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Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio. Gv 5 Vs 14


Titolo: Riassunto dell’episodio del paralitico

Argomenti: Le due conoscenze. Fuori del tempio, le conoscenze sono rapporti, Dio parla in parabole-Dio si annuncia. Dentro il tempio: il significato di Dio e delle cose-parlare aperto di Dio-Dio rivela la sua presenza. Le sollecitazioni a entrare nel tempio. “Io sono Colui che è”.La presenza è sempre dono dell’Altro. Dio non lo possiamo vedere ma non lo possiamo smentire. Nel tempio, Dio rivela il suo volto. Lo spirito di verità è spirito di presenza. Si entra nel tempio di Dio si entra facendo la sua parola. La vera guarigione.Toccare la nostra impotenza. Il mondo nemico attorno a noi. La conoscenza è personale e incomunicabile. L’estasi di Ostia. La dipendenza totale da Dio: Dio scopre noi nel tempio. La partecipazione dell’uomo sta nel desiderio. Affermando il dono di Dio, possediamo la luce di Dio. Il tempio è il Padre.


 

23/Aprile/1978


Dall’esposizione di Luigi Bracco.

Quando i farisei chiedono al paralitico chi era Colui che gli aveva detto di prendere il suo giaciglio e di camminare, egli non sapeva chi fosse, perché Gesù si era allontanato dalla folla. Così abbiamo visto la volta scorsa. Questo ci aveva fatto scoprire che ci sono due conoscenze nella vita dell’uomo:

-                     La prima conoscenza è relativa alla folla (e per folla noi intendiamo tutto il mondo, tutte le circostanze che ci stanno attorno). È la conoscenza in cui noi generalmente passiamo tutta la nostra vita. Noi conosciamo sempre soltanto in relazione ad una certa folla di argomenti che ci stanno attorno, di mondo, di esperienze, di prove.

-                     E poi c’è un’altra conoscenza: quella dell’Essere in Sé.

La prima conoscenza è quella di questo paralitico: ad un certo momento, siccome Gesù si è allontanato dalla folla, non sa più dire chi Egli sia, perché non lo trova più, non lo vede più in mezzo alla gente.

Ecco, tutte le nostre conoscenze sono in relazione ad una “gente” che ci sta attorno, a quello che dicono gli altri, a quello che sentiamo, a quello che esperimentiamo, sempre in relazione ai nostri sensi, al nostro io, al nostro mondo. Infatti in tutte queste conoscenze noi non possiamo mai dire che cosa sia l'Essere in Sé, la cosa in sé. Noi possiamo sempre dire che conosciamo le cose per l'abito che hanno; conosciamo le persone per il vestito o per il corpo che hanno; gli avvenimenti li conosciamo in relazione a certe cose del nostro mondo e tutte le nostre scienze sono sempre fondate su dei rapporti con qualche cosa che non sappiamo che cosa sia; il senso, il significato delle cose ci sfugge. Parlando dell’importanza per la nostra vita di intendere il significato delle cose, avevamo detto che esso è riservato a Dio e noi lo possiamo attingere solo in Dio. Fintanto che non abbiamo trovato Dio, a noi sfugge il senso, il significato delle cose e della stessa nostra vita.

Ecco perché, vivendo nel mondo, ad un certo momento ci accorgiamo che la nostra vita è senza significato e che di tutte le cose noi non sappiamo il senso.

Forse in un primo tempo diamo un certo significato alle cose perché le mettiamo in relazione a dei nostri fini (es. carriera, ecc.), per cui tutte le cose hanno significato in base a queste nostre finalità (es. tendiamo ad avere una casa, una sistemazione e allora tutte le cose le vediamo in relazione a questo. Ma poi a poco per volta queste cose passano e anche la nostra vita stessa perde di significato. C’è uno scopo in questa perdita di significato delle cose per noi. Ed è quello stesso che notiamo nella situazione in cui è venuto a trovarsi quest’uomo ubbidendo alla Parola di Dio, cioè portando il suo giaciglio sulle sue spalle in giorno di sabato. I farisei lo rimproverano dicendogli che non lo può fare; e lui si giustifica dicendo che Colui che l’aveva guarito gli aveva detto di portarlo. “ E chi è?” gli chiedono. Ecco, il mondo attorno a noi ci provoca a dire chi è Colui che ci ha dato la vita. Ci provoca cioè alla seconda conoscenza. Noi viviamo tutti in una conoscenza secondo il mondo; però man mano che viviamo, tutto il mondo che sta attorno a noi ci provoca a dire chi è che ci ha dato la vita, chi è che ci ha guarito, chi è che ci fa esistere, chi è Colui nel quale noi crediamo. Di fronte a queste provocazioni, però, noi abituati alle conoscenze secondo il mondo, guardiamo attorno e ci accorgiamo che non possiamo dire chi è Dio: non Lo conosciamo. Cioè in un primo tempo noi diciamo: Dio è il creatore di tutte le cose, Dio è Colui che ci ha dato l’esistenza, Dio è Colui che ci fa vivere, Dio è Colui che ci accompagna. Ma ad un certo momento, tutte queste definizioni non ci bastano più, perché non è la conoscenza di ciò che è Dio. Cioè tutte le nostre conoscenze in base al mondo, all’esistenza, alla nostra stessa vita, sono tutte conoscenze relative, cioè: se il mondo non esistesse, per noi Dio non esisterebbe; se noi non ci fossimo, per noi Dio non ci sarebbe. E questo ci fa capire che noi non sappiamo, non conosciamo Dio in Sé, l’Essere in sé. E chi ci provoca a questa constatazione, chi ci fa toccare con mano questa ignoranza è proprio tutto il mondo attorno, (il passare delle cose, la perdita di significato delle cose e della vita), son proprio tutte le circostanze: sono i farisei che interrogano quest’uomo guarito da Gesù: “Chi è che ti ha detto di portare il tuo lettuccio?” E lui non lo sa. Ma il fatto di non saperlo lo sollecita. Infatti  ad un certo momento lo troviamo nel Tempio.

Abbiamo qui due elementi:

         - abbiamo l’elemento interiore, determinato nell’anima di quest’uomo dall’opera stessa di Dio: Dio che, avendolo incontrato, lo ha guarito, e, avendolo guarito, gli ha creato un rapporto di appartenenza, tanto che quando gli altri gli affermano: “Non ti è lecito” e quindi lo mettono in conflitto con la legge, lui risponde: “Colui che mi ha guarito…” E qui ha dato testimonianza di voler ubbidire a Colui che l’aveva guarito, cioè ha dichiarato di voler appartenere a Colui che l’aveva guarito. Notiamo però questo: egli dichiara di appartenere a Colui che l’ha guarito piuttosto che ai farisei, piuttosto che alla legge, e intanto però non sa chi Egli sia.

