tutto e ci mette in crisi. Lo vedi che ci mette in
crisi? Ci dice: “Il Figlio non può fare
niente se non lo vede fare dal Padre”, ma io posso far tutto, io come
creatura faccio tutto. Sono messo in crisi perché dico: “Se tale è il Figlio di Dio, ciò vuol dire che io non sono per niente
figlio di Dio, perché faccio tutto senza tener conto di Dio”. Ora questo è
già un punto fisso di riferimento. Ora, se tengo presente questo e mi metto in
movimento su questa parola, ecco il punto di riferimento per arrivare al Padre.
Non è una conoscenza del Padre, ma è un punto di riferimento nel mio
disorientamento dal Padre.
Eligio: Allora Gesù diventa
secondario, perché il riferimento primo deve essere al Padre.
Luigi: Certo, logico. Il Figlio
infatti è Pensiero del Padre, il che vuol dire che Lui parla solo del Padre e
se uno ascolta quello che dice Lui, parla solo del Padre e se uno ascolta quello
che dice Lui, cosa fa? Non fa altro che guardare il Padre. Molte volte noi
diciamo, la Madonna: ma la Madonna non è altro che pensiero del Figlio. Se
noi vogliamo veramente bene alla Madonna, non facciamo altro che guardare il
Figlio. Dice Lei; di non guardare a Lei ma di guardare il Figlio, perché
Lei guarda il Figlio. Se uno per la strada si mette a guardare una cosa e
l’altro lo osserva, non è che si metta a guardare lui, ma guarda ciò che guarda
quell’uomo. Quindi ognuno di noi tende a cogliere l’intenzionalità
dell’essere. Ogni creatura è una freccia. Ora, se noi osserviamo una
segnalazione, una freccia, la freccia non indica se stessa; la segnalazione ci
indica la direzione: “Guarda là, volgiti
verso quello”. Faremo un errore grosso se ci mettessimo a girare attorno
alla freccia; annulleremmo il senso del nostro cammino. Noi nella nostra vita
praticamente siamo tutti lì che giriamo attorno a dei segnali, a delle frecce e
non ci accorgiamo che annulliamo il senso della nostra vita. Scartiamo l’intenzionalità
del segno e guardiamo soltanto la forma, l’esteriorità di esso dicendo: “Guarda che bel segno come è stato disegnato
bene, guarda come è posto bene in alto”, e giriamo tutta la nostra vita lì
attorno. E non ci accorgiamo che quel segno è una freccia che ci indica altro.
Per cui: osservo la Madonna? La Madonna è intenzionalità del Figlio.
Osservo il Figlio? Il Figlio è intenzionalità del Padre. Ecco, allora
che noi siamo nell’ordine, naturalmente guardiamo all’intenzionalità, al fine e
quindi guardiamo il Padre. Se invece ci fermiamo all’aspetto esteriore della
creatura, vuol dire che in noi c’è qualcosa di deforme dalla Verità, qualcosa
che si è scostato dalla Verità, per cui scambiamo il segnale per l’essere in sé
e ci sfugge l’intenzione della cosa. Mentre la creatura mi parla di un oggetto,
io guardo la creatura e non m’interessa l’oggetto a cui guarda quella creatura:
guardo la creatura. È lì l’errore. Come mai? Ecco, c’è certamente un errore in
me, che mi fa sviare da quello che è il fine a quello che è l’apparenza. “Il saggio segnala la luna e lo stolto guarda
il dito”.
Eligio: Il segnale per eccellenza per
noi resta Gesù.
Luigi: Gesù rappresenta la sintesi di
tutta l’opera del Padre. E qui entra la rivelazione, perché quello che dice Gesù,
lo dicono tutte le creature, lo dice tutto l’universo; soltanto che noi non lo
cogliamo. Allora Gesù, il Figlio di Dio, viene e ci dice: “Io vi parlo del Padre”. Ma già tutta la creazione, siccome le cose
sono state fatte per mezzo di Lui, già tutta la creazione ci parlava del Padre.
Non c’è nessun maggior centro di attrazione della Persona.
Fintanto che noi
vediamo gli alberi, il sole, la luna nel pensiero di noi stessi, li rivestiamo
del pensiero del nostro io e non capiamo l’intenzionalità che c’è nel sole,
nella luna, nelle stelle, negli alberi, nell’acqua; ma se viene a noi una
persona che parla, parlando lei esprime l’intenzione che già dovevamo leggere
in tutte le cose, ma ora lei ce la dice a parole. La mia intenzione? Ma io ti
parlo del Padre! Ora quando Gesù dice: “Io
vi parlo del Padre”, noi non possiamo, a meno di una ribellione positiva,
non vedere ciò di cui ci parla. Prima potevo dire: “Io non sapevo, vedevo il sole e la luna e credevo che fossero per me e
mi fermavo a queste cose”. Viene Gesù e mi dice: “Io ti parlo del Padre”. Ora, noi non possiamo non vedere la crisi
in cui ci mette. Tant’è vero che Gesù, parlando a noi del Padre, suscita
ribellione e, ad un certo momento, Lo mettiamo a morte, perché abbiamo
un’intenzionalità che si afferma su tutte le altre intenzionalità. Quindi Lui
si afferma: non è più un Essere che accetta di essere intelletto.
L’intenzionalità ad esempio che c’è nell’universo ha bisogno di essere
intelletta: “Siate intelligenti nel
capire le parole del Signore”. Colui che viene a me e dice: “Apertamente ti parlo del Padre”,
suscita soltanto adesione o ribellione, rifiuto. Noi, di fronte a quello, non
possiamo far altro, possiamo soltanto rifiutare o aderire, perché è Lui
l’intelligenza, è Lui che ce lo dichiara. Adesso più che altro è da
approfondire questo fatto: in che cosa consiste quest’opera le cose sono state
fatte e sono fatte per mezzo del Figlio; per cui non abbiamo un processo di
imitazione ma un processo di generazione.
Lettura della lettera
di San Giacomo cap. 1°:
-
bisogna soffrire con gioia;
-
bisogna domandare a Dio la vera sapienza;
-
tutto si deve ricevere dalle mani di Dio;
-
il male non viene da Dio, il male è la separazione;
-
Dio è l’Autore di ogni bene, di tutto;
-
Bisogna mettere in pratica la Parola di Dio;
-
Bisogna specialmente frenare la lingua e fare le opere
di misericordia.
Precisazioni
sulla tentazione: se San Giacomo dice: “Beato l’uomo che soffre la tentazione”,
è una cosa positiva e va intesa come prova; mentre invece come tentazione al
male dal nostro io, dai nostri desideri. Qui la traduzione non è chiara, può
essere ambigua.
Cina: C’è diversità dagli argomenti
delle domeniche scorse?
Luigi: C’è diversità; c’è un
approfondimento. Cioè, qui siamo passati dal camminare “con” Dio, al camminare
"in” Dio. Ormai si apre un altro campo.
-
prima stavamo
osservando le lezioni di Dio: quello che Dio ci diceva di Sé attraverso
l’avvenimento del paralitico.
-
Adesso qui abbiamo Dio che ci parla di Sé con parole
sue. Cioè è la diversità tra il camminare “con” Dio e il camminare “in”Dio. Qui
Gesù ci invita attualmente a camminare in Dio. Ci invita ad approfondire il suo
mistero, la sua Essenza, il rapporto che passa tra il Padre e il Figlio che è
poi il rapporto che deve passare tra noi e Dio, perché ognuno di noi è chiamato
a diventare Figlio di Dio. Quindi sempre restando nel concetto che Dio per Gesù
è il Padre, avevamo detto: “Che cosa è
Dio per noi?”.
Chi aveva detto: “Dio è il Signore, Dio è tutto, ecc.”; ora
ci chiediamo:
-
che cosa è Dio per Gesù? Dio per Gesù è il Padre suo
-
e domenica scorsa ci siamo fermati su questo fatto:
cosa vuol dire avere Dio per Padre.
Abbiamo meditato sul fatto che noi possiamo avere e
generalmente abbiamo tanti padri e invece Gesù ha per unico Padre soltanto Dio.
Adesso qui ci precisa che chi ha per Padre Dio non può fare niente se non lo
vede fare dal Padre, perché noi possiamo essere talmente superficiali e dire:
“Dio è il Padre mio” e vivere per ben altri motivi.
Quante volte diciamo: “Padre
nostro”. Ma se Dio è Padre tuo, tu effettivamente non puoi fare nulla se non lo
vedi fare dal Padre.
Ma se noi facciamo
tante cose senza vederle fare dal Padre, questo vuol dire che Dio non è Padre
nostro: i nostri padri sono altri!
Quindi ci invita ad
approfondire questo fatto e poi ci invita ad approfondire il fatto che l’azione
che fa il Figlio, non è un’imitazione di quello che fa il Padre.
Rina: Ma qui dice proprio: “Tutte le cose che fa Lui, anche il Figlio
le fa allo stesso modo”.
Luigi: Certo, se noi ci soffermiamo
sulla parola apparente sembrerebbe proprio che sia un’imitazione. Ecco, Dio fa
questo, anch’io faccio questo. E invece questo è in contraddizione con quello
che è detto nel Prologo: “Tutte le cose
sono state fatte per mezzo del Figlio”. Allora si direbbe che: qui abbiamo
il Padre che non fa niente se non per mezzo del Figlio, è il rovescio.
Ecco noi dobbiamo
tenere presente le due parole.
Le due parole ci
mettono in crisi e ci impegnano ad approfondire, quasi a dirci: “Ecco, non fermarti
all’apparenza, perché la parola “in apparenza”, è una parabola; devi
approfondirla”.
La verità è in
profondità, quindi non fermarti a quello che apparentemente si dice; cerca in
profondità che cosa Gesù vuol dire quando dice che non può fare nulla se non lo
vede fare dal Padre e che quello che il Padre fa anche il Figlio lo fa.
La cosa è diversa e
allora ci colleghiamo con: “Tutte le cose sono fatte per mezzo del Figlio, per
mezzo del Verbo di Dio”. E qui Gesù giustifica la sua azione fatta in sabato.
Pinuccia: Che senso dobbiamo dare alla
parola “per mezzo”, perché dice che sono fatte per mezzo del Figlio.
