HOME

 


Il Padre mio opera fino a questo momento Gv 5 Vs 17 Primo tema.


Titolo: L’opera del Padre senza di noi e con noi.

Argomenti: La giustificazione nel Padre. Gesù venendo porta a compimento la parola scritta facendoci superare l’interpretazione materiale. Pane spirituale e materiale. Il riposo di Dio. L’opera di Dio si conclude al sesto giorno con l’uomo: è l’opera di Dio che prende consapevolezza di sè e diventa interrogazione. Solo Dio illumina le sue opere. Solo trovando Dio troviamo la giustificazione della sua opera. Non bisogna imitare Dio ma capire Dio. Il sabato è opera di Dio con la nostra partecipazione. Il sabato è la conoscenza di Dio. Nel pensiero del nostro io travisiamo sempre. L’infinita opera di Dio. Dio opera perché noi rivolgiamo il pensiero a Lui! Poter pensare a Dio è il più grande tesoro dato all’uomo.


 

23.Luglio.1978


Dall’esposizione di Luigi Bracco:

Luigi: Gesù dicendo queste parole, rispondeva all’obiezione o per lo meno allo stato d’animo dei giudei, i quali lo perseguitavano perché faceva cose simili di sabato. Il sabato secondo la legge ebraica, la legge data da Mosè, era giorno di riposo: “Riposerai tu, tua moglie, i tuoi figli, i tuoi servi, i tuoi animali, perché il sabato è il giorno del Signore”, per cui ritenevano che Gesù fosse un peccatore, un violatore della legge, uno che non aveva timore della volontà di Dio, perché si permetteva in giorno di sabato di guarire un uomo e di ordinagli di portare il suo giaciglio sulle spalle. Gesù a questi pensieri, a questa animosità, a questo stato d’animo dei giudei, risponde prima di tutto dicendo: “Il Padre mio …”. Cioè Lui giustifica la sua azione non su altri argomenti, come potremmo magari fare noi (“Tutti fanno così!”), non su argomenti del mondo, argomenti umani, ma sul Padre. La giustificazione l’ha nel Padre. E dice: “Il Padre mio opera tuttora”, cioè opera ancora adesso, continua a operare. Però anche qui, apparentemente nella sua affermazione, viene a trovarsi in conflitto con la parola stessa di Dio, perché la parola di Dio diceva che il sabato Dio si riposò nel suo operare. Per sei giorni operò nella creazione e il settimo giorno si riposò. Sant’Agostino commentando questo dice noi ancora oggi ci troviamo nel settimo giorno. Il settimo giorno è il riposo di Dio, perché la creazione è avvenuta durante i sei giorni e il settimo giorno è un giorno che continua tuttora, e noi ci troviamo in questo giorno del riposo del Signore. Ma appunto qui abbiamo una conflittualità, una contraddizione tra quello che si dice: “Dio entrò nel suo riposo” e quello che Gesù dice, che è parola di Dio, il quale afferma: “Il Padre mio opera tuttora”. Ma se opera, allora come riposa? Anche qui apparentemente abbiamo un conflitto tra legge, la parola scritta, la Bibbia, e la parola di Gesù. Ma nello stesso tempo ci fa un po’ intuire che Gesù venendo, porta a compimento la legge, porta a compimento la parola scritta. Cioè, faccio un esempio: abbiamo già visto altre volte come Gesù interpreti quella parola della Bibbia in cui il Signore dice ad Adamo ed Eva: “Vi guadagnerete il vostro pane con il sudore della fronte”. E noi comunemente intendiamo questo comando come necessità di lavorare. E poi invece troviamo Gesù che dice: “Non sudate, non affaticatevi per il pane che passa, ma datevi da fare, preoccupatevi per avere il pane che non passa”. Ora in questa frase sembra apparentemente che Gesù contraddica la frase della Genesi: “Ti guadagnerai il pane con il sudore della fronte”. Invece Gesù, (ecco che compie la legge e ritorniamo al problema posto domenica scorsa) profondamente ci fa capire che cosa intendesse il Signore Dio suo Padre, ordinando ad Adamo ed Eva, quindi a tutta l’umanità: “Vi guadagnerete, mangerete, il vostro pane col sudore della vostra fronte”, è il pane dello spirito per cui bisogna sudare, affaticarsi. Gesù infatti dice: “Non preoccupatevi del pane, del vestire, del mangiare, ma preoccupatevi di cercare il regno di Dio”. “Non affaticatevi, non sudate per il pane che passa, ma sudate invece per quello che non passa”. È questa la difficoltà, perché in conseguenza del peccato, il mangiare il pane di Dio, diventa molto difficile per l’uomo, che per mangiarlo supera se stesso. In conseguenza del peccato, avendo affermato se stesso, è diventato figlio del suo io, figlio di se stesso, e questo gli rende molto difficile mangiare il cibo spirituale. Tutti noi facciamo esperienza, di quanto sia difficile mangiare il pane di Dio. Volevo mettere in evidenza questo fatto: Gesù porta a compimento le parole antiche. Ma le porta a compimento facendoci trascendere, superare l’interpretazione che noi avevamo dato, perché le nostre interpretazioni erano materiali, invece le interpretazioni vanno portate su un altro campo. E così quando Lui dice: “Il Padre mio opera tuttora”, ci fa capire che quel riposo là era un riposo diverso, non è il riposo come lo intendiamo noi, è un qualcosa di molto più profondo, ed è lì che porta a compimento la sua creazione. Per noi “Dio si riposò” è “fare niente”, per cui noi riteniamo di ubbidire alla legge di Dio, facendo niente in quel giorno. Così trovando Gesù che opera proprio in giorno di sabato lo condanniamo. Invece Gesù viene proprio a farci capire qual è quest’opera che Dio vuole in giorno di sabato. Adesso bisognerebbe possibilmente approfondire questo concetto di riposo da parte di Dio, del settimo giorno, e quale significato può avere per noi. Ma dobbiamo approfondirlo al punto da dare ragione a Gesù, in quello che dice: “Il Padre mio opera tuttora”. Cioè opera anche di sabato. Ci deve far capire che il riposo di Dio è ancora un’operare di Dio. Intanto qui, in quanto Lui continua a operare, già ci fa intuire che la creazione non è avvenuta, non è stata; la creazione è, perché Dio non è stato il Creatore e adesso non lo è più. C’era tutta una teologia rabbinica che impostava il problema del riposo di Dio dividendo il suo operare in due parti: c’è la tappa creatrice. Poi dovendo giustificare il fatto del riposo di Dio con il fatto che Dio operava per il suo popolo eletto; (se era in riposo come poteva operare?) essi presentavano questa soluzione: che Dio nel suo riposo operasse, giudicando, non più creando; ma che la sua opera fosse soltanto un giudizio sopra la risposta dell’uomo. È da approfondire prima di tutto quanto Gesù dichiara, dicendoci che il Padre opera tuttora. Se opera tuttora, la sua opera creatrice è continua e quindi ci fa intuire che la creazione è di ogni giorno. Dio crea in continuazione. Ma se crea in continuazione, che cosa si deve intendere allora per questi sei giorni della creazione e per questo settimo giorno di riposo? Abbiamo già visto altre volte, quando abbiamo parlato dei sei giorni e del settimo giorno, che in ogni fatto che avviene, che si presenta nella nostra vita, c’è l’opera creatrice di Dio, perché ogni fatto che noi incontriamo, Dio per farcelo incontrare opera sei giorni. Ed ogni fatto che arriva a noi, arriva da questa profondità di sei giorni, di sei tappe. Ogni fatto che arriva a noi, arriva dalla prima creazione: “Sia fatta la luce” e poi a poco per volta, tutte le creature, fino ad unire l’opera di Dio con la nostra coscienza e a rendere presente l’avvenimento. Diciamo che ogni avvenimento arriva alla nostra superficie, alla nostra percezione, attraverso questa profondità: Dio opera per farci incontrare la sua opera, la sua parola con la nostra coscienza, con la nostra intelligenza. Quindi in ogni fatto c’è l’opera creatrice di Dio che forma noi e ogni giorno di Dio è una tappa di noi stessi attraverso la quale Dio ci fa maturare, per farci prendere coscienza, consapevolezza della sua parola. Quando noi prendiamo consapevolezza della sua parola abbiamo il momento presente, l’incontro. Ma come arriva questo momento presente l’azione non è finita. Come arriva il momento in cui percepiamo l’avvenimento, il fatto, la parola che giunge a noi, resta ancora l’intelligenza della parola stessa. Ciò che giunge a noi, non giunge a noi illuminato. Giunge ponendoci un’interrogazione, facendoci una proposta. Ogni fatto, ogni parola per noi diventa un problema. Quante volte di fronte a un fatto ci chiediamo: “Ma se Dio esiste, perché c’è questo? Cosa significa se Lui esiste, questo avvenimento? Cosa vorrà dirci?”. Ogni avvenimento arriva a noi come parola da intendere. Allora possiamo chiederci prima di tutto perché gli avvenimenti giungono a noi non illuminati, giungono con questo interrogativo, cioè giungono a noi nella notte. E qui la risposta ce la dà Dio stesso che dice: “Io sono la luce del mondo”. Ecco, questo per insegnarci che la luce ci viene da Dio e fintanto che non conosciamo Dio, tutte le opere di Dio non giungono a noi nella luce, ma arrivano a noi per sospingerci a cercare Dio, a conoscere Dio, perché è Dio che illumina le sue opere. Quindi le opere da sole o con noi da soli, non sono illuminate, ma giungono per metterci in movimento verso Dio. Allora diciamo: se tutte le opere di Dio si concludono al sesto giorno con la formazione dell’uomo, con l’uomo che prende coscienza dell’opera di Dio, l’uomo che nasce è l’uomo che apre gli occhi sull’opera di Dio: è tutta l’opera di Dio che prende consapevolezza di se stessa. Ma prendendo consapevolezza di se stessa, non resta illuminata, prende consapevolezza come movimento di interrogazione, cioè come notte che invoca l’alba. L’opera di Dio si conclude nell’uomo, o meglio, non conclude: arriva all’uomo come notte in attesa dell’alba: ma l’alba è Dio; cioè è solo Dio che illumina l’uomo. Allora Lui, attraverso tutte le sue opere, non opera per dimostrarci quanto Lui sia grande in quanto sa creare tutte queste cose, ma opera per metterci in movimento verso di Lui. Lui è la luce sulle sue stesse opere e se noi non ci colleghiamo con Lui, le opere restano nella notte. Ecco che allora qui abbiamo il significato dei sei giorni. I sei giorni della creazione di Dio, e quindi ogni avvenimento che arriva a noi, sono per metterci in movimento verso Dio, per suscitare in noi il desiderio di conoscere Dio, il quale solo illuminerà la sua opera, ci darà il significato. Cioè nell’incontrare Lui, troveremo la giustificazione, ed è logico; la giustificazione sarà questa: tutta la sua opera era per metterci in movimento verso di Lui. Ma soltanto trovando Lui, noi troveremo la giustificazione della sua opera. Se invece noi non troviamo Lui, tutta la sua opera non è giustificata e noi ci troveremo sempre nella contraddizione. Ecco perché non incontrando il Cristo, anche tutta l’opera antica, anche tutta la legge non resta giustificata. Per cui Dio non opera affinché noi imitiamo Lui che opera, non entra nel suo riposo affinché noi entriamo nel suo riposo, cioè affinché noi ci riposiamo. Lo scopo della creazione di Dio e della nostra esistenza non è né lavorare né riposare. Se noi ritenessimo che lo scopo della nostra vita sia riposare, sbaglieremmo; e se noi ritenessimo che lo scopo della nostra vita sia lavorare, sbaglieremmo lo stesso. Eppure Dio lavora, Dio crea. Dio opera? Anch’io opero e allora in quanto opero, partecipo della creazione di Dio e quindi sono giustificato. No, non è quello, e noi troveremmo Dio che ci rimprovera; la vita non ti è stata data per lavorare. Se noi ritenessimo che la nostra vita ci è stata data per riposare, noi troveremmo anche qui Dio che ci rimprovera. Perché? Perché io dico: “Ma io imito Dio che si riposa, quindi anch’io mi riposo”. No, Dio non ci ha creato affinché noi imitassimo i suoi giorni, ma affinché li capissimo. Ecco, Dio non crea e non opera per farci imitare il suo operare, ma per farci capire il significato di esso. E il significato e il senso noi l’abbiamo soltanto andando da Lui, perché Lui è il significato di tutta la sua opera. Come si diceva domenica scorsa: Cristo è il compimento della legge. Quindi Cristo non è venuto per darci la possibilità di compiere la legge, ma Cristo venendo è il compimento della legge: cioè l’incontrare Lui, rappresenta il compimento della legge. Così il conoscere Dio da parte nostra rappresenta il compimento dei sei giorni della creazione, cioè il settimo giorno. Allora questo settimo giorno di Dio, è la tappa ulteriore alla quale ci sospinge ogni avvenimento che arriva a noi. Se ogni avvenimento arriva a noi attraverso i sei giorni, ogni avvenimento non è concluso ma attende l’alba del settimo giorno in noi e con noi. Ogni avvenimento che da noi non sia riportato nel settimo giorno, non è concluso. Il fatto della non conclusione lo esperimentiamo con la notte, con il non capire, con il senso del mistero, con la contraddizione. Tutto questo ci fa capire che noi non abbiamo concluso. Ma non abbiamo concluso perché non siamo entrati nel settimo giorno di Dio. Qui capiamo che il settimo giorno di Dio è raccogliere in Dio. Allora il giorno del riposo di Dio è ancora un operare ed è quell’operare che fa Cristo e che crea lo scandalo negli altri. È un operare, perché Lui opera per salvare l’uomo, per portarlo cioè verso Dio; in questo compie l’opera del Padre: Lui è venuto a compiere l’opera del Padre. Portando l’uomo verso Dio lo porta proprio nel settimo giorno. Gli uomini rimangono nell’Antico Testamento, cioè in un’opera non compiuta, proprio in quanto non entrano in questo raccoglimento, in questa conoscenza di Dio e si fermano all’azione o all’imitazione. Il nostro io ha questo terribile potere: quello di travisare tutto nel pensiero di se stesso, ritenendo che ciò che egli fa sia giusto. Così i giudei ritengono di essere nella giustizia perché: “Noi facciamo la volontà di Dio, noi facciamo la legge”. Nel peccato siamo ingannati ritenendo di essere giusti, ritenendo di fare la volontà di Dio e non ci accorgiamo invece che travisiamo, nel pensiero del nostro io, la parola di Dio e veniamo meno al significato della sua opera. Ecco perché Dio non opera perché noi facciamo certe cose o non le facciamo, ma perché capiamo il significato della sua opera, cioè in quanto ci mettiamo in movimento verso Lui, perché Lui è il significato della sua opera e noi non giungiamo a Lui, tutta la sua opera perde di significato. Questo è quanto di dice la prima parte di questo versetto e su cui dobbiamo soffermarci prima di passare alla seconda parte che è l’opera del Figlio.

Eligio: Prima del peccato originale, dato che la conoscenza in Adamo non era ancora completa, certamente Adamo non sarà stato esente dal sudore, cioè da questo sforzo personale per avere il pane spirituale.

Luigi: No, era una gioia! Il cercare di conoscere Dio, il raccogliere in Dio era gioia! È gioia! Dio nell’opera creatrice pura, nel suo disegno immacolato non aveva creato la tribolazione, le spine, non c’era la fatica del lavoro, né la fatica di raccogliere in Dio. Era gioia! È gioia! Infatti anche noi quando capiamo qualcosa proviamo gioia, e non c’è nessuna gioia al mondo che la possa compensare: la gioia dell’intendere. Ciò vuol dire che noi siamo fatti per la gioia e che la vera gioia sta nell’intelligenza.

Eligio: Ma la creatura perfetta, la Madonna, ha sudato anche lei per conoscere la volontà di Dio, ha avuto dei momenti di turbamento, quindi ha sofferto anche lei per conoscere Dio.

Luigi: Certo, ma bisogna tener presente che la Madonna è stata creata in funzione di un’umanità da redimere. Così anche il Cristo; come mai ha sofferto? Come ha sofferto Cristo ha sofferto sua madre. Si, lei è stata creata immacolata, cioè disegno puro di Dio, ma in funzione di tutta questa umanità da salvare, umanità che ha bisogno di una figura esemplare. Dio ce l’ha presentata come ci ha presentato il Cristo. Il Cristo ce l’ha presentato per salvare noi. Come mai? Non c’era bisogno che Cristo morisse per sé, ma per noi. Diciamo allora così che anche tutto il dolore della Madonna, benché lei amasse custodire, meditare, intendere tutte le parole di Dio (le portava dentro) e questa era gioia per lei, anche per lei ci fu sofferenza per arrivare alla Pentecoste. Portava in sé tutto il peso dell’umanità, perché è Madre nostra e in quanto Madre è nata in seno a questa nostra umanità carica di peccato.

Eligio: Si, Gesù ha sofferto, ma non ha sofferto il sudore di doversi guadagnare il pane dello spirito, non ha avuto dubbi …

Luigi: Certo, Gesù è Dio; però come umanità, si. Ad esempio nel Getzemani Gesù dice: “Se è possibile passi da me questo calice, però non la mia ma la tua volontà sia fatta”. Questo come uomo, come natura umana, perché porta con sé il peso di tutta la nostra natura. Invece come Dio, come Persona divina no. Come Persona divina Lui dice: “Se è possibile”, però non ha dubbi circa la necessità che si faccia la volontà del Padre. Però c’è la fatica, la sofferenza, perché per noi è sofferenza. Ora tutto quello che Lui ha passato, l’ha passato per noi, perché per noi è sofferenza. Addirittura noi sperimentiamo l’abbandono del Padre e Lui, a un certo momento, dice anche: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Tutto quello che Lui passa lo passa per noi. Lui ha annientato la sua divinità nella sua umanità, ma l’ha annientata per stabilire un punto di contatto con noi, affinché noi trovando un punto di contatto avessimo la possibilità di passare, di liberarci dalla nostra situazione di isolamento da Dio e attraverso Lui di avere la possibilità di raccoglierci e di entrare nel settimo giorno; ma attraverso Lui, attraverso il suo dolore, attraverso la fatica, che è poi il nostro dolore, la nostra fatica. Però tu capisci che la nostra fatica, da soli diventa impossibile e quindi diventa disperazione, invece con Lui diventa possibile, ma resta sempre fatica, perché noi con Lui non siamo solo con Lui, ma noi siamo con tanti altri attorno, tante altre creature che non sono Lui. E allora isolarci con Lui, il raccogliere in Lui, per seguire Lui e per allontanare un pochino la pressione del mondo, in noi è fatica; però è una cosa possibile, perché abbiamo Lui. Senza di Lui diventa impossibile. In noi c’è una situazione di frattura perché noi diventiamo figli delle nostre opere in conseguenza dell’affermazione del nostro io. Quelle parole che il Signore ci dice per portarci nella sua pace, nel pensiero del nostro io diventano un movimento orizzontale. Anziché diventare ascensione verticale, diventano movimento orizzontale. È un po’ come tutta l’agitazione che c’è nel mondo, la necessità di fare dei viaggi, di correre a destra e a sinistra. È tutta un’espressione del vuoto che portiamo dentro, perché quanto più la nostra anima si riempie di vita interiore, tanto più sentiamo il bisogno di fermarci, di silenzio, di raccoglimento. Invece più siamo vuoti dentro, più abbiamo bisogno di muoverci sul piano orizzontale. E così anche tutta la parola di Dio: nello Spirito, quindi come opera di Dio, giunge a noi per portarci in dimensione verticale, per farci ascendere verso di Lui. Nel pensiero del nostro io, essa viene interpretata in senso materiale. Così: “Ti guadagnerai, mangerai il pane col sudore della fronte”. La Sapienza dice: “Venite, mangiate il mio pane”, evidentemente il pane dello Spirito. Noi invece intendiamo: “È proprio necessario che fatichiamo a lavorare per mangiare il pane materiale e se io sudo per mangiare il mio pane materiale, faccio la volontà di Dio e quindi sono a posto”. Ecco, vedi come nel pensiero dell’io trasformiamo la parola spirituale in movimento orizzontale, cioè materializziamo, non la intendiamo? Tutto, anche il comandamento più santo di Dio, anche la parola più pura, noi la travisiamo in senso orizzontale. Ad esempio il sabato, il giorno di riposo. Questo giorno di riposo va inserito nell’”Ama il Signore Dio tuo con tutta la tua mente. Quindi ti riposerai da tutti i tuoi lavori, da tutte le tue fatiche per essere disponibile per amare”. È l’amore che mi fa entrare. Noi invece lo dimentichiamo e vediamo soltanto l’azione: “Far niente”. “Io mi riposo, faccio niente, faccio riposare tutti i dipendenti, tutte le cose mie e quindi ubbidisco a Dio”. No, Dio non ti ha creato perché tu abbia a riposare, come Dio non ti ha creato perché tu abbia a lavorare o a sudare (“Ho guadagnato il pane con il sudore della fronte …”). No, Dio ti ha creato affinché tu abbia a intendere: Lui parla per attirarti a Sé, perché la verità di Dio si può conoscere soltanto in quanto si cerca direttamente. San Giovanni Crisostomo fa questa osservazione molto interessante: “Noi molte volte affidiamo i nostri figli ad altre persone che li allevino; ma Dio ha riservato a Se stesso l’educazione e la formazione di ogni uomo”. È molto bello questo. Dio non ci consegna ad altre creature perché ci allevino per Lui, no, Dio ci riserva per Sé. Se Dio riserva per Sé la nostra formazione, noi dobbiamo continuamente guardare Lui. È Lui il nostro educatore e il nostro Maestro. Quindi se Lui parla, parla perché noi abbiamo sempre a guardare Lui, perché Lui è il nostro Precettore. Non ci affida ad altre creature che preparino per Lui. No, Lui in tutte le creature opera direttamente affinché noi guardiamo Lui, perché è Lui che forma noi. E noi non ci dobbiamo distrarre. La lezione essenziale è sempre: “Sono Io che parlo con te”. Ma perché dice: “Sono Io che parlo con te”? Lo dice affinché noi abbiamo a guardare a Lui e quindi a non fare attenzione ad altro, perché soltanto con Lui noi intendiamo veramente. Cioè Lui stesso è la conclusione di tutta la sua opera. Se non giungiamo a Lui, non guardiamo a Lui, tutta la sua opera viene in noi vanificata. E allora crediamo di fare la volontà di Dio, ma non la facciamo, perché Lui è la sua volontà. Quanto più ci avviciniamo alla nostra liberazione, tanto più diventa gioia per noi quello che prima era sudore della fronte. Il disegno di Dio resta anche se noi, coperti dal nostro peccato, lo aggraviamo e quindi diventa faticoso. Ma man mano che noi ci riprendiamo e veniamo liberati da questo peccato, tanto più ritroviamo il disegno primitivo, quindi la gioia del conoscere; la gioia del raccogliere in Dio, la gioia del superarci. Allora diventa fatica pensare a noi stessi, il non poter pensare Dio, il non poter raccogliere in Dio. Per cui mentre nel peccato abbiamo bisogno della gioia delle creature, del mangiare e del vestire, quanto più cerchiamo Dio, tanto più diventa pesante l’impegno del mondo, mentre diventa molto gioioso il poter avere la luce di Dio, raccogliere qualcosa in Dio. Questo rivela che dal sottofondo sta venendo su il disegno primitivo di Dio, il disegno vero. Ciò vuol dire che prima del peccato, per Adamo ed Eva era gioia poter conoscere Dio, poter raccogliere in Lui, non pensare a se stessi. La sorgente della nostra felicità è la volontà di Dio, cioè è vedere le cose in Dio, è unificare (Dio è un centro di unificazione massima). Più noi possiamo unificare, più noi proviamo gioia.

Eligio: Come possiamo vedere Dio in due momenti diversi, cioè nel suo operare durante i sei giorni della creazione e nel suo riposare nel settimo giorno? Perché Dio è unità, semplicità.

Luigi: Certo, non c’è scissione nell’opera di Dio: l’opera è unica. Ma diciamo, i giorni della creazione, compreso il settimo giorno, sono tappe della nostra vita interiore. Cioè c’è il momento in cui la parola di Dio arriva a noi senza di noi e abbiamo i sei giorni. Con il sesto giorno, nasce in noi lo stato di coscienza, cioè noi prendiamo coscienza dell’operare di Dio. Prendiamo coscienza che tutto questo fatto è arrivato a noi senza di noi. Ecco, prendo coscienza. Nasce l’uomo. L’uomo è l’essere che prende consapevolezza dell’opera di Dio. Ma prendere consapevolezza dell’opera di Dio vuol dire accorgersi di un’altra volontà; noi infatti ci troviamo in un mondo fatto. Ogni avvenimento arriva a noi fatto.

Eligio: Questo vale in quanto è riferito a noi, perché non si potrebbe capire in Dio due momenti diversi.

Luigi: Certo, in quanto è riferito a noi; non è in Dio. Perché tutta l’opera creatrice di Dio è dono di Sé a noi. Non è che Dio operi per dirci: “Guarda le meraviglie che io sono capace di fare”. L’opera di Dio è significazione della sua rivelazione a noi, cioè venuta di Lui a noi. Lui viene a noi attraverso i sei giorni, ma i sei giorni non sono ancora Lui con noi. I sei giorni sono soltanto per metterci in movimento per arrivare a Lui, per farci guardare Lui. Ecco, al sesto giorno prendiamo coscienza di questo movimento verso di Lui. Se ci muoviamo, entriamo nel settimo giorno con Lui. Ecco, allora tutta l’opera creatrice di Dio, compreso il settimo giorno. Per questo il settimo giorno è ancora opera di Dio: è opera di Dio, come tutti gli altri; soltanto che i sei giorni sono senza di noi, il settimo giorno non è senza di noi, perché per arrivare a conoscere Dio è necessario che noi vi partecipiamo personalmente. Allora Dio attraverso i sei giorni opera per farci entrare nel settimo, e ogni avvenimento arriva a noi attraverso i sei giorni perché arriva fatto; non siamo noi a farlo. Il filo d’erba che rappresenta la cosa più insignificante, più comune, arriva a noi attraverso i sei giorni della creazione di Dio e arriva fatto per noi. Manca però l’intelligenza del filo d’erba. Ecco, io di fronte al filo d’erba non capisco. Capisco che è opera di Dio, che è opera di un Altro, ma non capisco il significato. Ecco, il filo d’erba mi mette in movimento: con il suo punto interrogativo, mi mette in movimento verso Dio. Ma adesso non è più il filo d’erba da solo. Adesso c’è il filo d’erba con la mia coscienza, con la mia anima che cerca Dio. Io, mosso dal filo d’erba, alzo gli occhi verso il cielo e dico: “Signore, cosa mi vuoi dire?”. Ecco che sto entrando nel settimo giorno. Ma questo è ancora opera di Dio. È opera di Dio che ha creato me, ha creato il filo d’erba e adesso mette in movimento me, attraverso il filo d’erba verso di Sé.

Eligio: Quindi l’operare di Dio e l’entrare nel suo riposo, è per noi, cioè in Dio non sono disgiunti.

Luigi: Il settimo giorno è ancora una tappa nostra. È ancora per noi. Non sono due momenti disgiunti in Dio, perché la sua creazione è continua. Ogni avvenimento sintetizza in sé i sei giorni e ci apre al settimo giorno e il settimo giorno è un movimento nostro, di noi giunti al vertice di tutta la creazione, che si apre a guardare Dio. Il settimo giorno è questo, ed è opera di Dio. Quindi a noi sembra che il settimo giorno in quanto è riposo, sia fare niente; il settimo giorno è la sintesi dei sei giorni; ma la sintesi dei sei giorni nella creatura che prende coscienza di Dio.

Eligio: Quindi è l’unico affare valido.

Luigi: È l’unico affare valido. Se noi avessimo anche ricevuto tutta l’opera dei sei giorni, ma mancassimo al settimo giorno, fallirebbe in noi tutta la creazione, tutta l’opera di Dio.

Nino: Ma perché lo chiama riposo?

Luigi: Lo chiama riposo perché Dio attende da noi questa risposta. Infatti il riposo è la conclusione di tutta l’opera. Lui è la conclusione di tutta l’opera.

Nino: Ma allora non è mai riposo per Dio, perché Dio è sempre Lui che si rivela.

Luigi: Certo, ma è riposo per noi.

Nino: Cioè in che cosa consiste?

Luigi: Il settimo giorno rappresenta la vita eterna (sette rappresenta la vita eterna, la vita eterna che è conoscenza di Dio). Dio attraverso tutta la sua opera rivela Sé a noi. Come la rivelazione giunge a noi, abbiamo il compimento e quindi la nostra pace. Cioè Lui è il luogo della nostra pace, perché? Perché conclude tutta l’opera.

Nino: Allora il suo riposo si riferisce alla nostra pace.

Luigi: Certo. Lui è sempre in pace. Però attraverso la sua opera Lui mette in movimento noi, cioè forma noi dal nostro niente e a poco per volta ci mette in movimento verso di Sé. Il giorno in cui noi conosciamo Lui, entriamo nella sua pace, che è la nostra pace, perché la pace vuol dire che l’opera è compiuta. Se per esempio io voglio fare un quadro, prima incomincio a concepire cosa voglio fare e poi comincerò ad attrezzarmi con pennelli, colori, tela, ecc., e poi comincerò a dipingere. Il giorno in cui l’opera è fatta, ecco, l’opera è compiuta. Ora, qual è il compimento dell’opera? Il compimento dell’opera in noi è la conoscenza di Dio. Infatti noi diciamo: “La pace eterna dona a loro, Signore”, cioè: “Dona a loro il compimento della tua opera, cioè rivela il tuo volto!”. Conoscere Lui è la nostra pace, la nostra vita eterna. Gesù prega il Padre di darci la vita eterna e dice: “La vita eterna è che conoscano Te”. Conoscere Lui è il compimento.

Nino: Riportare continuamente a Lui.

Luigi: Riportare a Lui, tutto, perché è proprio in questo riportare che in noi si rivela il suo Volto. Qui ci riportiamo al concetto del tempio a cui avevamo già accennato prima: Dio si annuncia in tutto, opera in tutto, ma rivela il suo Volto, la sua Presenza, solo nel suo tempio. Per cui adesso capiamo che il sabato, il giorno del riposo di Dio, coincide con il tempio di Dio, il luogo in cui Lui rivela la sua Presenza, ma questo luogo è sottomissione di tutto a Lui. Questo sottomettere tutto a Lui è riportare tutto a Lui, raccogliere tutto in Lui.

Eligio: Riportare tutto a Lui, però indipendentemente dall’intelligenza del segno che il Signore ci manda.

Luigi: L’intelligenza è una conseguenza. L’intelligenza ce la dà Lui.

Eligio: Lui è la luce. Noi siamo in mezzo ad un mare di segni la cui intelligenza ci sfugge.

Luigi: E ci sfuggirà.

Eligio: Questo perché noi abbiamo a riferirci a Lui.

Luigi: Certo, noi siamo la notte.

Eligio: Si è parlato altre volte della necessità di approfondire i segni per giungere al significato.

Luigi: Lui è il significato.

Eligio: Ma molte volte pur sforzandoci non riusciamo ad approdare all’intelligenza del segno.

Luigi: Anche il fatto di non approdare è ancora opera di Dio, perché noi abbiamo bisogno magari di toccare con mano la nostra povertà. Dio ci conosce molto più noi di quello che ci conosciamo noi. Lui sa che forse in noi c’è ancora del pensiero del nostro io, per cui ogni nostra intelligenza noi potremmo ancora attribuirla o a noi stessi, alla nostra scoperta e allora ci sarebbe un errore di fondo. Comunque volevo soltanto mettere in evidenza questa fatto qui: come Gesù operando di sabato corregge l’interpretazione che noi davamo al sabato come riposo. Quando dice: “Il sabato è fatto per l’uomo”, dice una cosa sacrosanta: il sabato è fatto per l’uomo. Infatti il sabato è proprio fatto per l’uomo! affinché l’uomo giunga alla conclusione dell’opera di Dio. Quindi è opera di Dio, è ancora opera di Dio, affinché l’uomo entri nella sua pace. Anche il sabato è massimamente fatto per l’uomo, non contro l’uomo. Non è fatto per condannare l’uomo o per caricare l’uomo di pesi, per cui: “Tu non puoi fare questo, non puoi fare quell’altro”. No! Il sabato è fatto per liberare l’uomo.

Nino: Sì, non è fatto per condannare l’uomo, però l’uomo che non osserva il sabato secondo l’intendimento di Dio, si autocondanna.

Luigi: Osservare il sabato vuol dire alzare gli occhi, muoversi verso Dio.

Nino: È l’uomo stesso che si condanna se non si volge verso Dio.

Luigi: L’errore di fondo dell’uomo sta qui, ed è proprio un errore fondamentale perché può escluderlo dal regno di Dio, in quanto l’uomo ritiene di fare la volontà di Dio non facendo la volontà di Dio, ed è convinto di essere nella giustizia.

Nino: Analogamente succede quando si estrapola una frase da un libro, travisando il pensiero dell’autore, perché la si stacca dal contesto (esempio di quanto scrive Firpo).

Luigi: Nel pensiero del nostro io travisiamo sempre. Noi siamo un principio di menzogna. Abbiamo già visto la volta scorsa: noi alteriamo sempre tutto. Cinquanta persone di fronte allo stesso avvenimento danno cinquanta versioni diverse e anche questo ci conferma che solo col Pensiero di Dio e nel Pensiero di Dio abbiamo la possibilità di essere fedeli. Dio è il principio di fedeltà, noi da soli siamo un principio di infedeltà. Noi da soli siamo infedeltà, non possiamo essere fedeli, nel modo più assoluto; dobbiamo distinguerci l’uno dall’altro: uno parla un linguaggio? Io devo parlare in modo diverso, perché altrimenti non mi distinguo. Uno si veste in un modo? Io devo vestirmi in modo diverso, perché altrimenti non mi distinguo; e lì ognuno di noi rivela la debolezza del suo io, perché noi ci caratterizziamo unendoci. Vedi come noi facciamo la nostra rovina pensando a noi stessi?

Nino: Tutte le volte che si fa “Bastian cuntrari” è per imporci.

Luigi: Si, noi crediamo di imporci e stabiliamo la nostra condanna e riveliamo la nostra debolezza, invece cercando Dio, ci caratterizziamo proprio dall’unione: “Ut unum sint”, nell’armonia di tutto.

Nino: D’altra parte se Dio è verità, non possiamo fare a meno di unificarci.

Luigi: È Lui che unifica ed è Lui che ci rende fedeli. Lui ci rende capaci di essere fedeli; altrimenti travisiamo tutto. E noi vediamo continuamente queste lezioni, nelle lezioni, nelle lezioni del Cristo: come proprio le parole stesse dell’Antico Testamento possono essere viste sotto aspetti diversi, nel pensiero dell’io, pur credendo di fare tutta la volontà, tutta la legge, di essere più che giusti. Si travisa la volontà di Dio, si travisa la legge. E in questo errore l’uomo è convinto di essere giusto e quindi non può essere salvato. Questo ci dovrebbe far capire l’immenso bisogno che noi abbiamo di Dio, di riferire sempre tutto a Dio, perché se ci stacchiamo da Dio travisiamo e naturalmente diventiamo figli, schiavi del nostro errore, convinti che sia verità.

Nino: Nella preghiera, interrogando Dio, allora si capisce che abbiamo interpretato male.

Luigi: Certo.

Eligio: Dato che ci troviamo immersi in molti segni, scegliamo quelli che più facilmente ci collegano con Dio. Qual è allora la responsabilità della creatura che non tiene conto dei segni, che non riesce a capire e in cui non riesce a stabilire un collegamento con Dio, fermandoci invece su altri in cui questo collegamento è più facile? Bisogna sforzarsi di cogliere anche quei segni in cui siamo incapaci di intendere la volontà di Dio?

Luigi: Si, bisogna portarli, come la Madonna che custodisce tutto le cose in sé. Siccome tutto è parola di Dio, bisogna portarli. Non si può pretendere, perché la luce ci viene da Dio, però uno li porta nel sottofondo e un giorno o l’altro Dio ce li illumina, ma ce li illumina quando magari noi meno ce lo aspettiamo, per farci capire che non è dallo sforzo nostro che arriva la luce, ma da Lui; però l’importante è portarli, ecco, non prendere a calci nulla, non disprezzare niente, perché noi possiamo essere tanto superbi da disprezzare la cosa che non capiamo: “L’uva è acerba, quindi non mi interessa”, perché non riesco ad arrivarci. No, non disprezzare, resta in attesa. Perché è l’attesa che forma in noi l’umiltà. Ogni cosa non capita, in noi deve diventare notte che invoca l’alba. È proprio l’attesa dell’alba che ci rende capaci di arrivare all’alba. È la fame. Ma la fame si forma in noi proprio attraverso questo portare con noi tante cose che non capiamo. Per cui se io so che Dio parla in tutto e io non capisco niente, sento molto, sento tanto il bisogno di Dio, perché i segni sono tanti e io non riesco a raccogliere niente. Ecco, il senso di povertà; altrimenti scartando tutto quello che non capisco, mi credo ricco e non mi accorgo che la mia ricchezza è data solo dal fatto che non tengo conto di Dio che parla con me.

Eligio: Non parla tanto di disprezzo quanto d’indifferenza.

Luigi: Di trascurare, sì. Bisogna tener presente che Dio parla. Dio parla in tutto e parla personalmente con me. E bisogna tener presente che Dio non delega a nessuno la nostra formazione. “Io stesso verrò”. Quel futuro di Dio che verrà (in Dio non c’è futuro), rivela che un giorno capiremo che Lui è il nostro Maestro, che Lui si è preso cura di noi personalmente di ognuno di noi. Quel “verrò” futuro, rivela ciò che Dio è e che ancora noi ignoriamo; è un tempo per noi. Perché tu adesso non capisci, ma domani capirai che Dio era con te. Così quel “verremo e faremo abitazione” ci rivela che Dio fa già abitazione. Siamo noi che dobbiamo prendere coscienza che Egli abita in ciascuno di noi. Quindi parla al futuro in quanto parla a noi che siamo nel tempo.

Eligio: Indubbiamente la massa dei segni che Dio ci manda è enorme, da prendere il capogiro!

Luigi: Sì, perché Lui è infinito. Ma tu tieni presente che la massa dei segni è Lui stesso proiettato sul piano nostro. Ad esempio il piano di proiezione: tu ha una figura verticale e la proietti sul piano orizzontale. Dio, la sua verità nella mentalità nostra acquista questo infinito così. Tu vedi che in tutto trovi l’infinito. Se guardi il cielo trovi l’infinito, ma se guardi il filo d’erba trovi anche l’infinito; se guardi la pietruzza trovi l’infinito, perché è Dio che parla. E Dio, parlando, non può far altro che rivelare il suo infinito in tutto, per cui c’è un mistero profondissimo in tutto. Ma questo mistero profondissimo in tutto, il giorno in cui lo vediamo è il Volto di Dio, è la sua Presenza. Quindi noi diciamo: “C’è una molteplicità enorme di opere, Dio facesse le opere più limitate, sarebbe più facile …”. Ma Dio rivela il suo infinito, la sua grandezza …”. È lì la meraviglia, per cui su qualunque cosa noi ci fermiamo, ci accorgiamo che sprofondiamo in un infinito, perché è Lui.

Cina: Se Dio opera in questo momento con noi, la prima lezione è prendere le cose dalle mani di Dio, questo invito continuo.

Luigi: Giusto, tutto va preso dalle mani di Dio, è il primo atto del fatto di sapere che Dio opera in continuazione. È quanto dice Gesù: “Il Padre mio opera”. Se il Padre nostro opera, tutto dobbiamo accogliere da Dio. Ma non basta. È necessario accogliere tutto da Dio, però non dobbiamo fermarci qui, perché Dio opera per mettere in movimento la nostra anima, il nostro pensiero verso di Lui. Non basta che noi diciamo: “Signore io capisco che tutto è opera tua e quindi accetto tutto”. Non basta. È necessario, certo, perché se io non accetto o accetto soltanto quello che mi fa comodo, creo una frattura nell’opera di Dio, e allora sbaglio. Quindi devo accettare tutto: quello che capisco e quello che non capisco, in attesa di capire. Ma accettando devo capire il significato o meglio, il senso di tutta quest’opera che Dio mi presenta e volgermi al settimo giorno. È quello che dice San Paolo: “Se oggi (ed ogni giorno è quest’oggi per noi), voi udite la parola di Dio, affrettatevi ad entrare nella sua pace”. Affrettatevi! Noi possiamo udire la parola di Dio e non affrettarci: non entriamo nel settimo giorno, restiamo fermi al sesto giorno. E siccome non possiamo restare fermi al sesto giorno, diventiamo preda di tutto ciò che ci disperde. Se non ci mettiamo in movimento verso Dio, noi restiamo preda di tutte le creature che ci distruggono, perché quello che da parte di Dio arriva a noi per metterci in movimento verso di Lui, se noi non ci mettiamo in movimento verso di Lui, quelle stesse opere diventano disgregatrici di noi stesi, di noi stessi, perché l’opera non compiuta non può essere trattenuta: è riassorbita. Abbiamo il processo di rigetto, di separazione, di disgregazione, cioè di aborto: la creatura non è nata. Tutta l’opera di Dio è per far nascere quest’anima che si volge verso di Lui. L’anima che si rifiuta di alzare gli occhi a Lui viene di nuovo riassorbita, dispersa: ritorna polvere.

