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Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Gv 5 Vs 14 Quarto tema.


Titolo: ”Eccoti guarito”


Argomenti: La certezza della guarigione ci viene da Dio, nel tempio. Conoscere Cristo secondo il mondo. Essere trovati nel tempio da Dio. Spiritualmente l’attesa è determinata da una dipendenza. Tocchiamo nella misura in cui siamo toccati: toccati da Dio, tocchiamo Dio e siamo guariti. La porta delle pecore: il superamento dell’io. Dio conduce l’uomo a toccare con mano la sua impotenza. La paralisi del pensiero. Nel tempio, l’anima è la Madonna: è tutta in attesa. L’anima nel tempio concepisce per opera dello Spirito Santo, non per iniziativa sua. Libero è solo chi conosce la Verità; conosce la Verità chi è conosciuto dalla Verità. Fallire la prova: 40 anni nel deserto. In tutto l’universo Dio parla un Verbo unico. Vedere la realtà del Regno di Dio.


 

28.Maggio.1978


 Esposizione di Luigi Bracco:

Luigi: Gesù disse al paralitico, che ormai era guarito, trovandolo nel tempio: “Eccoti guarito”. Ci soffermiamo su questo argomento riferendolo alla nostra vita spirituale. La prima cosa che dobbiamo chiederci è questa: quand’è che siamo veramente guariti? Quindi in che cosa consiste la nostra malattia?

-                     Come si diventa malati?

-                     Che cosa possiamo fare per andare incontro alla nostra guarigione?

E soprattutto:

-                     Quand’è che veramente siamo guariti?

C’è un fatto nei nostri mali ed è questo: tante volte possiamo essere malati e non saperlo, cioè crederci guariti e non esserlo. Ci sono delle malattie che sono palesi e quando uno è malato sa altroché di essere malato; ma ci sono anche malattie che quando uno ce l’ha, non se ne accorge: si crede sano, guarito, invece è malato. Tutte queste cose naturalmente avvengono perché sono tutte significazioni di mali ben più profondi, diversi, cioè soprattutto mali dell’anima, dello spirito. Allora, siccome ci sono dei mali dell’anima che non conosciamo, così ci sono malattie, anche nel corpo, che non conosciamo. Per questo Gesù dice che certuni credono sani e sono malati; sono morti e si credono vivi; si credono giusti e invece sono infedeli. Questo avviene nell’uomo. Di qui l’importanza di capire quand’è che veramente l’uomo può dirsi guarito. Intanto notiamo subito questo: Gesù che l’aveva guarito, trovatolo nel tempio gli conferma: “Eccoti guarito”. Lo conferma nel tempio, quel famoso tempio di cui abbiamo parlato volte scorse e lo fa dipendere dal fatto di averlo trovato. Gesù avendolo trovato nel tempio, lo conferma: “Eccoti guarito!”. Lo fa dipendere dall’averlo trovato nel tempio. L’uomo può ritenersi guarito soltanto perché lo sa lui. L’uomo è veramente guarito soltanto quando Dio gli dice: “Eccoti guarito!”. Questo ci fa capire che la vera guarigione avviene solo nel tempio. Non è quando il malato si crede guarito che è guarito, ma quando il medico lo conferma. Il vero Medico delle anime, di ogni uomo, è Dio. E soltanto quando Dio dice all’uomo: “Eccoti guarito”, l’uomo può essere tranquillo, sicuro: veramente è guarito. Ma quand’è che avviene questa parola? Dio non parla parole umane, anche se il Cristo essendo l’incarnazione, del Verbo divino usa parole umane; ma usa parole umane per significare a noi i veri rapporti che passano tra la nostra anima e Dio in cui non si parlano parole umane, Dio non parla parole umane, ma Dio ci fa constatare la realtà, la verità. Questa sera possibilmente vorremmo soffermarci su questa testimonianza che Dio dà alla creatura, quando la conferma guarita e in che modo, per cui la creazione resta tranquilla perché quando abbiamo la conferma del medico di essere sani, si resta tranquilli, si è in pace. Invece se ci fidiamo soltanto di noi c’è sempre un po’ di ansia, un po’ d’inquietudine, perché c’è l’incertezza. Ecco, la certezza non viene da noi. La certezza ci viene sempre dall’Altro; la certezza ci viene da Dio. E questa certezza che ci viene da Dio ci viene nel tempio. Abbiamo visto che la conferma di essere guariti è una conseguenza dell’essere trovati nel tempio. Abbiamo detto la volta scorsa che noi troviamo Dio nella misura in cui siamo trovati da Dio; che noi conosciamo Dio nella misura in cui siamo conosciuti da Dio, nella verità. Nella verità, cioè nel tempio, si è dipendenti da, per cui non siamo più noi a conoscere, non siamo più noi a trovare, non siamo più noi a vedere, ma siamo noi che siamo visti, trovati, conosciuti, amati. Nella misura in cui siamo trovati, amati, conosciuti, allora vediamo, amiamo, conosciamo. È qui che scopriamo la paternità: ci scopriamo come figli di-, quando il nostro vedere è una conseguenza dell’essere veduti, il nostro trovare è una conseguenza dell’essere trovati, e anche il nostro amare è una conseguenza dell’essere amati. Si diventa figli del Padre. Fuori del tempio siamo ancora noi che ci diamo da fare, siamo noi che cerchiamo. Nel tempio invece si è preceduti da questo grande silenzio di tutto, di tutta la creazione, di tutte le cose in noi, in attesa anche Dio ci trovi, che Dio ci conosca, che Dio ci ami, in attesa della rivelazione di Dio. Allora noi nasciamo in tutto da Dio.

Eligio: Stavo pensando che questo paralitico è stato trovato anche fuori del tempio, ma naturalmente non c’era ancora un rapporto personale.

Luigi: Si, è stato trovato già quand’era fuori, ma il rapporto personale in cui si conosce Colui che ci ha trovati avviene dopo, nel tempio. Quando l’uomo è malato (e lo vedremo ora che l’essenza della malattia è una paralisi), è paralizzato; è un uomo che non si muove, che non è capace a pensare, non è capace ad avvicinarsi alla verità. Qui Dio si abbassa, cioè Dio arriva a noi, anche senza di noi. È quello che dice Gesù: “Viene il tempo in cui anche coloro che sono nelle tombe udranno la parola del Figlio di Dio e quanti l’avranno udita …”. La parola di Dio arriva a noi, anche se siamo nelle tombe: ecco la paralisi, l’uomo morto, l’uomo malato. Arriva quindi a noi senza di noi, però non si entra nel tempio senza di noi. Allora abbiamo una guarigione che è un metterci in cammino, ma che non è ancora guarigione. Abbiamo visto che non è ancora guarigione perché quell’uomo conosceva Gesù secondo la folla. Quindi è stato guarito da uno che non conosceva, cioè lo conosceva soltanto secondo la folla. Qui abbiamo il Verbo di Dio che si incarna e che si fa dipendente dalla creatura per cercare la creatura e darle la possibilità di camminare, ma non è questa la vera guarigione.

Eligio: Questo paralitico non conosceva chi l’avesse guarito. È come se noi in uno stato di malattia spirituale ci trovassimo guariti senza la nostra partecipazione.

Luigi: Ma non è quella la vera guarigione. E non è vera guarigione appunto perché noi non conosciamo Colui che ci ha guariti, o per lo meno lo conosciamo soltanto in quanto appartiene alla nostra folla, cioè appartiene al nostro mondo. Ma nel momento in cui Lui non appartiene più al nostro mondo, e questa momento avviene sempre perché Dio non è dipendente dalla creatura, noi non lo conosciamo più. Il fatto che non lo conosciamo denota che non siamo totalmente guariti, spiritualmente guariti. Ci ha guariti in quanto ci ha messo in movimento verso, ma non siamo ancora confermati nella guarigione. Saremo confermati nella guarigione quando saremo entrati nel tempio, e per entrare è necessario dire quei famosi no a tutte le prove, in cui testimoniamo la fedeltà al nostro amore. Dicendo: “no”, superando quindi le prove, abbiamo un grande desiderio di conoscere Dio, entriamo nel tempio ed entrando nel tempio siamo trovati, e trovati, siamo confermati guariti.

Eligio: Ho inteso bene quando hai detto che non è sufficiente entrare nel tempio per essere trovati, non è sufficiente dire tutti i “no”?

Luigi: Certo, nel tempio ci vuole l’attesa.

Eligio: Si, l’attesa senz’altro; anzi, direi che è una premessa che ha uno sbocco inevitabile; l’essere trovati da.

Luigi: Va bene, chiamiamola inevitabile, ma il tempo non siamo noi a determinarlo.

Eligio: Non facciamo questione di tempo, ma questione di esito: dicendo quei tanti “no” che mi fanno mettere Dio come valore fondamentale della vita, fa sì che ad un certo momento come conclusione, entrando nel tempio io sia trovato.

Luigi: Sì.

Eligio: Vedi allora che è sufficiente entrare nel tempio.

Luigi: È necessario entrare nel tempio,ma non è sufficiente, nel senso che l’essere trovati nel tempio dipende da Dio, non dipende da noi. Noi possiamo soltanto aspettare. È una dipendenza. E se è dipendente noi dobbiamo essere in tutto dipendenti da Dio, quindi aspettare.

Eligio: Indubbiamente, la creatura deve solo aspettare ma è solo questione di tempo, Dio ci trova.

Luigi: Tu capisci che la creatura dice di “no” nella misura in cui ha lo Spirito di Dio  già in sé, in cui ha l’amore di Dio, perché se non ha amore, non dice “no”, e non potrebbe entrare nel tempio. Perché se non siamo (ed è lì l’incontro), se non siamo preceduti dall’amore di Dio, cioè se Dio non ci precede nell’amore, noi non possiamo amare. Se non amiamo, non possiamo dire di “no” alle prove. Se noi non abbiamo un amore superiore, tutte le volte che siamo messi alla prova, cadiamo in essa, perché ogni cosa ci attrae. La creatura che non è presa da un amore, diventa schiava di tutti gli amori, noi non siamo capaci a resistere, non possiamo resistere; non abbiamo nemmeno la capacità di dominare i nostri pensieri. Abbiamo la possibilità di dominare i nostri pensieri nella misura in cui abbiamo un Pensiero Superiore. In caso diverso tutti i pensieri che arrivano ci portano via.

Eligio: Il senso della mia domanda era questo: mi pare impossibile che mettendo Dio come interesse principale ed esclusivo della vita, l’anima non possa essere da Dio trovata un giorno.

Luigi: Certo, è Dio che ci vuol trovare. È Lui che ci fa fare quella strada perché ci vuol trovare. Però non è automatico, come a dire: sono entrato nel tempo e ho trovato.

Eligio: Direi che è automatico, magico, in quanto è un intervento che la creatura non può controllare, non può determinare, però ne constata gli effetti.

Pinuccia: C’è la certezza che arrivi.

Luigi: Certo, c’è la certezza che arrivi, però dipende da Dio e se dipende da Dio non è automatico. Quando io dico: “Va nella tale casa e troverai il tale”, io vado,ma non è detto che lo trovi.

Pinuccia: Però se Lui mi ha detto che lo troverò, io sulla sua parola ho la certezza che lo troverò.

Luigi: Sulla sua parola, si capisce. Uno cammina tutto sulla sua parola.

Pinuccia: Allora più che di automatismo si può parlare di certezza.

Luigi: Di speranza.

Eligio: Ho parlato di un fatto magico in quanto è un evento legato ad una potenza spirituale diversa, non dipendente dalla creatura.

Luigi: Anzi, la creatura è tutta felice di dipendere dall’Altro.

Eligio: Ma avviene; l’evento si verifica.

Luigi: Certo, è logico, avviene. Ma in quanto avviene dipende dall’Altro, non avviene quando lo voglio io, quando io realizzo certe condizioni. No, la creatura è lì che aspetta, ed è felicissima di aspettare.

Eligio: Ma l’attesa avrà come esito questa conoscenza?

Luigi: Certo.

Pinuccia: Perché è felice di aspettare?

Luigi: Perché dipende tutta da Dio, è convinta che dipende tutta dal Creatore. La gioia della creatura è quella di dipendere: è come la gioia del Figlio: “Il Figlio non fa niente se non lo vede fare dal Padre”. Sembra che il non poter fare niente da parte del Figlio sia una privazione, invece è tutta la gioia del Figlio, di non poter fare niente se non lo vede fare dal Padre. È tutta la gioia del Figlio! Non vuole altrimenti, si rifiuta! Appunto perché è Figlio. Ora la creatura quando entra nel tempio è già nella condizione di figliolanza, perché nel tempio tutto dipende da Dio. La condizione per essere nel tempio è quella di far dipendere tutto da Dio; ma tutto, non soltanto il mondo esterno, le cose, gli avvenimenti, ma tutto di noi; anche i pensieri, quindi, ecco lì l’attesa! L’attesa che cos’è? È dipendere tutto da. È questo che forma l’attesa. Spiritualmente l’attesa è determinata da una dipendenza. Quando io aspetto tutto dall’Altro, io dipendo dall’Altro: l’iniziativa passa all’Altro. Qui abbiamo la situazione di attesa. Però l’essere trovati, è una rivelazione dell’Altro. È l’Altro che mi trova, e trovandomi, mi conferma guarito. Qui possiamo scoprire, analizzando qual è l’essenza della nostra guarigione, qual è la fonte della nostra malattia. Dice infatti il Vangelo in diversi passi: “Quanti lo toccavano erano guariti”. “Solo che tu tocchi un lembo del suo vestito e sarò guarita”. E in altri passi: “Quanti Gesù toccava erano guariti”. Ora, il toccare è sempre una conseguenza, da parte nostra, dell’essere toccati. Nello Spirito di Dio, nella verità, il toccare è un po’ come il conoscere; si conosce in quanto si è conosciuti, si ama in quanto si è amati, si tocca in quanto si è toccati; e si è toccati quando c’è un punto in comune tra noi e Dio. Il punto in comune è proprio la creatura tutta dipendente da. È lì la caratteristica: la creatura diventa figlia di Dio, dipendente da Dio. Quando Gesù parla del Padre, parla del Padre affinché noi siamo figli, figli dipendenti, e allora abbiamo Dio come Padre. Chi prega il Padre è il Figlio e quando noi preghiamo il Padre, non siamo noi che preghiamo il Padre: è il Figlio in noi che prega il Padre. Però il fatto che il Figlio in noi preghi il Padre, forma una cosa sola con noi.

Pinuccia: Non è lo Spirito Santo che invoca in noi il Padre?

Luigi: Lo Spirito di Dio ci fa capire che se noi preghiamo il Padre, è il Figlio che prega il Padre. Ma ora, il punto su cui volevo soffermarmi è questo: noi tocchiamo nella misura in cui siamo toccati. Allora se il Vangelo dice a noi: “Quanti toccavano Gesù erano guariti”, questo ci fa capire che l’uomo è malato in quanto non può toccare niente di Dio, nemmeno un semplice lembo del vestito di Dio. Le nostre malattie dipendono dal fatto che noi non possiamo toccare niente di Dio. E allora non toccando niente di Dio, resta in noi l’incertezza nei riguardi di Dio, i dubbi nei riguardi di Dio; Dio lo consideriamo una cosa astratta: la realtà che tocchiamo è un’altra; e questo ci fa malati.

Eligio: Il compimento della guarigione avviene soltanto quando noi abbiamo da parte di Dio la conferma di essere guariti?

Luigi: Quando l’Altro dice a me: “Sei guarito”. Non quando io mi sento guarito.

Eligio: Appunto, quando lo Spirito mi fa conoscere, mi fa sentire di avere questa guarigione.

Luigi: Si, ma bisogna vedere: anche lì non è un sentimento, non è una parola, una parola umana.

Eligio: Indubbiamente, è una rivelazione, una certezza, una presa di coscienza.

Luigi: Certo, ed è una conseguenza dell’essere trovati, perché: “Gesù trovò quell’uomo nel tempio e gli disse”. Quindi siccome tutte le parole del vangelo sono molto preziose e vanno meditate con molta attenzione, questo: “Gli disse: eccoti guarito”, dobbiamo vederlo come una conseguenza del fatto che: “Lo trovò nel tempio”. Prima abbiamo visto la necessità di passare da fuori del tempio a dentro il tempio e che cosa si può fare per entrare; e qui è ancora la creatura che è appoggiata alla parola di Dio (perché: “Senza di me fate niente”, e “Dove io sono voi non potete venire”, il tempio è il luogo in cui Lui è), per cui la creatura entra nel tempio unita al Verbo di Dio, alla parola di Dio. Entrati nel tempio, bisogna aspettare di essere trovati. Dall’essere trovati arriva la conferma: “Sei guarito”. Abbiamo detto che noi siamo malati in quanto non tocchiamo niente di Dio, quindi vedi che la guarigione è una conseguenza dell’essere toccati da Dio? Toccati da Dio, tocchiamo Dio e siamo guariti.

Eligio: Direi che è solo un inizio di guarigione, perché il miracolo che Gesù fa verso il paralitico, non è ancora la guarigione completa.

Luigi: Qui non siamo nella situazione in cui Gesù guarisce il paralitico, qui siamo ben oltre, siamo nel tempio: si è toccati nel tempio.

Eligio: Ma si parlava prima di quelli che hanno toccato Gesù e hanno ottenuto la guarigione.

Luigi: Questo è per farci capire che la guarigione viene dal fatto di toccare e la malattia viene dal fatto di non toccare, dal non poter toccare niente di Dio. Però noi non tocchiamo niente di Dio in quanto non siamo toccati da Dio. Non siamo toccati da Dio in quanto non siamo nel tempio. Non siamo nel tempio in quanto non siamo entrati. E non siamo entrati nel tempio in quanto non siamo passati attraverso quella famosa porta delle pecore che ci fa entrare. Ora, come mai non siamo passati attraverso quella porta delle pecore? Perché non abbiamo superato il pensiero del nostro io. La condizione per entrare nel tempio è quella di passare attraverso la porta delle pecore. Pecore di Dio sono coloro che appartengono a Dio. Ma chi appartiene a Dio? È colui che ha superato il pensiero di se stesso, che non ha il pensiero del suo io al centro. Fintanto che siamo fermi al pensiero del nostro io, finché non lo superiamo, non possiamo entrare nella città di Dio e quindi nemmeno nel tempio di Dio. Non entrando nel tempio di Dio non siamo trovati. Non trovati, non troviamo e quindi non siamo guariti. È il pensiero del nostro io che ci blocca, è il fatto della paralisi. Cioè noi non camminando, diventiamo incapaci di camminare, cioè non entrando, restiamo paralizzati, perché il camminare, necessariamente ci porta di fronte alla porta delle pecore. Camminare vuol dire avanzare verso la verità di Dio. Ma su questa strada attraverso la quale noi avanziamo verso la città, verso la conoscenza della verità di Dio, arriva un momento in cui ci viene chiesto il superamento dell’io. E se noi non superiamo il pensiero del nostro io (e superare il pensiero del nostro io vuol dire anche superare tutto quel mondo che si riferisce al nostro io, che ha per centro il pensiero del nostro io).

Eligio: Nel paralitico il superamento dell’io avviene quando Gesù gli domanda: “Vuoi essere guarito?”.

Luigi: No, il superamento dell’io avviene quando lui dice ai farisei: “Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi il tuo lettuccio e cammina”. È lì che comincia ad entrare nel tempio.

Eligio: Pensavo che gli venisse chiesto un atto di fede.

Luigi: Si, c’è un atto di fede.

Eligio: Per aderire senza tanti ragionamenti.

Luigi: Certo, non fosse altro tutta quella sofferenza che lui ha avuto prima. Quando Gesù gli chiede: “Vuoi essere guarito?” lui risponde: “Non ho nessuno”. Ecco, lui già constata la sua miseria, la sua povertà. Ecco per il fatto che ormai non fa più conto su nessuno, è ormai aperto alla guarigione. È l’uomo che ha trovato la povertà, ma non è che abbia superato il suo io, perché da solo lui non si supera. L’uomo da solo non può superarsi, per superarsi deve trovare l’Altro.

Eligio: C’è ancora un altro atteggiamento che è molto bello del paralitico. Noi al suo posto a chi ci avesse chiesto: “Vuoi essere guarito?” avremmo chiesto: “Ma tu chi sei?”, come abbiamo visto ieri in quel primo gruppo della folla in Gv. 7,40, che senza farsi tante domande, per quello che si era evidenziato nel parlare di Gesù, fa questo atto di fede: è il Profeta, è il Cristo.

Luigi: Si, certo.

Eligio: È un atteggiamento che lo apre a Dio.

Luigi: Si, è la situazione dell’uomo che ormai ha constatato la sua impotenza, la sua povertà: “Beati i poveri, perché di questi è il regno di Dio”; cioè l’uomo deve essere prima riportato ad una situazione di povertà: “Non ho più nessuno”. Già avevamo notato quando abbiamo considerato la situazione dell’uomo impotente: Dio riconduce l’uomo che si è esaltato a toccare con mano la sua impotenza, affinché Egli lo possa guarire, perché fintanto che l’uomo fa conto su altro, non può essere guarito. Fintanto che l’uomo dice: “Io sono giusto”, non può essere guarito da Colui che viene a salvare i peccatori. Fintanto che l’uomo dice: “Io ci vedo”, non ha bisogno di essere curato nella sua vista, perché lui crede di vedere. Allora Dio nel primo tempo della nostra vita opera con noi per riportarci in questa situazione di povertà, affinché diventiamo capaci di accogliere la sua guarigione da Lui e non più da altri, perché fintanto che noi andiamo a cercarla da altri, non possiamo riceverla da Lui. Però ricevendo la guarigione, riceviamo la possibilità di camminare: non è ancora la guarigione completa. Avendo la possibilità di camminare, ecco il Signore ci ripresenta tutte le prove, che prima ci hanno resi malati, per liberarci. Se attraverso queste prove adesso testimoniamo quello che vogliamo mettere prima di tutto, l’amore che sta al di sopra di tutto (perché amare vuol dire prediligere uno al di sopra di tutto), se noi testimoniamo di prediligere Lui al di sopra di ogni altro, perché la prova è in quanto c’è un altro che mi dice: “Metti me”, “Metti me”, “Metti me” e noi rispondiamo: “No, io non ti posso mettere perché appartengo ad un Altro”, allora i legami che ci trattenevamo alle nostre colpe sono spezzati e noi siamo liberi. Il fatto di appartenere ad un Altro, lo libera e lo fa entrare nel tempio. Entrando nel tempio ha la possibilità di essere trovato; trovando, trova e tocca. Ed è questo toccare Dio che ci guarisce.

Eligio: Quel toccare è una forza di sperimentazione interiore?

Luigi: È una sperimentazione interiore perché l’uomo è trovato. Ora, essendo trovato, sperimenta la presenza di Dio.

Eligio: Perché prima hai detto, riferendoti alle parole della emorroissa: “Solo che io tocchi un lembo del suo mantello e sarò guarita”.

Luigi: Sono significazioni, sono segni. Anche l’emorroissa che chiede: “Solo che io tocchi un lembo del suo mantello”, è segno di un fatto spirituale. Soltanto il toccare materialmente non servirebbe. C’è la fede; infatti il Signore dice: “La tua fede ti ha salvata”. Ecco, la fede che ci fa toccare è cosa diversa dal fatto che io tocchi materialmente. Infatti gli apostoli gli dicono: “Tu cerchi chi ti ha toccato, ma tutti ti toccano, tutti ti premono, la folla è tutta intorno!”. No, era stato toccato in modo diverso. Per cui tutti lo toccano e nessuno è guarito. “È la tua fede”, è con la fede che si tocca. Ma si tocca in quanto si è toccati da Dio, se Dio ci tocca. Però bisogna essere nella possibilità di essere toccati, perché se io fuggo, se faccio conto su altro, se sono preso dal pensiero del mio io, Dio non mi può toccare: mi può distruggere.