       -E poi abbiamo un altro elemento: l’elemento provocatorio da parte dei farisei: “Chi è?”, domanda alla quale lui non sa rispondere: non sa dire chi sia. Questi due fattori sono in ogni uomo; in ognuno di noi infatti c’è: il fattore fede: cioè Dio è Colui che ci ha dato l’esistenza; Dio è Colui che ha creato tutte le cose; Dio è Colui che ci dà la vita; Dio è Colui che ci guarisce e poi c’è la provocazione del mondo attorno che chiede a noi: “Chi è Colui nel quale tu credi?” A questa provocazione noi non sappiamo rispondere perché tutte le nostre conoscenze sono tutte in relazione ad un mondo esteriore. Ma proprio questa provocazione e questo desiderio da parte della nostra anima di appartenenza alla fede, ci sollecitano ad entrare nel Tempio. Infatti qui dice che “poco dopo”, cioè poco dopo che quell’uomo aveva testimoniato, aveva detto di voler ubbidire a Colui che l’aveva guarito anche se non sapeva chi fosse. Quindi “poco dopo” aver affermato questo,e aver constatato di non conoscerlo, Gesù lo incontra nel Tempio. Ora notiamo che tutti questi fatti sono sempre lezioni per la nostra vita spirituale, personale: è Dio che ci educa. Questo “poco dopo” noi lo ritroveremo sovente andando avanti nel Vangelo in un crescendo sempre di più, attraverso il quale il Signore ci educa all’incontro col Padre. Infatti noi troveremo in seguito il Signore che dice: “ancora un poco e non mi vedrete più” (ecco qui quel “poco” che ritorna); e poi ancora più avanti il Signore dice ai suoi discepoli: “ e un altro poco e mi rivedrete”. Quindi in questo “poco”, in questa frazione di tempo c’è un travaglio di anima attraverso il quale il Signore dice : “Io vado, non mi vedrete più: perché Io vado a prepararvi un posto, affinché dove Io sono siate anche voi.” Ecco, questo “poco” è una condizione necessaria per entrare in quel posto dove (dice Gesù) “Io sono”. Ecco quell’Io sono non è più quell’“Io sono” nel mondo, è un altro “Io sono”. È quell’ “Io sono” che dice Gesù: “Prima che Abramo fosse Io sono”. È quell’“Io sono” con cui si definisce Dio a Mosè quando gli chiede: “Qual è il tuo nome?” “Io sono Colui che è”. Però qui Gesù per farci capire in che cosa consista questo posto in cui “Io sono”, ci afferma anche che: “ Dove Io sono”voi non potete venire”. Ecco, sembra una contraddizione, perché a noi dice: “Dove Io sono voi non potete venire” e poi dice: “Io vado a prepararvi un posto affinché dove Io sono siate anche voi e possiate conoscere la mia gloria e partecipare alla mia vita”. Intanto ci dice che questo posto è presso il Padre, perché “Io vado al Padre”. “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”. Ecco, questo ci aiuta a capire che cosa vuol dire entrare nel Tempio. Perché noi (l’abbiamo visto la volta scorsa) possiamo essere dentro il Tempio e fuori del Tempio. Fuori del Tempio siamo nella prima conoscenza, in cui tutte le cose ci sono annunciate, ma non sono capite. Fuori del Tempio il Signore parla a noi, perché Dio parla in tutto, ma parla in parabole affinché non capiamo, cioè affinché capiamo di non capire e, preoccupati della nostra cecità (ecco l’uomo che non sa più chi sia Gesù) ci sforziamo di entrare nel Tempio. La differenza tra l’essere fuori e l’essere dentro, Gesù la dirà ai suoi apostoli, a coloro cioè che hanno lasciato tutto per seguire Lui: “A voi che siete dentro è dato conoscere i misteri del Regno, ma a tutti coloro che sono fuori, tutto è detto in parabole, affinché non capiscano.” Forse che il Signore vuole escludere qualcuno? No, perché il Signore in tutto ciò che opera e in tutto ciò che parla, opera e parla non per escludere, ma per salvare, per far entrare. Quindi anche questo linguaggio del Signore: “A tutti coloro che sono fuori parlo in parabole affinché non capiscano”, lo dice per far entrare. Il parlare del Signore è positivo per dare vita all’uomo. Adesso possiamo anche intendere quanto dice Gesù in una pagina del Vangelo di S.Giovanni: “Io sono venuto per accecare coloro che vedono e per dare la luce a coloro che sono ciechi”. Coloro che sono ciechi sono coloro che sono dentro; coloro che credono di vedere sono coloro che sono fuori, sono coloro che sono nella prima conoscenza e che ritengono che quella sia la realtà, sia la Verità. Allora il Signore viene e parla in parabole per accecarli; li acceca affinché sentano il bisogno della luce, sentano il bisogno di entrare nel Tempio della conoscenza, nel Tempio in cui “Io sono”. Ecco, il Tempio di Dio è il luogo in cui Egli rivela la sua Presenza. A questo punto possiamo capire che l’essere fuori del Tempio è il luogo in cui Dio si annuncia. Noi crediamo e possiamo anche non credere. Dio si annuncia, però non rivela la sua Presenza. La sua Presenza si rivela soltanto nel Tempio e non fuori. Annunciandosi, suscita la fede o magari la ribellione (la notte però): per cui l’uomo di fronte alle Parole di Dio non capisce e sente il bisogno della luce e invoca: è la notte che attende l’alba. E questo tutti quanti noi lo esperimentiamo, perché tutti quanti crediamo che Dio esiste, però non vediamo la sua Presenza. Questo ci fa toccare con mano che noi viviamo di conoscenze esterne al Tempio e non vediamo la sua Presenza. Né a noi è dato : questo è il fatto. Pur desiderando di vedere la Presenza di Dio a noi non è dato rendere presente Colui che è assente per i nostri occhi. Noi sappiamo per es. che Dio è presente, però non possiamo renderlo presente. Perché questo? Perché la presenza non è opera della creatura, ma è dono di Dio. Noi per quanto desideriamo la presenza di un essere, con tutto il nostro desiderio, non possiamo far essere presente quell’essere. La presenza di un essere è sempre dono di sé: è un dono d’amore, quindi dono della persona. Se la persona non si dona, noi per quanto la desideriamo, non possiamo averla presente. Ogni presenza è sempre un dono d’amore. A molto maggior ragione (tutto è segno) la rivelazione della Presenza di Dio, che si annuncia in tutto, ma che noi non possiamo vedere né smentire. Noi non possiamo smentire che Dio sia presente in tutto questo mondo universo: noi non Lo vediamo, però non possiamo smentirlo, perché Dio che si annuncia è più forte di noi. Essendo più forte di noi, si annuncia, si fa credere, ma noi non Lo possiamo vedere, né Lo possiamo smentire. Però la rivelazione della Presenza di Dio, non la possiamo avere se Dio stesso non si dona a noi, non rivela il suo Volto. Dio rivela il Volto nel suo Tempio. Soltanto entrando noi nel Tempio Dio fa a noi il dono della sua Presenza. Ed è lì che ci troviamo di fronte alla difficoltà: “Dove Io sono voi non potete venire”. In questo Tempio noi da soli non possiamo venire. Notiamo che qui si dice una cosa molto bella e molto importante: “Poco dopo Gesù lo trovò nel Tempio”. Non dice:  “Poco dopo quell’uomo guarito trovò Gesù nel Tempio”, ma che Gesù trovò quell’uomo guarito nel Tempio. Non è quell’uomo che trova: è Gesù che trova. Cioè è Dio che si dona, è Dio che rivela la sua Presenza, non è l’uomo che scopre la sua Presenza. Ma Gesù dice anche: “Dove Io sono voi non potete venire”. Infatti l’entrata nel Tempio non è opera della creatura. La creatura non può entrare là dove Dio è presente, perché noi stessi tocchiamo con mano che non possiamo