Eligio: Comunque resta un peso su di noi.

Luigi: Certo, resta un peso su di noi, perché diventa dispersione, e nella dispersione infatti noi troviamo il vuoto, troviamo la tristezza, troviamo l’angoscia, troviamo tutte queste forme che denunciano l’opera non compiuta; non siamo entrati nella sua pace, non siamo entrati nella sua pace, non siamo entrati nel sabato.

Cina: Un altro punto che mi è rimasto è questo: se Dio solo è la luce che illumina le sue parole, non ho altra fonte per avere la luce; se non mi rivolgo a Lui, mi fermo e rendo fallita la vita e rendo inutile tutto.

Luigi: Rendo inutile tutta l’opera di Dio, rendo fallita la mia vita e frustro tutta l’opera di Dio, tutta l’opera che Dio ha fatto. Per questo sarà chiesto conto di tutto il sangue sparso dal principio della creazione fino adesso, perché Dio ha fatto tutto, affinché tu volgessi il tuoi occhi verso il Creatore. Quello che dice Isaia nel primo capitolo: “Il bue conosce il suo padrone e l’asino conosce la greppia, e il mio popolo non mi conosce: che cosa ancora devo fare?”. “Non hanno volto gli occhi a Colui che non solo faceva tutto per loro, ma anche Colui che li percuoteva per risvegliarli”. Ecco, non hanno volto gli occhi. Quindi Dio opera tutto, perché noi volgiamo il nostro sguardo verso di Lui, non perché noi ci agitiamo o ci mettiamo a correre o ci fermiamo, o ci riposiamo, no, Dio non opera per questo: Dio opera perché noi rivolgiamo i nostri occhi verso di Lui! Se noi non rivolgiamo i nostri occhi verso di Lui, facciamo fallire tutta la sua opera in noi: ecco perché c’è l’aborto. È fallimento di vita: vita concepita, non portata a compimento. Ora, il settimo giorno …

Cina: Richiede proprio una risposta personale.

Luigi: E solo personale, perché nel settimo giorno si entra personalmente, perché è effetto di intelligenza, effetto di conoscenza, effetto di amore, quindi si entra personalmente. Se non si entra nel settimo giorno, l’opera è concepita, ma non è portata a compimento e allora abbiamo l’aborto: gli aborti arrivano al sesto giorno.

Cina: E poi un altro punto: “Ut unum sint”, io l’ho sempre inteso come un invito alla comunione tra di noi, invece ora mi ha colpito quest’armonia con tutto …

Luigi: Dio è il principio dell’armonia. Infatti Gesù non dice a noi: “Unitevi, create l’armonia tra voi”, Gesù prega il Padre che li unisca, prega il Padre che formi l’armonia tra noi e con tutta la sua creazione, perché in Dio e solo in Dio tutto si armonizza, mentre invece, staccati da Dio, tutto diventa in contrasto uno con l’altro, diventa brutto. Noi attualmente vediamo tutte le cose per parti. Dice San Paolo: “Tutta la creazione noi la vediamo per parti” cioè guardo una cosa, guardo una creatura, salto da una cosa all’altra. Invece in Dio abbiamo una visione armonizzata e quindi bellezza, di tutto che unifica. Cioè non è che tra noi ad un certo momento possiamo dire: “Uniamoci, vogliamoci bene”. No! È Dio che tanto più è conosciuto da noi, tanto più ci unisce e ci fa una cosa sola. Fa una cosa sola tra noi che siamo la sintesi di tutto l’universo e quindi fa una cosa sola con tutte le sue opere. Noi non siamo più separati da niente in Dio. Separati da Dio, siamo separati da tutto, per quanto sforzi noi facciamo siamo separati da tutto e tutto ci separa. Leopardi dice che la natura è nemica. A un certo momento anche la nostra stessa natura, perché tutto quello che abbiamo nel cuore, nell’anima, magari la tristezza, la sofferenza, la nostalgia, la pena, non è condivisa dalla natura. La natura gioisce e invece noi siamo tristi. Il nostro cuore canta, e invece la natura diventa triste. Ecco, c’è disarmonia. Invece in Dio abbiamo una perfetta armonia, perché tutto nell’universo, essendo opera di Dio, diventa dialogo tra la nostra anima e Dio e tutte le opere di Dio. Ci accorgiamo che tutte le cose parlano di noi, ma parlano in sintonia, perché parlano con Dio. Se la nostra anima è in Dio, tutte le cose dialogano con noi e ci conoscono, perché noi conosciamo Dio. Ma se noi non conosciamo Dio, nessuna creatura ci conosce, non ci può conoscere, ci ignora e noi ci sentiamo soli, non più uniti. Perché il fatto di essere una cosa sola è il fatto di essere conosciuti: tutte le cose ci conoscono, anche la pietra ci conosce con Dio, l’albero ci conosce, le stelle ci conoscono, perché sono parola di Dio.

Pinuccia: A me rimane come pensiero come se Dio opera sempre non devo che avere un atteggiamento di ascolto, perché la sua opera è una parola continua.

Luigi: Sì, bisogna ascoltare e bisogna desiderare di capire. Dio opera non per metterci in movimento o per farci restare fermi. Dio opera affinché capiamo. “Non siate anche voi senza intelligenza, non siate come l’asino e il bue che non hanno intelligenza”. “Anche voi siete senza intelligenza? Anche voi non capite?”. Dio ci ha dato l’intelligenza affinché capiamo. Ma questa intelligenza cos’è? È Lui la nostra intelligenza, cioè la sua Presenza; la presenza del suo Pensiero in noi diventa per noi luce d’intelligenza. Se noi invece trascuriamo Lui, la nostra intelligenza se ne va. Ci può essere la superbia nostra, ma non l’intelligenza. Lui è l’intelligenza delle sue opere.

Pinuccia: Quindi questo ci invita anche a far solo conto su di Lui.

Luigi: Lui opera affinché noi guardiamo Lui. Lui è compimento delle sue opere. Più noi lo guardiamo e più ci illuminiamo. Se noi abbiamo la possibilità di guardarlo è perché Lui già si è donato a noi, altrimenti non potremmo nemmeno guardarlo, nemmeno pensarlo. Se noi possiamo pensare Dio è perché Dio per primo si è donato a noi. Donandosi, dà a noi la possibilità di pensarlo. E ritorniamo lì su concetto che il poter pensare a Dio è il più grande tesoro dato all’uomo, tesoro nascosto, il più grande. È nascosto perché solo conoscendolo si trova.

Pinuccia: È nascosto perché non si vede.

Luigi: Apparentemente no, perché non è apparenza. Infatti Dio si trova solo conoscendolo. Ma se io cerco Dio, non cercando di conoscerlo, ma cercando di agire, cercando di essere virtuoso, cercando di fare questo e quell’altro, non lo trovo, perché Dio non è azione, non è movimento. Dio è Spirito, è verità. La verità si trova solo conoscendola. E allora bisogna cercare pensando a Lui: ecco il campo. Per cui bisogna vendere tutto ciò che si ha, per comperare quel campo in cui c’è Lui, in cui c’è il tesoro. Ma noi possiamo sbagliare campo: noi possiamo ritenere di trovare la salvezza, di trovare la luce, di trovare la verità, di trovare la nostra vita nel movimento, nell’azione, oppure nel far niente. Ecco sono tutti non campi di Dio.

Nino: Trovo molto logico e molto bello pensare che se ogni cosa è parola di Dio, Dio ce la dice perché noi possiamo capire. Il non capirla, vuol dire metterci sullo stesso piano di chi la rifiuta.

Eligio: Si è parlato prima però di molti segni che non vengono intesi.

Nino: Alla lunga verranno tutti intesi, no?

Luigi: Sì, cioè dobbiamo portarli come desiderio.

Nino: Non credo che Dio ci metta dei segni perché noi non li comprendiamo. Noi non li comprenderemo rimanendo disuniti da Lui, ma se diventeremo uniti a Lui tutto diventerà comprensibile.

Luigi: Certo.

Nino: E tutto diventerà in armonia. Quindi il fatto di non arrivare a capirlo, penso che sial solo colpa nostra, solo perché noi abbiamo mancato in qualche accettazione di qualche sua proposta, ma allora ci mettiamo sullo stesso piano di chi si rifiuta di capirli.

Luigi: Comunque la verità è nascosta. Ciò che non capiamo dobbiamo portarlo come desiderio. La verità è nascosta non perché si rifiuti, perché altrimenti noi potremmo dire: dal momento che la verità è nascosta, stia nascosta. No, la verità di Dio è nascosta non perché si rifiuti, ma soltanto perché siamo noi che ci troviamo in una situazione di non poterla conoscere, di non poterla vedere.

Nino: Quindi il difetto è solo nostro.

Luigi: Quindi “cresci”, “Io sono il cibo degli uomini adulti. Cresci e mi mangerai”. Essa si mantiene nascosta fintanto che noi ci troviamo nell’incapacità di poterla vedere, altrimenti è tutt’altro che nascosta. Gesù stesso dice: “Non c’è nulla di nascosto che non abbia ad essere rivelato”. Lui è venuto per farsi conoscere. Quindi la verità vuole donarsi. Ci ha creati, ci ha dato l’esistenza perché noi la conoscessimo, ed entrassimo nella vita eterna. La più grande colpa che noi possiamo avere verso la verità è proprio disinteressarci di essa, rifiutarla, trascurarla, perché Lei ha fatto tutto affinché noi ci occupassimo di essa. Ha mandato tutte le sue ancelle su tutte le nostre strade per chiamarci: “Venite nella cittadella, mangiate il mio pane”. Se noi rifiutiamo, restiamo come quegli invitati che si scusarono: “Io ho il bue, io ho i campi, io ho la moglie, non posso venire” e di cui Gesù conclude dicendo: “Non assaggeranno la mia cena”. Però Dio manda tutti i suoi servi e servi sono tutte le sue opere, tutte le sue creature, tutto (perché tutto è servitore di Dio, tutto, anche il demonio); manda tutti i suoi servi per chiamarci al suo pranzo, alla sua cena. Ecco noi non dobbiamo rifiutare. Noi possiamo essere magari zoppi, ciechi, malandati, malati, mendicanti: “Va, su tutte le strade, tutte le piazze i chiama chiunque”. L’importante è non rifiutarci.

Nino: Purtroppo succede che a volte noi ci accontentiamo di aver accettato una cosa da Dio.

Luigi: Però questo è basilare.

Nino: Però non dobbiamo fermarci lì, cioè essere contenti di averlo accettato.

Luigi: No, c’è qualcosa di più.

Nino: Interrogare Dio: “Che cosa vuoi dirmi con questo?”.

Luigi: Sì, appunto bisogna desiderare il settimo giorno.

Nino: Purtroppo però noi ci accontentiamo di accettare e ci sentiamo a posto.

Luigi: No, si accetta per arrivare a capire e bisogna desiderare di arrivare a capire.

Nino: Non solo bisogna desiderare, bisogna entrare in sofferenza se non si capisce.

Luigi: Anche in sofferenza, sì. Perché più uno ha amore e più naturalmente sente la sofferenza di non capire. Se uno ad esempio ama tanto una persona e si accorge di non poter capire quella persona, o qualche cosa o le parole di quella persona, sente sofferenza. La sofferenza è dovuta da non capire.

Emma: Mi è risultato difficile intendere quel riposare e quell’operare di Dio. Comunque penso che la fatica per capire ci accompagnerà sempre.

Luigi: Certo, la fatica è quel sudore con cui bisogna mangiare questo pane.

Nino: Dio ci darà di capire nella misura in cui noi avremo desiderato di avere questa conoscenza.

Luigi: Certo.

Nino: Perché se noi saremo stati freddi nel desiderare, non lo avremo. Noi possiamo avere solo il demerito di non averlo desiderato abbastanza.

Luigi: “Ad ognuno sarà dato ciò che veramente avrà voluto avere”.

Emma: Ci vuole tanta pazienza ad attendere.

Luigi: Desiderarlo.

Eligio: Penso che ci sia anche un cruccio.

Luigi: Più uno sente il cruccio, più è nell’amore. Chi veramente ama, sente molto il bisogno di conoscere.

Nino: Non bisogna però confondere la pazienza con l’adagiarci.

Luigi: Sì, certo; è una vera sofferenza. Bisogna sentire tanto il bisogno. Più uno è in rapporto con Dio, più sente il bisogno. “Signore, che io possa vedere il tuo volto”, è l’invocazione di tutti i salmi: che Dio riveli il suo volto. E cos’è questa invocazione? “Signore, fammi vedere il tuo volto?”. San Giovanni della Croce dice: “Non mandarmi più i tuoi servi che non mi possono dare ciò che io chiedo. Tu solo puoi …”. Ecco, e questo che cos’è? È proprio sofferenza, è la tribolazione propria dell’anima amante che desidera l’incontro, la Presenza, la rivelazione di Colui che ama. Non si rassegna.

Nino: Sintetizzando l’argomento, allora: finora abbiamo inteso il settimo giorno come giorno del riposo del Signore. Va invece inteso come il giorno in cui il noi raccogliendo ogni cosa che ci è arrivata attraverso la creazione, arriviamo alla conoscenza di Dio, alla sua pace e quindi nel suo riposo.

Luigi: Si, il settimo giorno è una tappa della nostra vita spirituale, è una tappa di noi.

Eligio: È la conclusione.

Luigi: Sì, è la tappa conclusiva, ma è un nostro momento, con è un momento di Dio. Siccome Dio opera per rivelare Se stesso, l’ultima tappa per la rivelazione è il silenzio, che è quel silenzio dell’Apocalisse, quella mezz’ora di silenzio che precede la grande rivelazione di Dio.

Emma: Ma come mai il riposo di Dio è un operare?

Luigi: Sì, perché Dio opera in un primo tempo in noi senza di noi; poi opera in noi, ma non opera più senza di noi. Cioè c’è una parte in cui Dio ci precede, perché se Lui non precedesse, noi non ci sveglieremmo. Noi siamo addormentati, per cui è necessario che qualcuno dal di fuori ci scuota e ci dica: “Svegliati!”. Ecco, tutta quest’opera è l’opera dei sei giorni: Dio opera senza di noi. Poi c’è il momento in cui noi, svegli, ormai siamo stati svegliati, incominciamo a guardare Colui che ci ha svegliati. Allora qui abbiamo il riposo di Dio, perché è il giorno in cui Lui chiede a noi di guardare a Lui. Quindi, tutta l’opera che Egli fa per svegliarci, è l’opera che fa senza di noi, perché noi siamo addormentati, quindi è l’Altro che viene a noi. Ho detto che se noi possiamo pensare Dio, lo possiamo pensare in quanto Dio per primo (… ecco l’opera sua), si è dato a noi. Quindi tutta quell’opera attraverso cui Lui si dà a noi, senza di noi, è l’opera di Dio, l’operare di Dio. Poi, avendo dato Se stesso a noi, dà a noi la possibilità di pensarlo. Questa possibilità di pensarlo, per cui noi possiamo pensare Lui, è il settimo giorno ed è ancora un suo operare. E questa è la conclusione; e questa conclusione del suo operare non avviene senza di noi. “Colui che ti ha creato senza di te, non ti porta alla conclusione senza di te” (sei giorni, opera di Dio): attraverso i sei giorni Lui mi ha dato l’esistenza, mi ha fatto essere, mi ha svegliato. Ho cominciato a capire: “Toh, ci sono”. Ecco, i sei giorni. Nel sesto giorno Dio dice: “Facciamo l’uomo” e l’uomo ha cominciato ad essere. Quindi Colui che ti ha creato, che ti ha formato nei sei giorni senza di te, ora non ti porta alla conclusione senza di te, perché ormai ti ha svegliato, quindi chiede a te di guardare Lui. Ecco, noi abbiamo il settimo giorno, che non avviene senza di noi. Ecco perché lo chiamiamo: “Riposo di Dio”, che è conclusione, pace di Dio, la nostra pace; ma nella quale possiamo anche non entrare, perché non si entra senza di noi. Concludendo, notiamo ancora questo: colleghiamo questo versetto: “Il Padre mio opera fino a questo momento, cioè opera ancora oggi, ed io pure opero”, con quello che era avvenuto prima. Abbiamo visto che quell’uomo paralitico guarito, avvisato da Gesù: “Cerca di non peccare più”, per superficialità non si è fermato nel tempio; è uscito ed è andato a dire che è stato Gesù, e aggrava la situazione perché gli altri cominciano a perseguitare Gesù. Ora Gesù non è che venga qui a litigare o ad offendersi oppure che se la prenda con quell’uomo. Passa sopra tutto e da tutto trae motivo per parlare del Padre, che è la salvezza. Quindi che i giudei lo perseguitino, che quell’altro sia superficiale, non sono motivi per distrarre Gesù dal Padre; non è venuto per giudicare, è venuto per salvare. Salvare vuol dire condurre a conoscere il Padre, vedere il Padre. Diciamo, Lui approfitta del male, degli errori per parlare del Padre. Cambia il male in bene.

Eligio: Stavo pensando però al male che si effettua nell’anima nostra: pensavo ai giudei che perseguitano Gesù, come accada questo nell’anima nostra; cosa rappresentano i giudei per l’anima nostra, come venga perseguitato Gesù nell’anima nostra, cioè come gli venga resa difficile l’opera di raccolta dell’anima attorno al pensiero del Padre. È un significato profondissimo.

Luigi: Sì, perché noi nel pensiero del nostro io uccidiamo Dio.

Eligio: Se noi con leggerezza tradiamo Gesù al mondo, il mondo cerca di distruggerlo dentro di noi, per cui Lui non può più compiere la sua opera di raccolta verso il Padre.

Luigi: Guarda l’aggravamento: c’è quell’uomo che porta il suo letto e dice: “Non so chi sia!”; intanto gli altri se la prendono già con Colui che gli ha ordinato di portare il suo giaciglio sulle spalle; e comincia a crearsi l’animosità verso Colui che l’ha guarito. Non vedono la guarigione, vedono soltanto l’infrazione alla loro legge, al sabato.

-                     Lui ritorna, avendo scoperto Gesù nel tempio per dire che era Gesù che l’aveva guarito e allora cominciano a perseguitarlo;

-                     Gesù dice: “Il Padre mio opera …”, quindi giustifica la sua opera; cerca di salvarli, no? Perché cerca di giustificare come va inteso il sabato e parla del Padre;

-                     Parlando del Padre, tanto più i giudei cercano di farlo morire, perché non solo violava il sabato, ma anche perché: “Chiamava Dio suo Padre”. Vedi l’aggravarsi? Più Lui parla, opera la salvezza e più abbiamo l’animosità che cresce fino ad arrivare al conflitto estremo, cioè la morte.

Eligio: Questo dimostra il rischio dell’apertura al mondo per quanto riguarda il segreto di Dio che dovremmo portare noi. Il mondo entra ed entra con violenza. Sarebbe però molto bello poter vedere come avvenga nell’anima questo.

Luigi: Ma è tremendo questo, perché più Dio si dona e più l’animosità, la violenza cresce.

Pinuccia: Ma perché?

Luigi: Perché l’io è delitto. Se noi non superiamo noi stessi, noi arriviamo ad uccidere Dio in noi. È una lezione molto efficace, perché abbiamo tutta una passione che si carica di violenza. Più c’è il dono di Dio, più Dio si dona, e più l’altro diventa violento.

Nino: È anche un bell’insegnamento della psicologia del peccato.

Luigi: Sì, è tremendo!

Pinuccia: Però ad un certo punto l’io può arrendersi, no? Senza arrivare alla fine?

Luigi: Sì, certo che lo può. Se Dio parla è perché c’è la speranza che l’io si arrenda. Anche con la morte in croce. Perché se Dio muore, è perché attraverso la sua morte c’è una speranza. Lui morto è ancora motivo di salvezza. Però l’io è una potenza tremenda in noi, perché non basta essere buoni, non basta concedere. Ecco, qui si vede il Figlio di Dio addirittura che concede, che opera per salvare, e come questo crei animosità nei giudei.



HOME


...e quindi Io pure opero. Gv 5 Vs 17 Secondo tema.


Titolo: L’opera del Figlio è quella di riportare sempre al Padre.

Argomenti: L’analisi distrugge il segno. Approfondire i segni di Dio. Più sono in intimità con l’Autore del segno, e più capisco il segno. Al sesto giorno prendiamo coscienza di essere e possiamo dire: “Io Sono”.Capire il senso dei segni. Il Padre parlando mi illumina i segni che fa. “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”. È l’attesa dell’alba che ce la fa incontrare. La tristezza di Gesù. La molteplicità dei segni. I doni di Dio esigono disponibilità. Giungiamo al compimento dell’opera del Padre, solo per mezzo di Cristo. L’opera del Figlio è l’intelligenza sull’opera del Padre.


 

30.Luglio.1978


Pensieri tratti dalla conversazione:

Luigi: Oggi cercheremo di approfondire la seconda parte del versetto 17: “… ed io pure opero”, collegandola con la prima parte: “Il Padre mio opera fino a questo momento”.

Angelo: Nel mio vangelo è tradotto: “sempre”, non “fino a questo momento”.

Luigi: Sì, “sempre”, opera anche adesso. Questo Gesù lo dice in relazione al fatto che era sorta tutta la problematica del sabato, giorno di riposo, perché “il settimo giorno, dopo aver compiuto la creazione in sei giorni, Dio si riposò”. Allora siccome qui accusavano Gesù di aver curato quest’uomo in giorno di sabato e di avergli ordinato di portare quel lettuccio, per cui era un trasgressore del riposo, Gesù qui si giustifica dicendo: “Il Padre mio opera anche di sabato, e quindi anch’io opero”. Intanto notiamo che la giustificazione di Gesù non è presso il mondo, con ragioni del mondo o altri motivi o interpretazioni della legge, ma Lui trae la sua giustificazione nel Padre e insegna a noi che le vere giustificazioni le dovremmo sempre cercare nel Padre, in Dio. Non dovremmo mai muoverci su altri argomenti.

Eligio: Domenica scorsa hai detto che la verità non si coglie in superficie, ma si annuncia in superficie e impegna noi ad un approfondimento. Poiché la verità, Dio, opera con noi attraverso tutti gli avvenimenti che incontriamo nella giornata, molti di questi noi li comprendiamo e ci è facile cogliere la volontà di Dio in essi, ma ce ne sono molti (e sono la maggior parte), dinanzi ai quali a noi non è possibile entrare in questo rapporto di dialogo con la verità, quindi: come ci è possibile approfondire ciò che non comprendiamo? Cioè noi cogliamo il segno e per fede lo accettiamo come mandato da Dio, autore del fatto, però l’approfondimento cui siamo chiamati come è possibile, se ce ne sfugge la ragione e il significato?

Luigi: In tanti avvenimenti o argomenti il Signore non ci fornisce dati a sufficienza, come per esempio tutti gli spettacoli quotidiani, gli avvenimenti del giorno sono tutte lezioni fratturate: per poco che approfondiamo, ci accorgiamo che dobbiamo arrestarci: sono lezioni di umiltà che il Signore ci dà, per farci toccare con mano la nostra povertà rispetto alla sua luce. Il problema non è tanto quello di approfondire, analizzare il fatto, quanto cogliere la direzione, il senso che il fatto reca in noi. Cioè ogni fatto arriva a noi attraverso i sei giorni della creazione e ci fa giungere alla sera del sesto giorno, cioè all’inizio di quel settimo giorno che dovrebbe portarci nella conoscenza del Padre. Ma tutti i nostri fallimenti arrivano lì: nella sera del sesto giorno. Cioè, come l’uomo comincia ad essere fatto, incomincia a pensare a sé, e ad affermare sé. Il nostro io si caratterizza in quanto si differenzia, si separa. Invece in Dio, nella comunione con Dio, il nostro io si caratterizza unificando e armonizzando tutto (quell’armonia di tutto di cui parlammo già domenica scorsa). Però l’unificazione e quindi la formazione del vero nostro io la si ha in Dio. Allora la funzione di tutte le opere di Dio, non è quella di farsi conoscere, ma quella di farci conoscere Dio, cioè di lanciarci verso Dio, perché è in Dio che noi abbiamo il principio di armonia e di unificazione, che è poi il principio della formazione del vero nostro io. Invece quando il nostro io è staccato da Dio, come comincia a percepire di esistere: “Io sono”, incomincia a proiettarsi all’esterno, credendo di trovare la verità analizzandola.

Eligio: Però se l’io può mettere a confronto i propri argomenti con quelli di Dio, ne scopre la preminenza rispetto ai suoi, potendo in tal modo mettere a tacere i propri. Cioè se l’io è fatto per dialogare, quando scopre il carattere assoluto della verità rispetto al carattere relativo dei suoi argomenti, dovrebbe mettere a tacere i proprio argomenti. D’altronde di fronte ad argomenti che sono incomprensibili: una tragedia, le Brigate Rosse, ecc., se non ho elementi per dialogare con Dio, come posso approfondire certe verità che Lui mi annuncia attraverso questi fatti di cui non capisco niente? Per fede li posso accettare come proposte, ma come faccio ad approfondirli?

Luigi: Certo, li devo accettare come proposte, ma non posso approfondirli. Il nostro io di per sé è portato a cercare di analizzare il fatto, a cercare tutti gli altri elementi per poter giudicare; ma qui succede un altro fatto molto strano ed è questo: se noi osserviamo un pochino qual è l’opera del nostro io, noi notiamo questo, che il nostro io, analizzando, distrugge. È come se smontassi questo registratore per vedere come funziona: mi rimarrebbero davanti un mucchio di rotelle e di ingranaggi di cui non capisco più niente e la conclusione quale sarebbe? Che il registratore non l’ho più e che capire non ho capito. Questo succede con facilità anche nei riguardi della creatura: se amo molto una creatura, desidero conoscerla il più possibile, devo smontarla, e a un certo momento smontandola, che cosa mi rimane? Niente! Senza accorgerci noi crediamo di conoscere analizzando, ma per analisi ci troviamo con niente, cioè non abbiamo più l’essere di prima. Ad esempio analizzando il diamante, non ci resta che il carbone e abbiamo perso il diamante.

Eligio: Non è che l’analisi distrugga la sintesi, perché io posso accettare quel fatto come voluto da Dio, pur senza capirlo. Ma se io sono di fronte all’esigenza di approfondire quel segno per giungere al significato, devo pur smontarlo un pochino: e da dove parto e con quali argomenti?

Luigi: No, io direi proprio questo: che la grande legge è quella di guardare ma non toccare, cioè non smontare. Ecco, noi ci troviamo soltanto col pensiero di noi stessi, necessariamente arriviamo a distruggere, distruggiamo e non abbiamo più il segno.

Eligio: Ma lo dobbiamo fare per capire la volontà di Dio.

Luigi: Per capire la volontà di Dio, io devo guardare e non toccare: non devo smontare la cosa.

Eligio: E come l’approfondisco se non capisco?

Luigi: Perché la cosa di per sé, nella sua complessità, o nella sua unità o nella sua misteriosità, mi richiama Dio. Cioè il significato dell’opera di Dio non è quello di farmi capire com’è strutturato un albero o un filo d’erba, ma è quello di farmi alzare gli occhi dall’albero, dal filo d’erba a Lui. È in Lui che poi analizzerò (diciamo analisi, ma non c’è più l’analisi). Cioè è solo con Dio che ho la luce che mi fa vedere.

Eligio: Ah, è Dio che opererà l’approfondimento quando io sarò arrivato a Lui.

Luigi: Si, solo con Dio, perché in caso diverso, se non mi unisco a Dio, io distruggo la cosa che cerco di conoscere, cioè desiderando di conoscerla, la distruggo.

Eligio: Quindi approfondire i segni vuol dire riferirli a Dio, innanzitutto, senza fermarsi ai segni in particolare.

Luigi: Si, perché Dio è profondità. Quindi non andare all’analisi del segno, perché se mettiamo le nostre mani nel segno, perdiamo il segno e perdiamo anche la possibilità di capirlo. Invece la cosa va vista così, con i dati che il Signore ci fa arrivare. Cioè anche i dati stessi noi dobbiamo riceverli dal Signore e con quello che Lui ci dà, già reca a noi un orientamento: ci fa alzare gli occhi dal segno all’Autore del segno: è qui che abbiamo la profondità. La profondità è Lui, che mi fa trascendere il segno. Il Pensiero di Dio, mi fa trascendere il segno. Il pensiero dell’io invece mi immerge nel segno, credendo di poterlo capire; finisco di smontare il segno e perdo il segno, perché a un certo momento non l’ho più. Se smonto la creatura, ho qualche muscolo, ma ho perso tutto: non ho più la creatura. Io credevo di conoscere la creatura smontandola: sì, ho degli elementi materiali, ma la creatura non l’ho più. Cos’è la creatura? Dov’è? Io cerco l’anima della creatura, però il mio io ha visto soltanto la materia; ha smontato la materia e ha trovato niente e resto con niente e la creatura non l’ho più. Questa è una lezione che il Signore ci dà: stai attento nel modo con cui cerchi. Cioè noi possiamo anche fregarcene del segno, cioè non cercare; ma possiamo anche cercare in modo sbagliato.

Eligio: No, noi dobbiamo approfondire e il problema è come possiamo approfondire un segno di cui non capiamo niente e non abbiamo nessuna possibilità di approfondimento.

Luigi: Sì, il processo di approfondimento è alzare gli occhi a Dio. Dio stesso è profondità. Però io devo partire da Dio, perché Dio è Principio, cioè non devo partire dal segno. Dio già si annuncia a me in Sé con il suo Pensiero, con il suo Spirito e Lui opera i segni, davanti, dentro, attorno a noi: è un richiamo. È come quando mi trovo in un paese straniero: sento uno che mi dà una voce, non capisco quella voce, però il fatto che mi dia una voce, mi invita ad avvicinarmi. Questo lo capisco: capisco che in quanto mi fa giungere un suo segno, mi invita. Ora Dio opera dei segni, i segni li opera nel pensiero del nostro io, sono dei richiami, affinché noi alziamo i nostri occhi a Lui.

Eligio: Questo è l’approfondimento.

Luigi: Sì, perché Lui è profondità. Infatti Lui non è in superficie: si annuncia in superficie, ma non si fa vedere in superficie. Per vederlo noi dobbiamo staccarci: ecco la profondità. Noi dobbiamo staccarci dal segno. Il segno è sulla nostra superficie; se ci troviamo davanti a un bel panorama, se vogliamo pensare a Dio, dobbiamo chiudere gli occhi al panorama. Eppure il panorama ci ha annunciato qualche cosa, ci ha messi in movimento; ma adesso, se voglio arrivare a Colui che il panorama ci annuncia (e qui è profondità), dobbiamo staccarci dalla superficialità in cui ci trattengono gli occhi e i sensi. Quindi abbiamo un’operazione di annuncio nella nostra superficialità, cioè nel pensiero del nostro io e un richiamo di distacco dall’annuncio per arrivare all’Annunciatore, per prendere contatto con Lui.

Angelo: Cioè è l’atteggiamento di fede che deve portarci ad accettare senza pretendere.

Luigi: Sì, è il passaggio dal sesto al settimo giorno: il settimo giorno il Signore si riposa, in quanto il settimo giorno non arriva senza di noi. Il sesto giorno arriva anche senza di noi. Cioè, senza di noi, Dio ci presenta questo panorama, ma appunto perché senza Dio, non lo capiamo, non possiamo capirlo, però è un annuncio, un richiamo che Lui fa al nostro io e ci invita ad alzare gli occhi all’Autore di questo annuncio. Ecco perché abbiamo il passaggio dal sesto al settimo giorno attraverso un tempo di riposo di Dio, perché Dio attende la risposta nostra. Ora noi nel pensiero del nostro io possiamo sbagliare nel senso che possiamo, guardando al segno, cioè fermandoci al segno, e distruggiamo il segno stesso e perdiamo quindi anche l’Autore. Oppure possiamo interpretare nel senso di imitare Dio: Dio si è riposato, anch’io mi riposo; questo lo pensiamo nel pensiero dell’io. Ma Dio si è riposato non perché io imiti quello che Lui fa. Lui entra nel riposo affinché io partecipi e alzi i miei occhi verso di Lui, per conoscere Lui, perché il riposo di Dio è un invito a conoscerlo. È la pausa dopo l’opera affinché in noi maturi un orientamento verso il Creatore.

Eligio: È stato detto più volte che Dio dialoga attraverso le sue opere con noi.

Luigi: Sì, ma non soltanto opere, perché bisogna sempre tener presente che nel dialogo c’è Lui, l’opera e c’è il nostro io. Cioè abbiamo sempre un triangolo, e dobbiamo sempre tenerlo presente.

Eligio: E le sue opere sono una manifestazione di Lui.

Luigi: È un parlare: tutto avviene nel Verbo di Dio.

Eligio: Quindi l’unico modo di approfondire è trascendere i segni stessi, riferendoli a Lui, e non tanto il cercare il perché del segno.

Luigi: Sì, il perché del segno è questo richiamo a Lui.

Eligio: E quindi basta accettare da Dio il fatto che non capisco per aderire al suo invito ad approfondire?

Luigi: Sì.

Eligio: Pensavo invece che fosse necessario una penetrazione del fatto per cogliere attraverso il fatto il significato. Invece tu mi dici di trascendere.

Luigi: Sì, trascendere il fatto, perché in Lui poi avrò l’illuminazione del fatto, ma in Lui però. Arriverà il giorno in cui Lui mi farà capire, ma sarà Lui e non dipenderà da me, da una mia analisi, verrà il giorno in cui mi dirà: “Vedi, quel giorno lì Io ti ho fatto giungere quel segno per questo”. Quanto più conosciamo Dio, tanto più Lui apre la nostra mente ad intendere le sue opere, cioè quello che Lui significava a noi attraverso quegli eventi; ma gli eventi, quando Lui ce li ha fatti arrivare, ce li ha fatti arrivare affinché noi alzassimo gli occhi a Lui, perché Lui è la profondità. Lui non lo vediamo. Noi vediamo il segno, Lui non lo vediamo, ma il segno avviene proprio perché noi cerchiamo Lui che non vediamo. Il settimo giorno è l’invito ad entrare là dove noi ancora non vediamo niente.

Eligio: Ti ho fatto questa domanda perché è stato detto più volte che Lui dialoga con noi con i mezzi che noi possiamo percepire. Ora mi trovo davanti ad una quantità enorme di messaggi che io non percepisco assolutamente. Come devo fare? Ora tu mi dai la risposta: trascendi il fatto, sali a Dio.

Luigi: E in Dio avrai poi la luce sul fatto, ma quando Dio vorrà, non quando vuoi tu.

Angelo: Non è che io debba cercare di capire il fatto.

Luigi: No.

Angelo: La nostra parte è solo questa: alzare gli occhi e riferire a Lui.

Luigi: Di trascendere e di guardare Lui.

Pinuccia: Cioè pensare a Lui?

Eligio: Ma allora per quale ragione Lui parla a me attraverso una moltitudine innumerevole di fatti che non capisco assolutamente?

Luigi: Perché io in continuazione mi separo da Lui. Stiamo andando verso una meta e continuamente sbagliamo strada e in continuazione abbiamo bisogno che Lui, attraverso fatti diversi, segnali diversi, ci riconduca sempre sulla strada giusta. Perché noi nel pensiero dell’io, naturalmente non siamo uniti a Dio, siamo creati in coppia con Lui, ma non stiamo. Noi ci allontaniamo, ci disperdiamo, e Lui ci sorprende in tutte le nostre dispersioni e ci riconduce in continuazione. Ogni creatura che Lui ci fa incontrare, ogni fatto è una voce sua che ci riprende da una nostra distrazione e ci converte a Sé.

Eligio: Una voce che personalmente invia a me?

Luigi: Personalmente, si capisce, perché Lui sta dialogando personalmente con ognuno di noi.

Eligio: E che io sistematicamente non capisco.

Luigi: E no, perché vedi, per capire il segno ci vuole lo Spirito di Colui che lo fa. Cioè io capisco il segno nella misura in cui capisco l’Autore del segno. Più sono in amicizia, in intimità con l’Autore del segno, e più capisco il segno; ma più sono lontano dalla conoscenza dell’Autore e meno anche ho la possibilità di capire i suoi segni. Arrivo al punto in cui non vedo più l’Autore, vedo solo il segno e qui distruggo il segno. Nel pensiero dell’io, distruggo il segno. Il nostro io diventa un distruttore. Nel pensiero dell’io, non uniti al Pensiero di Dio, noi distruggiamo lo stesso segno che vorremmo capire. Se tu vuoi capire, non toccare il segno; rispettalo, cerca soltanto di intendere il senso, il significato, cioè l’orientamento che il segno ti dà. Ad esempio se tu non capisci quel segno, il non capire ti crea una situazione di umiltà, quindi il bisogno che uno ti illumini. Ecco, è quello che Dio vuole. Bisogna che noi alziamo gli occhi al Maestro che ci illuminerà, perché Lui è la conclusione di tutta la sua opera. Dio non opera, né per farci lavorare, né per farci riposare: Dio opera in tutte le cose per rivelare Se stesso a noi. Quindi è Lui la conclusione dell’opera, di tutta la legge, di tutte le creature, di tutti i segni. Allora se noi guardiamo a Lui entriamo nel settimo giorno, conclusione di tutta l’opera di Dio. Però c’è questo fatto, che noi non possiamo guardare a Lui, ed è l’argomento di oggi, senza il Verbo di Dio. Qui apparentemente si direbbe che siano due operatori perché: “Il Padre mio opera ed anch’io opero”. Ma solo apparentemente; in realtà l’Operatore è unico, perché il Padre e il Figlio formano una cosa sola, un Essere solo. Eppure il Figlio si giustifica dicendo: “Il Padre mio opera ed anch’io opero”. L’opera che fa il Figlio è proprio quell’opera del sabato, del settimo giorno, in cui completa ciò che il Padre ha iniziato. Infatti Gesù stesso dice: “Io sono venuto per compiere l’opera che il Padre ha iniziato”. Il Padre crea, dà l’esistenza alle cose, ma senza giustificarle. Noi ci troviamo in questa situazione. Il Verbo è quello che invece cerca la giustificazione di tutto nel Padre. E noi, se non siamo col Verbo di Dio, cerchiamo una giustificazione altrove, distruggendo le cose: annulliamo ciò che è fatto. Con il Verbo noi cerchiamo la giustificazione nel Padre. Cioè il Verbo di Dio portandoci al Padre ci porta alla conclusione dell’opera. Noi infatti vediamo che la conclusione dell’opera del Cristo è la consegna al Padre attraverso la preghiera sacerdotale, con cui consegna al Padre tutti coloro che sono stati con Lui. Ecco la conclusione: la consegna al Padre. Ciò vuol dire che Lui viene a prendere noi dalla nostra dispersione. L’importante è questo: che noi restiamo con Lui, con il Verbo, perché è il Verbo che ci porta al Padre. È il Verbo che parla a noi del Padre. Per questo dico: è lo stesso Essere. Non abbiamo due esseri, perché il Verbo viene a noi soltanto parlandoci del Padre. Quindi è sempre il Padre che opera. Però abbiamo l’opera del Verbo che è distinta perché è l’opera di giustificare nel Padre.

Pinuccia: Che è la stessa opera del Padre?

Luigi: È lo stesso Essere, e sono due persone diverse.

Pinuccia: Ma il Verbo compie la stessa opera del Padre?

Luigi: È la stessa opera del Padre, perché la conclude.

Eligio: Ecco la risposta al problema che ponevo: noi da soli non dobbiamo analizzare. Da soli non approfondiamo ma distruggiamo. Noi approfondiamo solo se uniti al Verbo. Perché non potevamo dirlo domenica scorsa?

Luigi: Domenica scorsa ci siamo fermati sulla prima parte: “Il Padre mio opera fino a questo momento” e avevamo bisogno di giustificare i sei giorni e il settimo giorno (tutta l’opera dei sei giorni che si conclude nel settimo). Avevamo detto questo: che tutta l’opera dei sei giorni si conclude con il desiderio del settimo giorno. Dio opera nei sei giorni ed opera quindi senza di noi per suscitare in noi il desiderio di conoscere Lui, ed abbiamo qui la vigilia del settimo giorno. Ora noi corriamo un rischio: possiamo arrivare alla vigilia del settimo giorno soltanto col pensiero dell’io. E invece abbiamo bisogno del Verbo di Dio che ci mantenga uniti al Padre. Abbiamo detto che tutte le opere di Dio arrivano a noi attraverso questi sei giorni, quindi noi al sesto giorno prendiamo coscienza: è la creazione che comincia a prendere coscienza di esserci; a questo punto siamo come Adamo ed Eva: ci possiamo separare e dire: “Sono io”. Abbiamo questo rischio: di separarci da Dio e di pensare soltanto a noi stessi e al bene della cosa o alla curiosità di essa; per cui ci lasciamo portare via soltanto dal segno, dalla curiosità del segno o dalla utilità che esso mi dà. Vedi che è metterlo solo in rapporto all’io? Mettendolo in rapporto all’io in un modo o nell’altro, sia che guardi all’aspetto utilitario, sia all’aspetto dell’intelligenza, io distruggo il segno. E distruggendo il segno, naturalmente distruggo il supporta sul quale mi sostenevo: taglio il ramo su cui ero seduto e cado anch’io. Quel segno o quel ramo era per sostenere me affinché io alzassi gli occhi a Dio. Invece staccandomi da Dio, dal Verbo di Dio pensando solo a me, senza accorgermi, io taglio il ramo dell’albero: cade il ramo e cado anch’io. Ecco l’importanza di mantenerci sempre uniti al Verbo di Dio, poiché noi ci troviamo di fronte alle opere di Dio. Dobbiamo mantenerci uniti al Cristo, perché il Cristo ci parla del Padre. “Io sono venuto a raccogliere e a portare a compimento l’opera che il Padre ha iniziato”. Quindi il Padre inizia l’opera. Quest’opera però non si conclude senza di noi; ma proprio perché non si conclude senza di noi, reca a noi il rischio di separarci da Dio.