Luigi: Sono fatte dal Padre per mezzo
del Figlio.
Nino: Il pensiero è del Padre, il
Figlio è Pensiero tradotto in Parola.
Luigi: Comunque è una cosa sola …..
l’Essere è uno solo.
Nino: Abbiamo detto che il Padre è
quello che fa essere.
Luigi: Sant’Agostino direbbe: “Io ho
un argomento, ve lo espongo attraverso un pensiero, attraverso delle parole;
allora il mio argomento lo faccio in voi per mezzo delle parole”. Quindi
l’argomento arriva a noi attraverso le parole. Il Figlio è la Parola del Padre;
tutte le cose il Padre le fa attraverso la Parola. Certo, ci sono delle
premesse da compiere; ad esempio, siete tutti convinti che Dio è il Creatore di
tutte le cose? Quindi che Dio è Colui che opera in tutto? E che se è Colui che
opera in tutto, opera soltanto per manifestare Se Stesso e non manifesta altro?
E se siamo convinti che Dio è Colui che in tutto ciò che opera, (ed è Lui solo
che opera in tutto) manifesta Sé Stesso (manifestare Se Stesso vuol dire
parlare, cioè manifestare il suo Pensiero), allora in tutte le cose, Dio ci
parla di Sé.
Ora, questo “parlarci
di Sé”, vuol dire che tutte le cose sono fatte nel Suo Pensiero, sono fatte per
mezzo del suo Pensiero.
Ora, se noi siamo
convinti di questo, in noi si forma il problema: che cosa Dio mi vuol
rivelare attraverso tutte le cose, poiché Dio mi parla di Sé?
Ed io in tutte le cose,
debbo cercare di capire che cosa Dio mi fa conoscere di Sé, perché Lui mi parla
di Sé. Conoscendo quello che Dio mi dice di Sé attraverso le sue parole, Dio mi
fa entrare nella vita eterna, nella vita vera.
Se Dio ci fa entrare
nella vita vera attraverso le Sue Parole, nessuno entra nella vita eterna se
non per mezzo del Figlio. Il Figlio è la Parola.
Eligio: La creazione di questo
universo implica necessariamente la creazione dell’uomo, cioè di un essere
intelligente?
Luigi: Certo, perché Dio parla per
significare Sé Stesso, per manifestare Sé Stesso. Non possiamo pensare che parli
al vuoto. A chi significherebbe Sé stesso? Ad un essere capace di conoscerlo.
Se noi parliamo a qualcuno, possiamo solo immaginare che parliamo a qualcuno al
quale sia dato di intendere le parole che diciamo: non possiamo parlare al
vuoto.
Nino: Però non era necessaria la
creazione….
Luigi: Non era necessaria; la
creazione senza l’uomo è una cosa assurda, perché non è che l’uomo può esserci
o può non esserci. Potrebbe non esserci il sole, potrebbe non esserci la terra,
potrebbe non esserci l’universo, ma non può non esserci l’uomo, dal
momento che Dio crea.
Cioè non può non
esserci l’essere al quale Dio si rivela, come termine, perché quando Dio parla,
parla ad un termine. E il termine è l’essere che può captare la parola
che Dio dice. L’uomo non aggiunge nulla all’Essere di Dio, però dal momento
che Lui crea, dal momento che Lui dice: “Sia fatta la luce”, nella luce c’è già
l’uomo.
In essa è già un
inizio, ed è l’inizio dell’uomo.
Cioè Dio parla e la
Parola la dice a uno che può accoglierla. Non la dice a ciò che non la può
accogliere. Non può mettersi a parlare alla pietra: la pietra è in funzione
dell’uomo. Ecco, l’uomo potrebbe esistere senza la pietra, ma la pietra non può
esistere senza l’uomo.
Eligio: Quindi bisogna vedere tutto in
funzione dell’uomo, anche le costellazioni che sono distanti miliardi di anni.
Luigi: Certo, per questo dico che Dio
parla a noi attraverso anche la stella lontanissima miliardi di anni: è fatta
per me, per ognuno di noi da parte di Dio, perché è parola di Dio e Dio parla
personalmente ad ognuno di noi. Dal filo d’erba alla formichina più
insignificante che magari calpesto senza nemmeno notare, alle stelle più
grandiose, tutto è fatto per ognuno di noi personalmente da Dio. Dio ci ha
amati, ci ha pensati già miliardi di anni prima che noi incominciassimo a fare:
“Beh!”; però ci ha pensati, perché è tutto ordinato all’uomo.
L’uomo è la sintesi
della creazione, è la vetta.
Pinuccia: Possiamo dire che l’uomo è lo
scopo e che è necessaria tutta la creazione di ciò che attualmente esiste?
Luigi: Sì, l’uomo è lo scopo della
creazione.
Pinuccia: Però la creazione è libera;
poteva non creare nulla.
Luigi: È logico.
Nino: Noi siamo senz’altro lo scopo
della creazione, però chi ci impedisce di poter pensare che in tutto questo
infinito universo non ci possano essere della altre creature diverse dall’uomo
e che siano pure esse un altro scopo di Dio?
Luigi: Dio ha lo scopo di manifestare
Se stesso. Non c’è altro scopo. Dio è l’Essere e l’Essere non può manifestare
qualcosa di diverso dall’Essere perché non sarebbe più l’Essere.
Nino: L’unico scopo di Dio è quello
di farsi conoscere, però non è detto che sia solo l’uomo.
Eligio: Comunque deve essere una
persona intelligente.
Luigi: Ci sono anche degli angeli.
Persona intelligente vuol dire persona destinata a conoscere la Verità.
Dio parla per rivelare
la sua Verità.
La Verità è una sola:
Lui, perché Lui è l’Essere.
Dio parla e parlando
crea l’orecchio capace di ascoltare le sue parole.
L’orecchio capace di
ascoltare le sue parole è l’uomo.
Non può parlare ad un
essere al quale non dà l’orecchio, perché sarebbe assurdo, il suo parlare
sarebbe senza significato.
Ora, Dio è tutt’altro
che assurdo. Dio non fa le cose assurde, quindi se parla, parla dando
l’orecchio per far ascoltare ciò che dice. Per questo dico che se Dio parla
dà all’uomo la capacità, la possibilità di intendere le sue parole e se l’uomo
non intende la colpa è dell’uomo.
La creazione dell’uomo
per Dio non è necessaria, ma dal momento che la fa, non poteva fermare la sua
creazione ai mammiferi, per esempio.
In quanto Dio parla,
parla per comunicare che cosa? Solo Sé stesso.
Non può comunicare
altro, perché Lui è l’Essere. Lui non ha bisogno di creare, ma in quanto crea,
la creazione è solo manifestazione di Dio.
Se Lui fa qualcosa, ciò
che fa lo fa per manifestare Se stesso a ciò che fa, non può fermare ciò che fa
all’incomprensione.
Non è un Essere che si
può divertire con ciò che fa.
La creazione è fatta
solo per rivelare Se stesso.
Eligio: È legittimo attribuire a Dio
una sola intenzione nella creazione?
Luigi: C’è una sola intenzione perché
Lui è Uno Solo, cioè Lui è l’Essere. Di diverso dall’Essere c’è solo il
non-essere. L’Essere non può manifestare altro.
Quindi Lui parla
soltanto di Se stesso. Noi, nell’orgoglio, parliamo di noi stessi e sbagliamo
perché noi parlando di noi stessi, siamo orgogliosi. Perché noi non possiamo
parlare di noi stessi, e Dio parla di Sé stesso? Perché se noi parlando di noi
stessi siamo orgogliosi e invece Dio che parla di Sé stesso non lo è? Come mai?
Il fatto è che Lui è la
Verità, noi non siamo la Verità.
Quello che non è Verità
può esaltare la Verità, ma non può affermare il rovescio della Verità.
Quindi la Verità che
afferma se stessa è giusta.
Quello che non è Verità
e afferma se stesso è nell’errore. Quindi noi, parlando di noi stessi,
esaltiamo ciò che “non è”, anziché Colui che è.
Infatti noi, parlando
di noi, non illuminiamo (“Tu parli di te, quindi la tua testimonianza non è valida”,
dicono i Giudei a Gesù fermandosi all’apparenza umana).
Invece Dio, parlando di
Sé, illumina. E la sua Parola è Luce.
C’è una diversità
grande tra la creatura e Dio.
La creatura straniera
che parla ad un’altra creatura straniera non riesce a farsi intendere.
Dio invece quando
parla, forma in noi l’orecchio capace di ascoltare le sue parole e di
intenderle, perché se parla, dà a noi la grazia per intendere; cioè forma in
noi la sua stessa lingua.
Se noi non intendiamo,
il difetto è nostro, non di Dio.
Quindi in quanto Dio ha
creato le stelle, le stelle sono la premessa perché in noi ci sia l’orecchio.
Se il nostro orecchio funziona è perché ci sono le stelle lontanissime.
Eligio: Quindi senza la previsione
dell’apparizione dell’uomo in un certo momento dello sviluppo cosmico, tutta
questa complessità ed enormità dell’universo non avrebbe senso.
Luigi: Certo. È come una donna che
concepisce una creatura nuova. La creatura nuova, in quanto concepita, deve
nascere. Se non nasce c’è l’aborto, c’è qualcosa deforme che arriva, qualcosa
di sbagliato, un errore.
Ora in Dio non c’è
nulla di sbagliato. Quando Dio comincia a dire: “Sia fatta la luce”, semina già la creatura umana; quindi abbiamo
già nel ventre di questa creatura, il seme di una creatura nuova, dell’uomo che
deve nascere.
Nell’opera di Dio
l’uomo nasce certamente, cioè l’orecchio capace di ascoltare le sue parole,
nasce certamente, non abbiamo l’arresto a metà strada, l’aborto.
Nella creatura c’è
l’aborto perché c’è una volontà contraria, in Dio no.
La creazione non può
essere arrestata a metà strada. Non posso arrestare il concepimento di una
creatura in una donna a metà strada. Dio non può arrestarlo a metà strada,
perché quello che è concepito fin dal primo giorno, è in funzione dell’uomo che
deve nascere: è già uomo.