Pinuccia: Questo “toccare” da parte di Dio è un riconoscere che tutto è “suo”?

Luigi: No, non è un nostro riconoscere che tutto è di Dio, poiché l’iniziativa è di Dio, ma è Dio che fa sua la creatura.

Pinuccia: Però hai detto che dove c’è il mio io, lì Dio non mi può toccare. Cosa vuol dire questo “toccare” da parte di Dio; vuol dire prendere possesso?

Luigi: Si, Dio fa “suo” quello che noi gli abbiamo messo a disposizione; è lì che sperimentiamo (ed è un esperimento interiore, spirituale), la Presenza, l’essere pensati, l’essere conosciuti. È soltanto toccando qualcosa di Dio che ci dà veramente la capacità di camminare in Dio. Avendo trovato la Verità, si diventa capaci di camminare nella Verità, ovunque. Prima quell’uomo era malato, ed era malato perché era paralizzato, non poteva camminare, per cui di fronte ad ogni cosa, non poteva collegarla con Dio, perché lui non camminava verso Dio. Nella paralisi ci troviamo di fronte ad una parola, ad un avvenimento, ad un fatto, ma lo vediamo staccato, lontano da Dio. Ecco, non possiamo camminare verso Dio; siamo immobilizzati. Questo è la malattia, o meglio, l’effetto della nostra malattia che deriva dal fatto di essere al posto di blocco del nostro io, di non aver superato il pensiero del nostro io, di non essere entrati nel tempio.

Pinuccia: Mi pare che ci sia una differenza tra questo paralitico che è stato guarito da Gesù senza essere toccato, ma semplicemente interrogato: “Vuoi essere guarito?” e tutti quei: “Quanti toccavano ed erano toccati da Gesù erano guariti”. Ha una funzione di segno il modo con cui è stato guarito il paralitico?

Eligio: Questi però lo cercavano.

Pinuccia: È per farci vedere l’opera di Dio verso di noi?

Luigi: Sono tutti segni. Abbiamo detto, Dio interviene in un primo tempo anche senza di noi per riportarci in una situazione di povertà. Quando si è poveri allora Lui interviene per darci la possibilità di camminare. Se camminando, testimoniamo la fede in Lui e di far conto su di Lui e di non voler più far conto su altro, allora questo ci dà la possibilità di entrare nel tempio di Dio. Entrando si diventa tutto dipendenti, ma ormai qui abbiamo la creatura che vuol essere dipendente, perché dicendo ad altro: “No, io non voglio essere dipendente da te, né da te, né da te” diventa tutta dipendente da Lui. si realizza attraverso tutti questi “no” una situazione di dipendenza totale di no da Dio. È in questa dipendenza totale di noi da Dio che si entra nel tempio. Ma proprio perché si è in dipendenza totale da Dio si è in silenzio. Abbiamo la situazione della Vergine che accoglie il Verbo, la rivelazione, il dono di Dio. Nel tempio, l’anima è la Madonna: è tutta lì in attesa. La Madonna non fa niente, si mette solo a disposizione. È però per opera dello Spirito Santo che ha concepito. L’anima nel tempio concepisce per opera dello Spirito Santo di Dio, non concepisce più per iniziativa sua. Fintanto che c’è l’iniziativa sua, l’anima è fuori dal tempio. La caratteristica di essere nel tempio è questa passività dell’anima. Sembra passività, invece è la massima attività dell’anima che si rende tutta aperta, vuota, disponibile allo Spirito di Dio, cioè la massima disponibilità dell’amore. Qui abbiamo Dio che scopre, che trova la creatura, la trova, la tocca. E la creatura toccata, tocca e conosce.

Pinuccia: Si forma il punto di contatto, il punto in comune.

Luigi: Ed è in questa conoscenza che si è veramente guariti. Quindi diciamo,concludendo: l’uomo è veramente guarito quando conosce Dio, quando giunge a conoscere Dio, per opera di Dio; mentre invece è malato fintanto che non conosce. Questa non conoscenza è un effetto di essere fuori dal tempio, e l’essere fuori del tempio è una conseguenza del fatto che non siamo passati attraverso la porta delle pecore e il non essere passati attraverso la porta delle pecore è perché siamo bloccati al pensiero del nostro io, che ci immobilizza e ci paralizza. L’immobilizzazione crea una dispersione in tutte le cose. È una morte incipiente: la creatura non raccoglie più, non unifica più, ma è portata via da tutte le cose. Cioè abbiamo una situazione finale passiva come è la situazione finale passiva della creatura che è nel tempio, ma passiva in dipendenza da tutte le creature. Succede per la legge del contrappasso che la creatura che non ha voluto essere dipendente da Dio, diventa dipendente da tutte le creature. Ma tutte le creature, siccome non sono Dio, la portano via a tutto: abbiamo la morte, perché la morte è dispersione, non è annullamento, cioè è incapacità di resistere a tutte le creature. Quindi la creatura che ha voluto resistere a Dio, diventa incapace di resistere a tutte le creature e dicendo creature dico anche tutti gli avvenimenti, tutti i fatti, per cui tutti gli avvenimenti, tutti i fatti, la dominano, la portano via. Non ha più il possesso di sé, non ha più la sua anima nelle sue mani. E la creatura soffre di non aver la sua anima nelle sue mani, perché questo è privazione di libertà, ma non può. Non può avere l’anima nelle sue mani, perché chi dà a noi l’anima nelle nostre mani è Dio. Così noi, credendo di proteggere la nostra libertà, la nostra persona, andando lontano da Dio, arriviamo invece a soffocare e a distruggere la nostra libertà.

Pinuccia: Questo succede perché noi siamo destinati a dipendere necessariamente da qualcuno? O dipendiamo da Dio o dipendiamo da tutto il resto.

Luigi: Non diciamo che siamo destinati, perché noi già lo siamo: dipendiamo sempre. Allora abbiamo la possibilità, attualmente, fintanto che siamo su questa terra, di fare dei passaggi di dipendenza, cioè di scegliere amore e amore, di passare da un amore all’altro.

Pinuccia: Però dipendiamo sempre.

Luigi: Dipendiamo sempre; non siamo mai liberi. Il vero libero è colui che ha trovato la Verità: “Se resterete nelle mie parole conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Anche lì, vedi la malattia dell’uomo? Gesù dice queste parole a degli uomini che si ritenevano liberi: “Noi non siamo figli di prostituzione! Noi siamo liberi! Siamo un popolo libero, popolo di Dio, popolo di Israele!”. E Gesù cosa dice? “Chi fa il peccato è schiavo del peccato. Sarete veramente liberi se il Figlio di Dio vi libererà”. Questa è la vera libertà: se il Figlio di Dio vi libererà. E conferma che siamo tutti schiavi, non liberi. E tutta la nostra sofferenza da che cosa viene? Perché c’è la sofferenza? Perché ci sono tutte queste incertezze? Perché sentiamo pesare questa schiavitù su di noi. Vogliamo fare una cosa e siamo costretti a farne un’altra. Facciamo un proposito, un programma e poi invece dobbiamo seguirne tutto un altro; siamo trascinati dagli avvenimenti. Quanto volte diciamo: “Parto con questo proposito”, e poi tutte le cose durante la giornata ci portano via? Come mai ci portano via? È una testimonianza che sei schiavo, che non sei libero. Eppure non lo riconosciamo, crediamo di essere liberi. Ma Gesù che ci conosce, dice: “No, voi non siete liberi”. Libero è soltanto il Figlio di Dio, libero è soltanto colui che conosce la Verità; ma conosce la Verità chi è conosciuto dalla Verità. Chi conosce la Verità è veramente libero. Ecco, questa è la guarigione. L’uomo è veramente guarito quando conosce la Verità, la Verità di Dio. La Verità di Dio non astratta ma come realtà di cui ha fatto l’esperienza. Ma ha fatto l’esperienza in quanto è stato toccato da Dio. Vedi come il Signore ci spezza il pane? Ma Dio per toccarti, per conoscerti, deve trovarti nel tempio; e per trovarti nel tempio tu devi entrare, ma per entrare devi passare attraverso la porta delle pecore, devi superare il pensiero del tuo io; per superare il pensiero del tuo io devi vincere tutte quelle prove che il Signore ti presenta; e per vincere quelle prove devi essere in cammino; e per essere in cammino Lui ti deve aver già dato una mano per liberarti dalla tua paralisi; ma per liberarti da quella tua paralisi deve aver già trovato te povero, povero e malato al punto di dire: “Io non ho nessuno su cui fare conto”; ecco l’uomo ridotto all’impotenza. Ma prima di arrivare all’uomo che è ridotto all’impotenza e che faccia solo più conto su Dio, quante prove bisogna passare, perché prima noi facciamo conto su tutte le nostre risorse, su medici, su medicine.

Rina: Siamo troppo terreni.

Luigi: Ecco, facciamo conto su tutto ciò che è terreno. E il Signore, forse attraverso tutta la nostra vita, opera per convincerci che dobbiamo far conto su di Lui. Per cui, e forse soltanto nell’agonia, noi scopriamo con amarezza che tutto ciò su cui abbiamo fatto conto non è servito a nulla. Ecco, è lì il problema per cui ad un certo momento il Signore ci conduce nell’agonia, ad una situazione di morte: proprio per farci toccare con mano la nostra povertà: “Io speravo su questo e non ho ottenuto”, “Speravo su quell’altro e non l’ho avuto!”. Ecco, è il vuoto di tutto. Beato invece colui che sperimenta questo vuoto prima di arrivare all’agonia (c’è un’agonia spirituale), in modo da poter camminare e da poter incontrare il Signore che ci dica: “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”. A volte incontriamo il Signore che ci dice, avendo sperimentato un po’ di questa povertà: “Alzati e cammina”, però di fronte alla prima prova: “Tu non puoi portare il tuo letto”, immediatamente si cade e si ritorna più paralitici di prima. Vedi come si complicano in noi le cose?

Eligio: Veniamo guariti ma le convalescenze sono talmente lunghe!

Luigi: Si, ma siamo noi che prolunghiamo i tempi all’infinito!

Cina: La prima lettura di oggi ci parla proprio di questo: del deserto, delle tante prove, della necessità di fare questi passaggi.

Luigi: Il tempo dell’attesa è sempre una conseguenza della nostra incertezza, cioè della nostra infedeltà. Più siamo infedeli nelle prove e più prolunghiamo l’attesa fuori dal tempio. Se invece fossimo capaci ad essere fedeli nelle prove, il tempo si accorcerebbe molto. Dio non si diverte a farci aspettare; siamo noi che prolunghiamo l’attesa e prolunghiamo l’attesa in quanto non siamo fedeli. Perché Dio ci mette nella possibilità di entrare.

Cina: La prima lettura è tratta dal libro del Deuteronomio cap. 8 versetti 2-16: “Mosè parlò al popolo dicendo: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore …”.

Eligio: Parla proprio del periodo di convalescenza.

Cina: Fa timore questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni.

Luigi: Questa è una sintesi dell’incontro di quel paralitico che sta portando il suo lettuccio, con i farisei e i sacerdoti che gli dicono: “Non puoi portare il tuo lettuccio, perché Mose, la Legge, ha proibito di fare queste cose in giorno di sabato”. È la prova. Dio ci mette alla prova per evidenziare quello che abbiamo messo al centro del nostro cuore per farci maturare come persona, per farci prendere coscienza di quello che veramente vogliamo, per farsi manna, per darci un’anima. Prima Lui ci guarisce e ci dà la possibilità di camminare e poi chiede a noi la testimonianza e come ce la chiede? Mettendoci alla prova, cioè mettendoci di fronte alle tentazioni, cioè mettendoci di fronte a delle creature che ci dicono: “Opera in modo diverso!”. È proprio attraverso questo superamento della prova che si forma in noi l’anima, l’anima di Dio, desiderio di Dio, la speranza, la porta. Cioè sono le prove attraverso cui Dio il Signore ci porta alla terra promessa. La terra promessa è poi questo tempio, oppure la città di Dio (è la stessa cosa). Il Signore che chiamò il suo popolo dall’Egitto, coincide con il fatto che Gesù incontra questo paralitico sotto i portici del tempio e gli dà la possibilità di camminare. Dandogli la possibilità di camminare, lo mette alla prova con i farisei che gli dicono: “Non ti è lecito portare il tuo letto di sabato”, al che lui risponde: “Colui che mi ha guarito mi ha detto: prendi il tuo letto”. Cioè lui testimonia di avere nel suo cuore l’amore verso Colui che l’ha guarito. Se invece nella prova si viene meno, come fecero allora quegli ebre che nella prova vennero meno, succede come successe allora con gli ebrei. Allora il Signore, che in quaranta giorni li aveva condotti ai confini della terra promessa e avrebbero potuto per la fede entrare, li riportò indietro e li costrinse a vagare per quarant’anni nel deserto. Li costrinse a vagare per quarant’anni nel deserto perché la prova era fallita. Sai cosa significa per quarant’anni? Anche qui nell’episodio del paralitico siamo vicini ai quarant’anni, abbiamo trentotto anni di paralisi: significarono l’estinzione di tutta quella generazione che non ebbe fede.

Rina: E non raggiunsero la terra promessa, non la videro.

Luigi: Non la raggiunsero. Soltanto Mosè la vide ma non poté entrare, perché lui era il capo di tutta quella generazione. Tutto questo ha un profondo significato per ogni uomo.

Pinuccia: Cosa significa per noi questo?

Luigi: Che se nella prova non testimoniamo di preferire Dio prima di tutto, siamo costretti a vagare, cioè ritorniamo paralitici, ma peggio di prima, perché è venuta meno la speranza di giungere alla meta. Ho detto che tutte le opere di Dio sono sempre fatte in due tempi: Dio che opera e poi ci mette alla prova, per darci la possibilità di possedere quella grazia, quella luce che Lui ci ha dato. Ma se nella prova veniamo meno, perdiamo tutto. Ed ecco allora che il Signore costringe tutto il suo popolo a vagare nel deserto fintanto che tutta quella generazione sia morta, per significare appunto di quale morte noi moriamo se non crediamo in Lui, cioè se non mettiamo Lui prima di tutto, al centro.

Pinuccia: Ci sono tanti modi di vagare nel deserto.

Luigi: Si, è logico. Comunque è una conseguenza di un cammino di fede interrotto. Nel deserto poi ci sono i serpenti che uccidono. È sempre una conseguenza del fatto che nel momento in cui il Signore dice al popolo: “Non aver paura, entra nella terra promessa”, il popolo risponde: “No perché lì ci sono uomini giganti!”. Si ha paura: “Noi non ce la facciamo!. La terra è bellissima, produce meravigliosi e ricchi frutti, latte e miele in abbondanza, però è difesa da uomini giganti!”. Il Signore dice: “Non temere l’uomo, fa conto su di me, perché l’uomo è opera mia! Non lasciarti impaurire nemmeno da coloro che uccidono il corpo o da ciò che dicono gli altri!”. Ogni creatura in Dio ha la possibilità di parlare, di significare se stessa, però l’anima non deve lasciarsi impaurire da quello che dice la creatura. La creatura può dirci: “Io domani ti ucciderò”. La creatura che pensa a Dio dice: “Questa è voce di creatura, ma io faccio conto su Dio, non mi lascio impaurire da ciò che dice la creatura, perché la creatura non può fare niente se Dio non vuole!”. Se invece mettiamo la creatura in primo piano, allora ci lasciamo impaurire dalle sue parole e diventiamo succubi di essa. Allora cominciamo a vagare nel deserto, perché non siamo più in dialogo con Dio. La paralisi è una conseguenza della distanza, perché è una conseguenza del fatto di non toccare e noi non tocchiamo in quanto siamo distanti. Ma non è Dio che sia distante. “La distanza viene dai nostri peccati” ci dice Dio, cioè dalle nostre infedeltà. La nostra infedeltà, provoca la distanza tra noi e Dio. Distanti, non tocchiamo più, non toccando più, subiamo tutte le conseguenze, la malattia, la paralisi.

Pinuccia: Tutto questo processo spirituale lo vediamo più chiaro nel paralitico. Invece per altri malati si legge semplicemente: “Quanti lo toccavano erano guariti”, ma non vediamo questa entrata nel tempio.

Luigi: Sono tutti segni. Dobbiamo raccogliere tutto con attenzione. Ogni evangelista riflette nel suo scrivere, nelle sue parole, anche quello che egli è. La luce è una sola, però la luce porta la traccia di ciò attraverso cui passa. Così anche la luce di Dio, porta la traccia di essa. Per cui nella creatura che parla, c’è Dio che parla, ma c’è anche la traccia della creatura, l’impronta di essa. I segni, proprio perché tali, portano l’impronta di due tracce. Se abbiamo presente Dio, vediamo la traccia di Dio, anche nella creatura difettosa. Se invece non abbiamo presente Dio, vediamo solo la creatura difettosa, non vediamo più Dio; vediamo soltanto la traccia della creatura difettosa, ed è questo che ci impaurisce. E ci porta lontano. Bisogna sempre aver presente Dio: allora si vede la luce di Dio con la traccia della creatura, ma questa si vede come aspetto difettoso e non si conta; perché la creatura oggi è così ma domani è modificata. Si coglie invece l’essenza. Ma soltanto se uno ha lo Spirito di Dio dentro di sé coglie lo Spirito di Dio fuori, altrimenti coglie soltanto l’aspetto della creatura e allora corre quando dovrebbe star fermo, sta fermo quando dovrebbe correre: è tutto un disastro. Ogni evangelista quindi raccoglie delle parole e delle opere di Gesù, quello che può portare nel suo spirito. Così abbiamo Giovanni che è una meraviglia di argomenti sublimi anche nelle parole che usa. Gli altri evangelisti dicono le stesse cose di Giovanni ma le dicono in un linguaggio più materiale, più povero. Ma se approfondiamo troviamo le stesse cose di Giovanni, perché è sempre parola di Dio.

Pinuccia: Allora vedremmo anche negli altri evangelisti tutto questo processo di guarigione, della prova, dell’entrata nel tempio, nell’essere toccati?

Luigi: Certo, in tutte le cose c’è lo Spirito di Dio che parla sempre allo stesso modo. Idealmente basterebbe fermarci su una sola parola di Gesù, perché la parola è un raggio di luce infinita. Basta fermarci e approfondirla; scavando si arriva a Dio. È parola di Dio. Abbiamo visto come approfondendo questo: “Eccoti guarito!”, si svolge tutta una panoramica ascensionale, pane spezzato che ci fa capire quello che possiamo fare per entrare nel tempio e come dobbiamo comportarci in esso. Quante lezioni lo Spirito di Dio dà a noi attraverso una semplice parola! Con lo Spirito di Dio basterebbe approfondire una parola che si arriva a Pentecoste, perché si arriva a Pentecoste attraverso la parola di Dio: è questa che introduce nel tempio. Ma già il fatto di capire in che cosa consiste questa nostra malattia, qual è la fonte di essa, è grazia di Dio, è il Signore che ci spezza il pane, e più ci soffermiamo a meditare su cose sue, più Lui ci spezza il pane, affinché possiamo fare piccoli passi verso di Lui e intendere il senso delle sue opere e dire: “Devo stare attento, perché questa è la prova del Signore, per cui se io la supero ed affermo il suo Spirito mi dà la possibilità di fare un passo avanti verso di Lui ed entrare nel tempio; ma se io perdo, mi costringe a camminare nel deserto!”. Uno lo sa nella misura in cui si ferma con Lui. Più noi ci fermiamo con Lui, più la sapienza di Dio viene e ci illumina e ci fa anche intendere i mali che ci portiamo addosso, ma se ce li fa intendere, ci dà anche la possibilità di guarire, perché Dio opera tutto per guarirci. Siamo noi che il più delle volte, proprio perché ci lasciamo guidare da cose che non conosciamo, anziché dalla parola di Dio, cadiamo nella morte e nella schiavitù. Comunque quella lettura di stamattina che ci ha richiamato Cina è molto appropriata.

Cina: L’ho vista adattata a questo paralitico che tribola. Ho visto la medicina che il Signore adopera per guarirci dalla dispersione e portarci nel tempio. La dispersione è proprio una malattia.

Luigi: Che può essere mortale, nel senso che non possiamo resistere (i serpenti erano mortali nel deserto). Da soli non abbiamo la possibilità di resistere. Così idealmente possiamo fare tanti programmi, stabilire tante regole e dire: “A tempo opportuno farò questo”, ma poi come dice San Paolo: “Io mi propongo una cosa ma poi all’atto pratico, faccio il rovescio”. Non è in noi la possibilità di seguire i propositi, perché noi siamo sempre occasionati: magari posso promettere: “Verrò all’ora tale”; ma quando arriva l’ora tale sono dominato da tanti altri eventi che mi impediscono di seguire il mio programma. È il Signore che mi fa toccare con mano la mia impotenza, perché chi libera è il Signore. Ma “chi libera” vuol dire Colui che mi dà la possibilità di essere libero, per cui ad un certo momento uno segue ciò di cui è veramente convinto. Invece se dico una cosa e poi sono costretto a farne un’altra, porto su di me lo strazio di questa dipendenza, di questa schiavitù. È il Signore che mi fa toccare con mano la mia dipendenza.

Cina: A me fa molto bene la frase dell’emorroissa, perché mi fa intravedere che solo avvicinandomi al lembo del vestito di Dio posso essere salvata.

Luigi: Il fatto di dire: “Solo che io tocchi”, parlando spiritualmente ci insegna che noi in tutta la nostra vita non tocchiamo mai niente di Dio. E il fatto di non toccare niente di Dio, porta a questa perdita di sangue. Perché è lì che va collegato: questa perdita di sangue è una perdita di vita continua, è un continuo gocciolare di vita che se ne va quando non si tocca niente di Dio.

Eligio: Si tribola e si fatica per cose che non valgono, inutili.

Luigi: Il fatto è proprio quello che ci rende la vita affaticata, da non poterne più, perché uno si accorge che sta spendendo tutta la sua vita in cose che valgono niente e che ci lasciano con niente. Vedi, è il Signore che ci dà questa dimostrazione. Invece più siamo vicini a Dio, più ci accorgiamo che spendiamo la nostra vita per qualcosa che veramente vale e resta per sempre; è quello: “Spirito che resterà sempre con voi”; per cui più uno si avvicina alla verità e più è confermato nella validità. Invece più uno è lontano dalla verità e più porta su di sé la prova, la testimonianza dell’inutilità, di ciò per cui sta spendendo la sua vita. Ed è tutta grazia di Dio anche questo, per farci vedere la vanità: “Guarda che tu stai sprecando tutta la tua vita in cose che poi ti lasceranno con niente, serviranno a niente”. È opera e misericordia di Dio per dirci: “Insomma, guarda di non sprecare la tua vita!”. E ci conferma che la realtà è Dio. La realtà non è quella vita che noi viviamo nel mondo ritenendo che questa sia la realtà, i veri valori. No, perché mentre punto tutto su questi, il Signore me li cancella: “Guarda, è niente”; è opera e misericordia di Dio che si degna di correggere il mio errore. A noi che diciamo nei nostri cuori: “Dio è una cosa astratta, Dio è una cosa lontana, la realtà è un’altra”, Dio risponde: “No, guarda che la realtà sono io, sono io che opero in tutto. quindi guarda Me, non guardare il resto. Tutto il resto sono segni miei”. Però il tragico è che noi per capire i segni di Dio abbiamo bisogno dello Spirito di Dio, perché se non abbiamo lo Spirito di Dio, scambiamo i segni di Dio per realtà. L’esempio del meccanico che arriva con la chiave inglese. È come se dicessi: “è arrivata la chiave inglese” senza vedere l’uomo. per vedere Colui che opera, devo avere lo Spirito di Dio, altrimenti dico che è la chiave inglese che arriva, che aggiusta. In realtà noi vediamo tutto così e ci comportiamo di conseguenza. La chiave inglese è un segno, un mezzo che Dio adopera per aiutarci, per correggerci e noi invece vediamo solo questo, non vediamo l’uomo. Così lo stesso: è Dio Colui che opera in tutto e noi vediamo invece gli strumenti, i segni che Dio adopera. E allora naturalmente scappiamo dove invece dovremmo avvicinarci, ci avviciniamo dove dovremmo scappare, perché fraintendiamo tutto. È solo con lo Spirito di Dio che possiamo intendere le opere di Dio. Se non abbiamo lo Spirito di Dio, nemmeno le opere di Dio ci aiutano, anzi ci disperdono di più, per farci capire che abbiamo bisogno dello Spirito di Dio. Sempre lì: Dio opera terribilmente, meravigliosamente per portarci a questo contatto diretto con Lui: è una sua lezione stupenda in tutte le cose.