Eligio: Il Padre inizia l’opera è l’equivalente che la verità si annuncia in superficie?

Luigi: Sì.

Eligio: Dio dialoga con noi coi fatti, con la creazione, annunciandoci in superficie la sua presenza; per l’approfondimento dobbiamo incontrare il Cristo.

Luigi: Sì, è il Cristo che ci porta a conoscere il Padre; non possiamo conoscere il Padre senza il Figlio. Quanto più noi conosciamo il Padre, tanto più nel Padre noi abbiamo la chiave per capire i segni. Magari un avvenimento che al nostro io interessava conoscere, il Padre ce lo riserva come conoscenza all’ultimo, mentre incomincia a farsi conoscere tante altre cose, perché lavora sul nostro io per mantenerci uniti. Egli soddisfa meno quello che interessa il nostro io; per cui mentre noi avremmo tanto desiderio di conoscere certe cose, quelle il Signore ce le chiude e invece ce ne fa conoscere tante altre; questo sempre per farci capire che è Lui il Padre di noi e non siamo noi quelli che stabiliscono i tempi, perché noi corriamo anche il rischio di strumentalizzare Dio per la nostra soddisfazione. No, invece noi dobbiamo imparare a vivere in tutto come figli del Padre. E quindi l’iniziativa è sempre del Padre in noi.

Nino: Tu dici rimanendo uniti al Verbo.

Luigi: Al Verbo che parla a noi del Padre, perché il Padre parla a noi in tutto.

Nino: L’unione col Verbo si fa attraverso la sua parola: “Se resterete nelle mie parole, conoscerete la verità”.

Luigi: Sì, nelle “mie parole”: la caratteristiche è in quelle “mie”. Implica la Persona.

Nino: Quindi la nostra opera di approfondimento di ogni avvenimento, di ogni cosa, va fatto alla luce di queste sue parole.

Luigi: La luce che illumina è una luce che discende dall’alto, non è una luce che sale dal basso. Cosa vuol dire discendere dall’alto? Ora quanto più in noi si forma la conoscenza di Dio, l’amicizia con Cristo, tanto più questa luce discende anche sopra gli avvenimenti a poco per volta e ce li illumina, ma non ci deve essere la pretesa da parte nostra di anticipare l’avvenimento nei riguardi di Dio, pur correndo tale rischio.

Eligio: E meno ancora di partire dai segni per cercare di capire cosa Dio vuol dirci.

Luigi: Perché lì distruggiamo il segno: perdiamo il segno e perdiamo Dio.

Eligio: Domenica scorsa è stato detto letteralmente così: noi dobbiamo approfondire quanto Dio in superficie ci annuncia perché lì noi non cogliamo la verità, ma soltanto attraverso l’opera di approfondimento la possiamo trovare. Quindi di fronte ad un avvenimento oscuro, da dove parto per capire la volontà del Signore? Sono fermo e non capisco niente.

Pinuccia: Tanto più quando i dati sono contrastanti per cui le cause possono essere diverse.

Luigi: Ma questo non interessa. Interessa invece proprio il fatto che Dio ci mette di fronte ad un muro, ad un fatto che noi non possiamo analizzare e non possiamo giudicare. Ci mette cioè di fronte ad una situazione di povertà: “Signore, chissà che cosa mi vuoi dire”. Basta questo, perché mentre dico: “Signore, chissà che cosa mi vuoi dire”, alzo gli occhi al Signore e compio la sua opera. E il Signore mi dice: “Ma era proprio questo che io volevo dirti: volevo metterti di fronte ad una cosa che tu umanamente non puoi capire minimamente affinché tu alzassi gli occhi a me: “Qui è tutto fatto”.

Eligio: Ci sono segni molto sconcertanti, come per esempio quello del filosofo Ardigò.

Angelo: Sono tanti gli avvenimenti che sconcertano.

Luigi: Si capisce.

Eligio: Sono segni che in superficie mi annunciano una certa verità; l’approfondimento, certo, se parto dal segno, non ne capisco nulla.

Pinuccia: Tanto più quando i segni offrono dei dati contrastanti.

Luigi: Appunto perché il problema nostro non è capire i segni, ma è capire il senso dei segni, l’orientamento che essi danno a noi.

Nino: E capire attraverso i segni la volontà sua.

Luigi: La volontà di Dio è Dio stesso.

Eligio: Ma qui si voleva approfondire che cosa intendiamo per approfondire.

Luigi: Dio è la profondità; non lo vediamo e naturalmente non lo vedremo mai, perché richiede il superamento di tutto ciò che vediamo; si annuncia in superficialità, cioè nella situazione in cui ci troviamo: io mi trovo in America, Dio mi manda i suoi segnali in America; mi manda il segnale dove sono io e mi chiama ad andare dove Lui è. Il suo segno non è Lui, è un segno suo, cioè il suo segno avviene nel pensiero del mio io: io sono chiuso, fossilizzato nel pensiero di me stesso, e Lui si annuncia anche nel mio pensiero. Io sono nel peccato? Lui si annuncia anche nel mio peccato. Dio ha la possibilità di penetrare tutto Dio noi, perché è superiore anche al nostro peccato. Quindi Lui si annuncia dappertutto: “Se io scappassi anche nel seno della terra, Signore, tu là ci sei”. Ecco, Lui è dappertutto, si fa sentire ovunque. Però non si fa vedere; il che vuol dire che Lui manda a noi i rumori, diciamo così, ma non vediamo l’oggetto. Ora proprio quel rumore, quell’annuncio, quel segno che Lui mi dà, quella pietra che Lui mi lancia, me la lancia perché io abbia a chiedermi: “Chi è che mi ha buttato la pietra?”. Noi invece nel pensiero dell’io corriamo dietro la pietra, incominciamo ad osservare la pietra. No, guarda Chi ti ha gettato la pietra: l’importante è questo. Direi che tutte le cose che avvengono sono delle pietre che Dio ci lancia affinché abbiamo ad alzare gli occhi a Lui. Noi siamo lontani da Lui, dal pensare Lui, allora Lui continuamente ci richiama a Sé. E guardando a Lui, Lui ha qualcosa da dirci, non della pietra ma di Sé: la pietra ormai ha concluso la sua missione, capisci che guardando a Lui il significato della pietra è soddisfatto? Compiuto?

Eligio: Sì, è come se uno arrivando ad una casa si fermasse al campanello.

Luigi: Succede questo: guardando Lui, la Verità, l’Amore, la vita che trovo mi fanno capire l’amore che ha avuto nel mandarmi quella pietra, mi fa capire cioè il significato di quella pietra, ma dopo che ho trovato Lui. Cioè più noi entriamo nell’intimità con Lui e più allora capiamo anche tutte le opere sue e la profondità che c’è nei suoi segni. Prima il segno è arrivato a noi soltanto per smuoverci; dopo invece intenderemo anche ciò che di Lui c’è nel segno.

Angelo: Quante volte le cose si intendono dopo!

Luigi: Si intendono dopo appunto per dirci che l’intelligenza non è opera nostra, Lui è la nostra intelligenza.

Nino: Dobbiamo anche essere pazienti.

Luigi: Ma quando si dice pazienti, non è mica che il Signore dica: “Voglio che tu sia paziente”, per cui se mi arriva una mosca me la debbo tenere sul naso per dimostrare la pazienza. Dio non opera per farci diventare pazienti. No, la pazienza è soltanto determinata dal fatto che dobbiamo aspettare tutte le cose da Dio, perché dobbiamo dipendere da Dio. Il problema non è né di sudare e né di riposare. Il problema è quello di imparare a convivere con Lui, perché vita eterna è convivenza con Lui. Ma convivere con Lui vuol dire rispettare Lui come Iniziatore di tutto, per cui nella vita eterna faremo una cosa sola con il Verbo, il quale Verbo accetta sempre l’iniziativa del Padre e conclude nel Padre, riporta al Padre. Cioè il Figlio è Colui che in tutto riconosce il Padre e riferisce tutto al Padre, ma dipende sempre in tutto dal Padre. Attualmente non siamo figli, ma siamo chiamati a diventare figli e quindi a fare l’opera del Figlio. E qual è l’opera del Figlio? Il Figlio non può fare niente se non lo vede fare dal Padre; ma come lo vede fare dal Padre, lo riporta al Padre, lo riporta al Padre, perché lo attribuisce al Padre, per cui forma una cosa sola col Padre. Ecco perché non abbiamo due principi operatori, ma un Principio solo; però abbiamo due persone, perché riportando al Padre nasce dal Padre e quindi si distingue dal Padre.

Eligio: Come concludere in Dio le proposte che Dio ci fa in superficie? Come cioè realizzare la situazione di figli?

Luigi: Il Figlio è un Essere che ha l’intelligenza del Padre, è l’Essere che nasce dal Padre, ed è una situazione diversa dalla situazione nostra. Noi nasciamo dall’abisso, dal nulla, per cui le cose arrivano a noi e noi non capiamo niente.

Eligio: Però sappiamo che sono proposte, iniziazioni del Padre.

Luigi: Per questo noi riceviamo dalle cose il movimento verso Dio; ma è un movimento cieco, perché noi non capiamo il segno in sé, capiamo soltanto la pietra che ci viene lanciata e che ci fa alzare gli occhi a Dio. Qui non sono nella situazione di Figlio.

Eligio: Sono chiamato a diventare figlio.

Luigi: Si.

Eligio: Cioè la pietra devo riportarla al Padre.

Luigi: No, devo riportare me stesso, non la pietra (non devo fare come il cane che va a prendere la pietra e la riporta al padrone). La pietra la lascio andare, devo trascendere il segno.

Eligio: Ma con me stesso porta la pietra. Io naturalmente devo partire dal segno, non potrei partire da me stesso, non porterei me stesso al Padre. Senza questi segni che costituiscono la pedagogia di Dio, non potrei dialogare con Dio.

Luigi: Si, certo, ci mettono in movimento verso Dio. Ma Dio ci mette in movimento verso di Sé, affinché noi in Lui nasciamo da Lui: è qui che abbiamo la situazione del figlio. Abbiamo una nascita nuova. Noi, mantenendoci uniti al Figlio che discende a noi, che parla a noi del Padre e ci conduce al Padre, non siamo ancora figli, fintanto che non nasciamo dal Padre come Lui nasce. Qui abbiamo la nascita nuova, abbiamo un io nuovo. Prima l’io che riceve la sassata, è l’io che nasce dalla notte, che nasce dalle tenebre, che nasce dall’abisso: è quell’io vecchio che può staccarsi da Dio e può distruggere anche i segni. Se invece raccoglie il segno di Dio, cioè resta nel Verbo di Dio che lo porta al Padre, allora dal Padre nasce un io dall’Alto, un io dal Padre. Qui abbiamo un io che si conosce, un io illuminato.

Angelo: Questo sarebbe vedere fare tutto dal Padre, cioè questa conoscenza?

Luigi: Si, ma prima di vedere far tutto dal Padre, abbiamo l’io nostro che nasce dal Padre cioè ci conosciamo come figli del Padre. Ma questo presuppone già l’essere andati al Padre con Cristo. Cioè è per mezzo di Cristo che noi nasciamo e entriamo nel regno di Dio in tutto.

Eligio: E in questo secondo tempo, che funzione hanno i segni?

Luigi: Qui cominciamo ad essere illuminati. Hanno la funzione di dialogo: Dio che dialoga con noi. Abbiamo in noi stessi la luce, Prima avevo una parola straniera, ora mi trovo tra parole amiche, dello stesso paese della nostra anima. Faccio l’esempio di una lingua straniera: prima mi trovo con  una persona straniera che parla a me, però in quanto mi attrae ed io incomincio a guardare lui; guardando lui, nasco da lui con la sua lingua: nascendo così con la sua lingua, ora che parla, non parla più come straniero a me, ma parla come amico; sono della stessa sua casa, sono della stessa sua patria. Per cui il Padre parlando mi illumina i segni che fa, allora c’è la gioia, lo Spirito Santo, la gioia della partecipazione, perché Dio parlando rivela a noi i suoi disegni, diventa tutto chiaro, cioè ci rende partecipi, e allora la sua parola diventa un’unione sempre più intima, vita eterna: qui siamo nella vita eterna. È comunione con Dio.

Pinuccia: Noi dobbiamo stare uniti al Verbo per giungere al Padre senza sapere che Lui è il Verbo?

Luigi: Senza saperlo, non lo possiamo: “Mi conoscerete allora, nel Padre. Finora non potete capire chi io sono”. È dal Padre che viene a noi la luce sul Figlio. “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”, lo dice anche a noi e per noi. Quindi vuol dire che anche noi non possiamo conoscere Lui. Però se abbiamo interesse per Dio, ecco il problema, se abbiamo amore per Dio, se siamo attratti dal Padre, questa attrazione del Padre ci mantiene uniti a Lui, perché nessuno ci parla come Lui di quello che sta a cuore a noi. A me sta a cuore Dio? Sono attratto da Dio? Mi unisco con Colui che mi parla di Dio! Non mi unisco con colui che mi parla di cose vane, non so cosa farmene. Non so ancora chi sia Cristo; so però che mi parla di ciò che mi interessa. È questo il fatto.

Nino: Cioè so che è Lui per via di fede.

Luigi: Beh, a posteriori lo so così; però anche la via di fede non è quella conoscenza che noi avremo nel Padre. La conoscenza che avremo nel Padre è una cosa molto diversa.

Nino: Se noi oggi siamo qui è perché già siamo convinti per fede che Lui è via, verità e vita.

Luigi: Certo, se no saresti altrove.

Pinuccia: All’inizio hai detto che Dio non opera per farsi conoscere…

Luigi: Dio opera per farsi conoscere. Dio non opera per farci lavorare, né per farci riposare; Dio opera per farsi conoscere.

Domenica scorsa si è detto che ogni cosa non capita deve diventare in noi notte che invoca l’alba: l’alba del settimo giorno, la conoscenza di Dio. È proprio l’attesa dell’alba che ce la fa incontrare. Quindi tutti i sei giorni arrivano a noi per metterci in questa notte che attende, desidera l’alba. Ora, come la nostra anima desidera l’alba è arrivato al compimento dei sei giorni. Cioè i segni sono compiuti in questo desiderio dell’alba, desiderio del giorno di Dio. È la fame, ma la fame si forma proprio attraverso questo portare con noi tante cose che non capiamo. Ecco, le cose che non capiamo ci portano nella fame. Ma la fame è poi la condizione per gustare il pane. Quindi Dio opera attraverso i sei giorni della creazione, questa creazione che continua anche adesso (“Il Padre mio opera anche adesso”), quindi i sei giorni sono in ogni cosa: opera per formare in noi la fame che è la condizione per poter gustare il pane; e noi gustando il pane, nutrendoci di esso, cominciamo a vivere.

Eligio: Però si è anche detto che la parola non capita viene dall’io dispersa e distrutta.

Luigi: Certamente. Le cose di Dio vanno giudicate nel desiderio che infondono in noi. Non capita s’intende non desiderata capire, sia nel senso che la parola è trascurata, disprezzata, sia nel senso che ci trova occupati in altro e quindi con la mente e il cuore non disponibili. Se non tengo conto di Dio che parla con me, mi sento ricco, perché non c’è il problema di capire; ma se tengo conto di Dio, capisco la mia povertà, il mio niente.

Eligio: Ma io so di essere povero, so di non capire, ma questo non risolve il problema.

Luigi: No, uno è povero in quanto sente il bisogno.

Eligio: Il bisogno di approfondire e di incontrare qualcuno che lo illumini.

Luigi: Lettura dell’ultima parte della conversazione di domenica scorsa: “Dio riserva a Sé la formazione dell’uomo: “Io stesso verrò …”. Il futuro indica quello che tu capirai domani, ma Io già opero con te questo. Quindi se dice: “Io stesso verrò”, è perché Lui è con me . “Se Dio opera ancora ora, tutto dobbiamo accogliere da Lui”, ma questo non basta; dobbiamo capire il significato, orientandoci al settimo giorno, perché se ci fermiamo al sesto giorno, rimaniamo preda delle stesse opere di Dio. Ecco, l’opera non compiuta non può essere trattenuta; ecco, qui abbiamo la perdita, la parola è riassorbita. È l’azione di rigetto; il corpo diventa estraneo. Tutta l’opera di Dio era per muoverci verso la sua conoscenza, ma se noi non ci muoviamo in questo senso, diventiamo estranei a tutto l’universo, e l’universo ci rigetta: abbiamo il processo di disgregazione, di aborto: “Dio è il Principio unificatore”: se manca a noi questo principio, per quanto noi ci affatichiamo, non riusciamo ad unificare niente. Ecco allora la necessità di: “Cerca prima di tutto Dio”, quindi: “Supera sempre tutti i tuoi problemi, anche quelli che non sono risolti, supera tutto e guarda Dio; in Dio troverai la soluzione del problema. “Tutto il resto ti sarà dato in soprappiù”.

Eligio: Ero partito dalla tua esortazione sulla necessità di approfondire, non tanto di porre dei problemi e non tanto per capire il segno in sé, ma per sapere come collegarmi a Dio attraverso il segno.

Luigi: Sì, ma ti collega in quanto il segno ti mette in movimento verso Dio. “È Dio che quanto più è conosciuto da noi tanto più ci unisce e ci fa una cosa sola”; ecco, anche se noi non volessimo volerci bene, in Dio non possiamo farlo, perché Dio ci unisce, invece senza Dio, per quanto diciamo: “Vogliamoci bene!”, cinque minuti dopo siamo lì che litighiamo, non possiamo farne a meno!

Eligio: Dio è il principio dell’armonia e chi è unito a Lui è nella gioia perché è nell’armonia. Come mai allora Gesù ha portato molta sofferenza e tristezza nella sua vita?

Luigi: Ha preso su di Sé i nostri peccati.

Eligio: Ma Lui in Dio poteva anche vedere l’esito buono delle sue sofferenze, eppure era triste.

Luigi: Non è detto. Non è automatico. Il Cristo è morto, ma noi non siamo salvati: morendo ci ha dato la possibilità della salvezza.

Eligio: Ma perché Gesù pur avendo una visione universale del male morale che c’è nel mondo, pur sapendo che questo male avrebbe avuto in Dio un esito buono, era triste? Eppure sapeva che il Padre avrebbe utilizzato tutto per un fine buono.

Luigi: Si, Lui vedeva il fine buono, ma l’esito non è automatico.

Nino: Gesù ci vede nel rischio.

Luigi: Certo, ci vede nel rischio, perché l’esito non è automatico.

Eligio: Ma allora chi è in armonia con Dio e quindi con tutto, non può avere un sentimento di gioia, dato che Gesù non l’ha avuto.

Nino: Gesù è una persona particolare.

Luigi: Gesù è venuto a raccogliere quello che si disperdeva. Però ha visto anche la possibilità del rifiuto, perché Lui ha preso si di Sé il nostro peccato. Non è stato per Lui una gioia il morire sulla croce. La condizione per offrirci questa salvezza è stata quella di mettersi nelle nostre mani, perché quando uno ama, si mette nelle mani dell’altro. Abbiamo fatto l’esempio di un regalo fatto ad una persona rozza: quanto più il regalo è nobile, tanto più corre il rischio, messo tra le mani di una persona rozza, di essere disprezzato, calpestato, distrutto. Ora non è che Dio abbia fatto un regalo extra: Dio ha donato Sé stesso nelle mani dell’uomo, e quindi ha subito tutte le conseguenze di questo dono. Dio creando l’uomo si è messo nelle mani dell’uomo e l’uomo l’ha trascurato. E trascurare, non tener conto, vuol dire uccidere. Ora, “Non è per gioco che Io vi ho amati”, non è stato un gioco, non è stato un divertimento: si è veramente dato! Noi non ci rendiamo sufficientemente conto che effettivamente portiamo il di Dio in noi: Dio si è veramente donato a noi! E questa è la condizione assolutamente necessaria per aprirci alla vita eterna! Ma non automaticamente arriviamo alla vita eterna!

Eligio: Ma chi è unito a Dio, che è in armonia con Dio, prova un sentimento di gioia, no?

Luigi: La gioia è armonia.

Eligio: Mi ha stupito molto allora questa espressione: “Gesù non ha mai riso”. E allora noi?

Luigi: Ma noi non siamo capaci di portare il carico di Gesù.

Pinuccia: Però la gioia è un dono di Dio.

Luigi: Sì, anche il dolore è dono di Dio. Anche Gesù ha avuto della gioia, perché esultò di gioia: “Padre ti ringrazio …”. Altre volte disse: “Non ho mai trovato tanta fede in Israele …”, quindi ha avuto qualche soddisfazione.

Nino: Ha avuto l’amicizia …

Luigi: Certo, Lui ha ringraziato anche i suoi discepoli all’ultimo per essere stati con Lui nella prova, quindi ha avuto conforto, però nello stesso tempo ha avuto momenti di grande tristezza. Certo, non ha riso mai, non ha mai raccontato barzellette, per esempio. Lui portò una missione molto grave. E noi non abbiamo certamente il suo spirito, la sua intelligenza, la sua grandezza e l’amplitudine della sua mente. Noi siamo molto difettosi, per cui di fronte ad una inezia (magari vicino abbiamo un abisso, ma vediamo solo quella), ridiamo e scherziamo, facciamo dell’umorismo e non ci accorgiamo di quello che ci sta attorno. Ma Lui no!

Eligio: Però dobbiamo riferirci a Lui.

Luigi: Certo, è logico.

Eligio: Ma come mai noi che siamo creature imperfette proviamo un senso di gioia, mentre Lui prova un senso di pena?

Luigi: Facciamo l’esempio: stiamo scivolando sulla neve in montagna e ridiamo contenti. Dio che vede dall’alto dice: “Che disgraziati, stanno scivolando verso la morte e dicono che è bello scivolare giù!”. Lui vede il precipizio verso cui stiamo andando, mentre noi non lo vediamo. È una gioia di superficialità.

Eligio: Ma San Paolo parla di gioia vera.

Angelo: Lo Spirito è gioia.

Luigi: Lo Spirito Consolatore, lo Spirito di Verità. Gesù dice: “Quando verrà lo Spirito di Verità vi darà una gioia che nessuno più vi potrà togliere”; questa è la gioia dello Spirito Santo, ma quando si è nello Spirito Santo siamo nella salvezza. Qui con Cristo siamo in un processo di tragedia.

Nino: Gesù dice che il suo giogo è leggero, però Cristo aveva altri problemi dai nostri.

Pinuccia: Però quando dice: “Affinché la mia gioia sia in voi”, parla della sua gioia: dice chiaramente che Lui ha la gioia.

Luigi: Sì, certo, la gioia del Padre. Ma la gioia come Persona, Figlio del Padre, si capisce, ma in quanto Lui ama noi, quindi si incarna per noi, prende su di Sé noi e qui abbiamo la croce. Noi siamo una croce per Lui: siamo molto più croce che gioia. Si, si capisce, il giorno in cui arriviamo a Pentecoste, allora entriamo in un'altra fase, di gioia: abbiamo superato il periodo critico. Perché fintanto che noi siamo dispersi da tutte le cose, distratti da tutte le cose …

Pinuccia: Siamo causa di croce per Lui.

Luigi: “Fino a quando vi sopporterò?” dice Gesù. E lo dice ai suoi apostoli, non lo dice ai nemici. “Fino a quando vi sopporterò? Siete anche voi senza intelligenza, non capite niente?”. E Lui con pazienza sempre lì a spiegare con parabole, e loro a fargli la questione: chi è il primo? Chi è il secondo? Ci manca il pane! Come faremo qui? Come faremo là? Insomma: “Fino a quando vi sopporterò?”. Era un motivo di tristezza perché la tristezza non si riceve dai nemici; la vera tristezza si riceve dagli amici, cioè dalle persone da cui uno si aspetta molto di più, perché in esse ha confidato di più: “Io vi ho chiamato amici perché vi ho fatto conoscere tutto ciò che ho ricevuto dal Padre mio”. E sono amici che nel momento critico scappano, tutti se ne vanno. Arriva che il primo di tutti addirittura arriva a dire: “Io non l’ho mai conosciuto! Non so nemmeno chi sia!”. Ti rendi conto di cosa vuol dire questo? Non è gioia prevedere tutto questo! Ora Lui ha preso su di Sé tutto questo, perché quando risuscita, dice: “La pace sia con voi!”. E a chi lo dice? Proprio a quello che due giorni prima aveva detto: “Io non conosco quell’uomo!”. Eppure Gesù ritorna e come fa a dire: “La pace sia con voi?”. Ma perché è morto per noi e in quanto è morto, ora ritorna e può dare la pace. Solo Lui può darla. Però la sofferenza c’è stata. Indubbiamente come Figlio di Dio non è morto. Lui è morto in quanto si è fatto figlio dell’uomo, cioè si è messo nelle mani dell’uomo. E l’uomo l’ha ucciso. E questo non è gioia. Ora teniamo presente che Cristo è rivelatore di quello che avviene nella nostra anima con Dio. Cosa vuol dire: Cristo si è dato, si è fatto figlio dell’uomo? Vuol dire che Cristo si mette nelle nostre mani. Dandoci la vita, dandoci l’esistenza, dandoci la possibilità di pensarlo, Dio stesso si mette nelle nostre mani. E noi lo trascuriamo, lo uccidiamo. Cristo ci rivela questo mistero. Ha rivelato una volta per tutte quello che avviene nella vita di ognuno di noi. Siamo miliardi? Siamo miliardi che compiono tutto questo. Eppure è necessaria questa morte, perché proprio attraverso questa morte la creatura si apre alla conoscenza di Dio.

Eligio: Nell’unione con Dio penso se è possibile accogliere con gioia un fatto drammatico. Sant’Ignazio di Antiochia è andato incontro ai leoni con gioia.

Luigi: A volte noi pensiamo che il grande dolore sia quello fisico. Anche Sant’Ignazio di Antiochia se avesse visto un’anima dannarsi non l’avrebbe accolto con gioia, ma avrebbe provato sofferenza, molta, molto di più che l’essere sbranato dai leoni. Perché ad un certo livello, il fisico conta pochissimo. Anche Cristo ha sofferto molto di più nel Getzemani, e fu tutto un dolore morale!

Angelo: A me è rimasto come pensiero l’importanza della conoscenza di Dio, di questo suo amore.

Luigi: Ma è necessario il superamento di tutti i segni; ci vuol sempre questa trascendenza. Quindi non fermarci nemmeno ad analizzare i segni: non è questo il problema. È necessario prendere contatto con Dio.

Angelo: Quindi non deve tanto importare di arrivare a conoscere il significato dei segni, quanto quello di pensare subito al Signore.

Luigi: Certo, perché nell’analisi del segno è il nostro io che si afferma. È il nostro io che diventando assoluto vuole assorbire tutto, perché il nostro io, come si stacca da Dio, prende subito il posto di Dio, diventa un assoluto, e allora non può sopportare il mistero  e deve analizzare. Di lì viene la necessità di fermarsi al segno e di analizzare e non si accorge che lo distrugge. Invece con Dio noi possiamo sopportare: con Dio sopportiamo il mistero e lo superiamo.

Silvana: Quindi riferiamo a Dio e abbiamo il pensiero a Dio, e poi?

Luigi: In Dio la preoccupazione diventa conoscere Lui per scoprire la sua Presenza.

Silvana: In quei segni?

Luigi: Bisogna dimenticare il segno. Il segno è servito soltanto per lanciarci. L’esempio della pietra mi sembra che aiuti. Il segno è la pietra lanciata. Dio ci lancia la pietra affinché guardiamo a Lui, perché ci eravamo dimenticati di Lui. Lui ha cose nuove da dire a noi; non vuole spiegarci la pietra che ci ha lanciato, ma qualcosa di Sé.

Silvana: Siccome le cose hanno due aspetti, l’aspetto eterno allora lo si scoprirà nella vita eterna.

Luigi: Si, più noi siamo in amicizia con Dio, più noi abbiamo la possibilità di vedere ciò che di Sé Dio ci significa in tutto. Chi dà a noi la possibilità di vedere l’aspetto eterno di tutte le sue opere è Dio stesso. Senza Dio noi vediamo soltanto l’aspetto orizzontale tra il nostro io e la cosa. Più invece conosciamo Dio e più abbiamo la capacità di vedere. Ecco perché Gesù dice: “Cercate prima di tutto Dio”. Ecco, c’è un panorama bellissimo: non fermarti, cerca prima di tutto Dio. È Dio che lo sta facendo! È Dio che ti sta parlando in questo momento davanti ai tuoi occhi; è una pietra che ti lancia perché tu alzi gli occhi a Lui. Lui ha qualcosa più importante dell’erba o del panorama che è già tanto bello. Più noi conosciamo Lui e più intendiamo che cosa di Sé Lui ci significa attraverso queste cose. Ma è l’amicizia con Lui, soprattutto la scoperta della sua Presenza in noi, perché Lui è in noi che parla e crea le cose, che ci dà la possibilità di leggere le sue opere e di intenderle.

Silvana: Supponiamo che io riesca a farlo …

Luigi: Non è che tu ci riesca. È Lui che può riuscire in te.

Nino: Io penso che la conoscenza dei segni sia progressiva e nella misura in cui chiediamo la luce, Lui non si nega mai e qualcosa ce lo fa capire subito.

Luigi: Si, può anche darsi … Ma non è sufficiente dire: “Devo chiedere la luce su questo …”. Lui ha qualcosa di più importante da comunicarci che non l’avvenimento in sé e il perché di esso. Certo, può chiarirlo, ma l’essenziale è al di sopra del segno.

Nino: Quando chiediamo luce, avendoci già elevati al suo Pensiero, a me sembra che ci dica immediatamente qualcosa che poi col tempo si chiarifica sempre di più.

Eligio: Se il denominatore comune di ogni fatto è quello di riportarci a Lui, per quale ragione Dio mi manda tanti segni diversi?

Luigi: Perché noi continuamente ci separiamo da Dio. Se Lui ripetesse soltanto lo stesso segno, lo stesso segno ripetuto non farebbe più presa, non sarebbe più valido in noi. Per questo ci manda segni diversi. È la molteplicità della creazione che sotto un certo aspetto denuncia la molteplicità delle nostre distrazioni da Lui. Ogni nostra distrazione chiede a Dio un segno nuovo, perché il segno nuovo ci riporta a Dio, il segno vecchio non ci riporta più. Se Lui fosse monotono, nella monotonia noi diremmo: “Questo è già una storia vecchia”, non vi faremmo più caso. Non premerebbe più su di noi. Invece Lui ci sorprende. I fatti sono dono di Dio. Lui arriva fino al dono totale di Sé. Come Lui ha donato Se stesso, il tempo è finito. Non abbiamo un tempo infinito. Dio arriva a donare tutto Se stesso. Incomincia con segni elementari per arrivare a donare il suo stesso Pensiero. Ma sono sempre fatti nuovi che ci sorprendono, gravi o meno gravi. Quante volte noi abbiamo bisogno di essere shockati proprio da cose grandi, come un terremoto. E perché? Proprio perché noi siamo tanto lontani, abbiamo bisogno di essere sollecitati con prove dolorose: tanti nostri fratelli che devono morire per risvegliare la nostra anima, perché la nostra anima è diventata molto ottusa, molto dura, e allora ha bisogno di avere dei richiami molto forti. Ad esempio l’uomo che è abituato a vivere per mangiare, a un certo momento non c’è più nessun cibo che lo attragga e ha bisogno di caricare il sapore con delle droghe sempre maggiori fino a che a un certo momento si distrugge, si avvelena. E così lo stesso. Noi abbiamo bisogno di essere caricati, perché ci induriamo molto nelle nostre distrazioni da Dio. Ogni allontanamento da Dio aumenta lo spessore e ci separa e questo spessore richiede da Dio un’opera imponente per richiamarci.

Eligio: Si, però è anche vero che Dio la stessa opera la fa anche per chi è già unito a Lui.

Luigi: Ma lì è un’altra cosa: lì abbiamo il dialogo, dialogo intelligente, dialogo illuminato, attraverso cui la creatura non è più shockata, non è più presa a sassate; cioè abbiamo Dio che parla affabilmente con la creatura, facendo vedere le opere sue, l’amore che Lui ha in tutto. Ad esempio questi argomenti che stiamo trattando: se li trattiamo ponendoci il Pensiero di Dio, questo ci illumina le sue parole. Sarebbe una cosa diversa considerarli senza il Pensiero di Dio. Col Pensiero di Dio si crea dell’armonia tra la nostra anima e Dio. D’altronde perché sentiamo il bisogno di queste cose di Dio, tenendo presente Dio perché ci accorgiamo che si crea dell’armonia e quindi della gioia, della pace tra noi e Lui; scopriamo qualcosa di più intimo di Lui, scopriamo l’amore suo. E perché abbiamo bisogno di scoprire l’amore suo? Perché più noi scopriamo l’amore suo e la sua Provvidenza e più ci fidiamo. E più ci fidiamo e meno facciamo conto su altre cose e quindi meno ci lasciamo portare dalla paura, dalle dispersioni. Quindi la tanta conoscenza di Lui ci porta a far conto su di Lui. Ma più io faccio conto su di Lui, e più sono libero da tutte le altre cose. È la grande liberazione! È Lui il Liberatore! Ma è il Liberatore nella misura in cui si fa conoscere da noi.

Silvana: Prima mi chiedevo: Non c’è mai la possibilità di riportare tutto a Dio, perché riportando tutto a Dio così, non si sarebbe mai presenti a quello che Dio ci propone continuamente.

Luigi: Si, ci fermiamo …

Silvana: Perché Dio ci propone continuamente molte cose e non si può essere presenti a tutte. Pensavo ad esempio sul lavoro: addirittura non potrei nemmeno più farlo.

Luigi: Certo.

Silvana: Però penso che la risposta sia questa: che se fossi già a quel livello, Dio mi metterebbe in un ambiente diverso.

Luigi: Si, però dovrebbe anche darsi che Dio chiami …

Eligio: Eppure mi trovassi anche in una somma grossa di fatti, se io fossi rivolto al Signore, perché non potrei riferire tutto a Lui?

Luigi: Si, ma bisognerebbe avere un’intelligenza molto grande, perché indubbiamente nella molta amicizia con Dio, nulla può farti perdere l’unione con Lui; anzi Dio ti illumina il significato di ogni cosa che stai facendo, per cui quasi gioisci con Dio che ti sta parlando attraverso queste cose. Questo deriva dalla tanta conoscenza e dalla tanta amicizia con Dio. Perché Dio comprende tutto. Non c’è niente che ci distacchi, che ci separi da Dio; però ci sono tante cose che quando uno ha trovato Dio non le fa più. Ad esempio tante vanità che noi sottolineiamo, che noi descriviamo, che noi accontentiamo, naturalmente con Dio non si fanno più e diventa liberatorio anche in questo senso: che non ti concede più di fare certe cose e ti rende invece molto disponibile per altre cose. Si arriva al punto in cui non racconti neppure una barzelletta, perché Dio ti occupa a tempo pieno in altro campo che molto più valido, molto più importante, molto più comunicativo delle barzellette stesse.

Pinuccia: Allora la risposta che ha dato Silvana alla domanda che si poneva è giusta?

Luigi: No, lei dice: “Dio mi libera”. Può anche darsi che Dio presentandole certi problemi la inviti ad un certo distacco, a un certo superamento. Non è detto: “Dio mi fa cambiare”. Certo, è Lui che fa cambiare, però Lui fa anche delle proposte di cambiamento.

Pinuccia: Mettendo un desiderio, per esempio.

Luigi: Mettendo un desiderio o mettendoci magari nella possibilità di cambiare; però c’è sempre quel rischio lì, perché io posso vedere la possibilità di un passaggio, in un lavoro per esempio, più liberatorio e con l’animo più disponibile a Dio, però posso anche vederlo nel pensiero dell’io e quindi di vedere quello che sto perdendo, perché magari mi pagano di meno, o perché la mia vanità è soddisfatta meno e lì resta il gioco tra l’io e Dio; cioè c’è il rischio che Dio mi faccia la proposta e che io non accetti il passaggio o che non veda il passaggio. E allora dico: “Dio non mi ha liberato”. Invece Dio mi dirà: “Io ti avevo offerto la possibilità, però ti avevo chiesta la partecipazione”. Vedi, Dio non opera sempre in modo automatico. Dio opera sempre rispettando, quindi facendo proposte a noi. Quando dice: “Non preoccuparti del mangiare o del vestire, ma cerca prima di tutto il regno di Dio”, è una proposta che Lui ci fa, non la impone, ce la propone.

Nino: Noi dobbiamo pagare la prova d’amore di Dio, rinunciando a qualcosa di noi stessi.

Luigi: Sì, Lui ci dà una certa somma di denaro, che noi dobbiamo spendere per possedere il suo campo.

Nino: Ma il fatto è che noi abbiamo paura di rinunciare a noi stessi e c’è addirittura gente che non legge il vangelo per non impegnarsi.

Luigi: Ma quando uno legge il vangelo, con facilità trova giustificazioni per non impegnarsi in quell’unica cosa necessaria. Cristo invece ci libera proprio continuamente richiamandoci a quest’unica cosa necessaria. Ma cosa vuol dire quest’unica cosa necessaria se non un salto mortale? Ecco, supera il segno! In quanto ci dice: “Una cosa sola è necessaria”, dice: “Supera i segni!”. C’è il rischio del mangiare e del vestire, del dormire. “Supera, supera! Ci penso Io! Occupati di Me!”. Perché ci invita a questo? Ci invita a questo perché Lui è Uno che ci impegna molto, perché ha tanti doni da dare di Sé a noi e che non li può dare se la nostra anima non è disponibile. Non è che Lui voglia che non ci preoccupiamo del mangiare o del vestire perché Lui vuole che noi ci riposiamo o lavoriamo diversamente, non è quello! No! È perché Lui ha dei doni che esigono disponibilità. Tutto quest’universo noi diciamo che è molto bello, ma è niente in confronto ai doni che Dio ha da dare a noi per la rivelazione di Sé; però questi doni, che sono i doni del settimo giorno, non li può dare senza la nostra disponibilità. Bisogna quindi che la nostra anima si renda disponibile. Se uno ha da parlare a me di cose molto importanti, ma io continuamente sono occupato in questo e in quell’altro, lui quelle cose importanti non me le può dare. Quindi Lui continuamente mi manderà tanti richiami: “Ma senti, vieni a parlarmi, guarda che ho delle cose importantissime da dirti!”. Ecco, il giorno in cui io morirò, scoprirò che quel tale aveva un tesoro enorme da darmi, che mi avrebbe trasformato la vita, ma io non ho mai avuto tempo. I richiami Lui me li ha mandati (siamo in superficie), ma io non mi sono reso disponibile per quello, per cui i doni veri, non li ho mai avuti; ho sentito parlare tanto di essi ma non li ho mai avuti, perché per ricevere quei doni bisogna che l’anima sia disponibile. E soprattutto la mente deve essere disponibile. Si accennava ora che Dio è un Essere Unico in tre Persone. Noi non ci rendiamo conto quale importanza abbia questo, però quanta disponibilità di mente e di cuore ci deve essere per poter accogliere certe verità! Altrimenti noi arriviamo a dire: “Che differenza poi c’è che Dio sia Uno o in tre Persone?”. Eppure se Dio lo annuncia è perché il suo dono, la conoscenza di questo, deve essere di un’importanza enorme per la nostra vita, però magari richiede cinquant’anni di deserto (nel senso di disponibilità di animo per quello), e io i cinquant’anni di deserto magari non li farò mai! E il Signore ci chiederà: “Come mai io ti ho mandato tanti richiami e tu?”. E noi risponderemo: “Ma io avevo bisogno di mangiare, di lavorare, di fare bella figura davanti agli altri!”. E Lui: “Ma io ti avevo detto che ci pensavo io a tutto!”. Allora questo vuol dire sfiducia: facevo più conto su di me, sulle mie forze, sulle mie capacità che su Dio. Vedi che in fondo c’è una mancanza di fede? Perché se noi fossimo sicuri di avere un Padre che è potentissimo, che è ricchissimo e noi stessimo lì a faticare, a lavorare e Lui ci dicesse: “Lascia stare, ci penso io a tutto, vieni solo ad ascoltare quello che io ho da dirti!”, e se noi rispondessimo: “Ma se vado da Te non mangio più!”, che offesa gli recheremmo! Abbiamo paura che Lui non provveda e intanto non andiamo ad ascoltare quello che Lui ci vuol dire. Ora Dio sta facendo questo linguaggio in tutte le cose: “Non preoccuparti, già tutto è fatto; la tavola è pronta, sta tranquillo; i vestiti sono già pronti su misura per te” ed io continuamente a chiedermi: “Come faccio a vestirmi? Come faccio a mangiare?”. Tutto lì! E intanto non ci accorgiamo di quello che perdiamo, perché non ci rendiamo disponibili per questo.

Cina: E la vita passa.

Luigi: E la vita passa, perché è Lui la vita, e noi non ci accorgiamo che perdiamo la vita; preoccupati del mangiare e del vestire per vivere, noi perdiamo la vita.

Pinuccia: Noi ci preoccupiamo, mentre il Signore ha già fatto tutto un suo piano.

Teresa: A me è rimasto questo pensiero: che i segni ci sono dati per farci alzare gli occhi a Lui.