Quando Dio Padre dice: “Sia fatta la luce”, in questa prima sua
parola abbiamo già l’uomo, il seme dell’uomo. C’è già dall’inizio un seme
dell’uomo.
Il seme dell’uomo che
cos’è?
È il seme
dell’orecchio, fatto per ascoltare la Parola di Dio. Quindi Dio ha pensato a
noi già prima, dall’inizio.
Eligio: T. de Chardin parla però di
evoluzione cosmica limitatamente alla nostra galassia, quindi alla nostra
terra.
Luigi: Possiamo però applicarla a
tutto l’universo, perché noi non possiamo parlare della nostra terra senza
parlare di tutto il nostro sistema solare; non possiamo parlare del nostro
sistema solare senza comprendere tutta la galassia; non possiamo comprendere la
nostra galassia, senza comprendere tutto l’universo con tutte le sue galassie,
perché c’è tutta un’interdipendenza.
Non possiamo isolare
qualche cosa. Io non posso arrestare il concepimento di una creatura al terzo
mese, al quarto, al quinto o al sesto mese, a meno di un delitto, perché la
creatura è stata concepita per nascere alla luce di Dio, per far nascere alla
luce un uomo.
Tu capisci che
all’inizio Dio dicendo: “Sia fatta la
luce”, ha creato l’uomo?
Perché parla! Quindi
parla ad un uomo! Ha fatto l’uomo!
E quando al sesto
giorno dice: “Facciamo l’uomo”, ha
fatto prendere coscienza all’uomo di
quello che già dal primo giorno Lui aveva fatto perché tutto è stato fatto nel
Verbo di Dio. E questo Verbo di Dio è il Verbo, cioè la Parola che si comunica.
Che si comunica a chi? Si comunica a quell’essere capace di accogliere la
comunicazione.
Quindi, quando ad
esempio parliamo di pietre, parliamo di animali, anche animali evoluti come la
scimmia, noi parliamo di uno stadio nel concepimento (la creatura è concepita
allo stadio quasi animale e man mano che si evolve passa attraverso tutti gli
stadi fino a diventare uomo).
Allora Dio parlando a
poco a poco per volta non fa altro che evolvere l’uomo; ma l’uomo è già
concepito.
Ad un certo momento
l’uomo si accorge di essere e siamo al sesto giorno. È l’uomo che prende
coscienza: “Ci sono, sono arrivato alla luce!”. Ma come dice: “Ci sono…”, può
crollare perché comincia ad affermare se stesso.
Eligio: Certo, l’uomo è già nella
nebulosa da cui è scaturito il nostro sistema planetario e stellare.
Luigi: Ecco! Quindi non possiamo arrestarlo,
perché l’arresto a metà strada certamente è un difetto: l’aborto è un difetto.
Eligio: Quindi la creazione deve
concludere nell’uomo, cioè in un essere cosciente.
Luigi: Necessariamente, non può
essere in modo diverso.
Pinuccia: San Paolo dice che tutto è
stato fatto in vista di Lui. Vuol dire che l’uomo doveva essere il Cristo se
non ci fosse stato il peccato?
Luigi: Certo, l’uomo è destinato
ad incarnare Dio: destinato alla vita eterna.
Nino: Ricapitolando, qual è la
domanda su cui dobbiamo fermarci a riflettere?
Luigi: Che cosa Gesù ci vuol dire con
queste Sue parole: “Il Figlio non può
fare nulla se non lo vede fare dal Padre”, tenendo presente che noi siamo
chiamati a diventare figli di Dio. Quindi insegna a noi come dobbiamo comportarci.
Pinuccia: “I Giudei cercavano di farlo morire anche perché chiamava Dio suo Padre
facendosi uguale a Dio”. Questo “chiamare Dio suo Padre” vuol dire farsi
uguale a Dio, oppure questa è un’interpretazione dei farisei? Erano loro che
credevano che Gesù si facesse uguale a Dio chiamando Dio suo Padre, oppure
debbo proprio intenderlo così, cioè che Gesù stesso nelle sue parole si faceva
uguale a Dio?
Luigi: È così. Però Gesù non si
faceva uguale a Dio, lo era.
Pinuccia: Però questo non lo possiamo applicare
a noi, vero?
Luigi: E perché no?
Pinuccia: Gesù può chiamare Dio suo
Padre facendosi uguale a Dio perché è Dio.
Luigi: Certo, e lo afferma.
Pinuccia: Invece noi chiamiamo Dio
nostro Padre, non ci facciamo uguali a Dio.
Luigi: Chiamando Dio nostro Padre,
annunciamo a noi che dobbiamo avere Dio come Padre.
Pinuccia: E questo vuol dire diventare
uguali a Dio?
Luigi: Siamo chiamati a diventare
una cosa sola con Dio, ma non potremo mai dire: “Io sono Dio”. Cioè bisogna sempre distinguere tra l’Essere e la
persona.
La persona nostra è
sempre una creatura. Eppure siamo chiamati a fare una cosa sola con Dio. E Gesù
lo dice: “Voi siete dei”.
Pinuccia: Quindi facendosi uguale a Dio
vuol dire fare una cosa sola con Dio?
Luigi: Non è facendosi uguale a Dio
che facciamo una cosa sola con Dio. I figli di Dio nascono da Dio, non da ciò
che vogliamo o facciamo.
L’Essere di Gesù è
determinato dal Padre.
L’essere nostro è
determinato dal nostro amore.
Noi amando facciamo una
cosa sola con ciò che amiamo.
Se io amo il denaro,
praticamente faccio una cosa sola con il denaro, cioè divento passione del
denaro.
Ognuno di noi diventa
passione di ciò che ama.
La passione di- mi fa
essere una cosa sola con-.
Per cui noi diventiamo
ad immagine e somiglianza delle nostre passioni: diventiamo passione di-.
Allora, amando una
cosa, diventiamo passione di quella cosa.
Noi ce ne accorgiamo
perché basta pensare una cosa che già siamo passione di essa.
Ora questa passionalità
ci informa: noi siamo informati dalle nostre passioni, a seconda di quello che
pensiamo. Per questo il Signore dice: “Pensa
Dio se vuoi diventare desiderio di Dio, cioè passione di Dio, allora crescerai
ad imitazione di Dio”.
Noi siamo destinati a
questo: ma in quanto siamo destinati a questo, corriamo il rischio di diventare
passione di altre cose, a seconda di quello in cui ci specchiamo. Per questo
Dio opera per distrarci da ogni altro pensiero e farci diventare tutto Pensiero
di Dio. Diventando puro Pensiero di Dio, diventiamo puro amore di Dio, pura
passione di Dio.
Ecco allora diventiamo
figli di Dio. Il Figlio di Dio si caratterizza in quanto è tutto Pensiero di
Dio. Essendo tutto Pensiero di Dio, è tutto amore di Dio e quindi è tutta opera
di Dio, è tutto Essere di Dio. Il nostro essere è determinato dal nostro amore,
dall’oggetto che teniamo presente.
Intervallo
Considerazioni sull’uomo nei
rapporti con le creature inferiori.
Luigi: L’importante è che le creature
secondarie non diventino il pensiero principale. Anche il problema stesso
del rispetto alla vita non deve diventare la preoccupazione che ad un certo
momento ci ossessioni, perché il nostro pensiero deve essere libero per le cose
più alte. Però il non porci nemmeno il problema può essere un’incoerenza,
perché ci vuole il rispetto della vita in tutto. S. Francesco non osava
strappare una foglia da un albero per rispettare la vita, perché è creazione di
Dio.
Eligio: Dobbiamo allora anche
rispettare il virus del cancro?
Luigi: Noi dobbiamo sempre partire
dal fatto che tutto è opera di Dio. Però strappare la foglia mi è lecito se
è giustificato da un atto d’amore; ma non mi è lecito senza nessun
motivo. Se ad esempio la zanzara ad un certo momento mi dà fastidio e mi impedisce
di pensare Dio, sono autorizzato magari ad uccidere la zanzara pur di riuscire
ad avere il pensiero libero. Così se il desiderio della caramella o delle
bignole ti crea un’ossessione, mangiale, piuttosto di stare sempre lì col
pensiero, ma non preoccuparti di quello. Cioè: “Tagliati il braccio se quello
ti dà fastidio”, cioè libera il pensiero.
Nino: Però ad un certo momento
possiamo considerare il fatto che Gesù ordina a Pietro di gettare le reti:
anche i pesci sono creature di Dio.
Luigi: Tutto deve essere in funzione
di-, deve avere una giustificazione. Non ti è lecito strappare una foglia senza
uno scopo, ma se hai uno scopo, puoi strappare una foglia. Così, puoi strappare
un fiore per un atto d’amore, non puoi strappare un fiore così per un atto di
superbia, per calpestare, ecc.. no, toglieresti la vita. Ma per un atto
d’amore, cioè per dare la vita, lo puoi fare.
Pinuccia: Così pure venivano immolati
molti animali in sacrificio offerto a Dio.
Luigi: Sì, appunto, sacrificare
qualcosa, ma per un atto d’amore, è giustificato. È sempre l’intenzione che
giustifica. Non è lecito distruggere qualcosa per capriccio, ad esempio, e
se lo si fa resta la colpa.
Eligio: Ma se uno distrugge i
lumaconi, non lo fa per capriccio.
Luigi: Certo, però uno può avere una
certa sensibilità per cui ritiene che la vita sia più importante dei suoi
interessi. Nello sviluppo della conoscenza di Dio, ad un certo momento
affiorano certi problemi che forse ieri non li supponevamo nemmeno.
Quindi non possiamo mai
escludere perché la sensibilità si affina e man mano che essa si affina, uno
diventa sempre più sensibile e non può più fare ciò che faceva prima.
Comunque il problema
generale è questo: “Cerca prima di tutto il Regno di Dio e tutto il resto
lascialo perdere”.
Nino: Ed è proprio tenendo presente
questo “Cerca prima di tutto…” che capisci che tu diventi preoccupato di
un’altra cosa, che se anche non ti ossessiona, in piccolo modo ti può
distogliere.