Rina: Noi ci scostiamo molto; è tanto bello che sembra irrealizzabile.

Luigi: Si, noi ci scostiamo, ma la realtà è quella. La difficoltà è proprio di arrivare a convincerci che è la realtà, perché noi siamo talmente lontani, talmente dispersi dietro tutti i fatti occasionali, giorno per giorno, per cui ci fermiamo soltanto superficialmente alla creatura tale, all’evento tale, all’opera tale e li consideriamo tutti staccati. Non unifichiamo. Invece il Signore ci dice: “L’uomo non disunisca i miei segni da me”. Ecco: “L’uomo non disunisca quello che io ho unito”. Tutte le opere di Dio sono unite a Dio, sono opere di Dio. Quindi se questa è un’opera di Dio, non attribuirla a te. Perché noi, disunendo da Dio, praticamente, la riferiamo, l’attribuiamo al nostro io o ad altri io. “Non attribuirla a te, perché è di Dio: dalla a Dio, perché questa è opera di Dio”. Se io vedessi un pittore che fa un quadro meraviglioso e dicessi: “Questo quadro l’ho fatto io”, faccio un’enorme ingiustizia, perché l’autore può dirmi: “Guarda che l’ho fatto io! Non l’hai fatto tu!”. Noi nella vita, continuamente diciamo: “Questo l’ho fatto io!”, in tutte le cose perché stacchiamo l’opera dall’Operatore, dall’Autore, dal Creatore. Dio ci dice: “Guarda che sono tutte opere mie! Quindi considerale unite a me! Io ho operato per te questo fatto e tu devi intendere il significato che io ho voluto fare in quest’opera per te”. Ora, soltanto avendo presente l’Autore noi possiamo intendere il significato della sua opera; altrimenti esso sfugge a noi e noi vediamo soltanto la cosa. Allora consideriamo per quello che può essere interessante per noi, per quel che può servire a noi, per quel che può far piacere a noi; ed è finito! Cioè mettiamo l’io al centro, con tutte le conseguenze poi della dispersione di tutto.

Pinuccia: Teoricamente siamo convinti che Dio è la realtà, ma come arrivare ad avere sempre presente e concretamente questa convinzione?

Luigi: Adesso fermandoci a meditare c’è una parte di noi, l’intelletto, che si è convinta, perché si è fermata, si è raccolta in Dio. Questo ci fa capire che più noi ci fermiamo, ci raccogliamo, più questa convinzione si approfondisce, si allarga. Ad un certo momento diventa vita pratica: allora si agisce in questa convinzione. Il Signore ci conquista in un primo tempo attraverso l’intelletto. Dall’intelletto poi scende anche a quello che è la nostra vita pratica in tutto. Allora abbiamo l’unione con il Signore, perché si agisce in quella realtà che parte sempre dallo Spirito, dall’intelligenza, dalla mente: Dio opera lì. Quando offriamo a Dio un po’ del nostro tempo interiore, Dio già scrive in noi la sua Verità. E come la scrive? Convincendoci. E cosa vuol dire convincerci? Legarci. Ecco, ci ha legati. Ma ci ha legati come intelletto. Più adesso noi ci fermiamo in questa realtà di cui siamo convinti, più questa scende a raccogliere tutto il nostro mondo; e più raccoglie, più ci fa scoprire la realtà del regno di Dio in tutto. E scoprendo la realtà del regno di Dio in tutto si opera in conseguenza. Perché più uno scopre la realtà e più lo Spirito di Dio gli fa vedere: “Questo è segno mio!”. E allora naturalmente riconosciamo: questo è segno di Dio! E quindi operiamo con lo Spirito di Dio. Siamo ingannati in quanto trascuriamo Dio. Ma più raccogliamo in Dio, spiritualmente, intellettualmente, personalmente, e più abbiamo possibilità di raccogliere. Più siamo superficiali e più siamo portati via dalle cose superficiali. Più approfondiamo, più restiamo: è un solco; più passa l’aratro e più il solco si approfondisce. E più si approfondisce, più si ha la possibilità di raccogliere il seme, di custodirlo e di portarlo a maturazione. Se invece il terreno è superficiale, se addirittura è mai passato l’aratro, abbiamo la strada asfaltata; si butta il seme e subito sparisce, non penetra, non può. Come si forma questo solco, questa profondità? Proprio così: fermandosi. Fermarsi con Dio è la vera preghiera che è elevazione dell’anima a Dio. più la nostra anima si eleva a Dio e più Dio la convince, le fa vedere la sua Verità. Però per fermarsi con Dio bisogna chiudere gli occhi. E quando ti accorgi che la realtà esterna ti porta via, ritorna a chiudere gli occhi, perché più approfondisci e più, poco per volta, le cose vengono raccolte. Ad un certo momento, apri gli occhi e vedi l’opera di Dio. E come uno vede l’opera di Dio allora tutto diventa parabola di Dio! Ma se vede le parabole di Dio, sta camminando con lo Spirito di Dio. Osserva i lavori degli uomini, osserva gli affanni e vede la parabola di Dio. Allora uno ha presente lo Spirito di Dio e vive nella realtà del suo regno. Vedendo la realtà dello Spirito di Dio, allora uno si comporta secondo lo Spirito di Dio, e non è più portato via. Questo paralitico, di fronte agli altri che gli dicono: “Non puoi portare il tuo letto”, dice: “No, io lo porto!”. Ma se uno non ha lo Spirito di Dio cosa succede? Quando l’altro gli dice: “Non lo puoi portare!”, lo lascia. Non avendo lo Spirito non vede la prova. E non vedendo la prova, si segue ciò che dicono gli altri: “Mi dice di posarlo, lo poso”.

Pinuccia: Ecco, non vediamo la prova. Ce ne accorgiamo dopo che era una prova.

Luigi: Ce ne accorgiamo dopo quando l’abbiamo persa.

Rina: Dobbiamo invocarlo di più questo Spirito.

Luigi: Certo, invocarlo. Parlavamo la volta scorsa di questo silenzio che invoca nel tempio. Questo invocare è proprio un chiamare dentro, nei termini di Sant’Agostino: in-vocare, vocare dentro di noi, chiamarlo dentro di noi. Ora, questo chiamarlo dentro di noi significa l’anima che si rende disponibile a Dio. Ecco, ritroviamo anche qui la Vergine che è sempre tutta disponibile: “Si faccia di me secondo la tua parola”. È la nostra anima che invoca. Allora qui Dio dice: “Tu non mi cercheresti, se non mi avessi già trovato”. Di fronte a queste parole ci sembra di vedere un sipario che si apre su un mondo nuovo. Scopriamo Uno che abbiamo già trovato. L’abbiamo trovato perché Lui ci ha trovati, ci ha conosciuti. Tu non invocheresti se non fossi già stata trovata e non l’avessi quindi già trovato.

Rina: Questo fa sperare.

Luigi: Si, Dio opera tutto per portarci nella speranza.

Pinuccia: Pensavo al collegamento con la frase di Gesù: “È necessario che io me ne vada, affinché venga a voi lo Spirito di Verità”, con tutto il processo di entrata nel tempio. È come se Gesù ci dicesse: “Fintanto che sono sottomesso a te, non può venire a te lo Spirito di Verità”. È necessario fare questo passaggio: Dio si sottomette a me per salvarmi, però ad un certo momento sono io che devo sottomettermi completamente a Dio ed è solo a questa condizione, che può venire lo Spirito.

Luigi: La bellezza dell’opera di Dio sta proprio lì: ad un certo momento trovi che tutto si unifica e tutto ti conferma. Cioè in tutta la creazione, in tutto l’universo Dio parla un Verbo unico. Noi attualmente vediamo tanti verbi, tante parole. Più approfondiamo lo Spirito di Dio, e più ci accorgiamo che è un Verbo unico che si diffonde in tutto e che in tutto ripete un unico Verbo. E allora nasce la meraviglia, perché uno è confermato da tutto. Guarda un albero e trova la conferma del regno di Dio; guarda la creatura e trova la stessa conferma; guarda il bimbo che nasce, guarda l’uomo che muore: tutto gli conferma la Verità di Dio. È la Realtà. Invece più guardo la realtà minuscola e credo sia realtà, tutto mi delude: tocco una cosa e questa mi sfugge e mi delude; tocco quell’altra e mi sfugge e mi delude e così ogni cosa. Per cui resto deluso in tutto, ingannato, tradito, confuso. Ma quanto più cerco lo Spirito di Dio, tanto più tutto mi conferma fino a diventare una realtà meravigliosa: la realtà di Dio che opera.

Eligio: Nell’unità e nella sintesi.

Luigi: In una sintesi meravigliosa. In Dio è una sintesi stupenda.

Pinuccia: Nel Verbo Unigenito, nell’Unico Verbo.

Luigi: Si, nel Verbo Unigenito.

Pensieri conclusivi:

Luigi: San Giovanni della Croce scrive: “La sintesi della perfezione” (Suma de la perfeccion): “Olvido del criado, memoria del Criador, atenciòn a lo interior y estarse amando al Amado”. “Dimenticanza del creato, memoria del Creatore, attenzione all’interiore e starsene amando con l’Amato”.

Eligio: Deve essere un momento di bellezza sconvolgente quello in cui l’anima è confermata nella guarigione da Dio: “Eccoti guarito”. Lo penso. Lo penso con trepidazione in quanto è un momento che desidero e che può sfuggirmi; potremmo anche abortire quei semi di vita spirituale che Dio mette in noi; trepidazione però che non è mai disgiunta da una certa speranza.

Luigi: Quando il Signore dice a noi: “Eccoti guarito”, succede che tutto il coro delle creature dice: “Sei guarito!”. Cioè tutte le creature che tu incontri, ti confermano: “Sei guarito!”. Perché le creature non fanno altro che ripetere la voce del Creatore. Se il Creatore ti ha detto: “Sei guarito!”, da quel punto le creature cominciano a dirti: “Sei guarito! Sei guarito! Sei guarito!”, mentre prima tutte le creature ti dicevano: “Sei malato! Sei paralitico!”. Se Dio ci dice: “Sei paralitico!”, allora tutte le creature ci dicono: “Sei paralitico” e ce lo ripetono in continuazione da tutte le parti per farci toccare con mano la nostra  malattia.

Eligio: Penso proprio che ce ne accorgiamo, non perché sia un sentimento, ma perché tocca l’essenza stessa del nostro esistere.

Luigi: Non sono parole umane.

Pinuccia: Sono constatazioni.

Luigi: Se ogni creatura, ogni avvenimento ti dice: “Sei guarito, sei libero!”, tu vedi la realtà di Dio, lo Spirito di Dio: è la grande liberazione della verità. Il Signore dice: “La verità vi farà liberi” e allora si è liberi. Quindi perché perdiamo tempo?

Eligio: Se bastassero degli accorgimenti, sarei disposto a tutto pur di trovare la Verità.

Luigi: Il fatto è che con Dio il fare, le regole, non bastano. Se il Signore ci dicesse: “Dà tutti i giorni un euro a un povero”, quello sarebbe facile. Il difficile invece sta nel fatto che nessuna regola basta, perché Dio è una Verità sublime che richiede un’adesione tutta interiore, tutta spirituale. E qui troviamo molta difficoltà: “La strada è difficile, la porta è stretta”. Si trova la Verità conoscendola, non facendo qualche atto. Per cui non basta sbattere la testa contro il muro per trovare la Verità”. Siccome Dio è Verità, si trova Dio solo conoscendolo. La conoscenza è difficile e richiede molta pazienza.

Pinuccia: È un atto interiore per cui anche un analfabeta può conoscere Dio.

Luigi: Si, certo. Richiede una disponibilità interiore per Dio, richiede quel sostare con Dio in attesa che Lui si riveli, perché la conoscenza di Dio è Dio che la rivela.

Eligio: Basta partire da quell’atto di giustizia essenziale: mettere Dio al centro; e questo non è un atto di cultura.

Luigi: Certo, la creatura più semplice lo può fare, perché la bellezza di Dio sta lì: Dio parla a tutti, ad analfabeti e a uomini di cultura.

Eligio: La cultura a volte è una remora.

Luigi: Si, molte volte è una remora, un ostacolo, perché è una ricchezza. Infatti il Signore dice: “Se non ritornerete come bambini, non potrete entrare”. Quindi non è che Dio chieda a noi della cultura. No, Dio chiede proprio questa povertà. Cioè non bisogna aver paura di avvicinarci a Dio con tutta la nostra povertà addosso, con la nostra malattia, con i nostri difetti, con i nostri peccati, perché Lui guarisce. Dobbiamo, direi, aver paura di avvicinarci a Dio con nostra cultura, con la nostra giustizia, con le nostre ragioni. Perché sarebbe voler sottomettere Dio a noi, allora è impossibile conoscerlo. Cioè ci mette in una situazione di impossibilità a capire la Verità.

Eligio: Ed è lì che arriviamo anche nell’arroganza di dire: “Dacci un segno”.

Luigi: E Gesù risponde: “Nessun segno viene dato a questa generazione”.

Eligio: E subiamo le conseguenze del segno che non ci dà e della maggior dispersione in cui cadiamo.

Luigi: Noi stessi ci mettiamo in una posizione di assurdità nei confronti della Verità, cioè, di non possibilità di accogliere la Verità di Dio. Per questo Lui si rifiuta di dare un segno. Non è che Lui voglia negare il segno, Dio ci riempie tutto di segni. C’è tutto un universo di segni suoi. Siamo noi che ci mettiamo nell’impossibilità di accogliere un segno suo. E allora: “Nessun segno ti viene dato”. Fintanto che sei così, nessun segno ti viene dato. Capovolgiti e allora vedrai che tutto ti diventa segno, anzi vedrai una sovrabbondanza, un fiume addirittura di segni, perché Dio non dà lo Spirito con misura.



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Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Gv 5 Vs 14 Quinto tema.


Titolo: In che cosa consiste la guarigione vera dell’uomo?


Argomenti: L’affermazione dello Spirito nella prova. Quand’è che l’uomo può ritenersi veramente guarito? In che cosa consiste la malattia? Da che cosa deriva? Il non superare il pensiero del nostro io è causa di malattia.QCosa possiamo fare per ottenere la guarigione? Bisogna pensare Dio. Toccare qualcosa di Dio. La difficoltà a restare nel Tempio. Siamo nel Tempio in quanto riconosciamo che tutto è opera di Dio. La Luce unica del Tempio. L’unità è vita, la molteplicità è morte. Tutto è miracolo perché tutto è opera di Dio. La paralisi è un effetto dell’essere malati. Avvertire la malattia spirituale.


 

4.Giugno.1978


 Pensieri tratti dalla conversazione:

Eligio: Quel “poco dopo” in cui Gesù lo incontrò nel tempio, in senso spirituale, significa che non passa troppo tempo dal primo al secondo incontro con Gesù?

Luigi: Quel “poco dopo” va riferito alla testimonianza che il paralitico dà davanti ai farisei. Colleghiamo i fatti: Gesù lo incontra sotto il portico, gli chiede se vuole essere guarito; l’altro gli dice: “Non ho nessuno”; al ché Gesù gli dice: “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”. Camminando trova i farisei. I farisei gli dicono: “È sabato, non ti è lecito portare il tuo letto”. Ma il paralitico risponde: “Colui che mi ha guarito mi ha detto di portarlo”: ecco, rende testimonianza. Dice quel famoso “no” di cui abbiamo già parlato diverse volte. Dopo aver reso questa testimonianza, “poco dopo”, Gesù lo trova nel tempio. È da collegarsi con quanto abbiamo già detto: che i doni di Dio arrivano a noi, ma non sono posseduti da noi e quindi non ci fanno entrare nel tempio se non sono messi a prova. Allora Dio ci dà i doni, poi ci mette a prova, cioè ci mette nella tentazione di vendere quei doni, di scendere a compromesso col mondo; magari con le ragioni dell’autorità, della legge. Se noi affermiamo lo Spirito, allora “poco dopo” entriamo nel tempio, perché è proprio quel “no” detto, che è testimonianza di amore, che ci dà il possesso del dono di Dio, perché i doni non si posseggono fintanto che non sono messi a prova. La vita non incomincia con il dono che riceviamo da Dio, ma con la testimonianza che diamo di esso; cioè se non siamo messi nella tentazione, nella prova di cedere il dono per qualche motivo di mondo, non abbiamo la possibilità di incominciare a vivere secondo il dono. “Che cosa può mai sapere colui che non è stato messo a prova?” dice San Giacomo. Quindi è nella prova che l’uomo si forma e si fortifica, perché incomincia a vivere personalmente. Prima ha ricevuto il dono: non vive ancora personalmente. Poi messo nell’occasione, afferma il dono ricevuto. Allora unisce al dono la sua intenzione: “No, io appartengo a Colui che mi ha fatto il dono”. Incomincia a nascere come persona. Vive personalmente. La vita comincia lì. Allora incomincia ad entrare nel tempio. Dicendo tanti “no” al mondo, questi ci fanno entrare nel regno di Dio; ma se anche avessimo ricevuto tutti i doni di Dio, se non diciamo “no” al mondo, li perdiamo tutti e non entriamo.

Eligio: Quindi non dicendo “no” al mondo, non si entra nel tempio.

Luigi: No, anzi, si perde anche la guarigione di prima.

Eligio: Sto pensando allora al problema di domenica scorsa quando hai detto che si può entrare nel tempio, ma si può anche non essere trovati da Dio.

Luigi: Certo.

Eligio: Qui invece vediamo che dicendo “no”, confermando di voler appartenere a Dio e non ai farisei o ai sacerdoti, il paralitico entra nel tempio e poco dopo Gesù lo trova. Quindi vedi che l’azione è strettamente collegata; dice: “poco dopo viene trovato”. Quindi mi pare che non si può essere nel tempio e non essere trovati.

Luigi: Ecco, lì devo fare una riserva, perché noi possiamo anche essere nel tempio ed essere cacciati fuori, come quel tale seduto a mensa che non ha l’abito. Cosa gli dice il padrone? “Come sei entrato qui dentro?”. Tutto è lezione, segno di Dio, per insegnarci che quand’anche fossimo già dentro il tempio, dobbiamo stare molto attenti, perché possiamo che correre quel rischio. Ecco, non possiamo mai sederci in poltrona e dire: “Sono sistemato, sono a posto” e, proprio allora, mi trovo fuori. No, bisogna raccogliere tutto, perché Dio, attraverso le sue diverse lezioni, spezzandoci il pane, ci fa capire, se le custodiamo, come si vive con Lui. Così: “Sei fuori?” Sappi che devi preoccuparti di entrare. “Ma come faccio a entrare?”: per entrare devi sostenere la prova. Se nella prova tu affermi di appartenere allo Spirito, questo ti fa entrare. Perché è lo Spirito che ti fa entrare, non sei tu che puoi entrare. Però tu devi dichiarare di voler appartenere allo Spirito! Allora, sei ammalato? Se sei ammalato, invoca il Signore e il Signore ti guarisce. Sei in cammino? Se sei in cammino, sta attento alla prova, perché quando uno è in cammino, Dio lo mette alla prova. Sei stato provato e sei entrato nel tempio? Stai attento a non essere cacciato fuori, perché il fatto di essere entrato nel tempio non vuol dire che il Signore ti trovi. È tutta una successione di atti di fede e di amore.

Eligio: È una successione di tempi abbastanza rapidi.

Luigi: Si, “poco dopo”; dice: “poco” ma “dopo” che noi abbiamo testimoniato. Il Signore non ci fa aspettare inutilmente. E se ci fa aspettare, dobbiamo anche saper accettare l’attesa, perché anche questa fa parte della prova. Dobbiamo avere fiducia in Lui, sapendo che Lui vuole il nostro bene; per cui se si fa aspettare è per fortificare in noi la fame, il desiderio, in modo da unirci più intensamente quando Lui ci troverà. Quindi dobbiamo sapere che Lui ci trova solo nel tempio e che è soltanto nel tempio che avviene la vera guarigione. Gesù lo trova nel tempio e gli dice: “Eccoti guarito”. Per cui la prima guarigione non era una guarigione completa, già l’abbiamo accennato. Non era veramente guarito, perché non aveva ancora la vera conoscenza, non sapeva chi fosse il suo Signore, Colui che l’aveva guarito. Lo conosceva soltanto in funzione della folla del suo mondo. Fintanto che noi conosciamo in funzione della folla, non siamo guariti del tutto. Quindi noi possiamo essere talmente malati da non muoverci più, paralizzati e magari restare paralizzati per tutta una vita. Possiamo essere in cammino, ma non essere guariti del tutto. La vera guarigione avviene soltanto dentro il tempio. E chi ci conferma della guarigione è Lui, il Signore, non siamo noi. L’abbiamo visto domenica scorsa: non è il malato che ad un certo momento possa dire: “Io sono guarito”. Chi può dire veramente a noi: “Sei guarito” è il Medico. Questo per farci capire che ci sono delle malattie che noi non conosciamo e possiamo portarcele addosso, ignorandole, e che sono forse le più gravi. Ci sono delle malattie palesi, che vediamo; altre invece che non vediamo. Così accade che uno si creda giusto, si creda buono, si crede vedente e che invece sia cieco, peccatore, morto. Allora anche se ti credi sano, sappi che chi deve confermare che veramente sei guarito è Dio; è Lui che te lo deve dire, non sei tu, né gli altri. Gli altri non ci fanno essere quello che non siamo. Dio sì. Ecco, non fidarci mai di noi; è l’argomento di oggi per la nostra riflessione: “Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: Eccoti guarito!”. Cioè in che cosa consiste la guarigione vera dell’uomo? Quand’è che l’uomo è veramente guarito? E in che cosa consiste quindi la malattia dell’uomo? Qual è la causa per cui l’uomo si ammala? Sintetizzando in quattro punti possiamo allora proporre:

1)                 Quand’è che l’uomo può ritenersi veramente guarito?

2)                In che cosa consiste la malattia?

3)                Da che cosa deriva? Qual è la fonte, la causa del vero nostro male?QQ di tutti i mali?

4)               E nella nostra malattia che cosa possiamo fare per invocare, per ottenere la guarigione?

Io suggerirei come aiuto, come pensiero guida in queste riflessioni, quanto diceva l’emorroissa: “Solo che io tocchi un lembo del suo mantello e sarò guarita”. A me pare che in questa invocazione, in quanto desiderio di toccare qualche cosa di Lui per essere guariti, ci sia la chiave per capire qual è la vera malattia dell’uomo e la chiave anche per guarire. Ci fa pensare che gli uomini sono malati perché non toccano niente di Dio e fintanto che non toccheranno niente di Dio non potranno guarire. Abbiamo visto le volte scorse che noi tocchiamo qualcosa di Dio, soltanto in quanto siamo toccati da Dio, perché il nostro toccare è una conseguenza dell’essere amati, il vedere è una conseguenza dell’essere veduti. Di lì si può vedere la traccia per la nostra meditazione: perché per essere toccati bisogna essere  nel tempio e per essere nel tempio bisogna testimoniare la nostra fede e il nostro amore.

Eligio: Mi lascia sempre perplesso il fatto che uno dopo essere entrato nel tempio, dopo essere stato toccato, dopo aver fatto delle scelte che sembrano irreversibili, possa essere cacciato fuori.