Luigi: “Alzati e cammina”.

Teresa: Cioè riferire tutto a Lui, ma se noi andiamo a Lui, già non ci interessano più i segni. Magari adesso siamo preoccupati di conoscere i segni, perché nel pensiero del nostro io vogliamo sapere il perché e il come, ma una volta che guardiamo a Dio, essi non ci devono più interessare, perché essi erano solo per farci alzare lo sguardo a Lui.

Luigi: In Dio e con Dio, Lui continua a parlare, le sue parole ci mantengono in comunione.

Teresa: Ma tante cose non ci interessano più.

Luigi: Certo, perché tante cose sono relative soltanto al nostro io sbagliato, per cui quando si è con Dio non se ne ha più bisogno, sono superate. Quando si ama una persona, se si è lontani si ha bisogno di tanti segni, ma quando si è vicini non si ha più bisogno di essi: ormai non interessano più, perché c’è qualcosa di più. Si continua a parlare magari anche nel silenzio. Ci sono dei segni diversi, è logico. I segni sono rapportati sempre ad una nostra situazione. Il segno è segno in quanto è abbassamento al  livello in cui ci si trova. Quindi è sempre Dio che si adegua. Naturalmente cambiando noi, cambia anche il segno. L’Iniziatore però anche nella comunione è sempre Dio; cioè è Dio che ci mantiene uniti a Sé, non siamo noi che ci manteniamo uniti. È Dio che parlando a noi ci unisce. Senza di Lui noi non possiamo restare uniti. La molteplicità di tutti questi segni (noi diciamo infinito), è opera di Dio che ci parla per non lasciarci cadere nel nulla; ci sorprende nella nostra povertà, nella nostra miseria, perché noi abbiamo bisogno di questa materialità così. Eppure guarda che mondo bellissimo, che universo stupendo sta facendo a livello nostro, per richiamarci a Sé. E tutti i segni che sono opera di Dio a livello della nostra povertà, della nostra incapacità.

Teresa: Quindi i segni dopo avranno un altro valore.

Luigi: Lo credo!

Pinuccia: Ci portano a una maggiore conoscenza di Lui.

Luigi: Creano una maggiore comunione. Adesso questi segni ci richiamano qualche cosa; di fronte a uno spettacolo come questo siamo richiamati a Dio che fa, Dio che opera, che disegna, ma sono richiami che richiedono da parte nostra una certa fatica, un certo sforzo. Vedi la difficoltà che abbiamo a restare con Dio? Continuamente ci allontaniamo.

Nino: Sono parole di uno di cui non conosciamo la lingua; dopo saranno parole di Uno di cui di conosce la lingua.

Luigi: Eppure anche in questa estraneità, in questa nostra lontananza, Dio dice delle parole che hanno una loro bellezza e che proprio perché hanno una loro bellezza noi con facilità ci mettiamo a correre dietro alle creature e dimentichiamo il Creatore. Perché indubbiamente in tutti i segni Dio pone qualcosa di Sé, perché Lui non fa altro che significare Se stesso.

Teresa: Quando per la strada uno mi fa un cenno, capisco che mi vuole parlare, ma non so ancora quel che mi vuol dire.

Luigi: Certo, e tu puoi fermarti o non fermarti.

Teresa: Arrivo a sapere ciò che mi vuole dire solo se mi fermo.

Luigi: Ma il più delle volte noi non siamo capaci a fermarci, perché abbiamo fretta. E poi nel giudizio il Signore ci dirà: “Ero io!”, “Ero io!”, “Ero io!”; e ci ripeterà all’infinito: “Ero io!”, “Ero io!”, “Ero io!”.

Teresa: Non abbiamo fiducia in chi ci alza la mano per fermarci.

Luigi: Non abbiamo fiducia e abbiamo troppa fretta. Ora, nel tempo di riflessione personale, fermiamoci su questo: “Anch’io opero”, cioè cerchiamo di vedere in che cosa consiste l’opera del Figlio. Gesù stesso dice: “Io sono venuto per portare a compimento l’opera che il Padre ha iniziato”. Qui si tratta di approfondire questo: “Il Padre mio opera e anch’io opero”. Non si tratta di due Principi operatori, ma di uno stesso Essere Operatore; perché il Verbo di Dio opera e ci fa capire che l’opera del Padre è un inizio che ci mette in movimento e che non si compie senza il nostro io, ma l’io unito al Verbo di Dio che ci parla del Padre.

Pinuccia: Unito al Cristo, perché uno non sa ancora che il Cristo è il Verbo?

Luigi: Si, unito al Cristo, però il Cristo è la parola di Dio a noi; è parola del Padre, ci parla del Padre. Perché tu segui il Cristo? Segui il Cristo perché ti parla di Dio. Tu potresti seguire il Cristo, anche se avessi il pallino della rivoluzione, perché credi che Cristo sia un rivoluzionario, ma allora non perché ti parla del Padre, questo non ti interessa. E allora tutte le pagine in cui Lui parla del Padre, le trascuri e guardi invece alle parole: “Guai a voi ricchi”, “Guai a voi che siete soddisfatti”; esalti queste parole e distruggi le altre. Allora sei attratta da altri motivi, non sei attratta dal Padre. Allora tu credi magari al Cristo, ma non segui il Cristo, segui te stessa, il tuo problema. “Soltanto chi è attratto dal Padre può venire a me”. Quando noi leggendo il vangelo dobbiamo superare certe pagine, non possiamo raccogliere certe parole, vuol dire che in noi non c’è il vero problema di Dio, ma c’è un altro problema. Se invece c’è in noi il problema di Dio, tutte le parole del Cristo sono valide e devono essere raccolte con tanta attenzione perché ci parlano del Padre. Allora l’argomento è questo: “Anch’io opero”; in che cosa consiste questo operare del Figlio in giorno di sabato?

Pinuccia: Va visto anche riferito ad ognuno di noi?

Luigi: Cristo parla e opera per ognuno di noi. Opera per portarci al Padre, per non lasciarci in queste cose non comprese. Il Padre opera senza dimostrarci le cose; il Figlio invece ci porta la dimostrazione.

Pinuccia: E riferito a noi questo: “Anch’io opero”, significa che devo unirmi al Cristo per portare a compimento l’opera del Padre, per entrare nel settimo giorno?

Luigi: Si, per entrare nel compimento. Non possiamo arrivare al compimento senza di Lui: “Nessuno può conoscere il Padre senza di me”. Anzi: “Senza di me non potete fare niente”, il che vuol dire che: “Senza di me fate niente”. Cioè senza di Lui noi distruggiamo tutto, facciamo niente e perdiamo anche i segni. Noi vogliamo trattenere i segni, proprio perché siamo interessati sotto qualche aspetto e trascuriamo Dio. Ma trascurando Dio, ci accorgiamo di arrivare anche a perdere proprio quei segni per i quali abbiamo trascurato Dio; perdiamo Dio e perdiamo i segni: è la conclusione di tutto. Io preferisco la creatura al Creatore credendo con ciò di trattenere la creatura per me; ma trascurando il Creatore, arriva che io perdo anche la creatura, per cui non ho più il Creatore e non ho più la creatura: questa è la conclusione ultima. “Vi sarà tolto anche tutto quello che credete di avere”. Io credevo di avere, trascuravo Dio perché dovevo preoccuparmi del mangiare e del vestire. La conclusione è che ho perso Dio e ho perso il mangiare e il vestire. Quindi è proprio un lavoro anche di intelligenza il fatto di lanciarci subito in Dio. Cioè: “Portati subito in alto! Ecco, andando in alto, vedrai bene; dal basso non puoi vedere bene!”. Abbiamo già visto l’opera del Padre, ora vediamo in che cosa consiste l’opera del Figlio.

Pinuccia: E l’operare dello Spirito Santo lo vediamo poi? Cioè nel settimo giorno?

Luigi: Certo.

Nino: Chiederci in che cosa consiste l’operare del Figlio equivale a chiederci: chi è Gesù per noi? È una domanda belle e interessante.

Luigi: Lui dice: “Io pure opero”. Qui abbiamo una distinzione tra l’opera del Padre e l’opera del Figlio.

Pinuccia: Ed è la stessa opera?

Luigi: È la stessa opera.

Sembra semplice dire: “Cerca prima di tutto il regno di Dio”. Ma proviamo un po’ a cercarlo veramente prima di tutto e vedremo cosa succede nella nostra vita. Prima abbiamo bisogno di essere ammoniti: separarci da tutto il resto per cercare prima di tutto il regno. Ma quando mettessimo prima di tutto quello, quale panoramica di vita nuova entrerebbe in noi! Una conoscenza nuova, una nascita nuova. Eppure è solo il primo passo mettere prima di tutto il regno di Dio; è il portico che fa entrare nel tempio, ma è solo il portico. Non si entra nel tempio se si sottomette tutto a Dio, cioè se non si mette prima di tutto Dio.

II PARTE

Cina: Non ho capito bene la differenza dell’opera del Padre e dell’opera del Figlio. Penso che il Figlio operi mai disgiunto dal Padre, ma che siano veramente una cosa sola.

Luigi: Certo, però Gesù stesso dice: “Io sono venuto a portare per compimento ciò che il Padre ha iniziato”, vuol dire che c’è una differenza. Cioè il Padre inizia un’opera la quale può essere compiuta solo per mezzo del Figlio. Il significato sta lì.

Teresa: Ho pensato che Dio ci ha preparato l’orecchio per l’ascolto, perché? Perché qualcuno poi ci parlasse. Ed è il Cristo che ci parla e parlando ci rivela il Padre. Quindi la sua opera non è disgiunta da quella del Padre.

Luigi: No, disgiunta no, è un Essere solo.

Teresa: Se il peccato è non tener presente Dio, Cristo guarendo in giorno di sabato, ci fa capire che ci guarisce spiritualmente ricollegandoci al Padre.

Luigi: Si, viene a riportarci al Padre in quanto siamo staccati, separati dal Padre; ma anche se siamo attratti dal Padre, Cristo opera la sua opera perché ci porta a compimento nel Padre. Noi possiamo anche essere attratti dal Padre, ma non è sufficiente essere attratti dal Padre per arrivare al Padre, perché per quanto noi sentiamo il desiderio, il bisogno di conoscere Dio, noi da soli non possiamo. Si tratta di precisare quest’opera del Figlio e la diversità che c’è tra il nostro bisogno di conoscere Dio e l’opera che il Figlio fa con noi, portandoci là dove noi desideriamo arrivare; perché noi da soli non possiamo arrivare: abbiamo bisogno del Figlio.

Teresa: Cristo porta a compimento l’opera del Padre, in quanto il Padre ci vuol dare la vita (“La vita vera è conoscere Te, o Padre”). La vita l’abbiamo attraverso la Parola, il Verbo, Cristo che porta a compimento.

Luigi: Si, porta a compimento l’opera che il Padre ha iniziato.

Teresa: Il Padre ha iniziato l’opera formando l’orecchio e continua a formarlo; il Figlio parla e quindi ci porta al Padre.

Luigi: Si, il quanto il Padre opera, opera per rivelare Se stesso, però c’è bisogno dell’opera del Figlio, perché noi corriamo un rischio nell’opera del Padre. L’opera del Padre si conclude in noi con la formazione del desiderio di conoscere il Padre, la verità. Ma il rischio che corriamo è questo: di restare nel desiderio di conoscere come bisogno nostro e quindi disuniti da Dio.

Pinuccia: Come sarebbe: “Come desiderio nostro”?

Luigi: È quello di cui abbiamo parlato prima. Noi ci fermiamo al desiderio di conoscere e proiettiamo questo desiderio di conoscere sul segno e finiamo di analizzare il segno, di penetrare nel segno, perché noi, sentendo il bisogno di conoscere, questo bisogno di conoscere lo proiettiamo su ciò di cui abbiamo bisogno, perché il bisogno di conoscere si forma in quanto Dio parla a noi attraverso i segni. I segni sono misteriosi e provocano in noi una situazione di povertà. Nella situazione di povertà noi cerchiamo di supplire a questa povertà, cercando di penetrare i segni. Ma penetrando i segni, abbiamo visto, perdiamo Dio e perdiamo i segni, perché i segni più che penetrati vanno superati, cioè capiti nell’orientamento che infondono in noi, nella nostra anima. Anche noi siamo chiamati a diventare figli, ma noi nasciamo dal nulla, dal mondo, per opera di Dio ma dal mondo c’è una differenza sostanziale tra il Figlio di Dio che nasce da Dio e noi che nasciamo dal mondo e siamo chiamati a diventare figli di Dio. Ma proprio in quanto nasciamo dal mondo, corriamo il rischio nel desiderio di conoscere (opera del Padre), di proiettarci sul mondo e quindi di perdere Dio e di perdere il mondo. Ecco, allora abbiamo bisogno del Figlio di Dio che discenda: “Nessuno può salire al cielo se non Colui che discende dal cielo”. È il Figlio quindi che discende dall’alto, che nasce da Dio, che ci può riportare a Dio. Per Figlio noi intendiamo Colui che nasce da Dio. Colui che nasce da Dio può dare la mano a noi che nasciamo dal mondo e che ci apriamo alla fame e al desiderio di conoscere Dio, ma con questa fame non possiamo arrivare a conoscere Dio, perché abbiamo bisogno di essere raccolti. Ecco il Verbo di Dio che discende da Dio, Lui ha la possibilità di portarci in alto: quindi raccoglie la situazione in cui ci troviamo: può essere una situazione di peccato, come può essere una situazione di bisogno di Dio, di attrazione per Dio. In che cosa consiste questa saldatura? Come e quando avviene questa saldatura tra Lui che discende e noi che saliamo e che salendo possiamo arrestarci a metà strada e quindi rifletterci sopra l’elemento mondo, perdendo quindi naturalmente Dio e perdendo il mondo?

Pinuccia: Se ho capito bene allora dobbiamo alimentare il bisogno di Dio, ma non fermarci al bisogno di conoscere i segni di Dio.

Luigi: Il bisogno di Dio in noi è Dio stesso che lo alimenta, però noi possiamo proiettare questo bisogno su quell’elemento misterioso che si presenta a noi e che è il segno. Perché il segno di Dio indubbiamente per noi è misterioso. Tutte le opere di Dio sono misteriose.

Pinuccia: Perché è Dio che è misterioso.

Luigi: No, sono misteriose perché si illuminano solo in Dio e con Dio.

Pinuccia: Però Dio è un mistero per noi.

Luigi: Dio indubbiamente per noi è mistero, ma è un mistero che vuole donarsi, vuole rivelarsi. Dio vuole farsi conoscere a noi con più facilità di quello che si fanno conoscere le creature. Per noi è più facile, per l’opera di Dio, conoscere Dio che conoscere le creature. Noi crediamo di conoscere le creature ma non le conosciamo. A noi sembra sia più facile conoscere le creature, ma non è così.

Nino: Si, perché per conoscere le creature dobbiamo conoscere Dio e attraverso Dio arriviamo a conoscere le creature.

Luigi: Noi crediamo di conoscerle, perché le rivestiamo di noi. Apparentemente ci sembra di conoscerle.

Eligio: Però Dio è un Infinito, la creatura un relativo, per cui dovrebbe essere più facile conoscere la creatura.

Nino: Ma noi non sappiamo mai cosa passa nella mente della creatura.

Eligio: Meno ancora sappiamo quello che passa nella mente di Dio.

Pinuccia: Ma Dio vuol farsi conoscere.

Luigi: Siccome Dio mi lancia la pietra, è più facile che io conosca Colui che mi lancia la pietra, che la pietra che Lui mi lancia.

Nino: Non è che noi conosciamo tutto di Dio, ma di Dio noi abbiamo una rivelazione attraverso Gesù.

Luigi: E poi abbiamo tutta l’opera del Figlio stesso che vuole farci conoscere il Padre.

Nino: Quindi di Dio possiamo conoscere qualcosa, ma delle creature che ne sappiamo?

Luigi: Si, ci sfugge l’elemento essenziale della persona.

Nino: Non sappiamo ciò che passa nella nostra mente quando vorremmo pensare a Dio, e tanto meno possiamo sapere ciò che passa nella mente degli altri.

Luigi: E poi c’è questo che Dio vuole rivelarsi e non vuole che noi invece conosciamo i suoi segni. Cioè nella conoscenza di Dio noi abbiamo la sua opera positiva per farci conoscere Se stesso e quindi c’è la sua grazia; non altrettanto c’è la sua grazia per conoscere i segni, perché Lui vuole che intendiamo il senso della sassata, ma non la sassata. Per questo i segni vanno superati e non dobbiamo preoccuparci di conoscerli, perché più noi ci preoccupiamo di conoscerli e più noi li perdiamo: perdiamo l’Autore e perdiamo il segno. Perdiamo tutti e due. Ecco allora la necessità del superamento. Cioè restiamo nel clima proprio del messaggio cristiano: “Supera tutto e guarda al tuo Signore”.

Pinuccia: Raccogliere tutto in Dio, vuol dire cogliere il significato di tutto.

Luigi: Il significato è il senso, l’orientamento.

Pinuccia: Raccogliere allora vuol dire cogliere l’orientamento?

Luigi: Il significato; l’orientamento è ciò che mi mette in evidenza: qual è il significato della sassata?

Pinuccia: Guarda in su.

Luigi: Ecco, allora io raccolgo il significato della sassata, se guardo al Creatore. Se mi fermo a correre dietro al sasso e lo prendo e lo esamino, non colgo il significato della sassata.

Pinuccia: Quindi quand’è che posso dire che i segni sono raccolti?

Luigi: Quando guardo a Dio, quando sento il desiderio di Dio.

Pinuccia: Anche se non intendo il significato specifico che ogni segno porta in sé?

Luigi: No, sarà Lui che mi rivelerà il significato di quel segno, quello che Lui ha voluto dirmi quel giorno. Ma è Lui. Lui è la luce sulle sue opere. Lui è la luce delle sue opere. Le sue opere non illuminano Lui. Lui illumina le sue opere. Ma le sue opere non illuminano Lui; le sue opere annunciano Lui.

Nino: E poi le sue opere illuminate da Lui, ci portano a Lui.

Luigi: Certo, ma siamo in un altro tempo: e allora crea la comunione. Abbiamo l’intelligenza dell’opera, cioè Dio ci fa capire tutto quello che ha voluto dirci.

Nino: È sempre vero questo: “Cerca prima di tutto Dio”; da Lui ti deriva tutto il resto.

Luigi: A me sembra che qui si possa rispondere bene all’argomento di ieri sera: non possiamo giudicare le persone, ma dobbiamo coglierne il significato. Quindi non dobbiamo fermarci ad analizzare l’avvenimento, ma cercare di cogliere l’orientamento che infonde. È sempre il segno della sassata. Gli avvenimenti sono sempre sassate, quindi hanno sempre un senso buono, come richiamo.

Nino: Quindi alla base c’è sempre: “Cerca prima di tutto Dio”.

Luigi: “Cerca prima di tutto Dio”, si. Perché noi conoscendo Dio siamo salvati da Dio. Ma se noi conoscessimo anche tutto il mondo, non è che il mondo ci salvi nella vita eterna. Ammesso che noi conoscessimo tutte le scienze del mondo: “Se avessi anche la fede da spostare le montagne, se conoscessi tutte le scienze dell’universo”, questo non basterebbe per salvarci. Se conosco Dio, sono nella carità di Dio, sono nella contemplazione di Dio, quello mi salva, perché è il principio di tutto.

Nino: Alla base di tutto c’è sempre l’amore. “Ama e fa ciò che vuoi”.

Amalia: Tra il Padre e il Figlio c’è comunione profonda di vita, c’è la stessa vita, per cui Gesù dice: “Il Padre mio opera, anch’io opero”. Però c’è una differenza perché il Padre dà la vita, genera, e il Figlio l’accoglie, la riceve. Allora il Padre opera per rivelare Se stesso attraverso la sua parola. E il Figlio è Figlio in quanto è in questo atteggiamento di dipendenza totale, di ascolto, per poter ricevere questa vita, per lasciarsi formare. Gesù è la parola fatta carne; noi abbiamo bisogno che il Signore scenda per poterlo accogliere.

Luigi: Però corriamo il rischio che in quanto il Padre opera in noi per farsi conoscere, cioè forma in noi il problema, di ritenere che il problema sia nostro, di essere quindi soli con il nostro problema: cioè di capire quello che il Padre dice. Cioè desiderio di conoscere il Padre come problema nostro. Il Figlio praticamente ci rivela che il problema di conoscere il Padre è ancora Dio. Non siamo soli. Cioè io sento il problema; non conosco Dio. Dio parla per farsi conoscere, però in conseguenza di qualche cosa non lo conosco e non sono capace di conoscerlo, allora il problema resta mio. Il problema allora se è mio, mi fa ripiegare soltanto più sul mondo.

Amalia: Però se l’ascolto è vero, si dovrebbe superare questo pericolo, no?

Luigi: Ma per essere nell’ascolto vero dovremmo essere senza peccato, cioè dovrebbe esserci sempre il colloquio con Dio. Ma come viene il non più colloquio con noi. Ma come viene in non più colloquio con Dio (basta che ci sia una non più intelligenza di qualcosa di Dio), immediatamente questo ci stacca da Dio, per cui io sento la mia povertà, la mia non intelligenza di Dio come problema mio. Ma il Figlio di Dio mi dice: “No, questo è ancora problema di Dio”, cioè il Figlio di Dio è quello che mi riporta a Dio; perché il Padre parlando a noi, se non viene intelletto crea in noi, proprio con la sua parola, una separazione da Lui. Il Figlio scende in questa separazione per farci capire che anche il non capire è Dio è ancora Presenza di Dio tra noi. È Lui che dà la comprensione di quello che noi desideriamo. Altrimenti senza di Lui noi crediamo che il problema sia solo nostro e non possiamo uscirne da soli e si crea quindi un isolamento. L’isolamento nostro da Dio ci fa proiettare tutto il problema nostro sopra le cose, sopra i segni, per cui credendo di dover risolvere questi segni ci sfugge l’essenziale.

Nino: Noi corriamo il rischio di non far  conto su Dio in quello. Tutto lì.

Luigi: Certo, perché lo riteniamo che sia una deficienza nostra il fatto di non capire.

Pinuccia: Invece è naturale.

Luigi: Invece no, non è naturale. Il Cristo stesso scendendo a noi dice: “Io sono presente con te anche nel tuo non capire, anche nella tua incapacità a capire”.

Nino: Anche lì i tempi sono suoi.

Luigi: I tempi sono suoi. Ma è il Verbo qui. Il Padre parlando a noi crea separazione da Sé quando le sue parole non sono capite. L’opera di Dio è fatta da parte di Dio per unirci, ma se non è intelletta la stessa sua opera di Dio crea disunione. Ma la disunione (noi sappiamo che Dio opera) la riteniamo tutta soltanto opera nostra. Qui abbiamo l’opera del Figlio. È soltanto Colui che discende dall’alto che ci può riportare in alto. Noi che saliamo dal basso non possiamo, perché salendo dal basso siamo dispersi da quelle cose che non capiamo e allora ci ripieghiamo sulle opere stesse con l’analisi e quindi la distruzione stessa dell’opera, nel pensiero dell’io.

Pinuccia: Senza di Lui disperdiamo.

Luigi: Soltanto che disperdendo, disperdiamo anche noi e troviamo la nostra morte. Ecco il Figlio, opera qui. È il ponte tra la nostra dispersione e il Padre, per cui anche noi nella nostra povertà, nella non intelligenza del Padre, ci troviamo col Figlio, non siamo soli. Se non siamo soli allora, uniti a Dio, abbiamo la possibilità di non ripiegarci più.

Pinuccia: Sarebbe un punto di appoggio.

Luigi: Un punto di appoggio sul divino. Ora questo punto di appoggio ci riporta al Padre. Mantenendoci unito a noi, ci mantiene uniti al Pensiero del Padre; mentre noi da soli, nella nostra incapacità di conoscere, ci chiudiamo nel pensiero dell’io. Ma è anche la condizione di morte del Cristo, perché Lui facendosi figlio dell’uomo, si mette nelle nostre mani, però ci mantiene il divino, cioè non ci lascia più soli. Il Padre, diciamo, è Colui che resta in casa ad aspettare il ritorno; il Figlio è quello che viene nella nostra lontananza per riportarci alla casa del Padre. Il Padre non esce di casa. Il Figlio esce di casa e giunge nella nostra dispersione.

Pinuccia: Esce però rimanendo.

Luigi: Ve bene; Lui lo può perché discende. Noi invece che saliamo non possiamo. Noi saliamo dal mondo per diventare figli di Dio. Il giorno in cui il Signore ci darà la grazia di diventare figli suoi, allora potremo anche discendere, uscire senza perdere l’unione. Invece salendo dal basso, no. Salendo dal basso non possiamo prenderci il lusso di entrare e di uscire, perché ogni uscita per noi diventa dispersione. Diventiamo figli delle nostre opere, figli della nostra dispersione.

Silvana: Per me è un argomento abbastanza difficile, perché non riesco a capire: hai detto che è il Padre che suscita il desiderio della sua conoscenza, ma non è già il Verbo che parla e che suscita il desiderio di conoscere Dio? Non è già lì l’opera del Verbo?

Luigi: Si.

Silvana: Perché già in tutta la creazione è il Verbo di Dio che opera, no?

Luigi: Si.

Silvana: Quindi è già il Verbo nell’Antico Testamento, il Verbo nel Nuovo Testamento, è sempre il Verbo. Allora Dio quand’è che parla Lui? Sarà lo Spirito Santo che è la Presenza del Padre e del Figlio.

Luigi: Si, la parola del Padre è già il Verbo di Dio. Se uno ti parla, in te si può creare o l’intelligenza di ciò che ti si dice o la non intelligenza di quello che ti si dice. Se tu hai l’intelligenza di ciò che ti si dice, resti unita al pensiero di colui che parla con te. Ma se tu non capisci quello che ti si dice, che cosa succede? Succede che le parole stesse che l’altro ti dice diventano motivo per testimoniare che tu sei separata da colui che ti parla: sono un motivo di separazione. Ma questa separazione ti crea un isolamento. Tu non attribuirai la colpa a colui che parla, perché colui che parla ha intenzione di farsi capire, ma dirai: “La colpa è tutta mia perché non capisco”. Quindi attribuirai questa separazione e incapacità, a povertà, miseria, e proprio con questo crei l’isolamento nel tuo io. Ma questo isolamento del nostro io, staccati da Dio perché non lo capiamo, ci fa proiettare sulle creature, cioè ci rende schiavi delle cose. Qui da soli noi non ne possiamo uscire, perché questa povertà non fa altro che riflettersi sempre su di noi, perché ci fa constatare: “La colpa è mia!”. Ora è soltanto il Figlio di Dio, Colui che discende da Dio che può vestirsi della nostra povertà e farci capire che questa nostra incapacità, che questa nostra povertà, è ancora Presenza di Dio in noi. Cioè, se noi non capiamo Dio (ed è questo che noi non riusciamo ad intendere), noi non dobbiamo attribuire questa povertà a noi stessi, ma è ancora questa un segno di Dio, forse per realizzare in noi quella disponibilità d’animo capace per poter arrivare ad intendere, perché in noi c’è qualcosa che ci impedisce di arrivare a capire quello che il Padre parla a noi. C’è Colui che parla ed evidentemente nella Parola abbiamo il Verbo di Dio: è il Padre che parla e genera il Verbo di Dio. Noi abbiamo Colui che parla e abbiamo coloro che sono chiamati ad intendere la Parola, e questi siamo noi; però noi possiamo non capire. Ed è in questa fase che subentra il Figlio di Dio; per questo Gesù dice: “Io sono venuto a portare a compimento ciò che il Padre ha iniziato”. È una parola da tener presente: è parola di Vangelo, parola di Gesù: “Io sono venuto”, non dice: “Il Padre è venuto”, ma dice: “Io sono venuto a portare a compimento ciò che il Padre ha iniziato”. Allora il Padre inizia un’opera, il Figlio la porta a compimento. Prima abbiamo detto che il Padre è Colui che parla, quindi dà l’esistenza alle cose, ma Colui che comprende l’opera, l’opera del Padre, che la fa discendere dal Padre, che la riporta al Padre e quindi la fa derivare dal Padre, è il Figlio. Il Figlio è Colui che attribuisce tutto al Padre. Per cui il Padre opera, ma a noi manca Colui che attribuisce tutto al Padre. Quando io dico: “Sono io che non capisco”, io attribuisco a me la mia non intelligenza. Il Figlio mi dice: “No, guarda che la tua povertà la devi attribuire al Padre”; è il Padre che ti fa toccare con mano questa povertà, perché hai bisogno di passare attraverso di essa, questo tuo niente, per poterti aprire ad intendere. Vedi che qui abbiamo un’opera successiva a quella del Padre? Il Padre parla per farsi conoscere, però in noi si realizzano condizioni di non conoscenza.

Pinuccia: Ho pensato questo: se l’opera del Padre è quella di portarci al settimo giorno, cioè alla vita eterna, l’opera del Figlio è identica. Il Padre opera nei sei giorni della creazione e il Figlio pure opera nei sei giorni della creazione.

Luigi: È quello che diceva Silvana: cioè è sempre tutta parola di Dio. I sei giorni della creazione sono parola di Dio.

Pinuccia: Infatti leggiamo nel prologo: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui”. In questi sei giorni l’opera del Padre e l’opera del Figlio è fatta senza di noi. Dopo il sesto giorno l’opera del Padre e l’opera del Figlio continuano, ma con noi. Gesù dicendoci che il Padre opera anche di sabato, ci fa capire che il riposo del Padre nel settimo giorno va inteso come una chiamata a noi ad entrare nel suo riposo, nella sua conoscenza; ci fa capire quindi che questo riposo del Padre è ancora un operare per noi, chiamandoci a compiere la sua opera dei sei giorni, invitandoci ad entrare nel settimo giorno, a raccogliere cioè in Lui tutta l’opera che nei sei giorni Egli ha fatto per noi per mezzo del Verbo di Dio. Questo passaggio al settimo giorno noi da soli non lo possiamo fare. Ce lo dice il prologo: “Senza di Lui tutto ciò che è fatto (nei sei giorni) diventa niente”; rimane un aborto.

Luigi: È lì il rischio; che al sesto giorno, noi possiamo annullare tutta l’opera di Dio, cioè possiamo dare luogo all’aborto. Dio attraverso i sei giorni ci ha portati alla concezione, ma noi la sera del sesto giorno possiamo abortire, perché siccome si chiede la nostra partecipazione (non si entra nel settimo giorno senza di noi) e quindi si chiede questa attenzione che è dedizione nostra, questa può non avvenire. Ed è lì che comincia l’opera del Figlio.

Pinuccia: Ma è già iniziata prima, nei sei giorni col Padre.

Luigi: Si, ma è sempre il Padre lì che opera, perché il Padre operando, genera il Figlio. Ma qui abbiamo l’opera del Figlio che subentra a raccogliere una situazione di distacco che si è creata in noi. Per tener presente Dio tra noi, il Figlio di Dio si fa figlio dell’uomo. Il Padre non si fa figlio dell’uomo. Ecco, è questo il fatto, perché in un modo o nell’altro noi abbiamo bisogno della presenza di Dio. Se non c’è la presenza di Dio tutto fallisce in noi. Questa presenza di Dio, quando in noi viene meno l’intelligenza dell’opera di Dio dei sei giorni, viene meno. Allora abbiamo bisogno di Dio che discenda per restare con noi in qualche modo, per dirci: “Guarda che tu non sei solo”, perché soltanto se lo dice in qualche modo a noi, dà a noi la possibilità di superare ancora il pensiero del nostro io. Altrimenti l’opera è finita lì, con il nostro distacco.

Pinuccia: Ecco, “Subentra l’opera del Figlio” dà ad intendere che il Padre riposa, attende la nostra risposta.

Luigi: Si, perché nel settimo giorno non si entra senza di noi. È quel “con noi” che in noi difetta, perché fintanto che Dio opera senza di noi qui non c’è il difetto. Ma è quando incomincia l’uomo, l’Adamo, a percepire che ha la possibilità di pensare a se stesso, che nasce il difetto e incomincia la frattura; perché Adamo, percependo il pensiero del suo io, dovrebbe, come tutte le opere di Dio, dovrebbe anche questo pensiero del suo io, riportarlo a Dio. È il bambino che prima non è capace a camminare ed è portato in braccio dalla mamma; poi a un certo momento si accorge che riesce a camminare da solo. Ecco, il dramma comincia lì, quando l’uomo si accorge che può restare in piedi da solo; prima era portato in braccio e adesso incomincia ad accorgersi che può camminare da solo. È lì che dimentica la madre e cade.

Pinuccia: Però questo riposo del Padre, che è l’attesa del Padre, bisogna vederlo come un operare ancora perché è una chiamata di Dio.

Luigi: È logico. È lì che Gesù dice: “Il Padre mio opera ancora”, opera ancora perché l’opera non è finita, è imperfetta. Ma è imperfetta non in quanto è partita dal Padre imperfetta, ma perché attende da noi l’adesione, cioè il portare a Dio anche il pensiero del nostro io, questo frutto che è maturato attraverso i sei giorni. Dio non ci ha creato il sesto giorno, cioè quando leggiamo: “Dio ha preso del fango …”, perché questo è soltanto un simbolo, ma ha cominciato a crearci dal momento che ha detto: “Sia fatta la luce”. Quando disse: “Sia fatta la luce” già pensava all’uomo, perché la luce è stata fatta in funzione dell’uomo. Quando ha creato la luna, le stelle, pensava all’uomo. Le ha create in funzione dell’uomo, quindi stava già facendo l’uomo. Soltanto che al sesto giorno l’uomo ha cominciato a stare in piedi. Ed è al sesto giorno, quando l’uomo comincia a prendere coscienza di sé (ecco la creazione che comincia a prendere coscienza di sé), che l’uomo può difettare perché non porta il pensiero di sé a Dio, ma comincia a ritenersi autonomo; allora incomincia a guardare le creature che sono belle, che sono buone in quanto le riferisce a sé e non più a Dio. Invece noi non dovremmo fare la distinzione tra la luna, il sole e le stelle e il pensiero del nostro io. Il sole, la luna, le stelle le riceviamo da Dio; altrettanto dovremmo ricevere da Dio il pensiero del nostro io e riferirlo a Dio e non ritenerlo un ente a sé, staccato, perché come lo riteniamo staccato si proietta subito sulle creature e comincia a sfruttare le creature in funzione di se stesso: belle, buone e allora avviene il rapporto orizzontale tra il nostro io e la creatura e dimentichiamo Dio. E questo comincia a crearci la notte, le tenebre.

Nino: È bello pensare che anche il nostro io riportato a Dio può diventare buono come tutto il resto.

Luigi: Certo, è creatura di Dio!

Nino: Noi fino adesso pensavamo solo ad uccidere il nostro io, invece il nostro io può essere riportato a Dio.

Luigi: Il nostro io è creatura di Dio, e non solo può, ma deve essere riportato a Dio, perché è Dio che ha fatto il nostro io.

Nino: È un modo di valorizzarlo, di dargli vita.

Luigi: È l’unico modo, perché in Dio noi diventiamo delle vere persone.

Pinuccia: Quindi, senza di Lui tutto diventa niente. Rimane un aborto. Per questo: “Il Verbo si fece carne”. “Sono venuto a raccogliere ciò che era disperso”. Questo è l’operare del Figlio: raccoglierci dalle nostre dispersioni, orientarci al Padre, orientarci al settimo giorno parlandoci del Padre, facendoci così passare dal pensiero dell’io e del mondo relativo all’io (l’opera dei sei giorni) al Pensiero del Padre, al mondo invisibile, al settimo giorno, cioè alla vita eterna. “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”. E Lui lo rivela a chi ascolta le sue Parole e rimane nelle sue Parole. Lo promette: “Se conoscerete le mie parole, conoscerete la verità”, il Padre. In questo senso Cristo è venuto a compiere l’opera del Padre: “Chi raccoglie con me, riceve mercede di vita eterna” cioè entra nel settimo giorno (perché la vita eterna è conoscenza del Padre). “Chi non raccoglie con me disperde”. E come richiamo personale questo versetto è un invito ad unirmi all’opera del Figlio, per portare a compimento in me l’opera del Padre. E come?

-                     È un invito all’ascolto, a raccogliere tutto nel Padre;

-                     È un invito a fermarmi molto e a restare nelle parole di Gesù.

Questo è l’operare della creatura nel settimo giorno, poiché la creatura deve aderire all’opera del Padre e del Figlio, poiché l’opera del Padre e del Figlio nel settimo giorno non avviene senza l’operare della creatura. Quindi è un invito a fare anche noi ciò che fa il Figlio, per diventare anche noi figli. Lui dice: “Il Padre opera e pure io opero”, quindi anch’io devo dirlo (“Anch’io opero”), ma nel senso in cui lo dice Gesù; Gesù opera compiendo, portando a compimento l’opera del Padre. Cioè Lui non opera se il Padre non ha iniziato l’opera, se non è mosso cioè dal Padre: “Il Figlio non fa nulla se non lo vede fare dal Padre”, cioè se il Padre non lo inizia; così dovrebbe essere per noi: non  muoverci se non dietro iniziativa del Padre e con Cristo portarla a compimento: ma attendere che la inizi il Padre; cioè, come Cristo, avere nell’operare del Padre la giustificazione del nostro operare: “Il Padre mio opera ancora ora, ed io pure opero”.

Luigi: Quello che si chiede a noi è proprio questo: camminare nelle parole del Figlio e non parlare noi. Il Figlio in un primo tempo dice le parole del Padre, poi in quanto si fa figlio dell’uomo, dice a noi parole per noi: “Non preoccupatevi del mangiare e del vestire; cercate prima di tutto il regno di Dio”, le dice a noi (ci parla nel pensiero del nostro io). Il Padre ce lo aveva già detto questo: noi dovevamo essere intelligenti, ma non lo siamo stati, non abbiamo capito che tutta la creazione era per dirci: “Guarda che il Signore è un altro, non sono le creature, quindi alzati dal guardare le creature”. Invece qui abbiamo il Verbo che si fa uomo, che prende su di Sé il nostro difetto, il nostro peccato e ci dice: “Non devi preoccuparti del mangiare e del vestire: cerca prima di tutto il regno di Dio”. Ce lo dice in quel linguaggio che ci diceva già prima, ma lo dice adesso all’io, all’io che si è separato da Dio, all’io disperso, all’io che, si presuppone, si sta già preoccupando del mangiare e del vestire.

Pinuccia: Se no, non ci sarebbe stato bisogno.

Luigi: Altrimenti non c’era bisogno: se noi fossimo stati intelligenti a riferire tutto a Dio, non ci sarebbe stato bisogno perché il Verbo lo portavamo già dentro di noi e ce lo diceva. Ma quello era intelligenza. L’intelligenza, venendo meno, l’io si separa, non si entra più nel settimo giorno. Ora siccome nel settimo giorno non si entra senza di noi, succede la frattura. Allora abbiamo l’aborto, cioè la dispersione: “Sei polvere e polvere ritornerai”.

Nino: Cos’è che ha fatto venir meno l’intelligenza?

Luigi: È il pensiero del nostro io. Cioè è quell’io che come nasce deve essere portato a Dio come tutte le cose. È il bambino che è portato in braccio e a un certo momento si accorge che può camminare da solo e non guarda più la madre, mentre ha ancora bisogno di lei, perché se è capace di stare su coi suoi piedi, ha ancora tanto da maturare, quindi ha ancora bisogno di guardare la madre. Invece noi crediamo di essere già fatti. Quindi come nasce il nostro io diciamo: “Oh, ci sono! Io sono fatto!”. No, sei in gestazione, non sei ancora fatto. Allora diventiamo non più intelligenti, perché la nostra intelligenza è Dio, non siamo noi. Noi siamo intelligenti nella misura in cui ci rapportiamo a Dio, riferiamo a Dio.

Nino: Quindi quando si dice: “Dio è l’uomo”, è il massimo dell’infantilismo.

Luigi: Certo, perché si ritiene che l’uomo sia un essere autonomo a sé, capace di essere intelligente, capace di fare. I bambino con un semplice rumore, con un segno credono di fare tutto, di fare la guerra, di vincere le corse. E noi facciamo lo stesso: è un piccolo rumore quello il Signore ci dà la possibilità di fare e noi crediamo di dominare tutto, di essere autonomi. Tu credi di essere autonomo? Di dominare tutto? Ma guardati un po’ attorno: tutto l’universo non è nelle tue mani, anche in te stesso; è assurdo dire: “Noi siamo padroni del nostro ventre!”. Guarda un po’: il tuo cuore, i tuoi polmoni, il tuo cervello funzionano per opera tua? Tu non sai niente e vuoi dire: “Io sono padrone del mio ventre!”? È ridicolo, perché il Padrone nostro è un Altro! Quindi noi dobbiamo in tutto comportarci nel rispetto dell’Altro. È l’Altro che ci sta facendo; noi invece cominciamo a fare un piccolo rumore e crediamo già di essere padroni, autonomi cioè isolati, staccati. È lì l’errore. Noi non siamo mai staccati, perché l’Essere Autonomo è Dio. Noi viviamo per partecipazione e siamo formati da Lui. Ecco, il nostro vero io si forma in quanto si mantiene partecipe dell’Autore, della madre.

Nino: Come il tralcio.

Luigi: È lo stesso: quindi il tralcio deve sempre mantenersi unito alla vite. Come il tralcio si vanta, secca, è finito. Quello è infantilismo ed è logico; fa un po’ di rumore e crede di essere padrone di tutto quello che fa: “Ah, arrivo io!”. Ecco l’errore grosso. No, cerca Dio, Dio scioglierà i tuoi problemi, non credere tu di poter fare qualcosa.

