Il Padre mio opera fino a questo momento Gv 5 Vs 17
Primo tema.
Argomenti: La giustificazione nel Padre. Gesù venendo porta a compimento la parola scritta
facendoci superare l’interpretazione materiale. Pane spirituale e materiale. Il riposo di Dio. L’opera di
Dio si conclude al sesto giorno con l’uomo: è l’opera di Dio che prende
consapevolezza di sè e diventa interrogazione. Solo Dio illumina le sue opere. Solo trovando Dio troviamo la giustificazione della sua
opera. Non bisogna imitare
Dio ma capire Dio. Il sabato è opera
di Dio con la nostra partecipazione. Il sabato è
la conoscenza di Dio. Nel pensiero del
nostro io travisiamo sempre. L’infinita
opera di Dio. Dio opera perché noi
rivolgiamo il pensiero a Lui! Poter
pensare a Dio è il più grande tesoro dato all’uomo.
23.Luglio.1978
Dall’esposizione di Luigi Bracco:
Luigi: Gesù dicendo queste parole, rispondeva all’obiezione o
per lo meno allo stato d’animo dei giudei, i quali lo perseguitavano perché
faceva cose simili di sabato. Il sabato secondo la legge ebraica, la legge data
da Mosè, era giorno di riposo: “Riposerai tu, tua moglie, i tuoi figli, i tuoi
servi, i tuoi animali, perché il sabato è il giorno del Signore”, per cui
ritenevano che Gesù fosse un peccatore, un violatore della legge, uno che non
aveva timore della volontà di Dio, perché si permetteva in giorno di sabato di
guarire un uomo e di ordinagli di portare il suo giaciglio sulle spalle. Gesù a
questi pensieri, a questa animosità, a questo stato d’animo dei giudei,
risponde prima di tutto dicendo: “Il Padre mio …”. Cioè Lui giustifica la sua
azione non su altri argomenti, come potremmo magari fare noi (“Tutti fanno
così!”), non su argomenti del mondo, argomenti umani, ma sul Padre. La
giustificazione l’ha nel Padre. E dice: “Il Padre mio opera tuttora”, cioè
opera ancora adesso, continua a operare. Però anche qui, apparentemente nella
sua affermazione, viene a trovarsi in conflitto con la parola stessa di Dio,
perché la parola di Dio diceva che il sabato Dio si riposò nel suo operare. Per
sei giorni operò nella creazione e il settimo giorno si riposò. Sant’Agostino
commentando questo dice noi ancora oggi ci troviamo nel settimo giorno. Il
settimo giorno è il riposo di Dio, perché la creazione è avvenuta durante i sei
giorni e il settimo giorno è un giorno che continua tuttora, e noi ci troviamo
in questo giorno del riposo del Signore. Ma appunto qui abbiamo una
conflittualità, una contraddizione tra quello che si dice: “Dio entrò nel suo
riposo” e quello che Gesù dice, che è parola di Dio, il quale afferma: “Il
Padre mio opera tuttora”. Ma se opera, allora come riposa? Anche qui
apparentemente abbiamo un conflitto tra legge, la parola scritta, la Bibbia, e
la parola di Gesù. Ma nello stesso tempo ci fa un po’ intuire che Gesù venendo,
porta a compimento la legge, porta a compimento la parola scritta. Cioè, faccio
un esempio: abbiamo già visto altre volte come Gesù interpreti quella parola
della Bibbia in cui il Signore dice ad Adamo ed Eva: “Vi guadagnerete il vostro
pane con il sudore della fronte”. E noi comunemente intendiamo questo comando
come necessità di lavorare. E poi invece troviamo Gesù che dice: “Non sudate,
non affaticatevi per il pane che passa, ma datevi da fare, preoccupatevi per
avere il pane che non passa”. Ora in questa frase sembra apparentemente che
Gesù contraddica la frase della Genesi: “Ti guadagnerai il pane con il sudore
della fronte”. Invece Gesù, (ecco che compie la legge e ritorniamo al problema
posto domenica scorsa) profondamente ci fa capire che cosa intendesse il
Signore Dio suo Padre, ordinando ad Adamo ed Eva, quindi a tutta l’umanità: “Vi
guadagnerete, mangerete, il vostro pane col sudore della vostra fronte”, è il
pane dello spirito per cui bisogna sudare, affaticarsi. Gesù infatti dice: “Non
preoccupatevi del pane, del vestire, del mangiare, ma preoccupatevi di cercare
il regno di Dio”. “Non affaticatevi, non sudate per il pane che passa, ma
sudate invece per quello che non passa”. È questa la difficoltà, perché in
conseguenza del peccato, il mangiare il pane di Dio, diventa molto difficile
per l’uomo, che per mangiarlo supera se stesso. In conseguenza del peccato,
avendo affermato se stesso, è diventato figlio del suo io, figlio di se stesso,
e questo gli rende molto difficile mangiare il cibo spirituale. Tutti noi
facciamo esperienza, di quanto sia difficile mangiare il pane di Dio. Volevo
mettere in evidenza questo fatto: Gesù porta a compimento le parole antiche. Ma
le porta a compimento facendoci trascendere, superare l’interpretazione che noi
avevamo dato, perché le nostre interpretazioni erano materiali, invece le interpretazioni
vanno portate su un altro campo. E così quando Lui dice: “Il Padre mio opera
tuttora”, ci fa capire che quel riposo là era un riposo diverso, non è il
riposo come lo intendiamo noi, è un qualcosa di molto più profondo, ed è lì che
porta a compimento la sua creazione. Per noi “Dio si riposò” è “fare niente”,
per cui noi riteniamo di ubbidire alla legge di Dio, facendo niente in quel
giorno. Così trovando Gesù che opera proprio in giorno di sabato lo
condanniamo. Invece Gesù viene proprio a farci capire qual è quest’opera che
Dio vuole in giorno di sabato. Adesso bisognerebbe possibilmente approfondire
questo concetto di riposo da parte di Dio, del settimo giorno, e quale
significato può avere per noi. Ma dobbiamo approfondirlo al punto da dare ragione
a Gesù, in quello che dice: “Il Padre mio opera tuttora”. Cioè opera anche di
sabato. Ci deve far capire che il riposo di Dio è ancora un’operare di Dio.
Intanto qui, in quanto Lui continua a operare, già ci fa intuire che la
creazione non è avvenuta, non è stata; la creazione è, perché Dio non è stato
il Creatore e adesso non lo è più. C’era tutta una teologia rabbinica che
impostava il problema del riposo di Dio dividendo il suo operare in due parti:
c’è la tappa creatrice. Poi dovendo giustificare il fatto del riposo di Dio con
il fatto che Dio operava per il suo popolo eletto; (se era in riposo come
poteva operare?) essi presentavano questa soluzione: che Dio nel suo riposo
operasse, giudicando, non più creando; ma che la sua opera fosse soltanto un
giudizio sopra la risposta dell’uomo. È da approfondire prima di tutto quanto
Gesù dichiara, dicendoci che il Padre opera tuttora. Se opera tuttora, la sua
opera creatrice è continua e quindi ci fa intuire che la creazione è di ogni
giorno. Dio crea in continuazione. Ma se crea in continuazione, che cosa si
deve intendere allora per questi sei giorni della creazione e per questo
settimo giorno di riposo? Abbiamo già visto altre volte, quando abbiamo parlato
dei sei giorni e del settimo giorno, che in ogni fatto che avviene, che si
presenta nella nostra vita, c’è l’opera creatrice di Dio, perché ogni fatto che
noi incontriamo, Dio per farcelo incontrare opera sei giorni. Ed ogni fatto che
arriva a noi, arriva da questa profondità di sei giorni, di sei tappe. Ogni
fatto che arriva a noi, arriva dalla prima creazione: “Sia fatta la luce” e poi
a poco per volta, tutte le creature, fino ad unire l’opera di Dio con la nostra
coscienza e a rendere presente l’avvenimento. Diciamo che ogni avvenimento
arriva alla nostra superficie, alla nostra percezione, attraverso questa
profondità: Dio opera per farci incontrare la sua opera, la sua parola con la
nostra coscienza, con la nostra intelligenza. Quindi in ogni fatto c’è l’opera
creatrice di Dio che forma noi e ogni giorno di Dio è una tappa di noi stessi
attraverso la quale Dio ci fa maturare, per farci prendere coscienza,
consapevolezza della sua parola. Quando noi prendiamo consapevolezza della sua
parola abbiamo il momento presente, l’incontro. Ma come arriva questo momento
presente l’azione non è finita. Come arriva il momento in cui percepiamo
l’avvenimento, il fatto, la parola che giunge a noi, resta ancora
l’intelligenza della parola stessa. Ciò che giunge a noi, non giunge a noi
illuminato. Giunge ponendoci un’interrogazione, facendoci una proposta. Ogni
fatto, ogni parola per noi diventa un problema. Quante volte di fronte a un
fatto ci chiediamo: “Ma se Dio esiste, perché c’è questo? Cosa significa se Lui
esiste, questo avvenimento? Cosa vorrà dirci?”. Ogni avvenimento arriva a noi
come parola da intendere. Allora possiamo chiederci prima di tutto perché gli
avvenimenti giungono a noi non illuminati, giungono con questo interrogativo,
cioè giungono a noi nella notte. E qui la risposta ce la dà Dio stesso che dice:
“Io sono la luce del mondo”. Ecco, questo per insegnarci che la luce ci viene
da Dio e fintanto che non conosciamo Dio, tutte le opere di Dio non giungono a
noi nella luce, ma arrivano a noi per sospingerci a cercare Dio, a conoscere
Dio, perché è Dio che illumina le sue opere. Quindi le opere da sole o con noi
da soli, non sono illuminate, ma giungono per metterci in movimento verso Dio.
Allora diciamo: se tutte le opere di Dio si concludono al sesto giorno con la
formazione dell’uomo, con l’uomo che prende coscienza dell’opera di Dio, l’uomo
che nasce è l’uomo che apre gli occhi sull’opera di Dio: è tutta l’opera di Dio
che prende consapevolezza di se stessa. Ma prendendo consapevolezza di se
stessa, non resta illuminata, prende consapevolezza come movimento di
interrogazione, cioè come notte che invoca l’alba. L’opera di Dio si conclude
nell’uomo, o meglio, non conclude: arriva all’uomo come notte in attesa
dell’alba: ma l’alba è Dio; cioè è solo Dio che illumina l’uomo. Allora Lui,
attraverso tutte le sue opere, non opera per dimostrarci quanto Lui sia grande
in quanto sa creare tutte queste cose, ma opera per metterci in movimento verso
di Lui. Lui è la luce sulle sue stesse opere e se noi non ci colleghiamo con
Lui, le opere restano nella notte. Ecco che allora qui abbiamo il significato
dei sei giorni. I sei giorni della creazione di Dio, e quindi ogni avvenimento
che arriva a noi, sono per metterci in movimento verso Dio, per suscitare in
noi il desiderio di conoscere Dio, il quale solo illuminerà la sua opera, ci
darà il significato. Cioè nell’incontrare Lui, troveremo la giustificazione, ed
è logico; la giustificazione sarà questa: tutta la sua opera era per metterci
in movimento verso di Lui. Ma soltanto trovando Lui, noi troveremo la
giustificazione della sua opera. Se invece noi non troviamo Lui, tutta la sua
opera non è giustificata e noi ci troveremo sempre nella contraddizione. Ecco
perché non incontrando il Cristo, anche tutta l’opera antica, anche tutta la
legge non resta giustificata. Per cui Dio non opera affinché noi imitiamo Lui
che opera, non entra nel suo riposo affinché noi entriamo nel suo riposo, cioè
affinché noi ci riposiamo. Lo scopo della creazione di Dio e della nostra
esistenza non è né lavorare né riposare. Se noi ritenessimo che lo scopo della
nostra vita sia riposare, sbaglieremmo; e se noi ritenessimo che lo scopo della
nostra vita sia lavorare, sbaglieremmo lo stesso. Eppure Dio lavora, Dio crea.
Dio opera? Anch’io opero e allora in quanto opero, partecipo della creazione di
Dio e quindi sono giustificato. No, non è quello, e noi troveremmo Dio che ci
rimprovera; la vita non ti è stata data per lavorare. Se noi ritenessimo che la
nostra vita ci è stata data per riposare, noi troveremmo anche qui Dio che ci
rimprovera. Perché? Perché io dico: “Ma io imito Dio che si riposa, quindi
anch’io mi riposo”. No, Dio non ci ha creato affinché noi imitassimo i suoi
giorni, ma affinché li capissimo. Ecco, Dio non crea e non opera per farci
imitare il suo operare, ma per farci capire il significato di esso. E il
significato e il senso noi l’abbiamo soltanto andando da Lui, perché Lui è il
significato di tutta la sua opera. Come si diceva domenica scorsa: Cristo è il
compimento della legge. Quindi Cristo non è venuto per darci la possibilità di
compiere la legge, ma Cristo venendo è il compimento della legge: cioè
l’incontrare Lui, rappresenta il compimento della legge. Così il conoscere
Dio da parte nostra rappresenta il compimento dei sei giorni della creazione,
cioè il settimo giorno. Allora questo settimo giorno di Dio, è la tappa
ulteriore alla quale ci sospinge ogni avvenimento che arriva a noi. Se ogni
avvenimento arriva a noi attraverso i sei giorni, ogni avvenimento non è
concluso ma attende l’alba del settimo giorno in noi e con noi. Ogni
avvenimento che da noi non sia riportato nel settimo giorno, non è concluso. Il
fatto della non conclusione lo esperimentiamo con la notte, con il non capire,
con il senso del mistero, con la contraddizione. Tutto questo ci fa capire che
noi non abbiamo concluso. Ma non abbiamo concluso perché non siamo entrati nel
settimo giorno di Dio. Qui capiamo che il settimo giorno di Dio è raccogliere
in Dio. Allora il giorno del riposo di Dio è ancora un operare ed è
quell’operare che fa Cristo e che crea lo scandalo negli altri. È un operare,
perché Lui opera per salvare l’uomo, per portarlo cioè verso Dio; in questo
compie l’opera del Padre: Lui è venuto a compiere l’opera del Padre. Portando
l’uomo verso Dio lo porta proprio nel settimo giorno. Gli uomini rimangono
nell’Antico Testamento, cioè in un’opera non compiuta, proprio in quanto non
entrano in questo raccoglimento, in questa conoscenza di Dio e si fermano
all’azione o all’imitazione. Il nostro io ha questo terribile potere: quello di
travisare tutto nel pensiero di se stesso, ritenendo che ciò che egli fa sia
giusto. Così i giudei ritengono di essere nella giustizia perché: “Noi facciamo
la volontà di Dio, noi facciamo la legge”. Nel peccato siamo ingannati
ritenendo di essere giusti, ritenendo di fare la volontà di Dio e non ci
accorgiamo invece che travisiamo, nel pensiero del nostro io, la parola di Dio
e veniamo meno al significato della sua opera. Ecco perché Dio non opera perché
noi facciamo certe cose o non le facciamo, ma perché capiamo il significato
della sua opera, cioè in quanto ci mettiamo in movimento verso Lui, perché Lui
è il significato della sua opera e noi non giungiamo a Lui, tutta la sua opera
perde di significato. Questo è quanto di dice la prima parte di questo
versetto e su cui dobbiamo soffermarci prima di passare alla seconda parte che
è l’opera del Figlio.
Eligio: Prima del peccato originale, dato che la conoscenza in
Adamo non era ancora completa, certamente Adamo non sarà stato esente dal
sudore, cioè da questo sforzo personale per avere il pane spirituale.
Luigi: No, era una gioia! Il cercare di conoscere Dio, il
raccogliere in Dio era gioia! È gioia! Dio nell’opera creatrice pura, nel suo
disegno immacolato non aveva creato la tribolazione, le spine, non c’era la
fatica del lavoro, né la fatica di raccogliere in Dio. Era gioia! È gioia!
Infatti anche noi quando capiamo qualcosa proviamo gioia, e non c’è nessuna
gioia al mondo che la possa compensare: la gioia dell’intendere. Ciò
vuol dire che noi siamo fatti per la gioia e che la vera gioia sta
nell’intelligenza.
Eligio: Ma la creatura perfetta, la Madonna, ha sudato anche lei
per conoscere la volontà di Dio, ha avuto dei momenti di turbamento, quindi ha
sofferto anche lei per conoscere Dio.
Luigi: Certo, ma bisogna tener presente che la Madonna è stata
creata in funzione di un’umanità da redimere. Così anche il Cristo; come mai ha
sofferto? Come ha sofferto Cristo ha sofferto sua madre. Si, lei è stata creata
immacolata, cioè disegno puro di Dio, ma in funzione di tutta questa umanità da
salvare, umanità che ha bisogno di una figura esemplare. Dio ce l’ha presentata
come ci ha presentato il Cristo. Il Cristo ce l’ha presentato per salvare noi.
Come mai? Non c’era bisogno che Cristo morisse per sé, ma per noi. Diciamo
allora così che anche tutto il dolore della Madonna, benché lei amasse
custodire, meditare, intendere tutte le parole di Dio (le portava dentro) e
questa era gioia per lei, anche per lei ci fu sofferenza per arrivare alla
Pentecoste. Portava in sé tutto il peso dell’umanità, perché è Madre nostra e
in quanto Madre è nata in seno a questa nostra umanità carica di peccato.
Eligio: Si, Gesù ha sofferto, ma non ha sofferto il sudore di
doversi guadagnare il pane dello spirito, non ha avuto dubbi …
Luigi: Certo, Gesù è Dio; però come umanità, si. Ad esempio nel
Getzemani Gesù dice: “Se è possibile passi da me questo calice, però non la mia
ma la tua volontà sia fatta”. Questo come uomo, come natura umana, perché porta
con sé il peso di tutta la nostra natura. Invece come Dio, come Persona divina
no. Come Persona divina Lui dice: “Se è possibile”, però non ha dubbi circa la
necessità che si faccia la volontà del Padre. Però c’è la fatica, la
sofferenza, perché per noi è sofferenza. Ora tutto quello che Lui ha passato, l’ha
passato per noi, perché per noi è sofferenza. Addirittura noi sperimentiamo
l’abbandono del Padre e Lui, a un certo momento, dice anche: “Dio mio, Dio mio,
perché mi hai abbandonato?”. Tutto quello che Lui passa lo passa per noi. Lui
ha annientato la sua divinità nella sua umanità, ma l’ha annientata per
stabilire un punto di contatto con noi, affinché noi trovando un punto di
contatto avessimo la possibilità di passare, di liberarci dalla nostra
situazione di isolamento da Dio e attraverso Lui di avere la possibilità di
raccoglierci e di entrare nel settimo giorno; ma attraverso Lui, attraverso il
suo dolore, attraverso la fatica, che è poi il nostro dolore, la nostra
fatica. Però tu capisci che la nostra fatica, da soli diventa impossibile e
quindi diventa disperazione, invece con Lui diventa possibile, ma resta
sempre fatica, perché noi con Lui non siamo solo con Lui, ma noi siamo con
tanti altri attorno, tante altre creature che non sono Lui. E allora
isolarci con Lui, il raccogliere in Lui, per seguire Lui e per allontanare un
pochino la pressione del mondo, in noi è fatica; però è una cosa possibile,
perché abbiamo Lui. Senza di Lui diventa impossibile. In noi c’è una situazione
di frattura perché noi diventiamo figli delle nostre opere in conseguenza dell’affermazione
del nostro io. Quelle parole che il Signore ci dice per portarci nella sua
pace, nel pensiero del nostro io diventano un movimento orizzontale. Anziché
diventare ascensione verticale, diventano movimento orizzontale. È un po’ come
tutta l’agitazione che c’è nel mondo, la necessità di fare dei viaggi, di
correre a destra e a sinistra. È tutta un’espressione del vuoto che portiamo
dentro, perché quanto più la nostra anima si riempie di vita interiore, tanto
più sentiamo il bisogno di fermarci, di silenzio, di raccoglimento. Invece più
siamo vuoti dentro, più abbiamo bisogno di muoverci sul piano orizzontale. E
così anche tutta la parola di Dio: nello Spirito, quindi come opera di Dio,
giunge a noi per portarci in dimensione verticale, per farci ascendere verso di
Lui. Nel pensiero del nostro io, essa viene interpretata in senso materiale.
Così: “Ti guadagnerai, mangerai il pane col sudore della fronte”. La Sapienza
dice: “Venite, mangiate il mio pane”, evidentemente il pane dello Spirito. Noi invece
intendiamo: “È proprio necessario che fatichiamo a lavorare per mangiare il
pane materiale e se io sudo per mangiare il mio pane materiale, faccio la
volontà di Dio e quindi sono a posto”. Ecco, vedi come nel pensiero dell’io
trasformiamo la parola spirituale in movimento orizzontale, cioè
materializziamo, non la intendiamo? Tutto, anche il comandamento più santo di
Dio, anche la parola più pura, noi la travisiamo in senso orizzontale. Ad
esempio il sabato, il giorno di riposo. Questo giorno di riposo va inserito
nell’”Ama il Signore Dio tuo con tutta la tua mente. Quindi ti riposerai da
tutti i tuoi lavori, da tutte le tue fatiche per essere disponibile per amare”.
È l’amore che mi fa entrare. Noi invece lo dimentichiamo e vediamo soltanto
l’azione: “Far niente”. “Io mi riposo, faccio niente, faccio riposare tutti i
dipendenti, tutte le cose mie e quindi ubbidisco a Dio”. No, Dio non ti ha
creato perché tu abbia a riposare, come Dio non ti ha creato perché tu abbia a
lavorare o a sudare (“Ho guadagnato il pane con il sudore della fronte …”). No,
Dio ti ha creato affinché tu abbia a intendere: Lui parla per attirarti a Sé,
perché la verità di Dio si può conoscere soltanto in quanto si cerca
direttamente. San Giovanni Crisostomo fa questa osservazione molto
interessante: “Noi molte volte affidiamo i nostri figli ad altre persone che li
allevino; ma Dio ha riservato a Se stesso l’educazione e la formazione di ogni
uomo”. È molto bello questo. Dio non ci consegna ad altre creature perché ci
allevino per Lui, no, Dio ci riserva per Sé. Se Dio riserva per Sé la nostra
formazione, noi dobbiamo continuamente guardare Lui. È Lui il nostro educatore
e il nostro Maestro. Quindi se Lui parla, parla perché noi abbiamo sempre a
guardare Lui, perché Lui è il nostro Precettore. Non ci affida ad altre
creature che preparino per Lui. No, Lui in tutte le creature opera direttamente
affinché noi guardiamo Lui, perché è Lui che forma noi. E noi non ci dobbiamo
distrarre. La lezione essenziale è sempre: “Sono Io che parlo con te”. Ma
perché dice: “Sono Io che parlo con te”? Lo dice affinché noi abbiamo a
guardare a Lui e quindi a non fare attenzione ad altro, perché soltanto con Lui
noi intendiamo veramente. Cioè Lui stesso è la conclusione di tutta la sua
opera. Se non giungiamo a Lui, non guardiamo a Lui, tutta la sua opera viene in
noi vanificata. E allora crediamo di fare la volontà di Dio, ma non la
facciamo, perché Lui è la sua volontà. Quanto più ci avviciniamo alla nostra
liberazione, tanto più diventa gioia per noi quello che prima era sudore della
fronte. Il disegno di Dio resta anche se noi, coperti dal nostro peccato, lo
aggraviamo e quindi diventa faticoso. Ma man mano che noi ci riprendiamo e
veniamo liberati da questo peccato, tanto più ritroviamo il disegno primitivo,
quindi la gioia del conoscere; la gioia del raccogliere in Dio, la gioia del
superarci. Allora diventa fatica pensare a noi stessi, il non poter pensare
Dio, il non poter raccogliere in Dio. Per cui mentre nel peccato abbiamo
bisogno della gioia delle creature, del mangiare e del vestire, quanto più
cerchiamo Dio, tanto più diventa pesante l’impegno del mondo, mentre diventa
molto gioioso il poter avere la luce di Dio, raccogliere qualcosa in Dio.
Questo rivela che dal sottofondo sta venendo su il disegno primitivo di Dio, il
disegno vero. Ciò vuol dire che prima del peccato, per Adamo ed Eva era gioia
poter conoscere Dio, poter raccogliere in Lui, non pensare a se stessi. La
sorgente della nostra felicità è la volontà di Dio, cioè è vedere le cose in Dio,
è unificare (Dio è un centro di unificazione massima). Più noi possiamo
unificare, più noi proviamo gioia.
Eligio: Come possiamo vedere Dio in due momenti diversi, cioè
nel suo operare durante i sei giorni della creazione e nel suo riposare nel settimo
giorno? Perché Dio è unità, semplicità.
Luigi: Certo, non c’è scissione nell’opera di Dio: l’opera è
unica. Ma diciamo, i giorni della creazione, compreso il settimo giorno, sono
tappe della nostra vita interiore. Cioè c’è il momento in cui la parola di Dio
arriva a noi senza di noi e abbiamo i sei giorni. Con il sesto giorno, nasce in
noi lo stato di coscienza, cioè noi prendiamo coscienza dell’operare di Dio.
Prendiamo coscienza che tutto questo fatto è arrivato a noi senza di noi. Ecco,
prendo coscienza. Nasce l’uomo. L’uomo è l’essere che prende consapevolezza
dell’opera di Dio. Ma prendere consapevolezza dell’opera di Dio vuol dire
accorgersi di un’altra volontà; noi infatti ci troviamo in un mondo fatto. Ogni
avvenimento arriva a noi fatto.
Eligio: Questo vale in quanto è riferito a noi, perché non si
potrebbe capire in Dio due momenti diversi.
Luigi: Certo, in quanto è riferito a noi; non è in Dio. Perché
tutta l’opera creatrice di Dio è dono di Sé a noi. Non è che Dio operi per
dirci: “Guarda le meraviglie che io sono capace di fare”. L’opera di Dio è
significazione della sua rivelazione a noi, cioè venuta di Lui a noi. Lui viene
a noi attraverso i sei giorni, ma i sei giorni non sono ancora Lui con noi. I
sei giorni sono soltanto per metterci in movimento per arrivare a Lui, per
farci guardare Lui. Ecco, al sesto giorno prendiamo coscienza di questo
movimento verso di Lui. Se ci muoviamo, entriamo nel settimo giorno con Lui.
Ecco, allora tutta l’opera creatrice di Dio, compreso il settimo giorno. Per
questo il settimo giorno è ancora opera di Dio: è opera di Dio, come tutti gli
altri; soltanto che i sei giorni sono senza di noi, il settimo giorno non è
senza di noi, perché per arrivare a conoscere Dio è necessario che noi vi
partecipiamo personalmente. Allora Dio attraverso i sei giorni opera per farci
entrare nel settimo, e ogni avvenimento arriva a noi attraverso i sei giorni
perché arriva fatto; non siamo noi a farlo. Il filo d’erba che rappresenta la
cosa più insignificante, più comune, arriva a noi attraverso i sei giorni della
creazione di Dio e arriva fatto per noi. Manca però l’intelligenza del filo
d’erba. Ecco, io di fronte al filo d’erba non capisco. Capisco che è opera di
Dio, che è opera di un Altro, ma non capisco il significato. Ecco, il filo
d’erba mi mette in movimento: con il suo punto interrogativo, mi mette in
movimento verso Dio. Ma adesso non è più il filo d’erba da solo. Adesso c’è il
filo d’erba con la mia coscienza, con la mia anima che cerca Dio. Io, mosso dal
filo d’erba, alzo gli occhi verso il cielo e dico: “Signore, cosa mi vuoi
dire?”. Ecco che sto entrando nel settimo giorno. Ma questo è ancora opera di
Dio. È opera di Dio che ha creato me, ha creato il filo d’erba e adesso mette
in movimento me, attraverso il filo d’erba verso di Sé.
Eligio: Quindi l’operare di Dio e l’entrare nel suo riposo, è
per noi, cioè in Dio non sono disgiunti.
Luigi: Il settimo giorno è ancora una tappa nostra. È ancora
per noi. Non sono due momenti disgiunti in Dio, perché la sua creazione è continua.
Ogni avvenimento sintetizza in sé i sei giorni e ci apre al settimo giorno e il
settimo giorno è un movimento nostro, di noi giunti al vertice di tutta la
creazione, che si apre a guardare Dio. Il settimo giorno è questo, ed è opera
di Dio. Quindi a noi sembra che il settimo giorno in quanto è riposo, sia fare
niente; il settimo giorno è la sintesi dei sei giorni; ma la sintesi dei sei
giorni nella creatura che prende coscienza di Dio.
Eligio: Quindi è l’unico affare valido.
Luigi: È l’unico affare valido. Se noi avessimo anche ricevuto
tutta l’opera dei sei giorni, ma mancassimo al settimo giorno, fallirebbe in
noi tutta la creazione, tutta l’opera di Dio.
Nino: Ma perché lo chiama riposo?
Luigi: Lo chiama riposo perché Dio attende da noi questa risposta.
Infatti il riposo è la conclusione di tutta l’opera. Lui è la conclusione di
tutta l’opera.
Nino: Ma allora non è mai riposo per Dio, perché Dio è sempre
Lui che si rivela.
Luigi: Certo, ma è riposo per noi.
Nino: Cioè in che cosa consiste?
Luigi: Il settimo giorno rappresenta la vita eterna (sette
rappresenta la vita eterna, la vita eterna che è conoscenza di Dio). Dio
attraverso tutta la sua opera rivela Sé a noi. Come la rivelazione giunge a
noi, abbiamo il compimento e quindi la nostra pace. Cioè Lui è il luogo della
nostra pace, perché? Perché conclude tutta l’opera.
Nino: Allora il suo riposo si riferisce alla nostra pace.
Luigi: Certo. Lui è sempre in pace. Però attraverso la sua
opera Lui mette in movimento noi, cioè forma noi dal nostro niente e a poco per
volta ci mette in movimento verso di Sé. Il giorno in cui noi conosciamo Lui,
entriamo nella sua pace, che è la nostra pace, perché la pace vuol dire che
l’opera è compiuta. Se per esempio io voglio fare un quadro, prima incomincio a
concepire cosa voglio fare e poi comincerò ad attrezzarmi con pennelli, colori,
tela, ecc., e poi comincerò a dipingere. Il giorno in cui l’opera è fatta,
ecco, l’opera è compiuta. Ora, qual è il compimento dell’opera? Il compimento
dell’opera in noi è la conoscenza di Dio. Infatti noi diciamo: “La pace eterna
dona a loro, Signore”, cioè: “Dona a loro il compimento della tua opera, cioè
rivela il tuo volto!”. Conoscere Lui è la nostra pace, la nostra vita eterna.
Gesù prega il Padre di darci la vita eterna e dice: “La vita eterna è che
conoscano Te”. Conoscere Lui è il compimento.
Nino: Riportare continuamente a Lui.
Luigi: Riportare a Lui, tutto, perché è proprio in questo
riportare che in noi si rivela il suo Volto. Qui ci riportiamo al concetto del
tempio a cui avevamo già accennato prima: Dio si annuncia in tutto, opera in
tutto, ma rivela il suo Volto, la sua Presenza, solo nel suo tempio. Per cui
adesso capiamo che il sabato, il giorno del riposo di Dio, coincide con il
tempio di Dio, il luogo in cui Lui rivela la sua Presenza, ma questo luogo è
sottomissione di tutto a Lui. Questo sottomettere tutto a Lui è riportare tutto
a Lui, raccogliere tutto in Lui.
Eligio: Riportare tutto a Lui, però indipendentemente
dall’intelligenza del segno che il Signore ci manda.
Luigi: L’intelligenza è una conseguenza. L’intelligenza ce la
dà Lui.
Eligio: Lui è la luce. Noi siamo in mezzo ad un mare di segni la
cui intelligenza ci sfugge.
Luigi: E ci sfuggirà.
Eligio: Questo perché noi abbiamo a riferirci a Lui.
Luigi: Certo, noi siamo la notte.
Eligio: Si è parlato altre volte della necessità di approfondire
i segni per giungere al significato.
Luigi: Lui è il significato.
Eligio: Ma molte volte pur sforzandoci non riusciamo ad
approdare all’intelligenza del segno.
Luigi: Anche il fatto di non approdare è ancora opera di Dio,
perché noi abbiamo bisogno magari di toccare con mano la nostra povertà. Dio ci
conosce molto più noi di quello che ci conosciamo noi. Lui sa che forse in noi
c’è ancora del pensiero del nostro io, per cui ogni nostra intelligenza noi
potremmo ancora attribuirla o a noi stessi, alla nostra scoperta e allora ci
sarebbe un errore di fondo. Comunque volevo soltanto mettere in evidenza questa
fatto qui: come Gesù operando di sabato corregge l’interpretazione che noi
davamo al sabato come riposo. Quando dice: “Il sabato è fatto per l’uomo”, dice
una cosa sacrosanta: il sabato è fatto per l’uomo. Infatti il sabato è proprio
fatto per l’uomo! affinché l’uomo giunga alla conclusione dell’opera di Dio.
Quindi è opera di Dio, è ancora opera di Dio, affinché l’uomo entri nella sua
pace. Anche il sabato è massimamente fatto per l’uomo, non contro l’uomo. Non è
fatto per condannare l’uomo o per caricare l’uomo di pesi, per cui: “Tu non
puoi fare questo, non puoi fare quell’altro”. No! Il sabato è fatto per
liberare l’uomo.
Nino: Sì, non è fatto per condannare l’uomo, però l’uomo che
non osserva il sabato secondo l’intendimento di Dio, si autocondanna.
Luigi: Osservare il sabato vuol dire alzare gli occhi, muoversi
verso Dio.
Nino: È l’uomo stesso che si condanna se non si volge verso
Dio.
Luigi: L’errore di fondo dell’uomo sta qui, ed è proprio un
errore fondamentale perché può escluderlo dal regno di Dio, in quanto l’uomo
ritiene di fare la volontà di Dio non facendo la volontà di Dio, ed è convinto
di essere nella giustizia.
Nino: Analogamente succede quando si estrapola una frase da un
libro, travisando il pensiero dell’autore, perché la si stacca dal contesto
(esempio di quanto scrive Firpo).
Luigi: Nel pensiero del nostro io travisiamo sempre. Noi siamo
un principio di menzogna. Abbiamo già visto la volta scorsa: noi alteriamo
sempre tutto. Cinquanta persone di fronte allo stesso avvenimento danno
cinquanta versioni diverse e anche questo ci conferma che solo col Pensiero di
Dio e nel Pensiero di Dio abbiamo la possibilità di essere fedeli. Dio è il
principio di fedeltà, noi da soli siamo un principio di infedeltà. Noi da soli
siamo infedeltà, non possiamo essere fedeli, nel modo più assoluto; dobbiamo
distinguerci l’uno dall’altro: uno parla un linguaggio? Io devo parlare in modo
diverso, perché altrimenti non mi distinguo. Uno si veste in un modo? Io devo
vestirmi in modo diverso, perché altrimenti non mi distinguo; e lì ognuno di
noi rivela la debolezza del suo io, perché noi ci caratterizziamo unendoci.
Vedi come noi facciamo la nostra rovina pensando a noi stessi?
Nino: Tutte le volte che si fa “Bastian cuntrari” è per
imporci.
Luigi: Si, noi crediamo di imporci e stabiliamo la nostra
condanna e riveliamo la nostra debolezza, invece cercando Dio, ci
caratterizziamo proprio dall’unione: “Ut unum sint”, nell’armonia di tutto.
Nino: D’altra parte se Dio è verità, non possiamo fare a meno
di unificarci.
Luigi: È Lui che unifica ed è Lui che ci rende fedeli. Lui ci rende
capaci di essere fedeli; altrimenti travisiamo tutto. E noi vediamo
continuamente queste lezioni, nelle lezioni, nelle lezioni del Cristo: come
proprio le parole stesse dell’Antico Testamento possono essere viste sotto
aspetti diversi, nel pensiero dell’io, pur credendo di fare tutta la volontà,
tutta la legge, di essere più che giusti. Si travisa la volontà di Dio, si
travisa la legge. E in questo errore l’uomo è convinto di essere giusto e
quindi non può essere salvato. Questo ci dovrebbe far capire l’immenso bisogno
che noi abbiamo di Dio, di riferire sempre tutto a Dio, perché se ci stacchiamo
da Dio travisiamo e naturalmente diventiamo figli, schiavi del nostro errore,
convinti che sia verità.
Nino: Nella preghiera, interrogando Dio, allora si capisce che
abbiamo interpretato male.
Luigi: Certo.
Eligio: Dato che ci troviamo immersi in molti segni, scegliamo
quelli che più facilmente ci collegano con Dio. Qual è allora la responsabilità
della creatura che non tiene conto dei segni, che non riesce a capire e in cui
non riesce a stabilire un collegamento con Dio, fermandoci invece su altri in
cui questo collegamento è più facile? Bisogna sforzarsi di cogliere anche quei
segni in cui siamo incapaci di intendere la volontà di Dio?
Luigi: Si, bisogna portarli, come la Madonna che custodisce
tutto le cose in sé. Siccome tutto è parola di Dio, bisogna portarli. Non si
può pretendere, perché la luce ci viene da Dio, però uno li porta nel
sottofondo e un giorno o l’altro Dio ce li illumina, ma ce li illumina quando
magari noi meno ce lo aspettiamo, per farci capire che non è dallo sforzo
nostro che arriva la luce, ma da Lui; però l’importante è portarli, ecco, non
prendere a calci nulla, non disprezzare niente, perché noi possiamo essere
tanto superbi da disprezzare la cosa che non capiamo: “L’uva è acerba, quindi
non mi interessa”, perché non riesco ad arrivarci. No, non disprezzare, resta
in attesa. Perché è l’attesa che forma in noi l’umiltà. Ogni cosa non capita,
in noi deve diventare notte che invoca l’alba. È proprio l’attesa dell’alba che
ci rende capaci di arrivare all’alba. È la fame. Ma la fame si forma in noi
proprio attraverso questo portare con noi tante cose che non capiamo. Per cui
se io so che Dio parla in tutto e io non capisco niente, sento molto, sento
tanto il bisogno di Dio, perché i segni sono tanti e io non riesco a
raccogliere niente. Ecco, il senso di povertà; altrimenti scartando tutto
quello che non capisco, mi credo ricco e non mi accorgo che la mia ricchezza è
data solo dal fatto che non tengo conto di Dio che parla con me.
Eligio: Non parla tanto di disprezzo quanto d’indifferenza.
Luigi: Di trascurare, sì. Bisogna tener presente che Dio parla.
Dio parla in tutto e parla personalmente con me. E bisogna tener presente che
Dio non delega a nessuno la nostra formazione. “Io stesso verrò”. Quel futuro
di Dio che verrà (in Dio non c’è futuro), rivela che un giorno capiremo che Lui
è il nostro Maestro, che Lui si è preso cura di noi personalmente di ognuno di
noi. Quel “verrò” futuro, rivela ciò che Dio è e che ancora noi ignoriamo; è un
tempo per noi. Perché tu adesso non capisci, ma domani capirai che Dio era con
te. Così quel “verremo e faremo abitazione” ci rivela che Dio fa già
abitazione. Siamo noi che dobbiamo prendere coscienza che Egli abita in
ciascuno di noi. Quindi parla al futuro in quanto parla a noi che siamo nel
tempo.
Eligio: Indubbiamente la massa dei segni che Dio ci manda è
enorme, da prendere il capogiro!
Luigi: Sì, perché Lui è infinito. Ma tu tieni presente che la
massa dei segni è Lui stesso proiettato sul piano nostro. Ad esempio il piano
di proiezione: tu ha una figura verticale e la proietti sul piano orizzontale.
Dio, la sua verità nella mentalità nostra acquista questo infinito così. Tu
vedi che in tutto trovi l’infinito. Se guardi il cielo trovi l’infinito, ma se
guardi il filo d’erba trovi anche l’infinito; se guardi la pietruzza trovi
l’infinito, perché è Dio che parla. E Dio, parlando, non può far altro che
rivelare il suo infinito in tutto, per cui c’è un mistero profondissimo in
tutto. Ma questo mistero profondissimo in tutto, il giorno in cui lo vediamo è
il Volto di Dio, è la sua Presenza. Quindi noi diciamo: “C’è una molteplicità
enorme di opere, Dio facesse le opere più limitate, sarebbe più facile …”. Ma
Dio rivela il suo infinito, la sua grandezza …”. È lì la meraviglia, per cui su
qualunque cosa noi ci fermiamo, ci accorgiamo che sprofondiamo in un infinito,
perché è Lui.
Cina: Se Dio opera in questo momento con noi, la prima lezione
è prendere le cose dalle mani di Dio, questo invito continuo.
Luigi: Giusto, tutto va preso dalle mani di Dio, è il primo
atto del fatto di sapere che Dio opera in continuazione. È quanto dice Gesù:
“Il Padre mio opera”. Se il Padre nostro opera, tutto dobbiamo accogliere da
Dio. Ma non basta. È necessario accogliere tutto da Dio, però non dobbiamo
fermarci qui, perché Dio opera per mettere in movimento la nostra anima, il
nostro pensiero verso di Lui. Non basta che noi diciamo: “Signore io capisco
che tutto è opera tua e quindi accetto tutto”. Non basta. È necessario, certo,
perché se io non accetto o accetto soltanto quello che mi fa comodo, creo una
frattura nell’opera di Dio, e allora sbaglio. Quindi devo accettare tutto:
quello che capisco e quello che non capisco, in attesa di capire. Ma accettando
devo capire il significato o meglio, il senso di tutta quest’opera che Dio mi
presenta e volgermi al settimo giorno. È quello che dice San Paolo: “Se oggi
(ed ogni giorno è quest’oggi per noi), voi udite la parola di Dio, affrettatevi
ad entrare nella sua pace”. Affrettatevi! Noi possiamo udire la parola di Dio e
non affrettarci: non entriamo nel settimo giorno, restiamo fermi al sesto
giorno. E siccome non possiamo restare fermi al sesto giorno, diventiamo preda
di tutto ciò che ci disperde. Se non ci mettiamo in movimento verso Dio, noi
restiamo preda di tutte le creature che ci distruggono, perché quello che da
parte di Dio arriva a noi per metterci in movimento verso di Lui, se noi non ci
mettiamo in movimento verso di Lui, quelle stesse opere diventano disgregatrici
di noi stesi, di noi stessi, perché l’opera non compiuta non può essere
trattenuta: è riassorbita. Abbiamo il processo di rigetto, di separazione, di
disgregazione, cioè di aborto: la creatura non è nata. Tutta l’opera di Dio è
per far nascere quest’anima che si volge verso di Lui. L’anima che si rifiuta
di alzare gli occhi a Lui viene di nuovo riassorbita, dispersa: ritorna
polvere.