rendere presente Colui che è assente. Noi non possiamo creare la presenza: la presenza è dono dell’Altro. Ora se noi non possiamo creare la presenza nemmeno di una creatura, a molto maggior ragione non possiamo renderci presenti a Dio. Quindi è giusto quello che il Signore dice: “Dove Io sono voi non potete venire”. Però non lo dice per escluderci, perché tutte le opere che fa e tutte le parole che dice le dice per farci entrare. Quindi se Lui dice: “Dove Io sono voi non potete venire”, non lo dice per farci stare fuori, ma lo dice per farci entrare. Però lo dice per farci capire qual è la condizione per entrare. La condizione è questa: è Lui che va a prepararci il posto. Cioè è Lui che si allontana dalla nostra folla, per cui ad un certo momento quell’uomo non sa più chi sia Colui che l’ha guarito: Gesù si è allontanato. In questo passo sono già accennati tutti i grandi problemi della Pentecoste, i grandi discorsi dei cap. 14-15-16 del Vangelo di S.Giovanni dove ci parla proprio di questo: “È necessario che Io me ne vada, se no lo Spirito di Verità non può venire in voi”. Ora lo Spirito di Verità è proprio lo Spirito della Presenza, rivelazione della Presenza dentro il Tempio. Però se Gesù non se ne va, non può venire in noi lo Spirito che ci rivela la Presenza di Dio. Cioè è necessario (ecco il “poco”) che ad un certo momento noi tocchiamo con mano che non sappiamo più chi è Gesù, perché Lui è andato via dalla nostra folla: “È necessario che Io me ne vada”. È la presenza corporea, è tutta la nostra conoscenza relativa che ad un certo momento svanisce; per cui capiamo che tutta la conoscenza che avevamo è tutta notte, tutta tenebra, che non è più conoscenza, perché non ci dà la possibilità di capire, di conoscere l’essenziale. In un primo tempo Dio viene a noi nella nostra folla, nel nostro mondo: parla a noi per unirci a Sé, per farci capire che Egli è Colui che ci dà la vita, che ci dà l’esistenza, che ci guarisce, che ci salva; poi Lui se ne va: (Lui è un Essere che cammina, non è un Essere statico, Dio è dinamico, è vita). Dio se ne va dalla nostra folla. Ma andandosene provoca in noi il bisogno, l’esigenza di entrare nel Tempio per ritrovarlo. “Mi vedrete”. Ecco, Lui ci traccia il cammino: noi da soli non possiamo andare là dove c’è l’ “Io sono” di Dio, ma con Lui, attraverso Lui, si. Infatti questo paralitico, questo uomo guarito, entrò nel Tempio dopo aver testimoniato che incarnava la Parola del Cristo. Cioè è attraverso la Parola di Cristo che si entra nel Tempio. Quell’uomo di fronte alla provocazione dei farisei, e quindi di fronte alla provocazione di tutto il mondo (ed è una provocazione positiva, perché anche questa è grazia di Dio), di fronte a tutta l’opera attorno, testimonia di voler ascoltare la Parola di Colui che l’aveva guarito. E soltanto dopo, “poco dopo”, dopo aver testimoniato questo che Egli viene trovato nel Tempio. Perché non bastava essere guarito. L’abbiamo visto: quest’uomo era guarito fisicamente, ma Dio lo stava guarendo, cioè c’era una guarigione continua di questo uomo che si stava maturando. Infatti se ad un certo momento lui osservando la folla non vede più Gesù e non sa più dire chi è Colui che l’ha guarito, questo ci fa capire che lui non era totalmente guarito, perché la vera guarigione si ha quando il problema è sciolto, quando si entra nella luce, quando si conosce. Ecco, lì abbiamo la vera guarigione. Ora qui abbiamo un inizio di guarigione: Dio accostando quest’uomo paralitico da 38 anni lo libera dalla sua paralisi e gli dà la possibilità di camminare: inizio di guarigione; ma non è guarito (è l’inizio) e lo mette in cammino. Il Signore venendo a noi, ci mette in cammino, ci libera dalla nostra paralisi : nel mondo noi siamo paralizzati, infatti non siamo capaci di camminare verso la Verità:(“Dove Io sono voi non potete venire”). Lui venendo a noi ci da la possibilità di camminare; ma questo è soltanto inizio di guarigione. Incominciando a camminare il Signore ci fa toccare con mano che noi non Lo conosciamo. Facendoci toccare con mano che non Lo conosciamo, ci invita a quella vera guarigione spirituale, totale, che noi non possiamo avere senza la partecipazione personale. Quindi c’è una guarigione da parte di Dio senza di noi: quando Gesù guarisce quel paralitico (“Vuoi essere guarito? Alzati, prendi il tuo letto e cammina”), dopo che lui ha constatato la sua impotenza (“Non ho nessuno”). L’uomo è guarito da Dio proprio quando tocca con mano che non può più fare niente, cioè quando l’uomo è ridotto all’impotenza; perché fintanto che noi crediamo di fare qualcosa con i nostri mezzi, la nostra intelligenza, la nostra volontà, le nostre opere, ecc. Dio non ci guarisce: abbiamo bisogno di toccare con mano prima la nostra impotenza. Abbiamo bisogno di gustare tutti i vini che ci ubriacano nel mondo prima di trovare il vero vino di Dio. È soltanto quando noi abbiamo toccato con mano la nostra impotenza, che Lui ci guarisce: e qui cominciamo a scoprire tutta la problematica del dolore, tutta la problematica della riduzione della nostra vita a niente. Ma, lo scopo di farci toccare con mano il nostro niente, la nostra povertà, la nostra miseria, La nostra incapacità, la nostra impotenza, in tutto quello che è buono, in tutto quello che è valido, in tutto quello che è conoscenza, in tutto quello che è Verità. Quante volte noi facciamo mille propositi, e quante volte tocchiamo con mano che non riusciamo a mantenere niente e cadiamo sempre più, anzi più facciamo propositi e più constatiamo la nostra miseria. È opera di Dio che ci riduce all’impotenza, affinché noi possiamo essere guariti, perché come la condizione per ricevere la luce è quella di essere ciechi, così la condizione per essere guariti è quella di scoprirci malati. La possibilità di essere guariti da Dio è quella di scoprire la nostra povertà, il nostro niente, la nostra miseria. Allora in questa constatazione della nostra impotenza il Signore interviene per metterci in movimento: è il primo passo. Ma alla vera guarigione non si arriva senza una partecipazione personale, cioè senza una incarnazione della Parola di Dio, senza un voler affermare la nostra appartenenza a Dio. Ecco allora qui giustificato tutto il mondo nemico che abbiamo attorno a noi: il mondo nemico che abbiamo attorno a noi (che il Signore mette attorno a noi) Dio ce lo mette per darci la possibilità di incarnare la sua Parola, cioè di diventare personalmente partecipi della sua Parola, del Suo Spirito, perché soltanto attraverso questa scelta personale noi entriamo nel Tempio. Nel Tempio di Dio non si entra  a gruppi, non si entra in massa: si entra uno per volta, perché lì si è chiamati e si è conosciuti per nome da Dio, e Dio ci conosce personalmente: “Chiama le sue pecore una ad una”. Il tratto di Dio è sempre personale. Dio ci considera personalmente come se fossimo soli al mondo; ci tratta sempre personalmente; e si entra nel Tempio uno ad uno personalmente perché nel Tempio si entra per un atto di amore e l’amore è sempre personale (quindi abbiamo una dedizione personale). La conoscenza di Dio è personale. Quella conoscenza di quel“Io sono”, cioè di quella Presenza (rivelazione della Presenza di Dio nel Tempio) è personale, quindi incomunicabile.