Luigi: Bisogna tener presente il pensiero di Gesù nella parabola dei convitati. Il convito è il tempio, perché quando il Signore parla di regno di Dio, di tempio, di sala di convito, è sempre la stessa cosa. Noi possiamo anche essere seduti alla mensa del regno di Dio, quindi nel tempio e non avere l’abito. Come si può aver il pane senza avere fame. La condizione per poter mangiare è quella di avere fame, ma si può avere il pane senza avere fame.

Eligio: Ma come si può dire di “no” al mondo, affermare la Verità di Dio, e quindi entrare nel tempio, senza avere l’abito?

Luigi: Sono sempre fatti soggettivi. Noi possiamo credere di dire: “No”. Guarda le vergini stolte: se sono vergini è perché dicono di “no” al mondo; andavano incontro allo sposo e il fatto che andavano incontro allo sposo conferma che avevano detto di “no” al mondo. Eppure sono stolte e sono cacciate fuori.

Eligio: Non avevano detto di “no” al loro io.

Luigi: D’accordo.

Nino: Spiegato così mi rimane un po’ oscuro.

Luigi: Non è che voglia spiegarlo, tengo solo presente le lezioni di del vangelo e bisogna tenerle presente.

Nino: Applicandolo a noi, possiamo dire in quest’altro modo? Cioè, noi qualche volta, accettiamo la parola di Dio, la affermiamo ed entriamo nel tempio e crediamo con quello di aver risolto tutto e ci sentiamo a posto. Però subito dopo succede magari un’altra prova e noi senza accorgercene scivoliamo e andiamo fuori.

Luigi: Nella parabola del seminatore Gesù ci presenta diversi terreni per farci capire che noi possiamo essere questo terreno o quell’altro o quell’altro: così ci dà lezioni diverse per dirci: “Se anche tu credessi già …”. Perché noi possiamo credere già ci essere entrati, perché magari avendo superato una prova, ci sentiamo amici del Signore. Sostanzialmente non siamo entrati.

Eligio: Ma lì abbiamo la presunzione.

Luigi: Certo! Ed allora il Signore ci fa toccare con mano: ci manda un’altra prova, ed ecco che siamo fuori.

Eligio: Ma il punto di riferimento per noi deve essere il paralitico, il quale è entrato ed ha avuto la conferma di essere guarito e non aveva la presunzione di essere guarito.

Luigi: Certo.

Nino: Non pensi che possa arrivare a dire “no” in una seconda occasione?

Eligio: Mi sembra difficile, perché quando uno ha sperimentato, per tutto l’arco della sua esistenza la malattia, la paralisi, se si trova a camminare, difficilmente dice di “no”.

Luigi: L’hai letto nel vangelo proprio adesso: il Signore dopo avergli detto: “Eccoti guarito”, aggiunge: “Sta attento a non peccare più perché non ti avvenga di peggio”. Quindi vuol dire che può. “Perché non ti avvenga di peggio”; ecco, proprio questo “peggio” vuol dire che può ritornare paralitico più di prima. Ed era entrato nel tempio ed era stato trovato e confermato da Gesù.

Pinuccia: Perché non era ancora la sua Pentecoste.

Luigi: D’accordo. Comunque non dobbiamo mai sederci, mai ritenerci dentro, come scontato, perché la vita dello spirito richiede un superamento continuo.

Nino: Tante volte mi capita di dire: “Oggi come sono stato bravo!”, ma ecco che il giorno dopo mi trovo al punto di prima.

Eligio: Però mi sembra che la conferma della guarigione faccia parte, nell’esperienza e nella maturazione personale di ogni uomo …

Luigi: È una cosa bellissima.

Eligio: … di punti base che difficilmente possono essere cancellati.

Luigi: Certo.

Eligio: Si potrà uscire dal tempio ma questi non possono essere dimenticati.

Nino: Ma non è che chi esca li abbia dimenticati. Li ricorda troppo e presume di non poter più tornare indietro. E forse è proprio un aiuto di quello, perché il giorno in cui tu torni indietro non ti senti più approvato, puoi avere un termine di paragone con la vita precedente in cui tu ti sei sentito confermato … Nel momento in cui ti lasci prendere dalla presunzione e dici: “Ormai ho capito il meccanismo, sono a posto” …

Luigi: Non è un meccanismo. C’è il pensiero dell’io.

Eligio: Penso che si può andare indietro sul piano morale ma non su quello delle convinzioni.

Nino: Ma la parola di Dio va fatta; quando la mediti sembra facile, è una linea retta; ma quando giunge il momento della prova, tu hai qualcosa che ti brucia dentro e che ti chiede di fare il contrario; ma non devi cadere, pregando e invocando l’aiuto di Dio.

Luigi: E poi devi sapere che è la prova di quel dono che Dio ti ha fatto prima. C’è l’esempio molto efficace di Pietro: Pietro è confermato da Gesù che gli dice: “Beato”. Pensa se il Signore stesso dicesse un giorno a noi: “Beato te …”, noi partiremmo in quarta, perché: “Il Signore stesso mi ha detto: beato”. Ma cinque minuti dopo Gesù stesso gli dice: “Sei un demonio”. Eppure Gesù cinque minuti prima gli aveva detto: “Beato te, perché ciò che hai detto è il Padre che te l’ha rivelato”. Vedi quindi che c’è sempre una labilità. Ed è logico che ci sia, perché noi siamo incostanti e come riceviamo un dono, immediatamente pensiamo a noi stessi e diciamo: “Guarda, ormai ce l’ho fatta, ormai sono qui”. Ed è finito, perché tutte le cose bisogna sempre riferirle a Dio, avere presente Dio. Invece lì c’è il ripiegamento dell’io. Ed ecco allora il Signore che dice: “Sei un demonio”. Ora, bisogna tenere presente queste lezioni, perché sono lezioni di vita per noi:

-                     Trovato dentro il tempio, cacciato fuori;

-                     Confermato in “Beato te”, eppure cinque minuti dopo: “Sei un demonio”.

Tutte queste lezioni vanno tenute presenti. Dio richiede sempre la partecipazione consapevole. L’amore non è mai la chiusura di un debito: “Beh, ormai ho fatto il saldo, questo è sistemato!”. No, l’amore è sempre una partecipazione consapevole, reciproca, per cui Dio ti dà un dono e tu rispondi. Rispondendo ti dà un altro dono e tu rispondi ancora. È una vita infinita.

Nino: E poi ce lo dice Gesù stesso: “È necessario che io me ne vada”. Ma qui Gesù c’è ancora, non è ancora arrivato lo Spirito Santo.

Luigi: Si, è un segno: il tempio, ecc., sono segni dello Spirito Santo, della Pentecoste, ma non è ancora in realtà la Pentecoste, è logico. Comunque sono tutti segni, parabole, fatti dal Signore. Indubbiamente è meglio essere dentro che essere fuori, anzi Dio opera tutto per portarci da fuori a dentro. Ma anche il restare dentro è una cosa non molto facile, perché restare dentro vuol dire restare sempre in questa dipendenza da Dio. Perché si resta nel tempio in quanto si è dipendenti da Dio. Quindi si può entrare e in un certo momento uscire.

Pinuccia: Finché non sia giunta la Pentecoste, perché con la Pentecoste si sarà confermati?

Luigi: Evidentemente nella vita eterna non c’è più ritorno. Quando uno è in Paradiso non può più peccare. C’è un salto di qualità.

Pinuccia: Ma questo anche nella vita eterna, quando ancora si è su questa terra?

Luigi: Come anche qui in cui è già significato un salto di qualità. Ma qui siamo ancora nel campo dei segni e nel campo dei segni abbiamo i ritorni. Quante volte ci sentiamo inseriti, ci sentiamo amici di Dio, però siamo ancora nel campo dei segni, non siamo ancora entrati nella sostanza. La vera sostanza l’avremo nella città celeste, nella vita eterna.

Pinuccia: Ma è già possibile anche su questa terra?

Luigi: L’inizio. Ora questo inizio è un inizio in noi, il che vuol dire che una parte di noi ha già cominciato questa vita eterna, ma una parte di noi è ancora fuori. Noi siamo fatti di pensieri, di volontà, di sentimenti; siamo fatti di tante cose. E ci portiamo il carico di tutta la vita passata. Così se con lo spirito siamo già entrati, cinque minuti dopo, sentiamo tutto il peso dei sentimenti, dei ricordi, dei fatti i quali naturalmente rodono sopra la potenza dello spirito ci tentano al ritorno. Se lo spirito non è afferrato a Dio continuamente, ecco che in quel momento, uno cede perché è abituato a fare questo, è abituato a dire così. Cioè concede il compromesso a un’abitudine, a un fatto precedente che lo condiziona, perché l’aveva fatto prima. Perché diventiamo figli delle nostre opere e allora è difficile ricollegarci. Quando uno sa che questo è una sua debolezza, deve stare attento, perché è il Signore che lo presenta. È il Signore che ci offende in quel modo. Egli ci dice: “Quando uno ti dà uno schiaffo su una guancia, offrigli l’altra; se uno vuole portarti via l’abito, dagli il soprabito”. Ma perché ci dice questo? È per la liberazione nostra. Il Signore parla ad ognuno personalmente, perché sa le nostre debolezze.

Nino: Parla ad ognuno un linguaggio che è un’impronta digitale. In questo caso vedo che per me è un po’ in gioco il sapermi staccare.

Emma: Penso che però si potrebbe anche tentare con i bei modi a risolvere la cosa, a far capire all’altro …

Luigi: Il problema però è su un piano molto, molto diverso. Noi facciamo questione di problemi materiali; invece il problema è tutto sul campo dello spirito: quelli sono fatti occasionali che il Signore ci mette per farci fare dei salti spirituali.

Eligio: Come ci dicevi domenica: il tempo passa, cosa stiamo ad aspettare? Diamoci da fare!

II PARTE

Luigi: Ritorniamo al tema: “Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Eccoti guarito”. Ci eravamo proposti possibilmente di approfondire quand’è che la creatura si sente guarita, quindi in conseguenza di questo, in che cosa consiste la malattia della creatura, qual è la causa per cui la creatura si ammala e che cosa può fare per potersi avvicinare alla guarigione.

Cina: Il Signore mi ha dato un momento di luce, un lampo e mi ha detto: “Se vuoi che ti guarisca, resta nel tempio: resta sia quando hai momenti di luce sia quando hai il buio, ma resta. Perché se anche ti voglio guarire e tu scappi di qua e di là, non ti trovo”. Cioè Dio mi vuole guarire.

Luigi: Ma la guarigione avviene nel tempio.

Cina: Quindi è un invito a restare, ad essere fedele nel poco.

Luigi: Hai chiaro cosa vuol dire restare nel tempio? Quand’è che si è nel tempio? E quand’è che invece si è fuori? Tu dici: è necessario che resti nel tempio, perché Dio la guarigione me la dà nel tempio e allora come facciamo a restare nel tempio? Quand’è che siamo dentro il tempio? E quand’è che invece siamo fuori del tempio?

Cina: Una cosa può essere questa: cogliere al volo il tempo in cui posso fermarmi in preghiera.

Luigi: Va bene, ma quando siamo nel mondo, nelle cose del mondo, negli impegni, ecc., come faccio a restare nel tempio?

Cina: Non lasciando dominare l’io nelle azioni, nelle relazioni, in ciò che faccio, ma avere sempre lo sguardo a Dio. Per che cosa lavoro? Cosa penso? Cos’è che mi guida? In modo da poter tornare alla Sorgente.

Luigi: Cioè alla presenza del Pensiero di Dio.

Cina: Si.

Luigi: Abbiamo già detto diverse volte che noi siamo in-, o siamo fuori da-, a seconda che facciamo dipendere le cose da Dio oppure consideriamo che le cose dipendano dagli uomini, dal caso, dalla natura. Cioè, fintanto che noi consideriamo le cose staccate da Dio e consideriamo le persone, le creature così, noi siamo fuori dal tempio. Noi siamo nel tempio di Dio in quanto consideriamo, accettiamo, riconosciamo tutto dipendente da Dio. Per cui ovunque uno sia, se ha presente che tutto dipende da Dio è nel tempio di Dio ed è lì che Dio opera la guarigione. È in questa dipendenza. È poi lì che si forma la vita, perché la vita è comunione. La vita è dipendenza da Uno. Quando invece noi dipendiamo da molti, siamo nella morte, siamo malati. Nel tempio c’è una luce sola. Il tempio è anche la città di Dio di cui parla l’Apocalisse dove si dice che non c’è nessuna lampada che la illumini, come non c’è nessun tempio. Parla della città di Dio e dice che in essa non c’è nessun tempio, non c’è nessuna luce, perché c’è il Sole. Il Sole basta Lui ad illuminare tutta la città di Dio. E il tempio è Dio stesso.

Cina: Non ho capito bene.

Luigi: Non c’è lampada e non c’è tempio. E questo vuol dire che non c’è bisogno di altre luci, perché c’è una luce sola che illumina la città di Dio ed è il Sole di Dio. E non c’è altro tempio perché basta Dio, Dio stesso è il tempio. Per questo, portato alle estreme conseguenze dello spirito, il tempio e l’essere nel tempio è essere nel Pensiero del Padre, Colui dal quale vengono tutte le cose. Il concetto di dipendenza. Vedi che ci avviciniamo a questo rapporto: Figlio – Padre? Perché se il tempio è il Padre, essere nel tempio è essere nel rapporto tra Figlio e Padre. Infatti il Figlio si caratterizza in questo: che vive nel seno del Padre, tutto dipendente dal Padre. Invece quando noi abbiamo molteplicità di dipendenze, siamo dominati da molti, siamo fuori, e in questa molteplicità di dipendenze, noi troviamo la malattia e la morte. La vita è una sola. “In Lui era la vita”, cioè “In Lui è la vita”. La vita quindi è unione, mentre la malattia è disunione.

Cina: Poi ho tenuto presente il pensiero udito stamattina: che se viviamo bene, è un bene per tutti; se viviamo male è un male per tutti. Questo ci rende molto più responsabili nell’impostare la vita.

Luigi: E questo non solo nell’agire o nel vivere come intendiamo noi, ma anche già nel pregare. Perché se noi preghiamo bene, se il nostro pensiero è con Dio, si riversa su tutti, anche se fossimo nel segreto di una trappa, nel segreto di una grotta, lontani dal mondo; se invece pensiamo male, anche se non agiamo, non facciamo niente, quel male si riversa su tutti, perché chi opera è il pensiero, lo spirito.

Emma: Questo restare nel tempio lo vedo come un ascoltare la parola di Dio e cercare di viverla. E poi implorare l’aiuto per avere questo atteggiamento interiore di dipendenza, a dire un “si” totale. È una cosa ardua, perché anche se credo in Dio, io Dio non l’ho mai visto!

Luigi: Basta che Dio abbia visto te!

Emma: Avrà un piano su di me che io non conosco. Comunque capisco che devo sempre confrontarmi col vangelo per arrivare a Lui disponibile.

Luigi: Comunque è Lui che ci forma nella semplicità. Più noi guardiamo a Lui e più Lui ci forma a sua immagine e somiglianza. È la cura del sole: più restiamo esposti al sole, quel sole di cui parlavo nella città di Dio e più il sole ci fa diventare neri. Più noi guardiamo Dio e più Dio ci unisce; siccome Dio è Uno, Lui ci fa uno. Se invece noi non guardiamo Dio, ci disperdiamo nella molteplicità e la molteplicità è privazione, è diminuzione di vita. L’unità è vita, e la vita ci viene dall’Alto. Ma quando diciamo Alto, intendiamo dall’Unico: “In Lui è la vita”. Da questa unità viene a noi la vita, ma nella misura in cui noi restiamo uniti a Lui che è Uno. Se anziché star uniti a Lui che è Uno, noi siamo uniti a tanti, seguiamo tanti, la molteplicità diventa in noi diminuzione di vita, quindi dispersione e ci avvicina alla morte. Viene meno questa capacità di vita in noi e rimane soltanto la schiavitù alla molteplicità di tutti i segni. Invece uniti allo Spirito, si superano i segni, anzi si intendono anche i segni, i quali diventano motivi di vita perché ci uniscono sempre di più all’unità. Ma se noi veniamo meno all’unità, non entriamo per quella famosa porta delle pecore della città di Dio, che richiede il superamento il superamento del nostro io, cominciamo a disperderci nella molteplicità e cominciamo ad ammalarci. La malattia  ci porta sempre più verso la morte in cui non siamo più in grado di resistere a niente. Allora siamo tutto in balia di fattori esterni. Non c’è più la vita in noi. La vita in noi è una resistenza, è una forza che si impone su. Ma quando siamo dominati da tutto l’esterno, siamo morti. Non esiste più in noi la fiamma della vita e chiunque passa ne porta via un pezzo. È la casa che si distrugge perché non c’è più il padrone che abita in casa. Per cui tutti quelli che passano dicono: “Questa casa è disabitata”, e chi porta via una finestra, chi una persiana. Ognuno ne porta via un pezzo perché la casa non ha più padrone. Quando in noi non c’è l’unione con Dio, la nostra casa non ha più padrone e noi assistiamo alla nostra demolizione, perché tutti quelli che arrivano, prendono, portano via. È una sofferenza per noi, ma non possiamo resistere, perché non abbiamo in noi il padrone. Quindi ecco l’importanza dell’unione con Dio. Con l’unione con Dio non soltanto abbiamo in noi la possibilità di resistere, ma addirittura tutte le creature ci servono, ci aiutano a restare in casa, a vivere. Tutte le creature sono delle ottime servitrici per colui che è unito a Dio. Sono delle pessime padrone. Se noi non restiamo uniti al Padrone, tutte le creature diventano nostre padrone e come tali sono pessime. Come servi invece sono ottimi. Tutte le creature sono servi di Dio, sono ottime servitrici; però sono tali solo a condizione che ci sia il Padrone. Se in noi c’è la presenza del Padrone, tutte le creature sono sottomesse al Signore, perché sono creature sue e allora tutte servono, ci aiutano. Tutto serve e ci aiuta. Anche chi ci porta via qualcosa è un servitore, che ci sta presentando sul piatto un dono di Dio. Ecco, servitori del Padrone. Se invece noi siamo uniti al Padrone, chi ci offende diventa il padrone nostro e allora ci crea una schiavitù a non finire di lotte, conflitti, guerre e noi ci sentiamo lacerati, portati via. Non abbiamo più l’unità in noi. Quindi ecco l’importanza dell’avere in noi il Pensiero di Dio, l’unione col Pensiero di Dio: la vita sta lì. Dio è il vivente, noi viviamo per partecipazione, nella misura in cui restiamo uniti a Lui, riferiamo a Lui, raccogliamo in Lui. Per l’unione c’è un passaggio da fare dalla molteplicità all’unità di Dio. Man mano che unifichiamo, che raccogliamo questa molteplicità, tutto il nostro mondo in Lui, la nostra vita cresce e cresce fino alla vita eterna: ma nella misura in cui raccogliamo.

Emma: Allora si incomincia con il desiderio .

Luigi: Si incomincia col pensiero, cioè si incomincia con Dio che parla: “Io sono il Signore Dio tuo e parlo a te”, perché se Dio non parla, noi non possiamo assolutamente pensarlo. Quindi: “Io parlo a te, tu ascolta. Tu comincia a pensarmi, perché sono Io che parlo con te”. Se la creatura ascolta, incomincia a formarsi il desiderio di unione con. Perché è Lui che parla. Allora incominciamo a riflettere: ma Dio mi manda questo segno, mi manda questa creatura, mi manda questo avvenimento, mi manda questo fatto. Riferiscilo al Padrone. Dai a Dio quello che è di Dio. Riporta tutto a Dio. E si genera questa corrente di vita. Dio ci dà un pezzo di pane e ci invita a mangiarlo; ma lo mangiamo con Lui nel suo Spirito. La premessa per poterlo mangiare è che siamo col suo Spirito. Il suo Spirito inizia in noi la fame parlando a noi e poi ci offre il cibo; adesso mangialo, perché mangiando cresci. Ma se noi non siamo uniti a Lui, quel cibo che noi mangiamo ci avvelena, non ci fa crescere, anzi, ci disperde. Perché la condizione perché ci faccia crescere è che noi siamo uniti al suo Spirito. Tutto il cibo che Lui ci dà ci fa crescere, ci aiuta a crescere. Ma il rapporto principale di crescita viene sempre da Lui. Ecco perché l’essenza è sempre questo ascolto. Ascolto è attenzione a Lui: è Dio che parla! È questa corrente di unione che forma in noi la vita, una vita crescente. Perché noi più uniamo a Dio, raccogliamo in Dio e più cementiamo sempre più intimamente questo rapporto di unione con Dio che è vita. Ma il vivente è Lui.

Emma: Cioè bisogna lasciar coltivale la nostra terra da Lui.

Luigi: In tutto, ma proprio per lasciarci coltivare bisogna guardare Lui, riferire sempre tutto a Lui.

Emma: Purtroppo però molte volte ci dimentichiamo …

Luigi: Però anche il fatto di capire che ci dimentichiamo è grazia di Dio che ci invita a ricordarci di più.

Nino: La domanda era: in che cosa consiste la malattia? La malattia consiste nel pensiero del nostro io, nel far conto sulle creature. Il paralitico aveva per tanti anni fatto conto su qualcuno che lo aiutasse ad immergersi; essendogli mancato quel qualcuno, aveva perso ogni speranza. Denuncia la sua impotenza e Gesù gli viene incontro e viene ad interpellarlo come ha fatto con la samaritana, come fa sempre con tutti.

Luigi: Sì, Lui ci interpella in tutto, sia che noi siamo in alto, sia che siamo in basso, sia che siamo nel tempio, sia che siamo fuori. È logico, è il Signore, è il Creatore ed è logico che sempre ci interpelli. Guai se non ci interpellasse, se non intervenisse!

Nino: Quindi queste sono le cause della malattia.

Luigi: Cioè il pensiero del nostro io, il non superare le creature. Precisiamo bene: il fatto di non superare il pensiero del nostro io è causa di malattia, perché ci impedisce di entrare nel tempio, cioè nel tutto dipendente da Dio.

Nino: È la disarmonia.

Luigi: Sì, è disarmonia. È frattura. Quindi la malattia è una frattura.

Nino: È un tralcio tagliato. Gli esempi sono infiniti. Altra domanda era: cosa bisogna fare per ottenere la guarigione? Prima di tutto constatare la nostra miseria, il nostro io non è un assoluto, le creature non sono un assoluto. A quel punto diventiamo disponibili all’intervento di Dio. Dio fa il miracolo col paralitico. Ma tutto è miracolo, se noi stiamo attenti, qualunque parola di Dio è miracolo, la nostra vita, i nostri sentimenti, i nostri pensieri. E chi è che li ha messi? È tutto un miracolo di Dio, non si sfugge da quel pensiero lì. È solo noi che siamo degli ottusi e che non arriviamo mai a vedere il miracolo nelle cose. Ma tutto è un miracolo.

Luigi: Trovarci qui è un miracolo. Lei ne è convinta?

Rina: Un poco; può darsi che lo sia; comunque è volontà di Dio.

Luigi: E lei è convinta che trovarci qui è un miracolo?

Emma: Tutto è miracolo e noi non lo vediamo, perché siamo troppo presi dal pensiero di noi stessi.

Luigi: Ma è convinta o no?

Emma: Si.

Rina: La definizione di miracolo è: un effetto straordinario.

Luigi: È un effetto straordinario, sì.

Rina: Che esula dalle leggi naturali.

Nino: Non siamo noi che l’abbiamo deciso.

Luigi: È un effetto straordinario. E lei è convinta che trovarci qui è un miracolo?

Cina: È una cosa bellissima.

Luigi: Il miracolo è una cosa bellissima; ma sei convinta che è un miracolo?