Eligio: Comunque resta un peso su di noi.
Luigi: Certo, resta un peso su di noi, perché diventa
dispersione, e nella dispersione infatti noi troviamo il vuoto, troviamo la
tristezza, troviamo l’angoscia, troviamo tutte queste forme che denunciano
l’opera non compiuta; non siamo entrati nella sua pace, non siamo entrati nella
sua pace, non siamo entrati nel sabato.
Cina: Un altro punto che mi è rimasto è questo: se Dio solo è
la luce che illumina le sue parole, non ho altra fonte per avere la luce; se
non mi rivolgo a Lui, mi fermo e rendo fallita la vita e rendo inutile tutto.
Luigi: Rendo inutile tutta l’opera di Dio, rendo fallita la mia
vita e frustro tutta l’opera di Dio, tutta l’opera che Dio ha fatto. Per questo
sarà chiesto conto di tutto il sangue sparso dal principio della creazione fino
adesso, perché Dio ha fatto tutto, affinché tu volgessi il tuoi occhi verso il
Creatore. Quello che dice Isaia nel primo capitolo: “Il bue conosce il suo
padrone e l’asino conosce la greppia, e il mio popolo non mi conosce: che cosa
ancora devo fare?”. “Non hanno volto gli occhi a Colui che non solo faceva
tutto per loro, ma anche Colui che li percuoteva per risvegliarli”. Ecco, non
hanno volto gli occhi. Quindi Dio opera tutto, perché noi volgiamo il nostro
sguardo verso di Lui, non perché noi ci agitiamo o ci mettiamo a correre o ci
fermiamo, o ci riposiamo, no, Dio non opera per questo: Dio opera perché noi
rivolgiamo i nostri occhi verso di Lui! Se noi non rivolgiamo i nostri occhi
verso di Lui, facciamo fallire tutta la sua opera in noi: ecco perché c’è
l’aborto. È fallimento di vita: vita concepita, non portata a compimento. Ora,
il settimo giorno …
Cina: Richiede proprio una risposta personale.
Luigi: E solo personale, perché nel settimo giorno si entra
personalmente, perché è effetto di intelligenza, effetto di conoscenza, effetto
di amore, quindi si entra personalmente. Se non si entra nel settimo giorno,
l’opera è concepita, ma non è portata a compimento e allora abbiamo l’aborto:
gli aborti arrivano al sesto giorno.
Cina: E poi un altro punto: “Ut unum sint”, io l’ho sempre
inteso come un invito alla comunione tra di noi, invece ora mi ha colpito
quest’armonia con tutto …
Luigi: Dio è il principio dell’armonia. Infatti Gesù non dice a
noi: “Unitevi, create l’armonia tra voi”, Gesù prega il Padre che li unisca,
prega il Padre che formi l’armonia tra noi e con tutta la sua creazione, perché
in Dio e solo in Dio tutto si armonizza, mentre invece, staccati da Dio, tutto
diventa in contrasto uno con l’altro, diventa brutto. Noi attualmente vediamo
tutte le cose per parti. Dice San Paolo: “Tutta la creazione noi la vediamo per
parti” cioè guardo una cosa, guardo una creatura, salto da una cosa all’altra.
Invece in Dio abbiamo una visione armonizzata e quindi bellezza, di tutto che
unifica. Cioè non è che tra noi ad un certo momento possiamo dire: “Uniamoci,
vogliamoci bene”. No! È Dio che tanto più è conosciuto da noi, tanto più ci
unisce e ci fa una cosa sola. Fa una cosa sola tra noi che siamo la sintesi di
tutto l’universo e quindi fa una cosa sola con tutte le sue opere. Noi non
siamo più separati da niente in Dio. Separati da Dio, siamo separati da tutto,
per quanto sforzi noi facciamo siamo separati da tutto e tutto ci separa.
Leopardi dice che la natura è nemica. A un certo momento anche la nostra stessa
natura, perché tutto quello che abbiamo nel cuore, nell’anima, magari la
tristezza, la sofferenza, la nostalgia, la pena, non è condivisa dalla natura.
La natura gioisce e invece noi siamo tristi. Il nostro cuore canta, e invece la
natura diventa triste. Ecco, c’è disarmonia. Invece in Dio abbiamo una perfetta
armonia, perché tutto nell’universo, essendo opera di Dio, diventa dialogo tra
la nostra anima e Dio e tutte le opere di Dio. Ci accorgiamo che tutte le cose
parlano di noi, ma parlano in sintonia, perché parlano con Dio. Se la nostra
anima è in Dio, tutte le cose dialogano con noi e ci conoscono, perché noi
conosciamo Dio. Ma se noi non conosciamo Dio, nessuna creatura ci conosce, non
ci può conoscere, ci ignora e noi ci sentiamo soli, non più uniti. Perché il
fatto di essere una cosa sola è il fatto di essere conosciuti: tutte le cose ci
conoscono, anche la pietra ci conosce con Dio, l’albero ci conosce, le stelle
ci conoscono, perché sono parola di Dio.
Pinuccia: A me rimane come pensiero come se Dio opera sempre non
devo che avere un atteggiamento di ascolto, perché la sua opera è una parola
continua.
Luigi: Sì, bisogna ascoltare e bisogna desiderare di capire.
Dio opera non per metterci in movimento o per farci restare fermi. Dio opera
affinché capiamo. “Non siate anche voi senza intelligenza, non siate come
l’asino e il bue che non hanno intelligenza”. “Anche voi siete senza
intelligenza? Anche voi non capite?”. Dio ci ha dato l’intelligenza affinché
capiamo. Ma questa intelligenza cos’è? È Lui la nostra intelligenza, cioè la
sua Presenza; la presenza del suo Pensiero in noi diventa per noi luce
d’intelligenza. Se noi invece trascuriamo Lui, la nostra intelligenza se ne va.
Ci può essere la superbia nostra, ma non l’intelligenza. Lui è l’intelligenza
delle sue opere.
Pinuccia: Quindi questo ci invita anche a far solo conto su di
Lui.
Luigi: Lui opera affinché noi guardiamo Lui. Lui è compimento
delle sue opere. Più noi lo guardiamo e più ci illuminiamo. Se noi abbiamo la
possibilità di guardarlo è perché Lui già si è donato a noi, altrimenti non
potremmo nemmeno guardarlo, nemmeno pensarlo. Se noi possiamo pensare Dio è
perché Dio per primo si è donato a noi. Donandosi, dà a noi la possibilità di
pensarlo. E ritorniamo lì su concetto che il poter pensare a Dio è il più
grande tesoro dato all’uomo, tesoro nascosto, il più grande. È nascosto perché
solo conoscendolo si trova.
Pinuccia: È nascosto perché non si vede.
Luigi: Apparentemente no, perché non è apparenza. Infatti Dio
si trova solo conoscendolo. Ma se io cerco Dio, non cercando di conoscerlo, ma
cercando di agire, cercando di essere virtuoso, cercando di fare questo e
quell’altro, non lo trovo, perché Dio non è azione, non è movimento. Dio è
Spirito, è verità. La verità si trova solo conoscendola. E allora bisogna
cercare pensando a Lui: ecco il campo. Per cui bisogna vendere tutto ciò che si
ha, per comperare quel campo in cui c’è Lui, in cui c’è il tesoro. Ma noi
possiamo sbagliare campo: noi possiamo ritenere di trovare la salvezza, di
trovare la luce, di trovare la verità, di trovare la nostra vita nel movimento,
nell’azione, oppure nel far niente. Ecco sono tutti non campi di Dio.
Nino: Trovo molto logico e molto bello pensare che se ogni
cosa è parola di Dio, Dio ce la dice perché noi possiamo capire. Il non
capirla, vuol dire metterci sullo stesso piano di chi la rifiuta.
Eligio: Si è parlato prima però di molti segni che non vengono
intesi.
Nino: Alla lunga verranno tutti intesi, no?
Luigi: Sì, cioè dobbiamo portarli come desiderio.
Nino: Non credo che Dio ci metta dei segni perché noi non li
comprendiamo. Noi non li comprenderemo rimanendo disuniti da Lui, ma se
diventeremo uniti a Lui tutto diventerà comprensibile.
Luigi: Certo.
Nino: E tutto diventerà in armonia. Quindi il fatto di non arrivare
a capirlo, penso che sial solo colpa nostra, solo perché noi abbiamo mancato in
qualche accettazione di qualche sua proposta, ma allora ci mettiamo sullo
stesso piano di chi si rifiuta di capirli.
Luigi: Comunque la verità è nascosta. Ciò che non capiamo
dobbiamo portarlo come desiderio. La verità è nascosta non perché si rifiuti,
perché altrimenti noi potremmo dire: dal momento che la verità è nascosta, stia
nascosta. No, la verità di Dio è nascosta non perché si rifiuti, ma soltanto
perché siamo noi che ci troviamo in una situazione di non poterla conoscere, di
non poterla vedere.
Nino: Quindi il difetto è solo nostro.
Luigi: Quindi “cresci”, “Io sono il cibo degli uomini adulti.
Cresci e mi mangerai”. Essa si mantiene nascosta fintanto che noi ci troviamo
nell’incapacità di poterla vedere, altrimenti è tutt’altro che nascosta. Gesù
stesso dice: “Non c’è nulla di nascosto che non abbia ad essere rivelato”. Lui
è venuto per farsi conoscere. Quindi la verità vuole donarsi. Ci ha creati, ci
ha dato l’esistenza perché noi la conoscessimo, ed entrassimo nella vita
eterna. La più grande colpa che noi possiamo avere verso la verità è proprio
disinteressarci di essa, rifiutarla, trascurarla, perché Lei ha fatto tutto
affinché noi ci occupassimo di essa. Ha mandato tutte le sue ancelle su tutte
le nostre strade per chiamarci: “Venite nella cittadella, mangiate il mio
pane”. Se noi rifiutiamo, restiamo come quegli invitati che si scusarono: “Io
ho il bue, io ho i campi, io ho la moglie, non posso venire” e di cui Gesù
conclude dicendo: “Non assaggeranno la mia cena”. Però Dio manda tutti i suoi
servi e servi sono tutte le sue opere, tutte le sue creature, tutto (perché
tutto è servitore di Dio, tutto, anche il demonio); manda tutti i suoi servi
per chiamarci al suo pranzo, alla sua cena. Ecco noi non dobbiamo rifiutare.
Noi possiamo essere magari zoppi, ciechi, malandati, malati, mendicanti: “Va,
su tutte le strade, tutte le piazze i chiama chiunque”. L’importante è non
rifiutarci.
Nino: Purtroppo succede che a volte noi ci accontentiamo di
aver accettato una cosa da Dio.
Luigi: Però questo è basilare.
Nino: Però non dobbiamo fermarci lì, cioè essere contenti di
averlo accettato.
Luigi: No, c’è qualcosa di più.
Nino: Interrogare Dio: “Che cosa vuoi dirmi con questo?”.
Luigi: Sì, appunto bisogna desiderare il settimo giorno.
Nino: Purtroppo però noi ci accontentiamo di accettare e ci
sentiamo a posto.
Luigi: No, si accetta per arrivare a capire e bisogna
desiderare di arrivare a capire.
Nino: Non solo bisogna desiderare, bisogna entrare in
sofferenza se non si capisce.
Luigi: Anche in sofferenza, sì. Perché più uno ha amore e più
naturalmente sente la sofferenza di non capire. Se uno ad esempio ama tanto una
persona e si accorge di non poter capire quella persona, o qualche cosa o le
parole di quella persona, sente sofferenza. La sofferenza è dovuta da non
capire.
Emma: Mi è risultato difficile intendere quel riposare e
quell’operare di Dio. Comunque penso che la fatica per capire ci accompagnerà
sempre.
Luigi: Certo, la fatica è quel sudore con cui bisogna mangiare
questo pane.
Nino: Dio ci darà di capire nella misura in cui noi avremo
desiderato di avere questa conoscenza.
Luigi: Certo.
Nino: Perché se noi saremo stati freddi nel desiderare, non lo
avremo. Noi possiamo avere solo il demerito di non averlo desiderato
abbastanza.
Luigi: “Ad ognuno sarà dato ciò che veramente avrà voluto
avere”.
Emma: Ci vuole tanta pazienza ad attendere.
Luigi: Desiderarlo.
Eligio: Penso che ci sia anche un cruccio.
Luigi: Più uno sente il cruccio, più è nell’amore. Chi
veramente ama, sente molto il bisogno di conoscere.
Nino: Non bisogna però confondere la pazienza con l’adagiarci.
Luigi: Sì, certo; è una vera sofferenza. Bisogna sentire tanto
il bisogno. Più uno è in rapporto con Dio, più sente il bisogno. “Signore, che
io possa vedere il tuo volto”, è l’invocazione di tutti i salmi: che Dio riveli
il suo volto. E cos’è questa invocazione? “Signore, fammi vedere il tuo
volto?”. San Giovanni della Croce dice: “Non mandarmi più i tuoi servi che non
mi possono dare ciò che io chiedo. Tu solo puoi …”. Ecco, e questo che cos’è? È
proprio sofferenza, è la tribolazione propria dell’anima amante che desidera
l’incontro, la Presenza, la rivelazione di Colui che ama. Non si rassegna.
Nino: Sintetizzando l’argomento, allora: finora abbiamo inteso
il settimo giorno come giorno del riposo del Signore. Va invece inteso come il
giorno in cui il noi raccogliendo ogni cosa che ci è arrivata attraverso la
creazione, arriviamo alla conoscenza di Dio, alla sua pace e quindi nel suo
riposo.
Luigi: Si, il settimo giorno è una tappa della nostra vita
spirituale, è una tappa di noi.
Eligio: È la conclusione.
Luigi: Sì, è la tappa conclusiva, ma è un nostro momento, con è
un momento di Dio. Siccome Dio opera per rivelare Se stesso, l’ultima tappa per
la rivelazione è il silenzio, che è quel silenzio dell’Apocalisse, quella
mezz’ora di silenzio che precede la grande rivelazione di Dio.
Emma: Ma come mai il riposo di Dio è un operare?
Luigi: Sì, perché Dio opera in un primo tempo in noi senza di
noi; poi opera in noi, ma non opera più senza di noi. Cioè c’è una parte in cui
Dio ci precede, perché se Lui non precedesse, noi non ci sveglieremmo. Noi
siamo addormentati, per cui è necessario che qualcuno dal di fuori ci scuota e
ci dica: “Svegliati!”. Ecco, tutta quest’opera è l’opera dei sei giorni: Dio
opera senza di noi. Poi c’è il momento in cui noi, svegli, ormai siamo stati
svegliati, incominciamo a guardare Colui che ci ha svegliati. Allora qui abbiamo
il riposo di Dio, perché è il giorno in cui Lui chiede a noi di guardare a Lui.
Quindi, tutta l’opera che Egli fa per svegliarci, è l’opera che fa senza di
noi, perché noi siamo addormentati, quindi è l’Altro che viene a noi. Ho detto
che se noi possiamo pensare Dio, lo possiamo pensare in quanto Dio per primo (…
ecco l’opera sua), si è dato a noi. Quindi tutta quell’opera attraverso cui Lui
si dà a noi, senza di noi, è l’opera di Dio, l’operare di Dio. Poi, avendo dato
Se stesso a noi, dà a noi la possibilità di pensarlo. Questa possibilità di
pensarlo, per cui noi possiamo pensare Lui, è il settimo giorno ed è ancora un
suo operare. E questa è la conclusione; e questa conclusione del suo operare
non avviene senza di noi. “Colui che ti ha creato senza di te, non ti porta
alla conclusione senza di te” (sei giorni, opera di Dio): attraverso i sei
giorni Lui mi ha dato l’esistenza, mi ha fatto essere, mi ha svegliato. Ho
cominciato a capire: “Toh, ci sono”. Ecco, i sei giorni. Nel sesto giorno Dio
dice: “Facciamo l’uomo” e l’uomo ha cominciato ad essere. Quindi Colui che ti
ha creato, che ti ha formato nei sei giorni senza di te, ora non ti porta alla
conclusione senza di te, perché ormai ti ha svegliato, quindi chiede a te di
guardare Lui. Ecco, noi abbiamo il settimo giorno, che non avviene senza di
noi. Ecco perché lo chiamiamo: “Riposo di Dio”, che è conclusione, pace di Dio,
la nostra pace; ma nella quale possiamo anche non entrare, perché non si entra
senza di noi. Concludendo, notiamo ancora questo: colleghiamo questo versetto:
“Il Padre mio opera fino a questo momento, cioè opera ancora oggi, ed io pure
opero”, con quello che era avvenuto prima. Abbiamo visto che quell’uomo
paralitico guarito, avvisato da Gesù: “Cerca di non peccare più”, per
superficialità non si è fermato nel tempio; è uscito ed è andato a dire che è
stato Gesù, e aggrava la situazione perché gli altri cominciano a perseguitare
Gesù. Ora Gesù non è che venga qui a litigare o ad offendersi oppure che se la
prenda con quell’uomo. Passa sopra tutto e da tutto trae motivo per parlare del
Padre, che è la salvezza. Quindi che i giudei lo perseguitino, che quell’altro
sia superficiale, non sono motivi per distrarre Gesù dal Padre; non è venuto
per giudicare, è venuto per salvare. Salvare vuol dire condurre a conoscere il
Padre, vedere il Padre. Diciamo, Lui approfitta del male, degli errori per
parlare del Padre. Cambia il male in bene.
Eligio: Stavo pensando però al male che si effettua nell’anima
nostra: pensavo ai giudei che perseguitano Gesù, come accada questo nell’anima
nostra; cosa rappresentano i giudei per l’anima nostra, come venga perseguitato
Gesù nell’anima nostra, cioè come gli venga resa difficile l’opera di raccolta
dell’anima attorno al pensiero del Padre. È un significato profondissimo.
Luigi: Sì, perché noi nel pensiero del nostro io uccidiamo Dio.
Eligio: Se noi con leggerezza tradiamo Gesù al mondo, il mondo
cerca di distruggerlo dentro di noi, per cui Lui non può più compiere la sua
opera di raccolta verso il Padre.
Luigi: Guarda l’aggravamento: c’è quell’uomo che porta il suo
letto e dice: “Non so chi sia!”; intanto gli altri se la prendono già con Colui
che gli ha ordinato di portare il suo giaciglio sulle spalle; e comincia a
crearsi l’animosità verso Colui che l’ha guarito. Non vedono la guarigione,
vedono soltanto l’infrazione alla loro legge, al sabato.
-
Lui ritorna, avendo scoperto Gesù
nel tempio per dire che era Gesù che l’aveva guarito e allora cominciano a
perseguitarlo;
-
Gesù dice: “Il Padre mio opera …”,
quindi giustifica la sua opera; cerca di salvarli, no? Perché cerca di
giustificare come va inteso il sabato e parla del Padre;
-
Parlando del Padre, tanto più i
giudei cercano di farlo morire, perché non solo violava il sabato, ma anche
perché: “Chiamava Dio suo Padre”. Vedi l’aggravarsi? Più Lui parla, opera la
salvezza e più abbiamo l’animosità che cresce fino ad arrivare al conflitto
estremo, cioè la morte.
Eligio: Questo dimostra il rischio dell’apertura al mondo per
quanto riguarda il segreto di Dio che dovremmo portare noi. Il mondo entra ed
entra con violenza. Sarebbe però molto bello poter vedere come avvenga
nell’anima questo.
Luigi: Ma è tremendo questo, perché più Dio si dona e più
l’animosità, la violenza cresce.
Pinuccia: Ma perché?
Luigi: Perché l’io è delitto. Se noi non superiamo noi stessi,
noi arriviamo ad uccidere Dio in noi. È una lezione molto efficace, perché
abbiamo tutta una passione che si carica di violenza. Più c’è il dono di Dio,
più Dio si dona, e più l’altro diventa violento.
Nino: È anche un bell’insegnamento della psicologia del
peccato.
Luigi: Sì, è tremendo!
Pinuccia: Però ad un certo punto l’io può arrendersi, no? Senza
arrivare alla fine?
Luigi: Sì, certo che lo può. Se Dio parla è perché c’è la
speranza che l’io si arrenda. Anche con la morte in croce. Perché se Dio muore,
è perché attraverso la sua morte c’è una speranza. Lui morto è ancora motivo di
salvezza. Però l’io è una potenza tremenda in noi, perché non basta essere
buoni, non basta concedere. Ecco, qui si vede il Figlio di Dio addirittura che
concede, che opera per salvare, e come questo crei animosità nei giudei.
...e quindi Io pure opero. Gv 5 Vs 17 Secondo tema.
Argomenti: L’analisi distrugge
il segno. Approfondire i segni di Dio. Più sono in
intimità con l’Autore del segno, e più capisco il segno. Al sesto giorno prendiamo coscienza di essere e possiamo dire: “Io Sono”.Capire il senso dei segni. Il Padre parlando mi illumina i segni che fa. “Nessuno conosce il
Figlio se non il Padre”. È l’attesa dell’alba che ce la fa incontrare. La tristezza
di Gesù. La molteplicità dei segni. I doni di Dio esigono disponibilità. Giungiamo al compimento dell’opera del Padre, solo per
mezzo di Cristo. L’opera del Figlio è
l’intelligenza sull’opera del Padre.
30.Luglio.1978
Pensieri tratti dalla conversazione:
Luigi: Oggi cercheremo di approfondire la seconda parte del
versetto 17: “… ed io pure opero”, collegandola con la prima parte: “Il Padre
mio opera fino a questo momento”.
Angelo: Nel mio vangelo è tradotto: “sempre”, non “fino a questo
momento”.
Luigi: Sì, “sempre”, opera anche adesso. Questo Gesù lo dice in
relazione al fatto che era sorta tutta la problematica del sabato, giorno di
riposo, perché “il settimo giorno, dopo aver compiuto la creazione in sei
giorni, Dio si riposò”. Allora siccome qui accusavano Gesù di aver curato
quest’uomo in giorno di sabato e di avergli ordinato di portare quel lettuccio,
per cui era un trasgressore del riposo, Gesù qui si giustifica dicendo: “Il
Padre mio opera anche di sabato, e quindi anch’io opero”. Intanto notiamo che
la giustificazione di Gesù non è presso il mondo, con ragioni del mondo o altri
motivi o interpretazioni della legge, ma Lui trae la sua giustificazione nel
Padre e insegna a noi che le vere giustificazioni le dovremmo sempre cercare
nel Padre, in Dio. Non dovremmo mai muoverci su altri argomenti.
Eligio: Domenica scorsa hai detto che la verità non si coglie in
superficie, ma si annuncia in superficie e impegna noi ad un approfondimento.
Poiché la verità, Dio, opera con noi attraverso tutti gli avvenimenti che
incontriamo nella giornata, molti di questi noi li comprendiamo e ci è facile
cogliere la volontà di Dio in essi, ma ce ne sono molti (e sono la maggior
parte), dinanzi ai quali a noi non è possibile entrare in questo rapporto di
dialogo con la verità, quindi: come ci è possibile approfondire ciò che non
comprendiamo? Cioè noi cogliamo il segno e per fede lo accettiamo come mandato
da Dio, autore del fatto, però l’approfondimento cui siamo chiamati come è
possibile, se ce ne sfugge la ragione e il significato?
Luigi: In tanti avvenimenti o argomenti il Signore non ci
fornisce dati a sufficienza, come per esempio tutti gli spettacoli quotidiani,
gli avvenimenti del giorno sono tutte lezioni fratturate: per poco che
approfondiamo, ci accorgiamo che dobbiamo arrestarci: sono lezioni di umiltà
che il Signore ci dà, per farci toccare con mano la nostra povertà rispetto
alla sua luce. Il problema non è tanto quello di approfondire, analizzare il
fatto, quanto cogliere la direzione, il senso che il fatto reca in noi. Cioè
ogni fatto arriva a noi attraverso i sei giorni della creazione e ci fa
giungere alla sera del sesto giorno, cioè all’inizio di quel settimo giorno che
dovrebbe portarci nella conoscenza del Padre. Ma tutti i nostri fallimenti
arrivano lì: nella sera del sesto giorno. Cioè, come l’uomo comincia ad essere
fatto, incomincia a pensare a sé, e ad affermare sé. Il nostro io si
caratterizza in quanto si differenzia, si separa. Invece in Dio, nella
comunione con Dio, il nostro io si caratterizza unificando e armonizzando tutto
(quell’armonia di tutto di cui parlammo già domenica scorsa). Però
l’unificazione e quindi la formazione del vero nostro io la si ha in Dio.
Allora la funzione di tutte le opere di Dio, non è quella di farsi conoscere,
ma quella di farci conoscere Dio, cioè di lanciarci verso Dio, perché è in Dio
che noi abbiamo il principio di armonia e di unificazione, che è poi il
principio della formazione del vero nostro io. Invece quando il nostro io è
staccato da Dio, come comincia a percepire di esistere: “Io sono”, incomincia a
proiettarsi all’esterno, credendo di trovare la verità analizzandola.
Eligio: Però se l’io può mettere a confronto i propri argomenti
con quelli di Dio, ne scopre la preminenza rispetto ai suoi, potendo in tal modo
mettere a tacere i propri. Cioè se l’io è fatto per dialogare, quando scopre il
carattere assoluto della verità rispetto al carattere relativo dei suoi
argomenti, dovrebbe mettere a tacere i proprio argomenti. D’altronde di fronte
ad argomenti che sono incomprensibili: una tragedia, le Brigate Rosse, ecc., se
non ho elementi per dialogare con Dio, come posso approfondire certe verità che
Lui mi annuncia attraverso questi fatti di cui non capisco niente? Per fede li
posso accettare come proposte, ma come faccio ad approfondirli?
Luigi: Certo, li devo accettare come proposte, ma non posso
approfondirli. Il nostro io di per sé è portato a cercare di analizzare il
fatto, a cercare tutti gli altri elementi per poter giudicare; ma qui succede
un altro fatto molto strano ed è questo: se noi osserviamo un pochino qual è
l’opera del nostro io, noi notiamo questo, che il nostro io, analizzando,
distrugge. È come se smontassi questo registratore per vedere come funziona: mi
rimarrebbero davanti un mucchio di rotelle e di ingranaggi di cui non capisco
più niente e la conclusione quale sarebbe? Che il registratore non l’ho più e
che capire non ho capito. Questo succede con facilità anche nei riguardi della
creatura: se amo molto una creatura, desidero conoscerla il più possibile, devo
smontarla, e a un certo momento smontandola, che cosa mi rimane? Niente! Senza
accorgerci noi crediamo di conoscere analizzando, ma per analisi ci troviamo
con niente, cioè non abbiamo più l’essere di prima. Ad esempio analizzando il
diamante, non ci resta che il carbone e abbiamo perso il diamante.
Eligio: Non è che l’analisi distrugga la sintesi, perché io
posso accettare quel fatto come voluto da Dio, pur senza capirlo. Ma se io sono
di fronte all’esigenza di approfondire quel segno per giungere al significato,
devo pur smontarlo un pochino: e da dove parto e con quali argomenti?
Luigi: No, io direi proprio questo: che la grande legge è
quella di guardare ma non toccare, cioè non smontare. Ecco, noi ci troviamo
soltanto col pensiero di noi stessi, necessariamente arriviamo a distruggere,
distruggiamo e non abbiamo più il segno.
Eligio: Ma lo dobbiamo fare per capire la volontà di Dio.
Luigi: Per capire la volontà di Dio, io devo guardare e non
toccare: non devo smontare la cosa.
Eligio: E come l’approfondisco se non capisco?
Luigi: Perché la cosa di per sé, nella sua complessità, o nella
sua unità o nella sua misteriosità, mi richiama Dio. Cioè il significato
dell’opera di Dio non è quello di farmi capire com’è strutturato un albero o un
filo d’erba, ma è quello di farmi alzare gli occhi dall’albero, dal filo d’erba
a Lui. È in Lui che poi analizzerò (diciamo analisi, ma non c’è più l’analisi).
Cioè è solo con Dio che ho la luce che mi fa vedere.
Eligio: Ah, è Dio che opererà l’approfondimento quando io sarò
arrivato a Lui.
Luigi: Si, solo con Dio, perché in caso diverso, se non mi
unisco a Dio, io distruggo la cosa che cerco di conoscere, cioè desiderando di
conoscerla, la distruggo.
Eligio: Quindi approfondire i segni vuol dire riferirli a Dio,
innanzitutto, senza fermarsi ai segni in particolare.
Luigi: Si, perché Dio è profondità. Quindi non andare
all’analisi del segno, perché se mettiamo le nostre mani nel segno, perdiamo il
segno e perdiamo anche la possibilità di capirlo. Invece la cosa va vista così,
con i dati che il Signore ci fa arrivare. Cioè anche i dati stessi noi dobbiamo
riceverli dal Signore e con quello che Lui ci dà, già reca a noi un
orientamento: ci fa alzare gli occhi dal segno all’Autore del segno: è qui che
abbiamo la profondità. La profondità è Lui, che mi fa trascendere il segno. Il
Pensiero di Dio, mi fa trascendere il segno. Il pensiero dell’io invece mi
immerge nel segno, credendo di poterlo capire; finisco di smontare il segno e
perdo il segno, perché a un certo momento non l’ho più. Se smonto la creatura,
ho qualche muscolo, ma ho perso tutto: non ho più la creatura. Io credevo di
conoscere la creatura smontandola: sì, ho degli elementi materiali, ma la
creatura non l’ho più. Cos’è la creatura? Dov’è? Io cerco l’anima della
creatura, però il mio io ha visto soltanto la materia; ha smontato la materia e
ha trovato niente e resto con niente e la creatura non l’ho più. Questa è una
lezione che il Signore ci dà: stai attento nel modo con cui cerchi. Cioè noi
possiamo anche fregarcene del segno, cioè non cercare; ma possiamo anche
cercare in modo sbagliato.
Eligio: No, noi dobbiamo approfondire e il problema è come
possiamo approfondire un segno di cui non capiamo niente e non abbiamo nessuna
possibilità di approfondimento.
Luigi: Sì, il processo di approfondimento è alzare gli occhi a
Dio. Dio stesso è profondità. Però io devo partire da Dio, perché Dio è
Principio, cioè non devo partire dal segno. Dio già si annuncia a me in Sé con
il suo Pensiero, con il suo Spirito e Lui opera i segni, davanti, dentro,
attorno a noi: è un richiamo. È come quando mi trovo in un paese straniero:
sento uno che mi dà una voce, non capisco quella voce, però il fatto che mi dia
una voce, mi invita ad avvicinarmi. Questo lo capisco: capisco che in quanto mi
fa giungere un suo segno, mi invita. Ora Dio opera dei segni, i segni li opera
nel pensiero del nostro io, sono dei richiami, affinché noi alziamo i nostri
occhi a Lui.
Eligio: Questo è l’approfondimento.
Luigi: Sì, perché Lui è profondità. Infatti Lui non è in
superficie: si annuncia in superficie, ma non si fa vedere in superficie. Per
vederlo noi dobbiamo staccarci: ecco la profondità. Noi dobbiamo staccarci dal
segno. Il segno è sulla nostra superficie; se ci troviamo davanti a un bel panorama,
se vogliamo pensare a Dio, dobbiamo chiudere gli occhi al panorama. Eppure il
panorama ci ha annunciato qualche cosa, ci ha messi in movimento; ma adesso, se
voglio arrivare a Colui che il panorama ci annuncia (e qui è profondità),
dobbiamo staccarci dalla superficialità in cui ci trattengono gli occhi e i
sensi. Quindi abbiamo un’operazione di annuncio nella nostra superficialità,
cioè nel pensiero del nostro io e un richiamo di distacco dall’annuncio per
arrivare all’Annunciatore, per prendere contatto con Lui.
Angelo: Cioè è l’atteggiamento di fede che deve portarci ad
accettare senza pretendere.
Luigi: Sì, è il passaggio dal
sesto al settimo giorno: il settimo giorno il Signore si riposa, in quanto il
settimo giorno non arriva senza di noi. Il sesto giorno arriva anche senza di
noi. Cioè, senza di noi, Dio ci presenta questo panorama, ma appunto perché
senza Dio, non lo capiamo, non possiamo capirlo, però è un annuncio, un
richiamo che Lui fa al nostro io e ci invita ad alzare gli occhi all’Autore di
questo annuncio. Ecco perché abbiamo il passaggio dal sesto al settimo giorno
attraverso un tempo di riposo di Dio, perché Dio attende la risposta nostra.
Ora noi nel pensiero del nostro io possiamo sbagliare nel senso che possiamo,
guardando al segno, cioè fermandoci al segno, e distruggiamo il segno stesso e
perdiamo quindi anche l’Autore. Oppure possiamo interpretare nel senso di
imitare Dio: Dio si è riposato, anch’io mi riposo; questo lo pensiamo nel
pensiero dell’io. Ma Dio si è riposato non perché io imiti quello che Lui fa.
Lui entra nel riposo affinché io partecipi e alzi i miei occhi verso di Lui,
per conoscere Lui, perché il riposo di Dio è un invito a conoscerlo. È la pausa
dopo l’opera affinché in noi maturi un orientamento verso il Creatore.
Eligio: È stato detto più volte che Dio dialoga attraverso le
sue opere con noi.
Luigi: Sì, ma non soltanto opere, perché bisogna sempre tener
presente che nel dialogo c’è Lui, l’opera e c’è il nostro io. Cioè abbiamo
sempre un triangolo, e dobbiamo sempre tenerlo presente.
Eligio: E le sue opere sono una manifestazione di Lui.
Luigi: È un parlare: tutto avviene nel Verbo di Dio.
Eligio: Quindi l’unico modo di approfondire è trascendere i
segni stessi, riferendoli a Lui, e non tanto il cercare il perché del segno.
Luigi: Sì, il perché del segno è questo richiamo a Lui.
Eligio: E quindi basta accettare da Dio il fatto che non capisco
per aderire al suo invito ad approfondire?
Luigi: Sì.
Eligio: Pensavo invece che fosse necessario una penetrazione del
fatto per cogliere attraverso il fatto il significato. Invece tu mi dici di
trascendere.
Luigi: Sì, trascendere il fatto, perché in Lui poi avrò
l’illuminazione del fatto, ma in Lui però. Arriverà il giorno in cui Lui mi
farà capire, ma sarà Lui e non dipenderà da me, da una mia analisi, verrà il
giorno in cui mi dirà: “Vedi, quel giorno lì Io ti ho fatto giungere quel segno
per questo”. Quanto più conosciamo Dio, tanto più Lui apre la nostra mente ad
intendere le sue opere, cioè quello che Lui significava a noi attraverso quegli
eventi; ma gli eventi, quando Lui ce li ha fatti arrivare, ce li ha fatti
arrivare affinché noi alzassimo gli occhi a Lui, perché Lui è la profondità.
Lui non lo vediamo. Noi vediamo il segno, Lui non lo vediamo, ma il segno
avviene proprio perché noi cerchiamo Lui che non vediamo. Il settimo giorno è
l’invito ad entrare là dove noi ancora non vediamo niente.
Eligio: Ti ho fatto questa domanda perché è stato detto più
volte che Lui dialoga con noi con i mezzi che noi possiamo percepire. Ora mi
trovo davanti ad una quantità enorme di messaggi che io non percepisco
assolutamente. Come devo fare? Ora tu mi dai la risposta: trascendi il fatto,
sali a Dio.
Luigi: E in Dio avrai poi la luce sul fatto, ma quando Dio
vorrà, non quando vuoi tu.
Angelo: Non è che io debba cercare di capire il fatto.
Luigi: No.
Angelo: La nostra parte è solo questa: alzare gli occhi e
riferire a Lui.
Luigi: Di trascendere e di guardare Lui.
Pinuccia: Cioè pensare a Lui?
Eligio: Ma allora per quale ragione Lui parla a me attraverso
una moltitudine innumerevole di fatti che non capisco assolutamente?
Luigi: Perché io in continuazione mi separo da Lui. Stiamo
andando verso una meta e continuamente sbagliamo strada e in continuazione
abbiamo bisogno che Lui, attraverso fatti diversi, segnali diversi, ci
riconduca sempre sulla strada giusta. Perché noi nel pensiero dell’io,
naturalmente non siamo uniti a Dio, siamo creati in coppia con Lui, ma non
stiamo. Noi ci allontaniamo, ci disperdiamo, e Lui ci sorprende in tutte le
nostre dispersioni e ci riconduce in continuazione. Ogni creatura che Lui ci fa
incontrare, ogni fatto è una voce sua che ci riprende da una nostra distrazione
e ci converte a Sé.
Eligio: Una voce che personalmente invia a me?
Luigi: Personalmente, si capisce, perché Lui sta dialogando
personalmente con ognuno di noi.
Eligio: E che io sistematicamente non capisco.
Luigi: E no, perché vedi, per capire il segno ci vuole lo
Spirito di Colui che lo fa. Cioè io capisco il segno nella misura in cui
capisco l’Autore del segno. Più sono in amicizia, in intimità con l’Autore del
segno, e più capisco il segno; ma più sono lontano dalla conoscenza dell’Autore
e meno anche ho la possibilità di capire i suoi segni. Arrivo al punto in cui
non vedo più l’Autore, vedo solo il segno e qui distruggo il segno. Nel
pensiero dell’io, distruggo il segno. Il nostro io diventa un distruttore. Nel
pensiero dell’io, non uniti al Pensiero di Dio, noi distruggiamo lo stesso
segno che vorremmo capire. Se tu vuoi capire, non toccare il segno; rispettalo,
cerca soltanto di intendere il senso, il significato, cioè l’orientamento che
il segno ti dà. Ad esempio se tu non capisci quel segno, il non capire ti crea
una situazione di umiltà, quindi il bisogno che uno ti illumini. Ecco, è quello
che Dio vuole. Bisogna che noi alziamo gli occhi al Maestro che ci illuminerà,
perché Lui è la conclusione di tutta la sua opera. Dio non opera, né per farci
lavorare, né per farci riposare: Dio opera in tutte le cose per rivelare Se
stesso a noi. Quindi è Lui la conclusione dell’opera, di tutta la legge, di
tutte le creature, di tutti i segni. Allora se noi guardiamo a Lui entriamo nel
settimo giorno, conclusione di tutta l’opera di Dio. Però c’è questo fatto, che
noi non possiamo guardare a Lui, ed è l’argomento di oggi, senza il Verbo di
Dio. Qui apparentemente si direbbe che siano due operatori perché: “Il Padre
mio opera ed anch’io opero”. Ma solo apparentemente; in realtà l’Operatore è
unico, perché il Padre e il Figlio formano una cosa sola, un Essere solo.
Eppure il Figlio si giustifica dicendo: “Il Padre mio opera ed anch’io opero”.
L’opera che fa il Figlio è proprio quell’opera del sabato, del settimo giorno,
in cui completa ciò che il Padre ha iniziato. Infatti Gesù stesso dice: “Io
sono venuto per compiere l’opera che il Padre ha iniziato”. Il Padre crea, dà
l’esistenza alle cose, ma senza giustificarle. Noi ci troviamo in questa
situazione. Il Verbo è quello che invece cerca la giustificazione di tutto nel
Padre. E noi, se non siamo col Verbo di Dio, cerchiamo una giustificazione
altrove, distruggendo le cose: annulliamo ciò che è fatto. Con il Verbo noi
cerchiamo la giustificazione nel Padre. Cioè il Verbo di Dio portandoci al
Padre ci porta alla conclusione dell’opera. Noi infatti vediamo che la
conclusione dell’opera del Cristo è la consegna al Padre attraverso la
preghiera sacerdotale, con cui consegna al Padre tutti coloro che sono stati
con Lui. Ecco la conclusione: la consegna al Padre. Ciò vuol dire che Lui viene
a prendere noi dalla nostra dispersione. L’importante è questo: che noi
restiamo con Lui, con il Verbo, perché è il Verbo che ci porta al Padre. È il
Verbo che parla a noi del Padre. Per questo dico: è lo stesso Essere. Non
abbiamo due esseri, perché il Verbo viene a noi soltanto parlandoci del Padre.
Quindi è sempre il Padre che opera. Però abbiamo l’opera del Verbo che è
distinta perché è l’opera di giustificare nel Padre.
Pinuccia: Che è la stessa opera del Padre?
Luigi: È lo stesso Essere, e sono due persone diverse.
Pinuccia: Ma il Verbo compie la stessa opera del Padre?
Luigi: È la stessa opera del Padre, perché la conclude.
Eligio: Ecco la risposta al problema che ponevo: noi da soli non
dobbiamo analizzare. Da soli non approfondiamo ma distruggiamo. Noi
approfondiamo solo se uniti al Verbo. Perché non potevamo dirlo domenica
scorsa?
Luigi: Domenica scorsa ci siamo fermati sulla prima parte: “Il
Padre mio opera fino a questo momento” e avevamo bisogno di giustificare i sei
giorni e il settimo giorno (tutta l’opera dei sei giorni che si conclude nel
settimo). Avevamo detto questo: che tutta l’opera dei sei giorni si conclude
con il desiderio del settimo giorno. Dio opera nei sei giorni ed opera quindi
senza di noi per suscitare in noi il desiderio di conoscere Lui, ed abbiamo qui
la vigilia del settimo giorno. Ora noi corriamo un rischio: possiamo arrivare
alla vigilia del settimo giorno soltanto col pensiero dell’io. E invece abbiamo
bisogno del Verbo di Dio che ci mantenga uniti al Padre. Abbiamo detto che
tutte le opere di Dio arrivano a noi attraverso questi sei giorni, quindi noi
al sesto giorno prendiamo coscienza: è la creazione che comincia a prendere
coscienza di esserci; a questo punto siamo come Adamo ed Eva: ci possiamo
separare e dire: “Sono io”. Abbiamo questo rischio: di separarci da Dio e di
pensare soltanto a noi stessi e al bene della cosa o alla curiosità di essa;
per cui ci lasciamo portare via soltanto dal segno, dalla curiosità del segno o
dalla utilità che esso mi dà. Vedi che è metterlo solo in rapporto all’io?
Mettendolo in rapporto all’io in un modo o nell’altro, sia che guardi
all’aspetto utilitario, sia all’aspetto dell’intelligenza, io distruggo il
segno. E distruggendo il segno, naturalmente distruggo il supporta sul quale mi
sostenevo: taglio il ramo su cui ero seduto e cado anch’io. Quel segno o quel
ramo era per sostenere me affinché io alzassi gli occhi a Dio. Invece
staccandomi da Dio, dal Verbo di Dio pensando solo a me, senza accorgermi, io
taglio il ramo dell’albero: cade il ramo e cado anch’io. Ecco l’importanza di
mantenerci sempre uniti al Verbo di Dio, poiché noi ci troviamo di fronte alle
opere di Dio. Dobbiamo mantenerci uniti al Cristo, perché il Cristo ci parla
del Padre. “Io sono venuto a raccogliere e a portare a compimento l’opera che
il Padre ha iniziato”. Quindi il Padre inizia l’opera. Quest’opera però non si
conclude senza di noi; ma proprio perché non si conclude senza di noi, reca a
noi il rischio di separarci da Dio.