Lettura della pagina della contemplazione di Ostia di S. Agostino con sua madre che parla di questa seconda conoscenza e che riflette bene il passaggio, quel “poco dopo”, attraverso cui si va dalla conoscenza secondo la folla alla conoscenza della presenza di Dio, di quel “Io sono” di Dio con cui Lui rivela la sua Presenza.

“E dimentichi del passato, teso il pensiero verso quello che ci stava davanti, s'indagava tra noi, in  presenza Tua, che sei la Verità, quale fosse per essere la vita eterna dei santi che occhio mai vide né orecchio mai udì, né entrò in cuore di uomo... E con affetto più ardente, sollevandoci verso ciò che è sempre medesimo, trapassammo a poco a poco tutte le cose sorporee (la folla) e il cielo stesso donde il sole, la luna, le stelle mandano la loro luce sulla terra... e arrivammo ai nostri spiriti e li trascendemmo per attingere... alla Verità Eterna... Ecco l'attingemmo per un istante... Tacciano le cose, i tumulti della carne, e anche l'anima taccia sé e trapassi se stessa non fermando su di sé il pensiero, e tacciano i sogni e le rivelazioni operate per via di immagini, e ogni parola e ogni segno... per udire Lui solo, da cui tutto fu fatto... Tutto taccia ed Egli solo parli, non per mezzo di quelle, ma per Se stesso, di modo che si oda la sua parola non espressa per lingua carnale... o per similitudine, ma si oda Lui stesso... senza codeste... attingendo l'Eterna Sapienza che sopra ogni cosa permane... Non è questa la beatitudine: “Entra nella gioia del tuo Signore?”... “Non vi è più nulla che mi attragga in questo mondo”... diceva sua madre...

 

Questa pagina è un accenno a come si entra nel Tempio. Dice: “Sostammo per un istante e poi subito ridiscendemmo giù” e questo ci fa capire cosa vuol dire quando Gesù dice: “Vado a preparare a voi un posto”, perché l'uomo non ha la possibilità di restare. È soltanto con Gesù che l'uomo può ottenere un posto. Quando si ha un posto si ha la possibilità di restare. Ecco la preparazione ed ecco cosa vuol dire avere un posto presso il Padre. Vuol dire avere la possibilità di restare nella visione della Presenza di Dio; altrimenti l'uomo può attingerla un istante, ma poi deve ridiscendere. È soltanto attraverso il Cristo che l'uomo può pervenire a Dio e restarvi perché: “Dove Io sono voi non potete venire”.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Eligio: Se è tanto difficile restare per un'anima di tale levatura morale e spirituale come quella di Sant’Agostino, quanto più difficile deve essere per chi da tale levatura è molto distante!

Nino: Però è Dio che fa e Dio può colmare la distanza, per cui non dobbiamo confrontarci con Sant’Agostino. D'altra parte ad ognuno Dio dà dei talenti diversi.

Luigi: L'importante è sapere il luogo dove dobbiamo tendere, sapere che ci sono due conoscenze e che la conoscenza che guarisce è l'altra, non è questa, e che non dobbiamo vivere seduti su questa terra.

Nino: E poi se la condizione è quella di sentire la nostra impotenza (anche se l'abbiamo già sentita tante volte), sarà anche Lui che ci conduce a constatarla.

Eligio: Abbiamo visto da questa pagina di S. Agostino quanta tensione ideale e di amore esiga questa seconda conoscenza. Ma quante volte nonostante tutta la nostra tensione non riusciamo a realizzare questo rapporto diretto tra l'anima e Dio!

Luigi: D'altronde Gesù stesso dice: “Dove io sono voi non potete venire”, quindi c'è proprio un'impossibilità da parte nostra. Ma Lui però dice: “Attraverso Me, sì”. Quindi: “Non fate conto su di voi, ma venite dietro di Me”. È seguendo la sua Parola, incarnando la sua Parola che si entra nella luce. La sua Parola ci conduce, ci fa entrare dentro il Tempio, perché: “Io vi vedrò di nuovo”; lo dice ai suoi discepoli: “Ancora un poco e non mi vedrete, e ancora un altro poco e io vi vedrò di nuovo”.  È Lui che trova noi, è Lui che scopre noi. Nel Tempio non siamo noi che scopriamo Lui. È Lui che scopre, perché la rivelazione della Presenza è un dono suo, non è opera nostra. Quindi dobbiamo cessare di credere di essere noi a fare, ma dobbiamo invece affidarci, far conto su Dio perché sappiamo che deve dipendere da Lui. È gloria sua. È proprio questo riuscire a far conto su Dio. Sant’Agostino dice: “questo superamento di tutto”, che cosa vuol dire? È questo affidarsi tutto soltanto più a Dio, questo dipendere tutto da Dio. Cioè è nella dipendenza totale da Dio che si scopre la Presenza di Dio.