Luigi: Il Dr. Schweitzer ha scritto
un’opera: “Il rispetto della vita”, non solo della vita umana, ma di qualunque
vita. Non lasciava ammazzare una zanzara, perché in quanto vive, è opera di un
Altro e richiede rispetto. Forse le cose minime per noi hanno minima
importanza, ma se teniamo presente che nel minimo c’è tanto infinito come nel
grande, saremmo più attenti. Quindi il nostro criterio è sbagliato.
Teresa: Ma se Lui curava gli ammalati,
faceva pur morire i virus.
Luigi: Bisogna vedere come li curava:
potrebbe darsi che li curava senza far morire.
L’argomento era: “In verità in verità vi dico, il Figlio
nulla può fare da Sé se non lo vede fare dal Padre, ma quello che questi fa il
Figlio anche lo fa”.
Cina: A me è servita la lettura di
stamattina che dice: “Gli porrò sulla
spalla la chiave della Casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà, se egli
chiude nessuno potrà aprire. Lo conficcherò come un piolo in un luogo solido e
sarà un trono di gloria per la casa di suo padre”.
Ho visto Gesù nelle
mani di Dio e così tutti noi nelle mani di Dio.
Chiedo al Signore di
restare nelle sue mani, che mi aiuti a non allontanarmi, perché altrimenti non
faccio niente. Lui stesso dice: “Senza di
Me, non potete fare niente”. Allora perché la vita non sia inutile, per non
sprecarla, per non fallire, chiedo di restare nelle sue mani, nella sua luce
per ricevere la luce.
Luigi: Sì, è proprio per restare
nelle sue mani, cioè per essere figli del Padre di cui si parlava domenica
scorsa che qui Gesù dice queste cose che sono un approfondimento all’argomento
di domenica scorsa. Gesù precisa che il Figlio (restare nelle sue mani vuol
dire essere figlio) non può fare nulla da sé se non lo vede fare dal Padre.
Allora lui risponderebbe a te su questo argomento: “Colui che resta nelle mani
del Padre, non può fare nulla se non lo vede fare dal Padre”. Perché dice
questo? Perché dice a noi queste parole?
Cina: Perché non ci allontaniamo.
Luigi: Prima di tutto per farci
capire che noi che facciamo tutto senza vederlo fare dal Padre, non siamo
figli; per dire a noi che ci riteniamo di essere nelle mani dal Padre e poi
facciamo tutto lasciandoci guidare dalle nostre abitudini, dalle tradizioni,
dalle nostre regole di vita, dal pensiero degli altri, per dire a noi che non
siamo nelle mani del Padre. Ecco, è per farci toccare con mano, perché noi il
più delle volte, come i farisei, ci riteniamo giusti, ci riteniamo non
peccatori, ci riteniamo figli di Dio. E allora il Signore ci fa capire che non
siamo figli. Infatti è il primo insegnamento che Gesù dà a noi dicendo: “Il
Figlio non può fare nulla se non lo vede fare dal Padre”, è quello di farci
capire che invece noi facciamo tutto senza vederlo fare dal Padre; quindi non
siamo figli, perché il Figlio è quello. Nello stesso tempo però Lui non lo dice
per condannarci ma lo dice per proporci la meta di diventare figli di Dio,
perché tutte le parole di Dio ci propongono questa meta. Quindi dicendo a noi
qual è la caratteristica del Figlio (l’altra volta ci aveva detto che il Figlio
è Colui che è tutto Pensiero del Padre, per cui se noi abbiamo altri pensieri
non siamo figli), noi possiamo anche dire: “Io
penso il Padre”, ma Lui ci dice: “Guarda
che il Figlio non può fare nulla se non lo vede fare dal Padre”. E ci
riporta nella nostra povertà, ci riporta nella cecità non per lasciarci ciechi,
ma per renderci capaci di ottenere la luce. Non ha pensato ad unificare questo
pensiero con quell’altro del Prologo: “Tutte
le cose sono state fatte per mezzo di Lui”, per cercare di capire cosa vuol
dire questo “fare” del Figlio? Perché apparentemente quel “fare” è un imitare. Invece
qui il “fare” è qualcosa di diverso, perché associandolo con quello che si dice
nel Prologo, “Tutte le cose sono state fatte per mezzo del Figlio”, quel “fare”
assume un aspetto diverso. E questo va approfondito.
Teresa: Questa parola di Gesù è un invito
a confrontarmi ed è una misura che dovrebbe farmi rendere conto se sono o no
figlia di Dio.
Luigi: È quanto abbiamo già detto. È
giusto.
Teresa: Per rendermi conto se la vita
la ricevo solo da Lui o cerco di procurarmi vita da altri o da altro. Come il
Figlio si sta formando nel seno della madre, ricevendo tutto il necessario per
la sussistenza solo dalla madre.
Luigi: Certo, tutto.
Teresa: … e rimane unito alla madre,
vive nel respiro della madre, fa una cosa sola con la madre, pur non essendo la
madre, così deve essere di noi per diventare figli di Dio. Quando non potremo
più vivere da soli, la stessa vita del Padre sarà la nostra vita, il suo
Pensiero sarà anche il nostro pensiero, non avremo altro alimento che non sia
quello di Dio, non saremo trasportati da altri se non da Dio Padre. Quando
coscientemente riferiamo tutto a Lui, riportiamo tutto a Lui, ci lasciamo
formare a sua immagine, ci lasciamo introdurre nella luce, nella Verità, nella
sua stessa gloria.
Luigi: Giusto.
Nino: È molto bello il pensiero del
figlio e della madre.
Eligio: Però il Figlio non ha
coscienza di ricevere tutto dalla madre e di partecipare della vita della
madre. Per noi la situazione è diversa.
Luigi: Certo.
Nino: Ha una coscienza ritardata;
anche noi nelle cose di Dio abbiamo una coscienza ritardata.
Luigi: Anche noi ci svegliamo molto
tardi.
Nino: Noi ricuperiamo tutto il
passato nel momento in cui arriviamo alla conoscenza del Padre, ad essere tutto
pensiero del Padre.
Luigi: Adesso noi magari crediamo
di essere coscienti; ma la maggior parte della nostra vita è tutto un sogno,
diciamo così: un sogno nel seno della madre. Noi abbiamo la coscienza molto
a barlumi. Noi attualmente siamo nel grembo della madre, siamo in gestazione. Arriverà
certamente un giorno in cui usciremo alla luce. Sarà la vera nascita; lì
ricuperiamo tutto, non prima quando ancora siamo in gestazione.
Eligio: Però per raggiungere l’unione
con Dio ci vuole la coscienza.
Luigi: Richiesto a noi attualmente
è questo: percepire la madre, percepire Dio Padre come luce nostra, prendere
questa consapevolezza, questo ci conduce all’unione consapevole - con, cioè
stabilisce un cordone ombelicale fatto di pensiero; quindi abbiamo un
rapporto cosciente perché è motivato. Invece tutti i nostri rapporti con le
creature sono rapporti incoscienti (noi praticamente succhiamo il latte da
tante creature). Soltanto il rapporto con Dio è cosciente perché come dice S.
Giacomo: “Il Padre solo è sorgente della
luce”. Lui è il datore della luce, il dono perfetto. Tutti i nostri altri
rapporti con le creature sono rapporti non di luce, e come tali non illuminano
la nostra anima; non illuminando la nostra anima, ce la svuotano di
significato. Ora, tutto quello che noi facciamo non illuminato, ci lega in un
rapporto ripetitivo; cioè noi siamo costretti a ripetere tutto quello che non
abbiamo conosciuto e corriamo il rischio di doverlo ripetere all’infinito,
perché soltanto conoscendolo, lo superiamo. Ma tutto quello che noi facciamo
senza conoscere, siamo costretti a ripeterlo e la ripetizione rischia di
prolungarsi all’infinito e può diventare eterna.
Teresa: Che cosa per esempio?
Luigi: Tutto quello che noi
facciamo non illuminato da Dio, tutto. Se lei comincia a mangiare una certa
cosa soltanto perché le piace, comincia a girarle attorno.
Pinuccia: Nel senso che si diventa
schiavi di essa?
Luigi: Diventiamo figli delle nostre
opere, per cui tutto quello che noi facciamo non illuminato ci impegna in
una ripetizione. Tutto quello che invece facciamo illuminato da Dio, ci
mantiene liberi, non siamo costretti a ripeterlo. Se ciò che faccio è per
volontà di Dio, oggi lo faccio, domani non più; non resto schiavo della cosa,
perché se Dio domani non mi chiede di ripetere la stessa cosa, non la ripeto
più: la creatura in Dio è libera. Ma se invece la fa non giustificata da Dio, è
costretta a ripeterlo: non può farne a meno. È lì tutta la giustificazione dei
vizi, di tutto, anche delle abitudini più buone. Ecco perché la regola, la legge,
ad un certo momento ci può portare molto lontano da Dio, perché è fatta
soltanto così, come abitudine, diventa abitudine. E tutto quello che diventa
abitudine si pietrifica e ci pietrifica, cioè ci toglie l’anima, ci svuota la
vita di significato, di senso. Soltanto quello che noi facciamo illuminato
da Dio ci mantiene nella libertà.
Nino: Gesù è la parola di Dio
incarnata, il Pensiero di Dio fatto Parola incarnata per noi, per portare anche
noi a diventare figli del Padre.
Com’è che si diventa
figli del Padre? Conoscendolo, diventando tutto dipendenti da Lui, diventando
tutto pensiero del Padre. Gesù è tutto Pensiero del Padre. Gesù è tutto
Pensiero del Padre perché è un Essere generato dal Pensiero del Padre.
Luigi: Giustificato dal Padre.
Nino: Gesù è tutto pensato dal Padre
ed è, e qui abbiamo il Gesù di ritorno, il “pensante” del Padre, perché tutto
ciò che fa, tutto ciò che dice, è tutto nel Pensiero del Padre. Ci fa conoscere
il Padre attraverso quello che ci rivela direttamente del Padre, attraverso le
parabole, le beatitudini, il compimento della legge, attraverso tutto. Se lo
seguiamo arriviamo a conoscere il Padre, e arriviamo anche a formarci un abito
mentale, per cui ogni cosa che noi facciamo o pensiamo, la raffrontiamo con
quella che credevamo la nostra coscienza, ma che ad un certo punto si rivela il
Padre in noi.