Eligio: Il Padre inizia l’opera è l’equivalente che la verità si
annuncia in superficie?
Luigi: Sì.
Eligio: Dio dialoga con noi coi fatti, con la creazione,
annunciandoci in superficie la sua presenza; per l’approfondimento dobbiamo
incontrare il Cristo.
Luigi: Sì, è il Cristo che ci porta a conoscere il Padre; non
possiamo conoscere il Padre senza il Figlio. Quanto più noi conosciamo il
Padre, tanto più nel Padre noi abbiamo la chiave per capire i segni. Magari un
avvenimento che al nostro io interessava conoscere, il Padre ce lo riserva come
conoscenza all’ultimo, mentre incomincia a farsi conoscere tante altre cose,
perché lavora sul nostro io per mantenerci uniti. Egli soddisfa meno quello che
interessa il nostro io; per cui mentre noi avremmo tanto desiderio di conoscere
certe cose, quelle il Signore ce le chiude e invece ce ne fa conoscere tante
altre; questo sempre per farci capire che è Lui il Padre di noi e non siamo noi
quelli che stabiliscono i tempi, perché noi corriamo anche il rischio di
strumentalizzare Dio per la nostra soddisfazione. No, invece noi dobbiamo
imparare a vivere in tutto come figli del Padre. E quindi l’iniziativa è sempre
del Padre in noi.
Nino: Tu dici rimanendo uniti al Verbo.
Luigi: Al Verbo che parla a noi del Padre, perché il Padre
parla a noi in tutto.
Nino: L’unione col Verbo si fa attraverso la sua parola: “Se
resterete nelle mie parole, conoscerete la verità”.
Luigi: Sì, nelle “mie parole”: la caratteristiche è in quelle
“mie”. Implica la Persona.
Nino: Quindi la nostra opera di approfondimento di ogni
avvenimento, di ogni cosa, va fatto alla luce di queste sue parole.
Luigi: La luce che illumina è una luce che discende dall’alto,
non è una luce che sale dal basso. Cosa vuol dire discendere dall’alto? Ora
quanto più in noi si forma la conoscenza di Dio, l’amicizia con Cristo, tanto
più questa luce discende anche sopra gli avvenimenti a poco per volta e ce li
illumina, ma non ci deve essere la pretesa da parte nostra di anticipare
l’avvenimento nei riguardi di Dio, pur correndo tale rischio.
Eligio: E meno ancora di partire dai segni per cercare di capire
cosa Dio vuol dirci.
Luigi: Perché lì distruggiamo il segno: perdiamo il segno e
perdiamo Dio.
Eligio: Domenica scorsa è stato detto letteralmente così: noi
dobbiamo approfondire quanto Dio in superficie ci annuncia perché lì noi non
cogliamo la verità, ma soltanto attraverso l’opera di approfondimento la
possiamo trovare. Quindi di fronte ad un avvenimento oscuro, da dove parto per
capire la volontà del Signore? Sono fermo e non capisco niente.
Pinuccia: Tanto più quando i dati sono contrastanti per cui le
cause possono essere diverse.
Luigi: Ma questo non interessa. Interessa invece proprio il
fatto che Dio ci mette di fronte ad un muro, ad un fatto che noi non possiamo
analizzare e non possiamo giudicare. Ci mette cioè di fronte ad una situazione
di povertà: “Signore, chissà che cosa mi vuoi dire”. Basta questo, perché
mentre dico: “Signore, chissà che cosa mi vuoi dire”, alzo gli occhi al Signore
e compio la sua opera. E il Signore mi dice: “Ma era proprio questo che io
volevo dirti: volevo metterti di fronte ad una cosa che tu umanamente non puoi
capire minimamente affinché tu alzassi gli occhi a me: “Qui è tutto fatto”.
Eligio: Ci sono segni molto sconcertanti, come per esempio
quello del filosofo Ardigò.
Angelo: Sono tanti gli avvenimenti che sconcertano.
Luigi: Si capisce.
Eligio: Sono segni che in superficie mi annunciano una certa
verità; l’approfondimento, certo, se parto dal segno, non ne capisco nulla.
Pinuccia: Tanto più quando i segni offrono dei dati contrastanti.
Luigi: Appunto perché il problema nostro non è capire i segni,
ma è capire il senso dei segni, l’orientamento che essi danno a noi.
Nino: E capire attraverso i segni la volontà sua.
Luigi: La volontà di Dio è Dio stesso.
Eligio: Ma qui si voleva approfondire che cosa intendiamo per
approfondire.
Luigi: Dio è la profondità; non lo vediamo e naturalmente non
lo vedremo mai, perché richiede il superamento di tutto ciò che vediamo; si
annuncia in superficialità, cioè nella situazione in cui ci troviamo: io mi
trovo in America, Dio mi manda i suoi segnali in America; mi manda il segnale
dove sono io e mi chiama ad andare dove Lui è. Il suo segno non è Lui, è un
segno suo, cioè il suo segno avviene nel pensiero del mio io: io sono chiuso,
fossilizzato nel pensiero di me stesso, e Lui si annuncia anche nel mio
pensiero. Io sono nel peccato? Lui si annuncia anche nel mio peccato. Dio ha la
possibilità di penetrare tutto Dio noi, perché è superiore anche al nostro
peccato. Quindi Lui si annuncia dappertutto: “Se io scappassi anche nel seno
della terra, Signore, tu là ci sei”. Ecco, Lui è dappertutto, si fa sentire
ovunque. Però non si fa vedere; il che vuol dire che Lui manda a noi i rumori,
diciamo così, ma non vediamo l’oggetto. Ora proprio quel rumore,
quell’annuncio, quel segno che Lui mi dà, quella pietra che Lui mi lancia, me
la lancia perché io abbia a chiedermi: “Chi è che mi ha buttato la pietra?”.
Noi invece nel pensiero dell’io corriamo dietro la pietra, incominciamo ad
osservare la pietra. No, guarda Chi ti ha gettato la pietra: l’importante è
questo. Direi che tutte le cose che avvengono sono delle pietre che Dio ci
lancia affinché abbiamo ad alzare gli occhi a Lui. Noi siamo lontani da Lui,
dal pensare Lui, allora Lui continuamente ci richiama a Sé. E guardando a Lui,
Lui ha qualcosa da dirci, non della pietra ma di Sé: la pietra ormai ha
concluso la sua missione, capisci che guardando a Lui il significato della
pietra è soddisfatto? Compiuto?
Eligio: Sì, è come se uno arrivando ad una casa si fermasse al
campanello.
Luigi: Succede questo: guardando Lui, la Verità, l’Amore, la
vita che trovo mi fanno capire l’amore che ha avuto nel mandarmi quella pietra,
mi fa capire cioè il significato di quella pietra, ma dopo che ho trovato Lui.
Cioè più noi entriamo nell’intimità con Lui e più allora capiamo anche tutte le
opere sue e la profondità che c’è nei suoi segni. Prima il segno è arrivato a
noi soltanto per smuoverci; dopo invece intenderemo anche ciò che di Lui c’è
nel segno.
Angelo: Quante volte le cose si intendono dopo!
Luigi: Si intendono dopo appunto per dirci che l’intelligenza
non è opera nostra, Lui è la nostra intelligenza.
Nino: Dobbiamo anche essere pazienti.
Luigi: Ma quando si dice pazienti, non è mica che il Signore
dica: “Voglio che tu sia paziente”, per cui se mi arriva una mosca me la debbo
tenere sul naso per dimostrare la pazienza. Dio non opera per farci diventare
pazienti. No, la pazienza è soltanto determinata dal fatto che dobbiamo aspettare
tutte le cose da Dio, perché dobbiamo dipendere da Dio. Il problema non è né di
sudare e né di riposare. Il problema è quello di imparare a convivere con Lui,
perché vita eterna è convivenza con Lui. Ma convivere con Lui vuol dire
rispettare Lui come Iniziatore di tutto, per cui nella vita eterna faremo una
cosa sola con il Verbo, il quale Verbo accetta sempre l’iniziativa del Padre e
conclude nel Padre, riporta al Padre. Cioè il Figlio è Colui che in tutto
riconosce il Padre e riferisce tutto al Padre, ma dipende sempre in tutto dal
Padre. Attualmente non siamo figli, ma siamo chiamati a diventare figli e
quindi a fare l’opera del Figlio. E qual è l’opera del Figlio? Il Figlio non
può fare niente se non lo vede fare dal Padre; ma come lo vede fare dal Padre,
lo riporta al Padre, lo riporta al Padre, perché lo attribuisce al Padre, per
cui forma una cosa sola col Padre. Ecco perché non abbiamo due principi
operatori, ma un Principio solo; però abbiamo due persone, perché riportando al
Padre nasce dal Padre e quindi si distingue dal Padre.
Eligio: Come concludere in Dio le proposte che Dio ci fa in
superficie? Come cioè realizzare la situazione di figli?
Luigi: Il Figlio è un Essere che ha l’intelligenza del Padre, è
l’Essere che nasce dal Padre, ed è una situazione diversa dalla situazione
nostra. Noi nasciamo dall’abisso, dal nulla, per cui le cose arrivano a noi e
noi non capiamo niente.
Eligio: Però sappiamo che sono proposte, iniziazioni del Padre.
Luigi: Per questo noi riceviamo dalle cose il movimento verso
Dio; ma è un movimento cieco, perché noi non capiamo il segno in sé, capiamo
soltanto la pietra che ci viene lanciata e che ci fa alzare gli occhi a Dio.
Qui non sono nella situazione di Figlio.
Eligio: Sono chiamato a diventare figlio.
Luigi: Si.
Eligio: Cioè la pietra devo riportarla al Padre.
Luigi: No, devo riportare me stesso, non la pietra (non devo
fare come il cane che va a prendere la pietra e la riporta al padrone). La
pietra la lascio andare, devo trascendere il segno.
Eligio: Ma con me stesso porta la pietra. Io naturalmente devo
partire dal segno, non potrei partire da me stesso, non porterei me stesso al
Padre. Senza questi segni che costituiscono la pedagogia di Dio, non potrei
dialogare con Dio.
Luigi: Si, certo, ci mettono in movimento verso Dio. Ma Dio ci
mette in movimento verso di Sé, affinché noi in Lui nasciamo da Lui: è qui che
abbiamo la situazione del figlio. Abbiamo una nascita nuova. Noi, mantenendoci
uniti al Figlio che discende a noi, che parla a noi del Padre e ci conduce al
Padre, non siamo ancora figli, fintanto che non nasciamo dal Padre come Lui
nasce. Qui abbiamo la nascita nuova, abbiamo un io nuovo. Prima l’io che riceve
la sassata, è l’io che nasce dalla notte, che nasce dalle tenebre, che nasce
dall’abisso: è quell’io vecchio che può staccarsi da Dio e può distruggere
anche i segni. Se invece raccoglie il segno di Dio, cioè resta nel Verbo di Dio
che lo porta al Padre, allora dal Padre nasce un io dall’Alto, un io dal Padre.
Qui abbiamo un io che si conosce, un io illuminato.
Angelo: Questo sarebbe vedere fare tutto dal Padre, cioè questa
conoscenza?
Luigi: Si, ma prima di vedere far tutto dal Padre, abbiamo l’io
nostro che nasce dal Padre cioè ci conosciamo come figli del Padre. Ma questo
presuppone già l’essere andati al Padre con Cristo. Cioè è per mezzo di Cristo
che noi nasciamo e entriamo nel regno di Dio in tutto.
Eligio: E in questo secondo tempo, che funzione hanno i segni?
Luigi: Qui cominciamo ad essere illuminati. Hanno la funzione
di dialogo: Dio che dialoga con noi. Abbiamo in noi stessi la luce, Prima avevo
una parola straniera, ora mi trovo tra parole amiche, dello stesso paese della
nostra anima. Faccio l’esempio di una lingua straniera: prima mi trovo con una persona straniera che parla a me, però in
quanto mi attrae ed io incomincio a guardare lui; guardando lui, nasco da lui
con la sua lingua: nascendo così con la sua lingua, ora che parla, non parla
più come straniero a me, ma parla come amico; sono della stessa sua casa, sono
della stessa sua patria. Per cui il Padre parlando mi illumina i segni che fa,
allora c’è la gioia, lo Spirito Santo, la gioia della partecipazione, perché
Dio parlando rivela a noi i suoi disegni, diventa tutto chiaro, cioè ci rende
partecipi, e allora la sua parola diventa un’unione sempre più intima, vita
eterna: qui siamo nella vita eterna. È comunione con Dio.
Pinuccia: Noi dobbiamo stare uniti al Verbo per giungere al Padre
senza sapere che Lui è il Verbo?
Luigi: Senza saperlo, non lo possiamo: “Mi conoscerete allora,
nel Padre. Finora non potete capire chi io sono”. È dal Padre che viene a noi
la luce sul Figlio. “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”, lo dice anche
a noi e per noi. Quindi vuol dire che anche noi non possiamo conoscere Lui.
Però se abbiamo interesse per Dio, ecco il problema, se abbiamo amore per Dio,
se siamo attratti dal Padre, questa attrazione del Padre ci mantiene uniti a
Lui, perché nessuno ci parla come Lui di quello che sta a cuore a noi. A me sta
a cuore Dio? Sono attratto da Dio? Mi unisco con Colui che mi parla di Dio! Non
mi unisco con colui che mi parla di cose vane, non so cosa farmene. Non so
ancora chi sia Cristo; so però che mi parla di ciò che mi interessa. È questo
il fatto.
Nino: Cioè so che è Lui per via di fede.
Luigi: Beh, a posteriori lo so così; però anche la via di fede
non è quella conoscenza che noi avremo nel Padre. La conoscenza che avremo nel
Padre è una cosa molto diversa.
Nino: Se noi oggi siamo qui è perché già siamo convinti per
fede che Lui è via, verità e vita.
Luigi: Certo, se no saresti altrove.
Pinuccia: All’inizio hai detto che Dio non opera per farsi
conoscere…
Luigi: Dio opera per farsi conoscere. Dio non opera per farci
lavorare, né per farci riposare; Dio opera per farsi conoscere.
Domenica scorsa si è detto che ogni cosa non capita deve
diventare in noi notte che invoca l’alba: l’alba del settimo giorno, la
conoscenza di Dio. È proprio l’attesa dell’alba che ce la fa incontrare. Quindi
tutti i sei giorni arrivano a noi per metterci in questa notte che attende,
desidera l’alba. Ora, come la nostra anima desidera l’alba è arrivato al
compimento dei sei giorni. Cioè i segni sono compiuti in questo desiderio
dell’alba, desiderio del giorno di Dio. È la fame, ma la fame si forma proprio
attraverso questo portare con noi tante cose che non capiamo. Ecco, le cose che
non capiamo ci portano nella fame. Ma la fame è poi la condizione per gustare
il pane. Quindi Dio opera attraverso i sei giorni della creazione, questa
creazione che continua anche adesso (“Il Padre mio opera anche adesso”), quindi
i sei giorni sono in ogni cosa: opera per formare in noi la fame che è la
condizione per poter gustare il pane; e noi gustando il pane, nutrendoci di
esso, cominciamo a vivere.
Eligio: Però si è anche detto che la parola non capita viene
dall’io dispersa e distrutta.
Luigi: Certamente. Le cose di Dio vanno giudicate nel desiderio
che infondono in noi. Non capita s’intende non desiderata capire, sia nel senso
che la parola è trascurata, disprezzata, sia nel senso che ci trova occupati in
altro e quindi con la mente e il cuore non disponibili. Se non tengo conto di
Dio che parla con me, mi sento ricco, perché non c’è il problema di capire; ma
se tengo conto di Dio, capisco la mia povertà, il mio niente.
Eligio: Ma io so di essere povero, so di non capire, ma questo
non risolve il problema.
Luigi: No, uno è povero in quanto sente il bisogno.
Eligio: Il bisogno di approfondire e di incontrare qualcuno che
lo illumini.
Luigi: Lettura dell’ultima parte della conversazione di domenica
scorsa: “Dio riserva a Sé la formazione dell’uomo: “Io stesso verrò …”. Il
futuro indica quello che tu capirai domani, ma Io già opero con te questo.
Quindi se dice: “Io stesso verrò”, è perché Lui è con me . “Se Dio opera ancora
ora, tutto dobbiamo accogliere da Lui”, ma questo non basta; dobbiamo capire il
significato, orientandoci al settimo giorno, perché se ci fermiamo al sesto
giorno, rimaniamo preda delle stesse opere di Dio. Ecco, l’opera non compiuta
non può essere trattenuta; ecco, qui abbiamo la perdita, la parola è
riassorbita. È l’azione di rigetto; il corpo diventa estraneo. Tutta l’opera di
Dio era per muoverci verso la sua conoscenza, ma se noi non ci muoviamo in
questo senso, diventiamo estranei a tutto l’universo, e l’universo ci rigetta:
abbiamo il processo di disgregazione, di aborto: “Dio è il Principio
unificatore”: se manca a noi questo principio, per quanto noi ci affatichiamo,
non riusciamo ad unificare niente. Ecco allora la necessità di: “Cerca prima di
tutto Dio”, quindi: “Supera sempre tutti i tuoi problemi, anche quelli che non
sono risolti, supera tutto e guarda Dio; in Dio troverai la soluzione del
problema. “Tutto il resto ti sarà dato in soprappiù”.
Eligio: Ero partito dalla tua esortazione sulla necessità di
approfondire, non tanto di porre dei problemi e non tanto per capire il segno
in sé, ma per sapere come collegarmi a Dio attraverso il segno.
Luigi: Sì, ma ti collega in quanto il segno ti mette in
movimento verso Dio. “È Dio che quanto più è conosciuto da noi tanto più ci
unisce e ci fa una cosa sola”; ecco, anche se noi non volessimo volerci bene,
in Dio non possiamo farlo, perché Dio ci unisce, invece senza Dio, per quanto
diciamo: “Vogliamoci bene!”, cinque minuti dopo siamo lì che litighiamo, non
possiamo farne a meno!
Eligio: Dio è il principio dell’armonia e chi è unito a Lui è
nella gioia perché è nell’armonia. Come mai allora Gesù ha portato molta
sofferenza e tristezza nella sua vita?
Luigi: Ha preso su di Sé i nostri peccati.
Eligio: Ma Lui in Dio poteva anche vedere l’esito buono delle
sue sofferenze, eppure era triste.
Luigi: Non è detto. Non è automatico. Il Cristo è morto, ma noi
non siamo salvati: morendo ci ha dato la possibilità della salvezza.
Eligio: Ma perché Gesù pur avendo una visione universale del
male morale che c’è nel mondo, pur sapendo che questo male avrebbe avuto in Dio
un esito buono, era triste? Eppure sapeva che il Padre avrebbe utilizzato tutto
per un fine buono.
Luigi: Si, Lui vedeva il fine buono, ma l’esito non è
automatico.
Nino: Gesù ci vede nel rischio.
Luigi: Certo, ci vede nel rischio, perché l’esito non è
automatico.
Eligio: Ma allora chi è in armonia con Dio e quindi con tutto,
non può avere un sentimento di gioia, dato che Gesù non l’ha avuto.
Nino: Gesù è una persona particolare.
Luigi: Gesù è venuto a raccogliere quello che si disperdeva.
Però ha visto anche la possibilità del rifiuto, perché Lui ha preso si di Sé il
nostro peccato. Non è stato per Lui una gioia il morire sulla croce. La
condizione per offrirci questa salvezza è stata quella di mettersi nelle nostre
mani, perché quando uno ama, si mette nelle mani dell’altro. Abbiamo fatto
l’esempio di un regalo fatto ad una persona rozza: quanto più il regalo è nobile,
tanto più corre il rischio, messo tra le mani di una persona rozza, di essere
disprezzato, calpestato, distrutto. Ora non è che Dio abbia fatto un regalo
extra: Dio ha donato Sé stesso nelle mani dell’uomo, e quindi ha subito tutte
le conseguenze di questo dono. Dio creando l’uomo si è messo nelle mani
dell’uomo e l’uomo l’ha trascurato. E trascurare, non tener conto, vuol dire
uccidere. Ora, “Non è per gioco che Io vi ho amati”, non è stato un gioco, non
è stato un divertimento: si è veramente dato! Noi non ci rendiamo
sufficientemente conto che effettivamente portiamo il di Dio in noi: Dio si è
veramente donato a noi! E questa è la condizione assolutamente necessaria per
aprirci alla vita eterna! Ma non automaticamente arriviamo alla vita eterna!
Eligio: Ma chi è unito a Dio, che è in armonia con Dio, prova un
sentimento di gioia, no?
Luigi: La gioia è armonia.
Eligio: Mi ha stupito molto allora questa espressione: “Gesù non
ha mai riso”. E allora noi?
Luigi: Ma noi non siamo capaci di portare il carico di Gesù.
Pinuccia: Però la gioia è un dono di Dio.
Luigi: Sì, anche il dolore è dono di Dio. Anche Gesù ha avuto
della gioia, perché esultò di gioia: “Padre ti ringrazio …”. Altre volte disse:
“Non ho mai trovato tanta fede in Israele …”, quindi ha avuto qualche
soddisfazione.
Nino: Ha avuto l’amicizia …
Luigi: Certo, Lui ha ringraziato anche i suoi discepoli
all’ultimo per essere stati con Lui nella prova, quindi ha avuto conforto, però
nello stesso tempo ha avuto momenti di grande tristezza. Certo, non ha riso
mai, non ha mai raccontato barzellette, per esempio. Lui portò una missione
molto grave. E noi non abbiamo certamente il suo spirito, la sua intelligenza,
la sua grandezza e l’amplitudine della sua mente. Noi siamo molto difettosi,
per cui di fronte ad una inezia (magari vicino abbiamo un abisso, ma vediamo
solo quella), ridiamo e scherziamo, facciamo dell’umorismo e non ci accorgiamo
di quello che ci sta attorno. Ma Lui no!
Eligio: Però dobbiamo riferirci a Lui.
Luigi: Certo, è logico.
Eligio: Ma come mai noi che siamo creature imperfette proviamo
un senso di gioia, mentre Lui prova un senso di pena?
Luigi: Facciamo l’esempio: stiamo scivolando sulla neve in
montagna e ridiamo contenti. Dio che vede dall’alto dice: “Che disgraziati,
stanno scivolando verso la morte e dicono che è bello scivolare giù!”. Lui vede
il precipizio verso cui stiamo andando, mentre noi non lo vediamo. È una gioia
di superficialità.
Eligio: Ma San Paolo parla di gioia vera.
Angelo: Lo Spirito è gioia.
Luigi: Lo Spirito Consolatore, lo Spirito di Verità. Gesù dice:
“Quando verrà lo Spirito di Verità vi darà una gioia che nessuno più vi potrà
togliere”; questa è la gioia dello Spirito Santo, ma quando si è nello Spirito
Santo siamo nella salvezza. Qui con Cristo siamo in un processo di tragedia.
Nino: Gesù dice che il suo giogo è leggero, però Cristo aveva
altri problemi dai nostri.
Pinuccia: Però quando dice: “Affinché la mia gioia sia in voi”,
parla della sua gioia: dice chiaramente che Lui ha la gioia.
Luigi: Sì, certo, la gioia del Padre. Ma la gioia come Persona,
Figlio del Padre, si capisce, ma in quanto Lui ama noi, quindi si incarna per
noi, prende su di Sé noi e qui abbiamo la croce. Noi siamo una croce per Lui:
siamo molto più croce che gioia. Si, si capisce, il giorno in cui arriviamo a
Pentecoste, allora entriamo in un'altra fase, di gioia: abbiamo superato il
periodo critico. Perché fintanto che noi siamo dispersi da tutte le cose,
distratti da tutte le cose …
Pinuccia: Siamo causa di croce per Lui.
Luigi: “Fino a quando vi sopporterò?” dice Gesù. E lo dice ai
suoi apostoli, non lo dice ai nemici. “Fino a quando vi sopporterò? Siete anche
voi senza intelligenza, non capite niente?”. E Lui con pazienza sempre lì a
spiegare con parabole, e loro a fargli la questione: chi è il primo? Chi è il
secondo? Ci manca il pane! Come faremo qui? Come faremo là? Insomma: “Fino a
quando vi sopporterò?”. Era un motivo di tristezza perché la tristezza non si
riceve dai nemici; la vera tristezza si riceve dagli amici, cioè dalle persone
da cui uno si aspetta molto di più, perché in esse ha confidato di più: “Io vi
ho chiamato amici perché vi ho fatto conoscere tutto ciò che ho ricevuto dal
Padre mio”. E sono amici che nel momento critico scappano, tutti se ne vanno.
Arriva che il primo di tutti addirittura arriva a dire: “Io non l’ho mai
conosciuto! Non so nemmeno chi sia!”. Ti rendi conto di cosa vuol dire questo?
Non è gioia prevedere tutto questo! Ora Lui ha preso su di Sé tutto questo,
perché quando risuscita, dice: “La pace sia con voi!”. E a chi lo dice? Proprio
a quello che due giorni prima aveva detto: “Io non conosco quell’uomo!”. Eppure
Gesù ritorna e come fa a dire: “La pace sia con voi?”. Ma perché è morto per
noi e in quanto è morto, ora ritorna e può dare la pace. Solo Lui può darla.
Però la sofferenza c’è stata. Indubbiamente come Figlio di Dio non è morto. Lui
è morto in quanto si è fatto figlio dell’uomo, cioè si è messo nelle mani
dell’uomo. E l’uomo l’ha ucciso. E questo non è gioia. Ora teniamo presente che
Cristo è rivelatore di quello che avviene nella nostra anima con Dio. Cosa vuol
dire: Cristo si è dato, si è fatto figlio dell’uomo? Vuol dire che Cristo si
mette nelle nostre mani. Dandoci la vita, dandoci l’esistenza, dandoci la
possibilità di pensarlo, Dio stesso si mette nelle nostre mani. E noi lo
trascuriamo, lo uccidiamo. Cristo ci rivela questo mistero. Ha rivelato una
volta per tutte quello che avviene nella vita di ognuno di noi. Siamo miliardi?
Siamo miliardi che compiono tutto questo. Eppure è necessaria questa morte,
perché proprio attraverso questa morte la creatura si apre alla conoscenza di
Dio.
Eligio: Nell’unione con Dio penso se è possibile accogliere con
gioia un fatto drammatico. Sant’Ignazio di Antiochia è andato incontro ai leoni
con gioia.
Luigi: A volte noi pensiamo che il grande dolore sia quello
fisico. Anche Sant’Ignazio di Antiochia se avesse visto un’anima dannarsi non
l’avrebbe accolto con gioia, ma avrebbe provato sofferenza, molta, molto di più
che l’essere sbranato dai leoni. Perché ad un certo livello, il fisico conta
pochissimo. Anche Cristo ha sofferto molto di più nel Getzemani, e fu tutto un
dolore morale!
Angelo: A me è rimasto come pensiero l’importanza della
conoscenza di Dio, di questo suo amore.
Luigi: Ma è necessario il superamento di tutti i segni; ci vuol
sempre questa trascendenza. Quindi non fermarci nemmeno ad analizzare i segni:
non è questo il problema. È necessario prendere contatto con Dio.
Angelo: Quindi non deve tanto importare di arrivare a conoscere
il significato dei segni, quanto quello di pensare subito al Signore.
Luigi: Certo, perché nell’analisi del segno è il nostro io che
si afferma. È il nostro io che diventando assoluto vuole assorbire tutto,
perché il nostro io, come si stacca da Dio, prende subito il posto di Dio,
diventa un assoluto, e allora non può sopportare il mistero e deve analizzare. Di lì viene la necessità
di fermarsi al segno e di analizzare e non si accorge che lo distrugge. Invece
con Dio noi possiamo sopportare: con Dio sopportiamo il mistero e lo superiamo.
Silvana: Quindi riferiamo a Dio e abbiamo il pensiero a Dio, e
poi?
Luigi: In Dio la preoccupazione diventa conoscere Lui per
scoprire la sua Presenza.
Silvana: In quei segni?
Luigi: Bisogna dimenticare il segno. Il segno è servito
soltanto per lanciarci. L’esempio della pietra mi sembra che aiuti. Il segno è
la pietra lanciata. Dio ci lancia la pietra affinché guardiamo a Lui, perché ci
eravamo dimenticati di Lui. Lui ha cose nuove da dire a noi; non vuole
spiegarci la pietra che ci ha lanciato, ma qualcosa di Sé.
Silvana: Siccome le cose hanno due aspetti, l’aspetto eterno
allora lo si scoprirà nella vita eterna.
Luigi: Si, più noi siamo in amicizia con Dio, più noi abbiamo
la possibilità di vedere ciò che di Sé Dio ci significa in tutto. Chi dà a noi
la possibilità di vedere l’aspetto eterno di tutte le sue opere è Dio stesso.
Senza Dio noi vediamo soltanto l’aspetto orizzontale tra il nostro io e la
cosa. Più invece conosciamo Dio e più abbiamo la capacità di vedere. Ecco
perché Gesù dice: “Cercate prima di tutto Dio”. Ecco, c’è un panorama
bellissimo: non fermarti, cerca prima di tutto Dio. È Dio che lo sta facendo! È
Dio che ti sta parlando in questo momento davanti ai tuoi occhi; è una pietra
che ti lancia perché tu alzi gli occhi a Lui. Lui ha qualcosa più importante
dell’erba o del panorama che è già tanto bello. Più noi conosciamo Lui e più
intendiamo che cosa di Sé Lui ci significa attraverso queste cose. Ma è
l’amicizia con Lui, soprattutto la scoperta della sua Presenza in noi, perché
Lui è in noi che parla e crea le cose, che ci dà la possibilità di leggere le
sue opere e di intenderle.
Silvana: Supponiamo che io riesca a farlo …
Luigi: Non è che tu ci riesca. È Lui che può riuscire in te.
Nino: Io penso che la conoscenza dei segni sia progressiva e
nella misura in cui chiediamo la luce, Lui non si nega mai e qualcosa ce lo fa
capire subito.
Luigi: Si, può anche darsi … Ma non è sufficiente dire: “Devo
chiedere la luce su questo …”. Lui ha qualcosa di più importante da comunicarci
che non l’avvenimento in sé e il perché di esso. Certo, può chiarirlo, ma
l’essenziale è al di sopra del segno.
Nino: Quando chiediamo luce, avendoci già elevati al suo
Pensiero, a me sembra che ci dica immediatamente qualcosa che poi col tempo si
chiarifica sempre di più.
Eligio: Se il denominatore comune di ogni fatto è quello di
riportarci a Lui, per quale ragione Dio mi manda tanti segni diversi?
Luigi: Perché noi continuamente ci separiamo da Dio. Se Lui
ripetesse soltanto lo stesso segno, lo stesso segno ripetuto non farebbe più
presa, non sarebbe più valido in noi. Per questo ci manda segni diversi. È la
molteplicità della creazione che sotto un certo aspetto denuncia la
molteplicità delle nostre distrazioni da Lui. Ogni nostra distrazione chiede a
Dio un segno nuovo, perché il segno nuovo ci riporta a Dio, il segno vecchio
non ci riporta più. Se Lui fosse monotono, nella monotonia noi diremmo: “Questo
è già una storia vecchia”, non vi faremmo più caso. Non premerebbe più su di
noi. Invece Lui ci sorprende. I fatti sono dono di Dio. Lui arriva fino al dono
totale di Sé. Come Lui ha donato Se stesso, il tempo è finito. Non abbiamo un
tempo infinito. Dio arriva a donare tutto Se stesso. Incomincia con segni
elementari per arrivare a donare il suo stesso Pensiero. Ma sono sempre fatti
nuovi che ci sorprendono, gravi o meno gravi. Quante volte noi abbiamo bisogno
di essere shockati proprio da cose grandi, come un terremoto. E perché? Proprio
perché noi siamo tanto lontani, abbiamo bisogno di essere sollecitati con prove
dolorose: tanti nostri fratelli che devono morire per risvegliare la nostra
anima, perché la nostra anima è diventata molto ottusa, molto dura, e allora ha
bisogno di avere dei richiami molto forti. Ad esempio l’uomo che è abituato a
vivere per mangiare, a un certo momento non c’è più nessun cibo che lo attragga
e ha bisogno di caricare il sapore con delle droghe sempre maggiori fino a che
a un certo momento si distrugge, si avvelena. E così lo stesso. Noi abbiamo
bisogno di essere caricati, perché ci induriamo molto nelle nostre distrazioni
da Dio. Ogni allontanamento da Dio aumenta lo spessore e ci separa e questo
spessore richiede da Dio un’opera imponente per richiamarci.
Eligio: Si, però è anche vero che Dio la stessa opera la fa
anche per chi è già unito a Lui.
Luigi: Ma lì è un’altra cosa: lì abbiamo il dialogo, dialogo
intelligente, dialogo illuminato, attraverso cui la creatura non è più shockata,
non è più presa a sassate; cioè abbiamo Dio che parla affabilmente con la
creatura, facendo vedere le opere sue, l’amore che Lui ha in tutto. Ad esempio
questi argomenti che stiamo trattando: se li trattiamo ponendoci il Pensiero di
Dio, questo ci illumina le sue parole. Sarebbe una cosa diversa considerarli
senza il Pensiero di Dio. Col Pensiero di Dio si crea dell’armonia tra la
nostra anima e Dio. D’altronde perché sentiamo il bisogno di queste cose di
Dio, tenendo presente Dio perché ci accorgiamo che si crea dell’armonia e
quindi della gioia, della pace tra noi e Lui; scopriamo qualcosa di più intimo
di Lui, scopriamo l’amore suo. E perché abbiamo bisogno di scoprire l’amore
suo? Perché più noi scopriamo l’amore suo e la sua Provvidenza e più ci fidiamo.
E più ci fidiamo e meno facciamo conto su altre cose e quindi meno ci lasciamo
portare dalla paura, dalle dispersioni. Quindi la tanta conoscenza di Lui ci
porta a far conto su di Lui. Ma più io faccio conto su di Lui, e più sono
libero da tutte le altre cose. È la grande liberazione! È Lui il Liberatore! Ma
è il Liberatore nella misura in cui si fa conoscere da noi.
Silvana: Prima mi chiedevo: Non c’è mai la possibilità di
riportare tutto a Dio, perché riportando tutto a Dio così, non si sarebbe mai presenti
a quello che Dio ci propone continuamente.
Luigi: Si, ci fermiamo …
Silvana: Perché Dio ci propone continuamente molte cose e non si
può essere presenti a tutte. Pensavo ad esempio sul lavoro: addirittura non
potrei nemmeno più farlo.
Luigi: Certo.
Silvana: Però penso che la risposta sia questa: che se fossi già
a quel livello, Dio mi metterebbe in un ambiente diverso.
Luigi: Si, però dovrebbe anche darsi che Dio chiami …
Eligio: Eppure mi trovassi anche in una somma grossa di fatti,
se io fossi rivolto al Signore, perché non potrei riferire tutto a Lui?
Luigi: Si, ma bisognerebbe avere un’intelligenza molto grande,
perché indubbiamente nella molta amicizia con Dio, nulla può farti perdere
l’unione con Lui; anzi Dio ti illumina il significato di ogni cosa che stai
facendo, per cui quasi gioisci con Dio che ti sta parlando attraverso queste
cose. Questo deriva dalla tanta conoscenza e dalla tanta amicizia con Dio.
Perché Dio comprende tutto. Non c’è niente che ci distacchi, che ci separi da
Dio; però ci sono tante cose che quando uno ha trovato Dio non le fa più. Ad
esempio tante vanità che noi sottolineiamo, che noi descriviamo, che noi
accontentiamo, naturalmente con Dio non si fanno più e diventa liberatorio
anche in questo senso: che non ti concede più di fare certe cose e ti rende
invece molto disponibile per altre cose. Si arriva al punto in cui non racconti
neppure una barzelletta, perché Dio ti occupa a tempo pieno in altro campo che
molto più valido, molto più importante, molto più comunicativo delle
barzellette stesse.
Pinuccia: Allora la risposta che ha dato Silvana alla domanda che
si poneva è giusta?
Luigi: No, lei dice: “Dio mi libera”. Può anche darsi che Dio
presentandole certi problemi la inviti ad un certo distacco, a un certo
superamento. Non è detto: “Dio mi fa cambiare”. Certo, è Lui che fa cambiare,
però Lui fa anche delle proposte di cambiamento.
Pinuccia: Mettendo un desiderio, per esempio.
Luigi: Mettendo un desiderio o mettendoci magari nella
possibilità di cambiare; però c’è sempre quel rischio lì, perché io posso
vedere la possibilità di un passaggio, in un lavoro per esempio, più
liberatorio e con l’animo più disponibile a Dio, però posso anche vederlo nel
pensiero dell’io e quindi di vedere quello che sto perdendo, perché magari mi
pagano di meno, o perché la mia vanità è soddisfatta meno e lì resta il gioco
tra l’io e Dio; cioè c’è il rischio che Dio mi faccia la proposta e che io non
accetti il passaggio o che non veda il passaggio. E allora dico: “Dio non mi ha
liberato”. Invece Dio mi dirà: “Io ti avevo offerto la possibilità, però ti
avevo chiesta la partecipazione”. Vedi, Dio non opera sempre in modo
automatico. Dio opera sempre rispettando, quindi facendo proposte a noi. Quando
dice: “Non preoccuparti del mangiare o del vestire, ma cerca prima di tutto il
regno di Dio”, è una proposta che Lui ci fa, non la impone, ce la propone.
Nino: Noi dobbiamo pagare la prova d’amore di Dio, rinunciando
a qualcosa di noi stessi.
Luigi: Sì, Lui ci dà una certa somma di denaro, che noi dobbiamo
spendere per possedere il suo campo.
Nino: Ma il fatto è che noi abbiamo paura di rinunciare a noi
stessi e c’è addirittura gente che non legge il vangelo per non impegnarsi.
Luigi: Ma quando uno legge il vangelo, con facilità trova
giustificazioni per non impegnarsi in quell’unica cosa necessaria. Cristo
invece ci libera proprio continuamente richiamandoci a quest’unica cosa
necessaria. Ma cosa vuol dire quest’unica cosa necessaria se non un salto
mortale? Ecco, supera il segno! In quanto ci dice: “Una cosa sola è
necessaria”, dice: “Supera i segni!”. C’è il rischio del mangiare e del
vestire, del dormire. “Supera, supera! Ci penso Io! Occupati di Me!”. Perché ci
invita a questo? Ci invita a questo perché Lui è Uno che ci impegna molto,
perché ha tanti doni da dare di Sé a noi e che non li può dare se la nostra
anima non è disponibile. Non è che Lui voglia che non ci preoccupiamo del
mangiare o del vestire perché Lui vuole che noi ci riposiamo o lavoriamo
diversamente, non è quello! No! È perché Lui ha dei doni che esigono
disponibilità. Tutto quest’universo noi diciamo che è molto bello, ma è niente
in confronto ai doni che Dio ha da dare a noi per la rivelazione di Sé; però
questi doni, che sono i doni del settimo giorno, non li può dare senza la nostra
disponibilità. Bisogna quindi che la nostra anima si renda disponibile. Se uno
ha da parlare a me di cose molto importanti, ma io continuamente sono occupato
in questo e in quell’altro, lui quelle cose importanti non me le può dare.
Quindi Lui continuamente mi manderà tanti richiami: “Ma senti, vieni a
parlarmi, guarda che ho delle cose importantissime da dirti!”. Ecco, il giorno
in cui io morirò, scoprirò che quel tale aveva un tesoro enorme da darmi, che
mi avrebbe trasformato la vita, ma io non ho mai avuto tempo. I richiami Lui me
li ha mandati (siamo in superficie), ma io non mi sono reso disponibile per
quello, per cui i doni veri, non li ho mai avuti; ho sentito parlare tanto di
essi ma non li ho mai avuti, perché per ricevere quei doni bisogna che l’anima
sia disponibile. E soprattutto la mente deve essere disponibile. Si accennava
ora che Dio è un Essere Unico in tre Persone. Noi non ci rendiamo conto quale
importanza abbia questo, però quanta disponibilità di mente e di cuore ci deve
essere per poter accogliere certe verità! Altrimenti noi arriviamo a dire: “Che
differenza poi c’è che Dio sia Uno o in tre Persone?”. Eppure se Dio lo
annuncia è perché il suo dono, la conoscenza di questo, deve essere di
un’importanza enorme per la nostra vita, però magari richiede cinquant’anni di
deserto (nel senso di disponibilità di animo per quello), e io i cinquant’anni
di deserto magari non li farò mai! E il Signore ci chiederà: “Come mai io ti ho
mandato tanti richiami e tu?”. E noi risponderemo: “Ma io avevo bisogno di
mangiare, di lavorare, di fare bella figura davanti agli altri!”. E Lui: “Ma io
ti avevo detto che ci pensavo io a tutto!”. Allora questo vuol dire sfiducia:
facevo più conto su di me, sulle mie forze, sulle mie capacità che su Dio. Vedi
che in fondo c’è una mancanza di fede? Perché se noi fossimo sicuri di avere un
Padre che è potentissimo, che è ricchissimo e noi stessimo lì a faticare, a
lavorare e Lui ci dicesse: “Lascia stare, ci penso io a tutto, vieni solo ad
ascoltare quello che io ho da dirti!”, e se noi rispondessimo: “Ma se vado da
Te non mangio più!”, che offesa gli recheremmo! Abbiamo paura che Lui non
provveda e intanto non andiamo ad ascoltare quello che Lui ci vuol dire. Ora
Dio sta facendo questo linguaggio in tutte le cose: “Non preoccuparti, già
tutto è fatto; la tavola è pronta, sta tranquillo; i vestiti sono già pronti su
misura per te” ed io continuamente a chiedermi: “Come faccio a vestirmi? Come
faccio a mangiare?”. Tutto lì! E intanto non ci accorgiamo di quello che perdiamo,
perché non ci rendiamo disponibili per questo.
Cina: E la vita passa.
Luigi: E la vita passa, perché è Lui la vita, e noi non ci
accorgiamo che perdiamo la vita; preoccupati del mangiare e del vestire per
vivere, noi perdiamo la vita.
Pinuccia: Noi ci preoccupiamo, mentre il Signore ha già fatto
tutto un suo piano.
Teresa: A me è rimasto questo pensiero: che i segni ci sono dati
per farci alzare gli occhi a Lui.