Cina: Proprio dire “miracolo” no; sarà un miracolo che io non vedo. Dico che è una grande cosa, molto bella.

Nino: Tutto è miracolo, perché tutto viene dal Signore. Miracolo è l’intervento di Dio. Siamo tutti trascinati per i capelli da un avvenimento dopo l’altro e siamo qui. Chi avrebbe pensato tanti anni fa che io mi sarei trovato qui a parlare di queste cose? Tutto è miracolo perché tutto è intervento del Signore. Il fatto stesso che noi ammettiamo che ogni cosa è voluta, pensata da Dio, son tutti miracoli.

Eligio: Diciamo allora che noi siamo in un miracolo. Però, se per miracolo intendiamo questo evento come qualcosa di eccezionale rispetto a tutti gli altri eventi, allora agli altri eventi attribuiamo un’efficacia o un intervento divino di minor peso.

Nino: Il fatto è che noi stiamo equivocando sulla parola “miracolo”. Noi pensiamo come miracolo l’individuo che cade dal tetto e si ferma a metà strada e non cade per intervento divino. Ma se noi pensiamo che il “miracolo” è l’intervento divino nell’umano, allora tutto è “miracolo”.

Luigi: Ma che cos’è che ci ha riunito qui?

Rina: Un pensiero unico: il desiderio di Dio.

Luigi: È Dio. E se è Dio, non è miracolo? Se ci fossimo riuniti per fare una cena, non sarebbe un miracolo.

Eligio: L’avrebbe permessa Dio.

Luigi: Beh, d’accordo. Non permessa, ma voluta per la nostra povertà d’anima. Ma il motivo, l’intenzione che ci ha guidati qual è? Mossi dall’intenzione di Dio, lì c’è il miracolo. Dio opera comunque, ci fa fare il delitto. È opera sua. L’intenzione è nostra; è un’intenzione malvagia perché è un’intenzione staccata da Dio, e Dio ci fa toccare con mano quello che accade a chi è staccato da Lui. È un miracolo che noi possiamo uccidere uno, però l’essere staccati da Dio non è un miracolo di Dio. Per vedere che anche nel delitto c’è un miracolo, devo aver molto presente Dio, altrimenti non lo vedo assolutamente.

Nino: Dovrei gridare che le formiche sono un miracolo di Dio.

Luigi: Certo.

Eligio: Ma oggettivamente la nostra vita è un miracolo.

Luigi: Tutto è miracolo perché tutto è opera di Dio.

Eligio: Allora perché chiederci se siamo convinti che trovarci qui è un miracolo?

Luigi: Perché quello che ci ha motivati, che ci ha raccolti qui è Dio, e questo è un miracolo. Non ci siamo raccolti per un altro motivo. Quello che ci ha raccolti qui è proprio il Pensiero di Dio. Quindi Dio ha operato e ci ha radunati nel Suo nome. Ora lì è miracolo il quanto c’è un punto d’incontro tra l’opera di Dio e l’intenzione da parte nostra. Qui siamo toccati. Siamo toccati in quanto c’è un punto in comune tra ciò che opera Dio e l’intenzione che c’è in noi. Quando l’intenzione che c’è in noi coincide con l’intenzione divina, noi restiamo toccati e non possiamo smentire.

Eligio: Però oggettivamente il miracolo resta anche quando la nostra intenzione non coincide con quella di Dio.

Luigi: D’accordo, però per vedere il miracolo bisogna che l’anima sia unita a Dio, altrimenti non vede, perché vede l’altra intenzione.

Eligio: Però non cancella il miracolo oggettivamente.

Luigi: Oggettivamente non lo cancella, però soggettivamente la persona dice: “Ah, no ciò che mi ha guidato lì è il mio io, è la mia intenzione; sono io che ho voluto questo, oppure sono gli altri”. E perché c’è l’inferno? Proprio perché in noi c’è una volontà diversa e non riusciamo ad inserire questa volontà diversa nella Volontà divina. Non vediamo più il miracolo, capisci? Colui che è con Dio vede il miracolo, anche nell’inferno. Ma colui che non è con Dio non lo vede assolutamente, perché vede la sua intenzione. E tu non puoi convincerlo. Per vedere il miracolo, bisogna essere con Dio.

Eligio: Diciamo allora che ogni grazia è un miracolo.

Nino: Ogni avvenimento.

Luigi: Tutto, però per vederlo bisogna aver presente il Pensiero di Dio. Ora per vederlo presente, bisogna avere l’intenzione. Se quello che ci ha guidati qui è l’intenzione divina, ecco: Dio ci ha portati qui. Non altro.

Nino: Ma questo in qualunque campo della natura. Chi ha fatto tutto questo così? L’ha fatto Dio. Nessun altro!

Luigi: Sì, d’accordo, ma tu capisci che per vedere questo tu devi avere presente Dio? In caso diverso tu dici: “Quello è natura, quello è legge, quello è regola”.

Nino: D’accordo, ma direi delle parole senza senso. Perché cos’è la natura?

Luigi: D’accordo, ma tu stai ragionando sempre col Pensiero di Dio, allora ragionando col Pensiero di Dio, tutto diventa miracolo, è logico. Anche la formichina che arriva in quel momento a disturbarti, un ragno, ecc.

Nino: Anche le lumache; non le puoi più mangiare, anche se ti piacciono. Ritornando all’argomento: a questo punto Dio viene incontro al paralitico con la guarigione del corpo: è un primo segno; come con la samaritana che si aggancia con l’acqua, dopo il quale lo invita ad affermare la volontà di Dio.

Luigi: Affermare la volontà di Colui che l’ha guarito.

Nino: Affermando il volere di Dio, entra nel tempio.

Luigi: Appartiene a Colui al quale ha detto di voler appartenere.

Nino: Entra nella condizione per essere confermato da Dio.

Luigi: E quindi guarito veramente nello spirito; perché lì lo conosce.

Nino: Una volta guariti, dato che è facile per noi presumere, Dio ci dice, come dice al “paralitico, all’adultera: “Non peccare più”.

Rina: Io ho preferito anziché fermarmi su questo argomento sentire gli uccelli e i grilli.

Luigi: Anche questo è lezione di Dio!

Pinuccia: Dapprima mi sono chiesta: in che cosa consiste la nostra malattia? Mi pare consista in una paralisi che ci impedisce di andare verso Dio.

Luigi: Preciserei subito che quello è un effetto della malattia. La paralisi è un effetto dell’essere malati, ma la sostanza della malattia è il non toccare Dio, cioè è un distacco da Dio. Siccome la vita è Lui, come noi ci stacchiamo da Lui perdiamo vita, cioè diventiamo malati. C’è una sola malattia ed è la disunione da Dio; questa è la malattia, perché la vita è Lui. La disunione dalla vita dà la malattia. Dato che noi naturalmente non siamo uniti a Dio, perché per essere uniti a Dio ci vuole il superamento dell’io, ecco perché naturalmente noi tendiamo ad ammalarci, a disperderci. Poi effetto, sintomo della malattia è la paralisi. Non camminando, l’uomo diventa incapace di camminare. Ecco perché il primo atto di guarigione che il Cristo reca è quello di darci la possibilità di camminare. Quando di fronte a una parola stessa di Dio, noi siamo come di fronte a una parete senza appigli, su cui non possiamo salire, e anche se ripetiamo quella parola mille volte ci accorgiamo che non la penetriamo, questo è effetto di paralisi. Non puoi camminare nello Spirito se non hai camminato quando potevi camminare, se non hai superato te stesso quando potevi superarti. Cristo, siccome Cristo spezza a noi il pane, scende al nostro livello, dà a noi la possibilità di camminare. Per cui se mi trovo di fronte a una parete, Cristo mi dice: “Sì, sei di fronte a una parete; guarda, vedi quell’appiglio? Metti il piede lì. Poi vedi quell’altro? Metti la mano là”. E incomincia pian piano a darmi la possibilità di salire. Ecco. E la creatura quando incomincia a camminare allora si entusiasma, perché prima era paralizzata. L’ammalato inizia la convalescenza. Come non amando diventiamo incapaci di amare, cioè perdiamo sempre di più la facoltà di amare, così non mettendo Dio al di sopra di tutto, diventiamo incapaci di volerlo al di sopra di tutto: è l’impotenza della creatura, che viene messa con le spalle al muro, sempre più impotente e quindi in una dispersione di tutto.

Pinuccia: Allora questa paralisi ci impedisce di camminare verso Dio, camminare verso il quale è vivere, crescere nella vita. Rispondendo alla seconda domanda: la causa della malattia è sempre il nostro io non superato che ci paralizza e che ci impedisce di interessarci di Dio, di riferire le cose a Dio e quindi di avanzare nella conoscenza di Dio. Non avendo superato il pensiero dell’io, ci fermiamo alle apparenze delle cose, cadendo schiavi di esse. La frase dell’emorroissa: “Solo che io tocchi un lembo del suo vestito e sarò guarita”, ci fa capire che noi siamo malati, perdiamo vita, perché non tocchiamo Dio e per guarire basterebbe che noi Lo toccassimo in un punto, in un lembo della sua veste. Ma per toccare un lembo del suo vestito, devo avere almeno un punto in comune con Lui. E quale può essere questo unico punto in comune con Lui? Mettere l’interesse per Dio al primo posto, al centro della mia vita, riferendo tutto a Lui. E questo è l’inizio della guarigione (= battesimo di giustizia): si inizia con un punto fino a estenderlo a tutto). Cosa possiamo fare noi per ottenere la guarigione? Innanzitutto constatare la nostra malattia, volere la guarigione e  voler guarire totalmente. Poi …

Luigi: Preciserei ancora questo: sia per constatare la malattia e sia per volere la guarigione, c’è ancora una premessa: bisogna pensare Dio, perché se non abbiamo la grazia di Dio, se non abbiamo il Pensiero di Dio, non possiamo scorgere la nostra malattia, non possiamo nemmeno scorgerci malati.

Eligio: Allora il paralitico pensava a Dio prima di incontrare Gesù? E se lo pensava, come mai è rimasto lì tutta la vita?

Luigi: No, il paralitico era paralitico proprio perché non pensava Dio, cioè subiva le conseguenze di un’assenza di Dio. La paralisi è una conseguenza.

Eligio: È la coscienza della malattia, però.

Luigi: Coscienza, è logico; nella paralisi uno non si muove: in questo senso c’è consapevolezza della malattia. Diciamo così: anche la malattia è voluta da Dio e Dio ci fa toccare con mano questa nostra paralisi proprio per salvarci, ma è grazia di Dio.

Eligio: Quindi Dio lo avrebbe sperimentato prima di incontrare Gesù. Si direbbe di no secondo il dialogo che intercorre tra lui e Gesù, quando Gesù gli chiede se vuole essere guarito.

Luigi: Ha constatato la sua impotenza per grazia di Dio per poter essere preparato all’incontro con Cristo. Dio ha operato su di lui senza di lui.

Eligio: Il paralitico aveva coscienza della sua malattia; ma probabilmente non aveva il problema di Dio, perché Dio a un certo momento, se l’è trovato davanti e non sapeva.

Luigi: Certo, se uno è paralitico se ne accorge. Diciamo: è Dio che opera su di noi.

Nino: Non sapeva le cause.

Luigi: L’uomo non può scoprire di essere malato, senza la presenza di Dio: è grazia di Dio. Dobbiamo elevare la nostra mente a Dio, pensare Dio, perché senza il Pensiero di Dio non ci accorgiamo nemmeno di essere ciechi, di essere peccatori. Infatti il Signore dice: “Io sono venuto per rendere cieco colui che vede”. Direi in termini estremi: “A rendere ingiusto colui che si crede giusto”, perché di fronte alla sua parola, l’uomo scopre la sua ingiustizia, ma è Lui che la rivela. Se Dio non parla, non opera su di noi, noi non ci accorgiamo dei mali che portiamo. Infatti, per esempio, un sabato il Signore si trova a tavola con i farisei e guarisce un idropico. L’idropico (malato esteriormente) è il Signore che l’aveva fatto. Era per rivelare agli altri che erano affetti da una idropisia interiore, tanto che non sanno dire se sia lecito o no guarire di sabato, quando è tutta opera di Dio e quindi a maggior ragione il sabato è fatto per guarire l’uomo. Quindi l’idropisia che noi portiamo è dentro di noi, effetto dell’io, dell’orgoglio; ci rende talmente ottusi da non accorgerci di averla. Per cui il Signore opera fuori di noi e forse opera anche fisicamente nella nostra vita materiale, ci fa toccare con mano la malattia, per farci scoprire che portiamo nell’anima una malattia che senza il suo intervento, la sua opera, noi assolutamente non scopriamo. Quindi è necessaria questa attenzione a Lui per scoprire la vera malattia, perché la vera malattia è interiore, quella di cui stiamo parlando. Le malattie fisiche, nostre e degli altri, sono opera di Dio per farci meditare sulle malattie spirituali, perché Dio opera soprattutto per guarirci dalle malattie spirituali che portiamo in noi e di cui non possiamo accorgercene; perché le malattie dello spirito noi, senza Dio, non abbiamo il metro per poterle vedere.

Nino: Però siamo dilaniati anche lì, noi abbiamo un malessere quando siamo staccati da Dio.

Luigi: Ma lo attribuiamo ad altro: alla vecchiaia, alle cause sociali.

Nino: Non ne conosciamo la causa come il paralitico, ma noi l’avvertiamo la malattia spirituale. L’avvertiamo ma non ne conosciamo l’interpretazione per cui nemmeno conosciamo la via per guarirne. Siamo con un cancro di cui non conosciamo l’origine.

Luigi: Farei una riserva sopra la malattia spirituale. Tu dici che l’avvertiamo. Noi avvertiamo quello che Dio ci dà la possibilità di avvertire (quindi sono segni che Lui ci fa), ma la malattia essenziale nostra, noi non la avvertiamo, perché per avvertirla abbiamo bisogno di un punto di riferimento. Se manca a noi quel punto fisso di riferimento, la malattia interiore, dell’io, noi non l’avvertiamo. Tant’è vero che noi la trasferiamo sempre su delle cause secondarie che avvertiamo, per cui per esempio, per il marxismo tutte le malattie dell’uomo hanno una causa sociale, hanno per causa la società, perché non avverte Dio, avverte la società. Oppure noi l’attribuiamo a: “Ho incontrato quel delinquente che mi ha guastato la giornata”. La malattia vera dello spirito noi non l’avvertiamo, perché noi ci riteniamo giusti e quindi non possiamo avvertire il nostro vero male. Noi avvertiamo disagio, avvertiamo lo star male, ma lo attribuiamo a cause che sono segni di Dio, quindi non possiamo interpretarli se non con Dio. L’essenza della malattia noi non l’avvertiamo. Per avvertirla noi abbiamo bisogno di un punto fisso, di un punto luce con cui confrontarci. È lì che scopriamo. Per cui il Signore opera, e lo vediamo anche nel Vangelo, attorno con qualche miracolo, per far scoprire a chi non sa, la cecità che porta dentro di sé. Con gli stessi apostoli, quante volte Egli opera facendo loro toccare con mano i loro errori. Quando per esempio li conduce a fuori dal loro territorio, vanno in terra fenicia a incontrare quella donna cananea con una fede gigante e un’umiltà grande. Perché li ha condotti ad incontrarsi con essa? Perché Lui stesso dice: “Non è bene dare il pane riservato ai figli?”. Perché questa era la mentalità ebraica che i discepoli avevano e Lui li porta a constatare: “Ecco, vedete, che razza di cani ci sono, voi che ritenete che non sia bene …”. È la lezione di Dio per curare la malattia che loro portavano dentro. Per cui: “Vedete, voi siete convinti che il pane sia riservato a i figli e non ai cani, adesso vi porto io a vedere un cane”.

Eligio: E li porta lì per far loro vedere chi sono i cani e chi sono i figli dello spirito.

Luigi: Certo. E quella donna risponde: “Ma anche i cani si cibano delle briciole”. E Lui: “La tua fede ti ha salvata”. Fa loro vedere la bellezza e le meraviglie della fede di quella donna. “Quando mai siete capaci di un atto di fede e di umiltà di questo tipo?”. Ecco il popolo ebraico raffrontato a quelli che sono i figli che Dio raccoglie ovunque: li fa anche nascere dalle pietre. Quindi nessuno si vanti. Portiamo in noi delle malattie spirituali di non ci accorgiamo se Dio non ci aiuta a vederle. Tutte le malattie del popolo eletto sono le malattie di ognuno di noi, perché ognuno di noi crede di appartenere ad un popolo eletto. Per conoscere la tua malattia interiore, misurati sempre con Dio e le sue esigenze. Allora toccherai sempre con mano la tua povertà. Ma per misurarti con Dio, devo avere Lui come punto fisso di riferimento, se no non mi scopro, perché automaticamente tolto Dio, io sono assoluto, e come assoluto, non mi sento malato. Divento io la norma e allora la colpa è degli altri. Per cui anche se io sono malato la colpa è degli altri: “Se non mi avessero fatto questo, se non mi avessero fatto quell’altro …”. Proiettiamo sempre su altri le cause dei nostri mali. Abbiamo bisogno per scoprire la nostra malattia di alzare il nostro sguardo. Infatti Gesù per guarire il paralitico innanzitutto gli dice: “Alzati!”. Anche questo è un segno, con un significato spirituale, cioè: “Alza lo sguardo a Colui che ti può guarire!”.

Pinuccia: Allora questo punto in comune con Lui, il punto che ci guarisce è un punto di fede. La fede essenzialmente è mettere Dio al centro. È l’inizio della guarigione che mi deve poi portare a testimoniare che Dio è veramente il centro della mia vita, dicendo molti “no” allo spirito del mondo. Quindi che cosa possiamo fare noi per ottenere la guarigione? Oltre a constatare la malattia, oltre a desiderare la guarigione, dobbiamo che affermare lo Spirito al quale apparteniamo. Solo uniti così al suo Spirito, attraverso i “no” al mondo, siamo condotti da questo suo Spirito nel tempio dove si tocca e si è toccati da Dio non solo in un punto, ma in un crescendo verso l’infinito, perché nel tempio tutto dipende da Dio. Quel punto iniziale, quel punto di contatto in cui l’anima mettendo Dio al centro ha incominciato a toccare Dio e quindi a guarire, si è esteso progressivamente a tutto il suo essere, a tutto il suo mondo; l’anima si riconosce totalmente dipendente da Dio, quindi conosciuta, pensata e amata da Dio, per cui anch’essa può conoscere, pensare e amare Dio come Lui la conosce, la pensa, la ama. Questa è la guarigione totale. Solo nel tempio Dio ci può dire: “Eccoti guarito!”, perché solo nel tempio Lui ci può trovare, perché solo nel tempio noi ci possiamo sentire conosciuti, pensati, amati da Lui, quindi toccati da Lui.

Luigi: Cioè proprio in questa dipendenza. Fintanto che riteniamo di essere noi a trovare, noi a conoscere, noi a scoprire, non ci siamo. Per questo dico che la vera guarigione la sia ha nel tempio perché nel tempio le cose dipendono da Dio, fanno dire alla creatura: “Io vedo, perché sono stato veduto, io amo perché sono amato, io trovo e tocco perché sono stato trovato e toccato”. C’è sempre la dipendenza. Quando la creatura onestamente, in coscienza, può dire questo, allora ecco è nel tempio, è toccata da Dio. Ma fintanto che dice: “Sono io che tocco, sono io che vedo, sono io che credo”, non ci siamo; la creatura non è guarita.

Pinuccia: Certo è una trasformazione molto lenta. Questa è la meta a cui dobbiamo guardare, anche per conoscere il “nostro tempo”.

Luigi: Si incomincia da riconoscere che tutto dipende da Dio, quindi dall’accettare le cose e poi a poco per volta uno si abitua a riferire tutte le cose a Dio, a riportarle a Dio: è lì che si entra nel tempio. Intanto bisogna essere molto, molto attenti a questi “no” da dire di fronte a tutto ciò che ci invita a sottoscrivere un’altra dipendenza. Una dipendenza diversa ci fa ammalare. Ciò che ci fa guarire è la dipendenza da Uno solo. La dipendenza da altri, provoca in noi la molteplicità, quindi la malattia. La malattia è arresto nel cammino della vita e quindi dispersione. Il cammino della vita procede in senso unico, nell’unità di Dio. La malattia è un arresto. Come la creatura si arresta, già si disperde in dimensione orizzontale. Come in noi cessa di operare la dimensione verticale verso la semplicità, l’unità di Dio, immediatamente c’è la dispersione in orizzontale. E la malattia è tutta orizzontale.

Eligio: Mi sono fermato sulle domande che hai posto:

-                     quando l’uomo può ritenersi guarito?

-                     qual è la causa della malattia?

-                     cosa possiamo fare nella malattia?

Tenendo come pensiero base il toccare qualcosa di Dio, dell’episodio della emorroissa. In senso assoluto in questa vita mortale l’uomo non può mai ritenersi guarito, tenendo conto di ciò che Gesù dice al paralitico. Tranne forse l’anima che si trova nella condizioni tali (cfr. “Se voglio che lui resti, a te che importa?”), da essere confermata in uno stato di salute per cui non è più possibile il contagio, magari per una funzione sociale, di testimonianza.

Luigi: Comunque non è mai scontato.

Eligio: Comunque, pur nella paralisi che è la sintesi di tutte le malattie spirituali, nell’incontro con Gesù e con il superamento delle prove, è possibile per l’anima guarire. Anzi, a differenza delle malattie fisiche, è possibile non solo la guarigione ma l’entrata in uno stato di salute crescente, a condizione che l’anima segua il Medico.

Luigi: Cioè, l’anima è la fede, perché è la fede che mi deve portare a Gesù e che mi fa camminare verso.

Eligio: Gesù attraverso passaggi e prove ci immunizza e ci porta là dove la malattia non ci può più toccare; nel tempio, nel Paradiso (“Entra nel gaudio del tuo Signore”). Solo qui l’anima può ritenersi guarita.

Luigi: Dove si tocca il Signore, naturalmente.

Eligio: Qual è la causa della malattia? Essendo la malattia una paralisi del nostro cammino verso Dio, ciò che la causa sono i nostri distacchi da Dio. Nell’affermazione totale dell’io abbiamo la paralisi totale: è la situazione di questo paralitico.

Luigi: La causa è la disunione. È da notare che quanto più la creatura cerca, crede di realizzare la sua autonomia da Dio, quindi una maggiore liberazione, tanto più diventa paralitica; è la legge del contrappasso, per cui quanto più lei crede di diventare libera, tanto più diventa schiava, paralizzata da tutto. Mentre invece quanto più si sottomette a Dio, tanto più diventa libera.

Eligio: Libera e acquista salute, un benessere crescente, senza limiti, una visione, una certezza.

Luigi: Cristo parla di gioia, anzi di una pienezza di gioia. E fa consistere questa pienezza di gioia in un chiedere. Ad un certo momento dice: “Chiedete al Padre”. Generalmente si traduce: “Chiedete al Padre affinché la vostra gioia sia piena”. C’è un termine un po’ ambiguo. Invece è proprio nel chiedere al Padre che la nostra gioia aumenta. Perché più noi riferiamo a Dio, più la vita entra in noi e naturalmente più la vita entra in noi e più noi stiamo bene.

Eligio: E giunge il momento in cui noi ci sentiamo guariti, siamo nel tempio.

Luigi: Sì, ci sentiamo bene. Ecco, non è tanto un sentire, perché non è sentimento, ma è la coscienza dell’essere toccati da Dio; è l’anima nostra che si sente conosciuta da Dio. Non è più l’anima che trova, non è più l’anima che pensa, ma è l’anima che è pensata da Dio, diventa pensiero di Dio. Allora lì sta il bene: essere tutto pensiero di Dio. Come dicevo prima: questo è un miracolo perché è il Pensiero di Dio che ci ha portati. Quanto più noi pensiamo Dio, tanto più ci accorgiamo di essere pensiero suo. Ma nota cosa vuol dire essere pensiero di Dio: non siamo più noi a pensare Dio, ma è Dio che forma in noi il suo Figlio, per cui noi siamo “pensiero di Dio”. Posso dire: “Io penso a Dio”, quindi: “Io sono pensiero di Dio”, “Io penso Dio”. La cosa è diversa; qui dico: “Sono io che penso Dio”. Invece lì è il fatto di scoprire che: “Io sono pensiero di Dio!”.