Luigi: Certo.
Nino: Il momento in cui il Padre si
è rivelato in noi e noi abbiamo capito e accettato quella convinzione e
adeguiamo tutto il nostro modo di vivere su quello, praticamente arriviamo alla
filiazione adottiva del Padre.
Luigi: Sì, perché il Figlio è Colui
che riceve tutto dal Padre.
Nino: Gesù per svegliarci ad un
certo punto ci dice: “Io e il Padre siamo
una stessa cosa”. Ed è vero, anche se non sono esattamente la stessa cosa.
Luigi: Sono un Essere solo, anche
essendo persone diverse.
Nino: Sono diverse, perché Uno è
Pensiero fatto Parola, fatto carne e che ci parla sempre del Padre, e ci parla sempre
del Padre anche nel momento in cui si carica dei nostri peccati e anche del
momento in cui muore in croce. È sempre un parlare del Padre, perché è un farne
la volontà: è quello che il Padre ha voluto dall’eternità.
Rina: “Il Figlio non può fare niente se non lo vede fare dal Padre, ma quello
che il Padre fa, anche il Figlio lo fa”. Gesù dice queste parole perché noi
siamo chiamati a diventare figli di Dio.
Luigi: Quindi è motivo del suo
parlare.
Rina: E lo dice perché vuole
insegnarci come si vive da figli di Dio. Il Figlio è sempre dipendente dal
Padre, perché il Figlio è tutto Pensiero del Padre. Noi invece siamo slegati
dal Padre, siamo autonomi e ci comportiamo secondo altri criteri, non nel
Pensiero del Padre.
Luigi: Sei convinta che questa autonomia
non è una superiorità rispetto al Figlio?
E che, anzi, questa è una deficienza nostra?
Eligio: Sì, infatti anche io me lo
sono chiesto: noi siamo dunque più liberi del Cristo che in tutto dipende dal
Padre? Siamo più ricchi di Lui che ha un solo amore, il Padre, mentre noi
abbiamo tanti amori? No, perché la molteplicità di amori non è ricchezza, ma
povertà e la nostra apparente libertà è, in realtà, schiavitù. Noi allora siamo
poveri e schiavi perché non siamo capaci di vivere secondo il Padre e non viviamo
secondo il Padre perché non lo conosciamo.
Luigi: Per cui Gesù parla per
sollecitarci. Ponendoci in questa situazione, cioè facendoci capire che noi non
siamo come il Figlio di Dio, perché non operiamo secondo Dio, ci mette in
evidenza il bisogno che abbiamo di conoscere il Padre. Hai mica messo in
rapporto quello che si dice nel Prologo: “Tutto
è stato fatto per mezzo di Lui” con questo: “Nulla può fare se non lo vede fare dal Padre, quello che questi fa
pure il Figlio lo fa”?
Rina: No, ho concluso che se noi
viviamo secondo il Padre, la nostra vita si riempie, se invece operiamo secondo
il pensiero di noi stessi, ci svuotiamo.
Eligio: Il Figlio, il Cristo, è il
Pensiero del Padre ed opera esclusivamente nel Pensiero del Padre. Tra Lui e il
Padre c’è identità di Essere, non di Persone. Invece tra noi e il Padre non c’è
nemmeno l’identità di essere.
Luigi: Non c’è identità di essere tra
noi e il Padre, perché noi abbiamo esseri diversi, siamo figli di esseri
diversi. Noi sostanzialmente siamo figli di ben altri. Il Figlio di Dio ha
l’identità di essere con il Padre, per noi no, pur essendo chiamati a
diventarlo.
Eligio: Essendo creati a sua immagine
e somiglianza siamo chiamati a diventare suoi figli adottivi, alla condizione
però di avere lo stesso Spirito del Figlio naturale. Ecco quindi la necessità
di metterci alla scuola di Cristo.
Luigi: Avendo scoperto la vocazione,
si scopre questa necessità.
Eligio: Cristo ci raccoglierà a poco per
volta, facendoci a superare gli amori sbagliati, portandoci a cogliere lo
spirito delle cose. La grande scoperta è questa: Cristo dà a noi la possibilità
di cogliere lo spirito delle cose.
Luigi: Sì, perché è lo stesso
spirito.
Eligio: Lo spirito di tutte le cose è
Uno. Nell’io vediamo la molteplicità delle cose.
Luigi: In Dio no.
Eligio: Perché lo Spirito
sostanzialmente è Uno.
Luigi: Quindi il Verbo è unico in
tutta la creazione.
Eligio: Questo Spirito che è
sostanzialmente Uno, è quello di condurci alla conoscenza del Padre, conoscenza
che è poi partecipazione al suo Essere: questa conoscenza la possiamo
realizzare solo uniti al Cristo. Essa ci illuminerà sul significato delle cose,
cioè degli annunci che ci giungono, facendocene capire il fine. Cristo ci
illumina facendoci capire che il Padre è Iniziatore e Operatore di tutto e che
l’intenzione, il Pensiero di ogni sua opera, quindi il Figlio, è sempre Lui
stesso.
Luigi: Certo.
Eligio: Ecco perché si può diventare
figli solo facendo quello che fa il Padre, non facendo nulla se non di conosce
l’intenzione del Padre, solo se lo si vede fare dal Padre, in quanto Lui
manifesta la sua intenzione facendo.
Luigi: Certo, perché ci ama. “Il Padre vi ama, dice Gesù, quindi
manifesta tutto quello che fa”.
Eligio: Se il Padre tutto fa per
condurci alla situazione di figli, questa è sostanzialmente la sua intenzione,
il suo Pensiero, risulta chiaro che tutto è stato fatto e tutto è fatto per
mezzo del Verbo (ed è qui che vedo il collegamento con il Prologo); per cui
tutto ciò che facciamo autonomamente diventa niente. Quindi cogliendo il senso
della molteplicità in cui mi trovo, unito al Cristo e in dialogo con Lui, mi è
possibile capire come tutto è stato fatto per mezzo del Verbo.
Luigi: A questo punto puoi dire in
che cosa consista questo “fare” del Verbo? Cioè tutte le cose “sono fatte” per
mezzo del Verbo, quindi questo “fare” di cui parla qui Gesù dicendo: “…quello
che questi fa, il Figlio anche lo fa”, in che cosa consiste? Ho detto non si
tratta di imitazione, non è un fare esterno. E allora cosa vuol dire questo
“fare” del Figlio a cui accenna Gesù? Tenendo presente sempre che “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e
tutto è stato fatto per mezzo di Lui”. Quindi in che cosa consiste questo
“fare” a cui accenna Gesù, che non è un fatto esterno, perché se fosse un fatto
esterno sarebbe imitazione.
Nino: Operare per far conoscere Dio…
Luigi: E no! Perché questo è già un
fare esterno, perché è un’incarnazione. Ma in che cosa consiste il fare del
Verbo di Dio, cioè del Figlio di Dio in Sé e per Sé perché dice: “Tutto è fatto e tutto avviene per mezzo di
Lui”?
Eligio: Direi che consiste nel dare
un’anima alle cose che ci richiama all’intenzione per la quale Dio ci ha
creati.
Luigi: Ma qui dice: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui”.
Proviamo a fare questo,
cioè introduciamo, come un inciso questa frase in quest’altra che stiamo
meditando ora.
Cioè “Quello che il Padre fa, il Figlio pure lo
fa”.
Mettiamoci in mezzo: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui”.
Adesso leggiamo:
“Quello che il Padre fa, (tutto è fatto per mezzo di Lui, il Figlio), il Figlio
pure lo fa”.
Eligio: Resta difficile perché
introduciamo due soggetti in un’azione sola.
Luigi: Cioè, quello che il Padre fa.
Eligio: Il Padre lo fa con una certa
intenzione, con un certo Spirito, e questo Spirito è il Figlio.
Luigi: E già! E allora il Figlio cosa
fa? Perché dice che anche il Figlio lo fa? È logico che anche il Figlio lo fa?
È logico che anche il Figlio lo fa (es. se scrivo per mezzo di una penna, la
penna fa ciò che faccio io). Anche il Figlio lo fa, non nel senso che lo
ripeta, ma prende coscienza.
Il Figlio è Colui che
riconosce: lo riconosce come fatto dal Padre. E quindi il fare del Figlio è
riconoscere come fatto dal Padre, per cui “Tutto
è fatto per mezzo di Lui”.
Pinuccia: Direi: “Tutto è compiuto per mezzo di Lui”, perché il Figlio porta a
compimento l’opera del Padre e la porta a compimento proprio riconoscendo che
tutto viene dal Padre.
Luigi: Certo, però anche già
nell’opera del Padre c’è tutta l’opera del Figlio in quanto il Padre opera
perché il Figlio riconosca che tutto è opera del Padre. Per cui il Figlio non
solo riconosce, ma riconoscendo vuole ciò che il Padre fa.
Eligio: Direi che il Figlio è la
rivelazione del Padre nelle cose.
Luigi: La rivelazione è esterna;
adesso vediamo invece il rapporto tra Padre e Figlio.
Nino: Non puoi dirlo con parole
diverse? Perché è difficile a capirsi.
Luigi: A me sembrava abbastanza
chiaro quell’introdurre…
Nino: Ripetilo così come l’hai
detto!
Luigi: Quello che questi fa, cioè che
il Padre fa, il Figlio pure lo fa. Ora mettiamoci in mezzo la frase del
Prologo: “Quello che il Padre fa, tutto è fatto per mezzo di Lui…”
Pinuccia: Cioè il Padre fa tutto nel suo
Pensiero…
Luigi: Fa tutto per mezzo del Figlio:
il Figlio anche lo fa, è logico!
Pinuccia: Il fare del Figlio è un fare
diverso da quello del Padre?
Luigi: Il fare del Figlio è
riconoscere che è tutto fare del Padre. Quindi cosa fa? Lui non fa altro che
confermare che tutto è opera del Padre.
Pinuccia: Ed è Figlio proprio perché
riconosce che tutto è opera del Padre.