Luigi: “Alzati e cammina”.
Teresa: Cioè riferire tutto a Lui, ma se noi andiamo a Lui, già
non ci interessano più i segni. Magari adesso siamo preoccupati di conoscere i
segni, perché nel pensiero del nostro io vogliamo sapere il perché e il come,
ma una volta che guardiamo a Dio, essi non ci devono più interessare, perché
essi erano solo per farci alzare lo sguardo a Lui.
Luigi: In Dio e con Dio, Lui continua a parlare, le sue parole
ci mantengono in comunione.
Teresa: Ma tante cose non ci interessano più.
Luigi: Certo, perché tante cose sono relative soltanto al
nostro io sbagliato, per cui quando si è con Dio non se ne ha più bisogno, sono
superate. Quando si ama una persona, se si è lontani si ha bisogno di tanti
segni, ma quando si è vicini non si ha più bisogno di essi: ormai non interessano
più, perché c’è qualcosa di più. Si continua a parlare magari anche nel
silenzio. Ci sono dei segni diversi, è logico. I segni sono rapportati sempre
ad una nostra situazione. Il segno è segno in quanto è abbassamento al livello in cui ci si trova. Quindi è sempre
Dio che si adegua. Naturalmente cambiando noi, cambia anche il segno.
L’Iniziatore però anche nella comunione è sempre Dio; cioè è Dio che ci
mantiene uniti a Sé, non siamo noi che ci manteniamo uniti. È Dio che parlando
a noi ci unisce. Senza di Lui noi non possiamo restare uniti. La molteplicità
di tutti questi segni (noi diciamo infinito), è opera di Dio che ci parla per
non lasciarci cadere nel nulla; ci sorprende nella nostra povertà, nella nostra
miseria, perché noi abbiamo bisogno di questa materialità così. Eppure guarda
che mondo bellissimo, che universo stupendo sta facendo a livello nostro, per
richiamarci a Sé. E tutti i segni che sono opera di Dio a livello della nostra
povertà, della nostra incapacità.
Teresa: Quindi i segni dopo avranno un altro valore.
Luigi: Lo credo!
Pinuccia: Ci portano a una maggiore conoscenza di Lui.
Luigi: Creano una maggiore comunione. Adesso questi segni ci
richiamano qualche cosa; di fronte a uno spettacolo come questo siamo richiamati
a Dio che fa, Dio che opera, che disegna, ma sono richiami che richiedono da
parte nostra una certa fatica, un certo sforzo. Vedi la difficoltà che abbiamo
a restare con Dio? Continuamente ci allontaniamo.
Nino: Sono parole di uno di cui non conosciamo la lingua; dopo
saranno parole di Uno di cui di conosce la lingua.
Luigi: Eppure anche in questa estraneità, in questa nostra
lontananza, Dio dice delle parole che hanno una loro bellezza e che proprio
perché hanno una loro bellezza noi con facilità ci mettiamo a correre dietro
alle creature e dimentichiamo il Creatore. Perché indubbiamente in tutti i
segni Dio pone qualcosa di Sé, perché Lui non fa altro che significare Se
stesso.
Teresa: Quando per la strada uno mi fa un cenno, capisco che mi
vuole parlare, ma non so ancora quel che mi vuol dire.
Luigi: Certo, e tu puoi fermarti o non fermarti.
Teresa: Arrivo a sapere ciò che mi vuole dire solo se mi fermo.
Luigi: Ma il più delle volte noi non siamo capaci a fermarci,
perché abbiamo fretta. E poi nel giudizio il Signore ci dirà: “Ero io!”, “Ero
io!”, “Ero io!”; e ci ripeterà all’infinito: “Ero io!”, “Ero io!”, “Ero io!”.
Teresa: Non abbiamo fiducia in chi ci alza la mano per fermarci.
Luigi: Non abbiamo fiducia e abbiamo troppa fretta. Ora, nel
tempo di riflessione personale, fermiamoci su questo: “Anch’io opero”, cioè
cerchiamo di vedere in che cosa consiste l’opera del Figlio. Gesù stesso dice:
“Io sono venuto per portare a compimento l’opera che il Padre ha iniziato”. Qui
si tratta di approfondire questo: “Il Padre mio opera e anch’io opero”. Non si
tratta di due Principi operatori, ma di uno stesso Essere Operatore; perché il
Verbo di Dio opera e ci fa capire che l’opera del Padre è un inizio che ci
mette in movimento e che non si compie senza il nostro io, ma l’io unito al
Verbo di Dio che ci parla del Padre.
Pinuccia: Unito al Cristo, perché uno non sa ancora che il Cristo
è il Verbo?
Luigi: Si, unito al Cristo, però il Cristo è la parola di Dio a
noi; è parola del Padre, ci parla del Padre. Perché tu segui il Cristo? Segui
il Cristo perché ti parla di Dio. Tu potresti seguire il Cristo, anche se
avessi il pallino della rivoluzione, perché credi che Cristo sia un
rivoluzionario, ma allora non perché ti parla del Padre, questo non ti
interessa. E allora tutte le pagine in cui Lui parla del Padre, le trascuri e
guardi invece alle parole: “Guai a voi ricchi”, “Guai a voi che siete
soddisfatti”; esalti queste parole e distruggi le altre. Allora sei attratta da
altri motivi, non sei attratta dal Padre. Allora tu credi magari al Cristo, ma
non segui il Cristo, segui te stessa, il tuo problema. “Soltanto chi è attratto
dal Padre può venire a me”. Quando noi leggendo il vangelo dobbiamo superare
certe pagine, non possiamo raccogliere certe parole, vuol dire che in noi non
c’è il vero problema di Dio, ma c’è un altro problema. Se invece c’è in noi il
problema di Dio, tutte le parole del Cristo sono valide e devono essere
raccolte con tanta attenzione perché ci parlano del Padre. Allora l’argomento è
questo: “Anch’io opero”; in che cosa consiste questo operare del Figlio in
giorno di sabato?
Pinuccia: Va visto anche riferito ad ognuno di noi?
Luigi: Cristo parla e opera per ognuno di noi. Opera per
portarci al Padre, per non lasciarci in queste cose non comprese. Il Padre
opera senza dimostrarci le cose; il Figlio invece ci porta la dimostrazione.
Pinuccia: E riferito a noi questo: “Anch’io opero”, significa che
devo unirmi al Cristo per portare a compimento l’opera del Padre, per entrare
nel settimo giorno?
Luigi: Si, per entrare nel compimento. Non possiamo arrivare al
compimento senza di Lui: “Nessuno può conoscere il Padre senza di me”. Anzi:
“Senza di me non potete fare niente”, il che vuol dire che: “Senza di me fate
niente”. Cioè senza di Lui noi distruggiamo tutto, facciamo niente e perdiamo
anche i segni. Noi vogliamo trattenere i segni, proprio perché siamo
interessati sotto qualche aspetto e trascuriamo Dio. Ma trascurando Dio, ci
accorgiamo di arrivare anche a perdere proprio quei segni per i quali abbiamo
trascurato Dio; perdiamo Dio e perdiamo i segni: è la conclusione di tutto. Io
preferisco la creatura al Creatore credendo con ciò di trattenere la creatura
per me; ma trascurando il Creatore, arriva che io perdo anche la creatura, per
cui non ho più il Creatore e non ho più la creatura: questa è la conclusione
ultima. “Vi sarà tolto anche tutto quello che credete di avere”. Io credevo di
avere, trascuravo Dio perché dovevo preoccuparmi del mangiare e del vestire. La
conclusione è che ho perso Dio e ho perso il mangiare e il vestire. Quindi è
proprio un lavoro anche di intelligenza il fatto di lanciarci subito in Dio.
Cioè: “Portati subito in alto! Ecco, andando in alto, vedrai bene; dal basso
non puoi vedere bene!”. Abbiamo già visto l’opera del Padre, ora vediamo in che
cosa consiste l’opera del Figlio.
Pinuccia: E l’operare dello Spirito Santo lo vediamo poi? Cioè nel
settimo giorno?
Luigi: Certo.
Nino: Chiederci in che cosa consiste l’operare del Figlio
equivale a chiederci: chi è Gesù per noi? È una domanda belle e interessante.
Luigi: Lui dice: “Io pure opero”. Qui abbiamo una distinzione
tra l’opera del Padre e l’opera del Figlio.
Pinuccia: Ed è la stessa opera?
Luigi: È la stessa opera.
Sembra semplice dire: “Cerca prima di tutto il regno di Dio”.
Ma proviamo un po’ a cercarlo veramente prima di tutto e vedremo cosa succede
nella nostra vita. Prima abbiamo bisogno di essere ammoniti: separarci da tutto
il resto per cercare prima di tutto il regno. Ma quando mettessimo prima di
tutto quello, quale panoramica di vita nuova entrerebbe in noi! Una conoscenza
nuova, una nascita nuova. Eppure è solo il primo passo mettere prima di tutto
il regno di Dio; è il portico che fa entrare nel tempio, ma è solo il portico.
Non si entra nel tempio se si sottomette tutto a Dio, cioè se non si mette
prima di tutto Dio.
II PARTE
Cina: Non ho capito bene la differenza dell’opera del Padre e
dell’opera del Figlio. Penso che il Figlio operi mai disgiunto dal Padre, ma
che siano veramente una cosa sola.
Luigi: Certo, però Gesù stesso dice: “Io sono venuto a portare
per compimento ciò che il Padre ha iniziato”, vuol dire che c’è una differenza.
Cioè il Padre inizia un’opera la quale può essere compiuta solo per mezzo del
Figlio. Il significato sta lì.
Teresa: Ho pensato che Dio ci ha preparato l’orecchio per
l’ascolto, perché? Perché qualcuno poi ci parlasse. Ed è il Cristo che ci parla
e parlando ci rivela il Padre. Quindi la sua opera non è disgiunta da quella
del Padre.
Luigi: No, disgiunta no, è un Essere solo.
Teresa: Se il peccato è non tener presente Dio, Cristo guarendo
in giorno di sabato, ci fa capire che ci guarisce spiritualmente ricollegandoci
al Padre.
Luigi: Si, viene a riportarci al Padre in quanto siamo
staccati, separati dal Padre; ma anche se siamo attratti dal Padre, Cristo
opera la sua opera perché ci porta a compimento nel Padre. Noi possiamo anche
essere attratti dal Padre, ma non è sufficiente essere attratti dal Padre per
arrivare al Padre, perché per quanto noi sentiamo il desiderio, il bisogno di
conoscere Dio, noi da soli non possiamo. Si tratta di precisare quest’opera del
Figlio e la diversità che c’è tra il nostro bisogno di conoscere Dio e l’opera
che il Figlio fa con noi, portandoci là dove noi desideriamo arrivare; perché
noi da soli non possiamo arrivare: abbiamo bisogno del Figlio.
Teresa: Cristo porta a compimento l’opera del Padre, in quanto
il Padre ci vuol dare la vita (“La vita vera è conoscere Te, o Padre”). La vita
l’abbiamo attraverso la Parola, il Verbo, Cristo che porta a compimento.
Luigi: Si, porta a compimento l’opera che il Padre ha iniziato.
Teresa: Il Padre ha iniziato l’opera formando l’orecchio e
continua a formarlo; il Figlio parla e quindi ci porta al Padre.
Luigi: Si, il quanto il Padre opera, opera per rivelare Se stesso,
però c’è bisogno dell’opera del Figlio, perché noi corriamo un rischio
nell’opera del Padre. L’opera del Padre si conclude in noi con la formazione
del desiderio di conoscere il Padre, la verità. Ma il rischio che corriamo è
questo: di restare nel desiderio di conoscere come bisogno nostro e quindi
disuniti da Dio.
Pinuccia: Come sarebbe: “Come desiderio nostro”?
Luigi: È quello di cui abbiamo parlato prima. Noi ci fermiamo
al desiderio di conoscere e proiettiamo questo desiderio di conoscere sul segno
e finiamo di analizzare il segno, di penetrare nel segno, perché noi, sentendo
il bisogno di conoscere, questo bisogno di conoscere lo proiettiamo su ciò di
cui abbiamo bisogno, perché il bisogno di conoscere si forma in quanto Dio
parla a noi attraverso i segni. I segni sono misteriosi e provocano in noi una
situazione di povertà. Nella situazione di povertà noi cerchiamo di supplire a
questa povertà, cercando di penetrare i segni. Ma penetrando i segni, abbiamo
visto, perdiamo Dio e perdiamo i segni, perché i segni più che penetrati vanno
superati, cioè capiti nell’orientamento che infondono in noi, nella nostra
anima. Anche noi siamo chiamati a diventare figli, ma noi nasciamo dal nulla,
dal mondo, per opera di Dio ma dal mondo c’è una differenza sostanziale tra il
Figlio di Dio che nasce da Dio e noi che nasciamo dal mondo e siamo chiamati a
diventare figli di Dio. Ma proprio in quanto nasciamo dal mondo, corriamo il
rischio nel desiderio di conoscere (opera del Padre), di proiettarci sul mondo
e quindi di perdere Dio e di perdere il mondo. Ecco, allora abbiamo bisogno del
Figlio di Dio che discenda: “Nessuno può salire al cielo se non Colui che
discende dal cielo”. È il Figlio quindi che discende dall’alto, che nasce da
Dio, che ci può riportare a Dio. Per Figlio noi intendiamo Colui che nasce da
Dio. Colui che nasce da Dio può dare la mano a noi che nasciamo dal mondo e che
ci apriamo alla fame e al desiderio di conoscere Dio, ma con questa fame non
possiamo arrivare a conoscere Dio, perché abbiamo bisogno di essere raccolti.
Ecco il Verbo di Dio che discende da Dio, Lui ha la possibilità di portarci in
alto: quindi raccoglie la situazione in cui ci troviamo: può essere una
situazione di peccato, come può essere una situazione di bisogno di Dio, di
attrazione per Dio. In che cosa consiste questa saldatura? Come e quando
avviene questa saldatura tra Lui che discende e noi che saliamo e che salendo
possiamo arrestarci a metà strada e quindi rifletterci sopra l’elemento mondo,
perdendo quindi naturalmente Dio e perdendo il mondo?
Pinuccia: Se ho capito bene allora dobbiamo alimentare il bisogno
di Dio, ma non fermarci al bisogno di conoscere i segni di Dio.
Luigi: Il bisogno di Dio in noi è Dio stesso che lo alimenta,
però noi possiamo proiettare questo bisogno su quell’elemento misterioso che si
presenta a noi e che è il segno. Perché il segno di Dio indubbiamente per noi è
misterioso. Tutte le opere di Dio sono misteriose.
Pinuccia: Perché è Dio che è misterioso.
Luigi: No, sono misteriose perché si illuminano solo in Dio e
con Dio.
Pinuccia: Però Dio
è un mistero per noi.
Luigi: Dio indubbiamente per noi è mistero, ma è un mistero che
vuole donarsi, vuole rivelarsi. Dio vuole farsi conoscere a noi con più
facilità di quello che si fanno conoscere le creature. Per noi è più facile,
per l’opera di Dio, conoscere Dio che conoscere le creature. Noi crediamo di
conoscere le creature ma non le conosciamo. A noi sembra sia più facile
conoscere le creature, ma non è così.
Nino: Si, perché per conoscere le creature dobbiamo conoscere
Dio e attraverso Dio arriviamo a conoscere le creature.
Luigi: Noi crediamo di conoscerle, perché le rivestiamo di noi.
Apparentemente ci sembra di conoscerle.
Eligio: Però Dio è un Infinito, la creatura un relativo, per cui
dovrebbe essere più facile conoscere la creatura.
Nino: Ma noi non sappiamo mai cosa passa nella mente della
creatura.
Eligio: Meno ancora sappiamo quello che passa nella mente di
Dio.
Pinuccia: Ma Dio vuol farsi conoscere.
Luigi: Siccome Dio mi lancia la pietra, è più facile che io
conosca Colui che mi lancia la pietra, che la pietra che Lui mi lancia.
Nino: Non è che noi conosciamo tutto di Dio, ma di Dio noi
abbiamo una rivelazione attraverso Gesù.
Luigi: E poi abbiamo tutta l’opera del Figlio stesso che vuole farci
conoscere il Padre.
Nino: Quindi di Dio possiamo conoscere qualcosa, ma delle
creature che ne sappiamo?
Luigi: Si, ci sfugge l’elemento essenziale della persona.
Nino: Non sappiamo ciò che passa nella nostra mente quando
vorremmo pensare a Dio, e tanto meno possiamo sapere ciò che passa nella mente
degli altri.
Luigi: E poi c’è questo che Dio vuole rivelarsi e non vuole che
noi invece conosciamo i suoi segni. Cioè nella conoscenza di Dio noi abbiamo la
sua opera positiva per farci conoscere Se stesso e quindi c’è la sua grazia;
non altrettanto c’è la sua grazia per conoscere i segni, perché Lui vuole che
intendiamo il senso della sassata, ma non la sassata. Per questo i segni vanno
superati e non dobbiamo preoccuparci di conoscerli, perché più noi ci preoccupiamo
di conoscerli e più noi li perdiamo: perdiamo l’Autore e perdiamo il segno.
Perdiamo tutti e due. Ecco allora la necessità del superamento. Cioè restiamo
nel clima proprio del messaggio cristiano: “Supera tutto e guarda al tuo
Signore”.
Pinuccia: Raccogliere tutto in Dio, vuol dire cogliere il
significato di tutto.
Luigi: Il significato è il senso, l’orientamento.
Pinuccia: Raccogliere allora vuol dire cogliere l’orientamento?
Luigi: Il significato; l’orientamento è ciò che mi mette in
evidenza: qual è il significato della sassata?
Pinuccia: Guarda in su.
Luigi: Ecco, allora io raccolgo il significato della sassata,
se guardo al Creatore. Se mi fermo a correre dietro al sasso e lo prendo e lo
esamino, non colgo il significato della sassata.
Pinuccia: Quindi quand’è che posso dire che i segni sono raccolti?
Luigi: Quando guardo a Dio, quando sento il desiderio di Dio.
Pinuccia: Anche se non intendo il significato specifico che ogni
segno porta in sé?
Luigi: No, sarà Lui che mi rivelerà il significato di quel
segno, quello che Lui ha voluto dirmi quel giorno. Ma è Lui. Lui è la luce
sulle sue opere. Lui è la luce delle sue opere. Le sue opere non illuminano
Lui. Lui illumina le sue opere. Ma le sue opere non illuminano Lui; le sue
opere annunciano Lui.
Nino: E poi le sue opere illuminate da Lui, ci portano a Lui.
Luigi: Certo, ma siamo in un altro tempo: e allora crea la
comunione. Abbiamo l’intelligenza dell’opera, cioè Dio ci fa capire tutto
quello che ha voluto dirci.
Nino: È sempre vero questo: “Cerca prima di tutto Dio”; da Lui
ti deriva tutto il resto.
Luigi: A me sembra che qui si possa rispondere bene
all’argomento di ieri sera: non possiamo giudicare le persone, ma dobbiamo
coglierne il significato. Quindi non dobbiamo fermarci ad analizzare l’avvenimento,
ma cercare di cogliere l’orientamento che infonde. È sempre il segno della
sassata. Gli avvenimenti sono sempre sassate, quindi hanno sempre un senso
buono, come richiamo.
Nino: Quindi alla base c’è sempre: “Cerca prima di tutto Dio”.
Luigi: “Cerca prima di tutto Dio”, si. Perché noi conoscendo
Dio siamo salvati da Dio. Ma se noi conoscessimo anche tutto il mondo, non è
che il mondo ci salvi nella vita eterna. Ammesso che noi conoscessimo tutte le
scienze del mondo: “Se avessi anche la fede da spostare le montagne, se
conoscessi tutte le scienze dell’universo”, questo non basterebbe per salvarci.
Se conosco Dio, sono nella carità di Dio, sono nella contemplazione di Dio,
quello mi salva, perché è il principio di tutto.
Nino: Alla base di tutto c’è sempre l’amore. “Ama e fa ciò che
vuoi”.
Amalia: Tra il Padre e il Figlio c’è comunione profonda di vita,
c’è la stessa vita, per cui Gesù dice: “Il Padre mio opera, anch’io opero”. Però
c’è una differenza perché il Padre dà la vita, genera, e il Figlio l’accoglie,
la riceve. Allora il Padre opera per rivelare Se stesso attraverso la sua
parola. E il Figlio è Figlio in quanto è in questo atteggiamento di dipendenza
totale, di ascolto, per poter ricevere questa vita, per lasciarsi formare. Gesù
è la parola fatta carne; noi abbiamo bisogno che il Signore scenda per poterlo
accogliere.
Luigi: Però corriamo il rischio che in quanto il Padre opera in
noi per farsi conoscere, cioè forma in noi il problema, di ritenere che il
problema sia nostro, di essere quindi soli con il nostro problema: cioè di
capire quello che il Padre dice. Cioè desiderio di conoscere il Padre come
problema nostro. Il Figlio praticamente ci rivela che il problema di conoscere
il Padre è ancora Dio. Non siamo soli. Cioè io sento il problema; non conosco
Dio. Dio parla per farsi conoscere, però in conseguenza di qualche cosa non lo
conosco e non sono capace di conoscerlo, allora il problema resta mio. Il
problema allora se è mio, mi fa ripiegare soltanto più sul mondo.
Amalia: Però se l’ascolto è vero, si dovrebbe superare questo
pericolo, no?
Luigi: Ma per essere nell’ascolto vero dovremmo essere senza
peccato, cioè dovrebbe esserci sempre il colloquio con Dio. Ma come viene il
non più colloquio con noi. Ma come viene in non più colloquio con Dio (basta
che ci sia una non più intelligenza di qualcosa di Dio), immediatamente questo
ci stacca da Dio, per cui io sento la mia povertà, la mia non intelligenza di
Dio come problema mio. Ma il Figlio di Dio mi dice: “No, questo è ancora
problema di Dio”, cioè il Figlio di Dio è quello che mi riporta a Dio; perché
il Padre parlando a noi, se non viene intelletto crea in noi, proprio con la
sua parola, una separazione da Lui. Il Figlio scende in questa separazione per
farci capire che anche il non capire è Dio è ancora Presenza di Dio tra noi. È
Lui che dà la comprensione di quello che noi desideriamo. Altrimenti senza di
Lui noi crediamo che il problema sia solo nostro e non possiamo uscirne da soli
e si crea quindi un isolamento. L’isolamento nostro da Dio ci fa proiettare
tutto il problema nostro sopra le cose, sopra i segni, per cui credendo di
dover risolvere questi segni ci sfugge l’essenziale.
Nino: Noi corriamo il rischio di non far conto su Dio in quello. Tutto lì.
Luigi: Certo, perché lo riteniamo che sia una deficienza nostra
il fatto di non capire.
Pinuccia: Invece è naturale.
Luigi: Invece no, non è naturale. Il Cristo stesso scendendo a noi
dice: “Io sono presente con te anche nel tuo non capire, anche nella tua
incapacità a capire”.
Nino: Anche lì i tempi sono suoi.
Luigi: I tempi sono suoi. Ma è il Verbo qui. Il Padre parlando
a noi crea separazione da Sé quando le sue parole non sono capite. L’opera di
Dio è fatta da parte di Dio per unirci, ma se non è intelletta la stessa sua
opera di Dio crea disunione. Ma la disunione (noi sappiamo che Dio opera) la
riteniamo tutta soltanto opera nostra. Qui abbiamo l’opera del Figlio. È
soltanto Colui che discende dall’alto che ci può riportare in alto. Noi che
saliamo dal basso non possiamo, perché salendo dal basso siamo dispersi da
quelle cose che non capiamo e allora ci ripieghiamo sulle opere stesse con
l’analisi e quindi la distruzione stessa dell’opera, nel pensiero dell’io.
Pinuccia: Senza di Lui disperdiamo.
Luigi: Soltanto che disperdendo, disperdiamo anche noi e
troviamo la nostra morte. Ecco il Figlio, opera qui. È il ponte tra la nostra
dispersione e il Padre, per cui anche noi nella nostra povertà, nella non
intelligenza del Padre, ci troviamo col Figlio, non siamo soli. Se non siamo
soli allora, uniti a Dio, abbiamo la possibilità di non ripiegarci più.
Pinuccia: Sarebbe un punto di appoggio.
Luigi: Un punto di appoggio sul divino. Ora questo punto di
appoggio ci riporta al Padre. Mantenendoci unito a noi, ci mantiene uniti al
Pensiero del Padre; mentre noi da soli, nella nostra incapacità di conoscere,
ci chiudiamo nel pensiero dell’io. Ma è anche la condizione di morte del
Cristo, perché Lui facendosi figlio dell’uomo, si mette nelle nostre mani, però
ci mantiene il divino, cioè non ci lascia più soli. Il Padre, diciamo, è Colui
che resta in casa ad aspettare il ritorno; il Figlio è quello che viene nella
nostra lontananza per riportarci alla casa del Padre. Il Padre non esce di
casa. Il Figlio esce di casa e giunge nella nostra dispersione.
Pinuccia: Esce però rimanendo.
Luigi: Ve bene; Lui lo può perché discende. Noi invece che
saliamo non possiamo. Noi saliamo dal mondo per diventare figli di Dio. Il
giorno in cui il Signore ci darà la grazia di diventare figli suoi, allora
potremo anche discendere, uscire senza perdere l’unione. Invece salendo dal
basso, no. Salendo dal basso non possiamo prenderci il lusso di entrare e di
uscire, perché ogni uscita per noi diventa dispersione. Diventiamo figli delle
nostre opere, figli della nostra dispersione.
Silvana: Per me è un argomento abbastanza difficile, perché non
riesco a capire: hai detto che è il Padre che suscita il desiderio della sua conoscenza,
ma non è già il Verbo che parla e che suscita il desiderio di conoscere Dio?
Non è già lì l’opera del Verbo?
Luigi: Si.
Silvana: Perché già in tutta la creazione è il Verbo di Dio che
opera, no?
Luigi: Si.
Silvana: Quindi è già il Verbo nell’Antico Testamento, il Verbo
nel Nuovo Testamento, è sempre il Verbo. Allora Dio quand’è che parla Lui? Sarà
lo Spirito Santo che è la Presenza del Padre e del Figlio.
Luigi: Si, la parola del Padre è
già il Verbo di Dio. Se uno ti parla, in te si può creare o l’intelligenza di
ciò che ti si dice o la non intelligenza di quello che ti si dice. Se tu hai
l’intelligenza di ciò che ti si dice, resti unita al pensiero di colui che
parla con te. Ma se tu non capisci quello che ti si dice, che cosa succede?
Succede che le parole stesse che l’altro ti dice diventano motivo per
testimoniare che tu sei separata da colui che ti parla: sono un motivo di
separazione. Ma questa separazione ti crea un isolamento. Tu non attribuirai la
colpa a colui che parla, perché colui che parla ha intenzione di farsi capire,
ma dirai: “La colpa è tutta mia perché non capisco”. Quindi attribuirai questa
separazione e incapacità, a povertà, miseria, e proprio con questo crei
l’isolamento nel tuo io. Ma questo isolamento del nostro io, staccati da Dio
perché non lo capiamo, ci fa proiettare sulle creature, cioè ci rende schiavi
delle cose. Qui da soli noi non ne possiamo uscire, perché questa povertà non
fa altro che riflettersi sempre su di noi, perché ci fa constatare: “La colpa è
mia!”. Ora è soltanto il Figlio di Dio, Colui che discende da Dio che può
vestirsi della nostra povertà e farci capire che questa nostra incapacità, che
questa nostra povertà, è ancora Presenza di Dio in noi. Cioè, se noi non
capiamo Dio (ed è questo che noi non riusciamo ad intendere), noi non dobbiamo
attribuire questa povertà a noi stessi, ma è ancora questa un segno di Dio,
forse per realizzare in noi quella disponibilità d’animo capace per poter
arrivare ad intendere, perché in noi c’è qualcosa che ci impedisce di arrivare
a capire quello che il Padre parla a noi. C’è Colui che parla ed evidentemente
nella Parola abbiamo il Verbo di Dio: è il Padre che parla e genera il Verbo di
Dio. Noi abbiamo Colui che parla e abbiamo coloro che sono chiamati ad
intendere la Parola, e questi siamo noi; però noi possiamo non capire. Ed è in
questa fase che subentra il Figlio di Dio; per questo Gesù dice: “Io sono
venuto a portare a compimento ciò che il Padre ha iniziato”. È una parola da
tener presente: è parola di Vangelo, parola di Gesù: “Io sono venuto”, non
dice: “Il Padre è venuto”, ma dice: “Io sono venuto a portare a compimento ciò
che il Padre ha iniziato”. Allora il Padre inizia un’opera, il Figlio la porta
a compimento. Prima abbiamo detto che il Padre è Colui che parla, quindi dà
l’esistenza alle cose, ma Colui che comprende l’opera, l’opera del Padre, che
la fa discendere dal Padre, che la riporta al Padre e quindi la fa derivare dal
Padre, è il Figlio. Il Figlio è Colui che attribuisce tutto al Padre. Per cui
il Padre opera, ma a noi manca Colui che attribuisce tutto al Padre. Quando io
dico: “Sono io che non capisco”, io attribuisco a me la mia non intelligenza.
Il Figlio mi dice: “No, guarda che la tua povertà la devi attribuire al Padre”;
è il Padre che ti fa toccare con mano questa povertà, perché hai bisogno di
passare attraverso di essa, questo tuo niente, per poterti aprire ad intendere.
Vedi che qui abbiamo un’opera successiva a quella del Padre? Il Padre parla per
farsi conoscere, però in noi si realizzano condizioni di non conoscenza.
Pinuccia: Ho pensato questo: se l’opera del Padre è quella di
portarci al settimo giorno, cioè alla vita eterna, l’opera del Figlio è
identica. Il Padre opera nei sei giorni della creazione e il Figlio pure opera
nei sei giorni della creazione.
Luigi: È quello che diceva Silvana: cioè è sempre tutta parola
di Dio. I sei giorni della creazione sono parola di Dio.
Pinuccia: Infatti leggiamo nel prologo: “Tutto è stato fatto per
mezzo di Lui”. In questi sei giorni l’opera del Padre e l’opera del Figlio è
fatta senza di noi. Dopo il sesto giorno l’opera del Padre e l’opera del Figlio
continuano, ma con noi. Gesù dicendoci che il Padre opera anche di sabato, ci
fa capire che il riposo del Padre nel settimo giorno va inteso come una chiamata
a noi ad entrare nel suo riposo, nella sua conoscenza; ci fa capire quindi che
questo riposo del Padre è ancora un operare per noi, chiamandoci a compiere la
sua opera dei sei giorni, invitandoci ad entrare nel settimo giorno, a
raccogliere cioè in Lui tutta l’opera che nei sei giorni Egli ha fatto per noi
per mezzo del Verbo di Dio. Questo passaggio al settimo giorno noi da soli non
lo possiamo fare. Ce lo dice il prologo: “Senza di Lui tutto ciò che è fatto
(nei sei giorni) diventa niente”; rimane un aborto.
Luigi: È lì il rischio; che al sesto giorno, noi possiamo
annullare tutta l’opera di Dio, cioè possiamo dare luogo all’aborto. Dio
attraverso i sei giorni ci ha portati alla concezione, ma noi la sera del sesto
giorno possiamo abortire, perché siccome si chiede la nostra partecipazione
(non si entra nel settimo giorno senza di noi) e quindi si chiede questa
attenzione che è dedizione nostra, questa può non avvenire. Ed è lì che
comincia l’opera del Figlio.
Pinuccia: Ma è già iniziata prima, nei sei giorni col Padre.
Luigi: Si, ma è sempre il Padre lì che opera, perché il Padre
operando, genera il Figlio. Ma qui abbiamo l’opera del Figlio che subentra a
raccogliere una situazione di distacco che si è creata in noi. Per tener
presente Dio tra noi, il Figlio di Dio si fa figlio dell’uomo. Il Padre non si
fa figlio dell’uomo. Ecco, è questo il fatto, perché in un modo o nell’altro
noi abbiamo bisogno della presenza di Dio. Se non c’è la presenza di Dio tutto
fallisce in noi. Questa presenza di Dio, quando in noi viene meno
l’intelligenza dell’opera di Dio dei sei giorni, viene meno. Allora abbiamo
bisogno di Dio che discenda per restare con noi in qualche modo, per dirci:
“Guarda che tu non sei solo”, perché soltanto se lo dice in qualche modo a noi,
dà a noi la possibilità di superare ancora il pensiero del nostro io.
Altrimenti l’opera è finita lì, con il nostro distacco.
Pinuccia: Ecco, “Subentra l’opera del Figlio” dà ad intendere che
il Padre riposa, attende la nostra risposta.
Luigi: Si, perché nel settimo giorno non si entra senza di noi.
È quel “con noi” che in noi difetta, perché fintanto che Dio opera senza di noi
qui non c’è il difetto. Ma è quando incomincia l’uomo, l’Adamo, a percepire che
ha la possibilità di pensare a se stesso, che nasce il difetto e incomincia la
frattura; perché Adamo, percependo il pensiero del suo io, dovrebbe, come tutte
le opere di Dio, dovrebbe anche questo pensiero del suo io, riportarlo a Dio. È
il bambino che prima non è capace a camminare ed è portato in braccio dalla
mamma; poi a un certo momento si accorge che riesce a camminare da solo. Ecco,
il dramma comincia lì, quando l’uomo si accorge che può restare in piedi da
solo; prima era portato in braccio e adesso incomincia ad accorgersi che può
camminare da solo. È lì che dimentica la madre e cade.
Pinuccia: Però questo riposo del Padre, che è l’attesa del Padre,
bisogna vederlo come un operare ancora perché è una chiamata di Dio.
Luigi: È logico. È lì che Gesù dice: “Il Padre mio opera
ancora”, opera ancora perché l’opera non è finita, è imperfetta. Ma è
imperfetta non in quanto è partita dal Padre imperfetta, ma perché attende da
noi l’adesione, cioè il portare a Dio anche il pensiero del nostro io, questo
frutto che è maturato attraverso i sei giorni. Dio non ci ha creato il sesto
giorno, cioè quando leggiamo: “Dio ha preso del fango …”, perché questo è
soltanto un simbolo, ma ha cominciato a crearci dal momento che ha detto: “Sia
fatta la luce”. Quando disse: “Sia fatta la luce” già pensava all’uomo, perché
la luce è stata fatta in funzione dell’uomo. Quando ha creato la luna, le
stelle, pensava all’uomo. Le ha create in funzione dell’uomo, quindi stava già
facendo l’uomo. Soltanto che al sesto giorno l’uomo ha cominciato a stare in
piedi. Ed è al sesto giorno, quando l’uomo comincia a prendere coscienza di sé
(ecco la creazione che comincia a prendere coscienza di sé), che l’uomo può
difettare perché non porta il pensiero di sé a Dio, ma comincia a ritenersi
autonomo; allora incomincia a guardare le creature che sono belle, che sono
buone in quanto le riferisce a sé e non più a Dio. Invece noi non dovremmo fare
la distinzione tra la luna, il sole e le stelle e il pensiero del nostro io. Il
sole, la luna, le stelle le riceviamo da Dio; altrettanto dovremmo ricevere da
Dio il pensiero del nostro io e riferirlo a Dio e non ritenerlo un ente a sé,
staccato, perché come lo riteniamo staccato si proietta subito sulle creature e
comincia a sfruttare le creature in funzione di se stesso: belle, buone e
allora avviene il rapporto orizzontale tra il nostro io e la creatura e
dimentichiamo Dio. E questo comincia a crearci la notte, le tenebre.
Nino: È bello pensare che anche il nostro io riportato a
Dio può diventare buono come tutto il resto.
Luigi: Certo, è creatura di Dio!
Nino: Noi fino adesso pensavamo solo ad uccidere il nostro io,
invece il nostro io può essere riportato a Dio.
Luigi: Il nostro io è creatura di Dio, e non solo può, ma deve
essere riportato a Dio, perché è Dio che ha fatto il nostro io.
Nino: È un modo di valorizzarlo, di dargli vita.
Luigi: È l’unico
modo, perché in Dio noi diventiamo delle vere persone.
Pinuccia: Quindi, senza di Lui tutto diventa niente. Rimane un
aborto. Per questo: “Il Verbo si fece carne”. “Sono venuto a raccogliere ciò che
era disperso”. Questo è l’operare del Figlio: raccoglierci dalle nostre
dispersioni, orientarci al Padre, orientarci al settimo giorno parlandoci del
Padre, facendoci così passare dal pensiero dell’io e del mondo relativo all’io
(l’opera dei sei giorni) al Pensiero del Padre, al mondo invisibile, al settimo
giorno, cioè alla vita eterna. “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e
colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”. E Lui lo rivela a chi ascolta le
sue Parole e rimane nelle sue Parole. Lo promette: “Se conoscerete le mie
parole, conoscerete la verità”, il Padre. In questo senso Cristo è venuto a
compiere l’opera del Padre: “Chi raccoglie con me, riceve mercede di vita
eterna” cioè entra nel settimo giorno (perché la vita eterna è conoscenza del
Padre). “Chi non raccoglie con me disperde”. E come richiamo personale questo
versetto è un invito ad unirmi all’opera del Figlio, per portare a compimento
in me l’opera del Padre. E
come?
-
È un invito all’ascolto, a
raccogliere tutto nel Padre;
-
È un invito a fermarmi molto e a
restare nelle parole di Gesù.
Questo è l’operare della creatura nel settimo giorno,
poiché la creatura deve aderire all’opera del Padre e del Figlio, poiché
l’opera del Padre e del Figlio nel settimo giorno non avviene senza l’operare
della creatura. Quindi è un invito a fare anche noi ciò che fa il Figlio, per
diventare anche noi figli. Lui dice: “Il Padre opera e pure io opero”, quindi
anch’io devo dirlo (“Anch’io opero”), ma nel senso in cui lo dice Gesù; Gesù
opera compiendo, portando a compimento l’opera del Padre. Cioè Lui non opera se
il Padre non ha iniziato l’opera, se non è mosso cioè dal Padre: “Il Figlio non
fa nulla se non lo vede fare dal Padre”, cioè se il Padre non lo inizia; così
dovrebbe essere per noi: non muoverci se
non dietro iniziativa del Padre e con Cristo portarla a compimento: ma
attendere che la inizi il Padre; cioè, come Cristo, avere nell’operare del
Padre la giustificazione del nostro operare: “Il Padre mio opera ancora ora, ed
io pure opero”.
Luigi: Quello che si chiede a noi è proprio questo: camminare
nelle parole del Figlio e non parlare noi. Il Figlio in un primo tempo dice le
parole del Padre, poi in quanto si fa figlio dell’uomo, dice a noi parole per
noi: “Non preoccupatevi del mangiare e del vestire; cercate prima di tutto il
regno di Dio”, le dice a noi (ci parla nel pensiero del nostro io). Il Padre ce
lo aveva già detto questo: noi dovevamo essere intelligenti, ma non lo siamo
stati, non abbiamo capito che tutta la creazione era per dirci: “Guarda che il
Signore è un altro, non sono le creature, quindi alzati dal guardare le
creature”. Invece qui abbiamo il Verbo che si fa uomo, che prende su di Sé il
nostro difetto, il nostro peccato e ci dice: “Non devi preoccuparti del
mangiare e del vestire: cerca prima di tutto il regno di Dio”. Ce lo dice in
quel linguaggio che ci diceva già prima, ma lo dice adesso all’io, all’io che
si è separato da Dio, all’io disperso, all’io che, si presuppone, si sta già
preoccupando del mangiare e del vestire.
Pinuccia: Se no, non ci sarebbe stato bisogno.
Luigi: Altrimenti non c’era bisogno: se noi fossimo stati
intelligenti a riferire tutto a Dio, non ci sarebbe stato bisogno perché il
Verbo lo portavamo già dentro di noi e ce lo diceva. Ma quello era
intelligenza. L’intelligenza, venendo meno, l’io si separa, non si entra più
nel settimo giorno. Ora siccome nel settimo giorno non si entra senza di noi,
succede la frattura. Allora abbiamo l’aborto, cioè la dispersione: “Sei polvere
e polvere ritornerai”.
Nino: Cos’è che ha fatto venir meno l’intelligenza?
Luigi: È il pensiero del nostro io. Cioè è quell’io che come
nasce deve essere portato a Dio come tutte le cose. È il bambino che è portato
in braccio e a un certo momento si accorge che può camminare da solo e non guarda
più la madre, mentre ha ancora bisogno di lei, perché se è capace di stare su
coi suoi piedi, ha ancora tanto da maturare, quindi ha ancora bisogno di
guardare la madre. Invece noi crediamo di essere già fatti. Quindi come nasce
il nostro io diciamo: “Oh, ci sono! Io sono fatto!”. No, sei in gestazione, non
sei ancora fatto. Allora diventiamo non più intelligenti, perché la nostra
intelligenza è Dio, non siamo noi. Noi siamo intelligenti nella misura in cui
ci rapportiamo a Dio, riferiamo a Dio.
Nino: Quindi quando si dice: “Dio è l’uomo”, è il massimo
dell’infantilismo.
Luigi: Certo, perché si ritiene che l’uomo sia un essere
autonomo a sé, capace di essere intelligente, capace di fare. I bambino con un
semplice rumore, con un segno credono di fare tutto, di fare la guerra, di
vincere le corse. E noi facciamo lo stesso: è un piccolo rumore quello il
Signore ci dà la possibilità di fare e noi crediamo di dominare tutto, di
essere autonomi. Tu credi di essere autonomo? Di dominare tutto? Ma guardati un
po’ attorno: tutto l’universo non è nelle tue mani, anche in te stesso; è
assurdo dire: “Noi siamo padroni del nostro ventre!”. Guarda un po’: il tuo
cuore, i tuoi polmoni, il tuo cervello funzionano per opera tua? Tu non sai
niente e vuoi dire: “Io sono padrone del mio ventre!”? È ridicolo, perché il
Padrone nostro è un Altro! Quindi noi dobbiamo in tutto comportarci nel
rispetto dell’Altro. È l’Altro che ci sta facendo; noi invece cominciamo a fare
un piccolo rumore e crediamo già di essere padroni, autonomi cioè isolati,
staccati. È lì l’errore. Noi non siamo mai staccati, perché l’Essere Autonomo è
Dio. Noi viviamo per partecipazione e siamo formati da Lui. Ecco, il nostro
vero io si forma in quanto si mantiene partecipe dell’Autore, della madre.
Nino: Come il tralcio.