Eligio: Nel senso che sono pensato.

Luigi: Sembra la stessa cosa ma è diversa.

Nino: La differenza è quella che c’è tra il trovare e l’essere trovati nel tempio.

Luigi: Si, è una cosa molto diversa.

Eligio: Ma sul piano del pensiero, il pensiero di Dio è lo stesso.

Eligio: È come quello che ci ha condotti qui: è l’intenzione di Dio, il pensiero di Dio. E uno può dire: “Si, è stato il pensiero  di Dio, siamo noi che abbiamo avuto questa intenzione”. Un’altra cosa è dire: “È il pensiero di Dio che ci ha portati qui”. Metti il pensiero di Dio come Creatore, e allora scopri il miracolo!

Nino: Se tu sei veramente nel pensiero di Dio la pensi come Dio.

Luigi: Però vedi che sei toccato, perché quello che ti ha portato qui è veramente il pensiero di Dio, non lo puoi mettere in dubbio. E se un altro ti dice: “Quello che ti ha portato qui è il pensiero di Dio”, sembra la stessa cosa, eppure tra le due frasi c’è un abisso.

Eligio: Riesco a capire che Lui muove il volere e il fare, mi è più difficile pensarli come pensiero di Dio.

Luigi: Indubbiamente se siamo condotti quel dal pensiero di Dio, in senso attivo, quello che ci ha condotti qui è stato il pensiero di Dio. Però prova a prenderlo in senso passivo per noi: il Creatore: quello che ci ha portati qui è stato il Verbo di Dio, è stato Dio. le cose coincidono e c’è un abisso tra l’una e l’altra e lì scopri il miracolo: è un salto. Sembrano uguali: non le puoi dire in modo diverso. Vedi che però c’è un punto in comune?

Pinuccia: Ma c’è un soggetto diverso in quel “pensiero” nella prima espressione siamo noi, nell’altra è Dio.

Luigi: Si, c’è un soggetto operante diverso.

Nino: È sempre il pensiero di Dio, ma è l’agente che cambia.

Luigi: Si, c’è però senz’altro un punto in comune. Scopri che il punto è in comune? Ciò che ci ha portati qui è il pensiero di Dio sia in noi, sia in Dio: il punto è comune. Ed è indiscutibile che è comune perché certamente ciò che ci ha portati è il pensiero di Dio. Ricordo trent’anni fa in una conversazione con un gruppo, insistevo su quello che è la base di tutto, cioè che tutto è opera di Dio, che Dio interviene in tutto, che Dio muove tutto. C’era un signore che non lo credeva possibile e diceva: “Se ad esempio io accendo questo fiammifero, devo dire che è Dio che me lo ha fatto accendere?”. Si, è proprio Dio che te lo ha fatto accendere. È talmente palese che è Dio che te l’ha fatto accendere, perché se non fosse stato per il problema di Dio, tu non l’avresti acceso. È stato meraviglioso perché è stato proprio Dio che gliel’ha fatto accendere! Vedi il cambiamento di soggetto? Era così lampante!!!

Nino: A volte si è addirittura banali nel negare una cosa.

Luigi: E l’ha voluto fare di proposito: “Se io in questo momento accendo il fiammifero: vuoi che sia Dio a farmelo accendere?”. È proprio stato Dio a farglielo accendere! È una cosa bellissima, perché tu vedi che è proprio Dio che opera in tutto, ed è logico!

Nino: D’altra parte chi nega Dio, fa la stessa cosa, lo afferma.

Luigi: Senz’altro!

Eligio: Cosa possiamo fare nella malattia? Penso che come nella malattia fisica ci si rimette totalmente al medico, a maggior ragione nelle malattie spirituali; così quanto più ci si rimette al Medico Divino, tanto più la malattia regredisce; ritornano le forze e ad un certo punto si scopre che è Lui la forza, che è Lui il Medico autentico, che è Lui la sola e vera medicina. E si constata che è proprio Lui perché più lo tocchiamo, più ci troviamo liberi dai nostri mali, fino ad avere da Lui stesso la confortante conferma della guarigione. E questo avviene quando si entra nel tempio, dove noi stessi prendiamo coscienza ed abbiamo veramente conferma di essere guariti.

Luigi: Quindi noi possiamo dire con verità che Dio è Medico e Medicina. La sua Presenza è Medico ed è Medicina. È bellissimo perché mentre nelle malattie fisiche il medico arriva a noi e poi ci prescrive le medicine, Lui è Medicina. Sappiamo questo noi sappiamo dove ricorrere.

Nino: Sto leggendo un libro sulla preghiera, ma noto che c’è confusione, perché l’autore non attribuisce la malattia a Dio. Io penso che la malattia è voluta da Dio per insegnarci qualcosa e quindi è naturale che quando noi arriviamo a riportare tutto quello che ci accade a Dio, la malattia non avrebbe più ragione di esserci, no? Allora sorge l’interrogativo: se è valido o non pregare per la guarigione. Io direi di sì, ma solo e quando riusciamo a convincere quel tale per la cui guarigione si prega, che la sua guarigione avviene nel momento in cui si affida totalmente a Dio.

Luigi: Certo, se la malattia sorge dal non rapportare a Dio, la guarigione sorge dal rapportare a Dio.

Eligio: Se convinci il paziente che la sua malattia è voluta da Dio, proprio per insegnarci qualcosa, il momento che lui ha capito quel qualcosa, la malattia non è più ragione di esserci.

Luigi: Non c’è più motivo di malattia; ma l’importante è rapportare a Dio.

Nino: Ma non riesco allora a capire come questo prete, pur non avendo capito lui stesso che tutto viene da Dio, anche la malattia, riunendosi in gruppo a pregare, ottiene la guarigione dell’ottanta per cento dei casi.

Luigi: Ma siamo nel campo dei segni. La preghiera è già un segno del rapportare a Dio. Chi prega molte volte non capisce, però Dio accetta questa preghiera fatta in buona fede e opera per farci capire che attraverso la preghiera si stabilisce un contatto con Lui. Come conclusione, unificando anche il pensiero dell’emorroissa che cerca di toccare un lembo del vestito di Gesù, scopriamo che la causa dei nostri mali è il non toccare Dio: “Solo che io tocchi un lembo del suo vestito”; per dire che noi possiamo fare all’atto pratico, per cercare di guarire i nostri mali, perché ogni nostra dispersione è sintomo di malattia anche se non ce ne rendiamo conto. Il peso che noi portiamo nel mondo, le distrazioni, le dispersioni, quell’incapacità a restare uniti, a vedere sempre tutto in Dio, è effetto di malattia. Allora questa donna che dice: “Solo che io possa …”, è una grande rivelazione, perché ci fa toccare con mano che le malattie sorgono dal fatto di non avere niente in comune con Dio e quindi anche quello che noi possiamo fare, cioè guidati dalla fede, dal pensiero di Dio, cercare di toccare Dio. Per questo il Signore ci dice: “Per guarire alza il tuo sguardo!”.

1)                 Se vuoi guarire, quindi alza il tuo sguardo. È la prima cosa: passa dalle creature al Creatore; alza il tuo sguardo in alto: Dio è con te, ma è più alto di te. Dio è immanente e trascendente contemporaneamente. Ora, se non fosse immanente, noi non potremmo nemmeno alzare i nostri occhi a Lui. È trascendente perché è superiore a noi, e quindi richiede l’alzare gli occhi. È in noi, ma non è noi. “I miei pensieri non sono i tuoi, le mie vie non sono le tue vie”. Quindi il primo atto che il Signore chiede a noi è questo: “Alza gli occhi e guarda il cielo”.

2)                E poi: “Cerca di camminare verso di Me”. Ecco la fede. La fede è camminare verso Dio. Cerca di camminare: ma in pratica come faccio a camminare? “È sufficiente che tu dica “no” a tutte le occasioni che io ti presento: “Sono Io che ti faccio il cammino”, Dio dice all’anima dopo averle detto: “Alza gli occhi”; “Adesso io ti faccio il cammino, non ti preoccupare!”. È sufficiente che tu dica “no” a tutto ciò che è diverso da Me e che Io stesso ti presento. Man mano che dici “no”, tu vai avanti e andando avanti entri nel tempio. E cioè entri in questa dipendenza sempre più totale da Me; ora, quanto più cresce questa dipendenza da Me, tanto più tu tocchi, perché Io ti tocco. Cioè si arriva a quell’unione di pensieri, per cui il pensiero della creatura è il pensiero del Creatore. Ma come il pensiero della creatura è il pensiero del Creatore, il Creatore dice: “È mio”, e la creatura dice: “È tuo” e non può dire: “È mio”. È la consacrazione della Messa: noi all’offertorio offriamo qualche cosa, simboleggiato da un po’ di pane e un po’ di vino, e ad un certo momento il Signore dice: “Questo è mio”. Ecco, vedi la parola che dicevamo prima con la frase: “Quello che ci ha portati qui è il pensiero di Dio”? È stato il pensiero di Dio: sono stato io che ho pensato a Dio, ma ad un certo momento Dio dice: “Ma quel pensiero lì è mio”, e abbiamo la transustanziazione: ecco, il soggetto è diverso. È lì che scopriamo di essere toccati. È lì che l’anima, con stupore, resta quasi col fiato sospeso a constatare la nuova realtà. Ad un certo momento il Signore dice: “Questo è mio”; e noi non possiamo negare, perché è vero. È l’opera dello Spirito Santo che unisce: di due cose uguali, Dio ne fa “uno”, una cosa sola, ed è di Dio; l’anima appartiene a Dio, non è più sola.

Pinuccia: Quindi quando siamo mossi dal pensiero di Dio la transustanziazione avviene sempre?

Luigi: È opera di Dio, anche lì; non è automatico. L’opera è di Dio. È Dio che parla alla nostra anima e ad un certo momento l’anima resta estasiata perché si sente toccata. Ma non è automatico. Dicevo prima: è lo stesso pensiero e non ci accorgiamo che abisso ci sia tra il nostro pensiero e il Suo pensiero. È la sua parola che ci tocca, tocca quel pensiero lì che abbiamo noi e ci dice: “Questo è mio”. Si, è vero Signore, perché c’è identità.

Nino: D’altra parte la parola scoperta rende chiaro che era qualcosa che esisteva già prima. Noi non lo sapevamo, ma ad un certo momento lo vediamo.

Luigi: Non lo vediamo se Lui non parla, perché senza di Lui non si sarebbero detti neppure questi “no”. Comunque raccogliendo possiamo sintetizzare così: la vita è sottomissione ad Uno solo. La malattia e quindi la morte è sottomissione ad una molteplicità. Cioè la vita è sottomissione ad Uno Solo, nell’unità; sottomissione perché è nel tempio. È in questa sottomissione che uno giunge ad essere toccato perché abbiamo lì quella fusione in cui Dio parla. La malattia e la morte invece sono sottomissione alla molteplicità, alla dispersione nei segni di Dio, nelle creature. Nella sottomissione a queste abbiamo la malattia.



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Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Gv 5 Vs 14 Sesto tema.


Titolo: Il peccato e la malattia.


Argomenti: Il peccato contro lo S.S.. La creatura consapevole. Farsi centro dell’universo. Dio parlando ci mantiene in vita. Il superamento dell’io. La folla dei nostri pensieri. Servire Dio. Riconoscere il posto che spetta a Dio. La vita è possibile solo con Dio. Perdonare. Dio si annuncia in superficie ma si trova solo in profondità. L’ignoranza colpevole.La semplicità.


 

11.Giugno.1978


 Pensieri tratti dalla conversazione:

Eligio: Abbiamo letto: “Il primo che si buttava era guarito dal suo male qualunque fosse”. In un altro passo Gesù dice che tutti i peccati sono perdonati tranne quello contro lo Spirito Santo. Come possiamo mettere insieme queste due affermazioni?

Luigi: Rivedremo nei riassunti i concetti di questi passi e soprattutto di “buttarsi per primo nella piscina”. La piscina rappresenta la parola di Dio quando giunge a noi: solo che lontani da Dio giunge ad intermittenza, mentre vicini a Dio la parola di Dio è continua. Ora, quel “buttarsi” nella parola di Dio, vuol dire lasciare tutto per vivere in quella parola, secondo quella parola. Ora, il peccato che non può essere perdonato è il peccato che mi impedisce di buttarmi. Non buttandomi, certamente non guarisco. Quindi c’è un peccato che m’impedisce di buttarmi, quel peccato per cui io non aderisco alla parola di Dio. Ora, la guarigione da qualunque male avviene per colui che si butta: se uno si butta è guarito da qualunque male. Ma se io porto con me una remora a buttarmi, certamente non posso guarire. Cioè, se la condizione per guarire è quella di occuparmi di Dio, se noi ci rifiutiamo di occuparci di Dio, dobbiamo necessariamente subire le conseguenze del nostro rifiuto (perché la parola di Dio che cosa fa venendo a noi? La parola di Dio, in quanto è parola di Dio, ci impegna ad occuparci di Dio, perché ci parla di Dio. La parola del mondo mi presenta gli argomenti del mondo. Da che cosa distinguo la parola di Dio dall’altra? Dal fatto che la parola di Dio mi fa pensare Dio, mi propone Dio: questa è la parola di Dio. Ognuno parlando propone un suo pensiero. Dio parlando a noi, propone a noi il suo pensiero. Il suo pensiero è Lui stesso, il suo Verbo. Ma se quando Dio propone a me Se stesso, dentro di me dico: “Non mi interessa”, scarto l’argomento, io faccio un peccato che non può essere perdonato. Non sarà mai perdonato fintanto che io dirò: “Non mi interesso, perché chi mi guarirà è soltanto Dio”, se però mi occupo di Dio. Cioè chi rifiuta la strada per andare a Cuneo non arriverò mai a Cuneo. Qui è lo stesso; non essere perdonato vuol dire non avere la possibilità di entrare nella città di Dio. Ma se tu non accetti la strada che conduce alla città di Dio, non entrerai mai nella città di Dio, eternamente non entrerai nella città di Dio. La strada che conduce alla città di Dio è la parola di Dio. La parola è valida, ma per chi non l’accetta diventa motivo di giudizio e di condanna. Quello che ci introduce è la parola, è l’interesse per Dio; se noi rifiutiamo di buttarci sull’argomento divino, non arriveremo mai alla conoscenza di Dio.

Eligio: Ma il rifiuto di interessarci di Dio, il rifiuto d’infilare la strada che ci viene indicata per entrare nella città di Dio, denota lo stato più grave della malattia dell’anima.

Pinuccia: Questo è il peccato contro lo Spirito Santo?

Luigi: È il peccato contro lo Spirito Santo e non può essere perdonato. Non che Dio non voglia perdonarlo o non possa perdonarlo; siamo noi che non aderiamo alla sua parola e senza di essa non possiamo entrare. Gesù dice: “Senza di Me, nessuno può venire al Padre”; se noi tutte le volte che Gesù si presenta, noi lo scartiamo, non arriveremo mai al Padre, quindi non siamo perdonati.

Eligio: Quindi c’è una malattia che Dio non può guarire, non può aiutare.

Luigi: No, Lui ci aiuta a guarire e può guarire, ma noi ci rifiutiamo. Cioè abbiamo in noi una chiusura, il pensiero del nostro io che ha la possibilità di chiuderci a Dio. Cioè Dio creando l’uomo ha formato un essere che può dirgli: “Tu non esisti”.

Eligio: È una forma di alienazione. È proprio la malattia più grave.

Luigi: È quello di cui si parlava ieri sera: ognuno di noi ha la possibilità di dire “no”, la possibilità cioè di negare Dio per affermare noi stessi, per dire: “Io sono”; è l’essere consapevole, l’essere cosciente, questo essere cosciente che è la condizione per poter conoscere Dio; però proprio perché è essere cosciente deve dire: “Io non sono Dio”. Ho la possibilità di dire: “Io sono”; ma devo dire consapevolmente: “Io non sono Dio; Dio è un altro; quindi metto Dio prima di me”. “Prima”: ecco, non è che il mio io sia cattivo. Dio non ha creato Satana. Il nostro io come creatura è cosa buona, però deve essere subordinato a Dio. Sant’Agostino dice: “Io ti ho trovato in me, ma al di sopra di me: Tu prima di me”. Se noi non mettiamo Lui prima di noi, non lo troviamo assolutamente. Se volessimo subordinare Dio alla nostra ragione, ai nostri argomenti: “Signore, se Tu esisti, fa un miracolo, fatti vedere, dammi una dimostrazione”, Dio non mi darebbe nessun segno. Il fatto che Dio non mi dia nessun segno, mi conferma in un peccato che non può essere perdonato, perché non ricevo nessun segno da Lui. Eppure Dio mi dà tutti i segni suoi, perché tutto è segno suo, tutto è opera sua però se io voglio subordinare la sua esistenza a un mio argomento, Lui si rifiuta, ed è logico, perché altrimenti mi dannerebbe.

Eligio: È una vera patologia dell’anima, così come esiste la patologia del corpo.

Nino: È la pazzia del logico, del maniaco che ha una sua logica e non si rende conto di essere pazzo.

Luigi: No, l’uomo da solo non può rendersi conto del suo male. Come dicevamo domenica scorsa: anche già il capire, il conoscere la nostra malattia è grazia. Ma l’uomo di per sé, staccato da Dio, non si rende conto di essere malato. È lì il fatto grave. L’uomo è cieco e non sa di essere cieco. È ingiusto e peccatore e non sa di essere ingiusto e peccatore. Gesù dice: “Vi uccideranno, vi manderanno a morte e crederanno con ciò di rendere gloria a Dio”. Si arriva a questo punto. Vedi che c’è un capovolgimento, perché se siamo chiusi nel pensiero del nostro io ci riteniamo un assoluto come Dio. Essendo assoluto, sono gli altri che difettano. Io posso subire un danno anche perché la malattia a un certo momento si impone, mi crea la paralisi, però la colpa è dell’altro, il difettoso è l’altro, non io.

Eligio: Ma siamo un assoluto per errore.

Luigi: Certo.

Nino: Noi stessi, come facilmente facciamo i giudici sulle colpe degli altri!

Eligio: Ci rimane sempre la speranza che come per le pazzie fisiche un medico, dandoci medicine adatte, può guarirci, così il Signore ci faccia capire che siamo noi gli assoluti.

Luigi: Certo, infatti ci manda alla morte, per farci toccare con mano che non siamo l’assoluto.  La morte è opera di misericordia di Dio, proprio verso la creatura che si ritiene un assoluto. Gli dimostra che non è un assoluto.

Eligio: Ma allora questa malattia rientra ancora in quelle guaribili.

Luigi: Nel nostro errore Dio scrive ancora, opera ancora, perché la creatura passi per quella famosa porta delle pecore ed entri nella città di Dio, ma quella porta è proprio il superamento del nostro io. Se noi non lo superiamo, la malattia nostra diventa incurabile. Dio interviene nella nostra malattia. Vedi, sotto il portico, vicino alla piscina, interviene con il movimento dell’acqua e poi con la sua Presenza, per dire: “Alzati!”. Ma quel “Alzati!”  vuol dire sempre: “Supera il pensiero di te stesso; guardati attorno, tu non sei Dio!”. Quel “Alzati” vuol dire: “Tu non sei Dio! Alzati, guarda a Dio!”.

Nino: Noi non arriviamo a dire: “Io sono Dio”, però praticamente ci comportiamo come se lo fossimo.

Luigi: Implicitamente facciamo questo: facciamo del nostro io un centro.

Nino: Noi non arriviamo a uccidere il Cristo, però ci comportiamo come se dovessimo ucciderlo.

Luigi: Tutte le volte che non teniamo conto di Dio, lo uccidiamo. Noi a parole non ci mettiamo in primo piano dicendo: “Io sono tutto”, perché la gente comincerebbe a ridere, però usiamo delle forme che implicitamente dicono: “Io sono tutto”; ci mascheriamo con forme di cortesia, però sotto c’è il nostro io al centro. È questo che ci rovina!

Nino: I farisei d’altronde quando Gesù dice loro: “Perché volete uccidermi?”, rispondono: “Ma chi sogna di ucciderti?”.

Luigi: L’abbiamo visto ieri sera: questi farisei, i capi dei sacerdoti che dicono: “Questa gentaglia, che non conosce la legge, non capisce niente”. Chiamano “questa gentaglia” le guardie che avevano mandato ad arrestare Gesù e che ritornano senza averlo arrestato. “Perché non lo avete portato?”. Rispondono: “Nessun uomo ha mai parlato come lui!”; “Allora siete stati sedotti anche voi!”. Ecco: “Questa gentaglia che non conosce la legge, non capisce niente!”. Ed erano loro che non capivano niente!

Nino: E l’hanno chiamata anche maledetta.

Luigi: Ed erano loro i maledetti e non si rendevano conto! Si credevano giusti e puri tanto da poter giudicare gli altri. Al cieco nato dicono i sacerdoti: “Sei nato nel peccato da capo a piedi e vuoi fare da maestro a noi?” Ora pensa quante volte anche noi diciamo: “Quello lì è un povero diavolo e vuol fare da maestro a me …!”. Se invece tenessimo presente Dio, riceveremmo lezioni non soltanto dai poveri diavoli, ma da tutte le piccole creature, dalla formichina al filo d’erba, alla pioggia, tutto, perché tutto è parola di Dio che arriva a noi: non disprezzeremmo nulla, non diremo mai: “Quello è un delinquente, questo è un ubriacone, non ne faccio conto!”. No, perché Dio ti sta parlando attraverso il delinquente, attraverso l’ubriacone. È Dio che ti sta parlando. Se avessimo la coscienza del “Dio che sta parlando continuamente a me in tutto”, perché se Dio non parlasse io cadrei nel nulla ed è attraverso le sue parole che Lui mi tiene unito al Pensiero suo, allora noi saremo infinitamente, immensamente sempre rispettosi verso tutto ciò che arriva a noi, anche verso quello che ci fa dispiacere e che magari ci pesta il piede, perché: “Dio mi sta pensando”, Dio mi sta mandando qualcosa per farsi pensare! Perché se Lui non si facesse pensare io cadrei nel nulla. È tutta grazia il fatto di poter pensare Lui. È molto meglio che uno ci bastoni piuttosto che ci trascuri. Ecco, la grazia è questa: non essere mai trascurati, non essere mai dimenticati, come dice Sant’Agostino: “Dammi la forza e poi comandami tutto quello che vuoi”. Ma la bellezza è proprio quella: avere Qualcuno che comanda a noi qualche cosa, cioè che pensa a noi, che opera per noi, che non ci lascia cadere nel nulla, che non ci dimentica, per cui non ci accorgiamo di essere pensati e quindi essere amati. Non siamo soli, non siamo mai soli! Convincerci di questo è l’inizio di una grande gioia nella vita; per cui continuamente giorno per giorno riceve testimonianza da Dio che lo pensa, che gli misura il tempo. Se abbiamo fiducia in Dio e facciamo conto su di Lui, ci accorgiamo che Lui nella giornata ci distribuisce i tempi in modo che tutto fila bene: tutti i semafori diventano verdi. Non abbiamo nessun ostacolo. Gli ostacoli incominciano quando ci dimentichiamo di Lui. Allora Lui ci presenta il semaforo rosso per dirci: “Vedi, ti sei dimenticato!”, ed è ancora un atto di misericordia. E allora possiamo dire: “Signore, ti ringrazio perché ti ricordi di me”. Allora si vive in amicizia, si vive dialogando con Dio in tutto: Lui che inizia la parola, noi che rispondiamo: un colloquio continuo. Lui ci mantiene in vita, parlando. Non siamo noi che parliamo, ma è Lui che parlando mantiene in vita noi. Il suo parlare è fonte di novità continua. Dio è una sorgente continua di novità: sono sfumature diverse, delicatissime, che ci sorprendono in continuità. Noi siamo continuamente sorpresi dalla sua presenza.