Luigi: Lo riconosce, quindi non
aggiunge niente di suo, ma riconosce che tutto è opera del Padre. Tutto è
fatto: quello che il Padre fa, tutto è fatto per mezzo del Figlio, quindi anche
il Figlio lo fa. Il Figlio è quello che dice: “Tutto è opera tua, Signore”.
Eligio: Il Figlio è il Pensiero del
Padre.
Luigi: Essendo Pensiero del Padre
è riconoscimento che tutto è del Padre. Egli riceve tutto dal Padre,
quindi anche il suo Pensiero: il suo Pensiero è Pensiero del Padre, è pensiero
cosciente: è Persona.
Pinuccia: Non risulterebbe più chiaro se
mettessimo come inciso: “Il Padre fa
tutto per mezzo del Figlio”?
Luigi: Non sarebbe completo, perché è
vero che il Padre fa tutto per mezzo del Figlio, ma l’espressione “Tutto è fatto per mezzo di Lui”,
accentua il “tutto”. Quel “tutto” non esclude nulla. Inoltre l’inciso: “Tutto è stato fatto per mezzo del Figlio”,
si riferisce a “quello” (“Quello che il Padre fa”).
Approfondendo dobbiamo
dire che il Padre non fa altro che il Figlio, e il Figlio non fa altro che
riconoscere che tutto è opera del Padre.
Il Padre pensando a Sé
stesso, genera il Figlio e tutto ciò che fa per noi, lo fa per mezzo del Figlio,
nel Figlio e per il Figlio, perché tutto ciò che accade, accade per mezzo del
Figlio, per farci figli, quindi in vista del Figlio, anche se il nostro fine e
quello del Figlio è il Padre.
L’operare del Figlio è
riconoscere che tutto, in Sé e fuori di Sé, è opera del Padre, quindi anche il
suo Pensiero.
Il suo Pensiero è il
Pensiero del Padre, perché il Pensiero del Padre è un Pensiero cosciente,
Persona.
Se io adopero una biro
per scrivere, la biro non è cosciente.
Infatti se il Padre fa
tutto per mezzo del suo Pensiero, questo suo Pensiero è cosciente: non solo
riconosce che tutto è opera del Padre, ma vuole ciò che vuole il Padre, perché
è la volontà del Padre.
Il Figlio è cosciente
di essere Pensiero del Padre.
Quindi: quello che il
Padre fa, il Figlio pure lo fa. Il Padre genera, il Figlio è generato.
Ma la sua è una
generazione attiva, non passiva.
Egli nasce
consapevolmente dal Padre.
Non dobbiamo applicare
a Dio le nostre categorie mentali.
In Dio tutto è Persona,
quindi il suo Pensiero è Persona.
Se Gesù ci dice:
“Quello che il Padre fa, il Figlio pure lo fa”, ce lo dice affinché noi ci
rendiamo conto che più noi riconosciamo che tutto è opera del Padre, più
diventiamo figli.
E allora come
riconosciamo che è tutta opera del Padre? Dicendo: “Tutto è opera del Padre”.
“Tutto è opera tua, Signore!” La nostra difficoltà sta in questo: che noi non
possiamo dire che tutto è opera di Dio. Se noi potessimo dire che tutto è
opera del Padre, tutto, anche quello che è in noi, il nostro pensiero, soprattutto
il nostro pensiero, noi saremmo una cosa sola con il Figlio.
A questo punto quello
che fa il Padre, è logico, il Figlio necessariamente lo fa, perché il Figlio è
quello che dice: “Tutto è opera del Padre”.
Eligio: A me riesce più facile intuire
l’intimità tra il Padre e il Figlio quando sento dire che il Figlio è il
Pensiero del Padre, è l’intenzione del Padre.
Luigi: Ma è un pensiero che è
Persona. Per noi il pensiero è una cosa; in Dio invece è un Essere personale,
perché in Dio tutto è Persona. Quindi il Pensiero del Padre è Persona. Ma
questo lo dice a noi affinché noi vediamo la via per diventare anche noi figli
del Padre… noi diventiamo figli del Padre nella misura in cui riconosciamo
che tutto è opera di Dio. Più riconosciamo che tutto è opera di Dio e più
cresce in noi la dimensione “figliolanza di Dio”. Tutto è stato e tutto è opera
del Padre, quindi anche noi siamo opera del Padre. Allora a questo punto, nel
pensiero del nostro io, tutto è avvenuto per mezzo del Figlio, del Figlio
che riconosce che tutto è opera del Padre. Questa infatti è la
caratteristica del Figlio.
Nino: Ma tu arrivi ad accogliere
questo pensiero in mente, il momento in cui hai conosciuto qual è il Padre,
qual è il Pensiero del Padre e qual è la sua volontà.
Luigi: Certo, è logico. Più conosci
il Padre e più arrivi a capire il Figlio.
Nino: Gesù ti fa conoscere il Padre
e tu, conoscendo il Padre, riconosci in tutte le opere il Padre, e in te stesso
il Padre.
Luigi: Certo, e questo in
noi è opera del Figlio, perché è il Figlio che insegna a noi questo.
Infatti, perché noi ora trattiamo questo argomento? Perché il Figlio ha parlato
a noi queste parole. Egli dicendo la frase di stasera, prima di tutto dice a
noi: “Voi non siete figli di Dio, perché il Figlio è questo: “Il Figlio non può
fare nulla se non lo vede fare dal Padre”, invece voi fate tutto senza vederlo
fare dal Padre, quindi non siete figli di Dio”. Però non lo dice per la nostra
disperazione, lo dice per insegnare a noi come si diventa figli di Dio:
“Guarda, tu credi di essere l’erede? No, tu non sei l’erede, perché l’erede è
questo. Però dicendoci qual è l’erede, incita anche noi e insegna a noi la via
per diventare eredi. Il Figlio non parla per giudicarci, però è necessario
che ci faccia toccare con mano ciò che non siamo affinché diventiamo ciò che
ancora non siamo. A noi che ci illudiamo e ci crediamo di essere figli di
Dio dice: “No, guarda che il Figlio di Dio è così: misurati! Il Figlio di Dio è
tutto Pensiero di Dio”. E ci precisa adesso: “Il Figlio di Dio non può fare
nulla se non lo vede fare dal Padre”. Qui ci misuriamo con facilità perché noi
facciamo tutto senza vederlo fare dal Padre. Ecco, ci dice una parola con la
quale ci possiamo misurare; perché effettivamente la nostra giornata è un
operare continuo per ben altri motivi. Io opero in quanto vedo fare gli altri,
le creature: vedo che la creatura fa così e allora io rispondo così, quindi io
vivo in funzione di creature. Allora non sei figlio di Dio. Ma questo io te
lo dico non per condannarti, ma per proporti la figliolanza di Dio, affinché tu
esca dalla tua ingenuità, dalla tua credulità, dalla tua giustizia. Esca
e ti metta in cammino verso la conoscenza del Padre, perché soltanto conoscendo
il Padre potrai dire e potrai riconoscere che tutto è opera del Padre.
Riconoscendo che tutto è opera del Padre, ecco che ti avvicini alla figliolanza
di Dio. E allora lì riconoscerai che tutto il Padre ha fatto per mezzo di suo
Figlio.
Eligio: Cioè di questo Spirito che in
ogni cosa noi dobbiamo riconoscere?
Luigi: Sì, ma siccome è il Padre che
genera il Figlio, noi possiamo conoscere il Figlio, quindi l’opera del Padre,
soltanto attraverso il Padre.
Eligio: Cioè solo se uniti al Figlio
naturale, cioè al Cristo.
Luigi: Sì, certo. Il Figlio
naturale ci conduce a conoscere il Padre, affinché nel Padre noi possiamo
conoscere il Figlio naturale di Dio. Perché “Nessuno conosce il Figlio se
non il Padre”. È il Padre che rivela il Figlio. Il Figlio ci conduce al Padre,
ma è il Padre che rivela, che fa conoscere a noi il Figlio e chi è il Figlio. E
scoprendo chi è il Figlio, allora capiamo cos’è questo Essere personale che è
Pensiero del Padre.
Nino: Direi che proprio per
diventare noi figli, dobbiamo scoprire chi è il Figlio.
Luigi: Certo, scoprendo chi è il
Figlio allora scopriamo attraverso il Padre, di fare una cosa sola con il
Figlio, perché il giorno in cui anche noi possiamo glorificare Dio dicendo: “Tutto è opera tua, tutto, anche il pensiero
che è in me, tutto è opera tua”, in quel punto lì noi scopriamo di fare una
cosa sola con il Figlio.
Nino: Mi sembra anche che a quel
punto si debba fare una cosa sola con tutto, perché tutte le cose portano
qualcosa dello Spirito, dato che nulla è casuale.
Luigi: Certo, ma quando facciamo una
cosa sola col Figlio, allora nel Figlio ricuperiamo l’armonia di tutta la
creazione, perché tutta la creazione si sintetizza nel Verbo di Dio, la Parola
di Dio. Per questo dico che è lì che noi scopriamo che tutto è stato fatto per
mezzo del Figlio. Allora lì possiamo dire (ecco perché attualmente troviamo
difficile dirlo): “Tutto, Signore, è
stato fatto per mezzo del tuo Verbo”. È lì che noi scopriremo il grande
amore che Dio ha avuto e ha per noi. Scoprendo di fare una cosa sola con il
Figlio, nel Figlio, scopriamo che tutto è stato fatto per mezzo di Lui, quindi
scopriamo il grande amore che Dio ha avuto per noi. Non c’è stato niente di
nostro: ma tutto è stato opera del Figlio.