Luigi: È lo stesso: quindi il tralcio deve sempre mantenersi
unito alla vite. Come il tralcio si vanta, secca, è finito. Quello è
infantilismo ed è logico; fa un po’ di rumore e crede di essere padrone di
tutto quello che fa: “Ah, arrivo io!”. Ecco l’errore grosso. No, cerca Dio, Dio
scioglierà i tuoi problemi, non credere tu di poter fare qualcosa.
Eligio: A me pare di scorgere due tempi diversi nel lavoro di
redenzione, attraverso due Persone diverse: il Padre e il Figlio che operano
nello Spirito Santo. l’Iniziatore è il Padre che si annuncia a noi con la
creazione e con il risveglio nell’anima di tutti i valori che l’anima stessa
vorrebbe realizzare per sé in assoluto: la verità, l’amore, la bellezza. Dio
inizia in questo modo, perché noi non potremmo desiderare queste cose se il
divino non fosse in noi.
Luigi: Dio inizia in quanto parla a noi, però l’intelligenza
delle sue parole non è in noi, ma in Lui.
Eligio: Noi avvertiamo questi annunci di Dio. Se noi fossimo
uniti a Lui, noi noteremmo che Egli dialoga attraverso di questi, ma se non
aderiamo a Dio ci appropriamo di essi, li strumentalizziamo, li riferiamo a
noi. In tal modo la creazione concepita in unità e armonia da Dio, viene dalla
creatura lacerata e disarticolata, rivolgendosi contro l’uomo, creando
confusione nell’uomo. L’uomo, staccato da Dio, trova l’inferno. Ma questo
avviene per richiamare l’uomo al rispetto del piano di Dio. L’uomo da solo per
natura non può mantenersi in adesione al Creatore. Di qui nasce la necessita
dell’invocazione di una guida, del Cristo. Ecco qui il secondo tempo dell’opera
di Dio. Cristo portandosi al piano di dispersione della creatura, si inserisce
nell’opera del Padre e insegna a noi a riportare a Lui i suoi doni, la sua
opera, raccogliendo così dalla nostra dispersione. Come opera? “Il Figlio non
fa nulla se non lo vede fare dal Padre” dice Gesù, insegnandoci che non
dobbiamo fare nulla in veste di protagonisti e in autonomia. Se stiamo attenti
al Padre non c’è situazione in cui non si possa vedere in Lui l’Iniziatore e a
questo punto, in continuità di adesione, operare pure noi, portando a
compimento nel suo Spirito, uniti al Figlio, l’opera da Lui iniziata. Ecco i
due tempi, le due Persone, lo Spirito che unisce il Padre e il Figlio.
Luigi: Non so se sia chiaro, ma il fatto è questo: il Padre
operando, opera per farsi conoscere, per farsi capire da noi. Però siccome
l’intelligenza delle cose sue non è in noi, ma nel Padre stesso, per poter
capire quello che Lui dice, sarebbe necessario che noi riportassimo sempre a
Lui le opere sue; ma tra queste opere sue c’è anche il nostro io e se noi non
lo riportiamo a Lui, si forma in noi la non intelligenza, e la non intelligenza
ci disperde tra le cose di Dio. Perché l’intelligenza non è in noi ma è in Dio,
cioè nel Padre. È in questa situazione, in questo secondo momento che subentra
il Figlio, perché subentra in una situazione di non più intelligenza. Nella non
intelligenza restiamo schiavi delle cose, guardiamo soltanto più alle cose. Ma
la chiave di volta sta lì: che l’intelligenza delle opere del Padre, delle cose
di Dio, non è in noi ma è nel Padre stesso. Ora siccome è nel Padre, si
richiede da noi sempre questo riferire tutto al Padre.
Eligio: Cioè si richiede a noi l’unione al Figlio per riportare
tutto al Padre.
Luigi: Certo, perché l’opera del Figlio è quella di riportare
al Padre tutto quello che viene dal Padre. Il Figlio si riconosce in questo, a
differenza di noi. Egli non dice: “Io sono”, ma fa derivare il suo essere dal
Padre, lo riconosce del Padre, mentre invece noi diciamo: “Io sono”. Lui lo
riferisce al Padre, e quindi riconosce anche la sua esistenza come opera del
Padre: questa è l’opera del Figlio che in noi non avviene. Dovrebbe avvenire,
siamo chiamati a questo, ma in noi non avviene. Per cui il Padre è quello che
parla, soltanto che parlando a degli esseri che non riportano a Lui (quindi non
sono intelligenti), l’opera stessa del Padre crea separazione di noi a Lui. Un
essere che da me non è capito, quanto più parla a me, tanto più mi crea
separazione, perché la sua stessa parola diventa motivo di distacco. Dio è
l’intelligenza di tutte le sue opere (questo è il punto chiave), ma perché sia
intelligenza di tutte le sue opere in noi, richiede da noi sempre un riferire
tutto a Lui, anche e soprattutto il pensiero del nostro io. Se questo non
avviene, noi ci separiamo. Ora siccome il Padre opera così, parlando a noi, se
noi non colleghiamo con Lui, non giungiamo all’intelligenza. Per questo dico
che non si arriva al settimo giorno senza di noi, perché è necessario che noi
riportiamo tutto di noi a Lui, tutto quello che arriva a noi del Padre; per cui
diciamo: il Padre opera ma non giustifica, perché è Lui la giustificazione. Il
Figlio invece è Colui che giustifica.
Nino: Per me l’opera di Cristo è tutta un’opera di riportare
al Padre, sia che Lui si riveli, sia che Lui si carichi del nostro peccato
facendoci vedere a dove ci porta il nostro distacco dal Padre.
Luigi: Sia che Lui si consideri nella Trinità, da solo, nella
Trinità di Dio l’opera del Figlio è sempre quella di riportare al Padre.
L’Iniziatore è sempre il Padre. La caratteristica del Figlio è quella di
attribuire sempre tutto al Padre, e quindi è il Generato dal Padre, in tutto; è
sempre generato in quanto attribuisce tutto al Padre. Noi invece non siamo
sempre generati, perché non riferiamo tutto al Padre; siamo però chiamati a
diventare generati dal Padre. Non possiamo diventare generati dal Padre se non
per mezzo del Figlio, cioè se non per mezzo di Colui che è generato. Per cui noi
da soli non possiamo essere generati dal Padre. Per opera del Figlio possiamo
diventare figli di Dio, generati dal Padre. Ma è il Figlio che ci fa. “Nessuno
può venire al Padre se non per mezzo di me”.
Eligio: Ecco allora come diventa chiara la differenziazione
delle persone, pur nella loro unità.
Luigi: Volevo appunto arrivare a mettere un po’ in evidenza
questo.
Pinuccia: Non possiamo essere generati dal Padre senza l’opera del
Figlio, ma noi dobbiamo aderire al Figlio.
Luigi: Certo, soltanto che il Figlio scende al livello nostro,
mentre il Padre no. Il Padre è sempre Colui che, parlando, richiede
intelligenza, eternamente. Il Figlio invece non chiede nemmeno la nostra
intelligenza: scende alla nostra stoltezza.
Pinuccia: E lo Spirito Santo completa.
Luigi: Lo Spirito Santo viene a recarci la gioia della Presenza
del Padre e del Figlio.
Il Padre mio opera fino a questo momento e Io pure opero. Gv 5 Vs 17 Terzo
tema.
Argomenti: Il silenzio e l’ascolto. Noi dobbiamo rinnegarci per scoprire la sua Presenza. Gesù è venuto a portare a compimento
l’opera del Padre: opera che è rimasta incompiuta nell’uomo, che non supera se
stesso. È nella conoscenza
dell’opera del Padre che si ha il compimento. Quello che
rende noi inquieti è la molteplicità. Chi ci fa
semplici è il nostro amore unico. Fuggi tutto
quello che ti impedisce di pensare a Dio. Peccare con le
parole. Accettare tutto da
Dio.
12.Agosto.1978
Introduzione:
Luigi: Con quanto Gesù dice al versetto 17 “Il Padre mio opera
fino a questo momento, ed io pure opero”, noi passiamo a tutta un’altra panoramica;
si chiude un capitolo di pensieri e se ne apre un altro. Per questo già
domenica scorsa ci siamo soffermati a vedere il cammino percorso. È bene
soffermarci ancora prima d’iniziare quest’altra parte, perché qui Gesù ci
inoltra in argomenti profondi dei rapporti tra il Padre suo e Lui stesso.
Rileggendo questa prima parte del capitolo 5, poiché ci apriamo a meditare su
Dio, è bene che cerchiamo con l’aiuto del Signore quello che Dio dice di Sé
(più che di noi) in queste frasi che abbiamo già commentato nella guarigione
del paralitico della piscina di Betesda. Rileggendo adagio, quindi cerchiamo di
vedere con l’aiuto dello Spirito, quello che tale episodio ci suggerisce circa
la conoscenza di Dio, cioè quello che ogni frase, ogni fatto ci dice di Dio.
Cerchiamo possibilmente di capire che cosa Dio dice di Sé, che cosa Dio è per
noi, fino ad arrivare a sfociare in quest’ultima frase: “Il Padre opera ancora
adesso, ed io pure opero”. Ci chiederemo:
-
I parte: Che cosa Dio dice di Sé a
noi;
-
II parte: Che cosa Dio è per noi.
Ecco, ricordiamoci di chiederci sempre che cosa il
Signore dice a noi personalmente, perché tutte le parole del Vangelo, tutte le
scene, tutti gli episodi della vita di Gesù sono parole, nelle lezioni del
Vangelo noi giungiamo a trovare, a vedere una parola di Dio personalmente per
noi, per la nostra vita personale, spirituale, soltanto allora noi incominciamo
a intendere bene il Vangelo poiché il Signore opera per salvare ognuno di noi,
personalmente. Dio in tutto ciò che fa, anche in questo panorama di montagne
che abbiamo davanti, non fa altro che parlare di Sé. La vita vera (la vita
eterna è vita vera, ed è quella vita nella quale dobbiamo sforzarci di entrare
oggi, non entriamo domani), la vita vera è conoscere Dio; cioè se la conoscenza
di Dio è vita per noi, più ascoltiamo Dio e più la vita entra in noi. Più
conosciamo Dio e più viviamo. Il problema non sta nel conoscere noi stessi; il
problema non sta nel conoscere gli uomini; non sta nel conoscere le cose del
mondo; il problema sta nel conoscere Dio, perché Dio ci ha creati per questo:
soltanto conoscendolo lo amiamo; quanto più lo conosceremo tanto più lo
ameremo. Chi non lo ama è perché non lo conosce; chi lo ama poco è perché lo
conosce poco. Però non siamo noi che possiamo conoscere Dio. Lui stesso si fa
conoscere a noi parlando a noi. Ma quando uno parla, bisogna che l’altro stia
attento, e per essere attento deve fare silenzio; e per fare silenzio deve far
tacere ogni altra voce. Per questo Gesù: “Quando vuoi pregare (e la preghiera è
essenzialmente ascolto, perché se la preghiera non è ascolto non è preghiera)
entra nel chiuso della tua stanza”. Il chiuso della stanza non metterci in un
luogo buio; anche questa cerchia di monti è una stanza, può essere una stanza,
se in essa noi chiudiamo l’uscio ad ogni altro pensiero, ad ogni altra parola
per rivolgere tutto il nostro interesse a Dio. Dio ci rivela sempre qualcosa di
Sé nella misura in cui lo ascoltiamo. Quindi non siamo noi che conosciamo ma è
Lui che si fa conoscere, però chiede a noi la disponibilità dell’anima, chiede
a noi questo silenzio interiore, questo distacco da tutto per guardare solo
Lui. L’anima vera del silenzio è attenzione ad Uno solo. È questo che fa il
vero silenzio: l’attenzione ad una Persona sola; questa fa il silenzio, ed è il
silenzio che riceve; è cioè la tazza vuota che può essere riempita. Ora Dio,
attraverso le sue parole ci parla di Sé e in quanto ci parla di Sé si fa
conoscere e quanto più noi lo conosciamo, tanto più viviamo. La meta è giungere
a vedere la sua Presenza, come noi ci vediamo presenti e più ancora,
intimamente, perché la nostra è una presenza fisica localizzata e temporanea,
quindi mutevole nel tempo; soprattutto non ci conosciamo nel pensiero. Dio si
dona con una presenza molto più vera delle nostre presenze, molto più efficace
e soprattutto una Presenza eterna, cioè non soggetta ad alcun limite, a nessun
mutamento. Noi possiamo essere infedeli, possiamo tradire, possiamo essere
adulteri, possiamo dimenticarci di Lui, ma una volta che Lui ha rivelato la sua
Presenza, questa presenza non la cancella più: è sempre lì. Però per giungere a
questo chiede a noi chiede a noi questo silenzio, perché è Dio stesso che
parlando si fa conoscere; non siamo noi che conosciamo Lui, ma è Lui che parlando
a noi rivela il suo Volto. Allora l’argomento proposto per oggi è questo:
cerchiamo che cosa Dio ci fa conoscere di Sé in questo brano di Vangelo fino a
questo squarcio di cielo in cui Lui dice: “Il Padre mio opera fino adesso e
pure io opero”. Siamo in giorno di sabato e il giorno di sabato rappresenta il
giorno di riposo di Dio nella creazione: dopo i sei giorni della creazione, il
settimo giorno si riposò, ed il settimo giorno era il sabato per loro, è la
domenica nostra. Comunque è il giorno del riposo di Dio. Teniamo presente che
la creazione di Dio non è avvenuta; la creazione di Dio è continua per ognuno
di noi: Dio continuamente crea. Ha iniziato la sua creazione quando ci ha
chiamato per nome e continua a crearci con e in ogni avvenimento, il quale
anche oggi, questo nostro oggi, questo trovarci qui, arriva a noi attraverso i
sei giorni della creazione di Dio. Però come si giunge alla sera del sesto
giorno, Dio entra nel suo riposo, perché chiede a noi di entrare nella sua
pace; e la sua pace è conoscere Lui, è Lui stesso. Lui è la sua pace, sua e
nostra. Dio creando e parlando in tutte le cose chiede a noi di fare un passo,
di entrare; è necessario cioè ad un certo momento che noi superiamo noi stessi,
dimentichiamo noi stessi, perché non siamo noi con i nostri pensieri, con i
nostri sforzi, con le nostre fatiche, con i nostri impegni, con i nostri
programmi che possiamo conoscere Dio: attraverso tutte le opere sue, Dio ci
conduce, ci fa prendere coscienza che Lui c’è e che noi ci siamo, ma che Lui è
prima di noi, che è al di sopra di noi e che è Lui la luce nostra ed è la vita
nostra, che è Lui l’essere del nostro pensiero. Questo è ciò a cui Egli ci fa
giungere attraverso i sei giorni, attraverso ogni fatto, ogni parola. Ma giunti
a questo punto Lui, proprio attraverso questa conoscenza che ci ha dato che Lui
esiste e che noi esistiamo, che Lui è il Creatore e che noi siamo le creature e
che Lui è il primo e che noi veniamo dopo, ci convince che noi dobbiamo
superare noi stessi, dimenticarci, rinnegarci per entrare nella sua conoscenza,
per scoprire la sua Presenza, perché è Lui solo che dopo averci parlato di Sé,
ha qualche cosa di Sé da dirci che nessuna lezione, nessuna creatura, nessuno
sforzo nostro possono dirci: è soltanto in questo superamento di noi stessi, in
questo rinnegamento di noi stessi, in questa dimenticanza di noi stessi per
guardare solo Lui che possiamo ascoltare la Parola che ci fa entrare nella sua
conoscenza e nella sua pace. Ecco, questo è il settimo giorno. Attraverso i sei
giorni si diventa creature di Dio, servi di Dio; ma si può anche diventare
aborti nella creazione di Dio, alla sera del sesto giorno se noi non superiamo
noi stessi; speranza di creature concepite, ma fallite, non giunte alla luce:
la luce del settimo giorno. Gesù dice e giustifica la sua operazione nel giorno
di sabato verso quel paralitico (e quel paralitico è l’anima di ognuno di noi),
proprio perché come figlio di Dio viene a portare a compimento, a liberare
l’uomo dalla sua paralisi. L’uomo che è arrivato al sesto giorno e non ha
superato se stesso, non è entrato nella Città di Dio. Di qui tutta la
simbologia ed il significato profondo di questa “porta delle pecore”: noi siamo
le pecore che devono passare attraverso questa porta per entrare nella Città di
Dio. In questa folla di malati, in questo paralitico da trentotto anni, è
rappresentato l’uomo che è arrivato alla soglia del settimo giorno, alla fine
del sesto giorno e si è fermato, non è passato, non ha superato se stesso, e ha
cominciato ad essere malato, ad essere paralizzato, a non potersi più muovere.
Gesù arriva e incontra l’uomo in questa situazione, incontra l’uomo in questa
sua paralisi, ed è la sua parola che lo libera. È la sua parola che lo fa
camminare, che lo fa alzare. Noi abbiamo bisogno della sua parola, altrimenti
restiamo paralizzati dietro le creature, dietro gli avvenimenti, dominati dalle
cose, dai problemi della vita, dal mangiare, dal vestire, dalla figura, dalla
carriera. È solo la parola di Dio che incontrandosi con noi ci libera dalla
paralisi, ci dà la possibilità di alzarci, di entrare nel tempio e quindi di
aprirci al settimo giorno. È la parola di Dio che ci dà la possibilità di
entrare nel settimo giorno. Gesù dice che è venuto a portare a compimento
l’opera del Padre. Lui opera proprio per questo, perché venendo a salvare
l’uomo, a portare all’uomo la conoscenza del Padre, è venuto a perfezionare
l’opera che ha iniziato il Padre e che è rimasta incompiuta nell’uomo, e che
rimane incompiuta in ognuno di noi quando non superiamo noi stessi, non
rinnegando noi stessi.
Pinuccia: Cioè ci fermiamo ai sei giorni.
Luigi: Si; in questa incompiutezza si forma la paralisi, la
malattia, cioè è un inizio di morte: noi cominciamo a morire. Noi cominciamo a
morire alla sera del sesto giorno; perché quando non camminiamo (il cammino
della vita ci porta necessariamente di fronte alla porta delle pecore che ci
introduce nella Città di Dio), restiamo paralizzati e quando si è paralizzati
si incomincia a morire; la morte incomincia a lavorare su di noi; presto le
uova si schiuderanno e la morte si svilupperà e crescerà in tutto. Il settimo
giorno non è fatto per imitare Dio: Dio si è riposato non perché noi ci
riposiamo, ma perché intendiamo il luogo del nostro riposo. Le opere di Dio
devono essere intellette. Dio vuole che noi capiamo il significato delle sue
opere. Se Lui è entrato nel suo riposo nel settimo giorno, è perché vuole che
noi non ci fermiamo, ma anzi camminiamo di più per entrare, per raggiungere
quel luogo in cui Egli si trova in pace. Quando si cammina, se uno va avanti è
sempre una sollecitazione ad un altro a camminare, non quindi per distanziare,
ma per avvicinare di più. Quindi se Dio è entrato nel suo riposo non è perché
anche noi ci sedessimo, ma è entrato nel suo riposo perché noi camminassimo di
più per trovarci vicini a Lui, più vicino a Lui. Questa è l’opera del Figlio
che viene a portare a compimento l’opera del Padre. Ed è quello che ognuno di
noi deve intendere per questo settimo giorno, perché soltanto intendendo questo
settimo giorno, capiamo quello che dobbiamo fare: il superamento della legge
per entrare nella conoscenza e quindi nell’amore. Noi vediamo qui che tutto
l’episodio della guarigione di questo paralitico rappresenta per ognuno di noi
l’opera di Dio nei sei giorni. È attraverso questi sei giorni che Gesù si è
avvicinato a questo paralitico, gli ha chiesto se voleva essere guarito, gli ha
detto: “Alzati, prendi il tuo letto e cammina” e poi l’ha fatto incontrare con
i farisei che lo sollecitavano: “No, tu non puoi fare questo!”; allora lui per
essere fedele a Colui che l’ha guarito dice: “No, Colui che mi ha guarito mi ha
detto …”. Attraverso tutta quest’opera Gesù ci significa l’opera di Dio dei sei
giorni con ognuno di noi, per farci entrare in quello “squarcio di cielo” in
cui Egli dice: “Il Padre mio opera”, per farci capire il significato del
settimo giorno.
Pinuccia: Lo fa entrare nel tempio.
Luigi: Si, ma l’altro non è rimasto nel tempio, non ha capito; è
uscito per andare a dire ai giudei che era Gesù che lo aveva guarito. Però Gesù
è fedele: quello che Lui doveva dire al paralitico, adesso lo dice a tutti,
capiscano o non capiscano; cioè rivela il tempio, quello che c’è dentro il
tempio; rivela quello che Lui avrebbe dovuto dire a quel paralitico nel tempio
se fosse rimasto. E che cosa voleva dire? Voleva dire che il Padre continua ad
operare e come il Figlio deve operare. Abbiamo già visto la volta scorsa che il
Figlio opera per farci comprendere l’opera del Padre. È nella comprensione,
nella conoscenza dell’opera del Padre che si ha il compimento. Ed è il Figlio
che opera questo compimento, perché il Figlio di Dio si caratterizza per
questo: che in tutto vede il Padre, glorifica il Padre. Infatti il Figlio di
Dio è tutto Pensiero di Dio e solo Pensiero di Dio. Il Figlio di Dio si
distingue da noi creature per questo: Lui è solo Pensiero del Padre, noi siamo
pensiero di tante cose, di tante creature; cioè noi siamo possibilità di
diventare solo pensiero del Padre. Ma
proprio perché siamo possibilità di diventare pensiero del Padre, abbiamo tante
possibilità; noi possiamo pensare a tante cose, cioè possiamo diventare
pensiero di tanti: figli del mondo, figli delle creature, figli di noi stessi,
e possiamo anche diventare figli di Dio. Il Figlio di Dio si caratterizza per
questo: è tutto Pensiero del Padre, cioè tutto riferisce al Padre, tutto
giustifica nel Padre, vede in tutto l’opera del Padre, e qui è nella pace. Noi
non siamo nella pace, perché siamo figli di tanti, perché abbiamo tanti nomi.
Quello che rende noi inquieti è la molteplicità, non è la semplicità. Chi ci fa
semplici? Non siamo noi che possiamo farci semplici. Chi ci fa semplici è il
nostro amore. Se avremo un amore unico, saremo semplici. Il Figlio di Dio è
semplice, perché per il Figlio di Dio una cosa sola è necessaria, una cosa
sola. Essendo puro Pensiero del Padre, tutto riferisce al Padre, tutto riceve
dal Padre, e tutto genera con il Padre, perché Lui stesso si genera dal Padre:
è capace di generare il suo pensiero.
Ora suggerirei ad ognuno di approfondire, di vedere che
cosa, attraverso questi argomenti di questo brano di Vangelo, che cosa nella
sua anima intende che Dio dica di Sé. Ognuno sarà colpito da un versetto
piuttosto che da un altro. Magari è sufficiente fermarsi su una frase sola. Ma
non stiamo a pensare quello che Dio dice a noi di fare o di non fare, no,
piuttosto questo: che cosa Dio dice di Sé. Ecco, quello che fa Dio, perché Dio
ci rivela qualcosa di Sé a noi. Che cosa allora rivela di Sé a noi in quello
che sta facendo, in uno di questi versetti, in una di queste parole, in una di
queste scene? Leggendo tutti questi versetti ognuno ascolti ciò che Dio gli
dice di Sé.
I PARTE Che cosa Dio dice di Sé in questo
episodio
Cina: In questo episodio ho visto chiaramente che sono nella
stessa situazione di questo paralitico.
Luigi: Se parli di te siamo fuori tema. Abbiamo detto di
approfondire ciò che Dio dice di Sé.
Cina: Dio mi insegna come fare per guarire. Questo episodio mi
insegna che Dio mi vuole offrire la vita, che però attende che io faccia la mia
parte, se no la sua opera resta incompiuta. Se non rispondo personalmente con
l’ascolto a quello che dice non diventa personale, calato nella mia vita, le
cose restano come sono.
Luigi: Si, quello è ciò che Dio opera con noi. E che cosa fa
conoscere questo di Dio?
Cina: È un richiamo a rispondere alla sua parola, che è detta
personalmente a me, perché non sia come l’acqua che passa e va.
Luigi: Se ti dicessi così: “Dio è …” secondo ciò che hai visto
adesso, che cosa diresti: “Dio è …” vai avanti: Dio è … che cosa?
Cina: Dio è il Creatore che mi vuol salvare.
Luigi: Quindi per te Dio è Colui che ti vuole salvare. Cioè la
nostra salvezza non dobbiamo cercarla altrove. Dio ci dà la vita, ma cerca
anche di salvarcela. Ma la salvezza in che cosa consiste?
Cina: Non perderci dietro ciò che vale niente e occuparci di
ciò che è eterno e il Signore ci dice.
Teresa: Io sono stata colpita dal rispetto che Dio ha per
l’uomo: gli chiede se vuole essere guarito. Perché Dio ha tanto riguardo così?
Poi ci invita a camminare sulla sua parola; se camminiamo sulla sua parola Lui
ci porta nel tempio dove si rivelerà, così come ha fatto per quel paralitico
che è entrato nel tempio.
Luigi: Si, il tempio è il luogo dove Dio rivela il suo Volto.
Dio ci chiama attraverso tutte le cose, ma rivela il suo Volto solo nel tempio.
E che cos’è questo tempio?
Teresa: Il tempio è questa interiorità in cui Dio è al centro di
tutto.
Luigi: È il silenzio di tutto il resto.
Teresa: È dove non c’è l’io al centro, non i nostri interessi; è
dove si dipende da Dio, si fa derivare tutto da Dio; dove Dio è il movente, il
Tutto e dove si riferisce tutto a Lui. Qui Dio si rivela. Poi Dio è Colui che
opera nei sei giorni per formarci l’orecchio, per ascoltare Colui che ci parla:
Gesù è la parola del Padre che arriva a noi. Non basta che Lui parli: vuole
anche la nostra disponibilità all’ascolto. Se ascoltiamo il Figlio avremo la
conoscenza del Padre, e quindi la vita eterna.
Luigi: Se dovessi dire: “Dio è …”, che cosa diresti?
Teresa: Dio è Amore, Dio è nostro
Padre, Dio è Tutto o almeno dovrebbe essere Tutto per noi.
Luigi: Si, Dio è Tutto e continua ad essere Tutto anche se non
è Tutto per noi; però Lui continua ad essere Tutto. Lui è Tutto. Ad esempio
come una persona che amore per me è “tutto”, infatti diciamo: “Tu sei il mio
tutto!”, “Tu sei tutto per me!”. “Tutto” in questo senso. Perché noi potremmo
dire: “Dio è Tutto”, cioè: “Dio è tutte le cose” per cui qualunque cosa che faccio
sono con Dio. Si dice anche: “Chi lavora prega”, per cui confondiamo i nostri
interessi: “Beh, io faccio questo perché è un mio dovere”. No, il “Tutto” di
Dio è diverso.
Teresa: Per una creatura però non è
una parola adeguata dire: “Tu sei tutto per me”.
Luigi: D’accordo, però è quel “tutto” lì, cioè in quanto per
noi vivere è Lui. Quando Lui è Tutto, può anche mancarci tutto il resto e non
ci importa niente, purché non ci manchi Lui. Allora lì si rivela il Tutto, in
quanto uno vive solo per questo, per conoscere Lui, per ascoltare Lui, per
restare con Lui.
Teresa: Si, perché posso vivere
senza tante cose, ma non posso vivere eternamente senza di Lui.
Luigi: Certo, non posso vivere senza di Lui.
Teresa: Perché tutto il resto è
destinato a morire.
Luigi: Cioè, Dio è Tutto.
Teresa: Gli altri non sono il
“tutto” perché un giorno o l’altro mi mancano.
Luigi: Certo e mancano proprio per dire a noi che loro non
possono essere tutto per noi, per cui noi facciamo un errore scambiandoli per
tutto. No, Dio solo è Tutto.
Teresa: Perché tutto ciò che le
altre creature ci danno sono cose destinate a scomparire, mentre il “tutto” è
Lui che è eterno.
Luigi: Certo; tutte le cose scompaiono, ed è Lui che lo fa per amore
nostro; non perché Lui voglia far scomparire, ma per non lasciarci perdere
dietro di esse; quindi lo fa per amore. Questo “Tutto di Dio” è una rivelazione
del suo amore per noi. Il tempo che passa, le creature che passano sono
rivelazione dell’amore di Dio per noi. È Dio che le fa passare e le fa passare
affinché noi non abbiamo a ritenerle nostro tutto.
Teresa: Poi Dio ci rivela il suo
amore in quanto ci viene a cercare lì dove siamo.
Luigi: Nelle nostre paralisi.
Teresa: Viene a muovere le acque,
anche quando noi non possiamo contare più su nessuno.
Luigi: Anche quando siamo fuori della Città di Dio, anche
quando siamo lontani, anzi anche quando non ne vogliamo più sapere di Lui; non
ci abbandona mai, nemmeno nel male più grande. Siamo noi che ci dimentichiamo
di Lui, ma Lui non ci dimentica mai.
Maria: Ho pensato che Dio è
l’Iniziatore di tutto: infatti questi malati si buttano nell’acqua dopo che è
stata agitata dall’angelo. Così pure vediamo che Dio ha la sua ora precisa per
guarire questo paralitico da trentotto anni. E poi ancora dopo averlo guarito,
gli dice subito: “Non peccare più, affinché non ti succeda qualcosa di peggio”,
ma aspetta il suo momento giusto per dirglielo, cioè quando lo trova nel
tempio. Sono questi tre punti che mi hanno fatto pensare come tutto è
iniziativa di Dio, che tutto dipende da Lui, quando vuole Lui, come vuole Lui.
Luigi: Quindi Dio è l’Iniziatore di tutto, è Lui che prende
l’iniziativa in tutto.
Maria: E questo lo vedo in vista
di noi personalmente.
Luigi: Certo. E quand’è allora che noi sbagliamo in questo
pensiero: Dio è l’Iniziatore di tutto? E quale errore allora noi facciamo in
questo? Se Dio è l’Iniziatore di tutto, come dobbiamo comportarci per restare
in questo pensiero? Cioè se Lui deve essere l’Iniziatore di tutto per me, come
mi devo comportare?
Maria: Sbaglio quando penso che le
cose dipendano da me o da altri.
Luigi: Da altre iniziativa, cioè che siano altri a dover
iniziare, o che le cose dipendano dalla nostra iniziativa.
Maria: Quando non riferisco a Dio
le cose, sbaglio.
Luigi: Per cui noi restiamo uniti a Lui, come Iniziatore di
tutto, come Creatore, proprio non facendo conto su nessun altro e nemmeno su
noi stessi.
Maria: Ma facendo solo conto su di
Lui. In questo senso ci fa vedere come Dio è il Padrone, è il Signore, Colui
che domina tutte le cose.
Luigi: Allora possiamo dire: tutti i nostri sbagli, vengono dal
fatto che noi facciamo conto su noi stessi o su nostre iniziative o su
iniziative di altri.
Maria: E ci dimentichiamo di Dio.
Luigi: Ecco, o per lo meno lo mettiamo in secondo ordine.
V.: Io ho pensato che anche
oggi è giorno di festa e Gesù è salito qui tra noi con la sua parola. Nelle
feste c’è gente allegra, ma Gesù va da chi è ammalato. È venuto da me, perché
mi vede inferma: me lo fa capire non solo attraverso la sua parola, ma anche
attraverso gli avvenimenti esterni: “Agita le acque”.
Luigi: Cioè ci fa capire che siamo malati, ma ci fa anche
capire che c’è la guarigione. Ci offre la guarigione, perché agita le acque per
guarirci.
V.: Certo, infatti pensavo
anche questo: dando più valore alla comunità, più di quello che dovevo e che
devo. Finora pensavo, perché non avevo letto profondamente questo passo:
“Quest’uomo non era ancora stato aiutato dagli altri”; se fosse stato aiutato
dagli altri fratelli a buttarsi in piscina sarebbe guarito. Invece oggi mi si è
fatto più chiaro.
Luigi: Doveva passare proprio
attraverso l’esperienza di non trovare nessuno, perché proprio non trovando
nessuno, ha trovato Gesù.
V.: Appunto, è proprio quello che
pensavo: invece è Gesù che l’ha guarito.
Luigi: E allora se a questo punto
tu dovessi dire: “Dio è …”, cosa diresti?
V.: Dio intanto è il Signore
della vita personale, è quello che mi segue da vicino e mi vuol salvare.
Luigi: E possiamo anche dire che Dio
è Colui che aspetta che noi siamo soli per parlare a noi, almeno da quanto tu
sei arrivata a dire. A questo punto tu puoi dire: Dio è Colui che io non abbia
più nessuno che mi aiuti per arrivare a Lui. Riferendomi alle nozze di Cana:
Lui aspetta che finiscano tutti i nostri vini, per offrirci il suo vino. Ora
quando tutte le creature si sono ritirate da noi, quello è il tempo (è Lui
l’Iniziatore del tempo). Ma Lui aspetta che noi ci troviamo soli. E quando ci
incontra in mezzo alla folla, ma ci incontra malati, fa come ha fatto per il
sordomuto: ci prende da parte, ci isola, perché Lui per guarirci ci vuole
trattare personalmente. Non ci guarisce così in faccia a tutti; Lui ci parla a
tu per tu. Lui è molto riservato. Le sue parole sono sempre personali. “Ti
porterò nel deserto e parlerò al tuo cuore”. Ecco, il deserto è necessario: è
Lui che lo forma. Allora se ad un certo momento tutti se ne vanno da noi e noi
restiamo soli, non diciamo: “Le creature mi hanno tradito”, diciamo invece:
“Dio ha operato per portarmi nella solitudine, perché voleva che io mi fermassi
con Lui perché Lui ha qualcosa da dirmi che nessun altro può dirmi”. Nessuno
può dirlo: sono parole che Dio ha riservato a Sé. Sono le parole del settimo
giorno, del suo riposo. Tante parole Lui le fa dire dalle creature, ma le
parole essenziali le ha riservate a Sé solo.
Pinuccia: Vedendo in sintesi questo
episodio si può vedere in esso l’opera del Padre e l’opera del Figlio. Anzi il
versetto 17: “Il Padre mio opera fino a questo momento ed io pure opero”, lo
vedo come la sintesi e la spiegazione di tutti i versetti precedenti. Cioè Dio
creando tutte le cose e noi (è l’opera dei sei giorni che è avvenuta senza di
noi), ci invita alla vita con Lui, cioè ad entrare nel settimo giorno, nella
conoscenza di Lui: questo è il significato del “sabato”. E noi vediamo che
tutto questo episodio si sviluppa proprio in un giorno di sabato proprio
intenzionalmente Gesù lo fa di sabato, per farci scoprire il giusto significato
del sabato, che non è quello di “non far niente”, ma di entrare nella pace del
Padre, nella conoscenza.
Luigi: Nella sua pace. E lì
non si entra senza di noi, cioè senza il superamento di noi stessi: nel
settimo giorno non si entra senza il superamento di noi stessi, perché siccome
la conoscenza del Padre è solo il Padre che la rivela, è necessario che noi
superiamo noi stessi. Fintanto che noi siamo nel pensiero del nostro io non
possiamo conoscere Dio: Dio si conosce soltanto in Dio. Dio però opera tutte le
cose per convincerci di questo, cioè per convincerci che noi dobbiamo superare
noi stessi, perché nel pensiero dell’io non possiamo conoscere Lui. In Dio noi
possiamo conoscere quello che noi siamo, ma nel nostro io noi non possiamo
conoscere quello che Dio è. Ecco, la rivelazione di Dio la si ha solo in Dio.
Pinuccia: Dato però che noi non
facciamo questo passaggio, rimaniamo bloccati dal pensiero del nostro io, non
facciamo questo superamento; ci fermiamo ai sei giorni. E questo avviene in
ogni avvenimento, cosa e persona, perché tutto è fatto in sei giorni: se li
considero solo nell’aspetto che si riferisce al mio io, allora mi fermo al
sesto giorno di essi e non passo oltre.
Luigi: Certo, e questo avviene anche se li intendiamo in
senso morale, come regola di vita, come legge,
come fare una cosa piuttosto che un’altra, come un dovere; ma è sempre relativo
all’io.
Pinuccia: Per cui non faccio più il
superamento dell’io, perché Dio è oltre questo e mi invita a fare questo
passaggio.
Luigi: Infatti qui arriva il problema del conflitto con la
legge, sul sabato. Vedi che qui il Signore ce lo pone proprio. Quegli altri
ritenevano di fare la volontà di Dio, obbligando ad un certo riposo nel sabato,
ed era la legge.
Pinuccia: Addirittura non potevano
guarire un malato.
Luigi: Si arrivava a dire: “No, l’uomo non può essere guarito
in giorno di sabato”, perché guarire è un lavorare, compiere un certo lavoro.
Gesù ci fa capire qui che Dio ha fatto il sabato proprio per guarire l’uomo,
perché l’uomo si ammala proprio perché non entra nel sabato.
Teresa: La guarigione fisica è
solamente un segno della guarigione spirituale.
Luigi: Tutto quello che avviene nel mondo fisico è segno; per
questo va intelletto, va capito con Dio, perché sono segni di Dio. Non dobbiamo
fermarci ai segni: è Dio che parla! E se parla che cosa mi vuole dire? Chi
mette Dio prima di tutto, e Dio va messo prima di tutto, continuamente si
interroga: “Che cosa Dio mi vuol dire attraverso quello?”, perché Dio mi sta
parlando attraverso tutte le cose. Soltanto considerando Lui come tutto, si
riferisce tutto a Lui e non ci si ferma alle creature. Non basta che le
creature mi dicano una cosa o l’altra; no, ma devo chiedermi che cosa Dio mi
vuol dire attraverso questo fatto; bisogna sempre passare di lì, perché è Dio
che parla. Il Signore è Uno solo, non ci sono tanti dei. E se è Uno solo, è Lui
solo che parla e quindi noi in tutte le cose dobbiamo passare al significato,
non fermarci alle cose.
Pinuccia: Se ci fermiamo alle cose,
ci fermiamo al sesto giorno e diventiamo un aborto, perché non passiamo al
settimo giorno. È così?
Luigi: Certo.
Teresa: Nelle cose vuol anche dire
la legge?
Luigi: Anche la legge.
Pinuccia: Perché è riferita all’io.
Teresa: Quei farisei si sono
fermati alla legge e non hanno visto le meraviglie compiute dal Signore.
Luigi: Tutte le cose, anche la legge, e anche le parole stesse
di Gesù, Cristo stesso, se ci fermiamo al pensiero dell’io, li travisiamo,
sempre, perché il pensiero dell’io travisa tutto.
Teresa: Invece di gioire della
guarigione di quell’uomo, lo rimproverano perché portava il letto.
Luigi: Non hanno visto il miracolo, hanno soltanto visto l’uomo
che portava il letto. Un paralizzato da trentotto anni che a un certo momento
cammina e porta il suo letto viene accusato perché porta il suo letto. Ma cos’è
che impedisce loro di vedere?
Teresa: Bisogna sempre essere
aperti perché Dio lavora anche in un piano diverso dal nostro.
Luigi: Non anche, ma sempre, perché Dio è molto superiore a
noi.
Teresa: Loro erano in buona fede …
Luigi: Lo perseguitavano perché faceva simili cose di sabato!
Simili cose! Pensa che Gesù ha guarito un uomo che era paralizzato da trentotto
anni! E siccome ha fatto queste cose di sabato … simili cose, come se avesse
fatto un peccato! Ecco, non vediamo più le meraviglie.
Cina: Mi fa pensare a quando Gesù
difendeva i suoi discepoli, rimproverati dai farisei perché mangiavano le
spighe di sabato.
Luigi: Dicevano che di sabato ciò non si poteva fare; invece il
sabato è fatto per l’uomo. Invece noi usiamo la legge per giudicare gli altri,
per condannare gli altri. Diciamo: “La legge dice quello e allora noi
condanniamo quel tale perché non si conforma alla legge!”. No! La legge è stata
data non perché tu guardassi gli altri, ma perché tu cambiassi te stesso! La
legge ci è stata data per cambiare noi stessi, non per giudicare gli altri! No!
Anzi, negli altri devi sempre vedere la lezione che Dio vuole dare a te. Tutte
le cose le dobbiamo prendere come amore di Dio che parla personalmente per noi,
quindi mai per giudicare gli altri, tanto meno per condannarli. L’abbiamo visto
in quell’episodio dell’adultera: “Non condannare perché chi sei tu? Se sei
senza peccato scaglia la prima pietra e te ne accorgerai!”. Il sabato è fatto
per l’uomo, per guarire l’uomo.
Teresa: Tanto più che essi non
erano nemmeno coerenti con quanto credevano, perché per loro era lecito
liberare un animale caduto in un pozzo e non era lecito liberare una persona.
Luigi: Certo.
Pinuccia: (Continuazione del
riassunto) Allora l’entrata nel settimo giorno non avviene senza di noi, però
non avviene pure senza il Figlio.
Luigi: Si, perché: “Nessuno può salire al Padre se non per
mezzo del Figlio”. Il Figlio è Colui che parla a noi del Padre. Noi da soli non
possiamo nemmeno pensarlo Dio, se Dio non si facesse pensare.
Pinuccia: E si fa pensare attraverso
il Figlio.
Luigi: Il Pensiero di Dio è il Figlio! Se noi pensiamo Dio, è
il Figlio di Dio in noi che pensa il Padre: non siamo noi che pensiamo. È Dio che
si fa pensare e che quindi genera in noi il suo Verbo. Noi non ce ne rendiamo
conto, ma come ho detto molte volte, il pensare Dio, il Pensiero di Dio in noi
è il tesoro più grande che abbiamo nella nostra vita.
Pinuccia: È Gesù stesso?
Luigi: È il Verbo stesso di Dio che abbiamo a disposizione
nostra. È un tesoro grandissimo e noi lo trascuriamo con una facilità enorme!
Maria: Non ce ne accorgiamo
nemmeno.
Luigi: Non ce ne accorgiamo: abbiamo a disposizione un tesoro
enorme e viviamo da mendicanti. È come se avessimo a disposizione una sorgente
ottima e noi, non vedendola, andassimo sempre a dissetarci in una pozzanghera.
Pinuccia: Pensiamo a tante altre
cose.
Teresa: Quindi non aver nessun
altro pensiero che il Pensiero di Dio, vorrebbe dire non aver nessun altro che
Cristo?
Luigi: Certo.
Teresa: E allora si capisce come
Lui dica: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”.