Eligio: A me pare di scorgere due tempi diversi nel lavoro di redenzione, attraverso due Persone diverse: il Padre e il Figlio che operano nello Spirito Santo. l’Iniziatore è il Padre che si annuncia a noi con la creazione e con il risveglio nell’anima di tutti i valori che l’anima stessa vorrebbe realizzare per sé in assoluto: la verità, l’amore, la bellezza. Dio inizia in questo modo, perché noi non potremmo desiderare queste cose se il divino non fosse in noi.

Luigi: Dio inizia in quanto parla a noi, però l’intelligenza delle sue parole non è in noi, ma in Lui.

Eligio: Noi avvertiamo questi annunci di Dio. Se noi fossimo uniti a Lui, noi noteremmo che Egli dialoga attraverso di questi, ma se non aderiamo a Dio ci appropriamo di essi, li strumentalizziamo, li riferiamo a noi. In tal modo la creazione concepita in unità e armonia da Dio, viene dalla creatura lacerata e disarticolata, rivolgendosi contro l’uomo, creando confusione nell’uomo. L’uomo, staccato da Dio, trova l’inferno. Ma questo avviene per richiamare l’uomo al rispetto del piano di Dio. L’uomo da solo per natura non può mantenersi in adesione al Creatore. Di qui nasce la necessita dell’invocazione di una guida, del Cristo. Ecco qui il secondo tempo dell’opera di Dio. Cristo portandosi al piano di dispersione della creatura, si inserisce nell’opera del Padre e insegna a noi a riportare a Lui i suoi doni, la sua opera, raccogliendo così dalla nostra dispersione. Come opera? “Il Figlio non fa nulla se non lo vede fare dal Padre” dice Gesù, insegnandoci che non dobbiamo fare nulla in veste di protagonisti e in autonomia. Se stiamo attenti al Padre non c’è situazione in cui non si possa vedere in Lui l’Iniziatore e a questo punto, in continuità di adesione, operare pure noi, portando a compimento nel suo Spirito, uniti al Figlio, l’opera da Lui iniziata. Ecco i due tempi, le due Persone, lo Spirito che unisce il Padre e il Figlio.

Luigi: Non so se sia chiaro, ma il fatto è questo: il Padre operando, opera per farsi conoscere, per farsi capire da noi. Però siccome l’intelligenza delle cose sue non è in noi, ma nel Padre stesso, per poter capire quello che Lui dice, sarebbe necessario che noi riportassimo sempre a Lui le opere sue; ma tra queste opere sue c’è anche il nostro io e se noi non lo riportiamo a Lui, si forma in noi la non intelligenza, e la non intelligenza ci disperde tra le cose di Dio. Perché l’intelligenza non è in noi ma è in Dio, cioè nel Padre. È in questa situazione, in questo secondo momento che subentra il Figlio, perché subentra in una situazione di non più intelligenza. Nella non intelligenza restiamo schiavi delle cose, guardiamo soltanto più alle cose. Ma la chiave di volta sta lì: che l’intelligenza delle opere del Padre, delle cose di Dio, non è in noi ma è nel Padre stesso. Ora siccome è nel Padre, si richiede da noi sempre questo riferire tutto al Padre.

Eligio: Cioè si richiede a noi l’unione al Figlio per riportare tutto al Padre.

Luigi: Certo, perché l’opera del Figlio è quella di riportare al Padre tutto quello che viene dal Padre. Il Figlio si riconosce in questo, a differenza di noi. Egli non dice: “Io sono”, ma fa derivare il suo essere dal Padre, lo riconosce del Padre, mentre invece noi diciamo: “Io sono”. Lui lo riferisce al Padre, e quindi riconosce anche la sua esistenza come opera del Padre: questa è l’opera del Figlio che in noi non avviene. Dovrebbe avvenire, siamo chiamati a questo, ma in noi non avviene. Per cui il Padre è quello che parla, soltanto che parlando a degli esseri che non riportano a Lui (quindi non sono intelligenti), l’opera stessa del Padre crea separazione di noi a Lui. Un essere che da me non è capito, quanto più parla a me, tanto più mi crea separazione, perché la sua stessa parola diventa motivo di distacco. Dio è l’intelligenza di tutte le sue opere (questo è il punto chiave), ma perché sia intelligenza di tutte le sue opere in noi, richiede da noi sempre un riferire tutto a Lui, anche e soprattutto il pensiero del nostro io. Se questo non avviene, noi ci separiamo. Ora siccome il Padre opera così, parlando a noi, se noi non colleghiamo con Lui, non giungiamo all’intelligenza. Per questo dico che non si arriva al settimo giorno senza di noi, perché è necessario che noi riportiamo tutto di noi a Lui, tutto quello che arriva a noi del Padre; per cui diciamo: il Padre opera ma non giustifica, perché è Lui la giustificazione. Il Figlio invece è Colui che giustifica.

Nino: Per me l’opera di Cristo è tutta un’opera di riportare al Padre, sia che Lui si riveli, sia che Lui si carichi del nostro peccato facendoci vedere a dove ci porta il nostro distacco dal Padre.

Luigi: Sia che Lui si consideri nella Trinità, da solo, nella Trinità di Dio l’opera del Figlio è sempre quella di riportare al Padre. L’Iniziatore è sempre il Padre. La caratteristica del Figlio è quella di attribuire sempre tutto al Padre, e quindi è il Generato dal Padre, in tutto; è sempre generato in quanto attribuisce tutto al Padre. Noi invece non siamo sempre generati, perché non riferiamo tutto al Padre; siamo però chiamati a diventare generati dal Padre. Non possiamo diventare generati dal Padre se non per mezzo del Figlio, cioè se non per mezzo di Colui che è generato. Per cui noi da soli non possiamo essere generati dal Padre. Per opera del Figlio possiamo diventare figli di Dio, generati dal Padre. Ma è il Figlio che ci fa. “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me”.

Eligio: Ecco allora come diventa chiara la differenziazione delle persone, pur nella loro unità.

Luigi: Volevo appunto arrivare a mettere un po’ in evidenza questo.

Pinuccia: Non possiamo essere generati dal Padre senza l’opera del Figlio, ma noi dobbiamo aderire al Figlio.

Luigi: Certo, soltanto che il Figlio scende al livello nostro, mentre il Padre no. Il Padre è sempre Colui che, parlando, richiede intelligenza, eternamente. Il Figlio invece non chiede nemmeno la nostra intelligenza: scende alla nostra stoltezza.

Pinuccia: E lo Spirito Santo completa.

Luigi: Lo Spirito Santo viene a recarci la gioia della Presenza del Padre e del Figlio.



HOME


Il Padre mio opera fino a questo momento e Io pure opero. Gv 5 Vs 17  Terzo tema.


Titolo: Pensieri, parole e azioni.

Argomenti: Il silenzio e l’ascolto. Noi dobbiamo rinnegarci per scoprire la sua Presenza. Gesù è venuto a portare a compimento l’opera del Padre: opera che è rimasta incompiuta nell’uomo, che non supera se stesso. È nella conoscenza dell’opera del Padre che si ha il compimento. Quello che rende noi inquieti è la molteplicità. Chi ci fa semplici è il nostro amore unico. Fuggi tutto quello che ti impedisce di pensare a Dio. Peccare con le parole. Accettare tutto da Dio.


 

12.Agosto.1978


Introduzione:

Luigi: Con quanto Gesù dice al versetto 17 “Il Padre mio opera fino a questo momento, ed io pure opero”, noi passiamo a tutta un’altra panoramica; si chiude un capitolo di pensieri e se ne apre un altro. Per questo già domenica scorsa ci siamo soffermati a vedere il cammino percorso. È bene soffermarci ancora prima d’iniziare quest’altra parte, perché qui Gesù ci inoltra in argomenti profondi dei rapporti tra il Padre suo e Lui stesso. Rileggendo questa prima parte del capitolo 5, poiché ci apriamo a meditare su Dio, è bene che cerchiamo con l’aiuto del Signore quello che Dio dice di Sé (più che di noi) in queste frasi che abbiamo già commentato nella guarigione del paralitico della piscina di Betesda. Rileggendo adagio, quindi cerchiamo di vedere con l’aiuto dello Spirito, quello che tale episodio ci suggerisce circa la conoscenza di Dio, cioè quello che ogni frase, ogni fatto ci dice di Dio. Cerchiamo possibilmente di capire che cosa Dio dice di Sé, che cosa Dio è per noi, fino ad arrivare a sfociare in quest’ultima frase: “Il Padre opera ancora adesso, ed io pure opero”. Ci chiederemo:

-                     I parte: Che cosa Dio dice di Sé a noi;

-                     II parte: Che cosa Dio è per noi.

 

Ecco, ricordiamoci di chiederci sempre che cosa il Signore dice a noi personalmente, perché tutte le parole del Vangelo, tutte le scene, tutti gli episodi della vita di Gesù sono parole, nelle lezioni del Vangelo noi giungiamo a trovare, a vedere una parola di Dio personalmente per noi, per la nostra vita personale, spirituale, soltanto allora noi incominciamo a intendere bene il Vangelo poiché il Signore opera per salvare ognuno di noi, personalmente. Dio in tutto ciò che fa, anche in questo panorama di montagne che abbiamo davanti, non fa altro che parlare di Sé. La vita vera (la vita eterna è vita vera, ed è quella vita nella quale dobbiamo sforzarci di entrare oggi, non entriamo domani), la vita vera è conoscere Dio; cioè se la conoscenza di Dio è vita per noi, più ascoltiamo Dio e più la vita entra in noi. Più conosciamo Dio e più viviamo. Il problema non sta nel conoscere noi stessi; il problema non sta nel conoscere gli uomini; non sta nel conoscere le cose del mondo; il problema sta nel conoscere Dio, perché Dio ci ha creati per questo: soltanto conoscendolo lo amiamo; quanto più lo conosceremo tanto più lo ameremo. Chi non lo ama è perché non lo conosce; chi lo ama poco è perché lo conosce poco. Però non siamo noi che possiamo conoscere Dio. Lui stesso si fa conoscere a noi parlando a noi. Ma quando uno parla, bisogna che l’altro stia attento, e per essere attento deve fare silenzio; e per fare silenzio deve far tacere ogni altra voce. Per questo Gesù: “Quando vuoi pregare (e la preghiera è essenzialmente ascolto, perché se la preghiera non è ascolto non è preghiera) entra nel chiuso della tua stanza”. Il chiuso della stanza non metterci in un luogo buio; anche questa cerchia di monti è una stanza, può essere una stanza, se in essa noi chiudiamo l’uscio ad ogni altro pensiero, ad ogni altra parola per rivolgere tutto il nostro interesse a Dio. Dio ci rivela sempre qualcosa di Sé nella misura in cui lo ascoltiamo. Quindi non siamo noi che conosciamo ma è Lui che si fa conoscere, però chiede a noi la disponibilità dell’anima, chiede a noi questo silenzio interiore, questo distacco da tutto per guardare solo Lui. L’anima vera del silenzio è attenzione ad Uno solo. È questo che fa il vero silenzio: l’attenzione ad una Persona sola; questa fa il silenzio, ed è il silenzio che riceve; è cioè la tazza vuota che può essere riempita. Ora Dio, attraverso le sue parole ci parla di Sé e in quanto ci parla di Sé si fa conoscere e quanto più noi lo conosciamo, tanto più viviamo. La meta è giungere a vedere la sua Presenza, come noi ci vediamo presenti e più ancora, intimamente, perché la nostra è una presenza fisica localizzata e temporanea, quindi mutevole nel tempo; soprattutto non ci conosciamo nel pensiero. Dio si dona con una presenza molto più vera delle nostre presenze, molto più efficace e soprattutto una Presenza eterna, cioè non soggetta ad alcun limite, a nessun mutamento. Noi possiamo essere infedeli, possiamo tradire, possiamo essere adulteri, possiamo dimenticarci di Lui, ma una volta che Lui ha rivelato la sua Presenza, questa presenza non la cancella più: è sempre lì. Però per giungere a questo chiede a noi chiede a noi questo silenzio, perché è Dio stesso che parlando si fa conoscere; non siamo noi che conosciamo Lui, ma è Lui che parlando a noi rivela il suo Volto. Allora l’argomento proposto per oggi è questo: cerchiamo che cosa Dio ci fa conoscere di Sé in questo brano di Vangelo fino a questo squarcio di cielo in cui Lui dice: “Il Padre mio opera fino adesso e pure io opero”. Siamo in giorno di sabato e il giorno di sabato rappresenta il giorno di riposo di Dio nella creazione: dopo i sei giorni della creazione, il settimo giorno si riposò, ed il settimo giorno era il sabato per loro, è la domenica nostra. Comunque è il giorno del riposo di Dio. Teniamo presente che la creazione di Dio non è avvenuta; la creazione di Dio è continua per ognuno di noi: Dio continuamente crea. Ha iniziato la sua creazione quando ci ha chiamato per nome e continua a crearci con e in ogni avvenimento, il quale anche oggi, questo nostro oggi, questo trovarci qui, arriva a noi attraverso i sei giorni della creazione di Dio. Però come si giunge alla sera del sesto giorno, Dio entra nel suo riposo, perché chiede a noi di entrare nella sua pace; e la sua pace è conoscere Lui, è Lui stesso. Lui è la sua pace, sua e nostra. Dio creando e parlando in tutte le cose chiede a noi di fare un passo, di entrare; è necessario cioè ad un certo momento che noi superiamo noi stessi, dimentichiamo noi stessi, perché non siamo noi con i nostri pensieri, con i nostri sforzi, con le nostre fatiche, con i nostri impegni, con i nostri programmi che possiamo conoscere Dio: attraverso tutte le opere sue, Dio ci conduce, ci fa prendere coscienza che Lui c’è e che noi ci siamo, ma che Lui è prima di noi, che è al di sopra di noi e che è Lui la luce nostra ed è la vita nostra, che è Lui l’essere del nostro pensiero. Questo è ciò a cui Egli ci fa giungere attraverso i sei giorni, attraverso ogni fatto, ogni parola. Ma giunti a questo punto Lui, proprio attraverso questa conoscenza che ci ha dato che Lui esiste e che noi esistiamo, che Lui è il Creatore e che noi siamo le creature e che Lui è il primo e che noi veniamo dopo, ci convince che noi dobbiamo superare noi stessi, dimenticarci, rinnegarci per entrare nella sua conoscenza, per scoprire la sua Presenza, perché è Lui solo che dopo averci parlato di Sé, ha qualche cosa di Sé da dirci che nessuna lezione, nessuna creatura, nessuno sforzo nostro possono dirci: è soltanto in questo superamento di noi stessi, in questo rinnegamento di noi stessi, in questa dimenticanza di noi stessi per guardare solo Lui che possiamo ascoltare la Parola che ci fa entrare nella sua conoscenza e nella sua pace. Ecco, questo è il settimo giorno. Attraverso i sei giorni si diventa creature di Dio, servi di Dio; ma si può anche diventare aborti nella creazione di Dio, alla sera del sesto giorno se noi non superiamo noi stessi; speranza di creature concepite, ma fallite, non giunte alla luce: la luce del settimo giorno. Gesù dice e giustifica la sua operazione nel giorno di sabato verso quel paralitico (e quel paralitico è l’anima di ognuno di noi), proprio perché come figlio di Dio viene a portare a compimento, a liberare l’uomo dalla sua paralisi. L’uomo che è arrivato al sesto giorno e non ha superato se stesso, non è entrato nella Città di Dio. Di qui tutta la simbologia ed il significato profondo di questa “porta delle pecore”: noi siamo le pecore che devono passare attraverso questa porta per entrare nella Città di Dio. In questa folla di malati, in questo paralitico da trentotto anni, è rappresentato l’uomo che è arrivato alla soglia del settimo giorno, alla fine del sesto giorno e si è fermato, non è passato, non ha superato se stesso, e ha cominciato ad essere malato, ad essere paralizzato, a non potersi più muovere. Gesù arriva e incontra l’uomo in questa situazione, incontra l’uomo in questa sua paralisi, ed è la sua parola che lo libera. È la sua parola che lo fa camminare, che lo fa alzare. Noi abbiamo bisogno della sua parola, altrimenti restiamo paralizzati dietro le creature, dietro gli avvenimenti, dominati dalle cose, dai problemi della vita, dal mangiare, dal vestire, dalla figura, dalla carriera. È solo la parola di Dio che incontrandosi con noi ci libera dalla paralisi, ci dà la possibilità di alzarci, di entrare nel tempio e quindi di aprirci al settimo giorno. È la parola di Dio che ci dà la possibilità di entrare nel settimo giorno. Gesù dice che è venuto a portare a compimento l’opera del Padre. Lui opera proprio per questo, perché venendo a salvare l’uomo, a portare all’uomo la conoscenza del Padre, è venuto a perfezionare l’opera che ha iniziato il Padre e che è rimasta incompiuta nell’uomo, e che rimane incompiuta in ognuno di noi quando non superiamo noi stessi, non rinnegando noi stessi.

Pinuccia: Cioè ci fermiamo ai sei giorni.

Luigi: Si; in questa incompiutezza si forma la paralisi, la malattia, cioè è un inizio di morte: noi cominciamo a morire. Noi cominciamo a morire alla sera del sesto giorno; perché quando non camminiamo (il cammino della vita ci porta necessariamente di fronte alla porta delle pecore che ci introduce nella Città di Dio), restiamo paralizzati e quando si è paralizzati si incomincia a morire; la morte incomincia a lavorare su di noi; presto le uova si schiuderanno e la morte si svilupperà e crescerà in tutto. Il settimo giorno non è fatto per imitare Dio: Dio si è riposato non perché noi ci riposiamo, ma perché intendiamo il luogo del nostro riposo. Le opere di Dio devono essere intellette. Dio vuole che noi capiamo il significato delle sue opere. Se Lui è entrato nel suo riposo nel settimo giorno, è perché vuole che noi non ci fermiamo, ma anzi camminiamo di più per entrare, per raggiungere quel luogo in cui Egli si trova in pace. Quando si cammina, se uno va avanti è sempre una sollecitazione ad un altro a camminare, non quindi per distanziare, ma per avvicinare di più. Quindi se Dio è entrato nel suo riposo non è perché anche noi ci sedessimo, ma è entrato nel suo riposo perché noi camminassimo di più per trovarci vicini a Lui, più vicino a Lui. Questa è l’opera del Figlio che viene a portare a compimento l’opera del Padre. Ed è quello che ognuno di noi deve intendere per questo settimo giorno, perché soltanto intendendo questo settimo giorno, capiamo quello che dobbiamo fare: il superamento della legge per entrare nella conoscenza e quindi nell’amore. Noi vediamo qui che tutto l’episodio della guarigione di questo paralitico rappresenta per ognuno di noi l’opera di Dio nei sei giorni. È attraverso questi sei giorni che Gesù si è avvicinato a questo paralitico, gli ha chiesto se voleva essere guarito, gli ha detto: “Alzati, prendi il tuo letto e cammina” e poi l’ha fatto incontrare con i farisei che lo sollecitavano: “No, tu non puoi fare questo!”; allora lui per essere fedele a Colui che l’ha guarito dice: “No, Colui che mi ha guarito mi ha detto …”. Attraverso tutta quest’opera Gesù ci significa l’opera di Dio dei sei giorni con ognuno di noi, per farci entrare in quello “squarcio di cielo” in cui Egli dice: “Il Padre mio opera”, per farci capire il significato del settimo giorno.

Pinuccia: Lo fa entrare nel tempio.

Luigi: Si, ma l’altro non è rimasto nel tempio, non ha capito; è uscito per andare a dire ai giudei che era Gesù che lo aveva guarito. Però Gesù è fedele: quello che Lui doveva dire al paralitico, adesso lo dice a tutti, capiscano o non capiscano; cioè rivela il tempio, quello che c’è dentro il tempio; rivela quello che Lui avrebbe dovuto dire a quel paralitico nel tempio se fosse rimasto. E che cosa voleva dire? Voleva dire che il Padre continua ad operare e come il Figlio deve operare. Abbiamo già visto la volta scorsa che il Figlio opera per farci comprendere l’opera del Padre. È nella comprensione, nella conoscenza dell’opera del Padre che si ha il compimento. Ed è il Figlio che opera questo compimento, perché il Figlio di Dio si caratterizza per questo: che in tutto vede il Padre, glorifica il Padre. Infatti il Figlio di Dio è tutto Pensiero di Dio e solo Pensiero di Dio. Il Figlio di Dio si distingue da noi creature per questo: Lui è solo Pensiero del Padre, noi siamo pensiero di tante cose, di tante creature; cioè noi siamo possibilità di diventare solo pensiero del Padre.  Ma proprio perché siamo possibilità di diventare pensiero del Padre, abbiamo tante possibilità; noi possiamo pensare a tante cose, cioè possiamo diventare pensiero di tanti: figli del mondo, figli delle creature, figli di noi stessi, e possiamo anche diventare figli di Dio. Il Figlio di Dio si caratterizza per questo: è tutto Pensiero del Padre, cioè tutto riferisce al Padre, tutto giustifica nel Padre, vede in tutto l’opera del Padre, e qui è nella pace. Noi non siamo nella pace, perché siamo figli di tanti, perché abbiamo tanti nomi. Quello che rende noi inquieti è la molteplicità, non è la semplicità. Chi ci fa semplici? Non siamo noi che possiamo farci semplici. Chi ci fa semplici è il nostro amore. Se avremo un amore unico, saremo semplici. Il Figlio di Dio è semplice, perché per il Figlio di Dio una cosa sola è necessaria, una cosa sola. Essendo puro Pensiero del Padre, tutto riferisce al Padre, tutto riceve dal Padre, e tutto genera con il Padre, perché Lui stesso si genera dal Padre: è capace di generare il suo pensiero.

Ora suggerirei ad ognuno di approfondire, di vedere che cosa, attraverso questi argomenti di questo brano di Vangelo, che cosa nella sua anima intende che Dio dica di Sé. Ognuno sarà colpito da un versetto piuttosto che da un altro. Magari è sufficiente fermarsi su una frase sola. Ma non stiamo a pensare quello che Dio dice a noi di fare o di non fare, no, piuttosto questo: che cosa Dio dice di Sé. Ecco, quello che fa Dio, perché Dio ci rivela qualcosa di Sé a noi. Che cosa allora rivela di Sé a noi in quello che sta facendo, in uno di questi versetti, in una di queste parole, in una di queste scene? Leggendo tutti questi versetti ognuno ascolti ciò che Dio gli dice di Sé.

I PARTE Che cosa Dio dice di Sé in questo episodio

Cina: In questo episodio ho visto chiaramente che sono nella stessa situazione di questo paralitico.

Luigi: Se parli di te siamo fuori tema. Abbiamo detto di approfondire ciò che Dio dice di Sé.

Cina: Dio mi insegna come fare per guarire. Questo episodio mi insegna che Dio mi vuole offrire la vita, che però attende che io faccia la mia parte, se no la sua opera resta incompiuta. Se non rispondo personalmente con l’ascolto a quello che dice non diventa personale, calato nella mia vita, le cose restano come sono.

Luigi: Si, quello è ciò che Dio opera con noi. E che cosa fa conoscere questo di Dio?

Cina: È un richiamo a rispondere alla sua parola, che è detta personalmente a me, perché non sia come l’acqua che passa e va.

Luigi: Se ti dicessi così: “Dio è …” secondo ciò che hai visto adesso, che cosa diresti: “Dio è …” vai avanti: Dio è … che cosa?

Cina: Dio è il Creatore che mi vuol salvare.

Luigi: Quindi per te Dio è Colui che ti vuole salvare. Cioè la nostra salvezza non dobbiamo cercarla altrove. Dio ci dà la vita, ma cerca anche di salvarcela. Ma la salvezza in che cosa consiste?

Cina: Non perderci dietro ciò che vale niente e occuparci di ciò che è eterno e il Signore ci dice.

Teresa: Io sono stata colpita dal rispetto che Dio ha per l’uomo: gli chiede se vuole essere guarito. Perché Dio ha tanto riguardo così? Poi ci invita a camminare sulla sua parola; se camminiamo sulla sua parola Lui ci porta nel tempio dove si rivelerà, così come ha fatto per quel paralitico che è entrato nel tempio.

Luigi: Si, il tempio è il luogo dove Dio rivela il suo Volto. Dio ci chiama attraverso tutte le cose, ma rivela il suo Volto solo nel tempio. E che cos’è questo tempio?

Teresa: Il tempio è questa interiorità in cui Dio è al centro di tutto.

Luigi: È il silenzio di tutto il resto.

Teresa: È dove non c’è l’io al centro, non i nostri interessi; è dove si dipende da Dio, si fa derivare tutto da Dio; dove Dio è il movente, il Tutto e dove si riferisce tutto a Lui. Qui Dio si rivela. Poi Dio è Colui che opera nei sei giorni per formarci l’orecchio, per ascoltare Colui che ci parla: Gesù è la parola del Padre che arriva a noi. Non basta che Lui parli: vuole anche la nostra disponibilità all’ascolto. Se ascoltiamo il Figlio avremo la conoscenza del Padre, e quindi la vita eterna.

Luigi: Se dovessi dire: “Dio è …”, che cosa diresti?

Teresa: Dio è Amore, Dio è nostro Padre, Dio è Tutto o almeno dovrebbe essere Tutto per noi.

Luigi: Si, Dio è Tutto e continua ad essere Tutto anche se non è Tutto per noi; però Lui continua ad essere Tutto. Lui è Tutto. Ad esempio come una persona che amore per me è “tutto”, infatti diciamo: “Tu sei il mio tutto!”, “Tu sei tutto per me!”. “Tutto” in questo senso. Perché noi potremmo dire: “Dio è Tutto”, cioè: “Dio è tutte le cose” per cui qualunque cosa che faccio sono con Dio. Si dice anche: “Chi lavora prega”, per cui confondiamo i nostri interessi: “Beh, io faccio questo perché è un mio dovere”. No, il “Tutto” di Dio è diverso.

Teresa: Per una creatura però non è una parola adeguata dire: “Tu sei tutto per me”.

Luigi: D’accordo, però è quel “tutto” lì, cioè in quanto per noi vivere è Lui. Quando Lui è Tutto, può anche mancarci tutto il resto e non ci importa niente, purché non ci manchi Lui. Allora lì si rivela il Tutto, in quanto uno vive solo per questo, per conoscere Lui, per ascoltare Lui, per restare con Lui.

Teresa: Si, perché posso vivere senza tante cose, ma non posso vivere eternamente senza di Lui.

Luigi: Certo, non posso vivere senza di Lui.

Teresa: Perché tutto il resto è destinato a morire.

Luigi: Cioè, Dio è Tutto.

Teresa: Gli altri non sono il “tutto” perché un giorno o l’altro mi mancano.

Luigi: Certo e mancano proprio per dire a noi che loro non possono essere tutto per noi, per cui noi facciamo un errore scambiandoli per tutto. No, Dio solo è Tutto.

Teresa: Perché tutto ciò che le altre creature ci danno sono cose destinate a scomparire, mentre il “tutto” è Lui che è eterno.

Luigi: Certo; tutte le cose scompaiono, ed è Lui che lo fa per amore nostro; non perché Lui voglia far scomparire, ma per non lasciarci perdere dietro di esse; quindi lo fa per amore. Questo “Tutto di Dio” è una rivelazione del suo amore per noi. Il tempo che passa, le creature che passano sono rivelazione dell’amore di Dio per noi. È Dio che le fa passare e le fa passare affinché noi non abbiamo a ritenerle nostro tutto.

Teresa: Poi Dio ci rivela il suo amore in quanto ci viene a cercare lì dove siamo.

Luigi: Nelle nostre paralisi.

Teresa: Viene a muovere le acque, anche quando noi non possiamo contare più su nessuno.

Luigi: Anche quando siamo fuori della Città di Dio, anche quando siamo lontani, anzi anche quando non ne vogliamo più sapere di Lui; non ci abbandona mai, nemmeno nel male più grande. Siamo noi che ci dimentichiamo di Lui, ma Lui non ci dimentica mai.

Maria: Ho pensato che Dio è l’Iniziatore di tutto: infatti questi malati si buttano nell’acqua dopo che è stata agitata dall’angelo. Così pure vediamo che Dio ha la sua ora precisa per guarire questo paralitico da trentotto anni. E poi ancora dopo averlo guarito, gli dice subito: “Non peccare più, affinché non ti succeda qualcosa di peggio”, ma aspetta il suo momento giusto per dirglielo, cioè quando lo trova nel tempio. Sono questi tre punti che mi hanno fatto pensare come tutto è iniziativa di Dio, che tutto dipende da Lui, quando vuole Lui, come vuole Lui.

Luigi: Quindi Dio è l’Iniziatore di tutto, è Lui che prende l’iniziativa in tutto.

Maria: E questo lo vedo in vista di noi personalmente.

Luigi: Certo. E quand’è allora che noi sbagliamo in questo pensiero: Dio è l’Iniziatore di tutto? E quale errore allora noi facciamo in questo? Se Dio è l’Iniziatore di tutto, come dobbiamo comportarci per restare in questo pensiero? Cioè se Lui deve essere l’Iniziatore di tutto per me, come mi devo comportare?

Maria: Sbaglio quando penso che le cose dipendano da me o da altri.

Luigi: Da altre iniziativa, cioè che siano altri a dover iniziare, o che le cose dipendano dalla nostra iniziativa.

Maria: Quando non riferisco a Dio le cose, sbaglio.

Luigi: Per cui noi restiamo uniti a Lui, come Iniziatore di tutto, come Creatore, proprio non facendo conto su nessun altro e nemmeno su noi stessi.

Maria: Ma facendo solo conto su di Lui. In questo senso ci fa vedere come Dio è il Padrone, è il Signore, Colui che domina tutte le cose.

Luigi: Allora possiamo dire: tutti i nostri sbagli, vengono dal fatto che noi facciamo conto su noi stessi o su nostre iniziative o su iniziative di altri.

Maria: E ci dimentichiamo di Dio.

Luigi: Ecco, o per lo meno lo mettiamo in secondo ordine.

V.: Io ho pensato che anche oggi è giorno di festa e Gesù è salito qui tra noi con la sua parola. Nelle feste c’è gente allegra, ma Gesù va da chi è ammalato. È venuto da me, perché mi vede inferma: me lo fa capire non solo attraverso la sua parola, ma anche attraverso gli avvenimenti esterni: “Agita le acque”.

Luigi: Cioè ci fa capire che siamo malati, ma ci fa anche capire che c’è la guarigione. Ci offre la guarigione, perché agita le acque per guarirci.

V.: Certo, infatti pensavo anche questo: dando più valore alla comunità, più di quello che dovevo e che devo. Finora pensavo, perché non avevo letto profondamente questo passo: “Quest’uomo non era ancora stato aiutato dagli altri”; se fosse stato aiutato dagli altri fratelli a buttarsi in piscina sarebbe guarito. Invece oggi mi si è fatto più chiaro.

Luigi: Doveva passare proprio attraverso l’esperienza di non trovare nessuno, perché proprio non trovando nessuno, ha trovato Gesù.

V.: Appunto, è proprio quello che pensavo: invece è Gesù che l’ha guarito.

Luigi: E allora se a questo punto tu dovessi dire: “Dio è …”, cosa diresti?

V.: Dio intanto è il Signore della vita personale, è quello che mi segue da vicino e mi vuol salvare.

Luigi: E possiamo anche dire che Dio è Colui che aspetta che noi siamo soli per parlare a noi, almeno da quanto tu sei arrivata a dire. A questo punto tu puoi dire: Dio è Colui che io non abbia più nessuno che mi aiuti per arrivare a Lui. Riferendomi alle nozze di Cana: Lui aspetta che finiscano tutti i nostri vini, per offrirci il suo vino. Ora quando tutte le creature si sono ritirate da noi, quello è il tempo (è Lui l’Iniziatore del tempo). Ma Lui aspetta che noi ci troviamo soli. E quando ci incontra in mezzo alla folla, ma ci incontra malati, fa come ha fatto per il sordomuto: ci prende da parte, ci isola, perché Lui per guarirci ci vuole trattare personalmente. Non ci guarisce così in faccia a tutti; Lui ci parla a tu per tu. Lui è molto riservato. Le sue parole sono sempre personali. “Ti porterò nel deserto e parlerò al tuo cuore”. Ecco, il deserto è necessario: è Lui che lo forma. Allora se ad un certo momento tutti se ne vanno da noi e noi restiamo soli, non diciamo: “Le creature mi hanno tradito”, diciamo invece: “Dio ha operato per portarmi nella solitudine, perché voleva che io mi fermassi con Lui perché Lui ha qualcosa da dirmi che nessun altro può dirmi”. Nessuno può dirlo: sono parole che Dio ha riservato a Sé. Sono le parole del settimo giorno, del suo riposo. Tante parole Lui le fa dire dalle creature, ma le parole essenziali le ha riservate a Sé solo.

Pinuccia: Vedendo in sintesi questo episodio si può vedere in esso l’opera del Padre e l’opera del Figlio. Anzi il versetto 17: “Il Padre mio opera fino a questo momento ed io pure opero”, lo vedo come la sintesi e la spiegazione di tutti i versetti precedenti. Cioè Dio creando tutte le cose e noi (è l’opera dei sei giorni che è avvenuta senza di noi), ci invita alla vita con Lui, cioè ad entrare nel settimo giorno, nella conoscenza di Lui: questo è il significato del “sabato”. E noi vediamo che tutto questo episodio si sviluppa proprio in un giorno di sabato proprio intenzionalmente Gesù lo fa di sabato, per farci scoprire il giusto significato del sabato, che non è quello di “non far niente”, ma di entrare nella pace del Padre, nella conoscenza.

Luigi: Nella sua pace. E lì  non si entra senza di noi, cioè senza il superamento di noi stessi: nel settimo giorno non si entra senza il superamento di noi stessi, perché siccome la conoscenza del Padre è solo il Padre che la rivela, è necessario che noi superiamo noi stessi. Fintanto che noi siamo nel pensiero del nostro io non possiamo conoscere Dio: Dio si conosce soltanto in Dio. Dio però opera tutte le cose per convincerci di questo, cioè per convincerci che noi dobbiamo superare noi stessi, perché nel pensiero dell’io non possiamo conoscere Lui. In Dio noi possiamo conoscere quello che noi siamo, ma nel nostro io noi non possiamo conoscere quello che Dio è. Ecco, la rivelazione di Dio la si ha solo in Dio.

Pinuccia: Dato però che noi non facciamo questo passaggio, rimaniamo bloccati dal pensiero del nostro io, non facciamo questo superamento; ci fermiamo ai sei giorni. E questo avviene in ogni avvenimento, cosa e persona, perché tutto è fatto in sei giorni: se li considero solo nell’aspetto che si riferisce al mio io, allora mi fermo al sesto giorno di essi e non passo oltre.

Luigi: Certo, e questo avviene anche se li intendiamo in senso  morale, come regola di vita, come legge, come fare una cosa piuttosto che un’altra, come un dovere; ma è sempre relativo all’io.

Pinuccia: Per cui non faccio più il superamento dell’io, perché Dio è oltre questo e mi invita a fare questo passaggio.

Luigi: Infatti qui arriva il problema del conflitto con la legge, sul sabato. Vedi che qui il Signore ce lo pone proprio. Quegli altri ritenevano di fare la volontà di Dio, obbligando ad un certo riposo nel sabato, ed era la legge.

Pinuccia: Addirittura non potevano guarire un malato.

Luigi: Si arrivava a dire: “No, l’uomo non può essere guarito in giorno di sabato”, perché guarire è un lavorare, compiere un certo lavoro. Gesù ci fa capire qui che Dio ha fatto il sabato proprio per guarire l’uomo, perché l’uomo si ammala proprio perché non entra nel sabato.

Teresa: La guarigione fisica è solamente un segno della guarigione spirituale.

Luigi: Tutto quello che avviene nel mondo fisico è segno; per questo va intelletto, va capito con Dio, perché sono segni di Dio. Non dobbiamo fermarci ai segni: è Dio che parla! E se parla che cosa mi vuole dire? Chi mette Dio prima di tutto, e Dio va messo prima di tutto, continuamente si interroga: “Che cosa Dio mi vuol dire attraverso quello?”, perché Dio mi sta parlando attraverso tutte le cose. Soltanto considerando Lui come tutto, si riferisce tutto a Lui e non ci si ferma alle creature. Non basta che le creature mi dicano una cosa o l’altra; no, ma devo chiedermi che cosa Dio mi vuol dire attraverso questo fatto; bisogna sempre passare di lì, perché è Dio che parla. Il Signore è Uno solo, non ci sono tanti dei. E se è Uno solo, è Lui solo che parla e quindi noi in tutte le cose dobbiamo passare al significato, non fermarci alle cose.

Pinuccia: Se ci fermiamo alle cose, ci fermiamo al sesto giorno e diventiamo un aborto, perché non passiamo al settimo giorno. È così?

Luigi: Certo.

Teresa: Nelle cose vuol anche dire la legge?

Luigi: Anche la legge.

Pinuccia: Perché è riferita all’io.

Teresa: Quei farisei si sono fermati alla legge e non hanno visto le meraviglie compiute dal Signore.

Luigi: Tutte le cose, anche la legge, e anche le parole stesse di Gesù, Cristo stesso, se ci fermiamo al pensiero dell’io, li travisiamo, sempre, perché il pensiero dell’io travisa tutto.

Teresa: Invece di gioire della guarigione di quell’uomo, lo rimproverano perché portava il letto.

Luigi: Non hanno visto il miracolo, hanno soltanto visto l’uomo che portava il letto. Un paralizzato da trentotto anni che a un certo momento cammina e porta il suo letto viene accusato perché porta il suo letto. Ma cos’è che impedisce loro di vedere?

Teresa: Bisogna sempre essere aperti perché Dio lavora anche in un piano diverso dal nostro.

Luigi: Non anche, ma sempre, perché Dio è molto superiore a noi.

Teresa: Loro erano in buona fede …

Luigi: Lo perseguitavano perché faceva simili cose di sabato! Simili cose! Pensa che Gesù ha guarito un uomo che era paralizzato da trentotto anni! E siccome ha fatto queste cose di sabato … simili cose, come se avesse fatto un peccato! Ecco, non vediamo più le meraviglie.

Cina: Mi fa pensare a quando Gesù difendeva i suoi discepoli, rimproverati dai farisei perché mangiavano le spighe di sabato.

Luigi: Dicevano che di sabato ciò non si poteva fare; invece il sabato è fatto per l’uomo. Invece noi usiamo la legge per giudicare gli altri, per condannare gli altri. Diciamo: “La legge dice quello e allora noi condanniamo quel tale perché non si conforma alla legge!”. No! La legge è stata data non perché tu guardassi gli altri, ma perché tu cambiassi te stesso! La legge ci è stata data per cambiare noi stessi, non per giudicare gli altri! No! Anzi, negli altri devi sempre vedere la lezione che Dio vuole dare a te. Tutte le cose le dobbiamo prendere come amore di Dio che parla personalmente per noi, quindi mai per giudicare gli altri, tanto meno per condannarli. L’abbiamo visto in quell’episodio dell’adultera: “Non condannare perché chi sei tu? Se sei senza peccato scaglia la prima pietra e te ne accorgerai!”. Il sabato è fatto per l’uomo, per guarire l’uomo.

Teresa: Tanto più che essi non erano nemmeno coerenti con quanto credevano, perché per loro era lecito liberare un animale caduto in un pozzo e non era lecito liberare una persona.

Luigi: Certo.

Pinuccia: (Continuazione del riassunto) Allora l’entrata nel settimo giorno non avviene senza di noi, però non avviene pure senza il Figlio.

Luigi: Si, perché: “Nessuno può salire al Padre se non per mezzo del Figlio”. Il Figlio è Colui che parla a noi del Padre. Noi da soli non possiamo nemmeno pensarlo Dio, se Dio non si facesse pensare.

Pinuccia: E si fa pensare attraverso il Figlio.

Luigi: Il Pensiero di Dio è il Figlio! Se noi pensiamo Dio, è il Figlio di Dio in noi che pensa il Padre: non siamo noi che pensiamo. È Dio che si fa pensare e che quindi genera in noi il suo Verbo. Noi non ce ne rendiamo conto, ma come ho detto molte volte, il pensare Dio, il Pensiero di Dio in noi è il tesoro più grande che abbiamo nella nostra vita.

Pinuccia: È Gesù stesso?

Luigi: È il Verbo stesso di Dio che abbiamo a disposizione nostra. È un tesoro grandissimo e noi lo trascuriamo con una facilità enorme!

Maria: Non ce ne accorgiamo nemmeno.

Luigi: Non ce ne accorgiamo: abbiamo a disposizione un tesoro enorme e viviamo da mendicanti. È come se avessimo a disposizione una sorgente ottima e noi, non vedendola, andassimo sempre a dissetarci in una pozzanghera.

Pinuccia: Pensiamo a tante altre cose.

Teresa: Quindi non aver nessun altro pensiero che il Pensiero di Dio, vorrebbe dire non aver nessun altro che Cristo?

Luigi: Certo.

Teresa: E allora si capisce come Lui dica: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”.