 

Nino: Allora il compito nostro è di riconoscerci incapaci e di desiderare confidando sulle sue Parole.

Luigi: Sì, perché è attraverso di Lui, non attraverso l'opera nostra, che si giunge a Lui.

Eligio: Ecco, affidando sulle sue Parole, perché l'inizio di questa seconda conoscenza è un tunnel oscuro in cui assolutamente nulla devo lasciare a me come protagonista.

Luigi: Sì, infatti il tunnel è quel “poco”.

Eligio: Ci vuole l'apertura totale.

Nino: C'è una difficoltà grossa per noi: quella di rimanere sempre nel desiderio.

Rina: È buono, però, no?

Nino: Ma è difficile.

Eligio: Perché devi escludere tutto quanto ti distrae da questo desiderio.

Nino: Escludere tutto il resto, non ripiegarci, non scoraggiarci: e questo è difficilissimo; non è che noi non abbiamo proprio niente da fare.

Luigi: Noi abbiamo da svuotare la tazza.

Eligio: Soprattutto dire al Signore: “Ti ringrazio dell'aridità in cui mi metti”, e che è l'atteggiamento più difficile, più sofferto dell'anima.

Luigi: Sì, perché anche questo, soprattutto questo richiede il superamento di noi stessi.

Eligio: Perché noi entrando in questa zona oscura, non possiamo più far nulla e dobbiamo aspettare da Lui la rivelazione della sua Presenza e la possibilità di entrare nella conoscenza e in comunione. È un momento di aridità tremenda, dove la sensibilità non ci regge, il pensiero non vede niente; resta l'amore puro.

Nino: Ma ci deve sorreggere la fede nelle sue parole, altrimenti molli.

Eligio: Certo, solo quello.

Luigi: Infatti Gesù inizia questo discorso (e lo vedremo se il Signore ci darà la possibilità di arrivare al capitolo 14) dicendo: “Non si turbi il vostro cuore. È necessario che Io me ne vada, ma non si turbi il vostro cuore”. Quindi è necessario questo “poco”: “Ancora un poco e non mi vedrete più, ma non si turbi il vostro cuore, Io vi rivedrò”. È un passaggio necessario.

Nino: È importante saperlo.

Luigi: Quindi Lui se ne va, ma ci dice: “Abbi fiducia, stai tranquillo, perché l'opera è mia”. Quindi c'è un vuoto, c'è un tunnel, in cui la creatura è messa con le spalle al muro e deve solo aspettare. “Non turbarti però; te lo dico io prima che avvenga perché quando entri nel tunnel tu non ti spaventi”.

Eligio: È proprio questo passaggio dalla “folla” alla “conoscenza diretta”, che ci mette in questo tunnel, in cui non vediamo più la folla; però dobbiamo aspettare da Dio, pur non percependo nulla.

Luigi: Già, perché i tempi li fa Dio. È Lui che si allontana dalla folla. Lui in un primo tempo viene nella folla, perché noi vediamo solo folla, cioè vediamo tutte le cose solo in relazione al nostro io, e quindi non possiamo essere salvati in modo diverso. Lui si fa folla, però Lui non è folla; e poiché non è folla ad un certo momento quando Lo cerchiamo: “non c'è più”. Se n'è andato. Ma ormai ha parlato nella nostra folla e si è fatto conoscere quanto Egli sia diverso: abbiamo trovato in Lui qualcosa di meglio della folla. Questo è il fascino, è l'amore che ci fa uscire dalla folla. Si ha bisogno di silenzio.

Nino: Nei primi tempi noi abbiamo avuto l'impressione che fosse tutto più facile.

Luigi: Certo, perché all'inizio il Signore parla nella nostra folla.

Eligio: L'entrata nel Tempio non dipende dall'uomo, però c'è pur una partecipazione personale, una scelta, vero? Perché il “Facciamo l'uomo” è sopratutto riferito a questo passaggio essenziale dalla conoscenza esteriore al Regno di Dio, quindi l'uomo partecipa, no? Non è che lui può fare niente.

Luigi: Sì, c'è la partecipazione personale; la partecipazione sta nel desiderio. È una partecipazione necessaria. L'uomo, attratto da Colui che l'ha guarito, sollecitato dal mondo che lo mette in crisi e lo provoca, desidera entrare nel Tempio di Dio. Perché il mondo gli fa toccare con mano: “Ma chi è il tuo Dio?”; “Non lo so. E io credevo di saperlo: è il Creatore”. Già, ma allora se il mondo non ci fosse... Allora Dio esiste perché c'è il mondo? Oppure... Ad un certo momento il mondo ti mette in crisi. Chi è il tuo Dio? Già nei Salmi: “Chi è il tuo Dio, nel quale tu credi?” Tutto questo ci  sollecita ad entrare e noi passiamo dal mondo esterno al mondo interno (passaggio dall'esteriorità all'interiorità) e poi dall'interiorità a Dio, perché Dio si rivela soltanto in Dio. Soltanto attingendo Lui, Lui rivelerà la sua Presenza. La creatura è impegnata con il desiderio. Ma il desiderio è opera sua. Non si entra nel Tempio per opera nostra. In noi ci deve essere il desiderio, ma l'opera è sua. L'opera è di Dio, perché: “Dove Io sono voi non potete venire”. Il Tempio è il luogo in cui Dio rivela la sua Presenza: “Dove Io sono”. Ecco l'“Io sono” di Dio si annuncia in tutto, ma si rivela soltanto nel Tempio: “Dove Io sono voi non potete venire” dice Lui, il che vuol dire che noi non possiamo entrare per opera nostra. Però Io sono venuto proprio per farvi entrare. Lui viene in noi e suscita in noi il desiderio di Sé. Se noi mettiamo questo desiderio in alto, cioè seguiamo Lui, perché: “nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre”: Lui ci fa entrare là dove noi non possiamo andare. Il desiderio del Padre è proprio il desiderio della Presenza del Volto di Dio, della Presenza di Dio. Noi tutti crediamo che Dio sia presente, ma non Lo vediamo presente e non possiamo farlo presente. Non siamo noi, non è dato a noi farlo presente, presentificarlo, renderlo presente. No, perché la rivelazione della presenza è dono dell'Altro.

Rina: Io credevo che fosse una colpa nostra il non poter sentire la sua presenza, in quanto non creiamo il clima per poterla sentire.

Luigi: Ah no, è dono di Dio. Tenga presente che per quanto lei desideri la presenza di una persona, non è colpa sua se tale persona non viene. La presenza è dono dell'altro, è grazia! Non è colpa nostra se l'altro non è presente.

Nino: È colpa nostra il non scartare tutto ciò che non è Lui.