Luigi: Perché il Pensiero di Dio in noi è Dio. San Paolo dice
che chi pensa a Dio forma una cosa sola con Dio. Noi non potremmo pensare a Dio
se Dio non avesse donato a noi il suo Pensiero. Ma il suo Pensiero è Lui
stesso, è suo Figlio! E Lui l’ha donato a noi: tanto è vero che noi possiamo
pensare a Dio, anche quando siamo peccatori, anche quando siamo nel male;
perché se non avessimo la possibilità di pensare Lui, non potremmo essere
salvati per niente, perché noi ci salviamo attraverso di Lui. Noi abbiamo a
disposizione un tesoro e lo trascuriamo con una stupidità enorme. È come se
avessimo in casa dei milioni, dei miliardi a disposizione e andassimo a
elemosinare dai passanti il soldino per poter vivere, per poter mangiare.
Abbiamo in casa dei miliardi, ma non li vediamo; non sappiamo la ricchezza che
Dio ha dato a noi con il poter pensare Dio. Il poterci fermare a pensare Dio è una
ricchezza enorme per la nostra vita. Se lo sapessimo, giorno e notte staremmo
sempre in quel pensiero, perché in esso è una sorgente infinita di problemi, di
luce, di conoscenza, di pensieri, di vita: ci occuperebbe a tempo pieno. E uno
non farebbe fatica a lasciare gli altri pensieri, anzi, se qualcuno lo
invitasse a pensare ad altro, si rifiuterebbe perché troppo impegnato in
quello. Dio è vita!
Marisa: Dovrei piangere, tanto che
sono lontana! Sembra un abisso di lontananza.
Luigi: Se vedi l’abisso è perché la vetta è molto vicina. Non
si vede l’abisso quando si è in basso. L’abisso si vede quando si è in alto.
Dalla Rocca d’Abisso si vedono gli abissi. Più si va in alto, più si vedono gli
abissi. Ma anche quello è dono di Dio. Tutto è dono di Dio. Quindi dobbiamo
solo ringraziare.
Pinuccia: (Continuazione lettura del
riassunto) Questa entrata nel settimo giorno non avviene senza l’opera del
Figlio. Per questo Gesù dice: “Il Padre mio opera fino a questo momento, quindi
anche di sabato, ed io pure opero, cioè porto a compimento l’opera del Padre in
voi, proprio nel sabato”.
Luigi: Si, perché il Padre ha fatto il sabato (per questo dice:
“opera anche oggi”) per salvare l’uomo.
Pinuccia: Non basterebbero i sei
giorni.
Luigi: Non bastano i sei giorni per salvare l’uomo: ci vuole il
sabato. Quindi il sabato è fatto per salvare l’uomo. Gesù salva l’uomo e quindi
opera. “Il Padre mio opera e quindi io opero”. E rivela quindi agli altri
quello che si deve fare di sabato: il sabato è fatto per l’uomo, per salvare
l’uomo. Quindi la salvezza del paralitico è solo un segno per dire a noi la
vera guarigione che Egli reca, perché quando Lui dà la luce al cieco, è per
dire a noi dove è la sorgente della luce spirituale. Dio crea il cieco naturale
per far scoprire a noi la cecità che portiamo nella nostra anima; ma scoprendo
la cecità che portiamo nella nostra anima ci fa anche vedere chi guarisce la
cecità. Perché se Lui ci facesse soltanto vedere siamo ciechi, ci
condannerebbe: “Ti faccio vedere che sei cieco. Stop!”. No! Dio opera in due
modi, in due tempi: ci fa vedere la nostra cecità, perché soltanto vedendo la
nostra cecità, la nostra povertà, capiamo il bisogno che abbiamo. Altrimenti
crediamo di vedere, crediamo di essere giusti e invece siamo in perdizione. Allora
il Signore per sua misericordia, ci fa vedere, ma nello stesso tempo ci fa
vedere che guarisce la nostra cecità, affinché non abbiamo a disperare. In
tutte le opere Egli fa così. Per cui da una parte parla a noi e dice a noi
quello che siamo, ma dice anche a noi quello che siamo, ma dice anche a noi
quello che con Lui possiamo diventare. Egli non ci lascia mai soli: ci fa
vedere l’abisso ma ci fa anche vedere la vetta. Quindi c’è sempre l’apertura:
tu sei questo, però Io sono quello. “Tu sei questo, ma Io sono …”. Ecco, non
dice soltanto: “Tu sei …”. No! Lui non viene per giudicarci, viene per salvare.
Però è necessario che Lui dica a noi quello che siamo, perché altrimenti noi
crediamo di essere diversi. A un certo momento deve dire ai farisei che sono loro
i paralitici. Se ha guarito un paralitico davanti ai loro occhi, l’ha guarito
perché erano loro i paralitici nell’anima. Deve dire loro che sono paralitici,
altrimenti si credono giusti; però dicendo loro la loro paralisi, il loro male,
rivela anche che Lui ha guarito il paralitico affinché anche loro sappiano dove
possono essere guariti. L’offerta della guarigione c’è sempre.
Pinuccia: E in che modo porta a compimento il Figlio
questa opera del Padre? Lo vediamo in tutto il Vangelo, e in questo episodio
del paralitico è chiaramente evidenziato: noi siamo quell’umanità malata fuori
della Città di Gerusalemme, della Città di Dio, quindi fuori del tempio; cioè
non sperimentiamo la Presenza di Dio, perché per entrare in questa Città e
quindi entrare nel tempio, bisogna passare attraverso “la porta delle pecore”.
E Gesù dice: “Io sono la porta delle pecore: chi passa per me troverà pascoli
abbondanti: cioè chi rimane nelle mie parole può conoscere il Padre”. Ma
passare per Cristo vuol dire seguire Cristo. Lui ci dice in modo chiaro le
condizioni: “Chi vuol venire dietro di Me, rinneghi se stesso”. Quindi passare
per la porta delle pecore, vuol dire superare il proprio io e tutto ciò che si
riferisce all’io; andare oltre, guardare in Alto, cercare Dio. Chi non lo fa
rimane paralizzato.
Luigi: Noi dobbiamo sempre tenere presente che il nostro io è
anche creatura, creatura di Dio. E come dobbiamo superare tutte le creature,
quindi dobbiamo anche superare il pensiero del nostro io che è anche creatura.
Pinuccia: Cioè riconoscerlo fatto da
Dio.
Luigi: Ora superare cosa vuol dire? Non fermarci alle nostre
impressioni, ai nostri sentimenti, alle nostre conoscenze, ma cercare sempre
presso Dio. Questo vuol dire superare. Rinnegare noi stessi non vuol dire:
“Adesso rinnego me stesso”. Cosa vuol dire rinnegare me stesso? Mi metto a fare
dei salti mortali su me stesso? No, vuol dire andare oltre, non fermarti a te.
Perché fai questo? Perché mi piace. No, è sbagliato. Perché fai quello? Perché
mi hanno detto di fare così. No! È sbagliato, sono le creature. Perché … ? No,
la ragione del tuo fare deve essere nel Padre. Fintanto che noi non possiamo
dire: “Penso così, parlo così, opero così, perché Dio è così”, noi non abbiamo
superato noi stessi, ma ci fermiamo ai nostri sentimenti, alle nostre
impressioni, alle nostre abitudini, alle nostre regole, ai nostri programmi, ai
nostri interessi, e lì è tutto io. No, la ragione del tuo vivere la devi
cercare presso Dio. Quindi ci deve essere continuamente questo: “Non fermarti a
te stesso, non fermarti alle tue abitudini, non fermarti alle tue impressioni,
vai oltre! Cerca presso Dio, cerca presso Dio, cerca presso Dio. Ti si presenta
questo? Spontanea ti viene una reazione? Un impulso? No, aspetta, cerca presso
Dio: cerca che cosa Dio ti vuol dire, perché Dio ti parla personalmente
attraverso ogni fatto, ogni avvenimento. Ti hanno pestato un piede? Non reagire
subito; aspetta un momento, cerca presso Dio, cosa Dio ti vuol dire attraverso
questo fratello che ti pesta un piede. Cerca presso Dio. Non reagire soltanto
per i tuoi sentimenti, per il tuo piacere, per le tue abitudini, per le tue
regole di vita. No! Ti sei formato un programma e Dio te lo manda in aria? Non
arrabbiarti. È Dio che te lo manda, cerca di capire, riferiscilo a Dio, non
fermarti soltanto all’impressione: “Oh, mi sono fatto quel programma, ora non
posso farlo!”. No! Ecco, questo vuol dire imparare a vivere con Dio, a
dialogare con Dio, a riferire tutto a Dio, quindi a superare noi stessi: a
passare attraverso la porta delle pecore, a guardare in Alto.
Pinuccia: E chi non guarda in alto,
rimane paralizzato. Per questo il Verbo si fa carne e viene tra noi che
giaciamo paralizzati da tutta la vita (trentotto anni) e ci dice: “Alzati! Alza
il tuo sguardo in alto, prendi il tuo letto, cioè prendi il peso della ricerca
di Dio e cammina!”. Viene a darci la medicina: si guarisce dalla paralisi
guardando in alto. Già prima di venire Lui personalmente a dircelo, interveniva
per guarirci attraverso la sua Parola, ed invitandoci a buttarci dietro di essa
“prima di tutto” (= il primo che si buttava era guarito”).
Luigi: Anche questo ci fa capire che la paralisi viene in noi
perché non guardiamo in alto, ma in basso (guardando il nostro io guardiamo in
basso); allora tutte le cose ci paralizzano. Il Signore ci guarisce dicendoci:
“Guarda in alto! Cioè supera te stesso!”. Sei paralitico? Va bene, non
pensarci, guarda in alto, e a un certo momento ti alzi in piedi senza renderti
conto e cammini. Chi ti ha guarito?
Pinuccia: Ci invitava quindi a buttarci sulla parola
“prima di tutto”, perché solo cercando Dio prima di tutto, si può guarire da
qualunque male. Ma Lui viene anche per chi non può più fare questo e non ha più
nessuno che lo aiuti e gli dice: “Alzati, prendi il tuo letto e cammina”. Il
paralitico guarito, ubbidisce, supera la prova in cui Dio l’ha messo,
affermando la volontà di Gesù contro quella dei Giudei (“Colui che mi ha
guarito mi ha detto …”) e così arriva al tempio, dove è incontrato da Gesù,
conosciuto da Gesù. Qui nel tempio ha una conoscenza nuova. Prima lo conosceva
solo secondo la folla. Ma non è rimasto nel tempio. Non basta portarci nel
tempio.
Luigi: Bisogna imparare a restare.
Pinuccia: Gesù dice: “Chi resta nelle
mie parole vedrà la Verità”. Quindi bisogna restare nel tempio.
Luigi: Certo; infatti Gesù invitando quell’uomo guarito a non
peccare più (abbiamo visto che peccare vuol dire “staccarci”) lo invitava a
restare, perché aveva da parlargli dell’opera del Padre, di cui poi parlerà a
tutti, capiscano o non capiscano.
Pinuccia: Con la differenza che nel
tempio si capisce che quello che Lui dice; fuori invece no.
Luigi: Certo, è logico. Infatti i Giudei non capiscono, anzi lo
perseguitano ancora di più e a un certo momento arrivano ad odiarlo, però Lui quello
che deve dire lo dice. Visto che colui che era nel tempio non è rimasto, ecco:
va in tutte le piazze ed invita tutti, parla a tutti (però indubbiamente
soltanto chi entra nel tempio lo intende). Per cui giunge un tempo in cui il
regno di Dio arriva a tutti e tutti ci troviamo dentro: può essere una tragedia
però.
Pinuccia: Quindi praticamente l’opera
del Padre e del Figlio è quella di farci raccogliere tutta l’opera dei sei
giorni, vero?
Luigi: Si, anzi è proprio attraverso quest’opera di raccolta dei
sei giorni che si entra nel tempio, cioè che si entra nella conoscenza del
Padre. È quando si conosce il Padre che si è figli; il Figlio è tutto Pensiero
del Padre, invece noi siamo pensiero di tante cose, siamo molteplicità e nella
molteplicità c’è l’inquietudine, c’è il tempo che passa, c’è la tristezza.
Siamo però chiamati a diventare tutto pensiero di Dio e Dio opera per farci
diventare tutto pensiero di Dio, cioè figli di Dio.
Pinuccia: Fino a non avere un
pensiero nostro, allora.
Luigi: Il pensiero nostro è questo. Questo è il Figlio di Dio:
il Figlio di Dio è Pensiero di Dio. Il Figlio di Dio è tutto Pensiero di Dio.
Pinuccia: Quindi i nostri pensieri
non sono pensieri?
Luigi: I nostri pensieri sono pensieri, ma sono pensieri che
vanno e che vengono e sono relativi alla nostra debolezza, alla nostra miseria,
alla nostra povertà, alla nostra instabilità.
Nino: Sono pensieri riferiti a
noi stessi.
Luigi: Si, sono nel pensiero dell’io; il pensiero dell’io però
che è distacco perché il nostro io si afferma separandosi e separandosi si
distrugge.
Pinuccia: Cioè ci appropriamo
malamente della capacità che Dio ci ha dato di pensare.
Luigi: Dovremmo sempre collegare tutto a Dio. Il mondo è pieno
di parole, ma in tutte queste parole c’è anche però la Parola di Dio. Abbiamo
tanti libri e tra tanti libri c’è anche il Vangelo. “Se lo metterete in alto …”
ecco, chi lo metterà in alto. Bisogna metterlo in alto.
Ho tanti
libri e fra essi c’è anche il Vangelo. Se questo Vangelo lo metto prima di
tutto, allora Lui mi attrae a Sé e mi fa diventare tutto pensiero di Sé; però
chiede a noi che lo mettiamo in alto. C’è sempre questo invito rivolto a noi;
per cui: tanti pensieri e il suo pensiero. “Metti il mio pensiero prima di
tutto, se vuoi diventare tutto pensiero mio”. Diventiamo figli di Dio nella
misura in cui diventiamo tutto Pensiero di Dio.
Pinuccia: E si diventa tutto pensiero
di Dio, raccogliendo tutto nel Pensiero di Dio?
Luigi: Si, perché raccogliere vuol dire semplificare. Cosa vuol
dire mettere in alto? Vuol dire riferire a, e “riferire a” vuol dire
raccogliere, e più uno raccoglie più semplifica in un pensiero solo. Noi siamo
complicati perché abbiamo tanti pensieri, tanti interessi, tanti amori. Nella
molteplicità, dobbiamo passare da una cosa all’altra e allora tutto si complica
in noi, arriva la notte, la confusione, non sappiamo più dove andare e non
abbiamo più né pace né tempo per pensare. Ma non sappiamo più dove andare
perché abbiamo complicato e abbiamo complicato perché non abbiamo messo Lui
prima di tutto.
Pinuccia: Però in questa notte Lui
viene.
Luigi: Lui viene sempre in tutte le cose, sempre per invitarci
a capire la nostra miseria e a mettere Lui prima di tutto. In Lui è la
salvezza.
Pinuccia: Penso che è importante
comprendere in che cosa consista la parte nostra, perché noi nel pensiero del
nostro io il più delle volte la facciamo consistere in un “fare” nel mondo
esterno anziché nel mondo interno.
Luigi: Si, guardi la parte nostra è farla scomparire più che
sia possibile. Più scompare quello che dobbiamo fare noi e più è tutto opera
sua.
Pinuccia: Però lei dice che noi non
entriamo “senza di noi”, cioè c’è una parte nostra.
Luigi: Ma il “senza di noi” è proprio questo: imparare che noi
dobbiamo fare niente, che non dobbiamo fare conto su niente di noi. Più
facciamo il vuoto di noi e più facciamo la parte nostra. È far conto su di Lui.
Teresa: La parte nostra è fare una
scelta: se io scelgo uno.
Luigi: Lascia tutto il resto.
Teresa: Ecco, quindi è questione di
fare una scelta.
Luigi: Ma anche se fai la scelta è grazia di Dio, non è opera
tua. In non far la scelta è opera tua. Tu non scegli? Questa è opera tua; ma
questo è peccato, questo è male. Ma se scegli è per opera di Dio. Non puoi
dire: “Io scelgo”. No! È Dio che ti fa la grazia di scegliere per cui lo
attribuisci a Dio. Tutto quello che di bene si fa nella nostra vita, la
semplificazione della nostra vita e di noi stessi, è tutto dono di Dio, è opera
di Dio. Non è: “Sono io che l’ho fatto”. No! Il nostro “fatto” è sempre un difetto.
Teresa: Quindi basta che metterci
in questo atteggiamento di voler fare la scelta … se è Lui che la fa, basta
desiderare.
Nino: Basta dare il pensiero.
Luigi: Tu non hai la possibilità di dare il pensiero se il
Pensiero di Dio non è venuto a te, per cui se tu dai il pensiero a Dio, tu devi
ringraziare Dio che è venuto a te e si è fatto pensare; è stato tutto grazia.
Anche questo è da attribuire a Dio: non sono io che ho dato il pensiero, no, è
il non dare il pensiero che è opera mia.
Nino: Non c’è problema ad
accettare questo: il problema è rimanere in questo pensiero.
Pinuccia: Quindi dopo quanto è stato detto che cosa possiamo dire
che Dio ha detto di Sé? Dio è l’Essere, Dio è Dio, è il Verbo che giunge a noi.
Nino: Penso che Dio è un’infinità
di cose e noi riusciremo a dire cos’è Dio quando saremo riusciti a raccogliere
tutte queste cose che Lui è, come Lui ci è apparso, perche delle tre Persone,
una si è incarnata.
Luigi: Ma adesso in questo primo tempo ci chiediamo che cosa
Dio dice di Sé in questo fatto. Non avrei ancora chiesto che noi diciamo di
Dio, quello lo riserviamo per la seconda parte.
Nino: Noi diciamo di Dio ciò che
Dio ha detto di Sé, cioè quello che abbiamo capito.
Luigi: Magari!
Nino: Io ho cercato di mettere in
evidenza alcuni elementi che di Sé Lui mi fa scoprire:
-
Prima di tutto ci ricorda che Lui
è la porta stretta, la porta delle pecore: “Tu per arrivare a conoscere Dio
devi passare attraverso di me”.
-
Poi ci dice: “Devi buttarti nella
piscina, cioè ti devi purificare, devi lasciare il tuo io, se non puoi entrare
nel tempio.
-
Poi ci vede malati, ma è Lui che
ci viene incontro, che si abbassa al nostro livello.
Luigi: Cioè non aspetta che noi andiamo a cercare Lui: Lui
stesso viene a cercare noi.
Nino: Però Dio opera sempre per
parabole e sempre ci fa delle proposte, non è che ci imponga qualcosa. Ci
chiede: “Vuoi essere guarito?”. Noi possiamo rispondere di “si” o di “no”. E
intanto vediamo che Dio è amore perché ci sta dietro in tutti i modi; vediamo
che Dio è rispettoso di noi. E questo non è poco: che Dio sia rispettoso di
noi, di noi che manchiamo di rispetto gli uni verso gli altri.
Luigi: Ma tu pensa quello che noi siamo nei riguardi di Dio.
Nei riguardi di Dio siamo meno delle formichine che vediamo qui attorno, eppure
Lui verso di noi ha un amore così grande da rispettare la nostra libertà.
Nino: E ci viene incontro
anche quando noi abbiamo fatto conto per tutta la vita sugli uomini, come
questo paralitico che arriva a dire: “Non ho nessuno”.
Luigi: Lui ci viene incontro quando noi l’abbiamo disprezzato.
Nino: Poi quando noi accettiamo
di essere guariti da Lui, essendo Lui parola del Padre, vuole che diventiamo
secondo la sua parola. Se dice: “Alzati e cammina”, noi dobbiamo alzarci e
camminare e portare il fardello che ci dice di portare. Anche questa è una cosa
donata: Lui ci fa dono di tutto, ma vuole che noi non rifiutiamo niente.
Parlando viene a portarci a compimento la legge, perché noi prima di Lui
eravamo solo alla lettera della Legge ed era questa che ci faceva sbagliare
invece di portarci al bene.
Luigi: Credendo di essere giusti.
Nino: E Lui ci ripete e martella
le cose fino al momento in cui le capiamo: cose sempre sentite e che
improvvisamente ci sembrano nuove. Ed ora con questi farisei viene a compiere
la legge, ad esempio con la questione del sabato; probabilmente i farisei non
l’avevano mai riferita a Dio, non si erano mai chiesti che cosa intendesse Dio
per il sabato.
Luigi: Si, non basta quello che intendiamo noi, bisogna sempre
cercare quello che intende Lui. Per questo ho detto che è sempre necessario
cercare il significato delle sue parole. Dio vuole che noi cerchiamo
l’intelligenza delle sue parole, l’intelligenza delle sue opere, delle sue
lezioni e che non ci fermiamo alle impressioni nostre.
Teresa: Ma chi diceva a questi
farisei che non dovevano fermarsi alla lettera, ma che avrebbero dovuto
giungere allo Spirito della legge?
Luigi: San Paolo dice: “La lettera uccide, lo Spirito
vivifica”.
Teresa: Si, ma questo è per noi, ma
essi come facevano a saperlo?
Luigi: Se uno pensa a Dio, il Pensiero di Dio gli impedisce di
giudicare il fratello, di applicare al fratello la legge, ma di applicarla a
sé. Se tengo presente il Pensiero di Dio, cioè se supero me stesso, mi presenta
che tutto quello che mi accade è Dio che parla a me; allora io non devo
giudicare quello che mi accade. Tra quello che mi accade ci sono anche le
creature che trasgrediscono la legge, ma è Dio che me le presenta e le presenta
a me. Perché
quando uno tiene presente Dio fa un triangolo:
-
Dio,
-
La creatura, la creazione, i
fatti,
-
Il
proprio io.
Se tengo presente Dio, Dio mi presenta quel fatto per me.
Se invece dimentico Dio, allora vedo soltanto la creatura e il mio io, in
orizzontale; così mi arriva una disposizione della legge, un fatto, ecc.? Io
giudico quello che ho davanti; sento una parola? “Questa va bene per il tale”
dico: “Quest’altra per l’altro”, sempre così. È soltanto il Pensiero di Dio che
mi fa riflettere su me stesso! Ricevendo tutto dal Pensiero di Dio allora non
rifletto più sul fratello, ma rifletto su di me, perché Dio parla a me. Anche
questo fratello è opera di Dio, quindi è una parola di Dio per me. E allora che
cosa Dio dice a me? Una pagina del Vangelo: “Che cosa dice a me?”. Riferendola
a noi, abbiamo la possibilità con Dio di capire la lezione del Vangelo, la
parola di Dio; in caso diverso non la capiamo, non possiamo capirla, perché Dio
è Colui che opera, è Colui che parla; ma Dio è anche Colui che illumina e ci fa
capire le sue parole; per cui noi dobbiamo sempre restare con Dio; dobbiamo
restare con Dio sia quando le cose arrivano a noi, e dobbiamo restare con Dio
anche per capire, se vogliamo capire le cose che arrivano a noi. Dio quindi è
il Principio che opera e Dio è anche l’intelligenza delle cose che opera. Noi
generalmente veniamo meno in questa seconda fase, anche quando accettiamo tutto
dalle mani di Dio. Dobbiamo sempre tenere presente questo: se vogliamo capire
il significato delle cose di Dio dobbiamo guardare a Dio. Dio mi ha mandato questo?
“Si, Signore l’accetto. Adesso guardo Te, penso a Te per capire quello che Tu
mi vuoi dire, mi vuoi significare”, perché Dio è l’intelligenza delle cose sue.
Cina: Accettare è già difficile,
tanto più …
Luigi: È già difficile accettare tutto da Dio. Per accettare
tutto da Dio intanto bisogna credere che Dio esiste, perché se non siamo
convinti, non lo possiamo. Poi bisogna credere che Dio è il nostro “tutto”, che
Dio è tutto per noi. Fintanto che non arriviamo a capire che Dio è tutto per
noi, noi ci disperdiamo perché diciamo: “Di quello ho bisogno, di quell’altro
non posso fare a meno, ecc.”; abbiamo tante necessità, e questo ci disperde.
No, dobbiamo arrivare a capire che Dio è tutto per noi.
Cina: E se si viene malati vuol
dire che è nel suo disegno?
Luigi: È Dio che lo fa. Prima di arrivare a capire la necessità
di passare per la porta delle pecore, di superare noi stessi, noi dobbiamo
capire:
-
Che
Dio esiste,
-
Che Dio è Colui che opera in
tutto, che tutto è opera sua,
-
E che Lui è il “tutto” per noi.
Avendo capito che Egli è il “tutto” per noi, incominciamo
a sentire il bisogno di passare attraverso la porta delle pecore, per entrare
nella sua Città, altrimenti non sentiamo questo bisogno, perché uno sente il
bisogno di una persona in quanto ha capito l’importanza, il bene che quella
persona è per lui. Ma fintanto che non ha capito il bene che quella persona è
per lui, non sente il bisogno di essa. Allora ecco che ci sono tutti questi
fatti precedenti attraverso cui Lui opera per convincerci (convincerci vuol
dire legarci, legare a Sé), Dio opera per legarci a Sé, farci diventare suoi
figli.
E per farci diventare suoi figli opera così:
-
non credo in Dio? Dio opera per
farmi capire che esiste;
-
credo che Lui esiste, ma non credo
che Egli sia Colui che opera in tutto? (Si, esiste ma è lontano, le cose vanno
da sole, vanno da sé, sono gli uomini e le creature che operano). Allora Dio
opera per farmi capire che Lui è Colui che opera in tutto e che è presente in
tutto.
-
Ho capito che Lui opera tutto ed è
presente in tutto? Allora Dio opera per farmi capire che Lui è “tutto” per me.
-
Ho capito che Lui è “tutto” per
me? Allora Lui opera per farmi capire come fare, attraverso quale porta devo
entrare per vivere in questo.
-
E quando sono entrato, opera
ancora per farmi restare e quindi per darmi l’intelligenza delle cose sue.
È tutto un progredire di lezioni attraverso le quali Lui
mi fa camminare fino a farmi diventare tutto pensiero suo. Ora noi possiamo
fermarci a diversi punti di questa ascensione e naturalmente come ci fermiamo,
incominciamo ad essere paralizzati, incominciamo ad abortire. Ma se invece
ascoltiamo, Lui opera per farci fare un passo dietro l’altro, con la pazienza,
perché il suo giogo è soave, per farci camminare fino alla vetta. Lui è capace
di portarci e Lui può portarci, però noi dobbiamo sempre accogliere, il che
vuol dire non far conto su noi stessi, non far conto su altro.
Teresa: Pensavo che siamo già tanto
riconoscenti ad un medico, quanto più lo dovremmo essere verso Dio. Dal medico
siamo noi che andiamo o lo chiamiamo e andiamo già a dire noi che siamo malati,
prima che ce lo dica lui; poi se viene lo paghiamo; poi non sempre ci guarisce,
eppure noi gli siamo riconoscenti. Invece Gesù viene Lui stesso ad avvisarci
che siamo malati.
Luigi: Perché noi crediamo di essere sani e Lui viene per farci
capire che siamo malati. E guarda che una delle fatiche maggiori è quella di
convincere uno che è malato e che si crede sano, affinché accetti di farsi
curare. E Lui paga ancora per noi! Dovremmo ora passare al secondo argomento:
“Che cosa noi diciamo di Lui”.
Pinuccia: Ma prima di passare al
secondo dovremmo avere ben chiaro il primo argomento: “Ciò che Dio dice di Sé”.
Proporre che si facesse una sintesi di tutto quello che Dio ha detto di Sé in
questo episodio del paralitico, perché altrimenti non possiamo dire ciò che noi
diciamo di Lui.
Luigi: Ah no, un momento! Perché Lui dice di Sé a noi, quello
che Egli è! Ma c’è tanta diversità tra quello che dice Lui di Sé e quello che
diciamo noi di Lui. Cioè Lui interroga e dice: “Che cosa ascoltate di Me? Che
cosa Io dico a voi di Me?” e poi dice: “E voi, chi dite che Io sia?”. Prima ci
fa osservare quello che gli altri dicono, quello che l’altro dice, quello che
Dio dice. Prima Dio parla di Sé a noi e poi ci interroga: “E adesso tu che
dici? Perché Io ho detto che sono questo, ma tu cosa dici di Me?”. C’è
diversità; c’è molta diversità! Perché abbiamo visto ad esempio il fatto di
dire: “Mio Dio, mio “tutto”!”, non a parole, sia chiaro, mi impegna a non avere
altri “tutto”, altre necessità. Ma quando io dico che Dio è “tutto” e poi ho
bisogno di questo e di quell’altro perché: “Senza questo non posso tirare
avanti, senza questo neppure, come faccio?”, allora il Signore ci dice: “Ti mi
chiami Signore, ma guarda quanti signori hai tu!”.
Pinuccia: Cioè con la vita diciamo:
“Signore” ad altre cose!
Luigi: È così. Quindi Lui ci dice: “E adesso tu cosa dici di
me?”. E se noi diciamo: “Tu sei il mio Signore!”, Lui ci può rispondere:
“Guarda un po’ quanti signori ha intorno a te?!”. È qui la diversità.
Pinuccia: Pensavo che dovessi dire di
Dio quello di cui sono convinta, anche se poi nella vita pratica non son
coerente. È sbagliato?
Luigi: Lui dice a noi ciò che Egli è. Ma dopo aver detto a noi
quello che Egli è, chiede a noi che diciamo quello che Lui è, non a parole ma
nella vita.
Pinuccia: Ma allora non basta la convinzione?
Luigi: No.
Pinuccia: L’ideale allora è quello di
arrivare a dire con la vita quello che Lui dice di Sé.
Luigi: Siamo chiamati ad essere con Lui come Lui è con noi, ad
amarlo come Lui ama noi, a conoscerlo come Lui conosce noi, a vivere con Lui
come Lui vive con noi. Ora, Lui vive con noi anche quando siamo nel massimo
della disonestà, nell’infedeltà, nell’adulterio: Lui vive con noi! E Lui chiede
a noi che viviamo con Lui come Lui vive con noi, con quella generosità lì, e
non soltanto perché c’è una paga, una ricompensa; ma anche ammesso che Dio ti
dimenticasse, ti tradisse, fosse adultero verso di te (scusate il termine),
guarda che Dio resta con te anche se tu sei adultera, per cui tu impara a
restare con Lui anche quando Lui ti dimentica, quando Lui non si rende
presente, quando Lui non parla più, e tu resta con Lui, come Lui resta con te.
Pinuccia: È per questo che bisogna
avere ben chiaro il primo punto per poter passare al secondo.
Luigi: Certo, e dopo quanto è stato detto in questa prima
parte, per te, adesso, Dio che cos’è? Tu non devi ripetere che cosa Dio dice di
Sé, ma devi dire che cosa Dio è per te. Dio dice qualcosa di Sé in quanto ti
propone un ideale, una meta; ma attualmente per te Dio che cos’è? Un Essere
indifferente? Un Essere lontano? Un Essere astratto o è tutto il tuo amore?
Tutta la tua vita? È tutto per te? Che cos’è per te?
Pinuccia: Chiederei prima di entrare in questa seconda
parte, di soffermarci ancora un momento sulla prima, perché mi aiutassero a
rilevare dalle stesse cose che ho detto quello che Dio dice di Sé, perché io
questo non l’ho detto.
Luigi: D’accordo.
Pinuccia: Avevo detto che il Figlio
viene a compiere l’opera del Padre facendoci capire che dobbiamo entrare nel
sabato e come va inteso questo sabato.
Luigi: Ora, prima di tutto: che cos’è il Figlio per operare in
questo modo? Perché non lo opera il Padre. Perché noi diciamo: “Questa è opera
del Figlio”? Il Figlio è Dio, come il Padre è Dio perché formano un Essere
solo. Però a questo punto, chiediamoci: perché non è il Padre che viene a farci
capire le sue opere, ma è il Figlio? Perché? Chi è il Figlio?
Pinuccia: Il Figlio è Colui che è
generato dal Padre.
Luigi: Sì, è giusto, ma non basta.
Pinuccia: E trova tutta la ragione
della sua esistenza, del suo essere, nel Padre.
Luigi: Ecco, il Figlio è questo. Perché non basta essere
generati dal Padre. Bisogna riconoscerlo, perché siamo nel ritorno. Il Figlio è
Figlio in quanto attribuisce tutto al Padre, anche Se stesso, il suo essere: lo
attribuisce al Padre. Fintanto che noi non attribuiamo a Dio tutto di noi, noi
non siamo figli.
Teresa: Ma questa è l’azione del
Figlio, invece prima ci chiedevamo …
Luigi: Appunto, perché questa è l’azione del Figlio? Proprio
perché il Figlio è figlio in quanto attribuisce tutto al Padre, anche Se
stesso. E allora Lui viene (ecco l’opera del Figlio), viene per attribuire
tutto quello che noi non attribuiamo di noi a Dio (per cui siamo malati), viene
per farcelo attribuire al Padre: questa è l’opera del Figlio. Per questo si
distingue il Figlio dal Padre.
Teresa: Questa è l’opera del
Figlio, ma cosa dice qui che il Padre è?
Luigi: Il Padre è Colui che opera in tutto. Il riconoscimento
che tutto è opera del Padre è il Figlio.
Pinuccia: Allora da questo primo
punto posso dire: “Dio è Colui che opera in tutto”.
Luigi: Dio è Colui che opera in tutto, e se tu dici che Dio è
Colui che opera in tutto, appartieni al Figlio: è il Figlio di Dio che
riconosce questo in te. Tu non sei tu che operi e dici questo: è il Figlio di
Dio che dice questo.
Pinuccia: Quindi il Padre è l’Unico
Operatore.
Luigi: L’Unico Operatore è il Padre. Il Figlio riconosce che
l’Unico Operatore è il Padre. Fintanto che noi riconosciamo che sono altri gli
operatori, o che siamo noi stessi, non siamo figli e non è il Figlio che parla
in noi. Il Figlio viene in questa nostra deficienza, per dire: “Guarda che
tutto è opera del Padre, anche la tua deficienza” (per la quale noi ci crediamo
soli). Raccogli anche questo! E allora lì abbiamo il Figlio.
Teresa: Ma lì vedo la parte del
Figlio, ma la parte del Padre che dice: “Io sono …”, non la vedo.
Nino: Se il Figlio è la parola,
il Pensiero del Padre, non è il Padre che parla attraverso il Figlio?
Luigi: Certo, e soltanto perché è il Padre che parla attraverso
il Figlio che …
Nino: Se noi accettiamo che il
Figlio è la parola, il Pensiero espresso del Padre …
Luigi: Siamo figli …
Nino: Noi veniamo a conoscere il
Padre.
Luigi: Il Figlio è Colui che conosce il Padre.
Nino: Per questo Gesù alla fine
dopo aver tanto parlato dice: “Come? Da tanto tempo che siete con me e ancora
dite che non conoscete il Padre?”, se io vi parlo unicamente del Padre?
Luigi: “Chi vede me vede il Padre”.
Nino: Certo, c’è molta diversità
tra quello che io o un altro diciamo o parliamo del Padre e quello che parla
Gesù. Se noi diciamo che Gesù è il Verbo di Dio incarnato, noi diciamo: è il
Padre che parla così.
Pinuccia: Quindi concludendo, posso
dire che il Padre è l’Unico Operatore e che il Figlio …
Luigi: … è Colui che riconosce che Dio è l’Unico Operatore.
Pinuccia: Passando ad un altro punto:
noi siamo quell’umanità malata fuori della Città di Dio.
Luigi: Perché non diciamo che Dio è l’Unico Operatore.
Pinuccia: E Gesù dice: “Io sono la porta”. Ecco, qui cosa dice
Dio di Sé? Lì è il Figlio che dice che è la porta, ma il Padre che cosa dice di
Sé?
Luigi: In quanto dice: “Io sono la porta”, dice a noi qual è la
condizione per riconoscere che tutto è opera di Dio, per riconoscere che Dio è
l’Operatore.
Pinuccia: Dicendo che Lui è la porta, non dice anche che
Dio, il Padre è il fine? Perché se io passo per la porta è per arrivare ad un
fine.
Luigi: Certo, ma il fine è questo riconoscere Dio Operatore in
tutto.
Pinuccia: Ma non è Dio il fine?
Luigi: Certo. La porta è quella che ci fa capire, ci fa
entrare. Entrare vuol dire intendere, capire, arrivare a capire. Passare
attraverso la porta vuol dire arrivare a capire quello che ancora non capiamo.
Teresa: Cioè entrare nel Pensiero
dell’Altro.
Luigi: Se non capiamo è perché siamo ancora nel pensiero del
nostro io, nel pensiero del mondo. Allora siamo fuori. Chi si presenta a noi
come porta, si presenta come luce che illumina e fa capire quello che
attualmente non capiamo. E siccome noi non capiamo perché siamo separati (il
pensiero del nostro io ci separa), allora l’altro Io, l’Io di Dio che si
presenta a noi, diventa porta per noi per capire Dio, il Padre. Senza di Lui
non possiamo arrivare al Padre. Ecco la porta.
Pinuccia: Questo è quanto il Figlio
ci dice di Sé.
Luigi: è il Pensiero del Padre che si presenta a noi,
attraverso il Figlio, e che diventa porta per noi. Perché la porta è un altro
io, perché fintanto che io penso a me stesso, io non posso assolutamente capire
(nel pensiero dell’io noi non possiamo conoscere); bisogna che ci sia un altro
che venga a me e che parli a me; venendo a me, in quest’opera di misericordia,
in questo entrare in casa mia, in questa grazia che l’Altro mi presenta, mi
spalanca la porta, il suo Io. Quando una persona viene a noi, cosa vuol dire? È
una meraviglia! Un’altra persona che viene a me! Ecco, la sua venuta mi
spalanca una porta! Mi fa uscire dal mio io.
Pinuccia: Quindi Dio è Colui che mi
viene incontro.
Luigi: Dio è Colui che viene incontro al pensiero del mio io
per farmi uscire dal pensiero del mio io. Senza di Lui io non posso uscire dal
pensiero del mio io. Per questo dico che noi non possiamo pensare Dio, se Dio
non fosse venuto già prima a noi. Noi non potremmo nemmeno pensarlo. Ma se lo
pensiamo è perché già Lui per primo è venuto e si è donato a noi.
Pinuccia: E poi se il Pensiero di Dio
è già Lui …
Luigi: Già; infatti noi non possiamo pensare Dio senza il
Pensiero di Dio; ma il Pensiero di Dio è Lui. Per cui Dio è il Pensiero di Sé
in noi.
Pinuccia: Nel punto seguente poi Gesù
dice al paralitico: “Alzati, prendi il tuo letto e cammina”. Quindi il Figlio è
Colui che ci dice di alzare il nostro sguardo a Dio. E il Padre?
Luigi: Il Padre è Colui al quale il Figlio ci dice di alzare il
nostro sguardo, perché la meta è il Padre stesso.
Pinuccia: Quindi il Padre è Colui che
si presenta a me!
Luigi: In quanto si presenta come meta, ci fa alzare gli occhi
da quello che ci tiene in basso, cioè dal nostro io, dal nostro mondo, dalle
creature; quello è opera di Dio, quindi è Dio stesso. E siamo con la Porta.
Cioè Dio è Colui che viene a noi. Dio è Colui che dopo averci creati, viene a
noi per liberarci.
Pinuccia: Poi Dio è Colui che agita
l’acqua, è Colui che ci mette alla prova, perché affermiamo lo Spirito.
Luigi: Sì, è Colui che ci mette alla prova. Dio è anche Colui
che ci presenta questo panorama. È Lui che ci ha condotti qui per farci
guardare questo e farci dimenticare questo.
Pinuccia: Cioè trascenderlo?
Luigi: Per non guardare attorno a noi, ma per guardare dentro
di noi. Prima ci fa guardare intorno i poi ci invita a guardare dentro. Prima
ci dice le sue parole, poi chiede a noi le nostre parole, chiede a noi
qualcosa.
Nino: “Chi dice la gente che io
sia?”.
Luigi: Quindi prima dice: “Che cosa vedi di Me attorno a te? E
adesso tu cosa dici di Me?”. Prima ce lo fa dire da tutte le creature attorno.
Cina: È più facile capirlo
guardandoci attorno che dentro.
Luigi: Certo, è lì il difficile. Prima ce lo fa dire da tutti:
dai fiori, dai prati, dal cielo, dal sole, dalle nubi, dal vento, dal freddo,
dal caldo. Tutto ci parla di Lui e da tutto ci fa parlare di Sé a noi
attraverso le cose. Dopo averci fatto parlare attraverso tutte le cose, ci
dice: “Adesso dì tu …”. Dopo aver fatto parlare tutte le cose abbiamo Gesù che
parla del Padre, ce lo rivela. E poi invita noi: “Adesso Sali tu sulla scena e
dì davanti a tutti: che cosa è Dio per te?”.
Pinuccia: Prima ci dice di tenercelo
per noi, no?
Luigi: In un modo o nell’altro noi siamo spettacolo … Ora,
chiediamoci in questo tempo di silenzio: “Che cosa tu dici di Dio”.
Pinuccia: “Ciò che voglio che Dio sia
per me”, sarebbe così?
Luigi: Voglio, può anche essere una speranza. No, che cosa tu
dici di Dio oggi; non mettiamoci nel sogno (Dio dice quello, e allora io dico
che Dio è “tutto”). Ma cosa dici tu?
Pinuccia: Ma sono gli altri che mi vedono che possono
dirlo.
Luigi: Ma tu, cosa dici di me?
Pinuccia: Allora è un esame di coscienza che ci proponi di fare?
Luigi: No, ma: “Che cosa tu dici di Dio?”. È Gesù che lo
chiede: “Che cosa dicono di me? E tu che cosa dici?”.
Nino: Diciamo quello di cui siamo
convinti e poi ciascuno di noi vede la dissonanza che c’è tra quanto dice e la
sua vita, no?
Luigi: Certo, perché nessuno vuol fare l’esame di coscienza
all’altro.
Nino: Perché se non ci fosse più
dissonanza tra quello che noi pensiamo e quello che noi diciamo …
Luigi: Saremmo già figli di Dio, in Paradiso, nella vita
eterna.
II PARTE Che
cosa Dio è per me Che cosa dico che Dio è
Luigi: Isaia dice che Dio è come un fiore spuntato in cima alla
collina per essere raccolto e chi per primo lo vede lo raccoglie.
Pinuccia: Come: “Chi si butta per
primo nell’acqua …”.
Luigi: “Chi si butta per primo nell’acqua è guarito”. Chi per
primo Lo vede Lo raccoglie. Chi non Lo vede non Lo può raccogliere; ma chi Lo
raccoglie resta raccolto.
Pinuccia: Dio è così?
Luigi: Dio è così! Si offre a noi come un fiore spuntato in
cima alla collina.
Cina: A me il Signore in questo silenzio
mi ha detto che devo vivere nella fede.