Eligio: Ancora una cosa: abbiamo detto che la porta delle pecore è il passaggio che presuppone il superamento del nostro io per entrare sotto i portici e incontrare Gesù. Quindi c’è la possibilità di superare l’io e portarci dietro ancora molte malattie dell’anima?

Luigi: No, perché la porta delle pecore è quella che ci introduce non nei portici, ma nella città di Dio. Non superare la porta delle pecore vuol dire interrompere il cammino della vita, perché il cammino della vita a un certo momento ci porta di fronte a questa condizione: “Vai oltre te stesso, supera te stesso, passa per la porta delle pecore”.

Eligio: Ma questa folla di ammalati, ciechi, zoppi, non aveva varcato questa porta?

Luigi: No, è proprio folla di ammalati, perché non l’ha varcata. È fuori della città di Dio. I malati sono fuori, non dentro.

Eligio: Quindi sotto i portici è ancora “fuori”?

Luigi: Si, è ancora fuori della città di Dio; è vicina alla porta, ma fuori della città di Dio. La malattia inizia proprio dal fatto di non aver superato la porta delle pecore.

Eligio: La città di Dio l’abbiamo identificata col tempio dove Gesù conduce il paralitico.

Luigi: Già guarito.

Eligio: E quella folla di malati, ciechi, zoppi non ha varcato la porta delle pecore?

Luigi: No, intanto Gesù non guarisce la folla, ne guarisce uno solo.

Eligio: Ma dato che la porta delle pecore è il segno del superamento dell’io, pensavo che questa folla avesse già superato la porta e che quindi fosse già nelle promesse, nelle condizioni di poter, incontrando il Cristo, fare il passaggio al tempio.

Luigi: No, anzi, la folla è malata, proprio perché non ha varcato la porta delle pecore. Se avesse varcato la porta delle pecore, non sarebbe malata, cioè il cammino della vita non sarebbe stato interrotto. Dio ha fatto il cammino della vita che conduce nella città di Dio. A un certo momento, dopo un certo tratto, si richiede a noi il superamento dell’io. Adamo sulla strada della vita ha dovuto affrontare il pensiero dell’io; ed è proprio quando fu di fronte a questa prova che cedette, vennero meno, ed è il peccato che è all’origine di tutti i mali. Di tutti i mali, quindi abbiamo la folla: la folla di ammalati rappresenta tutti i mali. Ma tutti i mali sono una conseguenza del fatto che non si è passato attraverso la porta delle pecore, non si è superato il pensiero del proprio io. La fonte di tutte le malattie sta in questo: un’interruzione nel cammino della nostra vita, per cui noi incominciamo a vivere per dei motivi fasulli, che non tengono più.

Eligio: Ma la guarigione è data dall’immersione nella piscina.

Luigi: Relativamente. Quando uno non supera la porta delle pecore, incomincia la malattia: l’uomo va verso la morte e non più verso la vita. Ma Dio non abbandona la creatura malata per il fatto che non ha superato se stessa, ma interviene; però non abbiamo più la vita continua, ma ad intermittenza. Perché a intermittenza? Perché qui, la parola di Dio diventa un vertice sul quale Dio ci fa giungere di quando in quando attraverso le prove della vita. Se ci buttiamo “per primo”: buttarci “per primo” significa distaccarci da tutto e mettere: “Questa è la parola della vita”. Possiamo essere paralizzati al punto tale da non poterci  più buttare. Lì arriva ancora il Cristo che dice: “Alzati!”. Ecco, questo: “Alzati! Guarda Dio! Alza gli occhi! Non guardare più a te, né agli uomini, ma a Me!”. Se l’uomo alza il suo sguardo, incomincia la guarigione, ritorna a camminare. Incominciando a camminare, se rende testimonianza di aver messo veramente prima nel suo cuore Colui che l’ha guarito, di fronte alle prove e tentazioni del mondo, entra nel tempio. Entrando nel tempio è confermato nella guarigione. La vera guarigione avviene nel tempio. Per cui Dio ti dà la possibilità di camminare e poi ti mette nelle prove per farti entrare nel tempio della sua conoscenza.

Eligio: Chi si butta per primo è guarito: perché chi si butta per primo toglie lo spazio all’altro? Dio non è circoscritto. In che senso chi mi precede nella rivelazione che ricevo da Dio, toglie a me la possibilità di cogliere la stessa rivelazione che Dio dà attraverso l’agitazione dell’acqua?

Luigi: Non bisogna considerarlo come differenza di persone, perché è scena, cioè segno. Quindi non si tratta di: “Si butta lui, non mi posso più buttare io”. No, il fatto che si butti lui, esclude l’altro è lezione per dirci che in noi quando abbiamo un pensiero principale, questo fa fuori tutti gli altri, cioè ci libera da tutti gli altri. Ma se noi non abbiamo quel pensiero principale, subito gli altri, anche se volessimo buttarci, ci contraddicono e ci impediscono di buttarci. Siamo creature fatte per un amore unico. Se abbiamo molteplicità di amori, quando vogliamo impegnarci con Dio, (perché non è che nella molteplicità di amori escludiamo Dio), gli altri amori ce lo impediscono. Cioè le diverse persone, non rappresentano tanti io in concorrenza, per cui se mi butto io, non si butta più l’altro. No, ognuno rappresenta un pensiero, un’idea, ma sempre in noi. Come ho detto prima, la folla, la molteplicità, non rappresentano tanti uomini, ma tanti mali. Quella folla che giace sotto i portici fuori della porta delle pecore, rappresenta la molteplicità di mali provocati quando non si entra. Il fatto di non superare il pensiero del nostro io è il peccato originale. Tant’è vero che noi quando siamo malati abbiamo tanti nomi, non siamo più uno solo. È Dio che essendo Uno, ci fa “uno”. Quindi Dio ci fa semplici: noi temiamo che Dio schiacci la nostra personalità, la nostra libertà, e non ci rendiamo conto invece che è Lui che forma la nostra personalità e la nostra libertà. Invece è proprio il distacco da Lui che provoca in noi una privazione di libertà e una diminuzione di personalità. Le guardie che dicono: “Nessun uomo ha mai parlato come Lui”, testimoniano la singolarità del parlare del Figlio di Dio, mentre invece più ci allontaniamo dal Figlio di Dio e più il parlare diventa banale. È il parlare comune di tutti; tutti parlano così, quindi uno non si distingue più dall’altro. Lontano da Dio, diventiamo talmente banali che il nostro volto si confonde con il volto di tutti­: è un volto comune.

Eligio: Senza personalità.

Luigi: Ecco, invece vicino a Dio si diventa una personalità fortissima, perché Dio è Uno solo. Quindi l’amore di Dio potenzia. Noi sbagliamo, credendo che una quantità di amori sia un maggior amore: molti amori significano poco amore. Solo l’amore unico è tanto amore. Dio, essendo Uno, forma in noi un amore fortissimo. E così anche per l’intelligenza. Non si diventa intelligente leggendo un’enciclopedia, ma lo si diventa coltivando un pensiero unico. Quanto più questo pensiero è alto, tanto più si unifica tutto nella sua semplicità e ti fa diventare molto intelligente. Dio è intelligenza massima nel Pensiero Unico di Sé. Non è un’enciclopedia. Noi crediamo di diventare molto intelligenti, diffondendoci in orizzontalità. No, portati in alto: “Cerca Dio!”. D’altronde è logico; più ci impegniamo in una causa altissima, tanto più questa ci rende comprensibili tante altre cose. Dio, che è la Causa massima, se ci impegniamo con Lui, ci rende comprensibili tutte le sue opere. Ma dobbiamo impegnarci con Lui.

Pinuccia: Il 12 marzo abbiamo approfondito il versetto 8: “Gesù gli disse: “Levati, prendi il tuo lettuccio e cammina”.

Teresa: Non possiamo essere attratti da Dio e dal mondo.

Luigi: Cioè possiamo essere attratti ma restiamo paralizzati.

Teresa: Però c’è sempre un aspetto che prevale.

Luigi: Certo.

Teresa: Quindi se ci lasciamo attrarre da Dio, questo rimane “prima di tutto” e gli altri non avanzano più.

Luigi: Certo, non disturbano più. Tutti diventano servitori. Se Dio è il nostro padrone, tutto diventa a servizio di Dio e serve bene. Gli altri avanzano in quanto noi, dentro di noi abbiamo già trascurato Dio; allora gli altri diventano padroni e ci comandano.

Teresa: Se noi mettiamo il nostro interesse in Dio, gli altri passano in second’ordine.

Luigi: Gli altri non possono più dominare e diventano servitori.

Teresa: Questo prende il posto degli altri, se ci si butta per primo.

Luigi: Certo, per questo Gesù dice che a un certo momento: “Il suo giogo diventa soave e leggero”. Invece lontano da Dio il giogo diventa terribilmente pesante, perché tutte le cose diventano pesanti. “Il vero nostro peso è dato dal nostro amore”, dice Sant’Agostino. Se il nostro amore è Dio, allora tutte le cose diventano molto leggere, perché servono. Se invece noi abbiamo altri amori, allora tutte le cose diventano  molto pesanti, perché tutte le cose in fondo vogliono servire Dio, non vogliono servire noi. E allora si crea il conflitto, perché noi vogliamo, pretendiamo che le altre cose servano a noi, mentre le altre cose sono fatte per servire Dio. Nasce la fatica; questo sforzo per cercare di convertire a noi quello che invece è orientato a Dio, perché Dio ha fatto tutte le cose per Sé, in quanto noi ci eleviamo a Lui. Di qui tutto il peso, la fatica, la tribolazione. Naturalmente tutto questo non è fatto da Dio; è fatto dalla nostra distorsione da Dio, perché non abbiamo messo Lui prima di tutto. Ma se mettiamo Lui prima di tutto, tutte le cose a poco per volta diventano buone, perché tutte le cose vogliono servire Dio, sono fatte per servire Dio e per aiutare noi a servire Dio. La sede dei conflitti non l’ha creata Dio, l’abbiamo creata noi, nella nostra anima, in quanto abbiamo seminato in noi il conflitto tra la nostra anima e Dio: non abbiamo messo Dio al suo posto.

Cina: Ma è proprio qui che il Signore ci libera.

Luigi: È Lui che ci libera. È Lui il liberatore. Ma ci libera non per un atto magico, ma nella misura in cui lo mettiamo al primo posto. Se noi mettiamo il nostro io al posto di Dio, Lui non ci libera; non può liberarci. Fintanto che noi non ci convinciamo che Dio va messo al primo posto in noi e nella nostra vita, Lui opera per convincerci che abbiamo fatto un errore. Lui non può confermarci nell’errore, ma opera per correggerlo. Se ci liberasse nel pensiero dell’io, Lui confermerebbe, sottoscriverebbe un errore. Dio non può sottoscrivere l’errore. Adopera la matita blu e dice: “Qui c’è un errore grosso! Correggilo!”. E in che cosa consiste questa correzione? “Sposta, togli il tuo io dal centro, metti Me al centro perché Io sono la Verità!”. Se noi mettiamo Lui al centro, allora Lui diventa il liberatore, ci libera da tutto; ma si presuppone sempre questo: “Riconosci a Dio il posto che gli spetta!  Dà a Dio quello che è di Dio!”; è l’atto di giustizia fondamentale: “Riconosci il posto che spetta a Dio in te, nella tua vita!”.

Cina: Questo me l’ha fatto capire molto una persona, che non avendo saputo perdonare da anni un’altra, è in un’angoscia così grande, che è diventata una malattia. Quando l’ho invitata a chiudere il libro sul passato e iniziare una pagina nuova, incominciando ad amare senza ricompensa, mi ha risposto: “Non posso, sono chiusa nell’odio!”.

Luigi: Certo che non può! Non può farne a meno perché è figlia delle sue opere.

Cina: Questa persona è chiusa come in una prigione, solo Dio la può liberare. Ma l’iniziativa è di Dio, e Dio aspetta una nostra risposta.

Luigi: Certo, Dio ci propone: “Supera il pensiero di te stesso, supera la tua offesa, perdona!”. All’inizio è facile, se subito ci superiamo, ma se non ci superiamo, diventiamo sempre più figli di questo rifiuto e questo pesa sempre di più fino a dire: “Non posso!”. Si crea tutto un mondo che ci chiude in prigione, che crea la pazzia. Invece se noi stessimo sempre attenti alla parola di Dio, appena ci sentiamo offesi, il Signore ci direbbe: “Perdona, liberati!”. Per questo ci dice: “Se anche uno vuole portarti via la giacca, farti l’offesa, dagli anche il soprabito! Ti vuole costringere a fare cento miglia? Ma va con lui per duecento! Perdona! Liberati!”. Se uno tiene presente la parola di Dio, capisco immediatamente: “Ma questo è per la mia liberazione!”. Se invece uno resiste, si offende, comincia il disastro.

Angelo: E si fa una vita impossibile.

Luigi: Si, certo perché la vita è possibile solo con Dio. Più dimentichiamo la parola di Dio e trascuriamo di farla, più ci priviamo della vita. Naturalmente ricordare la parola di Dio richiede sempre un superamento dell’io; è logico che perdonare quando sono offeso, mi richiede il superamento dell’io; ma se tengo presente la parola di Dio, questa mi aiuta. Ed è proprio in quell’aiuto lì che uno respira, che viene liberato. Dio è proprio il vero liberatore. La realtà è qui; infatti troviamo delle persone che confessano: “Io non posso liberarmi, non posso fare in modo diverso!”. Questa è la realtà. La testimonianza che Cina ha portato di quella persona è una parabola del Signore, perché è una pagina del Vangelo: fa toccare con mano che Lui solo sia liberatore, se noi aderiamo a Lui. Ma per aderire a Lui, si richiede sempre quel superamento dell’io, magari dell’io offeso. “Supera la tua offesa, supera l’affronto che hai subito!”. Se noi teniamo presente Dio non diciamo: “L’altro mi ha offeso!”, ma diciamo: “È Dio che mi ha mandato quell’altro a offendermi!”. Allora è facile perdonare, se tengo presente Dio; perché riconosco che è Dio che mi ha mandato quella persona ad offendermi perché ne avevo bisogno, rientra nei piani di Dio e Lui sa ciò di cui ho bisogno, di questa umiliazione, di questa povertà. Ma tutto però attribuisco a Dio; se l’attribuisco a Dio, mi è facile perdonare la persona perché non vedo più la creatura, vedo Dio. È quando dimentico Dio che vedo la creatura e allora dico: “La colpa è di quello!”, non vedo più la modifica che Dio vuol fare in me; vedo solo l’altro.

Rina: Non è facile riferire a Dio l’offesa.

Luigi: Non è facile, perché il pensiero di Dio non è automatico e non è naturale. Il pensiero di Dio richiede sempre in noi il superamento dell’io, per questo non è un fatto naturale. Cioè riferire a Dio è sempre un atto cosciente che richiede sempre da parte nostra questa vigilanza. È un pensiero presente, è attualità. Dio è attuale, quindi richiede sempre un’attenzione presente.

Teresa: Mettere Dio al centro è una liberazione.

Luigi: Si, è una grande liberazione! Ma non solo, è vita ed è una grande gioia!

Eligio: Comunque è solo con Dio che si possono superare queste grandi offese, perché solo con la volontà non si può.

Luigi: Ah no! Quando si parla di libero arbitrio, è un beato sogno! Noi non siamo liberi! Tutt’altro che liberi! Infatti prova un po’ a dire se quella persona chiusa nel suo odio è libera di superarsi! Giorno per giorno la sua situazione si aggrava. Tutto è lezione di Dio; col pensiero di Dio tutto si trasforma in bene, anche le situazioni più difficili. Questo cosa conferma? Ci conferma che se noi abbiamo nel nostro animo lo Spirito di Dio, non c’è nulla che faccia male, anzi tutto ci aiuta a lodare il Signore, a ringraziare, a glorificare Dio, a restare uniti a Dio: tutto ci aiuta, anche quello che per gli altri è motivo di rovina.

Eligio: C’è natura e natura.

Luigi: Non è problema di natura. Sono lezioni di Dio. E poi chi è innocente non può essere sfiorato dal male. Se invece in noi c’è il male, se è richiamato, ci avvelena tutto.

Angelo: Vorrei capire meglio questo pensiero: “La presenza di Dio si annuncia nelle superficialità, ma si raggiunge solo nella profondità”.

Luigi: Vuol dire che si annuncia a tutto in tutto, nel nostro mondo superficiale, nelle nostre distrazioni. Dio non ci lascia mai soli. Anche nel massimo dei mali, Dio si annuncia sempre; però si fa conoscere, si rivela soltanto se noi entriamo nel tempio, cioè soltanto se noi, avendo ricevuto l’annuncio, prestiamo attenzione, lo seguiamo, e arriviamo nel suo tempio, dove Lui si fa conoscere. Lui si annuncia dappertutto, ma si fa conoscere soltanto a certe condizioni, per cui se noi rifiutiamo, siamo giudicati dall’annuncio; perché? “Perché io mi ero annunciato!”. Non siamo giudicati dalla sua conoscenza. Se noi conoscessimo Lui, saremmo salvi, nella vita eterna, nella pienezza della gioia. Chi conosce Dio non può fare a meno di Dio, non lo può trascurare. Noi siamo giudicati dalla parola di Dio che arriva a noi a livello nostro. Quando mi arriva l’annuncio: “Cerca prima di tutto il regno di Dio!”, mi arriva dappertutto, anche nel peccato. Se io alzo le spalle, con ciò io dico: “Non mi interessa; rifiuto Dio!”. Non lo conosco, perché se lo conoscessi non potrei rifiutarlo, però rifiuto di conoscerlo: è il peccato contro lo Spirito Santo. Rifiuto di conoscerlo, rifiuto la strada: non arriverò mai in città. La strada è data dall’annuncio, la parola: è Dio che si annuncia, però la caratteristica della parola è questa: nell’annuncio c’è già la sua verità, ha il timbro della sua verità, per cui per me è vero. Nell’annuncio c’è la verità.

Teresa: Il rifiuto della verità è un rifiuto cosciente?

Luigi: Certo.

Teresa: Perché prima avevi detto che a volte uno non se ne rende conto. Se uno non se ne rende conto non è peccato.

Luigi: No, no! Guarda che c’è un rifiuto di conoscere, c’è quindi un’ignoranza che è colpevole. Quando Gesù condanna Gerusalemme: “Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho cercato (= l’annuncio) di raccogliere i tuoi figli e tu non hai voluto!”.

Teresa: Ma questo è già un rifiuto colpevole, nel senso che se ne sono già resi conto.

Luigi: Un momento: “Perché non hai conosciuto l’ora in cui sei stata visitata!”. Tutto questo ti accadrà perché non hai conosciuto l’ora in cui sei stata visitata. Sei stata visitata e non hai conosciuto quest’ora: non eri vigilante, quindi non ti interessava Dio, quindi non avevi in te la sintonia con Dio e io sono arrivato e tu non mi hai aperto. E come mai non mi hai aperto? Era il tuo Dio che bussava alla tua porta e tu non hai aperto! Ecco, vedi, è lì! Gerusalemme è la nostra anima: “Quante volte io sono venuto alla tua porta, ho bussato e tu non hai aperto, non hai conosciuto l’ora in cui sono passato!”. Ora, il fatto di rifiutare di occuparci di Dio, di interessarci di Dio è rifiutare nostro Padre! E sembra poca cosa rifiutare nostro Padre, Colui che ti ha dato la vita, Colui che ti ha creato? Vuol dire che in noi implicitamente c’è qualcosa di talmente guasto, per cui a noi nostro Padre non interessa più.

Teresa: Ma per diventare così guasti vuol dire che c’è stato un rifiuto volontario ancora prima.

Luigi: Certo, c’è il mio io che è più importante di Dio.

Teresa: Ad un certo momento c’è stato un rifiuto cosciente: magari non mi sono resa conto del passaggio che avveniva in me, ma apertamente avrò detto di “no”.

Luigi: Il fatto di non occuparci di Dio è rifiutare Dio.

Teresa: Ma bisogna anche sapere che questo è il peccato.

Luigi: No, non ho bisogno di sapere che questo è il peccato. Se io rifiuto Dio, lo rifiuto per un motivo che porto dentro di me, il motivo del peccato già lo porto dentro di me: è l’orgoglio, è l’io. Il rifiuto sta lì! Non sta nel dire: “Adesso io voglio fare il peccato!”. Non sta lì! Il peccato uno lo fa escludendo di occuparsi di Dio, non tenendo conto di Dio. Ma come mai non tengo conto di Dio? Se la creatura è semplice, tiene conto di Dio in tutto, perché è Dio che si annuncia in tutto. Noi non potremmo pensare Dio se Dio non si donasse. E se Dio ci chiede di cercarlo e di conoscerlo, è Dio che si dona. Lui si dona e io lo rifiuto. Cioè il altero la realtà; dico che questo tavolo è bianco mentre è nero, quindi altero la realtà, la posso alterare. Posso dire: “Dio non esiste”. Lo posso dire, non posso convincermi. Altero la realtà. Se sono creature semplice  non altero la realtà, aderisco. Allora la creatura semplice va di adesione in adesione, Dio parla e la creatura ascolta.

Teresa: Per l’educazione ricevuta ci siamo preoccupati più di non offendere di che di conoscerlo.

Nino: E non è un’offesa non preoccuparsi di conoscere Dio? Dio ci offre la sua conoscenza tramite le sue creature, Dio mi fa una proposta attraverso ogni cosa. Se io la rifiuto sono la vergine stolta, sono uno che manca d’intelligenza.

Luigi: In sostanza dico: “Dio non mi interessa”.

Teresa: Dopo avercelo sentito dire con insistenza uno prende più coscienza.

Nino: Dio ha una pazienza infinita, però ad un certo punto se noi continuiamo nel rifiuto tronca la nostra vita.

Luigi: Non è Lui che tronchi, siamo noi che diventiamo figli dei nostri rifiuti e ci chiudiamo in una conchiglia: c’è un cerchio che si chiude. Siamo noi che ci escludiamo.

Nino: Il nostro pensiero, per grazia sua, ci può portare a capire certe cose, ma poi bisogna seguirle. Ad esempio se noi accogliamo il pensiero di Dio che si sottomente a noi, si sacrifica, va sulla croce, prende su di Sé i nostri peccati, se noi arriviamo a capire che noi lo possiamo uccidere in noi tutti i giorni (perché il suo sacrificio è un sacrificio continuo, eterno, tutti i giorni, di fronte ad ognuno di noi), noi ci salviamo. Se invece non pensiamo a questo, diventiamo dei farisei che tutti i giorni lo uccidono. Per me è un motivo valido, che mi è entrato in testa e credo che non mi lascerà più. Questo pensiero non è venuto da me, ma mi è venuto da qualche parte.

Luigi: Programmato dall’inizio della creazione.

Nino: Ma se io a quel punto do un calcio a questo pensiero e dico: “Non mi interessa! Perché guarda un po’ cosa mi fa fare!”. Si, posso rifiutarlo, questo è il peccato.

Eligio: Affermare l’orgoglio è stupido! Altro che affermare la personalità!

Nino: Stamattina sono stato richiamato dall’importanza di questo pensiero: se non accettiamo questa verità, noi continuamente arriviamo ad uccidere.

Luigi: Convinta Teresa?

Teresa: Un tempo si credeva che non si ignorava Dio, non si rifiutava di conoscerlo, in quanto si cercava di …

Luigi: … di evitare le colpe.