Luigi: Certo, il non amarlo, il non desiderarlo.

Rina: Il non preferirlo.

Luigi: Ma non basta il nostro desiderio per rendere presente una persona. Se quella persona non viene è come il campanello del telefono: per quanto tu desideri una telefonata, se il campanello non suona, la telefonata non la ricevi. Quindi la presenza non è opera del nostro desiderio. Il desiderio ci vuole, altrimenti il campanello che suona mi crea una seccatura, e magari butto giù tutto. Quindi il desiderio è necessario, però il desiderio da solo non basta per rendere presente ciò che è assente.

Nino: Non basta, ma è indispensabile.

Luigi: Senz'altro è indispensabile: è la fame che mi dà la possibilità di mangiare il pane: però con tutta la mia fame io muoio di fame se non trovo il pane; e il pane non sono io che lo creo con la mia fame. Ecco, siamo sempre lì: la presenza è dono dell'altro. E siccome noi abbiamo bisogno di toccare con mano che questa presenza non è opera nostra, ecco che il Signore ci fa passare attraverso questa impotenza, perché il giorno in cui Lui rivelerà a noi la sua Presenza noi grideremo di gioia per il suo dono. Lo magnificheremo perché: È stato tutta grazia sua, tutto dono suo”. Poter dire: “Signore, è stato tutto dono tuo”. Questo è Paradiso, questa è gioia.

Baggia: Penso però che anche il desiderio è opera di Dio.

Luigi: Certo, tutto. Opera nostra è soltanto il rifiuto, la malvagità, la cattiveria, il non tener conto. Ecco, in questo opera soltanto l'uomo. L'opera dell'uomo è sempre un  difetto. Tutto quello che c'è in noi di positivo è tutto opera di Dio, il desiderio è opera di Dio, la fede è opera di Dio, tutto è dono di Dio. E il poter dire: “Signore, tutto è dono tuo”, è la nostra gioia, la nostra vita, perché allora ci conosciamo figli suoi. Figli di Dio come desiderio, come fede, come amore, come speranza e anche come conoscenza: “Signore, è stato tutto meraviglioso dono tuo”, è Paradiso. Quando invece noi facciamo conto su di noi, ci prepariamo l'inferno, perché: “Sono io che”, e dicendo: “Sono io che”, è finito: esco dall'incanto, dalla luce, esco dal Regno di Dio, sono fuori. Fuori, il Signore deve operare per convincermi che non sono io che faccio le cose. Nel Regno di Dio entro per opera sua non per opera mia.

Eligio: Sì, il desiderio è opera di Dio, ma non contro la nostra volontà e con la nostra indifferenza, perché Dio dice: “Facciamo”.

Luigi: Sì, tutte le opere di  Dio non son fatte come robot o come distributore automatico di panini. Le opere di Dio chiedono a noi la partecipazione consapevole; per cui Dio in tutto ci fa proposte: ci propone una cosa e chiede a noi l'adesione. Perché anche l'adesione è opera sua. Io aderisco in quanto Dio mi ha chiamato, in quanto Dio mi ha fatto il  dono, quindi: “Signore, è stato tutto dono tuo”. Anche la possibilità di aderire è opera di Dio, perché Dio ti ha dato la possibilità di aderire; se non aderiamo la colpa è nostra soltanto nostra. Se aderiamo, la grazia è di Dio, perché è Dio che ci ha dato la possibilità di aderire. È solo con Dio che possiamo aderire alle opere di Dio. Cioè se ascolto, ascolto perché ho l'orecchio; ma chi ha fatto l'orecchio? Non sono io che mi sono fatto l'orecchio. Quindi se ascolto è dono di Dio perché è Dio che mi ha fatto l'orecchio. Colpa mia (opera mia) è soltanto quella di rifiutare, di non ascoltare, quindi è sempre un meno. Se ascolto, Dio mi conduce e mi fa entrare.

Nino: Penso che il giorno in cui noi saremo convinti e vivremo la nostra incapacità, non ci sarà più il dolore per noi perché Dio non avrà più bisogno di provarci, di metterci in crisi.

Luigi: Sì, certo, questo è vero.

Rina: Quindi prendendo tutto dalla mano sua, non c'è più dolore?

Nino: È Paradiso vero, non c'è più niente che ci faccia soffrire.

Luigi: Noi già su questa terra stiamo sperimentando l'inferno, il purgatorio, il paradiso, perché sono una nostra dimensione interiore.

Nino: Si vivrà in pieno il giorno in cui non si dirà più: “Guarda come sono capace a fare quello o non sono capace a fare quello”.

Luigi: Non è facile, ma è importante saperlo, perché noi incominciamo la vita vera con il pensiero. E poi in questo pensiero si deve far entrare tutto di noi tutto il nostro mondo. Altrimenti, come dice S. Agostino: “Col pensiero siamo stati là, ma poi il nostro mondo ci ha ripresi giù”. Dobbiamo far entrare tutto nell'unità, raccogliere. La vita è raccolta. L'importante è incominciare a sistemare bene il pensiero; con il pensiero ben orientato, consapevoli di dove dobbiamo arrivare, dove cioè Dio vuole che noi arriviamo. Dopo il pensiero a poco per volta: “Con la pazienza raccoglierete tutta l'anima vostra”.

Nino: Credo che avrei bisogno di vivere 200 anni!

Luigi: Se è necessario, vivrai 200 anni, perché non è che il Signore tagli prima. Il Signore taglia quando ormai … è finito tutto.

Rina: Siamo come i suoi discepoli: “Tardi e duri di cuore”.

Luigi: Ed erano suoi discepoli e l'avevano nel cuore, perché si lamentavano della sua assenza. Erano tristi per Lui!

Nino: Ciò che a volte ci viene a mancare è quel desiderio, perché abbiamo tante altre cose per la testa.

Luigi: Ecco, è questo piuttosto: è che noi ci disperdiamo con tanta facilità dietro tante cose. Quando ci raccogliamo, siamo convinti, poi ci disperdiamo con tanta facilità. È tutto lì.

Eligio: Si vive già bene se si riesce a stare in quel pensiero che tutto dipende da Dio, per cui se Lo si ringrazia in tutto, anche nelle situazioni più complicate, si può conservare la serenità e quindi la lucidità di mente, e si può constatare come le situazioni si dipanano. Questo si esperimenta se Lo si ringrazia di trovarci in una situazione verso cui si prova repulsione, di trovarci di fronte a “quelle” persone. È una meraviglia.

Luigi: Ecco cosa vuol dire pensare, restare uniti a Dio.

Eligio: Ma è Dio che fa, non c'è bisogno di farci forza, ma solo di ringraziare di tutto.

Luigi: Sì, è importante tener presente questo perché tutto è opera di Dio.