Pinuccia: Il Figlio non può far nulla se
non lo vede fare dal Padre perché è generato dal Padre da sempre e tutto il Suo
essere e in tutte le sue manifestazioni del Suo essere. Noi invece possiamo
fare tante cose senza vederle fare dal Padre, perché non siamo generati dal
Padre, ma da altro. Ma siamo chiamati a diventare anche noi generati in tutto
dal Padre e quindi a non fare nulla se non lo vediamo fare dal Padre. Questa
generazione è una conseguenza della conoscenza della Presenza del Padre in
tutto. Ma “Nessuno conosce il Padre se
non il Figlio”. Il Figlio conosce il Padre ed è tutto Pensiero del Padre:
solo in Lui, allora, nel Pensiero del Padre, noi possiamo giungere alla
conoscenza del Padre. Conoscendo il Padre allora non vogliamo più altri padri,
altri moventi; non vogliamo più fare nulla se non lo vediamo fare dal Padre,
perché vogliamo stare nel Pensiero del Padre. Per questo deve avere molta
importanza per noi la conoscenza di Dio. Finché facciamo le cose, pensiamo
o parliamo, senza vederlo fare dal Padre, è perché conosciamo ancora poco o
niente Dio e non abbiamo ancora scoperto la sua Presenza in tutto.
L’impegno nostro allora deve essere quello di stare nel Pensiero di Dio e per
poter stare in questo pensiero, dobbiamo impegnarci ad approfondire le parole
di Gesù, perché solo esse ci portano alla conoscenza del Padre.
Luigi: Quindi ci fanno stare.
Pinuccia: “Quello che questi fa, anche
il Figlio lo fa”. Questo “fare” del Figlio mi sembra sia un “fare” diverso da
quello del Padre. Cioè fanno la stessa cosa, ma in modo diverso. Cioè: il Padre
genera il Figlio e opera tutte le cose; il Figlio riconosce di essere generato
dal Padre e che è il Padre che opera ogni cosa, riportando Sé stesso e tutte le
cose al Padre. In questo senso diciamo che il Figlio porta a compimento l’opera
del Padre. Mi sembra che siamo due operare, due “fare” diversi, pur facendo la
stessa cosa, proprio approfondendo la frase: “Tutto è stato fatto per mezzo di
Lui”.
Luigi: Lei dice che “fanno la stessa
cosa”. La stessa cosa nel senso che il Padre opera, il Figlio riconosce che il
Padre opera, quindi fanno la stessa cosa in questo senso.
Pinuccia: Ma la fanno in modo diverso:
perché quello del Figlio è un riconoscere, invece quello del Padre è una
generazione.
Luigi: Quindi l’opera è una sola: è
del Padre. Il Figlio riconoscendo che l’opera è del Padre, riconosce che
l’opera è una sola. Quindi la cosa sola che fa, che è fatta, è l’opera del
Padre, cioè realmente è l’opera del Padre.
Pinuccia: In quest’opera del Padre
possiamo comprendere la generazione del Verbo e tutta la creazione?
Luigi: La generazione del Suo Pensiero; e il Suo Pensiero è
questo: tutto è opera del Padre. Il Figlio di Dio è generato in noi quando noi
possiamo dire: “Tutto è opera tua,
Signore”. Noi dicendo: “Tutto è opera
tua, Signore”, diventiamo pensiero che Dio è Colui che opera in tutto. E
questo è il Figlio che contempla il Padre. Il Padre è il motivo che ci fa
vivere, che ci fa agire. Qual è il motivo che ti fa agire oggi? Ecco, quello è
il padre tuo oggi. È il denaro? È la figura? Quello è il padre tuo oggi.
Soltanto quando noi abbiamo Dio per motivo del nostro vivere, del nostro agire,
del nostro parlare, del nostro pensare, allora noi abbiamo il Padre che genera
in noi Suo Figlio e noi diventiamo figli. Ma noi diventiamo figli nella misura
in cui abbiamo Dio come motivo della nostra esistenza, del nostro vivere. La
nostra esistenza, il nostro vivere è costituito dal pensiero, dalla parola e
dalla nostra azione. Soltanto quando motivo del nostro pensare è Dio, motivo
del nostro parlare è Dio, motivo del nostro agire è Dio, allora abbiamo come
motivo di vita il Padre, Dio. Ma fintanto che noi abbiamo altri motivi, siamo
figli di altri e questi ci disperdono, perché gli altri motivi non ci
illuminano. Il Padre ci illumina, perché la luce viene solo dal Padre. Con Lui
abbiamo in noi stessi la ragione, il motivo del nostro volere. Il Padre è in
noi come motivo di vita, ma se noi non l’abbiamo come motivo di vita, non è che
noi lo scacciamo, Lui resta, però la sua permanenza in noi, non essendo motivo della
nostra vita, diventa per noi motivo di notte, motivo di tenebre, perché noi
abbiamo altri motivi. Gli altri motivi però non entrano in noi, in noi c’è Dio
e non entra altro. Dove c’è Dio non può entrare altro, nemmeno il nostro io.
Tutte le volte allora che noi siamo motivati dall’io, il nostro motivo che non
entra in Dio perché il posto è occupato da Dio, diventa per noi notte. Mentre
invece se siamo motivati da Dio, siccome Dio è in noi, ci illumina,diventa
luce. Allora abbiamo in noi stessi la ragione del nostro agire, la ragione del
nostro pensare, la ragione del nostro parlare. Avendo in noi stessi la ragione
del pensare, del parlare, del vivere, abbiamo in noi il criterio di quello che
facciamo. E questo diventa una forza enorme! Per cui avessimo tutte le creature
che dicessero: “No!”, avendo in noi la ragione per cui diciamo: “Sì!”, non c’è
nulla che ci possa turbare. Allora non siamo più schiavi di nessuno. Qui
abbiamo la Verità che ci libera. Ma la Verità ci libera nella misura in cui
facciamo, cioè diventa motivante per noi.
Nella misura in cui la
Verità di Dio ci motiva nel nostro vivere, diventa liberatrice nostra. Quante
volte noi stessi, anche semplicemente per intuizione capiamo che se
conoscessimo la Verità, saremmo liberati da tutto e avremmo in noi una forza
enorme. Tutta la nostra debolezza sta nel fatto che non abbiamo in noi la
ragione, la Verità di quello che facciamo, di quello che pensiamo, di quello
che diciamo e di quello che agiamo. Questo ci indebolisce e ci mette nel
dubbio. E allora lì noi restiamo in balìa di tutto.
Pinuccia: Perché non si sa quello che si
vuole.
Luigi: E perché non sappiamo quello
che vogliamo? Non sappiamo perché la luce è una sola. La luce unica che
illumina l’uomo è la luce di Dio. Soltanto quando l’uomo vuole Dio ha la luce e
allora sa quello che vuole, ma fintanto che vuole altro da Dio, non sa quello
che vuole. Vivendo per altro da Dio scaviamo la notte e svuotiamo la vita di
significato, per cui ad un certo momento non sappiamo perché viviamo, non abbiamo
più nessun senso nella vita. Tutto questo accade perché noi abbiamo seminato
dei motivi di cui non sappiamo il valore, cioè non sappiamo in che cosa
consista la realtà di quel motivo che noi vogliamo, cioè ci siamo mossi per
sentimento, per impressione. Ecco, io cerco il denaro perché con il denaro
posso fare tante cose, ma cos’è il denaro? Non so, ecco, così la creatura, così
qualunque cosa. Solo se motivati da Dio siamo illuminati.
Eligio: Il Figlio è Colui che
riferisce tutto al Padre, però tra il fatto e il Figlio c’è un rapporto
esterno? O il fatto non porta una sua verità intrinseca?
Luigi: Il fatto è tutto interiore,
tutto intimo. Cioè l’opera del Padre è tutta intima nel Figlio.
Eligio: Ma ogni fatto non ha una sua
verità?
Luigi: La Verità di Dio, perché ogni
cosa è significazione di Dio. Dio significa Sé, non fa altro che ripetere Se
stesso in una certa scala, perché Lui è l’Essere e non può far altro che
manifestare Se stesso in tutto ciò che fa.
Eligio: Quindi in un certo qual senso
c’è in tutto qualcosa di Dio, l’intenzione di Dio?
Luigi: Sì, certo, l’intenzione di
Dio.
Eligio: C’è allora qualcosa del Figlio
in tutto, in ogni avvenimento?
Luigi: Si capisce, perché tutto è
fatto per mezzo di Lui.
Eligio: E allora che rapporto c’è tra
il Figlio che riferisce il fatto a Dio e quanto del Figlio è implicito nel
fatto?
Luigi: Il rapporto è relativo a noi,
alla creatura, perché tra il Figlio e il Padre c’è un rapporto intimo, non c’è
niente in mezzo; e anche tra noi, tra la nostra anima e Dio se ci mettiamo in
rapporto con Dio, non c’è nessuna creatura intermezza, ma c’è un rapporto
diretto, tutto il resto è in relazione alla nostra situazione mentale, alla
nostra situazione di anima; è un rapporto quindi esterno, relativo a noi, per cui
Dio significa Sé stesso tenendo presente la nostra situazione di deficit,
deficitaria. Per cui io sono solo capace
di intendere l’acqua che scorre nel torrente? Dio significa qualcosa di Sé a
me, che sono solo capace di intendere il linguaggio dell’acqua nel torrente,
nell’acqua del torrente. Però il significato io lo coglierò soltanto con Dio,
per cui se io non riferisco a Dio, cioè non faccio rapporto con: Dio – Dio,
l’acqua e me -, se non faccio questo triangolo, con Dio, fraintendo il
linguaggio dell’acqua del torrente, cioè mi fermo al sentimento (rapporto
orizzontale tra l’acqua e me, per cui il significato mi sfugge. Nel pensiero
del mio io vedo l’acqua del torrente, ma mi sfugge il significato. Se ho
presente Dio, il significato non mi sfugge, mi viene come problema, mi sarà
magari difficile arrivarci, però lo sento come problema e quindi mi mette in
movimento. Il fatto che io non capisca ancora il significato, ma sia messo in
movimento per cogliere il significato è vita di Dio.
Eligio: Quindi mi dice qualcosa di Dio
e nello stesso tempo mi realizzo come Figlio di Dio in quanto lo riferisco a
Dio.
Luigi: Certo, in quanto lo riferisco
a Dio.
Pinuccia: Allora “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui”, tutto è stato
fatto nel Pensiero del Padre, quindi il Padre non poteva e non può far nulla
senza il suo Pensiero, senza il Verbo e il Verbo non può far nulla senza
vederlo fare dal Padre, perché è tutto Pensiero del Padre.