Luigi: Perché il Pensiero di Dio in noi è Dio. San Paolo dice che chi pensa a Dio forma una cosa sola con Dio. Noi non potremmo pensare a Dio se Dio non avesse donato a noi il suo Pensiero. Ma il suo Pensiero è Lui stesso, è suo Figlio! E Lui l’ha donato a noi: tanto è vero che noi possiamo pensare a Dio, anche quando siamo peccatori, anche quando siamo nel male; perché se non avessimo la possibilità di pensare Lui, non potremmo essere salvati per niente, perché noi ci salviamo attraverso di Lui. Noi abbiamo a disposizione un tesoro e lo trascuriamo con una stupidità enorme. È come se avessimo in casa dei milioni, dei miliardi a disposizione e andassimo a elemosinare dai passanti il soldino per poter vivere, per poter mangiare. Abbiamo in casa dei miliardi, ma non li vediamo; non sappiamo la ricchezza che Dio ha dato a noi con il poter pensare Dio. Il poterci fermare a pensare Dio è una ricchezza enorme per la nostra vita. Se lo sapessimo, giorno e notte staremmo sempre in quel pensiero, perché in esso è una sorgente infinita di problemi, di luce, di conoscenza, di pensieri, di vita: ci occuperebbe a tempo pieno. E uno non farebbe fatica a lasciare gli altri pensieri, anzi, se qualcuno lo invitasse a pensare ad altro, si rifiuterebbe perché troppo impegnato in quello. Dio è vita!

Marisa: Dovrei piangere, tanto che sono lontana! Sembra un abisso di lontananza.

Luigi: Se vedi l’abisso è perché la vetta è molto vicina. Non si vede l’abisso quando si è in basso. L’abisso si vede quando si è in alto. Dalla Rocca d’Abisso si vedono gli abissi. Più si va in alto, più si vedono gli abissi. Ma anche quello è dono di Dio. Tutto è dono di Dio. Quindi dobbiamo solo ringraziare.

Pinuccia: (Continuazione lettura del riassunto) Questa entrata nel settimo giorno non avviene senza l’opera del Figlio. Per questo Gesù dice: “Il Padre mio opera fino a questo momento, quindi anche di sabato, ed io pure opero, cioè porto a compimento l’opera del Padre in voi, proprio nel sabato”.

Luigi: Si, perché il Padre ha fatto il sabato (per questo dice: “opera anche oggi”) per salvare l’uomo.

Pinuccia: Non basterebbero i sei giorni.

Luigi: Non bastano i sei giorni per salvare l’uomo: ci vuole il sabato. Quindi il sabato è fatto per salvare l’uomo. Gesù salva l’uomo e quindi opera. “Il Padre mio opera e quindi io opero”. E rivela quindi agli altri quello che si deve fare di sabato: il sabato è fatto per l’uomo, per salvare l’uomo. Quindi la salvezza del paralitico è solo un segno per dire a noi la vera guarigione che Egli reca, perché quando Lui dà la luce al cieco, è per dire a noi dove è la sorgente della luce spirituale. Dio crea il cieco naturale per far scoprire a noi la cecità che portiamo nella nostra anima; ma scoprendo la cecità che portiamo nella nostra anima ci fa anche vedere chi guarisce la cecità. Perché se Lui ci facesse soltanto vedere siamo ciechi, ci condannerebbe: “Ti faccio vedere che sei cieco. Stop!”. No! Dio opera in due modi, in due tempi: ci fa vedere la nostra cecità, perché soltanto vedendo la nostra cecità, la nostra povertà, capiamo il bisogno che abbiamo. Altrimenti crediamo di vedere, crediamo di essere giusti e invece siamo in perdizione. Allora il Signore per sua misericordia, ci fa vedere, ma nello stesso tempo ci fa vedere che guarisce la nostra cecità, affinché non abbiamo a disperare. In tutte le opere Egli fa così. Per cui da una parte parla a noi e dice a noi quello che siamo, ma dice anche a noi quello che siamo, ma dice anche a noi quello che con Lui possiamo diventare. Egli non ci lascia mai soli: ci fa vedere l’abisso ma ci fa anche vedere la vetta. Quindi c’è sempre l’apertura: tu sei questo, però Io sono quello. “Tu sei questo, ma Io sono …”. Ecco, non dice soltanto: “Tu sei …”. No! Lui non viene per giudicarci, viene per salvare. Però è necessario che Lui dica a noi quello che siamo, perché altrimenti noi crediamo di essere diversi. A un certo momento deve dire ai farisei che sono loro i paralitici. Se ha guarito un paralitico davanti ai loro occhi, l’ha guarito perché erano loro i paralitici nell’anima. Deve dire loro che sono paralitici, altrimenti si credono giusti; però dicendo loro la loro paralisi, il loro male, rivela anche che Lui ha guarito il paralitico affinché anche loro sappiano dove possono essere guariti. L’offerta della guarigione c’è sempre.

Pinuccia: E in che modo porta a compimento il Figlio questa opera del Padre? Lo vediamo in tutto il Vangelo, e in questo episodio del paralitico è chiaramente evidenziato: noi siamo quell’umanità malata fuori della Città di Gerusalemme, della Città di Dio, quindi fuori del tempio; cioè non sperimentiamo la Presenza di Dio, perché per entrare in questa Città e quindi entrare nel tempio, bisogna passare attraverso “la porta delle pecore”. E Gesù dice: “Io sono la porta delle pecore: chi passa per me troverà pascoli abbondanti: cioè chi rimane nelle mie parole può conoscere il Padre”. Ma passare per Cristo vuol dire seguire Cristo. Lui ci dice in modo chiaro le condizioni: “Chi vuol venire dietro di Me, rinneghi se stesso”. Quindi passare per la porta delle pecore, vuol dire superare il proprio io e tutto ciò che si riferisce all’io; andare oltre, guardare in Alto, cercare Dio. Chi non lo fa rimane paralizzato.

Luigi: Noi dobbiamo sempre tenere presente che il nostro io è anche creatura, creatura di Dio. E come dobbiamo superare tutte le creature, quindi dobbiamo anche superare il pensiero del nostro io che è anche creatura.

Pinuccia: Cioè riconoscerlo fatto da Dio.

Luigi: Ora superare cosa vuol dire? Non fermarci alle nostre impressioni, ai nostri sentimenti, alle nostre conoscenze, ma cercare sempre presso Dio. Questo vuol dire superare. Rinnegare noi stessi non vuol dire: “Adesso rinnego me stesso”. Cosa vuol dire rinnegare me stesso? Mi metto a fare dei salti mortali su me stesso? No, vuol dire andare oltre, non fermarti a te. Perché fai questo? Perché mi piace. No, è sbagliato. Perché fai quello? Perché mi hanno detto di fare così. No! È sbagliato, sono le creature. Perché … ? No, la ragione del tuo fare deve essere nel Padre. Fintanto che noi non possiamo dire: “Penso così, parlo così, opero così, perché Dio è così”, noi non abbiamo superato noi stessi, ma ci fermiamo ai nostri sentimenti, alle nostre impressioni, alle nostre abitudini, alle nostre regole, ai nostri programmi, ai nostri interessi, e lì è tutto io. No, la ragione del tuo vivere la devi cercare presso Dio. Quindi ci deve essere continuamente questo: “Non fermarti a te stesso, non fermarti alle tue abitudini, non fermarti alle tue impressioni, vai oltre! Cerca presso Dio, cerca presso Dio, cerca presso Dio. Ti si presenta questo? Spontanea ti viene una reazione? Un impulso? No, aspetta, cerca presso Dio: cerca che cosa Dio ti vuol dire, perché Dio ti parla personalmente attraverso ogni fatto, ogni avvenimento. Ti hanno pestato un piede? Non reagire subito; aspetta un momento, cerca presso Dio, cosa Dio ti vuol dire attraverso questo fratello che ti pesta un piede. Cerca presso Dio. Non reagire soltanto per i tuoi sentimenti, per il tuo piacere, per le tue abitudini, per le tue regole di vita. No! Ti sei formato un programma e Dio te lo manda in aria? Non arrabbiarti. È Dio che te lo manda, cerca di capire, riferiscilo a Dio, non fermarti soltanto all’impressione: “Oh, mi sono fatto quel programma, ora non posso farlo!”. No! Ecco, questo vuol dire imparare a vivere con Dio, a dialogare con Dio, a riferire tutto a Dio, quindi a superare noi stessi: a passare attraverso la porta delle pecore, a guardare in Alto.

Pinuccia: E chi non guarda in alto, rimane paralizzato. Per questo il Verbo si fa carne e viene tra noi che giaciamo paralizzati da tutta la vita (trentotto anni) e ci dice: “Alzati! Alza il tuo sguardo in alto, prendi il tuo letto, cioè prendi il peso della ricerca di Dio e cammina!”. Viene a darci la medicina: si guarisce dalla paralisi guardando in alto. Già prima di venire Lui personalmente a dircelo, interveniva per guarirci attraverso la sua Parola, ed invitandoci a buttarci dietro di essa “prima di tutto” (= il primo che si buttava era guarito”).

Luigi: Anche questo ci fa capire che la paralisi viene in noi perché non guardiamo in alto, ma in basso (guardando il nostro io guardiamo in basso); allora tutte le cose ci paralizzano. Il Signore ci guarisce dicendoci: “Guarda in alto! Cioè supera te stesso!”. Sei paralitico? Va bene, non pensarci, guarda in alto, e a un certo momento ti alzi in piedi senza renderti conto e cammini. Chi ti ha guarito?

Pinuccia: Ci invitava quindi a buttarci sulla parola “prima di tutto”, perché solo cercando Dio prima di tutto, si può guarire da qualunque male. Ma Lui viene anche per chi non può più fare questo e non ha più nessuno che lo aiuti e gli dice: “Alzati, prendi il tuo letto e cammina”. Il paralitico guarito, ubbidisce, supera la prova in cui Dio l’ha messo, affermando la volontà di Gesù contro quella dei Giudei (“Colui che mi ha guarito mi ha detto …”) e così arriva al tempio, dove è incontrato da Gesù, conosciuto da Gesù. Qui nel tempio ha una conoscenza nuova. Prima lo conosceva solo secondo la folla. Ma non è rimasto nel tempio. Non basta portarci nel tempio.

Luigi: Bisogna imparare a restare.

Pinuccia: Gesù dice: “Chi resta nelle mie parole vedrà la Verità”. Quindi bisogna restare nel tempio.

Luigi: Certo; infatti Gesù invitando quell’uomo guarito a non peccare più (abbiamo visto che peccare vuol dire “staccarci”) lo invitava a restare, perché aveva da parlargli dell’opera del Padre, di cui poi parlerà a tutti, capiscano o non capiscano.

Pinuccia: Con la differenza che nel tempio si capisce che quello che Lui dice; fuori invece no.

Luigi: Certo, è logico. Infatti i Giudei non capiscono, anzi lo perseguitano ancora di più e a un certo momento arrivano ad odiarlo, però Lui quello che deve dire lo dice. Visto che colui che era nel tempio non è rimasto, ecco: va in tutte le piazze ed invita tutti, parla a tutti (però indubbiamente soltanto chi entra nel tempio lo intende). Per cui giunge un tempo in cui il regno di Dio arriva a tutti e tutti ci troviamo dentro: può essere una tragedia però.

Pinuccia: Quindi praticamente l’opera del Padre e del Figlio è quella di farci raccogliere tutta l’opera dei sei giorni, vero?

Luigi: Si, anzi è proprio attraverso quest’opera di raccolta dei sei giorni che si entra nel tempio, cioè che si entra nella conoscenza del Padre. È quando si conosce il Padre che si è figli; il Figlio è tutto Pensiero del Padre, invece noi siamo pensiero di tante cose, siamo molteplicità e nella molteplicità c’è l’inquietudine, c’è il tempo che passa, c’è la tristezza. Siamo però chiamati a diventare tutto pensiero di Dio e Dio opera per farci diventare tutto pensiero di Dio, cioè figli di Dio.

Pinuccia: Fino a non avere un pensiero nostro, allora.

Luigi: Il pensiero nostro è questo. Questo è il Figlio di Dio: il Figlio di Dio è Pensiero di Dio. Il Figlio di Dio è tutto Pensiero di Dio.

Pinuccia: Quindi i nostri pensieri non sono pensieri?

Luigi: I nostri pensieri sono pensieri, ma sono pensieri che vanno e che vengono e sono relativi alla nostra debolezza, alla nostra miseria, alla nostra povertà, alla nostra instabilità.

Nino: Sono pensieri riferiti a noi stessi.

Luigi: Si, sono nel pensiero dell’io; il pensiero dell’io però che è distacco perché il nostro io si afferma separandosi e separandosi si distrugge.

Pinuccia: Cioè ci appropriamo malamente della capacità che Dio ci ha dato di pensare.

Luigi: Dovremmo sempre collegare tutto a Dio. Il mondo è pieno di parole, ma in tutte queste parole c’è anche però la Parola di Dio. Abbiamo tanti libri e tra tanti libri c’è anche il Vangelo. “Se lo metterete in alto …” ecco, chi lo metterà in alto. Bisogna metterlo in alto.

         Ho tanti libri e fra essi c’è anche il Vangelo. Se questo Vangelo lo metto prima di tutto, allora Lui mi attrae a Sé e mi fa diventare tutto pensiero di Sé; però chiede a noi che lo mettiamo in alto. C’è sempre questo invito rivolto a noi; per cui: tanti pensieri e il suo pensiero. “Metti il mio pensiero prima di tutto, se vuoi diventare tutto pensiero mio”. Diventiamo figli di Dio nella misura in cui diventiamo tutto Pensiero di Dio.

Pinuccia: E si diventa tutto pensiero di Dio, raccogliendo tutto nel Pensiero di Dio?

Luigi: Si, perché raccogliere vuol dire semplificare. Cosa vuol dire mettere in alto? Vuol dire riferire a, e “riferire a” vuol dire raccogliere, e più uno raccoglie più semplifica in un pensiero solo. Noi siamo complicati perché abbiamo tanti pensieri, tanti interessi, tanti amori. Nella molteplicità, dobbiamo passare da una cosa all’altra e allora tutto si complica in noi, arriva la notte, la confusione, non sappiamo più dove andare e non abbiamo più né pace né tempo per pensare. Ma non sappiamo più dove andare perché abbiamo complicato e abbiamo complicato perché non abbiamo messo Lui prima di tutto.

Pinuccia: Però in questa notte Lui viene.

Luigi: Lui viene sempre in tutte le cose, sempre per invitarci a capire la nostra miseria e a mettere Lui prima di tutto. In Lui è la salvezza.

Pinuccia: Penso che è importante comprendere in che cosa consista la parte nostra, perché noi nel pensiero del nostro io il più delle volte la facciamo consistere in un “fare” nel mondo esterno anziché nel mondo interno.

Luigi: Si, guardi la parte nostra è farla scomparire più che sia possibile. Più scompare quello che dobbiamo fare noi e più è tutto opera sua.

Pinuccia: Però lei dice che noi non entriamo “senza di noi”, cioè c’è una parte nostra.

Luigi: Ma il “senza di noi” è proprio questo: imparare che noi dobbiamo fare niente, che non dobbiamo fare conto su niente di noi. Più facciamo il vuoto di noi e più facciamo la parte nostra. È far conto su di Lui.

Teresa: La parte nostra è fare una scelta: se io scelgo uno.

Luigi: Lascia tutto il resto.

Teresa: Ecco, quindi è questione di fare una scelta.

Luigi: Ma anche se fai la scelta è grazia di Dio, non è opera tua. In non far la scelta è opera tua. Tu non scegli? Questa è opera tua; ma questo è peccato, questo è male. Ma se scegli è per opera di Dio. Non puoi dire: “Io scelgo”. No! È Dio che ti fa la grazia di scegliere per cui lo attribuisci a Dio. Tutto quello che di bene si fa nella nostra vita, la semplificazione della nostra vita e di noi stessi, è tutto dono di Dio, è opera di Dio. Non è: “Sono io che l’ho fatto”. No! Il nostro “fatto” è sempre un difetto.

Teresa: Quindi basta che metterci in questo atteggiamento di voler fare la scelta … se è Lui che la fa, basta desiderare.

Nino: Basta dare il pensiero.

Luigi: Tu non hai la possibilità di dare il pensiero se il Pensiero di Dio non è venuto a te, per cui se tu dai il pensiero a Dio, tu devi ringraziare Dio che è venuto a te e si è fatto pensare; è stato tutto grazia. Anche questo è da attribuire a Dio: non sono io che ho dato il pensiero, no, è il non dare il pensiero che è opera mia.

Nino: Non c’è problema ad accettare questo: il problema è rimanere in questo pensiero.

Pinuccia: Quindi dopo quanto è stato detto che cosa possiamo dire che Dio ha detto di Sé? Dio è l’Essere, Dio è Dio, è il Verbo che giunge a noi.

Nino: Penso che Dio è un’infinità di cose e noi riusciremo a dire cos’è Dio quando saremo riusciti a raccogliere tutte queste cose che Lui è, come Lui ci è apparso, perche delle tre Persone, una si è incarnata.

Luigi: Ma adesso in questo primo tempo ci chiediamo che cosa Dio dice di Sé in questo fatto. Non avrei ancora chiesto che noi diciamo di Dio, quello lo riserviamo per la seconda parte.

Nino: Noi diciamo di Dio ciò che Dio ha detto di Sé, cioè quello che abbiamo capito.

Luigi: Magari!

Nino: Io ho cercato di mettere in evidenza alcuni elementi che di Sé Lui mi fa scoprire:

-                     Prima di tutto ci ricorda che Lui è la porta stretta, la porta delle pecore: “Tu per arrivare a conoscere Dio devi passare attraverso di me”.

-                     Poi ci dice: “Devi buttarti nella piscina, cioè ti devi purificare, devi lasciare il tuo io, se non puoi entrare nel tempio.

-                     Poi ci vede malati, ma è Lui che ci viene incontro, che si abbassa al nostro livello.

Luigi: Cioè non aspetta che noi andiamo a cercare Lui: Lui stesso viene a cercare noi.

Nino: Però Dio opera sempre per parabole e sempre ci fa delle proposte, non è che ci imponga qualcosa. Ci chiede: “Vuoi essere guarito?”. Noi possiamo rispondere di “si” o di “no”. E intanto vediamo che Dio è amore perché ci sta dietro in tutti i modi; vediamo che Dio è rispettoso di noi. E questo non è poco: che Dio sia rispettoso di noi, di noi che manchiamo di rispetto gli uni verso gli altri.

Luigi: Ma tu pensa quello che noi siamo nei riguardi di Dio. Nei riguardi di Dio siamo meno delle formichine che vediamo qui attorno, eppure Lui verso di noi ha un amore così grande da rispettare la nostra libertà.

Nino: E ci viene incontro anche quando noi abbiamo fatto conto per tutta la vita sugli uomini, come questo paralitico che arriva a dire: “Non ho nessuno”.

Luigi: Lui ci viene incontro quando noi l’abbiamo disprezzato.

Nino: Poi quando noi accettiamo di essere guariti da Lui, essendo Lui parola del Padre, vuole che diventiamo secondo la sua parola. Se dice: “Alzati e cammina”, noi dobbiamo alzarci e camminare e portare il fardello che ci dice di portare. Anche questa è una cosa donata: Lui ci fa dono di tutto, ma vuole che noi non rifiutiamo niente. Parlando viene a portarci a compimento la legge, perché noi prima di Lui eravamo solo alla lettera della Legge ed era questa che ci faceva sbagliare invece di portarci al bene.

Luigi: Credendo di essere giusti.

Nino: E Lui ci ripete e martella le cose fino al momento in cui le capiamo: cose sempre sentite e che improvvisamente ci sembrano nuove. Ed ora con questi farisei viene a compiere la legge, ad esempio con la questione del sabato; probabilmente i farisei non l’avevano mai riferita a Dio, non si erano mai chiesti che cosa intendesse Dio per il sabato.

Luigi: Si, non basta quello che intendiamo noi, bisogna sempre cercare quello che intende Lui. Per questo ho detto che è sempre necessario cercare il significato delle sue parole. Dio vuole che noi cerchiamo l’intelligenza delle sue parole, l’intelligenza delle sue opere, delle sue lezioni e che non ci fermiamo alle impressioni nostre.

Teresa: Ma chi diceva a questi farisei che non dovevano fermarsi alla lettera, ma che avrebbero dovuto giungere allo Spirito della legge?

Luigi: San Paolo dice: “La lettera uccide, lo Spirito vivifica”.

Teresa: Si, ma questo è per noi, ma essi come facevano a saperlo?

Luigi: Se uno pensa a Dio, il Pensiero di Dio gli impedisce di giudicare il fratello, di applicare al fratello la legge, ma di applicarla a sé. Se tengo presente il Pensiero di Dio, cioè se supero me stesso, mi presenta che tutto quello che mi accade è Dio che parla a me; allora io non devo giudicare quello che mi accade. Tra quello che mi accade ci sono anche le creature che trasgrediscono la legge, ma è Dio che me le presenta e le presenta a me. Perché quando uno tiene presente Dio fa un triangolo:

-                     Dio,

-                     La creatura, la creazione, i fatti,

-                     Il proprio io.

Se tengo presente Dio, Dio mi presenta quel fatto per me. Se invece dimentico Dio, allora vedo soltanto la creatura e il mio io, in orizzontale; così mi arriva una disposizione della legge, un fatto, ecc.? Io giudico quello che ho davanti; sento una parola? “Questa va bene per il tale” dico: “Quest’altra per l’altro”, sempre così. È soltanto il Pensiero di Dio che mi fa riflettere su me stesso! Ricevendo tutto dal Pensiero di Dio allora non rifletto più sul fratello, ma rifletto su di me, perché Dio parla a me. Anche questo fratello è opera di Dio, quindi è una parola di Dio per me. E allora che cosa Dio dice a me? Una pagina del Vangelo: “Che cosa dice a me?”. Riferendola a noi, abbiamo la possibilità con Dio di capire la lezione del Vangelo, la parola di Dio; in caso diverso non la capiamo, non possiamo capirla, perché Dio è Colui che opera, è Colui che parla; ma Dio è anche Colui che illumina e ci fa capire le sue parole; per cui noi dobbiamo sempre restare con Dio; dobbiamo restare con Dio sia quando le cose arrivano a noi, e dobbiamo restare con Dio anche per capire, se vogliamo capire le cose che arrivano a noi. Dio quindi è il Principio che opera e Dio è anche l’intelligenza delle cose che opera. Noi generalmente veniamo meno in questa seconda fase, anche quando accettiamo tutto dalle mani di Dio. Dobbiamo sempre tenere presente questo: se vogliamo capire il significato delle cose di Dio dobbiamo guardare a Dio. Dio mi ha mandato questo? “Si, Signore l’accetto. Adesso guardo Te, penso a Te per capire quello che Tu mi vuoi dire, mi vuoi significare”, perché Dio è l’intelligenza delle cose sue.

Cina: Accettare è già difficile, tanto più …

Luigi: È già difficile accettare tutto da Dio. Per accettare tutto da Dio intanto bisogna credere che Dio esiste, perché se non siamo convinti, non lo possiamo. Poi bisogna credere che Dio è il nostro “tutto”, che Dio è tutto per noi. Fintanto che non arriviamo a capire che Dio è tutto per noi, noi ci disperdiamo perché diciamo: “Di quello ho bisogno, di quell’altro non posso fare a meno, ecc.”; abbiamo tante necessità, e questo ci disperde. No, dobbiamo arrivare a capire che Dio è tutto per noi.

Cina: E se si viene malati vuol dire che è nel suo disegno?

Luigi: È Dio che lo fa. Prima di arrivare a capire la necessità di passare per la porta delle pecore, di superare noi stessi, noi dobbiamo capire:

-                     Che Dio esiste,

-                     Che Dio è Colui che opera in tutto, che tutto è opera sua,

-                     E che Lui è il “tutto” per noi.

Avendo capito che Egli è il “tutto” per noi, incominciamo a sentire il bisogno di passare attraverso la porta delle pecore, per entrare nella sua Città, altrimenti non sentiamo questo bisogno, perché uno sente il bisogno di una persona in quanto ha capito l’importanza, il bene che quella persona è per lui. Ma fintanto che non ha capito il bene che quella persona è per lui, non sente il bisogno di essa. Allora ecco che ci sono tutti questi fatti precedenti attraverso cui Lui opera per convincerci (convincerci vuol dire legarci, legare a Sé), Dio opera per legarci a Sé, farci diventare suoi figli.

E per farci diventare suoi figli opera così:

-                     non credo in Dio? Dio opera per farmi capire che esiste;

-                     credo che Lui esiste, ma non credo che Egli sia Colui che opera in tutto? (Si, esiste ma è lontano, le cose vanno da sole, vanno da sé, sono gli uomini e le creature che operano). Allora Dio opera per farmi capire che Lui è Colui che opera in tutto e che è presente in tutto.

-                     Ho capito che Lui opera tutto ed è presente in tutto? Allora Dio opera per farmi capire che Lui è “tutto” per me.

-                     Ho capito che Lui è “tutto” per me? Allora Lui opera per farmi capire come fare, attraverso quale porta devo entrare per vivere in questo.

-                     E quando sono entrato, opera ancora per farmi restare e quindi per darmi l’intelligenza delle cose sue.

È tutto un progredire di lezioni attraverso le quali Lui mi fa camminare fino a farmi diventare tutto pensiero suo. Ora noi possiamo fermarci a diversi punti di questa ascensione e naturalmente come ci fermiamo, incominciamo ad essere paralizzati, incominciamo ad abortire. Ma se invece ascoltiamo, Lui opera per farci fare un passo dietro l’altro, con la pazienza, perché il suo giogo è soave, per farci camminare fino alla vetta. Lui è capace di portarci e Lui può portarci, però noi dobbiamo sempre accogliere, il che vuol dire non far conto su noi stessi, non far conto su altro.

Teresa: Pensavo che siamo già tanto riconoscenti ad un medico, quanto più lo dovremmo essere verso Dio. Dal medico siamo noi che andiamo o lo chiamiamo e andiamo già a dire noi che siamo malati, prima che ce lo dica lui; poi se viene lo paghiamo; poi non sempre ci guarisce, eppure noi gli siamo riconoscenti. Invece Gesù viene Lui stesso ad avvisarci che siamo malati.

Luigi: Perché noi crediamo di essere sani e Lui viene per farci capire che siamo malati. E guarda che una delle fatiche maggiori è quella di convincere uno che è malato e che si crede sano, affinché accetti di farsi curare. E Lui paga ancora per noi! Dovremmo ora passare al secondo argomento: “Che cosa noi diciamo di Lui”.

Pinuccia: Ma prima di passare al secondo dovremmo avere ben chiaro il primo argomento: “Ciò che Dio dice di Sé”. Proporre che si facesse una sintesi di tutto quello che Dio ha detto di Sé in questo episodio del paralitico, perché altrimenti non possiamo dire ciò che noi diciamo di Lui.

Luigi: Ah no, un momento! Perché Lui dice di Sé a noi, quello che Egli è! Ma c’è tanta diversità tra quello che dice Lui di Sé e quello che diciamo noi di Lui. Cioè Lui interroga e dice: “Che cosa ascoltate di Me? Che cosa Io dico a voi di Me?” e poi dice: “E voi, chi dite che Io sia?”. Prima ci fa osservare quello che gli altri dicono, quello che l’altro dice, quello che Dio dice. Prima Dio parla di Sé a noi e poi ci interroga: “E adesso tu che dici? Perché Io ho detto che sono questo, ma tu cosa dici di Me?”. C’è diversità; c’è molta diversità! Perché abbiamo visto ad esempio il fatto di dire: “Mio Dio, mio “tutto”!”, non a parole, sia chiaro, mi impegna a non avere altri “tutto”, altre necessità. Ma quando io dico che Dio è “tutto” e poi ho bisogno di questo e di quell’altro perché: “Senza questo non posso tirare avanti, senza questo neppure, come faccio?”, allora il Signore ci dice: “Ti mi chiami Signore, ma guarda quanti signori hai tu!”.

Pinuccia: Cioè con la vita diciamo: “Signore” ad altre cose!

Luigi: È così. Quindi Lui ci dice: “E adesso tu cosa dici di me?”. E se noi diciamo: “Tu sei il mio Signore!”, Lui ci può rispondere: “Guarda un po’ quanti signori ha intorno a te?!”. È qui la diversità.

Pinuccia: Pensavo che dovessi dire di Dio quello di cui sono convinta, anche se poi nella vita pratica non son coerente. È sbagliato?

Luigi: Lui dice a noi ciò che Egli è. Ma dopo aver detto a noi quello che Egli è, chiede a noi che diciamo quello che Lui è, non a parole ma nella vita.

Pinuccia: Ma allora non basta la convinzione?

Luigi: No.

Pinuccia: L’ideale allora è quello di arrivare a dire con la vita quello che Lui dice di Sé.

Luigi: Siamo chiamati ad essere con Lui come Lui è con noi, ad amarlo come Lui ama noi, a conoscerlo come Lui conosce noi, a vivere con Lui come Lui vive con noi. Ora, Lui vive con noi anche quando siamo nel massimo della disonestà, nell’infedeltà, nell’adulterio: Lui vive con noi! E Lui chiede a noi che viviamo con Lui come Lui vive con noi, con quella generosità lì, e non soltanto perché c’è una paga, una ricompensa; ma anche ammesso che Dio ti dimenticasse, ti tradisse, fosse adultero verso di te (scusate il termine), guarda che Dio resta con te anche se tu sei adultera, per cui tu impara a restare con Lui anche quando Lui ti dimentica, quando Lui non si rende presente, quando Lui non parla più, e tu resta con Lui, come Lui resta con te.

Pinuccia: È per questo che bisogna avere ben chiaro il primo punto per poter passare al secondo.

Luigi: Certo, e dopo quanto è stato detto in questa prima parte, per te, adesso, Dio che cos’è? Tu non devi ripetere che cosa Dio dice di Sé, ma devi dire che cosa Dio è per te. Dio dice qualcosa di Sé in quanto ti propone un ideale, una meta; ma attualmente per te Dio che cos’è? Un Essere indifferente? Un Essere lontano? Un Essere astratto o è tutto il tuo amore? Tutta la tua vita? È tutto per te? Che cos’è per te?

Pinuccia: Chiederei prima di entrare in questa seconda parte, di soffermarci ancora un momento sulla prima, perché mi aiutassero a rilevare dalle stesse cose che ho detto quello che Dio dice di Sé, perché io questo non l’ho detto.

Luigi: D’accordo.

Pinuccia: Avevo detto che il Figlio viene a compiere l’opera del Padre facendoci capire che dobbiamo entrare nel sabato e come va inteso questo sabato.

Luigi: Ora, prima di tutto: che cos’è il Figlio per operare in questo modo? Perché non lo opera il Padre. Perché noi diciamo: “Questa è opera del Figlio”? Il Figlio è Dio, come il Padre è Dio perché formano un Essere solo. Però a questo punto, chiediamoci: perché non è il Padre che viene a farci capire le sue opere, ma è il Figlio? Perché? Chi è il Figlio?

Pinuccia: Il Figlio è Colui che è generato dal Padre.

Luigi: Sì, è giusto, ma non basta.

Pinuccia: E trova tutta la ragione della sua esistenza, del suo essere, nel Padre.

Luigi: Ecco, il Figlio è questo. Perché non basta essere generati dal Padre. Bisogna riconoscerlo, perché siamo nel ritorno. Il Figlio è Figlio in quanto attribuisce tutto al Padre, anche Se stesso, il suo essere: lo attribuisce al Padre. Fintanto che noi non attribuiamo a Dio tutto di noi, noi non siamo figli.

Teresa: Ma questa è l’azione del Figlio, invece prima ci chiedevamo …

Luigi: Appunto, perché questa è l’azione del Figlio? Proprio perché il Figlio è figlio in quanto attribuisce tutto al Padre, anche Se stesso. E allora Lui viene (ecco l’opera del Figlio), viene per attribuire tutto quello che noi non attribuiamo di noi a Dio (per cui siamo malati), viene per farcelo attribuire al Padre: questa è l’opera del Figlio. Per questo si distingue il Figlio dal Padre.

Teresa: Questa è l’opera del Figlio, ma cosa dice qui che il Padre è?

Luigi: Il Padre è Colui che opera in tutto. Il riconoscimento che tutto è opera del Padre è il Figlio.

Pinuccia: Allora da questo primo punto posso dire: “Dio è Colui che opera in tutto”.

Luigi: Dio è Colui che opera in tutto, e se tu dici che Dio è Colui che opera in tutto, appartieni al Figlio: è il Figlio di Dio che riconosce questo in te. Tu non sei tu che operi e dici questo: è il Figlio di Dio che dice questo.

Pinuccia: Quindi il Padre è l’Unico Operatore.

Luigi: L’Unico Operatore è il Padre. Il Figlio riconosce che l’Unico Operatore è il Padre. Fintanto che noi riconosciamo che sono altri gli operatori, o che siamo noi stessi, non siamo figli e non è il Figlio che parla in noi. Il Figlio viene in questa nostra deficienza, per dire: “Guarda che tutto è opera del Padre, anche la tua deficienza” (per la quale noi ci crediamo soli). Raccogli anche questo! E allora lì abbiamo il Figlio.

Teresa: Ma lì vedo la parte del Figlio, ma la parte del Padre che dice: “Io sono …”, non la vedo.

Nino: Se il Figlio è la parola, il Pensiero del Padre, non è il Padre che parla attraverso il Figlio?

Luigi: Certo, e soltanto perché è il Padre che parla attraverso il Figlio che …

Nino: Se noi accettiamo che il Figlio è la parola, il Pensiero espresso del Padre …

Luigi: Siamo figli …

Nino: Noi veniamo a conoscere il Padre.

Luigi: Il Figlio è Colui che conosce il Padre.

Nino: Per questo Gesù alla fine dopo aver tanto parlato dice: “Come? Da tanto tempo che siete con me e ancora dite che non conoscete il Padre?”, se io vi parlo unicamente del Padre?

Luigi: “Chi vede me vede il Padre”.

Nino: Certo, c’è molta diversità tra quello che io o un altro diciamo o parliamo del Padre e quello che parla Gesù. Se noi diciamo che Gesù è il Verbo di Dio incarnato, noi diciamo: è il Padre che parla così.

Pinuccia: Quindi concludendo, posso dire che il Padre è l’Unico Operatore e che il Figlio …

Luigi: … è Colui che riconosce che Dio è l’Unico Operatore.

Pinuccia: Passando ad un altro punto: noi siamo quell’umanità malata fuori della Città di Dio.

Luigi: Perché non diciamo che Dio è l’Unico Operatore.

Pinuccia: E Gesù dice: “Io sono la porta”. Ecco, qui cosa dice Dio di Sé? Lì è il Figlio che dice che è la porta, ma il Padre che cosa dice di Sé?

Luigi: In quanto dice: “Io sono la porta”, dice a noi qual è la condizione per riconoscere che tutto è opera di Dio, per riconoscere che Dio è l’Operatore.

Pinuccia: Dicendo che Lui è la porta, non dice anche che Dio, il Padre è il fine? Perché se io passo per la porta è per arrivare ad un fine.

Luigi: Certo, ma il fine è questo riconoscere Dio Operatore in tutto.

Pinuccia: Ma non è Dio il fine?

Luigi: Certo. La porta è quella che ci fa capire, ci fa entrare. Entrare vuol dire intendere, capire, arrivare a capire. Passare attraverso la porta vuol dire arrivare a capire quello che ancora non capiamo.

Teresa: Cioè entrare nel Pensiero dell’Altro.

Luigi: Se non capiamo è perché siamo ancora nel pensiero del nostro io, nel pensiero del mondo. Allora siamo fuori. Chi si presenta a noi come porta, si presenta come luce che illumina e fa capire quello che attualmente non capiamo. E siccome noi non capiamo perché siamo separati (il pensiero del nostro io ci separa), allora l’altro Io, l’Io di Dio che si presenta a noi, diventa porta per noi per capire Dio, il Padre. Senza di Lui non possiamo arrivare al Padre. Ecco la porta.

Pinuccia: Questo è quanto il Figlio ci dice di Sé.

Luigi: è il Pensiero del Padre che si presenta a noi, attraverso il Figlio, e che diventa porta per noi. Perché la porta è un altro io, perché fintanto che io penso a me stesso, io non posso assolutamente capire (nel pensiero dell’io noi non possiamo conoscere); bisogna che ci sia un altro che venga a me e che parli a me; venendo a me, in quest’opera di misericordia, in questo entrare in casa mia, in questa grazia che l’Altro mi presenta, mi spalanca la porta, il suo Io. Quando una persona viene a noi, cosa vuol dire? È una meraviglia! Un’altra persona che viene a me! Ecco, la sua venuta mi spalanca una porta! Mi fa uscire dal mio io.

Pinuccia: Quindi Dio è Colui che mi viene incontro.

Luigi: Dio è Colui che viene incontro al pensiero del mio io per farmi uscire dal pensiero del mio io. Senza di Lui io non posso uscire dal pensiero del mio io. Per questo dico che noi non possiamo pensare Dio, se Dio non fosse venuto già prima a noi. Noi non potremmo nemmeno pensarlo. Ma se lo pensiamo è perché già Lui per primo è venuto e si è donato a noi.

Pinuccia: E poi se il Pensiero di Dio è già Lui …

Luigi: Già; infatti noi non possiamo pensare Dio senza il Pensiero di Dio; ma il Pensiero di Dio è Lui. Per cui Dio è il Pensiero di Sé in noi.

Pinuccia: Nel punto seguente poi Gesù dice al paralitico: “Alzati, prendi il tuo letto e cammina”. Quindi il Figlio è Colui che ci dice di alzare il nostro sguardo a Dio. E il Padre?

Luigi: Il Padre è Colui al quale il Figlio ci dice di alzare il nostro sguardo, perché la meta è il Padre stesso.

Pinuccia: Quindi il Padre è Colui che si presenta a me!

Luigi: In quanto si presenta come meta, ci fa alzare gli occhi da quello che ci tiene in basso, cioè dal nostro io, dal nostro mondo, dalle creature; quello è opera di Dio, quindi è Dio stesso. E siamo con la Porta. Cioè Dio è Colui che viene a noi. Dio è Colui che dopo averci creati, viene a noi per liberarci.

Pinuccia: Poi Dio è Colui che agita l’acqua, è Colui che ci mette alla prova, perché affermiamo lo Spirito.

Luigi: Sì, è Colui che ci mette alla prova. Dio è anche Colui che ci presenta questo panorama. È Lui che ci ha condotti qui per farci guardare questo e farci dimenticare questo.

Pinuccia: Cioè trascenderlo?

Luigi: Per non guardare attorno a noi, ma per guardare dentro di noi. Prima ci fa guardare intorno i poi ci invita a guardare dentro. Prima ci dice le sue parole, poi chiede a noi le nostre parole, chiede a noi qualcosa.

Nino: “Chi dice la gente che io sia?”.

Luigi: Quindi prima dice: “Che cosa vedi di Me attorno a te? E adesso tu cosa dici di Me?”. Prima ce lo fa dire da tutte le creature attorno.

Cina: È più facile capirlo guardandoci attorno che dentro.

Luigi: Certo, è lì il difficile. Prima ce lo fa dire da tutti: dai fiori, dai prati, dal cielo, dal sole, dalle nubi, dal vento, dal freddo, dal caldo. Tutto ci parla di Lui e da tutto ci fa parlare di Sé a noi attraverso le cose. Dopo averci fatto parlare attraverso tutte le cose, ci dice: “Adesso dì tu …”. Dopo aver fatto parlare tutte le cose abbiamo Gesù che parla del Padre, ce lo rivela. E poi invita noi: “Adesso Sali tu sulla scena e dì davanti a tutti: che cosa è Dio per te?”.

Pinuccia: Prima ci dice di tenercelo per noi, no?

Luigi: In un modo o nell’altro noi siamo spettacolo … Ora, chiediamoci in questo tempo di silenzio: “Che cosa tu dici di Dio”.

Pinuccia: “Ciò che voglio che Dio sia per me”, sarebbe così?

Luigi: Voglio, può anche essere una speranza. No, che cosa tu dici di Dio oggi; non mettiamoci nel sogno (Dio dice quello, e allora io dico che Dio è “tutto”). Ma cosa dici tu?

Pinuccia: Ma sono gli altri che mi vedono che possono dirlo.

Luigi: Ma tu, cosa dici di me?

Pinuccia: Allora è un esame di coscienza che ci proponi di fare?

Luigi: No, ma: “Che cosa tu dici di Dio?”. È Gesù che lo chiede: “Che cosa dicono di me? E tu che cosa dici?”.

Nino: Diciamo quello di cui siamo convinti e poi ciascuno di noi vede la dissonanza che c’è tra quanto dice e la sua vita, no?

Luigi: Certo, perché nessuno vuol fare l’esame di coscienza all’altro.

Nino: Perché se non ci fosse più dissonanza tra quello che noi pensiamo e quello che noi diciamo …

Luigi: Saremmo già figli di Dio, in Paradiso, nella vita eterna.

II PARTE Che cosa Dio è per me Che cosa dico che Dio è

Luigi: Isaia dice che Dio è come un fiore spuntato in cima alla collina per essere raccolto e chi per primo lo vede lo raccoglie.

Pinuccia: Come: “Chi si butta per primo nell’acqua …”.

Luigi: “Chi si butta per primo nell’acqua è guarito”. Chi per primo Lo vede Lo raccoglie. Chi non Lo vede non Lo può raccogliere; ma chi Lo raccoglie resta raccolto.

Pinuccia: Dio è così?

Luigi: Dio è così! Si offre a noi come un fiore spuntato in cima alla collina.

Cina: A me il Signore in questo silenzio mi ha detto che devo vivere nella fede.

Luigi: Il tema che ci eravamo proposti era questo: “Che cosa Dio è per me”.