Eligio: Ringraziare Dio di tutto, quanto ci è di aiuto! E come semplifica la nostra esistenza!

Nino: Sì, perché a volte le difficoltà ce le creiamo noi stessi.

Luigi: È che noi non siamo sufficientemente convinti che Dio è Colui che opera in tutto. Se fossimo veramente convinti che Dio opera veramente in tutto...

Nino: Lo lasceremmo fare.

Luigi: Sì, perché Lui opera molto meglio di noi e delle nostre agitazioni. Per questo, ringraziando e lodando il Signore per tutto, uno si rimette a Lui: “Fa tu” e intanto senza accorgertene il problema  si scioglie e constati che Dio ha operato veramente quella soluzione che tu non potevi.

Nino: È utile anche quando non capisci: toglie la preoccupazione ed è già una ricompensa.

Luigi: Se uno si rimette al Signore, il Signore scioglie. Anzi ci fa fare un passaggio successivo, progressivo e migliore, dopo la prova. Cioè uno si accorge che attraverso quella prova ha acquisito qualcosa di meglio. E quindi la cosa è stata positiva. Ed è stata positiva proprio perché hai ringraziato il Signore, l'hai accettata dal Signore, l'hai affidata al Signore.

Rina: Invece quando non abbiamo accettato la prova da Dio e si rimane chiusi in se stessi.

Luigi: Allora diventa un calvario; allora i problemi si complicano all'infinito, perché il Signore ci fa toccare con mano la nostra nullità. Allora la matassa si ingarbuglia e non ne usciamo più. Ma anche del fatto di non uscirne più bisogna ringraziare, perché anche se noi fossimo in una matassa ingarbugliatissima, il giorno in cui ci ricordiamo: “Non ho mai ringraziato il Signore di questo”, e incominciamo a ringraziarlo, la matassa si scioglie. Perché il Signore ha la possibilità di sciogliere qualunque situazione; agli occhi di Dio non c'è matassa imbrogliata che non possa sciogliersi. Ringraziando, ci si affida: “C'è un tuo piano, tu lo sai, perché le cose sono in me così ingarbugliate”.

Pinuccia: Lodare il Signore vuol dire ringraziarlo?

Luigi: Sì, ringraziarlo e accettare la cosa dalle mani sue e confidare che Lui la scioglierà. La lode è questo fidarci di Lui, far conto su di Lui.

Eligio: Però è necessario fare un superamento per ringraziare, perché c'è tutto il garbuglio del nostro io: questa è vera azione.

Luigi: È già un passo avanti.

Nino: Magari all'inizio si ringrazia senza esserne convinti, poi pian piano si arriva a farlo con convinzione. Uno può dire che è autosuggestione, però in pratica poi si è confermati.

Luigi: Dì quello che vuoi, però il problema si risolve, è lì il fatto. Mentre invece con tutta la nostra astuzia, con tutti i nostri numeri, noi non riusciamo che a complicare maggiormente il problema e a non uscirne e restiamo nella confusione.

Nino: Con tante argomentazioni, anche di fede, non si conclude niente, mentre invece se si segue così il Signore, si arriva alla liberazione o a soluzioni di problemi.

Luigi: Certo, vedi la macchina per Nairobi.

Nino: O guarigioni di malati, quando non sei sicuro di aver azzeccato la malattia e la medicina.

Eligio: La cosa più difficile è ringraziare per certi fatti di delinquenza umanamente inammissibili (ad esempio Curcio o sequestro Moro).

Pinuccia: Dobbiamo ringraziare anche per questo?

Luigi: Perché è lezione di Dio, e misericordia di Dio per me.

Nino: Forse è più facile dire: “Accetto Curcio, perché tu Dio hai qualcosa da dirmi anche attraverso di lui” ed è la stessa cosa senza urtare come il dire: “Ti ringrazio”.

Eligio: Si ringrazia per la lezione che ci dà.

Luigi: È come per Giuda.

Cina: Il Signore ci presenta sempre un di più. Dobbiamo avere tutti questa speranza di una seconda conoscenza?

Luigi: Dobbiamo averla tutti: ne parla il Signore. D'altronde questi fatti che Dio ci presenta nel Vangelo, perché ce li presenta? Perché possiamo avere questa speranza; quindi dobbiamo avere questa speranza, perché il Signore lo vuole. Se ci parla di questa conoscenza, perché ce ne parla? Perché noi abbiamo a desiderarla.

Nino: Se noi non abbiamo questa speranza, manchiamo di fede.

Luigi: Certo, cioè non accogliamo la sua lezione. Quando Lui mi parla di una cosa: “Guarda che devi arrivare là”, è perché vuole che io abbia la speranza e guardi di arrivare là per mezzo suo. Il parlare di Dio è sempre una proposta che Lui fa alla creatura. Quindi se è una proposta ce la offre ad essere desiderata. Quando ci parla del Padre è perché Lui ci propone il desiderio del Padre.

Cina: Si sente che si deve vivere per questo.

Luigi: Si deve vivere per questo.

Cina: Proprio per quel punto immacolato che abbiamo in noi, per quella sete dell'Assoluto, si sente che si deve vivere per questo e nello stesso tempo uno si trova in mezzo alla folla di continuo, anche se diciamo continuamente: “Questo non mi basta, questo non è Dio, sono nata per un di più”.

Luigi: Di fronte a questa folla dobbiamo avere il coraggio di quest'uomo paralitico. Lui si trova davanti ad una folla di farisei, quindi superiori, di sacerdoti che gli dicono: “Tu non puoi portare il tuo giaciglio. È sabato: tu vai contro la legge!”. Lui corre il rischio di essere lapidato! Di fronte agli argomenti della folla cosa risponde? “Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi il tuo letto e cammina”. Ecco bisogna avere questa forza: bisogna dare ragione a Dio nonostante tutto quello che si dice nel mondo. Il Signore ci pone di fronte al mondo per provocare la nostra testimonianza, per rafforzare il nostro amore. Appunto ci mette nella prova per rafforzare in noi lo Spirito, per farci capaci di portare la sua Parola, di portare il suo dono. Dobbiamo stare attenti, perché impauriti dalla folla perdiamo il dono di Dio. Invece la folla è proprio il momento nel quale Dio ci dà la possibilità di possedere il suo dono. In un primo tempo ce lo offre e poi ci mette la folla che ce lo contraddice, affinché noi, affermando il suo dono lo possiamo portare; altrimenti lo perdiamo. È lì che bisogna essere molto, molto attenti, perché è nella tentazione che l'uomo diventa capace di possedere la luce che Dio vuole dargli, altrimenti la perde, per dare ragione agli altri. Bisogna far trionfare lo spirito, ma lo spirito trionfa in noi in quanto è provocato. Bisogna avere il coraggio di dichiararlo.