Luigi: Il tema che ci eravamo proposti era questo: “Che cosa
Dio è per me”.
Cina: Ciò che è mi porta a vivere
nella fede.
Luigi: Rispondi: “Dio per me è …”.
Cina: Dio per me è il Creatore, Colui
del quale non posso fare a meno, a rischio di vivere una vita inutile.
Luigi: Cosa vuol dire fare a meno? Non poter fare a meno?
Cina: Quando non mi appoggio su
Dio è niente tutto quello che faccio; cioè non dovrei mai vivere autonoma,
staccata; almeno non dovrei.
Luigi: Tu sei disposta anche … a non mangiare più la minestra?
Cina: Posso anche mangiare altro
… Però dico solo che fa bene … non sono paste dolci.
Luigi: Noi possiamo essere schiavi anche di un filo d’erba, di
un fiore. Possiamo essere legati con una fune o con un filo di seta: il
risultato però è sempre lo stesso. Possiamo essere legati alle paste dolci e
possiamo anche essere legati alla minestra. Se Dio ci volesse talmente liberi
da … Se tu dici che Dio è Colui del quale non puoi fare senza, implicitamente
devi accettare di non ritenere nient’altro necessario. Devi accettarlo perché
Dio solo è Colui del quale non si può fare a meno. Succede invece che ognuno di
noi ha una sua “minestra” di cui non può fare a meno. Comunque per te Dio è Colui
del quale non puoi fare a meno. Implicitamente tu capisci che dicendo: “Dio è
Colui del quale non posso fare a meno” vuol dire che: “Di tutto il resto posso
farne a meno”, no?
Cina: L’unica cosa che conta è
quella che faccio non staccata da Dio.
Luigi: Sì, ma dicendo: “Dio è Colui del quale non posso fare a
meno”, capisci che implicitamente devi dire che di tutto puoi fare a meno,
fuorché di Dio? E quindi devi essere disposta a far meno di tutto, perché
soltanto così acquisti veramente quella libertà per fare quello che vuole Dio.
Mi hai capito? Se per te Dio è Colui del quale non puoi fare a meno … Tutte le cose hanno due facce:
-
Dio è Colui del quale non posso
fare a meno;
-
L’altra faccia: posso fare a meno
di tutto il resto.
Perché se non dico quello, vuol dire che Dio non è per me
Colui del quale non posso fare a meno.
Cina: Cioè tengo il piede in due
scarpe.
Luigi: Ecco.
Cina: È vero, c’è tanta
incoerenza.
Luigi: È come se dicessi: “Io scelgo Dio”, ma poi non lascio
tutto il resto.
Cina: Però guardando indietro,
vediamo come Dio ci ha orientati, come ci ha tolto lo smarrimento, quindi ci
aiuterà ancora.
Luigi: Certo. Perché poi c’è questo: perché si fanno queste
riflessioni? Perché uno impari a parlare proprio secondo Dio. Molte volte noi diciamo:
“Si, Dio è Colui di cui non posso fare a meno”, poi parlando senza rendercene
conto testimoniamo che non possiamo fare a meno di ben altre cose. Così ad un
certo momento vendiamo la nostra eredità spirituale per un piatto di lenticchie
o per un piatto di minestra. Insisto, perché senza accorgercene noi rendiamo a
parole testimonianza di altro; così mentre diciamo: “Per me Dio è tutto”,
immediatamente dopo diciamo il contrario con le nostre parole e crediamo magari
di essere in buona fede. Ecco, bisogna imparare a parlare. Perché, soprattutto,
noi pecchiamo con la lingua. Sembra strano perché diciamo: “È con i fatti che
si testimonia …”. Ma guarda che prima di tutto, noi pecchiamo con la lingua.
Bisogna imparare a parlare secondo Dio. Quindi quando diciamo: “Dio è l’Unico
necessario”, stiamo attenti a quello che poi diciamo, perché ogni parola in più
diventa un’infedeltà, un tradimento, un adulterio, perché prima hai detto
altrimenti. Ecco, bisogna imparare a parlare secondo l’unica cosa necessaria che
abbiamo riconosciuto. Questo va fatto soprattutto nelle parole prima ancora che
nei fatti. Perché prima dobbiamo verificare i pensieri; poi dobbiamo prendere
possesso anche delle parole, e quindi verificare le nostre parole. Poi di lì
deriveranno anche le azioni. Ma se noi pecchiamo con le parole, stiamo freschi
a curare le azioni! Dobbiamo infatti scendere dal pensiero alla parola e
all’azione: unificare tutto in quell’unico necessario che si riconosce, cioè in
quell’Unico Signore che Egli è.
Teresa: Per me Dio è prima di tutto il mio Creatore, il mio
Sostenitore.
Luigi: Ma è il tuo Creatore di ogni giorno. Ogni giorno è il
tuo Creatore, quindi è il tuo Sostenitore. Creatore e Sostenitore: cioè ti crea
ogni giorno. Ogni giorno ti sveglia e ogni giorno ti crea con tutti i fatti che
incontri.
Teresa: Mi dà l’aria da respirare,
l’alimento da mangiare …
Luigi: Certo, è tutto Lui.
Teresa: Dio per me ha una certa
attrazione, anche se non riesco del tutto ad alzare i piedi da terra.
Luigi: Ha un certo fascino per te.
Teresa: Ha un certo fascino: per il
motivo stesso che sono qui e per tanti altri motivi.
Luigi: Per cui le creature non hanno più tanto fascino.
Teresa: Certo di mettere Lui prima
di tutto, ma tra il cercare e il riuscire …
Luigi: Sì, però senti che ha una certa attrattiva, un certo
fascino.
Teresa: Sì, più che mai sento che desidero una maggior
conoscenza di Lui fino …
Luigi: Fino alla vita eterna.
Teresa: Sì, sento che è la mia
vita, non solo perché Lui mi mantiene in vita (e di questo posso anche essere
incosciente), ma sento anche che è la mia vita eterna.
Luigi: Ecco, perché Dio ti mantiene in vita è la tua vita; ma
tu capisci che c’è diversità tra il dire: “Dio è la mia vita” e dire: “Dio è la
mia vita”? Sono le stesse parole, ma vogliono dire due cose molto diverse.
Teresa: È la mia vita eterna, se io
Lo faccio mio …
Luigi: Certo, se Lo fai tua vita. Perché Dio è la tua vita, ma
tu devi farlo tua vita. Cioè ritorniamo al concetto: “Dio è Colui senza il quale
non posso fare niente; è l’Unico necessario, l’Unico mio bene”.
Teresa: Capisco che la vita eterna
c’è solamente Lui.
Luigi: Certo; ma guarda che la vita eterna è già adesso. Non
sarà domani. La vita eterna è la vita vera, quella non cambia. La vita che
facciamo così col mondo è una vita fasulla. Infatti se noi viviamo solo col
mondo, ci sentiamo il vuoto dentro, il vuoto della vita.
Teresa: Sono convinta che per
entrare nella vita eterna già adesso deve valere solo Lui.
Luigi: Certo.
Teresa: Lo desidero e Lo voglio mettere prima di tutto sempre,
ma non sempre ci riesco: alle volte sono cose che dipendono solo da me, altre
volte meno …
Luigi: … o non dipende da Dio tutto?
Teresa: No, il non aderire dipende da me. A volte trovo delle
scuse, a volte me le invento. Nonostante questo credo che per me Dio abbia un
grande valore.
Luigi: D’altronde se Dio non avesse tale attrattiva tu non
saresti qui.
Teresa: So che Lui mi vuole attrarre e io desidero lasciarmi
attrarre, però …
Nino: Anche per me Dio è il Creatore e il Fattore di tutto, di
ogni cosa e che opera da sempre per riprendermi dalla mia dispersione. Lo
riconosco, anche se ancora non Lo vedo in tutto immediatamente, ma Lo vedo dopo
ripensandoci. È Colui che opera per portarmi alla conoscenza sua, all’armonia
con Lui (che è il pensiero continuo di Lui). Lo desidero e glielo chiedo. So
che è opera sua. So che i tempi sono suoi e aspetto. Lui è il Principio
dell’armonia, non soltanto tra la nostra anima e Lui, ma anche con tutte le
creature. è la bellezza del ”ut unum sint”. Non soltanto con le creature
uomini, ma con tutte le creature, perché Dio è il Principio di armonia con
tutto: con Lui tutte le creature diventano amiche. Tutto diventa amico; diventa
amico nostro il sole che tramonta e diventa amica nostra anche la notte che
arriva. Ad esempio, non sono ancora riuscito a diventare amico con i lumaconi
che mi mangiano tutto l’orto.
Luigi: Ma il giorno in cui tu diventerai amico con i lumaconi,
loro se ne andranno; avranno cessato la loro funzione, ti saluteranno perché
ormai hanno trovato un amico: “Ora non ti mangiamo più niente, perché siamo
amici”, e se ne andranno.
Nino: Quando sto per ucciderli,
penso che non sono in linea. Così con le mosche.
Luigi: Penso che più noi diventiamo amici e meno essi ci
disturbano. Tutte le creature diventano amiche, se noi siamo amici di Dio.
Teresa: Così succede per le
persone: un amico non ci disturba mai, anche se arrivando, rompe i nostri
piani.
Luigi: Se noi siamo amici di Dio.
Teresa: E invece magari ci
irritiamo solo all’annuncio dell’arrivo di una persona.
Luigi: Noi non ce ne accorgiamo: molte volte crediamo che le
bestie, gli animali, siano fastidiosi verso di noi, ma è perché noi siamo
fastidiosi verso Dio. Ma più siamo amici di Dio e più ci accorgiamo che tutta
la natura (non diciamo che diventi un paradiso terrestre perché abbiamo il
peccato, ecc.), ci diventa amica. Per chi è amico di Dio, ed è logico, tutte le
creature diventano amiche; perché tutto è opera sua.
Teresa: Quindi ci disturbano se non
c’è amore.
Luigi: Sì, perché l’amore rende accettabile tutto e non
soltanto, ma rende tutto amico, perché tutte le creature sono effettivamente
amiche nostre; Dio ha creato tutte le cose per noi. Il sole non tramonta e ci
lascia al freddo perché sia nostro nemico: anche lì c’è un’opera di amicizia
nei nostri riguardi. La montagna è amica: parla a noi di Dio. E tutte le
creature sono amiche nostre se noi siamo amici di Dio. Se invece trascuriamo
Dio, allora anche le creature ci trascurano. È una lezione; se capissimo la
lezione, già penseremmo all’amicizia e le ringrazieremmo: “Ti ringrazio
creatura che mi pesti un piede, mi fai ricordare di Dio, mentre me ne stavo
dimenticando”. Colui che lancia la pietra per richiamarmi dal sentiero che ho sbagliato,
me la lancia per avvisarmi che ho sbagliato sentiero. Ma dobbiamo ringraziarlo:
“Grazie, perché hai pensato a me”.
Teresa: Quindi la stessa cosa può essere o di distrazione o di
aiuto per richiamarci a Lui.
Luigi: Tutte
le cose avvengono per riportarci a Dio, sempre, da parte di Dio, perché Dio
opera per il bene. Ma se noi siamo chiusi nel nostro io, allora le cose ci
urtano, ci rendono infelici, ma esse operano per dirci che ci siamo distratti
da Dio. Se noi siamo amici di Dio tutte le cose ci confermano; se noi ci siamo
allontanati o ci dimentichiamo di Dio, tutte le cose ci deludono, ci stancano,
ci irritano per dirci: “Ti sei dimenticato del tuo Signore”. Ed è opera di Dio
anche questa; opera d’amore.
Teresa: Però noi non attribuiamo la colpa a noi, ma agli altri.
Luigi: È
lì l’errore, perché anche per ricevere la lezione dagli altri, bisogna pensare
Dio. Più invece noi trascuriamo Dio e più la lezione si aggrava su di noi, fino
ad arrivare al delitto massimo.
Teresa: Quindi il male è sempre dentro di noi.
Luigi: Il
male è sempre dentro di noi. Più è dentro di noi e più noi troviamo
l’infelicità anche attorno a noi.
Teresa: Più è dentro di noi e più l’attribuiamo agli altri.
Luigi: Si
arriva al punto che a forza di attribuirlo agli altri, accusiamo e uccidiamo. È
tutta misericordia di Dio per farci rinsavire, cioè per farci capire che
dobbiamo mettere Lui al centro dei nostri pensieri e non mettere il nostro io.
Teresa: Certo, è che il problema è tutto lì: attribuire tutto a
Lui.
Luigi: Attribuire
tutto a Lui cioè diventare figli di Dio. Vedi quali opere Dio fa per
convincerci a diventare suoi figli! Pensa un po’, siamo ben testardi però!!!
Pinuccia: Dio è Colui dal quale uno non si stanca mai di
sentir parlare, ma lo scopo di arrivare a sentire parlare Lui stesso.
Luigi: Il
Signore opera attraverso le creature affinché noi guardiamo Lui, e ci mettiamo
a tu per tu con Lui, in diretto contatto con Lui. Dio vuole parlare con noi
personalmente. Dobbiamo arrivare a dire al Signore: “Signore, basta, non farmi
più parlare di Te dagli altri; io voglio sentire Te”.
Pinuccia: Certo, mentre uno sente gli altri parlare di
Dio, il desiderio è quello di arrivare a sentire la parola che Lui dice.
Luigi: È
Lui che la dice.
Pinuccia: Perché se sento parlare di Dio, ma non sento
Lui che mi dice qualcosa, a che mi serve?
Luigi: Se noi capiamo qualcosa di Dio, è perché l’abbiamo
dentro di noi; se in noi non ci fosse il Verbo di Dio che parla a noi, anche il
parlare esterno non direbbe nulla a noi di Dio.
Pinuccia: Quindi è già Lui che parla a noi.
Luigi: Sì,
è Lui che parla a noi.
Pinuccia: Se no tutto sarebbe solo rumore.
Luigi: Dio
parla all’esterno attraverso tutte le cose ma ci invita ad ascoltarlo dentro,
ad entrare dentro di noi.
Teresa: Se Dio non parlasse dentro di noi, sentir parlare di Lui
non sarebbe solo rumore, ma addirittura ci unirebbe, sarebbe quasi
insopportabile.
Luigi: L’elemento
fondamentale, quello che ci rende proprio accettabili le cose esterne è sempre
il fattore interno. Noi capiamo sempre in relazione a quello che abbiamo
dentro. Se tu hai la tristezza nel cuore, puoi vedere il più bel spettacolo di
questo mondo, non ti rallegra, anzi ti aumenta la tristezza.
Pinuccia: Perché è in contrasto e ci si chiede il
perché.
Luigi: È
in contrasto con la gioia fuori con la nostra tristezza dentro. Chi è in lutto
grande, il vedere la gioia fuori, lo rattrista ancora di più.
Teresa: Così ho visto coi bambini abbandonati: più ricevevano
doni e più aumentava la loro tristezza e diventavano insopportabili; questi
doni ricordavano loro la situazione di
abbandono che vivevano.
Luigi: Tutto
dipende da questa dimensione interiore. Quindi bisogna avere molta cura di
essa. Non accontentarti, ad esempio riguardo a questi bei monti, di ammirarli,
ma cerca sempre quello che il Signore ti vuole dire. Portali dentro di te. I
monti sono dentro di te. Le ascensioni vere sono dentro di noi. Ecco, le vere
ascensioni vanno fatte dentro. E questa ascensione è: “Alzati! Alza i tuoi
pensieri dalle cose che oggi ti ho fatto vedere: alzati! E guarda Me, ascolta
Me, parla a Me!”
Teresa: Queste cose esterne possono riportarci a Dio, e possono
anche soddisfare il nostro io: ad esempio quello di arrivare alla cime di una montagna.
Luigi: Certo,
può essere sentimento e invece dobbiamo capire che in tutto c’è Dio che parla e
parla per riportarci sempre intimamente a questo, fino a scoprire la sua
Presenza, il suo Volto, la sua Persona in noi, fino a poterlo individuare; in
modo da poter parlare con Lui, ascoltare Lui come ci ascoltiamo qui tra noi, ma
molto di più. Molto di più, perché noi ci ascoltiamo, ma c’è sempre tra noi una
frattura; vediamo solo i corpi, invece con Dio no, con Dio c’è immediatezza.
Teresa: Arrivare a togliere l’attrazione del nostro io è
difficile.
Cina: Però c’è la parola di Dio che dice: “A Dio nulla è
impossibile”.
Luigi: Effettivamente
a Dio nulla è impossibile. Siamo soltanto noi che col nostro io diciamo a Dio:
“Non tutto è possibile!”.
Teresa: È difficile perché mentre cerchiamo Dio, c’è anche un
continuo accontentare il nostro io. È difficile andare a Dio in modo puro, è
difficile che questa ricerca non sia anche un po’ accompagnata dal gusto, dal
sentimento.
Pinuccia: Ma questo se c’è si prende come dono di Dio,
no?
Luigi: Si
accoglie come conseguenza, il sentimento, la gioia, la pace sono conseguenza;
per cui se conoscendo Dio trovo della gioia, non è che debba respingere la
gioia.
Teresa: Ma la gioia di conoscere Dio certo è un’altra cosa.
Luigi: Non devo partire dal principio: Dio è solo sacrificio.
Teresa: Ah no!
Luigi: Perché
potrei anche fare un idolo del sacrificio.
Nino: Infatti noi non facciamo sacrificio a venire qui, a
queste conversazioni.
Pinuccia: Anzi, sarebbe un sacrificio rinunciare.
Luigi: Ma
è anche un segno d’interesse, d’amore per Dio.
Nino: Quando ti senti in linea, senti gioia, e non è un
sentimento cattivo.
Pinuccia: Quindi sarebbe sbagliato dire: “Sacrificati,
rinuncia!”.
Luigi: Soltanto
per il sacrificio, no.
Pinuccia: Dio dovrebbe arrivare ad essere come il nostro
respiro: come non si può fare a meno di respirare così …
Luigi: Così
non si può fare a meno di pensare a Dio, sempre. E il pensare a Lui diventa
gioia, tanta gioia che uno non può lasciarlo più. Sarebbe come dire: “Fermati
in mezzo alla strada anziché arrivare a casa”. No, debbo arrivare a casa, non
posso fermarmi in mezzo alla strada. Ora tutte le creature sono la strada, ma
non posso fermarmi in mezzo alla strada. La gioia è in casa. Pensare Dio
diventa la gioia massima, diventa tutto. D’altronde è logico: il Signore parla:
“Affinché la vostra gioia sia piena”. Parla di gioia piena. Però per arrivare a
questa gioia piena c’è tutto un Calvario, c’è una croce, c’è un rinnegamento di
noi stessi; però la meta è quella.
Teresa: Per arrivare a questa gioia bisogna dire di no a tante
altre cose.
Luigi: Certo.
Pinuccia: Se il Signore ci ha convinti che Lui è il
valore massimo, che il nostro bene sta nel conoscere Lui, dobbiamo proporci
allora di conoscere Dio prima di tutto.
Luigi: Certo,
l’ha detto Lui: “Cerca prima di tutto il regno di Dio”.
Pinuccia: Allora uno deve essere disposto a lasciare
qualsiasi cosa pur di conoscere Dio?
Luigi: Certo,
è logico.
Pinuccia: E cercare i mezzi che più lo aiutano a cercare
Dio.
Luigi: Devi cercare i mezzi che è più ti aiutano a cercare Dio.
Pinuccia: Anche se costano.
Luigi: Soprattutto
se costano; non per il fatto che costano, perché non è il fatto del costare o
del non costare: il fatto è di avvicinarsi a Lui.
Teresa: Però io penso che Dio non
si conosce solamente sui libri.
Luigi: Ah
no, è logico, anzi: Dio lo si conosce soprattutto dentro di noi.
Teresa: Quindi quando ci proponiamo di conoscerlo sempre di più
non sarà poi stare tutto il giorno sui libri, no?
Luigi: No,
no; il libro è un aiuto, può essere un aiuto.
Teresa: Perché se si vede Dio presente nella persone, penso che
anche nel nostro lavoro si può anche conoscerlo sempre di più.
Luigi: Si
può arrivare a tutto, però per arrivare a quel “tutto”, bisogna amare molto
Dio.
Teresa: Se no le persone che non hanno conosciuto i libri,
sarebbero fritte.
Luigi: Certo,
è logico. Ma il libro è anche un mezzo. Non dobbiamo disprezzare niente; tanto
più se teniamo presente che il Vangelo è un libro.
Teresa: Ma proporci di conoscere Dio non vuol dire solo questo.
Nino: Bisogna arrivare ad armonizzare tutto.
Teresa: Perché Dio non parla solamente nella Bibbia, ma anche
negli avvenimenti, nelle persone, quindi non è solamente questione di libro.
Luigi: Certo,
però se a un certo momento ad esempio, il trovarsi con le persone mi disperde
da Dio, mi è di ostacolo per la mia debolezza, ecco io sono autorizzato a
fuggire dalle persone, dal mondo, da tutto, a vivere sulla punta del Monviso,
non importa, pur di non staccarmi da Dio. Perché la creatura perfetta vive con
Dio ovunque, ma è proprio per la nostra debolezza ed è per questo che il
Signore dice: “Non preoccuparti del mangiare, del vestire”. Perché? È per la
nostra debolezza che il mangiare e il vestire possono diventare una
preoccupazione, una necessità di vita, un’attrazione, per cui possono diventare
un motivo da togliermi la disponibilità d’animo, la libertà per seguire Dio.
Allora il Signore cosa dice: “Pianta lì, lascia il mangiare, lascia il vestire,
vivi magari di polenta o di pietre non importa, io ti sostengo comunque, ma
cerca Me”.
Teresa: Quindi non è una ricetta generale.
Luigi: No,
no! La ricetta generale è questa: “Fuggi tutto quello che ti impedisce di
pensare a Dio”. Ognuno ha delle debolezze. Per uno quella cosa lì è motivo di
unione con Dio, per l’altro è motivo di scandalo. È la persona stesso che lo capisce. Il
Signore lo sa: vede che quella cosa lì ti distacca, e allora ti invita:
“Lascia! Perché quello che per l’altro è un aiuto, per te è una difficoltà. E
allora tu vai, vendi tutto quello che hai e vieni dietro a me”. “Se io voglio
che lui resti, a te cosa deve importare? Lui resta, tu seguimi”. Vedi? È sempre
un fatto personale. L’importante è non dire: “Ah, io questa cosa non posso lasciarla;
senza questo non posso vivere”, perché allora mi rendo indisponibile per le
cose di Dio. Per cui se tu dicessi: “Io il libro non lo apro”, no, guarda che
il libro forse è un aiuto che Dio ti manda. Quindi bisogna essere riconoscenti
a Dio, per tutto e sapere che Dio arriva a noi attraverso tutto. Così se il
giornale è per te un motivo di dispersione, non aprire il giornale; se il
Vangelo ti raccoglie, apri il Vangelo, preferisci il Vangelo al giornale. Se la
televisione ti disperde, non accenderla. La fatica che dobbiamo fare per
vincere la nostra curiosità, tutto questo è grande agli occhi di Dio; sono
questi piccoli passi che rivelano l’amore. Per cui Lui dice: “Preferisci la mia
parola alla televisione?”. Lo so che Lui arriva a me anche attraverso la
televisione, però se questa ti impedisce e ti distrae, per la tua debolezza,
sii pronta a lasciare e approfitta di questo per raccoglierti in Me, per
conoscere Me, per impegnarti nella vita eterna.
Teresa: Ci sono persone che dicono: “Quando non riesco a pregare,
a mettermi in sintonia con Dio, parto, vado a fare una visita di carità e
questo mi aiuta”.
Luigi: Va
bene, è la persona stessa che lo capisce. Il Signore vede le intenzioni della
persona stessa, però bisogna sempre tener presente questo: può essere un aiuto,
ma teniamo sempre presente che tutto quello che è rapporto esterno, anche lo
stesso Vangelo, il libro, la parola stessa di Dio, tutto quello che è aiuto, è
aiuto perché noi mettiamo quel silenzio interiore per conoscere Lui, per
arrivare a conoscere Lui, perché la vera conoscenza si ha in questo silenzio
interiore in cui noi ascoltiamo solo più Lui. È Lui che rivela la sua Presenza.
Noi dobbiamo sempre ricordarci che tutto il resto è un aiuto che può esserci e
può esserci o può non esserci o possiamo anche lasciare o trascurare. Quello
che assolutamente non dobbiamo trascurare è questo silenzio interiore a tu per
tu con Lui. Questo assolutamente non dobbiamo tralasciarlo. Siamo autorizzati a
lasciare tutto, ma non questo.
Teresa: Si può allora avere il Vangelo in mano e non avere il
silenzio.
Luigi: Si
capisce.
Pinuccia: Tutto il giorno bisogna fare silenzio?
Luigi: No,
questo silenzio può anche essere un po’ di tempo. È necessario, vi vuole,
perché è un tempo che Dio chiede a noi per parlare personalmente con noi. E noi
dobbiamo dargli questo tempo. Dio dice: “Io ti conduco nel deserto per parlare
con te”. Perché questo deserto per parlare con te? “Perché ho una cosa da dirti
che nessuna creatura può dirti. Le creature ti aiutano, ma nessuna creatura te
la può dire”. È necessario che noi ci lasciamo portare in disparte, perché
quella conoscenza intima, all’ultimo, attraverso la quale Lui rivela la sua
Presenza in noi richiede questo silenzio, e noi dobbiamo darlo questo silenzio.
Certe volte ci fa aspettare degli anni. Ma non è detto che in quanto ci fa
aspettare degli anni noi non dobbiamo offrire questo silenzio. E non dirò:
“Signore, mi metto in silenzio cinque minuti e voglio scoprire la Tua
presenza”. Stai fresco! Ti fa aspettare magari tutta la vita.
Pinuccia: Ma anche quando si sia arrivati a questa
presenza il silenzio sarà sempre necessario, no?
Luigi: Quando
si è arrivati a questa Presenza questo silenzio diventa continuo. Non c’è più niente
che faccia rumore fuori, perché è un silenzio talmente meraviglioso di
intimità, di conoscenza, di presenza che non c’è niente dal di fuori che possa
turbarlo. Allora sì, anche se fosse in mezzo ad una folla continuerebbe ad
essere in silenzio.
Teresa: Però nello stesso tempo non potremo mai esserne sicuri.
Pinuccia: Quindi si attingerà sempre dalla Parola di
Dio, no?
Luigi: Si, certo.
Il Padre mio opera fino a questo momento e Io pure opero. Gv 5 Vs 17 Quarto tema.
Argomenti: L’opera del Figlio è comprendere
l’opera del Padre, non imitarla. Il Figlio riconosce di essere
generato dal Padre, tutto in Lui lo attribuisce al Padre. La
distanza da Dio: nostri atti autonomi da Dio. Il
bisogno di essere amati. Il Figlio insegna a noi come essere
figli di Dio. “Attacco alla Sindone”.
6.Agosto.1978
Luigi: Con
il versetto 17 “Il Padre mio opera fino a
questo momento e io pure opero”, si conclude l’episodio del paralitico e
inizia il discorso dei rapporti tra il Padre e il Figlio e tra Figlio e Padre.
Questo per
farci capire che tutti gli avvenimenti (le paralisi, i portici, la piscina, la
porta delle pecore, l’incontro di Gesù, la discussione del sabato, ecc.), sono
determinati da Dio per sfociare in questa conclusione, cioè la conoscenza, la
contemplazione dell’opera del Padre e del Figlio, in cui è la nostra vita
eterna.
Contemplando
l’operare del Figlio noi capiamo qual è l’opera che Dio chiede a noi, poiché
ognuno di noi è chiamato a diventare figlio.
L’opera del
Figlio è quella di comprendere l’opera del Padre, non di ripetere, imitare
l’opera del Padre.
L’opera
del Padre diventa una proposta per il Figlio e da essa il Figlio è invitato a
riconoscersi Figlio.
Il Padre
opera chiamando il Figlio a comprendere l’opera che il Padre fa; così pure noi.
Comprendendo,
scopriamo noi figli di Dio.
Il Padre
genera il Figlio.
Il Figlio
riconosce di essere generato dal Padre, cioè comprende l’opera del Padre.
Se l’opera
del Figlio fosse imitazione, anche il Figlio genererebbe un Figlio suo.
Invece il
Figlio si caratterizza, per cui abbiamo qui due persone, poiché l’opera del
Padre è distinta dall’opera del Figlio.
Anche noi
siamo chiamati a riconoscerci fatti da Dio.
Quando ci
riconosciamo fatti, siamo amati, compresi.
Comprendendo
siamo compresi, mentre invece se non amiamo siamo esclusi e quindi non ci
sentiamo amati.
Il Figlio
dice queste cose per invitarci a partecipare della sua vita.
Cioè Lui,
parlando, dà a noi la possibilità di diventare figli di Dio.
Noi
diventiamo figli attribuendo tutto a Dio, cioè entrando nel tempio dove tutto
dipende da Dio.
Questa
generazione in noi è difficile perché noi non superiamo noi stessi.
Noi come ci
accorgiamo di esistere, affermiamo la nostra autonomia e diciamo: “Io sono”, invece di dire: “Il Padre è”, attribuendo tutto di noi
al Padre.
In ciò che
non attribuiamo al Padre non siamo più figli del Padre, ma di ciò a cui lo
attribuiamo (diventiamo figli di noi stessi o di altro).
Ed è qui che
non ci sentiamo più amati, perché si crea la distanza da Dio, la solitudine,
tutto ci ignora, per cui diventiamo incapaci di amare.
Per questo
tutti i peccati sono conseguenze del non sentirci amati (beviamo alle
pozzanghere quando abbiamo a disposizione l’acqua fresca).
E questo
avviene in noi quando non riferiamo a Dio.
Bisogna
imparare a dipendere da Dio, perché tutte le cose dipendono effettivamente da
Dio.
Dobbiamo
quindi ascoltare molto le parole del Figlio, perché è solo il Figlio che può
insegnare a noi come si fa a diventare figli e quindi a sentirci di nuovo
amati.
È soltanto
uscendo dal pensiero del nostro io, cioè attribuendo tutto a Dio e riconoscendo
anche il nostro io come opera di Dio che ci avviciniamo a Dio e risentiamo il
suo amore.
In questo
versetto 17 Gesù dicendo che il Padre opera fino ad ora, cioè anche di sabato,
vuol farci capire come va inteso il riposo di Dio nel giorno di sabato,
dopo i sei giorni della creazione.
Attraverso i
sei giorni Dio opera per formare l’uomo, indipendentemente dall’uomo.
Tutti i
giorni, tutte le cose arrivano a noi attraverso i sei giorni della creazione di
Dio; poi, come Dio ha formato l’uomo, entra nel suo riposo e invita l’uomo a
partecipare, a riconoscere chi l’ha fatto: è qui il riposo del sabato, perché
Dio attende la risposta dell’uomo.
Ma non
dobbiamo ritenere che il riposo del Padre sia un riposo nostro.
Ecco perché
l’opera del Figlio non è ripetizione dell’opera del Padre: questo lo credevano
gli ebrei.
Ecco la
novità che porta il Cristo: “Dio riposa il settimo giorno non perché noi
riposiamo, ma affinché noi lavoriamo, facciamo il vero lavoro!”
Perché Dio
riposa per invitare noi a comprendere, non a ripetere, quello che Lui ha fatto,
riportando tutto a Lui, raccogliendo tutto in Lui (è comprendendo che sono
compreso, è raccogliendo che sono
raccolto): è questa l’opera del sabato!
Per cui Gesù
concluderà: “Il sabato è fatto per
l’uomo”, cioè è fatto affinché l’uomo diventi figlio di Dio.
Gesù quindi
guarendo l’uomo paralitico, ha fatto veramente l’opera del sabato, del Padre,
perché ha visto che è il Padre che ha operato.
Il Padre ha operato,
ma l’uomo interrompe la sua opera e diventa malato perché non ritorna a Dio, è
paralizzato dal pensiero del suo io, dalla legge, non si muove più.
L’uomo
paralitico riflette la paralisi dei farisei, è lo specchio di essi che avevano
tutta la loro vita bloccata, paralizzata dalla legge, dal sabato.
Allora
arriva il Figlio di Dio, che guardando quest’uomo paralitico, di sabato, dice
loro: “No, la legge non va intesa così:
la legge non ti è stata data affinché tu di sabato non faccia niente, ma affinché
tu impari a camminare in Dio, cioè ad amare, ad attribuire tutto a Dio, a
vedere tutto da Lui, in Lui…”.
Gesù fa
camminare quest’uomo, cioè lo porta al Padre e ci insegna qual è la vera opera
che Dio chiede a noi in giorno di sabato.
Gesù
guarendoci così dalla nostra paralisi, porta a compimento l’opera del Padre,
facendo così veramente l’opera del sabato, del Padre, perché ha visto che è il
Padre che ha operato.
Ma l’uomo
non superando se stesso, non può da solo portarla a compimento perché essendo
paralizzato, non ritorna a Dio.
Il Figlio
facendolo camminare, lo riporta al Padre: il paralitico guarito entra nel
Tempio.
Cioè il
Padre, attraverso i sei giorni, compie un’opera ed invita noi a comprenderla,
affinché noi siamo compresi.
Ora tutto il
difetto nostro è lì: che alla sera del sesto giorno quando noi prendiamo
coscienza di esistere, ci fermiamo, non attribuendo il nostro io e tutto quanto
a Dio: la vita concepita non sfocia, non nasce, si ferma ed abbiamo l’aborto,
il distacco, l’autonomia.
Mancando la
nostra risposta nel settimo giorno, la vita abortisce e allora tutto ritorna in
niente.
Lettura del Libro “Attacco alla Sindone”, seguita dal
commento.
Il Riassunto dell’incontro n. 145
del 12/08/78 a Pietraporzio, Cappella di
San Lorenzo è diviso in due parti:
1)
Che cosa Dio dice di Sé in questo episodio
del paralitico;
2)
Che cosa Dio è per noi.
1)
Prima parte: che cosa Dio dice di Sé, che cosa fa conoscere di Sé in
questo brano di Vangelo, fino a questo squarcio di cielo in cui Gesù dice: “Il Padre mio opera ancora adesso e io pure
opero”.
Cioè,
cerchiamo quello che ogni frase, ogni fatto ci dice di Dio.
È
necessario il silenzio interiore che è dato dall’attenzione a Uno solo, perché
è Dio stesso che parlando si fa conoscere.
Questo
episodio avviene in giorno di sabato, il giorno in cui Dio entra nel suo
riposo, perché chiede a noi di entrare nella sua pace; e la sua pace è
conoscere Lui: è Lui stesso.
Lui
è la sua pace, sua e nostra; Lui è il suo riposo, suo e nostro.
Dio
creando e parlando in tutte le cose (la creazione di Dio è continua per ognuno
di noi. ogni cosa, anche il trovarci qui
oggi, ci giunge attraverso i sei giorni della creazione di Dio), chiede a noi
di fare un passo, superando noi stessi, di entrare nella sua conoscenza, nel
suo riposo……
Attraverso
tutte le sue opere dei sei giorni, attraverso ogni fatto, ogni parola, Dio ci
fa prendere coscienza di questa realtà:
-
che Lui c'è e che noi ci siamo,
-
ma che Lui è prima di noi, che è al di
sopra di noi
-
e che Lui è la luce nostra e la vita nostra,
-
che Lui è l’Essere del nostro pensiero,
convincendoci
così a superare noi stessi per entrare nella sua Presenza, perché è Lui solo
che, dopo averci parlato di Sé, ha qualcosa di Sé da dirci che nessuna sua
lezione, nessuna creatura, nessuno sforzo nostro possono dirci.
È
solo dimenticando noi stessi per guardare solo a Lui che possiamo ascoltare la
Parola che ci fa entrare nella sua conoscenza e nella sua pace, cioè nel
settimo giorno, in cui si diventa figli.
Si diventa figli nel settimo giorno.
Invece
attraverso i sei giorni si diventa creature di Dio, servi di Dio;
ma si può anche diventare degli aborti alla sera del sesto giorno se noi
non superiamo noi stessi, non nascendo come figli, cioè non giungendo alla luce
del settimo giorno.
Gesù
giustifica la sua operazione in giorno di sabato verso quel paralitico (e quel
paralitico rappresenta l’anima di ognuno di noi), proprio perché come Figlio di
Dio viene a portare a compimento l’opera del Padre, a liberare cioè l’uomo
dalla sua paralisi facendolo camminare fino alla conoscenza personale di Dio,
cioè facendolo entrare nel sabato.
In
questa folla ferma davanti alla Porta delle Pecore (che è necessario
attraversare per entrare nella Città di Dio, nel Tempio), in questo paralitico
da 38 anni è rappresentato l’uomo che è arrivato alla soglia del settimo
giorno, alla fine del sesto giorno, e si è fermato, non è passato, non ha
superato se stesso, cominciando così a diventare malato, a paralizzarsi, a non
muoversi più.
È
solo la Parola di Dio che incontrandosi con noi ci libera dalla nostra
paralisi, ci dà la possibilità di alzarci, di entrare nel Tempio e quindi di
aprirci al settimo giorno.
Senza
l’incontro con la Parola di Dio noi restiamo paralizzati, dominati dagli
avvenimenti, dalle creature, dalle cose, dai problemi pressanti di ogni giorno
(mangiare, vestire, figura, carriera, ecc.).
Gesù
viene a portare a compimento l’opera che ha iniziato il Padre e che è rimasta
incompiuta in ognuno di noi quando non superiamo noi stessi.
Ed
è proprio in questa opera incompiuta che si forma la paralisi, la malattia,
cioè un inizio di morte.
Il
Figlio porta a compimento l’opera del Padre facendoci camminare, facendoci
entrare nel settimo giorno.
Il
settimo giorno infatti non è fatto per far niente, non è fatto per imitare Dio
nel suo riposo.
Dio
si è riposato non perché noi ci riposiamo, ma perché intendiamo il luogo del
nostro riposo.
Se
Lui è entrato nel suo riposo nel settimo giorno, è perché vuole che noi nel
settimo giorno non ci fermiamo, ma anzi che camminiamo di più per entrare, per
raggiungere anche noi quel luogo in cui Egli si trova in pace.
Lui
è andato avanti non per distanziarci, ma per sollecitarci a camminare, per
avvicinarci di più.
Quindi
se Dio è entrato nel suo riposo non è perché anche noi ci sedessimo, ma perché
camminassimo di più per trovarci vicino a Lui, più vicino a Lui.
E
questa è l’opera del Figlio proprio in giorno di sabato:
-
Egli viene a portare a compimento l’opera
del Padre, facendoci camminare verso il Padre.
Soltanto
intendendo il significato di questo settimo giorno, capiamo quello che dobbiamo
fare:
-
il superamento della legge per entrare
nella conoscenza e quindi nell’amore.
Attraverso
tutta l’opera che Gesù fa verso questo paralitico:
-
si avvicina,
-
lo interroga,
-
lo fa alzare,
-
lo mette alla prova con i Farisei,
-
lo fa camminare ed entrare nel Tempio,
Gesù
ci significa tutta l’opera che Dio fa nei sei giorni della creazione con ognuno
di noi, per farci entrare in quello squarcio di cielo in cui Lui dice: “Il
Padre opera”, cioè per farci capire il significato del settimo giorno, del
riposo di Dio.
Il
paralitico guarito non è rimasto nel Tempio, non ha capito.
Però
Gesù è fedele e quello che doveva dire al paralitico se fosse rimasto nel
Tempio, adesso lo dice a tutti, capiscano o non capiscano, rivelando quello che
c'è nel Tempio.
E
che cosa voleva dire?
Voleva
dire come il Padre continua ad operare e come il Figlio deve operare.
Il
Figlio di Dio si caratterizza per questo: è Tutto Pensiero del Padre, cioè
tutto riferisce al Padre, in tutto glorifica il Padre, tutto giustifica nel
Padre, vede in tutto l’opera del Padre, e qui è nella pace.
Noi
non siamo ancora nella pace perché siamo pensiero di tante cose, siamo figli di
tanti.
È
la molteplicità che ci rende inquieti.
Chi
ci farà semplici?
È
il Figlio di Dio che facendoci passare dalla molteplicità di pensieri alla
semplicità di un pensiero unico, di un amore unico, ci dà la possibilità di
diventare figli di Uno solo, di diventare anche noi tutto pensiero del Padre.
Il
Figlio di Dio è semplice perché per il Figlio di Dio una cosa sola è
necessaria.
Essendo
puro pensiero del Padre, tutto riferisce al Padre, tutto riceve dal Padre e
tutto genera con il Padre, perché Lui stesso si genera dal Padre, è capace di
generare il suo Pensiero poiché è Dio come il Padre.
Rileggendo
questi versetti non stiamo a pensare quello che Dio dice a noi di fare o di non
fare, ma cerchiamo di pensare a:
-
che cosa Dio dice di Sé a noi, cioè quello
che fa Dio, perché Dio rivela qualcosa di Sé in quello che sta facendo.
Ecco
i punti rilevati:
-
In questo episodio Dio ci dice che vuole
offrire la vita, la guarigione, che però attende la nostra parte;
quindi da ciò che Dio fa, possiamo dire che Dio è Colui che ci vuole salvare.
-
Dio è Colui che rispetta l’uomo:
gli chiede se vuole essere guarito.
-
Dio è Colui che opera attraverso i
sei giorni della creazione, attraverso ogni fatto o cosa, per preparare il
nostro incontro con la Parola di Dio, per operare la nostra guarigione e farci entrare
nella conoscenza personale di Sé, che è vita eterna.
Quindi
Dio è Amore, è nostro Padre, è Tutto e continua ad essere Tutto anche quando
non è Tutto per noi, ma deve diventare veramente il nostro Tutto in quanto
dobbiamo giungere a vivere per Lui, per ascoltare Lui, per restare con Lui, per
conoscere Lui.
- Dio è Amore in quanto viene a
cercarci lì dove siamo, nella nostra paralisi; viene a muovere le acque anche
quando siamo fuori della Città di Dio, anche quando siamo lontani; non ci
abbandona nemmeno nel male più grande.
- Dio è l’Iniziatore di tutto:
infatti questi malati si buttano nell’acqua dopo che essa è stata agitata
dall’Angelo del signore. Ed è Dio che ha fissato la sua ora precisa per guarire
questo malato da 38 anni. Ed è Lui che aspetta il momento giusto per dire al
paralitico: “Non peccare più perché non
ti avvenga di peggio”, non glielo dice subito.