Luigi: È appunto per questo che
formano un solo Essere, pur essendo due Persone distinte. Rivelandoci questo
Gesù ci fa capire che anche noi siamo invitati a diventare una cosa sola con il
Padre e con il Figlio e questo per mezzo del Figlio, diventando anche noi tutto
Pensiero del Padre.
Pinuccia: È giusto o no dire che il
Padre non può far nulla senza il Verbo?
Luigi: È giusto, poiché: “Tutto è
fatto per mezzo di Lui”.
Pinuccia: È sbagliato dire che sono due
“fare” diversi?
Luigi: Sono due “fare” diversi, ma
l’opera è unica. Sono un fare diverso nel senso che il Figlio riconosce quello
che fa il Padre, per cui il Padre fa e il Figlio riconosce. L’opera è unica,
perché il Figlio l’attribuisce tutta al Padre. Attribuendola al Padre, scopre
Se stesso come opera del Padre, perché attribuisce tutto al Padre. Se noi
potessimo attribuire tutto al Padre, riconosceremmo anche noi come opera del
Padre, e il pensiero che è in noi sarebbe il Pensiero di Dio, cioè il Figlio di
Dio. Se noi potessimo attribuire tutto di noi al Padre, se noi potessimo
dimenticare tutto di noi, del nostro io e attribuirlo tutto al Padre, come
effettivamente è, il pensiero stesso che è in noi di Dio è il Figlio di Dio, e
la sua realtà risulterebbe palese; perché per noi attualmente il pensiero è
una cosa astratta; riferito a Dio, quello diventa realtà, il resto diventa
tutto segno; ma quella realtà che diventa realtà massiccia come lo è per noi la
realtà materiale, è il Verbo di Dio, è il Pensiero di Dio.
Pinuccia: Quindi l’opera del Padre è la
generazione del Verbo?
Luigi: L’opera del Padre è generare
il Verbo.
Pinuccia: E l’opera del Figlio è
riconoscersi come generato.
Luigi: Come generato dal Padre.
Pinuccia: Allora è questa
differenziazione nel “fare” che distingue le persone, no?
Luigi: Si capisce. Siccome il Figlio
di un Essere consapevole, cosciente, riconosce Sé come Figlio del Padre. In Dio
tutto è cosciente perché è l’Essere; allora quando si dice: “Dio è l’Essere”,
si dice; “È Se stesso”; ed essendo Se stesso è cosciente di Sé, quindi genera
lo stesso pensiero di Sé. Ora il Figlio stesso genera il Pensiero di Sé (è
cosciente di Sé) come Pensiero del Padre (è cosciente di essere Pensiero del
Padre), non in modo autonomo. Noi invece generiamo il pensiero del nostro io
autonomamente. Non è una ricchezza, ma una miseria la nostra. Invece quella è
la vera ricchezza.
Pinuccia: Quindi anche il Figlio genera
il Pensiero di Sé.
Luigi: Genera il Pensiero di Sé dal
Padre, come opera del Padre.
Pinuccia: È solo per noi o è anche per
il Figlio che la generazione è una conseguenza della conoscenza del Padre?
Luigi: Anche nel Figlio la
generazione è una conseguenza della conoscenza, perché Lui è il Pensiero del
Padre, quindi conosce il Padre. Conoscendo il Padre ha coscienza di essere
Figlio del Padre, cioè si genera come Figlio del Padre (si genera vuol dire
avere coscienza). Per questo solo nel Padre conosciamo il Figlio: solo
conoscendo il Padre, il Padre genera suo Figlio in noi. Quindi l’opera del
Padre è la generazione del Verbo; la creazione la fa in vista di generare il
suo Figlio in noi. L’opera del Figlio è quella di riconoscere l’opera del
Padre, di riportare tutto al Padre. Per questo: “Tutto quanto il Padre fa, tutto è fatto per mezzo del Figlio, quindi
il Figlio pure lo fa”. S. Agostino diceva che la nostra mente non può
capire il mistero della SS. Trinità, ma con Dio, per volontà di Dio, ci è
possibile penetrare in esso. È Lui che lo vuole perché ce lo rivela; se non ce
ne desse la possibilità non ce lo rivelerebbe. I dogmi sono delle proposte.
Sono una promessa. In quanto promessa sono un invito e quindi suscitano una
speranza (tutto viene da Dio, anche la speranza, non solo la luce).
Cina: “Io sono l’Alfa e l’Omega”, vuol dire: “Io sono l’Essere”?
Luigi: Vuol dire Principio e
l’Ultimo, cioè quello che tu devi mettere come prima cosa e come ultimo, cioè
come meta alla quale devi tendere. Per cui tu devi partire da Dio e arrivare a
Dio.
Nino: Mi dà l’idea che il Figlio sia
succube del Padre.
Luigi: No! Si è succubi quando noi
dobbiamo ubbidire ad un rapporto esterno. Ad esempio se io ho un’autorità che dall’esterno
mi obbliga a fare qualche cosa, io sono succube; ma se io ho in me stesso la
ragione di quello che voglio, non sono più succube, sono io che voglio. Ora
siccome Dio non vuole creare degli schiavi, ma vuole creare delle persone
libere, allora cosa fa? Lui viene ed abita in noi stessi; Lui ha soffiato il
Suo Spirito in noi. Succede anche questo però, che fintanto che noi non
conosciamo Dio in noi, non abbiamo quindi in noi il motivo del nostro vivere;
Dio è silenzioso, perché non vuole renderci succubi, perché se Lui parlasse
esteriormente ci creerebbe un inferno. Allora noi abbiamo tanti al di fuori di
noi che impongono su di noi la loro autorità: ci obbligano a fare questo.
Questo è un’imposizione esterna e crea rapporto di schiavitù, quindi fa succubi
in quanto noi non abbiamo in noi stessi la ragione di quello che vogliamo; la
ragione l’ha l’altro, è l’altro che m’impone questo ed io debbo farlo. Ad
esempio la società mi impone di andare ai 200 km. all’ora e se io non corro ai
200 km. all’ora, la società mi squalifica, allora io corro. Ma la ragione qual
è? È fuori, nella società, non dentro di me. Magari io vorrei starmene seduto
ai margini dell’autostrada su una zona d’erba a sognare, ma non posso. Ecco
allora: la mia volontà interna sarebbe quella di starmene seduto, ma la società
mi obbliga a correre ai 200 km orari, quindi ho la ragione di me fuori: io sono
succube della società. Soltanto avendo in noi stessi la ragione, il motivo
dell’autorità alla quale ubbidiamo, noi siamo veramente liberi, perché siamo
noi che vogliamo questo, abbiamo in noi la ragione di quello che vogliamo.
Teresa: Se facciamo nostro il pensiero
di Dio.
Luigi: Ecco, ma avendolo in noi.
Allora noi vogliamo questo? Avessimo anche tutti fuori che ci dicono: “Tu ti devi comportare in modo diverso”,
noi non possiamo perché il nostro Signore ci dice di fare questo. Cioè, uno,
con Dio, ha in sé stesso la ragione di quello che vuole e non vuole in modo
diverso, perché quello che abbiamo fuori
è sempre meno della Verità che splende dentro di noi.
Cina: Dà molta gioia questa lezione,
questa lezione del motivo.
Luigi: Del motivo in noi.
Cina: Siamo operanti, non operati.
Luigi: Sì, operanti nel senso che
abbiamo in noi stessi il motivo di quello che vogliamo. Ora, Dio è venuto ad abitare
in noi proprio per evitare il rapporto di schiavitù. Lui poteva benissimo
comandarci dal di fuori: è il Creatore, il Signore, e può quindi obbligarci, anche dall’esterno di noi
e se noi non ubbidiamo un giorno ci obbligherà, ma ci renderà schiavi, cioè ci
renderà inferno. Invece Lui è venuto ad abitare in noi proprio per evitare a
noi il rapporto di succubi, di schiavi. E allora se noi mettiamo come motivo
della nostra vita Dio dentro di noi, Dio interiore, noi diventiamo veramente
liberi, perché abbiamo in noi stessi la ragione di quello che vogliamo.
Nino: Per adesso abbiamo la
speranza.
Luigi: Sì, però la vocazione nostra è
questa, per cui il Figlio di Dio non è succube del Padre, perché Lui stesso
vuole essere Figlio di Dio e se qualcuno gli proponesse altro, non lo vorrebbe
assolutamente. Ora, quando tu hai in te stessa la ragione di quello che vuoi,
tu sei libera.
Rina: Né va in cerca di altri amori.
Luigi: Non va in cerca di altro, non
li vuole anche se glieli proponessero. Ecco, una persona che ami molto un
essere unico, ad esempio una moglie che ami molto suo marito, può avere mille
proposte di altri, non li vuole; perché? Ha in sé stessa la ragione del suo
amore: “Io voglio questo”, cioè è motivata. Qui abbiamo una creatura che ha una
forza immensa, enorme! Ha una forza di resistere a tutte le potenze del mondo,
perché ha dentro di sé quello che vuole. È quando i motivi sono fuori di noi
che noi diventiamo deboli, per cui se io amo il tale per un motivo esterno, il
giorno in cui scoprirò un altro che per un motivo esterno valga di più, amo
quell’altro, e poi quell’altro, ecc., allora io sono debole perché sono in
balìa di motivi esterni: non ho in me stesso la ragione di quello che voglio,
non so quello che voglio, perché non ce l’ho dentro di me. Allora siccome il
motivo esterno è mutevole, anche il mio amore diventa mutevole. Ad un certo
momento tutto cambia ed io sono in balìa di tutto. Ecco, no! Soltanto quando
noi abbiamo in noi stessi la ragione di quello che vogliamo, allora qui abbiamo
una forza resistente; una forza non soltanto resistente, ma assimilante
addirittura tutto, perché l’io fa assimilare tutto in quest’unico amore. È
questo ciò a cui il Signore ci ha destinati. È una vita meravigliosa, di una
potenza, di una grazia immensa, per cui lo Spirito di Verità è Spirito di
Fortezza; mentre invece il rapporto esterno è uno spirito di debolezza, perché
ci rende fragili e deboli e noi non possiamo resistere.
Eligio: È depersonalizzante.
Luigi: Depersonalizzante, certo.
Nino: Molto bella la conclusione.