Nino: È facile però, trovandoci in mezzo a gente che la pensa in modo molto diverso, che ci sorga il dubbio se siamo noi o loro sulla strada sbagliata.

Luigi: Qui debbo dire allora una cosa molto importante ed è questa: noi non abbiamo i doni di Dio non perché Dio non ce li doni, ma perché noi li perdiamo nella prova. Dio i doni ce li dà. È nella prova che noi non li facciamo e li perdiamo. È la tristezza della vita! Dio i doni ce li dà tutti. Noi di fronte a Lui troveremo Colui che ci dice: “Ma io ti avevo dato tutto”, soltanto che tutte le volte che ti ho messo di fronte l'occasione per dimostrare che il dono l'avevi, tu hai dato ragione all'altro, cioè l'hai perso.

Pinuccia: Ma prima diceva che non basta il nostro desiderio perché Dio può anche non darci il dono, ma  ora dice che ce lo dà sempre?

Luigi: Dare non è possedere. Per giungere a possedere un dono bisogna affermarlo nella prova. Non basta che il dono arrivi a noi. La vita non incomincia col ricevere doni, ma con l'offrirci a ciò che Dio ci ha donato. La vita inizia lì, nella risposta, cioè nell'affermazione. Quando io so che 2+2=4, la vita non incomincia qui; incomincia quando di fronte a chi mi dice 2+2=5, io dico: “no, 2+2=4”.  Incomincia lì in quanto affermo: è lì che incomincio a possedere. Di fronte all'affermazione contraria dò la dimostrazione di quello che porto.

Nino: Noi riceviamo il seme, lo facciamo spuntare e poi lo lasciamo lì

Luigi: Il seme arriva dappertutto, su tutti i terreni, siamo noi che lo perdiamo: non è Dio in difetto. Il difetto è sempre nostro, perché non ci accorgiamo delle occasioni che il Signore ci dà per darci il possesso di quello che Lui ci ha dato. Perché non basta che Dio ci dia i suoi doni per noi possederli. Dio abita in noi: lo vediamo presente? Ecco il dono; perché non lo vediamo? “Chi fa la verità giunge alla luce”: di fronte alle prove della vita: fare la Verità. Invece noi di fronte alle prove e alle tentazioni vediamo quasi una negazione; mentre è una gioia! Ecco perché dobbiamo ringraziare il Signore! La prova è l'occasione che il Signore ci dà per possedere quello che Lui ci ha dato!

Nino: Non è una gioia perché siamo insicuri.

Luigi: Sì, certo. Ma se guardiamo Dio è una gioia, perché: “Adesso il Signore mi offre la possibilità di possedere il suo dono e la sua luce”.

Pinuccia: Credevo che l'entrare nel Tempio volesse dire entrare nell'interiorità; ma ora ho capito che è ancora un passo più avanti.

Luigi: Sì, il passaggio all'interiorità è necessario

Pinuccia: E per questo noi possiamo farlo; invece entrare nel Tempio: “Dove Io sono voi non potete venire”, non possiamo farlo.

Luigi: certo. Bisogna entrare dentro di noi e poi superare anche, dice S. Agostino, la nostra anima e i pensieri della nostra anima, perché Dio non è la nostra anima; però bisogna passare attraverso, bisogna diventare tutto desiderio di Lui. Direi all'ultima conseguenza, il Tempio è il Padre, l’“Io sono” del Padre.

Pinuccia: Allora è certo che non vi possiamo andare da soli.

Nino: È facile fare quell'errore: credere cioè che basti entrare in noi.

Luigi: È necessario entrare in noi, ma non è sufficiente; è una tappa di questo cammino.

Eligio: Comunque mai è stata detta, e intesa, in modo così chiaro l'esigenza di questa seconda conoscenza. In questa nuova luce mi pare che il Signore mi dica: “O fai adesso questo passaggio o...”.  Mi pare che si chiuda un ciclo di ricerca e di grazie relative.

Luigi: Noi diciamo che è l'argomento che ci ha portati qui, su questa spiaggia; ma è dall'eternità che Dio ha disposto, perché è Lui che fa il cammino, che questa sera approdassimo sull'orizzonte di questa conoscenza: è tutta opera di Dio, non è opera nostra. È Dio che conduce i nostri passi.

Eligio: Mi pare giunto il momento di parlare di Dio, per quanto la grazia sua ci sovviene, in modo più sostanziale, diverso.

Nino: È sempre un andare avanti.

Eligio: Ma in modo diverso: c'è un salto di qualità

Nino: Dio ci sorprende sempre. Anche nelle professioni umane se non ti stanchi hai sempre qualcosa di nuovo da imparare.

Eligio: Comunque domenica scorsa si è detto che ad un certo momento si giunge ad una soglia critica che bisogna superare quando si giunge ad essa, pena il rischio di cadere nella dispersione,(folla). E superarla vuol dire un salto di qualità molto difficile e molto delicato.

Pinuccia: Ma il momento di superare questa soglia è il Signore che lo decide; quando dice: È necessario che io me ne vada”.

Luigi: Certo, è Lui che lo decide. I tempi è Lui che li presenta. Però che Lui presenti i tempi non è detto che la cosa si faccia. È lì il fatto, perché tutte le opere di Dio sono proposte. Le proposte non sono imposizioni: Dio non impone. Le opere di Dio sono proposte; in quanto sono proposte non è detto che siano attuate dalla creatura. Non avviene niente di automatico.

Pinuccia: Allora bisogna riconoscere questo momento.

Luigi: Certo, perché se noi non lo riconosciamo: “Non hai  conosciuto l'ora in cui sei stata visitata”.

Pinuccia: E questa soglia è la seconda visita del Signore, non la prima vero? Allora son due le visite del Signore: “Non hai conosciuto l'ora in cui sei stata visitata”: già quando si annuncia è una visita.

Luigi: Bisogna sempre essere aperti; anche quando parla nella folla. Perché noi possiamo staccarci da Dio quando siamo ancora immersi nel mondo; possiamo staccarci da Dio quando siamo lì, all'entrata nel Tempio. Non ritenerti mai sicuro; non dire: “Adesso io sono già all'entrata del Tempio, sono già vicino al Padre”. No! L'esempio di Pietro quando disse: “Ma io verrò con te fino alla morte” ci sia sempre di ammonimento. Gesù gli rispose: “Questa notte stessa mi tradirai”. Non possiamo mai essere sicuri. Mai fidarci di noi o del punto in cui ci troviamo; ma fidarci sempre di Dio, soltanto di Dio. La nostra sicurezza è Lui, non noi. Non è nel cammino che già abbiamo fatto, fossimo anche sulla cima della vetta; tu puoi precipitare nell'inferno! “Cafarnao, Corazin, guai a voi!”. Eppure c'era Gesù che parlava in mezzo a loro. La nostra sicurezza è Lui!