Quindi Dio è Colui che prende l’iniziativa in tutto. E noi
dobbiamo comportarci come se tutto veramente dipendesse da Lui, perché così è,
se vogliamo rimanere in questo pensiero, uniti a Lui come Iniziatore di tutto,
come Creatore, cioè non facendo conto né su noi stessi, né su altri. Perché Dio
è il Padrone, è il signore, Colui che domina tutte le cose, tutti gli
avvenimenti.
- Dio è Colui che aspetta che noi siamo
soli, che non abbiamo più nessuno che ci aiuti ad arrivare a Lui “Non ho nessuno”, per giungere a noi e
parlare a noi (cfr. aspetta che finiscano tutti i nostri vini per offrirci il
suo vino), perché Egli è Colui che ci isola dalla folla, ci porta nel deserto,
perché per guarirci ci vuole trattare personalmente a tu per tu. Lui è molto
riservato, le sue parole sono sempre personali. Lui ha qualcosa da dirci che
nessun altro può dirci: sono le parole del settimo giorno e che Lui ha
riservato a Sé.
- Dio è Colui che venendo tra noi ci
invita alla vita con Sé, ad entrare nel settimo giorno; cioè per
farci capire il giusto significato del “sabato”.
Dio ha fatto il sabato proprio per l’uomo, per guarire l’uomo.
- Dio è Colui che opera tutte le cose
per convincerci che noi dobbiamo superare noi stessi: “Alzati!”, perché la conoscenza di Dio
la si ha solo in Dio e questo deve avvenire in ogni cosa, avvenimento o
persona, perché se li consideriamo solo nell’aspetto che si riferisce all’io,
anche se li intendiamo in senso morale, come regola di vita, come legge, come
fare una cosa piuttosto che un’altra, come un dovere, allora restiamo fermi al
sesto giorno e non passiamo al settimo giorno, alla conoscenza.
- Dio è Colui che parla in tutto e
che vuole che noi intendiamo i suoi segni, perché vuole renderci
partecipi della sua conoscenza. Per cui davanti ad ogni cosa dobbiamo
chiederci: “Che cosa mi vuol dire Dio
attraverso questo?”. Senza questo superamento noi ci fermiamo ai segni e
non vediamo più le meraviglie di Dio come quei Farisei che vedono solo l’uomo
che porta il letto e non un uomo guarito dopo 38 anni di paralisi.
-
Dio
è Colui che viene a noi a parlarci di Sé. Dio è Colui che ci dà suo Figlio
che viene a compiere l’opera del Padre, parlandoci del Padre “Il Padre mio opera e pure Io opero”,
facendoci pensare al Padre. Noi non potremmo pensarlo se Lui non si facesse
pensare. Il Pensiero di Dio in noi è il Figlio: se noi pensiamo Dio, è il
Figlio di Dio in noi che pensa il Padre, non siamo noi che pensiamo.
Dio
è Colui che si fa pensare e che quindi genera in noi il suo Verbo. Il
Pensiero di Dio in noi è il tesoro più grande che abbiamo e che noi trascuriamo
con una facilità enorme, mendicando altro. Il Pensiero di Dio in noi è il Verbo
stesso di Dio che abbiamo a disposizione nostra. Il Pensiero di Dio in noi è
Dio stesso. Per questo chi pensa Dio forma una cosa sola con Lui.
Dio quindi è Colui che ha donato a noi il suo
Pensiero, ma il suo pensiero è Lui stesso, è suo Figlio. È perché Lui ce lo
ha donato che noi possiamo pensare a Lui anche quando siamo peccatori, perché
noi possiamo essere salvati solo pensando a Lui. Il poterci fermare a pensare a
Dio, in ogni cosa è una ricchezza enorme per la nostra vita. Se noi lo sapessimo
giorno e notte resteremmo sempre in questo pensiero, in ogni avvenimento, cosa,
persona, perché in esso è una sorgente infinita di problemi, di luce, di
conoscenza, di pensieri, di vita, ci occuperebbe a tempo pieno, senza far
fatica a lasciare gli altri pensieri, anzi! Se qualcuno ci invitasse a pensare
ad altro, ci rifiuteremmo perché troppo impegnati in questo perché chi vede le
cose da Dio, si rifiuta di vederle nel pensiero dell’io. Quindi Dio è Colui
che opera tra noi per farsi pensare, per farci entrare nel settimo giorno.
Ma questa entrata nel settimo giorno non avviene senza l’opera del Figlio. Per
questo Gesù dice: “Il Padre mio opera
fino a questo momento, quindi anche di sabato, ed Io pure opero, cioè porto a
compimento l’opera del Padre mio in voi, proprio nel sabato”. Perché il
Padre ha fatto il sabato, per questo dice: “Opera
anche oggi”, per salvare l’uomo.
Dio
è Colui che parla a noi attraverso i segni: la salvezza del paralitico in
giorno di sabato è un segno per dire a noi la vera guarigione che Egli reca,
facendoci entrare nel sabato. Attraverso i segni (paralitici, ciechi, ecc.)
parla a noi e dice quello che noi siamo, ma nello stesso tempo ci fa
vedere anche Chi ci può guarire, dicendoci quello che con Lui possiamo
diventare. Se Gesù guarisce il paralitico davanti agli occhi dei farisei, lo
guarisce per far capire loro che sono essi stessi i veri paralitici nell’anima,
altrimenti si crederebbero dei giusti, e nello stesso tempo lo guarisce perché
sappiano dove possono essere guariti.
-
Dio parla di Sé attraverso la simbologia
della Porta delle Pecore, attraverso la quale è necessario passare per entrare
nella Città di Dio; se non si passa attraverso di essa, si resta paralizzati,
ammalati, fuori dalla Città. È Gesù stesso che dice: “Io sono la porta delle pecore: chi passa per me troverà pascoli
abbondanti, perché chi rimane nelle mie parole, chi rinnega se stesso per
seguirmi, potrà conoscere il Padre”. Rinnegare noi stessi vuol dire non
fermarci ai nostri sentimenti o impressioni, alle nostre abitudini o regole, ai
nostri programmi o interessi, (qui è tutto io), ma andare oltre, perché la
ragione del nostro vivere la dobbiamo cercare presso Dio, se vogliamo imparare
a vivere con Dio (“Penso così, parlo
così, opero così, perché Dio è così”), altrimenti si diventa malati,
paralizzati e si comincia a morire. Infatti guardando in basso tutte le cose ci
paralizzano.
-
Dio è Colui che viene a noi che giacciamo paralizzati per
darci la medicina, per invitarci cioè a guardare in alto: (“Alzati”). Ma già prima
di venire Lui personalmente a dircelo, interveniva per guarirci attraverso il
movimento dell’acqua della piscina, cioè attraverso la sua Parola, ed
invitandoci a buttarci dentro di essa prima di tutto (“Il primo che si butta era guarito”), perché solo cercando Dio
prima di tutto si può guarire da qualunque male (“era guarito dal suo male qualunque fosse”).
-
Dio è Colui che ci mette alla prova
per farci affermare la Volontà di Chi ci ha guarito contro la volontà di chi è
paralizzato dall’io, dalla legge e farci entrare così nel Tempio per farsi
conoscere a noi in modo nuovo, personale, non più secondo la folla.
-
Dio è Colui che ci invita ad entrare
nel Tempio, a restare nelle sue Parole, a non staccarci da Lui, perché ha
da parlarci dell’opera del Padre.
-
Dio è Colui che quello che deve dire lo
dice, anche se usciamo dal Tempio, staccandoci da Lui; lo dice a tutti,
anche se non capiscono, anche se questo offre un motivo in più per essere
perseguitato (cfr. ”va in tutte le piazze
ed invita tutti, parla a tutti”). Per cui giunge un tempo che il Regno di
Dio arriva a tutti e tutti ci troviamo dentro: può essere una tragedia però.
-
Dio è Colui che attraverso suo Figlio
opera nei sei giorni e opera per farci raccogliere l’opera dei sei giorni,
per farci cioè entrare nel Tempio, nel settimo giorno, per farci diventare cioè
suoi figli, per farci diventare tutto Pensiero suo. Mentre il pensiero del
nostro io è distacco, perché il nostro io si afferma separandosi e separandosi
si distrugge. Per questo Dio ci invita a mettere il suo Pensiero in alto, prima
di tutto, collegando tutto a Dio: allora Lui ci attrae a Sé. Si diventa tutto
pensiero di Dio, raccogliendo tutto nel Pensiero di Dio, (mettere in alto vuol
dire riferire a-). Questo ci fa passare dalla molteplicità alla semplicità e
quindi alla pace e alla possibilità di pensare). Si complica tutto quando non
si mette Lui prima di tutto. non si arriva ad essere tutto pensiero di Dio
senza di noi; ma il “senza di noi” è
imparare che non dobbiamo fare niente, che non dobbiamo fare conto su niente di
noi. Più facciamo scomparire la parte nostra e più facciamo la parte nostra.
Far conto su di Lui è grazia sua, il non far conto su di Lui è peccato, è opera
nostra. Se ho la possibilità di pensare a Dio, devo ringraziare Dio che è
venuto a me e si è fatto pensare. Non sono io che ho dato il pensiero. È il non
dare il pensiero che è opera mia.
-
Dio dice di Sé ancora molte cose in questo
episodio e noi riusciremo a capirle solo quando saremo riusciti a raccogliere
tutti gli aspetti di esso, così come Lui ci appare attraverso la sua
Incarnazione. Egli è Colui che non aspetta che noi andiamo a cercare
Lui; Lui stesso viene a cercare noi e verso di noi ha un amore così
grande da rispettare la nostra libertà. Ci viene incontro anche quando abbiamo
fatto conto, come questo paralitico, sugli altri, per tutta la vita, anche
quando l’abbiamo disprezzato.
-
Dio è Colui che viene a noi per
liberarci dalla lettera della legge (la quale ci fa sbagliare, ci fa
giudicare gli altri, come quei Farisei), facendocene cogliere l’anima,
facendocela pensare in Dio. il pensare a Dio, cioè il superare noi stessi, già
ci fa capire che tutto quello che ci accade è Dio che parla a noi, a me. Quindi
il pensiero di Dio mi impedisce di giudicare nulla e nessuno, perché quando uno
tiene presente Dio fa un triangolo: Dio – fatto – io; cioè tutto è parola di
Dio per me.
-
Dio è Colui che opera, è Colui che
parla, ma è anche Colui che illumina e ci fa capire le sue parole. Quindi
dobbiamo sempre restare con Dio, sia per ricevere le cose, sia per capire le
cose. Dio è quindi il principio che opera e Dio è anche l’intelligenza delle
cose che opera. Quindi devo dire: “Signore,
accetto da Te e adesso guardo a Te per capire”.
-
Dio è Colui che opera per portarci a
questo superamento di noi, ad accettare tutto da lui e a guardare Lui per
capire. Per portarci qui Lui opera dapprima per convincerci che esiste; poi per
convincerci che è Lui che opera e parla in tutto personalmente per me; poi per
convincerci che è Lui il nostro tutto, perché solo quando abbiamo capito che
Egli è Tutto per noi incominciamo a sentire il bisogno di Lui e quindi il
bisogno di superare la Porta delle Pecore per entrare nella Sua Città. E quando
siamo entrati, opera ancora per farci restare e quindi per darci l’intelligenza
delle opere sue. E’ tutto un progredire di lezioni attraverso le quali Lui ci
convince, cioè ci lega a Sé, e ci fa camminare fino a farci tutto pensiero suo,
per farci diventare suoi figli.
Conclusione: in questo episodio cosa Dio dice di Sé?
È
Gesù stesso che lo commenta, ce lo fa capire dicendoci che il Padre opera tutto
e opera sempre e che il Figlio viene per farci attribuire tutto al Padre: “Il Figlio pure opera”. Per questo si
distingue il Figlio dal Padre. Quando noi diciamo che Dio è Colui che opera in
tutto, apparteniamo al Figlio, è il Figlio di Dio che riconosce questo in noi.
Il Padre è l’Unico Operatore e il Figlio è Colui che riconosce che il Padre è
l’Unico Operatore.
-
Quando non riconosciamo che Dio è l’Unico Operatore, siamo quell’umanità
malata fuori della Città di Dio.
-
In questo il Figlio dice: “Io sono la Porta”, dice a noi qual è la
condizione per riconoscere che Dio è l’Unico Operatore di tutto. Si passa
attraverso la porta per arrivare ad un fine, ma il fine è appunto questo
riconoscere Dio Operatore in tutto. La Porta è quella che ci fa entrare, cioè
intendere. Passare attraverso la porta vuol dire arrivare a capire quello che
ancora non capiamo, cioè entrare nel Pensiero dell’Altro. Finché siamo nel
pensiero dell’io, siamo fuori. Chi si presenta a noi come Porta, si presenta a
noi come Luce che illumina e fa capire quello che ancora non capiamo. Siccome
nel pensiero del nostro io non capiamo perché l’io ci separa, allora l’altro
io, l’io di Dio che si presenta a noi diventa porta per noi per capire Dio, il
Padre. Senza di Lui noi non possiamo arrivare al Padre, ecco la Porta. È il
pensiero stesso del Padre si presenta a noi attraverso il Figlio e che diventa
Porta per noi. quando una persona viene a me, con la sua venuta mi spalanca una
porta, mi fa uscire dal mio io. Quindi Dio è Colui che viene incontro al
pensiero del mio io per farmi uscire da pensiero dell’io. Senza di Lui noi non
potremmo uscire. Se noi pensiamo Dio è perché già Lui per primo è venuto e si è
donato a noi. infatti noi non possiamo pensare Dio senza il Pensiero di Dio, ma
il Pensiero di Dio è già Lui, in noi. Per cui Dio è il Pensiero di Sé in noi.
-
Il Figlio è Colui che ci dice di alzare gli
occhi a Dio. il Padre è Colui al quale il Figlio ci dice di alzare il nostro
sguardo, perché la meta è il Padre stesso. In quanto si presenta come meta ci
fa alzare gli occhi dal nostro io per liberarci da esso. Quindi Dio è Colui che
dopo averci creato viene a noi per liberarci.
-
Dio è Colui che agita l’acqua: parla in
tutto.
-
Dio è Colui che è Medico, che ci rivela la
malattia quando noi crediamo di essere sani; ci guarisce e poi non chiede di
essere pagato, ma paga Lui stesso per noi.
-
Dio è Colui che ci mette alla prova.
-
Dio è Colui che ci presenta questo
panorama, è Colui che ci ha condotti qui per farci guardare questo e per farci
dimenticare questo. prima ci fa guardare attorno e poi ci invita a guardare
dentro. Prima ci dice le sue parole e poi chiede a noi le nostre parole. “Che cosa vedi di me attorno a te? E adesso
tu che cosa dici di me?”. Da tutto ci fa parlare di Sé a noi, poi ci dice: “Adesso tu, cosa dici di Dio?”.
II PARTE
Passiamo
al secondo argomento, alla seconda parte.
Lui
prima ha detto a noi attraverso i fatti, le creature, le scene di questo
episodio del paralitico quello che Egli è;
cioè prima parla di Sé a noi e poi interroga noi: “E adesso tu cosa dici?”. C'è diversità, molta diversità, tra
quello che Lui dice di Sé e quello che diciamo noi di Lui. Perché quando io
dico: “Dio è Tutto!” e poi ho bisogno di questo e di quest’altro, allora Lui ci
dice: “Tu mi dici Signore, ma guarda quanti signori hai!”. Quindi ci dice: “Io
sono il tuo Signore”; poi ci chiede: “E adesso tu cosa dici di me?”. Con la
vita purtroppo noi diciamo tre cose. Dopo aver detto a noi ciò che Egli è,
chiede a noi che diciamo ciò che Egli è, non a parole, ma nella vita. Non basta
dirlo, non basta esserne convinti. Siamo chiamati a dire con la vita quello che
Lui dice di Sé, perché siamo chiamati ad essere con Lui, come Lui è con noi, ad
amarlo come Lui ama noi, a conoscerlo come Lui conosce noi, a vivere con Lui
come Lui vive con noi.
Ora,
Lui vive sempre con noi anche quando siamo nel massimo dei peccati, nel massimo
dell’infedeltà, dell’adulterio e della disonestà: Lui vive sempre con noi.
Dobbiamo imparare a restare con Lui anche quando non si rende presente, quando
sembra che ci dimentichi, quando non parla: tu resta con Lui, come Lui resta
con te.
Seconda
parte: “Che cosa Dio è per me”:
-
Dio si offre a noi come un fiore spuntato
in cima alla collina per essere raccolto: chi per primo lo vede, lo raccoglie;
chi non lo vede non lo può raccogliere, ma chi lo raccoglie resta raccolto.
-
Dio per me è il Creatore, Colui del quale
non posso fare a meno: quindi implicitamente debbo accettare di non ritenere
nient’altro necessario perché Dio solo è Colui del quale non si può fare a
meno. Quindi di tutto posso fare a meno, fuorché di Dio e quindi debbo essere
disposto a fare a meno di tutto, perché soltanto così acquisto quella libertà
vera per fare quello che Dio vuole e per parlare secondo Dio. Dobbiamo stare
attenti anche alle parole che diciamo perché noi ora affermiamo: “Dio
è Colui di cui non posso fare a meno”, ma poi parlando senza rendercene
conto testimoniamo che non possiamo fare a meno di ben altre cose. Così ad un
certo momento vendiamo la nostra realtà spirituale per un piatto di lenticchie
o per un piatto di minestra. Noi pecchiamo, tradiamo, siamo infedeli e adulteri
prima di tutto con la lingua e poi anche con le scelte concrete. Bisogna
imparare a pensare e a parlare secondo l’unica cosa necessaria che abbiamo
riconosciuto, cioè unificare pensieri, parole, azioni in quell’unico Signore
che Egli è.
-
Dio per me è prima di tutto il mio
Creatore di ogni giorno, quindi il mio Sostenitore. Ogni giorno mi sveglia e mi
crea con tutti i fatti che incontro, mi nutre, mi fa respirare, vivere, Dio
quindi è la mia vita, Colui senza il quale non posso fare niente.
-
Per me Dio è il Creatore e Fattore di
tutto e opera da sempre per riprendermi dalla mia dispersione e portarmi alla
conoscenza sua e nell’armonia con Lui.
-
Dio è il Principio dell’armonia, non
soltanto tra la nostra anima e Lui, ma anche con tutte le creature, con tutto.
Con Lui tutte le creature diventano amiche, perché tutto è opera di Dio
(l’amore rende accettabile tutto). Quando le cose ci urtano operano per dirci
che noi siamo distratti da Dio, quindi dobbiamo ringraziarlo perché sono opera
di amore.
-
Per me Dio è Colui del quale non mi stanco
mai di sentire parlare, ma con lo scopo di sentir parlare Lui Stesso: perché
Dio vuol parlare con noi personalmente. Dio parla all’esterno attraverso tutte
le creature, ma ci invita ad ascoltarlo dentro, ad entrare dentro di noi. se
noi capiamo qualcosa di Dio è perché l’abbiamo dentro di noi. noi capiamo
l’esterno in relazione a quello che portiamo dentro. Dato che dipende tutto
dalla dimensione interiore, bisogna avere molto cura di essa, cercando sempre
il significato di tutto, perché in tutto c'è Dio che parla per portarci sempre
più a questa intimità con Lui, fino a scoprire la sua Presenza in noi, fino a
poterlo individuare, in modo da poter parlare con Lui come ci ascoltiamo e
parliamo qui tra noi, con la differenza che con Dio c'è l’immediatezza.
-
Dio deve arrivare ad essere il nostro
pensiero: come non si può fare a meno di respirare, così non si può fare a meno
di pensare a Dio, sempre. E il pensare a Lui diventa gioia, tanta gioia che uno
non può lasciarlo più, non può più fermarsi a pensare alle creature (sarebbe
come fermarci sulla strada, anziché arrivare a casa). Pensare Dio è la gioia
piena di cui parla il Signore “Vi parlo
affinché la vostra gioia sia piena”, ma vi si arriva attraverso il
Calvario, il rinnegamento di sé. Conoscere, pensare Dio è la gioia massima. Dio
lo si conosce soprattutto dentro di noi, non tanto leggendo, anche se questo è
un mezzo valido (soprattutto il Vangelo). Dobbiamo essere disposti a fuggire
tutto ciò che non ci lascia pensare a Dio. Ma questo è sempre un fatto
personale, perché ciò che per uno è un aiuto, per l’altro può essere un
ostacolo, poiché ognuno ha le proprie debolezze ed è la persona stessa che lo
capisce. Però dobbiamo sempre tener presente questo: che tutto quello che è
rapporto esterno, aiuto esterno, lo stesso Vangelo, è aiuto se noi mettiamo
quel silenzio interiore per arrivare a conoscere Lui, perché la vera conoscenza
si ha solo in questo silenzio interiore in cui noi ascoltiamo solamente Lui: è
Lui che rivela la sua Presenza. Dobbiamo sempre ricordarci che tutto il resto è
un aiuto che può esserci o che può non esserci e possiamo anche lasciarlo o
trascurarlo. Quello che assolutamente non dobbiamo trascurare è questo silenzio
interiore a tu per tu con Lui. Siamo autorizzati a lasciare tutto, ma a non
lasciare questo. E’ quel po’ di tempo che Dio chiede a noi per parlare
personalmente con noi e noi dobbiamo darGli questo tempo, perché Lui nel
deserto ha da dirci una cosa che solo Lui può dire: è quella conoscenza intima
attraverso la quale Lui rivela la sua Presenza in noi e che esige da noi questo
silenzio. Quando poi si sarà arrivati a questa sua Presenza questo silenzio
diventerà continuo e allora non ci sarà più nulla che faccia rumore fuori
perché sarà un silenzio talmente meraviglioso di intimità, di conoscenza, di
presenza, che non ci sarà niente dal di fuori che potrà turbarci.
Eligio: Non so se ho capito
bene nel primo riassunto: che il Padre parla al Figlio attraverso proposte.
Come può avvenire questo in Dio? perché la proposta presuppone un prima e un
dopo e due interlocutori. In Dio l’Essere e il pensare sono una cosa sola.
Luigi: Hai ragione. Ma è stato detto,
penso, per mettere in evidenza la caratteristica del Figlio. La caratteristica
del Figlio sta nel comprendere l’opera del Padre.
Nino: La proposta è per noi,
finché non comprendiamo ancora, perché Lui non ci impone niente.
Luigi: Per noi sì. Nei nostri
riguardi senz’altro. Nei nostri riguardi il parlare del Padre è proposta e noi
attraverso il Figlio suo arriviamo a riconoscere l’opera del Padre. Qui è
pacifico per noi.
Eligio: Però ciò che è stato
letto si riferiva tra Padre e Figlio.
Luigi: Sì, tra Padre e Figlio; però
penso che sia per evidenziare la caratteristica che distingue il Padre dal Figlio.
Cioè, il Figlio si specifica nella sua personalità con il riconoscersi tutto
opera del Padre. Allora possiamo scindere i due momenti: l’opera del Padre e il
riconoscimento dell’opera del Padre. Il riconoscimento dell’opera del Padre è
il Figlio, è la persona del Figlio. La persona del Figlio riconosce Sé come
opera del Padre. Il Padre genera il Figlio, il Figlio riconosce Sé. allora, è
logico, il parlare umano non rende, perché abbiamo qui due tempi: il Padre che
opera, il Figlio che opera. Il Padre opera generando il Figlio, il Figlio
riconoscendo l’opera del Padre. Nel riconoscersi opera del Padre, abbiamo
la persona del Figlio. Il Padre genera: questa è la caratteristica del Padre;
il Figlio non genera. Il Padre è generante, il Figlio è generato. Ma non
generato come noi possiamo generare (il termine è improprio), creare una
creatura o un’opera d’arte o qualche cosa. Ecco, il Figlio generato ha la
coscienza di quello che è, ha la coscienza di Sé, è consapevolezza di essere
generato dal Padre, cioè di essere Pensiero del Padre, quindi riconosce Sé come
Figlio del Padre.
Nino: Ma non si vede chiaro
la questione della proposta.
Luigi: Nell’essenza divina non
abbiamo i due tempi così come li riduciamo noi. Noi per distinguere le due
Persone diciamo: abbiamo una Persona che genera e attende la risposta del
generato come riconoscimento. E allora diciamo: in quanto attende è una
proposta che il Figlio raccoglie e riconosce. Ma evidentemente in Dio non
abbiamo una scissione dei due tempi. Per noi si evidenziano bene, perché noi
abbiamo il passaggio critico del superamento dell’io, invece nel Cristo non c'è
il superamento dell’io. L’io del Cristo è tutto Pensiero del Padre, non può separarsi
dal Pensiero del Padre; noi invece ci separiamo dal Pensiero del Padre; noi
siamo pensiero di tanti e dalla molteplicità in cui ci troviamo, siamo chiamati
a diventare figli di uno solo. Ma come pensiero siamo figli di tanti e dobbiamo
passare da questa molteplicità alla semplicità dell’unità: cosa per noi molto
difficile. Invece il Figlio di Dio non è figlio di tanti. Egli ha un pensiero
solo perché è il pensiero di Dio, ma proprio perché “abbiamo”, abbiamo tanti
pensieri; invece il Figlio di Dio non ha: è il Pensiero del Padre, quindi non
può fare altro che riconoscersi tutto voluto, fatto, pensato dal Padre. Noi
dobbiamo distinguere le Persone e diciamo: il Padre opera ed attende. Ma non
c'è l’attesa, immediatamente c'è il riconoscimento del Figlio che essendo
Pensiero del Padre riconosce sé come Pensiero del Padre. Il Figlio è Sé stesso.
Il Padre, proprio perché è Se stesso, genera il Pensiero di Sé; essendo Se
stesso non può non conoscersi, quindi genera il Pensiero di Sé. Ma il Pensiero
del Padre è anche Se stesso ma non in modo autonomo, bensì come Pensiero del
Padre e genera Sé come Pensiero del Padre. La caratteristica di tutto ciò che
esiste in Dio è proprio quella di essere Se stesso; invece noi non siamo mai
noi stessi. Dio solo è Se stesso: noi diventiamo noi stessi nella misura in cui
ci avviciniamo a Colui che è Se stesso. Più ci avviciniamo e più unifichiamo e
ci ritroviamo. Più invece noi siamo lontani e più siamo dispersi, per cui noi
diciamo che siamo mutevoli. Dio è immutabile. La caratteristica di
Sant’Agostino su cui fonda la sua costruzione è questa: Dio è l’Immutabile, la
creatura è mutabile. La creatura non è mai se stessa; direi è alla rincorsa di
se stessa, però non è mai se stessa. Per cui Dio è il vero Formatore della
personalità umana, è il vero Formatore dell’uomo nella misura in cui l’uomo gli
si avvicina. Più la creatura umana si allontana da Dio e più diventa informe,
non si capisce più, non si conosce più, diventa continuamente mutevole: oggi è
questo, da qui a cinque secondi è già un altro, fra cinque è un altro. Tu non
sai mai dove aspettarla; è lì il motivo per cui Dio dice: “Non ti conosco”. Una creatura che sia in continuo mutamento, non è
conoscibile, perché tu dici: “Questo è un
elefante, da qui a cinque minuti è una tigre, da qui a cinque minuti è
un’anguilla, da qui a cinque minuti è un albero…”; dico: “Non la conosco”. Ecco, lontano da Dio
la creatura è caos, è in continua mutazione; non è annullata ma è in continua
mutazione. Più si avvicina e più acquista un nome e il nome lo dà Dio.
Ecco, allora
a questo punto la creatura si riconosce tutta come opera di Dio e partecipa al
Figlio, alla natura del Figlio, alla natura divina propria del Figlio. La
natura divina del Figlio è quella di riconoscersi tutto fatto dal Padre. Il
giorno in cui anche noi possiamo riconoscerci in tutto fatti da Dio, ecco siamo
resi partecipi della natura divina e diventiamo noi stessi; un “noi stessi”
diciamo così, per acquisizione, ma che fa una cosa sola con il Figlio. Il
Figlio glorifica il Padre, la creatura che è stata raccolta tutta in Dio,
glorifica altrettanto il Padre, e allora è lì che forma una cosa sola, perché
dove sono due che glorificano la stessa cosa diventano uno solo: in Dio si
diventa una cosa sola. Avendo lo stesso fine, lo stesso ideale vissuto con la
stessa intensità; ecco, si forma l’unione. Il principio unificante è proprio
questo: Dio.
Allora se
Dio è il Principio unificante diciamo: Dio mi ha fatto, ma Dio mi ha anche
unito. E tutto si attribuisce a Dio.
Lettura di
un articolo di Piero Gheddu su “Gente”, circa un guru cristiano benedettino
(guru sono gli asceti indiani maestri dello spirito), Padre Beda Grifitz, che
viene a Milano per la giornata missionaria per portare alla nostra società
secolarizzata un forte richiamo alle cose dello spirito, una testimonianza di
vita evangelica vissuta con i poveri….
L’Europa ha
bisogno di imparare dall’India il primato della preghiera e della
contemplazione. I monasteri indiani sono aperti e pronti ad ospitare per
periodi più o meno lunghi persone di qualsiasi età e sesso che vogliono
ricercare Dio con i monaci.
In oriente
questo passare un periodo di tempo in monastero è una forma abituale di
spiritualità per i laici, anche se sposati, anche se persone importanti della
società, di qualsiasi religione o addirittura senza religione…..
Per ognuno
(sono da dieci a venti ospiti), c'è una piccola e disadorna celletta in mezzo
alla campagna, insieme alle cellette dei monaci che sorgono attorno alle
costruzioni centrali (chiesa, biblioteca, cucina e refettorio, in cui si mangia
seduti per terra e soltanto vegetariano). Ci si alza alle cinque, e alle cinque
e mezza un’ora di meditazione personale, dove uno vuole, poi tutti in Chiesa
per la Messa, in rito indiano…
I momenti
più intensi sono quelli della preghiera comunitaria e poi della riflessione in
comune, guidata dal Padre dopo la Messa, a mezzogiorno e dopo cena.
I monaci
sono itineranti e dopo due mesi di viaggi, di evangelizzazione tra i villaggi,
ritornano al monastero per un periodo di preghiera più intensa e di
riflessione.
La povertà e
la mortificazione secondo Padre Grifiz sono indispensabili per un’autentica
ricerca di Dio e amore al prossimo. Dio si trova solo nel silenzio e nella
povertà, dice in una delle sue conversazioni e la vera carità viene da una
persona capace di mortificarsi per amore dell’altro. Per questo tutti noi
cristiani dobbiamo fare uno sforzo verso la preghiera, verso la povertà, la
semplicità della vita. Si tratta di una conversione radicale da compiere e
ciascuno deve cominciare a dare la sua testimonianza personale. Noi occidentali
ci siamo fatti abitudini di vita dispendiose che non giovano alla salute né
fisica né spirituale (se l’uomo occidentale ad esempio mangiasse la metà di
quello che mangia, vivrebbe meglio, con più energie e meno malattie):
naturalmente tutto questo ha senso se orientato a Dio e al prossimo. Dio si
incontra veramente solo nella povertà e nel silenzio e la vera carità può
venire solo da una persona capace di soffrire per il fratello; per esperimentare
veramente la presenza di Dio in noi, dobbiamo far tacere il nostro io,
abituarci al silenzio, alla povertà, alla contemplazione. Come può uno che è
ricco e che ha tutto quello che desidera sentire veramente il bisogno di Dio?
chi non ha mai provato il freddo, la fame, l’insicurezza del suo futuro, la
malattia, non conosce Dio in profondità. Si illude di conoscerlo, ma non è
nelle situazione adatta per sentirlo presente nella sua vita. Bisogna, almeno
di tanto in tanto, cercare di vivere un’esperienza di povertà e di silenzio per
poter capire e sentire nella propria vita la presenza di un Altro. L’aspetto
più interessante dell’”ashram” di
Santivanam, il monastero di Padre Grifitz, è quello di essere un luogo di pace
e di serenità, pur nella povertà che è grande. Eppure qui giungono in molti per
restarvi giorni o settimane…. Uno di questi, tornando, si è fatto monaco a
Camaldoli, dove dirige i “Quaderni di
Camaldoli”, rubrica mensile di
spiritualità… questo profeta del terzo mondo ha qualcosa da dire alla nostra
società dei consumi e della secolarizzazione e la dirà in nome dei poveri del
mondo. il senso della sua venuta in Italia è proprio questo: anche noi che
siamo così fieri del nostro antico passato cristiano e così sicuri della nostra
ricchezza materiale, abbiamo bisogno che gli ultimi della terra ci trasmettano
un nuovo messaggio di vita e di speranza.
Luigi: Giov. 5,41: “Io non ricevo gloria dagli uomini”. Lo
dice Gesù, quindi Dio non riceve gloria dagli uomini. Qui dobbiamo chiederci
però perché dica a noi questo e che cosa possa servire per la nostra vita
personale questa affermazione: “Dio non riceve gloria dagli uomini”.
Intanto questo già subito ci fa capire, ed è una cosa da mettere bene in
chiaro, che Dio non ha bisogno degli uomini. A volte si sente dire che Dio ha
bisogno degli uomini e qualcuno ha perfino affermato che Dio ha bisogno della
creazione per poter amare, cioè che per poter amare ha bisogno di un altro da
sé: è un errore grosso. La setta di Moon ha come principio fondamentale questo:
che l’uomo è necessario a Dio, poiché anche Dio ha bisogno di amare, ha creato
la creatura per poterla amare: è un errore. E qui in quanto Gesù stesso dice: “Io non ricevo gloria dagli uomini”,
afferma proprio questo prima di tutto: che Lui non viene tra noi per essere
glorificato da noi. ecco Lui non viene tra noi per cercare che l’uomo lo
glorifichi; non chiede a noi questo.
Eligio: La glorificazione di
Dio da parte dell’uomo è utile all’uomo.
Luigi: E’ utile all’uomo, non a Dio. Questo
va precisato, perché noi crediamo magari di far un piacere a Dio onorandolo,
glorificandolo, lodandolo. Dio non ha bisogno di noi, Dio non ha bisogno della
creatura. Quindi mettiamo sempre i punti ben precisi. Dio non ha bisogno di
nessuno, perché altrimenti non sarebbe più Dio, perché quando uno ha bisogno di
un altro è dipendente dall’altro. Se Dio avesse bisogno della creatura saremmo
nell’assurdo: Dio non sarebbe dipendente dalla creatura. Ora se c'è una cosa
che bisogna affermare in modo molto chiaro e avere molto chiara dentro di noi,
è proprio questa: che presso Dio non c'è l’assurdo. Presso Dio noi possiamo
trovare il superamento, l’incomprensibile, l’infinito, ma mai l’assurdo. Ecco,
Dio ci supera, ma non ha mai niente di assurdo per noi; se c'è un assurdo vuol
dire che in noi c'è un difetto sul concetto di Dio.
Quindi ad
esempio il fatto che Dio abbia bisogno della creatura, è un assurdo nel
concetto divino, perché Dio sarebbe dipendente e allora non sarebbe più Dio;
quindi questo assurdo non esiste.
Allora,
perché il Signore dice a noi: “Io non ricevo gloria dagli uomini”?
Appunto per farci capire che siamo noi che abbiamo bisogno della gloria di Dio
e non Dio che abbia bisogno di essere glorificato dalla gloria degli uomini.
Il concetto
di gloria è il concetto di ciò che uno è, la manifestazione di ciò che uno è.
Quindi la
gloria del Figlio è ciò che Egli è nel Padre.
Nel “Gloria” noi diciamo: “Ti rendiamo grazie per la tua gloria
immensa”.
Sembra
strano che noi dobbiamo rendere grazie per la sua gloria.
Ma è questo
il vero concetto: “Io non ricevo gloria
dagli uomini”.
Noi rendiamo
grazie per la sua gloria, cioè per la rivelazione di Dio attraverso tutte le
cose: questa è utile a noi, per cui noi gli rendiamo grazie.
Dice grazie
colui che riceve un dono. Quindi la gloria di Dio è dono per la creatura. Ma il Figlio Dio, il Cristo, riceve invece la
sua gloria dal Padre, cioè da un Altro.
E qui come
pensiero guida possiamo tenere presente quello che Gesù dice nell’ultima
preghiera al Padre: “Padre, ritorna a me
quella gloria che io ebbi prima che il mondo fosse”, cioè questa
invocazione vuol dire che evidentemente non è che Lui sia stato privato della
sua gloria con la creazione, ma è stato privato della sua gloria con la
presenza del mondo nell’uomo.
Più in noi,
negli uomini, cresce il mondo, e più la gloria del Figlio diminuisce perché noi attribuiamo alle
creature, al mondo, quello che dobbiamo attribuire a Dio.
Allora ecco
che il Figlio di Dio si rivolge al Padre, non alla creatura, per insegnare a
noi che soltanto conoscendo il Padre ritroviamo quella gloria che il Figlio
ebbe prima che il mondo incominciasse ad affascinarci, a disturbarci. Ritroviamo la Verità, l’”in Sé” di Dio. Ecco, è questa la vera gloria che viene da Dio: non
soltanto il Signore non chiede alla creatura la gloria, ma presenta alla
creatura il modo per ritrovare la vera gloria di Dio che è poi la sua vita.
Anziché chiedere a noi qualcosa, ci presenta quel che dobbiamo chiedere, perché
dicendo: “Io non ricevo gloria dagli
uomini”, dice: “Io non vengo qui per
elemosinare; siete voi che andate ad elemosinare la gloria gli uni dagli altri.
Io non vengo ad elemosinare la gloria. Chi mi dà gloria è il Padre che mi rende
testimonianza. Quindi se volete conoscermi dovete cercare presso il Padre
quello che Io sono”. Quindi non
soltanto non chiede a noi qualcosa, ma invita noi a cercare questo
qualcosa più in su di noi, perché siamo noi che abbiamo bisogno di elemosinare
la gloria di Dio da Dio e non è Dio che viene ad elemosinare qualcosa dalla
creatura.
Eligio: E dice: “glorifica”
perché il Figlio da solo non si glorifica. Tutta la gloria del Figlio gli viene
dal Padre. Se il Padre lo glorifica, a sua volta il Figlio glorifica il Padre.
Quanto più (poiché tutto il parlare lo fa nei riguardi dell’uomo) il Padre in
noi glorifica suo Figlio, tanto più in noi il Figlio glorifica il Padre, perché
il Figlio ritorna al Padre.
E’ tutto un
lavoro che deve effettuarsi nella creatura, mica nel Figlio, perché l’ultima
preghiera che Gesù fa al Padre, la fa per noi, per insegnare a noi. quando
dice: “Padre, glorifica tuo Figlio”,
lo dice per noi, affinché noi abbiamo a guardare al Padre, perché dobbiamo
sapere che la glorificazione del Figlio viene dal Padre. Ora, quando uno mi
dice: “Guarda che chi mi dà gloria è quel
tale”, mi orienta ad andare dal tale per cercare informazioni su “la mia gloria”, “su di me”. Ecco allora
Lui mi dice: “Guarda che chi rende gloria
di me è un Altro, è il Padre; allora rivolgiti al Padre. Quanto più il Padre
renderà testimonianza di me, tanto più tu capirai la validità di quello che io
ti dico”. Per cui il Figlio diventa un testimone valido nella misura in cui
il Padre lo rende valido per noi; per noi perché abbiamo una garanzia nel Padre
di ciò che Cristo dice.
Quando qui
abbiamo letto che: “Io non ricevo gloria
dagli uomini” e abbiamo capito ad esempio che il concetto di gloria da
parte di Dio, essendo la manifestazione di Sé, Lui la riceve dal Padre, noi
comprendendo questo, comprendiamo una Verità che orienta già la nostra vita per
cercare la validità di quello che Lui dice. Con questa frase io so che non
posso trovare questa certezza o questa sicurezza dalla creatura. Quindi non
debbo andare a cercare né da me, né dalla creatura, né dagli uomini la
testimonianza valida per Cristo. Non debbo sentire gli uomini per essere sicuro
della Verità del Cristo. Perché in quanto Lui dice: “Non ricevo testimonianza dagli uomini”, dice: “Non vengo a cercare testimonianza di me”, ma tu anche a tua volta
non devi cercare testimonianza di me dagli uomini, perché io non ricevo
testimonianza dagli uomini, e quindi mi orienta a ricercare presso il Padre la
testimonianza del Figlio. Quanto più presso il Padre io vengo a capire la
validità, la Verità del Cristo, tanto più il Cristo per me diventa un maestro
di Verità, convalidato, cioè mi dà una certezza per cui le sue parole mi
diventano luce. Fintanto che io facevo conto sugli uomini o sulle mie
esperienze o su me stesso, le parole del Vangelo sono buone o meno buone,
valide o meno valide, ma non ho una certezza, non ho una sicurezza. Per questo
Lui mi dice: “Guarda che la gloria mia tu
la devi cercare presso il Padre, perché chi mi rende testimonianza è il Padre;
quindi cerca presso Dio. più tu cerchi presso Dio, cioè superando te stesso,
gli altri e quel che dice il mondo, tanto più tu troverai la validità di quello che io ti dico. Ma quanto più tu
troverai la validità di quello che io ti dico, tanto più tu avrai la certezza
in te”.
Ecco
l’importanza di capire una parola presso Dio; mentre invece noi generalmente,
meditiamo sulle parole del Vangelo, andando a cercare testimonianze di uomini,
prove, frasi, ecc.; no! Vedi qui che salto ci invita a fare…. Perché nessun
uomo e nessuna parola di uomo ti può dare la creatura. La certezza te la dà
soltanto il Padre, anche su di me. Per cui il Figlio non mi parla di sua
autorità, ma mi dice: “Cerca la conferma
di quello che io ti dico presso Dio”.
se tu la cerchi presso Dio, superando te stesso, superando il mondo,
superando quello che dicono gli uomini, tu vedrai la verità di quello che io ti
dico e naturalmente vedendo la Verità avrai la certezza.
Pinuccia: Con questa affermazione
Gesù mette anche in rilievo l’amore che Egli ha per noi, cioè il disinteresse
completo che Lui ha venendo in mezzo a noi.
Luigi: Certo, la creazione è tutto un
atto di amore puro di disinteresse, perché Dio non può creare la creatura in
quanto abbia bisogno della creatura, perché questo sarebbe assurdo e l’assurdo
presso Dio non esiste. Gli argomenti di Dio noi li dobbiamo accettare anche se
non li capiamo, ma non sono certamente assurdi: non c'è l’assurdità presso Dio.
L’assurdo dobbiamo rifiutarlo, perché in Dio non c'è l’assurdo. C'è l’elemento
superiore, ma non c'è l’assurdo.
Pinuccia: Non solo crea disinteressatamente,
ma viene tra noi disinteressatamente.
Luigi: Certo, si offre a morire, unicamente per darci un dono e non per bisogno. Lo fa puramente per noi e solo per noi.