Cina: Ciò che è mi porta a vivere nella fede.

Luigi: Rispondi: “Dio per me è …”.

Cina: Dio per me è il Creatore, Colui del quale non posso fare a meno, a rischio di vivere una vita inutile.

Luigi: Cosa vuol dire fare a meno? Non poter fare a meno?

Cina: Quando non mi appoggio su Dio è niente tutto quello che faccio; cioè non dovrei mai vivere autonoma, staccata; almeno non dovrei.

Luigi: Tu sei disposta anche … a non mangiare più la minestra?

Cina: Posso anche mangiare altro … Però dico solo che fa bene … non sono paste dolci.

Luigi: Noi possiamo essere schiavi anche di un filo d’erba, di un fiore. Possiamo essere legati con una fune o con un filo di seta: il risultato però è sempre lo stesso. Possiamo essere legati alle paste dolci e possiamo anche essere legati alla minestra. Se Dio ci volesse talmente liberi da … Se tu dici che Dio è Colui del quale non puoi fare senza, implicitamente devi accettare di non ritenere nient’altro necessario. Devi accettarlo perché Dio solo è Colui del quale non si può fare a meno. Succede invece che ognuno di noi ha una sua “minestra” di cui non può fare a meno. Comunque per te Dio è Colui del quale non puoi fare a meno. Implicitamente tu capisci che dicendo: “Dio è Colui del quale non posso fare a meno” vuol dire che: “Di tutto il resto posso farne a meno”, no?

Cina: L’unica cosa che conta è quella che faccio non staccata da Dio.

Luigi: Sì, ma dicendo: “Dio è Colui del quale non posso fare a meno”, capisci che implicitamente devi dire che di tutto puoi fare a meno, fuorché di Dio? E quindi devi essere disposta a far meno di tutto, perché soltanto così acquisti veramente quella libertà per fare quello che vuole Dio. Mi hai capito? Se per te Dio è Colui del quale non puoi fare a meno … Tutte le cose hanno due facce:

-                     Dio è Colui del quale non posso fare a meno;

-                     L’altra faccia: posso fare a meno di tutto il resto.

Perché se non dico quello, vuol dire che Dio non è per me Colui del quale non posso fare a meno.

Cina: Cioè tengo il piede in due scarpe.

Luigi: Ecco.

Cina: È vero, c’è tanta incoerenza.

Luigi: È come se dicessi: “Io scelgo Dio”, ma poi non lascio tutto il resto.

Cina: Però guardando indietro, vediamo come Dio ci ha orientati, come ci ha tolto lo smarrimento, quindi ci aiuterà ancora.

Luigi: Certo. Perché poi c’è questo: perché si fanno queste riflessioni? Perché uno impari a parlare proprio secondo Dio. Molte volte noi diciamo: “Si, Dio è Colui di cui non posso fare a meno”, poi parlando senza rendercene conto testimoniamo che non possiamo fare a meno di ben altre cose. Così ad un certo momento vendiamo la nostra eredità spirituale per un piatto di lenticchie o per un piatto di minestra. Insisto, perché senza accorgercene noi rendiamo a parole testimonianza di altro; così mentre diciamo: “Per me Dio è tutto”, immediatamente dopo diciamo il contrario con le nostre parole e crediamo magari di essere in buona fede. Ecco, bisogna imparare a parlare. Perché, soprattutto, noi pecchiamo con la lingua. Sembra strano perché diciamo: “È con i fatti che si testimonia …”. Ma guarda che prima di tutto, noi pecchiamo con la lingua. Bisogna imparare a parlare secondo Dio. Quindi quando diciamo: “Dio è l’Unico necessario”, stiamo attenti a quello che poi diciamo, perché ogni parola in più diventa un’infedeltà, un tradimento, un adulterio, perché prima hai detto altrimenti. Ecco, bisogna imparare a parlare secondo l’unica cosa necessaria che abbiamo riconosciuto. Questo va fatto soprattutto nelle parole prima ancora che nei fatti. Perché prima dobbiamo verificare i pensieri; poi dobbiamo prendere possesso anche delle parole, e quindi verificare le nostre parole. Poi di lì deriveranno anche le azioni. Ma se noi pecchiamo con le parole, stiamo freschi a curare le azioni! Dobbiamo infatti scendere dal pensiero alla parola e all’azione: unificare tutto in quell’unico necessario che si riconosce, cioè in quell’Unico Signore che Egli è.

Teresa: Per me Dio è prima di tutto il mio Creatore, il mio Sostenitore.

Luigi: Ma è il tuo Creatore di ogni giorno. Ogni giorno è il tuo Creatore, quindi è il tuo Sostenitore. Creatore e Sostenitore: cioè ti crea ogni giorno. Ogni giorno ti sveglia e ogni giorno ti crea con tutti i fatti che incontri.

Teresa: Mi dà l’aria da respirare, l’alimento da mangiare …

Luigi: Certo, è tutto Lui.

Teresa: Dio per me ha una certa attrazione, anche se non riesco del tutto ad alzare i piedi da terra.

Luigi: Ha un certo fascino per te.

Teresa: Ha un certo fascino: per il motivo stesso che sono qui e per tanti altri motivi.

Luigi: Per cui le creature non hanno più tanto fascino.

Teresa: Certo di mettere Lui prima di tutto, ma tra il cercare e il riuscire …

Luigi: Sì, però senti che ha una certa attrattiva, un certo fascino.

Teresa: Sì, più che mai sento che desidero una maggior conoscenza di Lui fino …

Luigi: Fino alla vita eterna.

Teresa: Sì, sento che è la mia vita, non solo perché Lui mi mantiene in vita (e di questo posso anche essere incosciente), ma sento anche che è la mia vita eterna.

Luigi: Ecco, perché Dio ti mantiene in vita è la tua vita; ma tu capisci che c’è diversità tra il dire: “Dio è la mia vita” e dire: “Dio è la mia vita”? Sono le stesse parole, ma vogliono dire due cose molto diverse.

Teresa: È la mia vita eterna, se io Lo faccio mio …

Luigi: Certo, se Lo fai tua vita. Perché Dio è la tua vita, ma tu devi farlo tua vita. Cioè ritorniamo al concetto: “Dio è Colui senza il quale non posso fare niente; è l’Unico necessario, l’Unico mio bene”.

Teresa: Capisco che la vita eterna c’è solamente Lui.

Luigi: Certo; ma guarda che la vita eterna è già adesso. Non sarà domani. La vita eterna è la vita vera, quella non cambia. La vita che facciamo così col mondo è una vita fasulla. Infatti se noi viviamo solo col mondo, ci sentiamo il vuoto dentro, il vuoto della vita.

Teresa: Sono convinta che per entrare nella vita eterna già adesso deve valere solo Lui.

Luigi: Certo.

Teresa: Lo desidero e Lo voglio mettere prima di tutto sempre, ma non sempre ci riesco: alle volte sono cose che dipendono solo da me, altre volte meno …

Luigi: … o non dipende da Dio tutto?

Teresa: No, il non aderire dipende da me. A volte trovo delle scuse, a volte me le invento. Nonostante questo credo che per me Dio abbia un grande valore.

Luigi: D’altronde se Dio non avesse tale attrattiva tu non saresti qui.

Teresa: So che Lui mi vuole attrarre e io desidero lasciarmi attrarre, però …

Nino: Anche per me Dio è il Creatore e il Fattore di tutto, di ogni cosa e che opera da sempre per riprendermi dalla mia dispersione. Lo riconosco, anche se ancora non Lo vedo in tutto immediatamente, ma Lo vedo dopo ripensandoci. È Colui che opera per portarmi alla conoscenza sua, all’armonia con Lui (che è il pensiero continuo di Lui). Lo desidero e glielo chiedo. So che è opera sua. So che i tempi sono suoi e aspetto. Lui è il Principio dell’armonia, non soltanto tra la nostra anima e Lui, ma anche con tutte le creature. è la bellezza del ”ut unum sint”. Non soltanto con le creature uomini, ma con tutte le creature, perché Dio è il Principio di armonia con tutto: con Lui tutte le creature diventano amiche. Tutto diventa amico; diventa amico nostro il sole che tramonta e diventa amica nostra anche la notte che arriva. Ad esempio, non sono ancora riuscito a diventare amico con i lumaconi che mi mangiano tutto l’orto.

Luigi: Ma il giorno in cui tu diventerai amico con i lumaconi, loro se ne andranno; avranno cessato la loro funzione, ti saluteranno perché ormai hanno trovato un amico: “Ora non ti mangiamo più niente, perché siamo amici”, e se ne andranno.

Nino: Quando sto per ucciderli, penso che non sono in linea. Così con le mosche.

Luigi: Penso che più noi diventiamo amici e meno essi ci disturbano. Tutte le creature diventano amiche, se noi siamo amici di Dio.

Teresa: Così succede per le persone: un amico non ci disturba mai, anche se arrivando, rompe i nostri piani.

Luigi: Se noi siamo amici di Dio.

Teresa: E invece magari ci irritiamo solo all’annuncio dell’arrivo di una persona.

Luigi: Noi non ce ne accorgiamo: molte volte crediamo che le bestie, gli animali, siano fastidiosi verso di noi, ma è perché noi siamo fastidiosi verso Dio. Ma più siamo amici di Dio e più ci accorgiamo che tutta la natura (non diciamo che diventi un paradiso terrestre perché abbiamo il peccato, ecc.), ci diventa amica. Per chi è amico di Dio, ed è logico, tutte le creature diventano amiche; perché tutto è opera sua.

Teresa: Quindi ci disturbano se non c’è amore.

Luigi: Sì, perché l’amore rende accettabile tutto e non soltanto, ma rende tutto amico, perché tutte le creature sono effettivamente amiche nostre; Dio ha creato tutte le cose per noi. Il sole non tramonta e ci lascia al freddo perché sia nostro nemico: anche lì c’è un’opera di amicizia nei nostri riguardi. La montagna è amica: parla a noi di Dio. E tutte le creature sono amiche nostre se noi siamo amici di Dio. Se invece trascuriamo Dio, allora anche le creature ci trascurano. È una lezione; se capissimo la lezione, già penseremmo all’amicizia e le ringrazieremmo: “Ti ringrazio creatura che mi pesti un piede, mi fai ricordare di Dio, mentre me ne stavo dimenticando”. Colui che lancia la pietra per richiamarmi dal sentiero che ho sbagliato, me la lancia per avvisarmi che ho sbagliato sentiero. Ma dobbiamo ringraziarlo: “Grazie, perché hai pensato a me”.

Teresa: Quindi la stessa cosa può essere o di distrazione o di aiuto per richiamarci a Lui.

Luigi: Tutte le cose avvengono per riportarci a Dio, sempre, da parte di Dio, perché Dio opera per il bene. Ma se noi siamo chiusi nel nostro io, allora le cose ci urtano, ci rendono infelici, ma esse operano per dirci che ci siamo distratti da Dio. Se noi siamo amici di Dio tutte le cose ci confermano; se noi ci siamo allontanati o ci dimentichiamo di Dio, tutte le cose ci deludono, ci stancano, ci irritano per dirci: “Ti sei dimenticato del tuo Signore”. Ed è opera di Dio anche questa; opera d’amore.

Teresa: Però noi non attribuiamo la colpa a noi, ma agli altri.

Luigi: È lì l’errore, perché anche per ricevere la lezione dagli altri, bisogna pensare Dio. Più invece noi trascuriamo Dio e più la lezione si aggrava su di noi, fino ad arrivare al delitto massimo.

Teresa: Quindi il male è sempre dentro di noi.

Luigi: Il male è sempre dentro di noi. Più è dentro di noi e più noi troviamo l’infelicità anche attorno a noi.

Teresa: Più è dentro di noi e più l’attribuiamo agli altri.

Luigi: Si arriva al punto che a forza di attribuirlo agli altri, accusiamo e uccidiamo. È tutta misericordia di Dio per farci rinsavire, cioè per farci capire che dobbiamo mettere Lui al centro dei nostri pensieri e non mettere il nostro io.

Teresa: Certo, è che il problema è tutto lì: attribuire tutto a Lui.

Luigi: Attribuire tutto a Lui cioè diventare figli di Dio. Vedi quali opere Dio fa per convincerci a diventare suoi figli! Pensa un po’, siamo ben testardi però!!!

Pinuccia: Dio è Colui dal quale uno non si stanca mai di sentir parlare, ma lo scopo di arrivare a sentire parlare Lui stesso.

Luigi: Il Signore opera attraverso le creature affinché noi guardiamo Lui, e ci mettiamo a tu per tu con Lui, in diretto contatto con Lui. Dio vuole parlare con noi personalmente. Dobbiamo arrivare a dire al Signore: “Signore, basta, non farmi più parlare di Te dagli altri; io voglio sentire Te”.

Pinuccia: Certo, mentre uno sente gli altri parlare di Dio, il desiderio è quello di arrivare a sentire la parola che Lui dice.

Luigi: È Lui che la dice.

Pinuccia: Perché se sento parlare di Dio, ma non sento Lui che mi dice qualcosa, a che mi serve?

Luigi: Se noi capiamo qualcosa di Dio, è perché l’abbiamo dentro di noi; se in noi non ci fosse il Verbo di Dio che parla a noi, anche il parlare esterno non direbbe nulla a noi di Dio.

Pinuccia: Quindi è già Lui che parla a noi.

Luigi: Sì, è Lui che parla a noi.

Pinuccia: Se no tutto sarebbe solo rumore.

Luigi: Dio parla all’esterno attraverso tutte le cose ma ci invita ad ascoltarlo dentro, ad entrare dentro di noi.

Teresa: Se Dio non parlasse dentro di noi, sentir parlare di Lui non sarebbe solo rumore, ma addirittura ci unirebbe, sarebbe quasi insopportabile.

Luigi: L’elemento fondamentale, quello che ci rende proprio accettabili le cose esterne è sempre il fattore interno. Noi capiamo sempre in relazione a quello che abbiamo dentro. Se tu hai la tristezza nel cuore, puoi vedere il più bel spettacolo di questo mondo, non ti rallegra, anzi ti aumenta la tristezza.

Pinuccia: Perché è in contrasto e ci si chiede il perché.

Luigi: È in contrasto con la gioia fuori con la nostra tristezza dentro. Chi è in lutto grande, il vedere la gioia fuori, lo rattrista ancora di più.

Teresa: Così ho visto coi bambini abbandonati: più ricevevano doni e più aumentava la loro tristezza e diventavano insopportabili; questi doni  ricordavano loro la situazione di abbandono che vivevano.

Luigi: Tutto dipende da questa dimensione interiore. Quindi bisogna avere molta cura di essa. Non accontentarti, ad esempio riguardo a questi bei monti, di ammirarli, ma cerca sempre quello che il Signore ti vuole dire. Portali dentro di te. I monti sono dentro di te. Le ascensioni vere sono dentro di noi. Ecco, le vere ascensioni vanno fatte dentro. E questa ascensione è: “Alzati! Alza i tuoi pensieri dalle cose che oggi ti ho fatto vedere: alzati! E guarda Me, ascolta Me, parla a Me!”

Teresa: Queste cose esterne possono riportarci a Dio, e possono anche soddisfare il nostro io: ad esempio quello di arrivare  alla cime di una montagna.

Luigi: Certo, può essere sentimento e invece dobbiamo capire che in tutto c’è Dio che parla e parla per riportarci sempre intimamente a questo, fino a scoprire la sua Presenza, il suo Volto, la sua Persona in noi, fino a poterlo individuare; in modo da poter parlare con Lui, ascoltare Lui come ci ascoltiamo qui tra noi, ma molto di più. Molto di più, perché noi ci ascoltiamo, ma c’è sempre tra noi una frattura; vediamo solo i corpi, invece con Dio no, con Dio c’è immediatezza.

Teresa: Arrivare a togliere l’attrazione del nostro io è difficile.

Cina: Però c’è la parola di Dio che dice: “A Dio nulla è impossibile”.

Luigi: Effettivamente a Dio nulla è impossibile. Siamo soltanto noi che col nostro io diciamo a Dio: “Non tutto è possibile!”.

Teresa: È difficile perché mentre cerchiamo Dio, c’è anche un continuo accontentare il nostro io. È difficile andare a Dio in modo puro, è difficile che questa ricerca non sia anche un po’ accompagnata dal gusto, dal sentimento.

Pinuccia: Ma questo se c’è si prende come dono di Dio, no?

Luigi: Si accoglie come conseguenza, il sentimento, la gioia, la pace sono conseguenza; per cui se conoscendo Dio trovo della gioia, non è che debba respingere la gioia.

Teresa: Ma la gioia di conoscere Dio certo è un’altra cosa.

Luigi: Non devo partire dal principio: Dio è solo sacrificio.

Teresa: Ah no!

Luigi: Perché potrei anche fare un idolo del sacrificio.

Nino: Infatti noi non facciamo sacrificio a venire qui, a queste conversazioni.

Pinuccia: Anzi, sarebbe un sacrificio rinunciare.

Luigi: Ma è anche un segno d’interesse, d’amore per Dio.

Nino: Quando ti senti in linea, senti gioia, e non è un sentimento cattivo.

Pinuccia: Quindi sarebbe sbagliato dire: “Sacrificati, rinuncia!”.

Luigi: Soltanto per il sacrificio, no.

Pinuccia: Dio dovrebbe arrivare ad essere come il nostro respiro: come non si può fare a meno di respirare così …

Luigi: Così non si può fare a meno di pensare a Dio, sempre. E il pensare a Lui diventa gioia, tanta gioia che uno non può lasciarlo più. Sarebbe come dire: “Fermati in mezzo alla strada anziché arrivare a casa”. No, debbo arrivare a casa, non posso fermarmi in mezzo alla strada. Ora tutte le creature sono la strada, ma non posso fermarmi in mezzo alla strada. La gioia è in casa. Pensare Dio diventa la gioia massima, diventa tutto. D’altronde è logico: il Signore parla: “Affinché la vostra gioia sia piena”. Parla di gioia piena. Però per arrivare a questa gioia piena c’è tutto un Calvario, c’è una croce, c’è un rinnegamento di noi stessi; però la meta è quella.

Teresa: Per arrivare a questa gioia bisogna dire di no a tante altre cose.

Luigi: Certo.

Pinuccia: Se il Signore ci ha convinti che Lui è il valore massimo, che il nostro bene sta nel conoscere Lui, dobbiamo proporci allora di conoscere Dio prima di tutto.

Luigi: Certo, l’ha detto Lui: “Cerca prima di tutto il regno di Dio”.

Pinuccia: Allora uno deve essere disposto a lasciare qualsiasi cosa pur di conoscere Dio?

Luigi: Certo, è logico.

Pinuccia: E cercare i mezzi che più lo aiutano a cercare Dio.

Luigi: Devi cercare i mezzi che è più ti aiutano a cercare Dio.

Pinuccia: Anche se costano.

Luigi: Soprattutto se costano; non per il fatto che costano, perché non è il fatto del costare o del non costare: il fatto è di avvicinarsi a Lui.

Teresa: Però io penso che Dio non si conosce solamente sui libri.

Luigi: Ah no, è logico, anzi: Dio lo si conosce soprattutto dentro di noi.

Teresa: Quindi quando ci proponiamo di conoscerlo sempre di più non sarà poi stare tutto il giorno sui libri, no?

Luigi: No, no; il libro è un aiuto, può essere un aiuto.

Teresa: Perché se si vede Dio presente nella persone, penso che anche nel nostro lavoro si può anche conoscerlo sempre di più.

Luigi: Si può arrivare a tutto, però per arrivare a quel “tutto”, bisogna amare molto Dio.

Teresa: Se no le persone che non hanno conosciuto i libri, sarebbero fritte.

Luigi: Certo, è logico. Ma il libro è anche un mezzo. Non dobbiamo disprezzare niente; tanto più se teniamo presente che il Vangelo è un libro.

Teresa: Ma proporci di conoscere Dio non vuol dire solo questo.

Nino: Bisogna arrivare ad armonizzare tutto.

Teresa: Perché Dio non parla solamente nella Bibbia, ma anche negli avvenimenti, nelle persone, quindi non è solamente questione di libro.

Luigi: Certo, però se a un certo momento ad esempio, il trovarsi con le persone mi disperde da Dio, mi è di ostacolo per la mia debolezza, ecco io sono autorizzato a fuggire dalle persone, dal mondo, da tutto, a vivere sulla punta del Monviso, non importa, pur di non staccarmi da Dio. Perché la creatura perfetta vive con Dio ovunque, ma è proprio per la nostra debolezza ed è per questo che il Signore dice: “Non preoccuparti del mangiare, del vestire”. Perché? È per la nostra debolezza che il mangiare e il vestire possono diventare una preoccupazione, una necessità di vita, un’attrazione, per cui possono diventare un motivo da togliermi la disponibilità d’animo, la libertà per seguire Dio. Allora il Signore cosa dice: “Pianta lì, lascia il mangiare, lascia il vestire, vivi magari di polenta o di pietre non importa, io ti sostengo comunque, ma cerca Me”.

Teresa: Quindi non è una ricetta generale.

Luigi: No, no! La ricetta generale è questa: “Fuggi tutto quello che ti impedisce di pensare a Dio”. Ognuno ha delle debolezze. Per uno quella cosa lì è motivo di unione con Dio, per l’altro è motivo di scandalo.  È la persona stesso che lo capisce. Il Signore lo sa: vede che quella cosa lì ti distacca, e allora ti invita: “Lascia! Perché quello che per l’altro è un aiuto, per te è una difficoltà. E allora tu vai, vendi tutto quello che hai e vieni dietro a me”. “Se io voglio che lui resti, a te cosa deve importare? Lui resta, tu seguimi”. Vedi? È sempre un fatto personale. L’importante è non dire: “Ah, io questa cosa non posso lasciarla; senza questo non posso vivere”, perché allora mi rendo indisponibile per le cose di Dio. Per cui se tu dicessi: “Io il libro non lo apro”, no, guarda che il libro forse è un aiuto che Dio ti manda. Quindi bisogna essere riconoscenti a Dio, per tutto e sapere che Dio arriva a noi attraverso tutto. Così se il giornale è per te un motivo di dispersione, non aprire il giornale; se il Vangelo ti raccoglie, apri il Vangelo, preferisci il Vangelo al giornale. Se la televisione ti disperde, non accenderla. La fatica che dobbiamo fare per vincere la nostra curiosità, tutto questo è grande agli occhi di Dio; sono questi piccoli passi che rivelano l’amore. Per cui Lui dice: “Preferisci la mia parola alla televisione?”. Lo so che Lui arriva a me anche attraverso la televisione, però se questa ti impedisce e ti distrae, per la tua debolezza, sii pronta a lasciare e approfitta di questo per raccoglierti in Me, per conoscere Me, per impegnarti nella vita eterna.

Teresa: Ci sono persone che dicono: “Quando non riesco a pregare, a mettermi in sintonia con Dio, parto, vado a fare una visita di carità e questo mi aiuta”.

Luigi: Va bene, è la persona stessa che lo capisce. Il Signore vede le intenzioni della persona stessa, però bisogna sempre tener presente questo: può essere un aiuto, ma teniamo sempre presente che tutto quello che è rapporto esterno, anche lo stesso Vangelo, il libro, la parola stessa di Dio, tutto quello che è aiuto, è aiuto perché noi mettiamo quel silenzio interiore per conoscere Lui, per arrivare a conoscere Lui, perché la vera conoscenza si ha in questo silenzio interiore in cui noi ascoltiamo solo più Lui. È Lui che rivela la sua Presenza. Noi dobbiamo sempre ricordarci che tutto il resto è un aiuto che può esserci e può esserci o può non esserci o possiamo anche lasciare o trascurare. Quello che assolutamente non dobbiamo trascurare è questo silenzio interiore a tu per tu con Lui. Questo assolutamente non dobbiamo tralasciarlo. Siamo autorizzati a lasciare tutto, ma non questo.

Teresa: Si può allora avere il Vangelo in mano e non avere il silenzio.

Luigi: Si capisce.

Pinuccia: Tutto il giorno bisogna fare silenzio?

Luigi: No, questo silenzio può anche essere un po’ di tempo. È necessario, vi vuole, perché è un tempo che Dio chiede a noi per parlare personalmente con noi. E noi dobbiamo dargli questo tempo. Dio dice: “Io ti conduco nel deserto per parlare con te”. Perché questo deserto per parlare con te? “Perché ho una cosa da dirti che nessuna creatura può dirti. Le creature ti aiutano, ma nessuna creatura te la può dire”. È necessario che noi ci lasciamo portare in disparte, perché quella conoscenza intima, all’ultimo, attraverso la quale Lui rivela la sua Presenza in noi richiede questo silenzio, e noi dobbiamo darlo questo silenzio. Certe volte ci fa aspettare degli anni. Ma non è detto che in quanto ci fa aspettare degli anni noi non dobbiamo offrire questo silenzio. E non dirò: “Signore, mi metto in silenzio cinque minuti e voglio scoprire la Tua presenza”. Stai fresco! Ti fa aspettare magari tutta la vita.

Pinuccia: Ma anche quando si sia arrivati a questa presenza il silenzio sarà sempre necessario, no?

Luigi: Quando si è arrivati a questa Presenza questo silenzio diventa continuo. Non c’è più niente che faccia rumore fuori, perché è un silenzio talmente meraviglioso di intimità, di conoscenza, di presenza che non c’è niente dal di fuori che possa turbarlo. Allora sì, anche se fosse in mezzo ad una folla continuerebbe ad essere in silenzio.

Teresa: Però nello stesso tempo non potremo mai esserne sicuri.

Pinuccia: Quindi si attingerà sempre dalla Parola di Dio, no?

Luigi: Si, certo.



HOME


Il Padre mio opera fino a questo momento e Io pure opero. Gv 5 Vs 17  Quarto tema.


Titolo: Rapporti tra il Padre e il Figlio e tra Figlio e Padre.

Argomenti: L’opera del Figlio è comprendere l’opera del Padre, non imitarla. Il Figlio riconosce di essere generato dal Padre, tutto in Lui lo attribuisce al Padre. La distanza da Dio: nostri atti autonomi da Dio. Il bisogno di essere amati. Il Figlio insegna a noi come essere figli di Dio. “Attacco alla Sindone”.


 

6.Agosto.1978


Luigi: Con il versetto 17 “Il Padre mio opera fino a questo momento e io pure opero”, si conclude l’episodio del paralitico e inizia il discorso dei rapporti tra il Padre e il Figlio e tra Figlio e Padre.

Questo per farci capire che tutti gli avvenimenti (le paralisi, i portici, la piscina, la porta delle pecore, l’incontro di Gesù, la discussione del sabato, ecc.), sono determinati da Dio per sfociare in questa conclusione, cioè la conoscenza, la contemplazione dell’opera del Padre e del Figlio, in cui è la nostra vita eterna.

Contemplando l’operare del Figlio noi capiamo qual è l’opera che Dio chiede a noi, poiché ognuno di noi è chiamato a diventare figlio.

L’opera del Figlio è quella di comprendere l’opera del Padre, non di ripetere, imitare l’opera del Padre.

L’opera del Padre diventa una proposta per il Figlio e da essa il Figlio è invitato a riconoscersi Figlio.

Il Padre opera chiamando il Figlio a comprendere l’opera che il Padre fa; così pure noi.

Comprendendo, scopriamo noi figli di Dio.

Il Padre genera il Figlio.

Il Figlio riconosce di essere generato dal Padre, cioè comprende l’opera del Padre.

Se l’opera del Figlio fosse imitazione, anche il Figlio genererebbe un Figlio suo.

Invece il Figlio si caratterizza, per cui abbiamo qui due persone, poiché l’opera del Padre è distinta dall’opera del Figlio.

Anche noi siamo chiamati a riconoscerci fatti da Dio.

Quando ci riconosciamo fatti, siamo amati, compresi.

Comprendendo siamo compresi, mentre invece se non amiamo siamo esclusi e quindi non ci sentiamo amati.

Il Figlio dice queste cose per invitarci a partecipare della sua vita.

Cioè Lui, parlando, dà a noi la possibilità di diventare figli di Dio.

Noi diventiamo figli attribuendo tutto a Dio, cioè entrando nel tempio dove tutto dipende da Dio.

Questa generazione in noi è difficile perché noi non superiamo noi stessi.

Noi come ci accorgiamo di esistere, affermiamo la nostra autonomia e diciamo: “Io sono”, invece di dire: “Il Padre è”, attribuendo tutto di noi al Padre.

In ciò che non attribuiamo al Padre non siamo più figli del Padre, ma di ciò a cui lo attribuiamo (diventiamo figli di noi stessi o di altro).

Ed è qui che non ci sentiamo più amati, perché si crea la distanza da Dio, la solitudine, tutto ci ignora, per cui diventiamo incapaci di amare.

Per questo tutti i peccati sono conseguenze del non sentirci amati (beviamo alle pozzanghere quando abbiamo a disposizione l’acqua fresca).

E questo avviene in noi quando non riferiamo a Dio.

Bisogna imparare a dipendere da Dio, perché tutte le cose dipendono effettivamente da Dio.

Dobbiamo quindi ascoltare molto le parole del Figlio, perché è solo il Figlio che può insegnare a noi come si fa a diventare figli e quindi a sentirci di nuovo amati.

È soltanto uscendo dal pensiero del nostro io, cioè attribuendo tutto a Dio e riconoscendo anche il nostro io come opera di Dio che ci avviciniamo a Dio e risentiamo il suo amore.

In questo versetto 17 Gesù dicendo che il Padre opera fino ad ora, cioè anche di sabato, vuol farci capire come va inteso il riposo di Dio nel giorno di sabato, dopo i sei giorni della creazione.

Attraverso i sei giorni Dio opera per formare l’uomo, indipendentemente dall’uomo.

Tutti i giorni, tutte le cose arrivano a noi attraverso i sei giorni della creazione di Dio; poi, come Dio ha formato l’uomo, entra nel suo riposo e invita l’uomo a partecipare, a riconoscere chi l’ha fatto: è qui il riposo del sabato, perché Dio attende la risposta dell’uomo.

Ma non dobbiamo ritenere che il riposo del Padre sia un riposo nostro.

Ecco perché l’opera del Figlio non è ripetizione dell’opera del Padre: questo lo credevano gli ebrei.

Ecco la novità che porta il Cristo: Dio riposa il settimo giorno non perché noi riposiamo, ma affinché noi lavoriamo, facciamo il vero lavoro!”

Perché Dio riposa per invitare noi a comprendere, non a ripetere, quello che Lui ha fatto, riportando tutto a Lui, raccogliendo tutto in Lui (è comprendendo che sono compreso, è  raccogliendo che sono raccolto): è questa l’opera del sabato!

Per cui Gesù concluderà: “Il sabato è fatto per l’uomo”, cioè è fatto affinché l’uomo diventi figlio di Dio.

Gesù quindi guarendo l’uomo paralitico, ha fatto veramente l’opera del sabato, del Padre, perché ha visto che è il Padre che ha operato.

Il Padre ha operato, ma l’uomo interrompe la sua opera e diventa malato perché non ritorna a Dio, è paralizzato dal pensiero del suo io, dalla legge, non si muove più.

L’uomo paralitico riflette la paralisi dei farisei, è lo specchio di essi che avevano tutta la loro vita bloccata, paralizzata dalla legge, dal sabato.

Allora arriva il Figlio di Dio, che guardando quest’uomo paralitico, di sabato, dice loro: “No, la legge non va intesa così: la legge non ti è stata data affinché tu di sabato non faccia niente, ma affinché tu impari a camminare in Dio, cioè ad amare, ad attribuire tutto a Dio, a vedere tutto da Lui, in Lui…”.

Gesù fa camminare quest’uomo, cioè lo porta al Padre e ci insegna qual è la vera opera che Dio chiede a noi in giorno di sabato.

Gesù guarendoci così dalla nostra paralisi, porta a compimento l’opera del Padre, facendo così veramente l’opera del sabato, del Padre, perché ha visto che è il Padre che ha operato.

Ma l’uomo non superando se stesso, non può da solo portarla a compimento perché essendo paralizzato, non ritorna a Dio.

Il Figlio facendolo camminare, lo riporta al Padre: il paralitico guarito entra nel Tempio.

Cioè il Padre, attraverso i sei giorni, compie un’opera ed invita noi a comprenderla, affinché noi siamo compresi.

Ora tutto il difetto nostro è lì: che alla sera del sesto giorno quando noi prendiamo coscienza di esistere, ci fermiamo, non attribuendo il nostro io e tutto quanto a Dio: la vita concepita non sfocia, non nasce, si ferma ed abbiamo l’aborto, il distacco, l’autonomia.

Mancando la nostra risposta nel settimo giorno, la vita abortisce e allora tutto ritorna in niente.

 

Lettura del Libro “Attacco alla Sindone”, seguita dal commento.

 

Il Riassunto dell’incontro n. 145 del 12/08/78  a Pietraporzio, Cappella di San Lorenzo è diviso in due parti:

1)                         Che cosa Dio dice di Sé in questo episodio del paralitico;

2)                       Che cosa Dio è per noi.

1) Prima parte: che cosa Dio dice di Sé, che cosa fa conoscere di Sé in questo brano di Vangelo, fino a questo squarcio di cielo in cui Gesù dice: “Il Padre mio opera ancora adesso e io pure opero”.

Cioè, cerchiamo quello che ogni frase, ogni fatto ci dice di Dio.

È necessario il silenzio interiore che è dato dall’attenzione a Uno solo, perché è Dio stesso che parlando si fa conoscere.

Questo episodio avviene in giorno di sabato, il giorno in cui Dio entra nel suo riposo, perché chiede a noi di entrare nella sua pace; e la sua pace è conoscere Lui: è Lui stesso.

Lui è la sua pace, sua e nostra; Lui è il suo riposo, suo e nostro.

Dio creando e parlando in tutte le cose (la creazione di Dio è continua per ognuno di noi. ogni cosa, anche il  trovarci qui oggi, ci giunge attraverso i sei giorni della creazione di Dio), chiede a noi di fare un passo, superando noi stessi, di entrare nella sua conoscenza, nel suo riposo……

Attraverso tutte le sue opere dei sei giorni, attraverso ogni fatto, ogni parola, Dio ci fa prendere coscienza di questa realtà:

-                     che Lui c'è e che noi ci siamo,

-                     ma che Lui è prima di noi, che è al di sopra di noi

-                     e che Lui è la luce nostra e la vita nostra,

-                     che Lui è l’Essere del nostro pensiero,

convincendoci così a superare noi stessi per entrare nella sua Presenza, perché è Lui solo che, dopo averci parlato di Sé, ha qualcosa di Sé da dirci che nessuna sua lezione, nessuna creatura, nessuno sforzo nostro possono dirci.

È solo dimenticando noi stessi per guardare solo a Lui che possiamo ascoltare la Parola che ci fa entrare nella sua conoscenza e nella sua pace, cioè nel settimo giorno, in cui si diventa figli.

Si diventa figli nel settimo giorno.

Invece attraverso i sei giorni si diventa creature di Dio, servi di Dio; ma si può anche diventare degli aborti alla sera del sesto giorno se noi non superiamo noi stessi, non nascendo come figli, cioè non giungendo alla luce del settimo giorno.

 

Gesù giustifica la sua operazione in giorno di sabato verso quel paralitico (e quel paralitico rappresenta l’anima di ognuno di noi), proprio perché come Figlio di Dio viene a portare a compimento l’opera del Padre, a liberare cioè l’uomo dalla sua paralisi facendolo camminare fino alla conoscenza personale di Dio, cioè facendolo entrare nel sabato.

In questa folla ferma davanti alla Porta delle Pecore (che è necessario attraversare per entrare nella Città di Dio, nel Tempio), in questo paralitico da 38 anni è rappresentato l’uomo che è arrivato alla soglia del settimo giorno, alla fine del sesto giorno, e si è fermato, non è passato, non ha superato se stesso, cominciando così a diventare malato, a paralizzarsi, a non muoversi più.

È solo la Parola di Dio che incontrandosi con noi ci libera dalla nostra paralisi, ci dà la possibilità di alzarci, di entrare nel Tempio e quindi di aprirci al settimo giorno.

Senza l’incontro con la Parola di Dio noi restiamo paralizzati, dominati dagli avvenimenti, dalle creature, dalle cose, dai problemi pressanti di ogni giorno (mangiare, vestire, figura, carriera, ecc.).

Gesù viene a portare a compimento l’opera che ha iniziato il Padre e che è rimasta incompiuta in ognuno di noi quando non superiamo noi stessi.

Ed è proprio in questa opera incompiuta che si forma la paralisi, la malattia, cioè un inizio di morte.

Il Figlio porta a compimento l’opera del Padre facendoci camminare, facendoci entrare nel settimo giorno.

Il settimo giorno infatti non è fatto per far niente, non è fatto per imitare Dio nel suo riposo.

Dio si è riposato non perché noi ci riposiamo, ma perché intendiamo il luogo del nostro riposo.

Se Lui è entrato nel suo riposo nel settimo giorno, è perché vuole che noi nel settimo giorno non ci fermiamo, ma anzi che camminiamo di più per entrare, per raggiungere anche noi quel luogo in cui Egli si trova in pace.

Lui è andato avanti non per distanziarci, ma per sollecitarci a camminare, per avvicinarci di più.

Quindi se Dio è entrato nel suo riposo non è perché anche noi ci sedessimo, ma perché camminassimo di più per trovarci vicino a Lui, più vicino a Lui.

E questa è l’opera del Figlio proprio in giorno di sabato:

-                     Egli viene a portare a compimento l’opera del Padre, facendoci camminare verso il Padre.

Soltanto intendendo il significato di questo settimo giorno, capiamo quello che dobbiamo fare:  

-                     il superamento della legge per entrare nella conoscenza e quindi nell’amore.

 

Attraverso tutta l’opera che Gesù fa verso questo paralitico:

-                     si avvicina,

-                     lo interroga,

-                     lo fa alzare,

-                     lo mette alla prova con i Farisei,

-                     lo fa camminare ed entrare nel Tempio,

Gesù ci significa tutta l’opera che Dio fa nei sei giorni della creazione con ognuno di noi, per farci entrare in quello squarcio di cielo in cui Lui dice: “Il Padre opera”, cioè per farci capire il significato del settimo giorno, del riposo di Dio.

 

Il paralitico guarito non è rimasto nel Tempio, non ha capito.

Però Gesù è fedele e quello che doveva dire al paralitico se fosse rimasto nel Tempio, adesso lo dice a tutti, capiscano o non capiscano, rivelando quello che c'è nel Tempio.

 

E che cosa voleva dire?

Voleva dire come il Padre continua ad operare e come il Figlio deve operare.

Il Figlio di Dio si caratterizza per questo: è Tutto Pensiero del Padre, cioè tutto riferisce al Padre, in tutto glorifica il Padre, tutto giustifica nel Padre, vede in tutto l’opera del Padre, e qui è nella pace.

 

Noi non siamo ancora nella pace perché siamo pensiero di tante cose, siamo figli di tanti.

È la molteplicità che ci rende inquieti.

Chi ci farà semplici?

È il Figlio di Dio che facendoci passare dalla molteplicità di pensieri alla semplicità di un pensiero unico, di un amore unico, ci dà la possibilità di diventare figli di Uno solo, di diventare anche noi tutto pensiero del Padre.

 

Il Figlio di Dio è semplice perché per il Figlio di Dio una cosa sola è necessaria.

Essendo puro pensiero del Padre, tutto riferisce al Padre, tutto riceve dal Padre e tutto genera con il Padre, perché Lui stesso si genera dal Padre, è capace di generare il suo Pensiero poiché è Dio come il Padre.

 

Rileggendo questi versetti non stiamo a pensare quello che Dio dice a noi di fare o di non fare, ma cerchiamo di pensare a:

-                     che cosa Dio dice di Sé a noi, cioè quello che fa Dio, perché Dio rivela qualcosa di Sé in quello che sta facendo.

 

Ecco i punti rilevati:

-         In questo episodio Dio ci dice che vuole offrire la vita, la guarigione, che però attende la nostra parte; quindi da ciò che Dio fa, possiamo dire che Dio è Colui che ci vuole salvare.

-         Dio è Colui che rispetta l’uomo: gli chiede se vuole essere guarito.

-         Dio è Colui che opera attraverso i sei giorni della creazione, attraverso ogni fatto o cosa, per preparare il nostro incontro con la Parola di Dio, per operare la nostra guarigione e farci entrare nella conoscenza personale di Sé, che è vita eterna.

Quindi Dio è Amore, è nostro Padre, è Tutto e continua ad essere Tutto anche quando non è Tutto per noi, ma deve diventare veramente il nostro Tutto in quanto dobbiamo giungere a vivere per Lui, per ascoltare Lui, per restare con Lui, per conoscere Lui.

 

-        Dio è Amore in quanto viene a cercarci lì dove siamo, nella nostra paralisi; viene a muovere le acque anche quando siamo fuori della Città di Dio, anche quando siamo lontani; non ci abbandona nemmeno nel male più grande.

 

-        Dio è l’Iniziatore di tutto: infatti questi malati si buttano nell’acqua dopo che essa è stata agitata dall’Angelo del signore. Ed è Dio che ha fissato la sua ora precisa per guarire questo malato da 38 anni. Ed è Lui che aspetta il momento giusto per dire al paralitico: “Non peccare più perché non ti avvenga di peggio”, non glielo dice subito.

Quindi Dio è Colui che prende l’iniziativa in tutto. E noi dobbiamo comportarci come se tutto veramente dipendesse da Lui, perché così è, se vogliamo rimanere in questo pensiero, uniti a Lui come Iniziatore di tutto, come Creatore, cioè non facendo conto né su noi stessi, né su altri. Perché Dio è il Padrone, è il signore, Colui che domina tutte le cose, tutti gli avvenimenti.

 

-        Dio è Colui che aspetta che noi siamo soli, che non abbiamo più nessuno che ci aiuti ad arrivare a Lui “Non ho nessuno”, per giungere a noi e parlare a noi (cfr. aspetta che finiscano tutti i nostri vini per offrirci il suo vino), perché Egli è Colui che ci isola dalla folla, ci porta nel deserto, perché per guarirci ci vuole trattare personalmente a tu per tu. Lui è molto riservato, le sue parole sono sempre personali. Lui ha qualcosa da dirci che nessun altro può dirci: sono le parole del settimo giorno e che Lui ha riservato a Sé.

 

-        Dio è Colui che venendo tra noi ci invita alla vita con Sé, ad entrare nel settimo giorno; cioè per farci capire il giusto significato del “sabato”. Dio ha fatto il sabato proprio per l’uomo, per guarire l’uomo.

 

-        Dio è Colui che opera tutte le cose per convincerci che noi dobbiamo superare noi stessi: “Alzati!”, perché la conoscenza di Dio la si ha solo in Dio e questo deve avvenire in ogni cosa, avvenimento o persona, perché se li consideriamo solo nell’aspetto che si riferisce all’io, anche se li intendiamo in senso morale, come regola di vita, come legge, come fare una cosa piuttosto che un’altra, come un dovere, allora restiamo fermi al sesto giorno e non passiamo al settimo giorno, alla conoscenza.

 

-        Dio è Colui che parla in tutto e che vuole che noi intendiamo i suoi segni, perché vuole renderci partecipi della sua conoscenza. Per cui davanti ad ogni cosa dobbiamo chiederci: “Che cosa mi vuol dire Dio attraverso questo?”. Senza questo superamento noi ci fermiamo ai segni e non vediamo più le meraviglie di Dio come quei Farisei che vedono solo l’uomo che porta il letto e non un uomo guarito dopo 38 anni di paralisi.

-

Dio è Colui che viene a noi a parlarci di Sé. Dio è Colui che ci dà suo Figlio che viene a compiere l’opera del Padre, parlandoci del Padre “Il Padre mio opera e pure Io opero”, facendoci pensare al Padre. Noi non potremmo pensarlo se Lui non si facesse pensare. Il Pensiero di Dio in noi è il Figlio: se noi pensiamo Dio, è il Figlio di Dio in noi che pensa il Padre, non siamo noi che pensiamo.

Dio è Colui che si fa pensare e che quindi genera in noi il suo Verbo. Il Pensiero di Dio in noi è il tesoro più grande che abbiamo e che noi trascuriamo con una facilità enorme, mendicando altro. Il Pensiero di Dio in noi è il Verbo stesso di Dio che abbiamo a disposizione nostra. Il Pensiero di Dio in noi è Dio stesso. Per questo chi pensa Dio forma una cosa sola con Lui.

Dio  quindi è Colui che ha donato a noi il suo Pensiero, ma il suo pensiero è Lui stesso, è suo Figlio. È perché Lui ce lo ha donato che noi possiamo pensare a Lui anche quando siamo peccatori, perché noi possiamo essere salvati solo pensando a Lui. Il poterci fermare a pensare a Dio, in ogni cosa è una ricchezza enorme per la nostra vita. Se noi lo sapessimo giorno e notte resteremmo sempre in questo pensiero, in ogni avvenimento, cosa, persona, perché in esso è una sorgente infinita di problemi, di luce, di conoscenza, di pensieri, di vita, ci occuperebbe a tempo pieno, senza far fatica a lasciare gli altri pensieri, anzi! Se qualcuno ci invitasse a pensare ad altro, ci rifiuteremmo perché troppo impegnati in questo perché chi vede le cose da Dio, si rifiuta di vederle nel pensiero dell’io. Quindi Dio è Colui che opera tra noi per farsi pensare, per farci entrare nel settimo giorno. Ma questa entrata nel settimo giorno non avviene senza l’opera del Figlio. Per questo Gesù dice: “Il Padre mio opera fino a questo momento, quindi anche di sabato, ed Io pure opero, cioè porto a compimento l’opera del Padre mio in voi, proprio nel sabato”. Perché il Padre ha fatto il sabato, per questo dice: “Opera anche oggi”, per salvare l’uomo.

Dio è Colui che parla a noi attraverso i segni: la salvezza del paralitico in giorno di sabato è un segno per dire a noi la vera guarigione che Egli reca, facendoci entrare nel sabato. Attraverso i segni (paralitici, ciechi, ecc.) parla a noi e dice quello che noi siamo, ma nello stesso tempo ci fa vedere anche Chi ci può guarire, dicendoci quello che con Lui possiamo diventare. Se Gesù guarisce il paralitico davanti agli occhi dei farisei, lo guarisce per far capire loro che sono essi stessi i veri paralitici nell’anima, altrimenti si crederebbero dei giusti, e nello stesso tempo lo guarisce perché sappiano dove possono essere guariti.

 

-                     Dio parla di Sé attraverso la simbologia della Porta delle Pecore, attraverso la quale è necessario passare per entrare nella Città di Dio; se non si passa attraverso di essa, si resta paralizzati, ammalati, fuori dalla Città. È Gesù stesso che dice: “Io sono la porta delle pecore: chi passa per me troverà pascoli abbondanti, perché chi rimane nelle mie parole, chi rinnega se stesso per seguirmi, potrà conoscere il Padre”. Rinnegare noi stessi vuol dire non fermarci ai nostri sentimenti o impressioni, alle nostre abitudini o regole, ai nostri programmi o interessi, (qui è tutto io), ma andare oltre, perché la ragione del nostro vivere la dobbiamo cercare presso Dio, se vogliamo imparare a vivere con Dio (“Penso così, parlo così, opero così, perché Dio è così”), altrimenti si diventa malati, paralizzati e si comincia a morire. Infatti guardando in basso tutte le cose ci paralizzano.

 

-                     Dio è Colui che  viene a noi che giacciamo paralizzati per darci la medicina, per invitarci cioè a guardare in alto: (“Alzati”). Ma già prima di venire Lui personalmente a dircelo, interveniva per guarirci attraverso il movimento dell’acqua della piscina, cioè attraverso la sua Parola, ed invitandoci a buttarci dentro di essa prima di tutto (“Il primo che si butta era guarito”), perché solo cercando Dio prima di tutto si può guarire da qualunque male (“era guarito dal suo male qualunque fosse”).

 

-                     Dio è Colui che ci mette alla prova per farci affermare la Volontà di Chi ci ha guarito contro la volontà di chi è paralizzato dall’io, dalla legge e farci entrare così nel Tempio per farsi conoscere a noi in modo nuovo, personale, non più secondo la folla.

 

-                     Dio è Colui che ci invita ad entrare nel Tempio, a restare nelle sue Parole, a non staccarci da Lui, perché ha da parlarci dell’opera del Padre.

 

-                     Dio è Colui che quello che deve dire lo dice, anche se usciamo dal Tempio, staccandoci da Lui; lo dice a tutti, anche se non capiscono, anche se questo offre un motivo in più per essere perseguitato (cfr. ”va in tutte le piazze ed invita tutti, parla a tutti”). Per cui giunge un tempo che il Regno di Dio arriva a tutti e tutti ci troviamo dentro: può essere una tragedia però.

 

-                     Dio è Colui che attraverso suo Figlio opera nei sei giorni e opera per farci raccogliere l’opera dei sei giorni, per farci cioè entrare nel Tempio, nel settimo giorno, per farci diventare cioè suoi figli, per farci diventare tutto Pensiero suo. Mentre il pensiero del nostro io è distacco, perché il nostro io si afferma separandosi e separandosi si distrugge. Per questo Dio ci invita a mettere il suo Pensiero in alto, prima di tutto, collegando tutto a Dio: allora Lui ci attrae a Sé. Si diventa tutto pensiero di Dio, raccogliendo tutto nel Pensiero di Dio, (mettere in alto vuol dire riferire a-). Questo ci fa passare dalla molteplicità alla semplicità e quindi alla pace e alla possibilità di pensare). Si complica tutto quando non si mette Lui prima di tutto. non si arriva ad essere tutto pensiero di Dio senza di noi; ma il “senza di noi” è imparare che non dobbiamo fare niente, che non dobbiamo fare conto su niente di noi. Più facciamo scomparire la parte nostra e più facciamo la parte nostra. Far conto su di Lui è grazia sua, il non far conto su di Lui è peccato, è opera nostra. Se ho la possibilità di pensare a Dio, devo ringraziare Dio che è venuto a me e si è fatto pensare. Non sono io che ho dato il pensiero. È il non dare il pensiero che è opera mia.

 

-                     Dio dice di Sé ancora molte cose in questo episodio e noi riusciremo a capirle solo quando saremo riusciti a raccogliere tutti gli aspetti di esso, così come Lui ci appare attraverso la sua Incarnazione. Egli è Colui che non aspetta che noi andiamo a cercare Lui; Lui stesso viene a cercare noi e verso di noi ha un amore così grande da rispettare la nostra libertà. Ci viene incontro anche quando abbiamo fatto conto, come questo paralitico, sugli altri, per tutta la vita, anche quando l’abbiamo disprezzato.

 

-                     Dio è Colui che viene a noi per liberarci dalla lettera della legge (la quale ci fa sbagliare, ci fa giudicare gli altri, come quei Farisei), facendocene cogliere l’anima, facendocela pensare in Dio. il pensare a Dio, cioè il superare noi stessi, già ci fa capire che tutto quello che ci accade è Dio che parla a noi, a me. Quindi il pensiero di Dio mi impedisce di giudicare nulla e nessuno, perché quando uno tiene presente Dio fa un triangolo: Dio – fatto – io; cioè tutto è parola di Dio per me.

 

-                     Dio è Colui che opera, è Colui che parla, ma è anche Colui che illumina e ci fa capire le sue parole. Quindi dobbiamo sempre restare con Dio, sia per ricevere le cose, sia per capire le cose. Dio è quindi il principio che opera e Dio è anche l’intelligenza delle cose che opera. Quindi devo dire: “Signore, accetto da Te e adesso guardo a Te per capire”.

 

-                     Dio è Colui che opera per portarci a questo superamento di noi, ad accettare tutto da lui e a guardare Lui per capire. Per portarci qui Lui opera dapprima per convincerci che esiste; poi per convincerci che è Lui che opera e parla in tutto personalmente per me; poi per convincerci che è Lui il nostro tutto, perché solo quando abbiamo capito che Egli è Tutto per noi incominciamo a sentire il bisogno di Lui e quindi il bisogno di superare la Porta delle Pecore per entrare nella Sua Città. E quando siamo entrati, opera ancora per farci restare e quindi per darci l’intelligenza delle opere sue. E’ tutto un progredire di lezioni attraverso le quali Lui ci convince, cioè ci lega a Sé, e ci fa camminare fino a farci tutto pensiero suo, per farci diventare suoi figli.

 

Conclusione: in questo episodio cosa Dio dice di Sé?

 

È Gesù stesso che lo commenta, ce lo fa capire dicendoci che il Padre opera tutto e opera sempre e che il Figlio viene per farci attribuire tutto al Padre: “Il Figlio pure opera”. Per questo si distingue il Figlio dal Padre. Quando noi diciamo che Dio è Colui che opera in tutto, apparteniamo al Figlio, è il Figlio di Dio che riconosce questo in noi. Il Padre è l’Unico Operatore e il Figlio è Colui che riconosce che il Padre è l’Unico Operatore.

 

     -    Quando non riconosciamo che Dio è l’Unico Operatore, siamo quell’umanità malata fuori della Città di Dio.

 

-                     In questo il Figlio dice: “Io sono la Porta”, dice a noi qual è la condizione per riconoscere che Dio è l’Unico Operatore di tutto. Si passa attraverso la porta per arrivare ad un fine, ma il fine è appunto questo riconoscere Dio Operatore in tutto. La Porta è quella che ci fa entrare, cioè intendere. Passare attraverso la porta vuol dire arrivare a capire quello che ancora non capiamo, cioè entrare nel Pensiero dell’Altro. Finché siamo nel pensiero dell’io, siamo fuori. Chi si presenta a noi come Porta, si presenta a noi come Luce che illumina e fa capire quello che ancora non capiamo. Siccome nel pensiero del nostro io non capiamo perché l’io ci separa, allora l’altro io, l’io di Dio che si presenta a noi diventa porta per noi per capire Dio, il Padre. Senza di Lui noi non possiamo arrivare al Padre, ecco la Porta. È il pensiero stesso del Padre si presenta a noi attraverso il Figlio e che diventa Porta per noi. quando una persona viene a me, con la sua venuta mi spalanca una porta, mi fa uscire dal mio io. Quindi Dio è Colui che viene incontro al pensiero del mio io per farmi uscire da pensiero dell’io. Senza di Lui noi non potremmo uscire. Se noi pensiamo Dio è perché già Lui per primo è venuto e si è donato a noi. infatti noi non possiamo pensare Dio senza il Pensiero di Dio, ma il Pensiero di Dio è già Lui, in noi. Per cui Dio è il Pensiero di Sé in noi.

 

-                     Il Figlio è Colui che ci dice di alzare gli occhi a Dio. il Padre è Colui al quale il Figlio ci dice di alzare il nostro sguardo, perché la meta è il Padre stesso. In quanto si presenta come meta ci fa alzare gli occhi dal nostro io per liberarci da esso. Quindi Dio è Colui che dopo averci creato viene a noi per liberarci.

 

-                     Dio è Colui che agita l’acqua: parla in tutto.

 

-                     Dio è Colui che è Medico, che ci rivela la malattia quando noi crediamo di essere sani; ci guarisce e poi non chiede di essere pagato, ma paga Lui stesso per noi.

 

-                     Dio è Colui che ci mette alla prova.

 

-                     Dio è Colui che ci presenta questo panorama, è Colui che ci ha condotti qui per farci guardare questo e per farci dimenticare questo. prima ci fa guardare attorno e poi ci invita a guardare dentro. Prima ci dice le sue parole e poi chiede a noi le nostre parole. “Che cosa vedi di me attorno a te? E adesso tu che cosa dici di me?”. Da tutto ci fa parlare di Sé a noi, poi ci dice: “Adesso tu, cosa dici di Dio?”.

 

II PARTE

 

Passiamo al secondo argomento, alla seconda parte.

Lui prima ha detto a noi attraverso i fatti, le creature, le scene di questo episodio del paralitico quello che Egli è;  cioè prima parla di Sé a noi e poi interroga noi: “E adesso tu cosa dici?”. C'è diversità, molta diversità, tra quello che Lui dice di Sé e quello che diciamo noi di Lui. Perché quando io dico: “Dio è Tutto!” e poi ho bisogno di questo e di quest’altro, allora Lui ci dice: “Tu mi dici Signore, ma guarda quanti signori hai!”. Quindi ci dice: “Io sono il tuo Signore”; poi ci chiede: “E adesso tu cosa dici di me?”. Con la vita purtroppo noi diciamo tre cose. Dopo aver detto a noi ciò che Egli è, chiede a noi che diciamo ciò che Egli è, non a parole, ma nella vita. Non basta dirlo, non basta esserne convinti. Siamo chiamati a dire con la vita quello che Lui dice di Sé, perché siamo chiamati ad essere con Lui, come Lui è con noi, ad amarlo come Lui ama noi, a conoscerlo come Lui conosce noi, a vivere con Lui come Lui vive con noi.

Ora, Lui vive sempre con noi anche quando siamo nel massimo dei peccati, nel massimo dell’infedeltà, dell’adulterio e della disonestà: Lui vive sempre con noi. Dobbiamo imparare a restare con Lui anche quando non si rende presente, quando sembra che ci dimentichi, quando non parla: tu resta con Lui, come Lui resta con te.

 

Seconda parte: “Che cosa Dio è per me”:

-                     Dio si offre a noi come un fiore spuntato in cima alla collina per essere raccolto: chi per primo lo vede, lo raccoglie; chi non lo vede non lo può raccogliere, ma chi lo raccoglie resta raccolto.

-                     Dio per me è il Creatore, Colui del quale non posso fare a meno: quindi implicitamente debbo accettare di non ritenere nient’altro necessario perché Dio solo è Colui del quale non si può fare a meno. Quindi di tutto posso fare a meno, fuorché di Dio e quindi debbo essere disposto a fare a meno di tutto, perché soltanto così acquisto quella libertà vera per fare quello che Dio vuole e per parlare secondo Dio. Dobbiamo stare attenti anche alle parole che diciamo perché noi ora affermiamo: Dio è Colui di cui non posso fare a meno”, ma poi parlando senza rendercene conto testimoniamo che non possiamo fare a meno di ben altre cose. Così ad un certo momento vendiamo la nostra realtà spirituale per un piatto di lenticchie o per un piatto di minestra. Noi pecchiamo, tradiamo, siamo infedeli e adulteri prima di tutto con la lingua e poi anche con le scelte concrete. Bisogna imparare a pensare e a parlare secondo l’unica cosa necessaria che abbiamo riconosciuto, cioè unificare pensieri, parole, azioni in quell’unico Signore che Egli è.

 

-                     Dio per me è prima di tutto il mio Creatore di ogni giorno, quindi il mio Sostenitore. Ogni giorno mi sveglia e mi crea con tutti i fatti che incontro, mi nutre, mi fa respirare, vivere, Dio quindi è la mia vita, Colui senza il quale non posso fare niente.

 

-                     Per me Dio è il Creatore e Fattore di tutto e opera da sempre per riprendermi dalla mia dispersione e portarmi alla conoscenza sua e nell’armonia con Lui.

 

-                     Dio è il Principio dell’armonia, non soltanto tra la nostra anima e Lui, ma anche con tutte le creature, con tutto. Con Lui tutte le creature diventano amiche, perché tutto è opera di Dio (l’amore rende accettabile tutto). Quando le cose ci urtano operano per dirci che noi siamo distratti da Dio, quindi dobbiamo ringraziarlo perché sono opera di amore.

 

-                     Per me Dio è Colui del quale non mi stanco mai di sentire parlare, ma con lo scopo di sentir parlare Lui Stesso: perché Dio vuol parlare con noi personalmente. Dio parla all’esterno attraverso tutte le creature, ma ci invita ad ascoltarlo dentro, ad entrare dentro di noi. se noi capiamo qualcosa di Dio è perché l’abbiamo dentro di noi. noi capiamo l’esterno in relazione a quello che portiamo dentro. Dato che dipende tutto dalla dimensione interiore, bisogna avere molto cura di essa, cercando sempre il significato di tutto, perché in tutto c'è Dio che parla per portarci sempre più a questa intimità con Lui, fino a scoprire la sua Presenza in noi, fino a poterlo individuare, in modo da poter parlare con Lui come ci ascoltiamo e parliamo qui tra noi, con la differenza che con Dio c'è l’immediatezza.

 

-                     Dio deve arrivare ad essere il nostro pensiero: come non si può fare a meno di respirare, così non si può fare a meno di pensare a Dio, sempre. E il pensare a Lui diventa gioia, tanta gioia che uno non può lasciarlo più, non può più fermarsi a pensare alle creature (sarebbe come fermarci sulla strada, anziché arrivare a casa). Pensare Dio è la gioia piena di cui parla il Signore “Vi parlo affinché la vostra gioia sia piena”, ma vi si arriva attraverso il Calvario, il rinnegamento di sé. Conoscere, pensare Dio è la gioia massima. Dio lo si conosce soprattutto dentro di noi, non tanto leggendo, anche se questo è un mezzo valido (soprattutto il Vangelo). Dobbiamo essere disposti a fuggire tutto ciò che non ci lascia pensare a Dio. Ma questo è sempre un fatto personale, perché ciò che per uno è un aiuto, per l’altro può essere un ostacolo, poiché ognuno ha le proprie debolezze ed è la persona stessa che lo capisce. Però dobbiamo sempre tener presente questo: che tutto quello che è rapporto esterno, aiuto esterno, lo stesso Vangelo, è aiuto se noi mettiamo quel silenzio interiore per arrivare a conoscere Lui, perché la vera conoscenza si ha solo in questo silenzio interiore in cui noi ascoltiamo solamente Lui: è Lui che rivela la sua Presenza. Dobbiamo sempre ricordarci che tutto il resto è un aiuto che può esserci o che può non esserci e possiamo anche lasciarlo o trascurarlo. Quello che assolutamente non dobbiamo trascurare è questo silenzio interiore a tu per tu con Lui. Siamo autorizzati a lasciare tutto, ma a non lasciare questo. E’ quel po’ di tempo che Dio chiede a noi per parlare personalmente con noi e noi dobbiamo darGli questo tempo, perché Lui nel deserto ha da dirci una cosa che solo Lui può dire: è quella conoscenza intima attraverso la quale Lui rivela la sua Presenza in noi e che esige da noi questo silenzio. Quando poi si sarà arrivati a questa sua Presenza questo silenzio diventerà continuo e allora non ci sarà più nulla che faccia rumore fuori perché sarà un silenzio talmente meraviglioso di intimità, di conoscenza, di presenza, che non ci sarà niente dal di fuori che potrà turbarci.

Eligio: Non so se ho capito bene nel primo riassunto: che il Padre parla al Figlio attraverso proposte. Come può avvenire questo in Dio? perché la proposta presuppone un prima e un dopo e due interlocutori. In Dio l’Essere e il pensare sono una cosa sola.

Luigi: Hai ragione. Ma è stato detto, penso, per mettere in evidenza la caratteristica del Figlio. La caratteristica del Figlio sta nel comprendere l’opera del Padre.

Nino: La proposta è per noi, finché non comprendiamo ancora, perché Lui non ci impone niente.

Luigi: Per noi sì. Nei nostri riguardi senz’altro. Nei nostri riguardi il parlare del Padre è proposta e noi attraverso il Figlio suo arriviamo a riconoscere l’opera del Padre. Qui è pacifico per noi.

Eligio: Però ciò che è stato letto si riferiva tra Padre e Figlio.

Luigi: Sì, tra Padre e Figlio; però penso che sia per evidenziare la caratteristica che distingue il Padre dal Figlio. Cioè, il Figlio si specifica nella sua personalità con il riconoscersi tutto opera del Padre. Allora possiamo scindere i due momenti: l’opera del Padre e il riconoscimento dell’opera del Padre. Il riconoscimento dell’opera del Padre è il Figlio, è la persona del Figlio. La persona del Figlio riconosce Sé come opera del Padre. Il Padre genera il Figlio, il Figlio riconosce Sé. allora, è logico, il parlare umano non rende, perché abbiamo qui due tempi: il Padre che opera, il Figlio che opera. Il Padre opera generando il Figlio, il Figlio riconoscendo l’opera del Padre. Nel riconoscersi opera del Padre, abbiamo la persona del Figlio. Il Padre genera: questa è la caratteristica del Padre; il Figlio non genera. Il Padre è generante, il Figlio è generato. Ma non generato come noi possiamo generare (il termine è improprio), creare una creatura o un’opera d’arte o qualche cosa. Ecco, il Figlio generato ha la coscienza di quello che è, ha la coscienza di Sé, è consapevolezza di essere generato dal Padre, cioè di essere Pensiero del Padre, quindi riconosce Sé come Figlio del Padre.

Nino: Ma non si vede chiaro la questione della proposta.

Luigi: Nell’essenza divina non abbiamo i due tempi così come li riduciamo noi. Noi per distinguere le due Persone diciamo: abbiamo una Persona che genera e attende la risposta del generato come riconoscimento. E allora diciamo: in quanto attende è una proposta che il Figlio raccoglie e riconosce. Ma evidentemente in Dio non abbiamo una scissione dei due tempi. Per noi si evidenziano bene, perché noi abbiamo il passaggio critico del superamento dell’io, invece nel Cristo non c'è il superamento dell’io. L’io del Cristo è tutto Pensiero del Padre, non può separarsi dal Pensiero del Padre; noi invece ci separiamo dal Pensiero del Padre; noi siamo pensiero di tanti e dalla molteplicità in cui ci troviamo, siamo chiamati a diventare figli di uno solo. Ma come pensiero siamo figli di tanti e dobbiamo passare da questa molteplicità alla semplicità dell’unità: cosa per noi molto difficile. Invece il Figlio di Dio non è figlio di tanti. Egli ha un pensiero solo perché è il pensiero di Dio, ma proprio perché “abbiamo”, abbiamo tanti pensieri; invece il Figlio di Dio non ha: è il Pensiero del Padre, quindi non può fare altro che riconoscersi tutto voluto, fatto, pensato dal Padre. Noi dobbiamo distinguere le Persone e diciamo: il Padre opera ed attende. Ma non c'è l’attesa, immediatamente c'è il riconoscimento del Figlio che essendo Pensiero del Padre riconosce sé come Pensiero del Padre. Il Figlio è Sé stesso. Il Padre, proprio perché è Se stesso, genera il Pensiero di Sé; essendo Se stesso non può non conoscersi, quindi genera il Pensiero di Sé. Ma il Pensiero del Padre è anche Se stesso ma non in modo autonomo, bensì come Pensiero del Padre e genera Sé come Pensiero del Padre. La caratteristica di tutto ciò che esiste in Dio è proprio quella di essere Se stesso; invece noi non siamo mai noi stessi. Dio solo è Se stesso: noi diventiamo noi stessi nella misura in cui ci avviciniamo a Colui che è Se stesso. Più ci avviciniamo e più unifichiamo e ci ritroviamo. Più invece noi siamo lontani e più siamo dispersi, per cui noi diciamo che siamo mutevoli. Dio è immutabile. La caratteristica di Sant’Agostino su cui fonda la sua costruzione è questa: Dio è l’Immutabile, la creatura è mutabile. La creatura non è mai se stessa; direi è alla rincorsa di se stessa, però non è mai se stessa. Per cui Dio è il vero Formatore della personalità umana, è il vero Formatore dell’uomo nella misura in cui l’uomo gli si avvicina. Più la creatura umana si allontana da Dio e più diventa informe, non si capisce più, non si conosce più, diventa continuamente mutevole: oggi è questo, da qui a cinque secondi è già un altro, fra cinque è un altro. Tu non sai mai dove aspettarla; è lì il motivo per cui Dio dice: “Non ti conosco”. Una creatura che sia in continuo mutamento, non è conoscibile, perché tu dici: “Questo è un elefante, da qui a cinque minuti è una tigre, da qui a cinque minuti è un’anguilla, da qui a cinque minuti è un albero…”; dico: “Non la conosco”. Ecco, lontano da Dio la creatura è caos, è in continua mutazione; non è annullata ma è in continua mutazione. Più si avvicina e più acquista un nome e il nome lo dà Dio.

Ecco, allora a questo punto la creatura si riconosce tutta come opera di Dio e partecipa al Figlio, alla natura del Figlio, alla natura divina propria del Figlio. La natura divina del Figlio è quella di riconoscersi tutto fatto dal Padre. Il giorno in cui anche noi possiamo riconoscerci in tutto fatti da Dio, ecco siamo resi partecipi della natura divina e diventiamo noi stessi; un “noi stessi” diciamo così, per acquisizione, ma che fa una cosa sola con il Figlio. Il Figlio glorifica il Padre, la creatura che è stata raccolta tutta in Dio, glorifica altrettanto il Padre, e allora è lì che forma una cosa sola, perché dove sono due che glorificano la stessa cosa diventano uno solo: in Dio si diventa una cosa sola. Avendo lo stesso fine, lo stesso ideale vissuto con la stessa intensità; ecco, si forma l’unione. Il principio unificante è proprio questo: Dio.

Allora se Dio è il Principio unificante diciamo: Dio mi ha fatto, ma Dio mi ha anche unito. E tutto si attribuisce a Dio.

Lettura di un articolo di Piero Gheddu su “Gente”, circa un guru cristiano benedettino (guru sono gli asceti indiani maestri dello spirito), Padre Beda Grifitz, che viene a Milano per la giornata missionaria per portare alla nostra società secolarizzata un forte richiamo alle cose dello spirito, una testimonianza di vita evangelica vissuta con i poveri….

L’Europa ha bisogno di imparare dall’India il primato della preghiera e della contemplazione. I monasteri indiani sono aperti e pronti ad ospitare per periodi più o meno lunghi persone di qualsiasi età e sesso che vogliono ricercare Dio con i monaci.

In oriente questo passare un periodo di tempo in monastero è una forma abituale di spiritualità per i laici, anche se sposati, anche se persone importanti della società, di qualsiasi religione o addirittura senza religione…..

Per ognuno (sono da dieci a venti ospiti), c'è una piccola e disadorna celletta in mezzo alla campagna, insieme alle cellette dei monaci che sorgono attorno alle costruzioni centrali (chiesa, biblioteca, cucina e refettorio, in cui si mangia seduti per terra e soltanto vegetariano). Ci si alza alle cinque, e alle cinque e mezza un’ora di meditazione personale, dove uno vuole, poi tutti in Chiesa per la Messa, in rito indiano…

I momenti più intensi sono quelli della preghiera comunitaria e poi della riflessione in comune, guidata dal Padre dopo la Messa, a mezzogiorno e dopo cena.

I monaci sono itineranti e dopo due mesi di viaggi, di evangelizzazione tra i villaggi, ritornano al monastero per un periodo di preghiera più intensa e di riflessione.

La povertà e la mortificazione secondo Padre Grifiz sono indispensabili per un’autentica ricerca di Dio e amore al prossimo. Dio si trova solo nel silenzio e nella povertà, dice in una delle sue conversazioni e la vera carità viene da una persona capace di mortificarsi per amore dell’altro. Per questo tutti noi cristiani dobbiamo fare uno sforzo verso la preghiera, verso la povertà, la semplicità della vita. Si tratta di una conversione radicale da compiere e ciascuno deve cominciare a dare la sua testimonianza personale. Noi occidentali ci siamo fatti abitudini di vita dispendiose che non giovano alla salute né fisica né spirituale (se l’uomo occidentale ad esempio mangiasse la metà di quello che mangia, vivrebbe meglio, con più energie e meno malattie): naturalmente tutto questo ha senso se orientato a Dio e al prossimo. Dio si incontra veramente solo nella povertà e nel silenzio e la vera carità può venire solo da una persona capace di soffrire per il fratello; per esperimentare veramente la presenza di Dio in noi, dobbiamo far tacere il nostro io, abituarci al silenzio, alla povertà, alla contemplazione. Come può uno che è ricco e che ha tutto quello che desidera sentire veramente il bisogno di Dio? chi non ha mai provato il freddo, la fame, l’insicurezza del suo futuro, la malattia, non conosce Dio in profondità. Si illude di conoscerlo, ma non è nelle situazione adatta per sentirlo presente nella sua vita. Bisogna, almeno di tanto in tanto, cercare di vivere un’esperienza di povertà e di silenzio per poter capire e sentire nella propria vita la presenza di un Altro. L’aspetto più interessante dell’”ashram” di Santivanam, il monastero di Padre Grifitz, è quello di essere un luogo di pace e di serenità, pur nella povertà che è grande. Eppure qui giungono in molti per restarvi giorni o settimane…. Uno di questi, tornando, si è fatto monaco a Camaldoli, dove dirige i “Quaderni di Camaldoli”, rubrica  mensile di spiritualità… questo profeta del terzo mondo ha qualcosa da dire alla nostra società dei consumi e della secolarizzazione e la dirà in nome dei poveri del mondo. il senso della sua venuta in Italia è proprio questo: anche noi che siamo così fieri del nostro antico passato cristiano e così sicuri della nostra ricchezza materiale, abbiamo bisogno che gli ultimi della terra ci trasmettano un nuovo messaggio di vita e di speranza.

Luigi: Giov. 5,41: “Io non ricevo gloria dagli uomini”. Lo dice Gesù, quindi Dio non riceve gloria dagli uomini. Qui dobbiamo chiederci però perché dica a noi questo e che cosa possa servire per la nostra vita personale questa affermazione: Dio non riceve gloria dagli uomini”. Intanto questo già subito ci fa capire, ed è una cosa da mettere bene in chiaro, che Dio non ha bisogno degli uomini. A volte si sente dire che Dio ha bisogno degli uomini e qualcuno ha perfino affermato che Dio ha bisogno della creazione per poter amare, cioè che per poter amare ha bisogno di un altro da sé: è un errore grosso. La setta di Moon ha come principio fondamentale questo: che l’uomo è necessario a Dio, poiché anche Dio ha bisogno di amare, ha creato la creatura per poterla amare: è un errore. E qui in quanto Gesù stesso dice: “Io non ricevo gloria dagli uomini”, afferma proprio questo prima di tutto: che Lui non viene tra noi per essere glorificato da noi. ecco Lui non viene tra noi per cercare che l’uomo lo glorifichi; non chiede a noi questo.

Eligio: La glorificazione di Dio da parte dell’uomo è utile all’uomo.

Luigi: E’ utile all’uomo, non a Dio. Questo va precisato, perché noi crediamo magari di far un piacere a Dio onorandolo, glorificandolo, lodandolo. Dio non ha bisogno di noi, Dio non ha bisogno della creatura. Quindi mettiamo sempre i punti ben precisi. Dio non ha bisogno di nessuno, perché altrimenti non sarebbe più Dio, perché quando uno ha bisogno di un altro è dipendente dall’altro. Se Dio avesse bisogno della creatura saremmo nell’assurdo: Dio non sarebbe dipendente dalla creatura. Ora se c'è una cosa che bisogna affermare in modo molto chiaro e avere molto chiara dentro di noi, è proprio questa: che presso Dio non c'è l’assurdo. Presso Dio noi possiamo trovare il superamento, l’incomprensibile, l’infinito, ma mai l’assurdo. Ecco, Dio ci supera, ma non ha mai niente di assurdo per noi; se c'è un assurdo vuol dire che in noi c'è un difetto sul concetto di Dio.

Quindi ad esempio il fatto che Dio abbia bisogno della creatura, è un assurdo nel concetto divino, perché Dio sarebbe dipendente e allora non sarebbe più Dio; quindi questo assurdo non esiste.

Allora, perché il Signore  dice a noi: “Io non ricevo gloria dagli uomini”? Appunto per farci capire che siamo noi che abbiamo bisogno della gloria di Dio e non Dio che abbia bisogno di essere glorificato dalla gloria degli uomini.

Il concetto di gloria è il concetto di ciò che uno è, la manifestazione di ciò che uno è.

Quindi la gloria del Figlio è ciò che Egli è nel Padre.

Nel “Gloria” noi diciamo: “Ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa”.

Sembra strano che noi dobbiamo rendere grazie per la sua gloria.

Ma è questo il vero concetto: “Io non ricevo gloria dagli uomini”.

Noi rendiamo grazie per la sua gloria, cioè per la rivelazione di Dio attraverso tutte le cose: questa è utile a noi, per cui noi gli rendiamo grazie.

Dice grazie colui che riceve un dono. Quindi la gloria di Dio è dono per la creatura.  Ma il Figlio Dio, il Cristo, riceve invece la sua gloria dal Padre, cioè da un Altro.

E qui come pensiero guida possiamo tenere presente quello che Gesù dice nell’ultima preghiera al Padre: “Padre, ritorna a me quella gloria che io ebbi prima che il mondo fosse”, cioè questa invocazione vuol dire che evidentemente non è che Lui sia stato privato della sua gloria con la creazione, ma è stato privato della sua gloria con la presenza del mondo nell’uomo.

Più in noi, negli uomini, cresce il mondo, e più la gloria del Figlio  diminuisce perché noi attribuiamo alle creature, al mondo, quello che dobbiamo attribuire a Dio.

Allora ecco che il Figlio di Dio si rivolge al Padre, non alla creatura, per insegnare a noi che soltanto conoscendo il Padre ritroviamo quella gloria che il Figlio ebbe prima che il mondo incominciasse ad affascinarci, a disturbarci.  Ritroviamo la Verità, l’”in Sé” di Dio. Ecco, è questa la vera gloria che viene da Dio: non soltanto il Signore non chiede alla creatura la gloria, ma presenta alla creatura il modo per ritrovare la vera gloria di Dio che è poi la sua vita. Anziché chiedere a noi qualcosa, ci presenta quel che dobbiamo chiedere, perché dicendo: “Io non ricevo gloria dagli uomini”, dice: “Io non vengo qui per elemosinare; siete voi che andate ad elemosinare la gloria gli uni dagli altri. Io non vengo ad elemosinare la gloria. Chi mi dà gloria è il Padre che mi rende testimonianza. Quindi se volete conoscermi dovete cercare presso il Padre quello che Io sono”. Quindi non  soltanto non chiede a noi qualcosa, ma invita noi a cercare questo qualcosa più in su di noi, perché siamo noi che abbiamo bisogno di elemosinare la gloria di Dio da Dio e non è Dio che viene ad elemosinare qualcosa dalla creatura.

Eligio: E dice: “glorifica” perché il Figlio da solo non si glorifica. Tutta la gloria del Figlio gli viene dal Padre. Se il Padre lo glorifica, a sua volta il Figlio glorifica il Padre. Quanto più (poiché tutto il parlare lo fa nei riguardi dell’uomo) il Padre in noi glorifica suo Figlio, tanto più in noi il Figlio glorifica il Padre, perché il Figlio ritorna al Padre.

E’ tutto un lavoro che deve effettuarsi nella creatura, mica nel Figlio, perché l’ultima preghiera che Gesù fa al Padre, la fa per noi, per insegnare a noi. quando dice: “Padre, glorifica tuo Figlio”, lo dice per noi, affinché noi abbiamo a guardare al Padre, perché dobbiamo sapere che la glorificazione del Figlio viene dal Padre. Ora, quando uno mi dice: “Guarda che chi mi dà gloria è quel tale”, mi orienta ad andare dal tale per cercare informazioni su “la mia gloria”, “su di me”. Ecco allora Lui mi dice: “Guarda che chi rende gloria di me è un Altro, è il Padre; allora rivolgiti al Padre. Quanto più il Padre renderà testimonianza di me, tanto più tu capirai la validità di quello che io ti dico”. Per cui il Figlio diventa un testimone valido nella misura in cui il Padre lo rende valido per noi; per noi perché abbiamo una garanzia nel Padre di ciò che Cristo dice.

Quando qui abbiamo letto che: “Io non ricevo gloria dagli uomini” e abbiamo capito ad esempio che il concetto di gloria da parte di Dio, essendo la manifestazione di Sé, Lui la riceve dal Padre, noi comprendendo questo, comprendiamo una Verità che orienta già la nostra vita per cercare la validità di quello che Lui dice. Con questa frase io so che non posso trovare questa certezza o questa sicurezza dalla creatura. Quindi non debbo andare a cercare né da me, né dalla creatura, né dagli uomini la testimonianza valida per Cristo. Non debbo sentire gli uomini per essere sicuro della Verità del Cristo. Perché in quanto Lui dice: “Non ricevo testimonianza dagli uomini”, dice: “Non vengo a cercare testimonianza di me”, ma tu anche a tua volta non devi cercare testimonianza di me dagli uomini, perché io non ricevo testimonianza dagli uomini, e quindi mi orienta a ricercare presso il Padre la testimonianza del Figlio. Quanto più presso il Padre io vengo a capire la validità, la Verità del Cristo, tanto più il Cristo per me diventa un maestro di Verità, convalidato, cioè mi dà una certezza per cui le sue parole mi diventano luce. Fintanto che io facevo conto sugli uomini o sulle mie esperienze o su me stesso, le parole del Vangelo sono buone o meno buone, valide o meno valide, ma non ho una certezza, non ho una sicurezza. Per questo Lui mi dice: “Guarda che la gloria mia tu la devi cercare presso il Padre, perché chi mi rende testimonianza è il Padre; quindi cerca presso Dio. più tu cerchi presso Dio, cioè superando te stesso, gli altri e quel che dice il mondo, tanto più tu troverai la validità di quello che io ti dico. Ma quanto più tu troverai la validità di quello che io ti dico, tanto più tu avrai la certezza in te”.

Ecco l’importanza di capire una parola presso Dio; mentre invece noi generalmente, meditiamo sulle parole del Vangelo, andando a cercare testimonianze di uomini, prove, frasi, ecc.; no! Vedi qui che salto ci invita a fare…. Perché nessun uomo e nessuna parola di uomo ti può dare la creatura. La certezza te la dà soltanto il Padre, anche su di me. Per cui il Figlio non mi parla di sua autorità, ma mi dice: “Cerca la conferma di quello che io ti dico presso Dio”. se tu la cerchi presso Dio, superando te stesso, superando il mondo, superando quello che dicono gli uomini, tu vedrai la verità di quello che io ti dico e naturalmente vedendo la Verità avrai la certezza.

Pinuccia: Con questa affermazione Gesù mette anche in rilievo l’amore che Egli ha per noi, cioè il disinteresse completo che Lui ha venendo in mezzo a noi.

Luigi: Certo, la creazione è tutto un atto di amore puro di disinteresse, perché Dio non può creare la creatura in quanto abbia bisogno della creatura, perché questo sarebbe assurdo e l’assurdo presso Dio non esiste. Gli argomenti di Dio noi li dobbiamo accettare anche se non li capiamo, ma non sono certamente assurdi: non c'è l’assurdità presso Dio. L’assurdo dobbiamo rifiutarlo, perché in Dio non c'è l’assurdo. C'è l’elemento superiore, ma non c'è l’assurdo.

Pinuccia: Non solo crea disinteressatamente, ma viene tra noi disinteressatamente.

Luigi: Certo, si offre a morire, unicamente per darci un dono e non per bisogno. Lo fa puramente per noi e solo per noi.