Teresa: … di compiere i suoi comandi. Sembrava già tutto, così.

Luigi: No, il problema è molto diverso!

Cina: Io ho avuto per tanti anni quella convinzione! Per cui la non conoscenza di Dio e la parola di Dio trascurata, non ci fa capire che è la conoscenza che ci è richiesta.

Luigi: E non la legge, non la regola.

Cina: Ma la conoscenza ci viene spiegata attraverso la parola di Dio; e trascurandola, uno cerca di non fermarsi al fatto di …

Luigi: … di non rubare, ad esempio.

Nino: Ma non ci riesce.

Cina: Ma sì, è su un altro piano.

Luigi: No, il fatto è che uno si carica soltanto di regole.

Teresa: Una volta la parola di Dio era soltanto i Comandamenti.

Luigi: Ecco, appunto!

Nino: Ma lo è stato per tutti.

Teresa: Per cui sembrava di fare la volontà di Dio osservando i comandamenti, di mettere Dio al primo posto.

Rina: Quello è stato un primo passo.

Eligio: Ma è un passo che può durare tutta la vita. Nel cammino dell’amore molte volte è andato più avanti, una volta convertito, chi durante la sua vita non ha tenuto conto della legge e dei comandamenti. Per noi è più difficile staccarci dall’esercizio delle virtù e passare all’amore, abbiamo più remore.

Rina: Questi cercano subito l’amore, noi invece siamo stati attaccati alla legge.

Luigi: Può confonderci. A volte la legge la si compie solo per paura.

Nino: E al tempo in cui seguivamo la legge come era facile trasgredirla, perché proprio noi seguendo la legge, ci credevamo giusti ed eravamo intransigenti con gli altri.

Teresa: Infatti credendoci a posto non si avverte più il bisogno di andare in Chiesa, di cercare Dio.

Luigi: Vedi la legge?

Angelo: Si avverte tutta l’aridità della legge.

Luigi: Per forza, è evidente. Infatti vedi come i giovani buttano tutto in aria? Anche questa è lezione di Dio. Non accettano più perché la vita è un’altra!

Nino: E fintanto che siamo stati nella mentalità della legge, a noi interessava poco che ci fosse o no lo Spirito Santo, la Trinità, ecc.

Luigi: Si, perché quello che contava era: non rubare, non uccidere, andare a Messa la domenica. Ma il problema è tutto un altro! Il problema è della conoscenza di Dio, perché lì è la vita: la ricerca di Dio! E poi quanto più uno conosce Dio, tanto più nasce l’amore, allora abbiamo tutto un mondo diverso che si apre. Allora lì si capisce quello che il Signore dice: “Le prostitute vi precederanno nel regno di Dio”. E lo dice a dei sacerdoti, a dei farisei: “Le prostitute!”. Ma ti rendi conto! Noi non ce ne rendiamo conto, perché l’abbiamo sempre letto nel vangelo! Ma pensa a cosa succederebbe se si dicesse alla massima autorità della Chiesa: “Guarda che la prostituta ti precede nel regno di Dio!”.

Teresa: Eppure ho degli esempi di persone che attraverso questo sono arrivate ad essere continuamente unite al Signore, e senza avere altre occasioni per una maggior conoscenza, come ad esempio mia madre.

Nino: Probabilmente perché nella semplicità è arrivata a Dio e ha risolto nell’amore tutto; noi invece che abbiamo assimilato una certa cultura siamo più vulnerabili.

Luigi: Siamo più vulnerabili, è vero!

Teresa: E invece queste persone in ogni cosa accettano e cercano la volontà di Dio.

Luigi: La meraviglia di Dio è questa: Lui non ha bisogno di cultura, ha bisogno di animo aperto, semplice. Dio si fa conoscere da tutti, purché l’animo sia umile, sia aperto. Anche se uno fosse illetterato e non potesse nemmeno leggere il vangelo, Dio, il vangelo glielo ripete con parole sue nell’anima. Ho conosciuto delle persone analfabete, ma che si ripetevano tutte le parole del vangelo praticamente, perché le avevano dentro, le vivevano. Dio canta dentro l’anima, perché Lui abita nell’anima, non ha bisogno di cultura.

Teresa: Ricordo mia nonna, vedova, con molti bambini, che viveva sul poco bestiame, quando le morì la mucca disse: “Il Signore si è ricordato di me”. Dato che era un po’ di tempo che andava abbastanza bene e temeva che il Signore si fosse dimenticata di lei.

Luigi: Un altro avrebbe detto: “Si è dimenticato di me perché è morta la mucca”.

Nino: Come il libro: “Dalla prigione alla lode”.

Luigi: Lo vedi all’atto pratico?

Teresa: E che studio aveva? Questo fa vedere come Dio si rivela personalmente.



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Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Gv 5 Vs 14 Settimo tema.


Titolo: L’uomo nel peccato non può resistere agli eventi.


Argomenti:Liberati dall’io per essere disponibili per Dio. Il peccato è disunione da Dio. L’interiorizzarsi del male. Adamo era in uno stato di peccabilità. Gesù ci libera dal peccato in quanto ci mette nella possibilità di preferire Dio. I sette demoni. Il paralitico era entrato nel tempio per negatività e qui il Signore lo invita alla positività. Dio parla per salvare.


 

18.Giugno.1978


 Pensieri tratti dalla conversazione:

Luigi: Questa sera cercheremo di approfondire questi argomenti:

Perché Gesù ha detto a quest’uomo, che ormai era guarito, confermato nella guarigione, entrato nel tempio di Dio, che aveva superato la prova della tentazione verso il mondo confermando che egli voleva ubbidire a Colui che l’aveva guarito, perché Gesù dopo avergli detto: “Eccoti guarito!”, gli aggiunge: “Non peccare più, affinché non ti avvenga di peggio”? Il che fa pensare che anche quando uno è stato guarito e ha incontrato Gesù ed è entrato nel tempio, c’è ancora la possibilità di ritornare peggio di prima, altrimenti Gesù non gli avrebbe detto queste parole. Quindi chiediamoci:

1)                 Quale lezione può significare questo per noi;

2)                Che cosa si può intendere con questo peggio che annuncia il Signore;

3)                Ma soprattutto cerchiamo di approfondire qual è l’aspetto positivo più che quello negativo, di questo ammonimento di Gesù. Evidentemente Gesù non lo fece per spaventarlo, e neanche perché non avesse a peccare, ma perché avanzasse nel tempio. Prendiamo come pensiero guida quel passo del vangelo dove Gesù dice che quando uno è stato liberato dal male è simile a quella stanza vuota che è stata sgombrata da un diavolo. Il diavolo gira per tutto il mondo e poi alla fine ritorna di nuovo in quella stanza; la vede bella, pulita, spazzata, e allora va a chiamare altri sei diavoli e ritornano in quella stanza e la situazione successiva diventa peggiore di prima: anche qui abbiamo quel “peggio”, “Affinché non ti avvenga di peggio”. E poi come aiuto, leggiamo alcune pagine di un giovane di ventisette anni, condannato alla ghigliottina, ateo e convertito due anni prima della morte, in prigione; è stato illuminato una notte in cui il Signore gli ha detto: “Tu ricevi le grazie della tua morte!”.

“Dio si è impadronito della mia piccola anima: un velo si è squarciato e se continuassi a vivere, non potrei mai rimanere sulle vette che ho raggiunto: è meglio che io muoia …”. “Gesù attende che io creda nel suo amore … un torrente di grazie scenderà su di noi, il giorno in cui ci dimenticheremo di noi …). Con che nettezza parla del superamento dell’io (“ … non c’è salvezza al di fuori della croce …”; “ … da dieci giorni vivo in un altro mondo … non sono io che amo Gesù: è Gesù che mi ama attraverso me stesso”).

Stupisce il fatto che abbia potuto percepire certe cose: il Signore non ha confini e non ha difficoltà ad arrivare a tutti. Questo giovane non aveva mai sfiorato il problema religioso (“Vivo delle ore meravigliose e ho l’impressione di non aver mai vissuto altra vita che non quella che trascorro da un mese”). Qui è evidente che è tutta grazia di Dio e solo grazia di Dio, perché questo giovane era uno sbandato! L’ultima notte contava le ore: “Tra cinque ore vedrò Gesù!”, e le ultime parole che dice sono: “Sono felice. Addio!”. Preferiva non ricevere la grazia, perché preferiva andare in cielo. A volte giudichiamo i delinquenti: ma Dio può cambiarli, può far cambiare un’anima da un momento all’altro. (Abbiamo l’esempio del buon ladrone a fianco di Gesù sulla croce). Lui stesso confessa che si è sentito come costretto a fare ciò che ha fatto. Questo ci fa capire come quando l’uomo è lontano da Dio, rimanga proprio il balìa degli eventi che lo trascinano, in balìa di tutto e di tutti per cui non si può misurare la vera responsabilità perché lontani da Dio non siamo liberi. La libertà c’è solo con Dio.

E qui entriamo nella meditazione di oggi sul concetto di peccato: l’uomo nel peccato non può resistere agli eventi. Il clima di libertà uno ce l’ha soltanto in questo: in quanto deve preferire Dio. Ma se uno non preferisce Dio, in clima di peccato, cioè staccato da Dio, non può resistere agli eventi, e quindi a seconda degli eventi, in quanto succedono, è costretto. L’uomo può resistere agli eventi solo con Dio. Ma per essere con Dio, bisogna preferire Dio alle creature, perché il concetto di peccato è: preferire la creatura al Creatore. Quando noi preferiamo la creatura al Creatore, cadiamo nel peccato e non siamo più liberi, diventiamo schiavi degli eventi. Per essere liberi bisogna preferire Dio.

-                     Nello stato di peccato la creatura si trova nell’impossibilità di preferire Dio alle creature.

-                     Invece nello stato di peccabilità, della creatura che è con Dio, la creatura ha la possibilità di preferire Dio alle creature. Ma la creatura nel peccato non ne ha la possibilità: deve preferire la creatura al Creatore, e preferendo la creatura al Creatore, cade nell’onda degli eventi, non può farne a meno.

Pinuccia: Ma anche quel cadere nell’onda degli eventi è voluto da Dio?

Luigi: Tutto è opera di Dio, tutto, dalla libertà alla schiavitù, perché il Signore ci fa capire in tal modo, che solo con Lui noi siamo superiori agli eventi; staccati da Lui siamo in balìa di tutto. Gesù è chiarissimo: “Chi fa il peccato resta schiavo di esso”. Fare il peccato significa preferire la creatura o il pensiero del nostro io al Creatore; preferendo la creatura, noi restiamo schiavi della creatura e non possiamo più preferire Dio. Cioè, non avendo preferito Dio, non possiamo più preferirlo e dobbiamo preferire la creatura, non possiamo farne a meno. Diventiamo figli delle nostre opere. Ecco perché senza l’aiuto dall’alto noi nel peccato ormai siamo finiti, non c’è più niente da fare: si va di rovina in rovina e la liberazione non è più in mano nostra. Invece con l’incontro col Cristo l’uomo ha la possibilità (ma solo la possibilità, non è che diventi impeccabile), di preferire Dio alle creature. Non è detto che questa possibilità si attui con Cristo.

-                     E dopo c’è il passaggio ultimo: quello all’impeccabilità: ma qui è necessaria la gloria di Dio, il cielo. Allora lì si entra nella pace, poiché non si può più preferire la creatura al Creatore. Nello stato di impeccabilità, la creatura non può più preferire la creatura al Creatore. Questo può anche avvenire su questa terra, perché a Dio tutto è possibile, però si richiede la gloria di Dio, l’entrata nella gloria di Dio: quel “lumen gloriae” di cui si parla.

Pinuccia: Ma questa entrata nella gloria di Dio è già possibile su questa terra?

Luigi: Si, certo, è possibile. Il Signore dice che taluni lo vedranno anche prima di morire.

Eligio: Si, resta comunque un’eccezione.

Luigi: Infatti anche il rabbino Hillel scriveva: “Prima della morte non ritenerti mai sicuro di non ritornare indietro e di non cadere”. Nessuno di noi può mai dire: “Ormai sono a posto …” e sedersi in poltrona. È quanto ci dice Gesù: “Sta attento a non peccare più, affinché non ti avvenga di peggio!”. Ora, in questo tempo di silenzio, soffermiamoci su questo argomento: “Non peccare più perché non ti avvenga di peggio!”. E chiediamoci:

1)                 Perché Gesù ammonisca quest’uomo a non peccare più ( anche se ormai era guarito);

2)                A che cosa serva questa lezione per noi personalmente;

3)                Che cosa si intenda per questo “peggio”;

4)               E poi soprattutto qual è la lezione positiva, non negativa (perché: “Non peccare più perché non ti avvenga di peggio” è una lezione negativa); cerchiamo quindi possibilmente di approfondire qual è l’aspetto positivo ammonimento, perché se Gesù lo dice, evidentemente, non è tanto per spaventarlo, quanto per farlo salire su un piano più alto di quello in cui egli attualmente si trova.

II Parte

Teresa: Il paralitico pensava che la guarigione dipendesse da lui, dal buttarsi nell’acqua.

Luigi: Oppure dall’aiuto degli altri.

Teresa: Ma Dio gli si è manifestato ed è stato guarito: quindi ha preso coscienza che tutto dipende da Dio.

Luigi: Sì, infatti è entrato nel tempio; ed entrare nel tempio vuol dire riconoscere che tutto dipende da Dio.

Teresa: Per lui le cose sono cambiate; avendo preso coscienza che tutto viene da Dio, fa un’esperienza nuova, ha una conoscenza nuova, per cui se ricadesse nello stesso errore di prima, la sua situazione si aggraverebbe. In questo episodio del vangelo rivedo la mia vita; in passato non davo importanza alla conoscenza del Signore, perché pensavo di conoscere già la sua volontà.

Luigi: Cioè davi per scontato di conoscerlo.

Teresa: Pensavo che la sua volontà fosse un: “Fa questo!”, ”Non fare quello!”.

Luigi: Cioè un “fare”.

Teresa: Poi il Signore è intervenuto mandandomi una malattia.

Luigi: Certo, è Lui che fa tutto. Però c’è una differenza: il paralitico era malato e Gesù l’ha guarito.

Teresa: Io invece stavo bene e mi ha mandato la malattia. Però adesso ho capito la cosa importante è impegnarmi a conoscere il Signore.

Luigi: Il Signore opera per avvicinarci all’essenziale, per metterci in evidenza l’essenziale. Ma quel “non peccare più perché non ti avvenga di peggio”, come lo intende?

Teresa: Un invito a non ritornare di nuovo a contare su me stessa, sulle mie forze.

Luigi: Perché può avvenire di peggio.

Teresa: Perché con la nuova coscienza che hai, con l’esperienza che hai fatto, sei più responsabile; questo riguardo all’aspetto negativo. Riguardo all’aspetto positivo è un invito a far conto sull’amore che Dio mi ha dimostrato nonostante le infedeltà.

Luigi: Quindi la parte positiva sta nel creare un’unione più intima.

Teresa: Si, più fiducia, quindi un aiuto.

Luigi: Quindi non ti preoccupi più di fare, ma di conoscere sempre più Lui, perché Lui è quello che dispone tutto. Allora la vera preoccupazione è questa: attenzione a Lui che opera in tutto anche attorno a noi. Opera anche attorno a noi non perché noi giudichiamo gli altri in bene o in male, ma perché attraverso tutte le opere impariamo qualcosa di più di Lui, a conoscere di più Lui. Per cui attraverso tutte le cose che Lui fa giungere a noi ci fa apprendere qualcosa di Lui. Prima tu agivi per ubbidire alla legge, adesso per conoscere Dio, cioè per la vita eterna.

Teresa: Però già sentivo quello scontento, quel disagio e il desiderio di poter aver più tempo per pregare e il desiderio di un rinnovamento spirituale, però le difficoltà parevano insormontabili e sembrava fosse impossibile assentarsi. Il Signore è intervenuto in questo modo e tutto è andato avanti lo stesso. Ho visto proprio l’intervento del Signore.

Eligio: Solo il Signore può toglierci da queste situazioni, perché tutte le volte che l’ho tentato, io mi sono trovato più impantanato di prima.

Teresa: Fino ad allora mi sembrava di dover fare per non essere di danno agli altri e che fosse più comodo andare a pregare.

Luigi: L’importante è stare attenti a Lui, accogliere le cose da Lui, vedere le cose in Lui.

Teresa: Credevo di fare la volontà di Dio stando a servizio degli altri, però aumentava in me il desiderio di impegnarmi in altre cose.

Rina: Potremmo chiarire il concetto di peccato?

Nino: Penso che il fermarsi non significa mantenere una posizione, ma vuol dire essere invasi da altri interessi e quindi perdere ciò che si era acquisito. Gesù ci ha avvertito nella parabola del diavolo cacciato dall’anima ripulita e invasa da sette diavoli, per cui la condizione dell’anima è peggiorata.

Luigi: Non dici però il perché. Il Signore ci presenta questo per insegnarci che la situazione seconda della nostra anima può essere peggiore della prima. Non è che fatalmente quando uno è liberato dal male, debba aspettarsi la situazione successiva sette volte peggiore; no! Ora, perché il Signore dice questo? C’è una lezione positiva. Il Signore ammonisce e dice così: “State attenti che quando la vostra anima è liberata dal male, il demonio cerca di ritornarvi e se la trova vuota, spazzata, pulita, va a prenderne degli altri e la situazione diventa peggiore”. Ecco, ammonisce. E allora cosa bisogna fare per evitare che la situazione seconda sia peggiore della prima? Qui il Signore ammonisce: “Affinché non ti avvenga di peggio!”. Ma cosa è  necessario fare?

Teresa: Riempirla di Dio.

Luigi: Bisogna riempire l’anima. Non basta che uno sia liberato. Cioè non basta dire: “Il Signore mi ha liberato! Il Signore mi ha guarito!”. Sta attento, non basta che tu sia guarito! Ecco, devi riempirti di conoscenza di Dio, perché l’amore è una conseguenza della conoscenza. Quindi devi riempire la tua anima della presenza di Dio. Non devi soltanto essere contento di aver incontrato il Signore e che Lui ti abbia liberato, perché se tu ti siedi in poltrona in quanto sei guarito, domani la tua situazione sarà peggiore della prima. Ecco, bisogna camminare, bisogna camminare in Dio: Dio ti ha guarito perché tu cammini e cammini in fretta. Cioè Dio ti ha reso più disponibile per l’essenziale, affinché tu ti impegni molto in questo, non affinché tu abbia a sederti in questa gioia che il Signore ti ha dato e che tu possa dire: “O Signore, io sono libero!”. No, domani sarai molto schiavo. Ecco, bisogna camminare perché se il Signore ci dà della libertà, ce la dà affinché si abbia a camminare molto nella conoscenza di Dio, cioè ad impegnarci molto, cioè non a restare vuoti consolandoci e congratulandoci di essere stati liberati.

Nino: Quindi “affinché non ti avvenga di peggio” non è soltanto una generica minaccia per spaventarci, ma è una reale possibilità di ricaduta nel peccato; e questo è l’aspetto negativo mentre l’aspetto positivo è: “Non smettere di camminare!”. Significa rimanere in unione con Dio, perché è Lui che ci fa camminare, ci parla continuamente, anche nel sonno.

Luigi: Certo, “Il Signore istruisce il mio cuore anche mentre dorme”.

Nino: L’eternità è iniziata al momento del ritrovamento nel tempio. Sta a noi non interromperla, perché Dio non ci fa mancare il suo aiuto.

Pinuccia: “Non peccare più perché non ti avvenga di peggio” è un invito da parte di Gesù, un ammonimento a fare attenzione: “Non peccare più, cioè non staccarti più da Dio, non trascurare più Dio!”, perché il vero peccato è questo.

Luigi: Il peccato è disunione da Dio, distacco da Dio, trascurare Dio; quindi dicendo: “Non peccare più” ci dice: “Non trascurare più il Signore”. C’è un fatto abbastanza interessante qui: il Signore qui fa quasi pensare che il male sia una conseguenza del peccato, mentre nell’episodio del cieco nato, quando gli dicono: “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori perché è nato cieco?”, il Signore risponde: “Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma questo avviene per la maggior gloria di Dio!”. Sembra una contraddizione, perché qui dice che il male, la cecità, non è la conseguenza di un peccato personale o dei suoi genitori, o progenitori, ma dice: “È per la maggior gloria di Dio!”. Invece dicendo: “Non peccare più perché non ti avvenga di peggio!”, fa pensare che ci sia un male che dipende dal peccato. Siamo in presenza di una apparente contraddizione.

Teresa: Però quel “peggio” prima era un fatto fisico.

Luigi: Mentre ora diventa un fatto morale, interiore, personale e quindi “peggio”.

Teresa: Non è che se ti comporti male ti venga un’altra malattia.

Luigi: No, il peggio, spiritualmente parlando, è sempre un fatto che si interiorizza, diventa personale; perché uno può essere malato e non essere peccatore, e qui giustifica il cieco nato; se è nato cieco non è colpa sua o dei suoi genitori, ma per la maggior gloria di Dio. Tutte le malattie dobbiamo sempre accoglierle per la maggior gloria di Dio, c’è la volontà di Dio, perché il Signore sa: c’è il disegno di Dio, c’è la volontà di Dio, non è per punire. Non c’è nessun male che venga per punizione, ma per redenzione. Però mentre il Signore tutto opera per la sua gloria, se noi non accogliamo le cose dalle sue mani, se noi ci stacchiamo da Lui, allora il male si interiorizza. Quel male primo che era senza di noi, adesso diventa un male per noi, diventa un male personale, perché noi stessi abbiamo rifiutato di camminare con Dio, ci siamo disuniti. Il vero concetto di peccato è preferire la creatura al Creatore, preferire il nostro io a Dio. Nella creatura noi abbiamo tre stadi: abbiamo lo stato di peccabilità. Ogni creatura si trova in questo stadio quando ha la possibilità di aderire a Dio; è la situazione di questo paralitico guarito che incontra Gesù nel tempio. La possiamo considerare uguale ad Adamo prima del peccato originale. Prima del peccato originale, Adamo era in uno stato di peccabilità, cioè poteva peccare. Era con Dio; quando l’anima è con Dio può ancora peccare. Però in questo stato di peccabilità non si permane. Lo stato di peccabilità ha due soluzioni: o si diventa peccato o si diventa impeccabili. Ecco le due situazioni in cui si entra dallo stato di peccabilità. Nello stato di peccabilità l’uomo può preferire Dio o la creatura. Se preferisce la creatura diventa peccato. Lo stato di peccato s’iidentifica nella situazione della creatura che diventa incapace di preferire Dio alle creature. Cioè avendo preferito la creatura al Creatore, quando poteva preferire il Creatore alla creatura, poi, siccome l’anima diventa figlia delle sue opere, diventa incapace di preferire il Creatore alla creatura. La creatura che si trova nel peccato diventa impotente a resistere alle creature; resta in balìa delle creature, cioè diventa schiava. È quanto dice Gesù: “Chi fa il peccato resta schiavo di esso”.

Eligio: Questa è la situazione peggiore.

Luigi: Ecco, allora diventa il “peggio”, perché non può liberarsene. Quindi abbiamo una situazione iniziale di peccabilità: la creatura che può scegliere. Può scegliere perché si entra nel regno di Dio e quindi nel cielo di Dio soltanto per adesione personale. Così abbiamo uno stato di peccabilità in cui la creatura può mettere Dio o mettere prima il suo io o le opere di Dio. Se la creatura mette prima Dio, allora comincia a partecipare personalmente a Dio. Partecipando personalmente a Dio incomincia a diventare impeccabile, cioè comincia a realizzare maggiormente la liberazione dalle debolezze del peccato. Se invece preferisce la creatura diventa peccato.

Pinuccia: Il paralitico è guarito dalla paralisi, ma può tornare ammalato e peggio di prima, per cui Gesù lo ammonisce: “Fa attenzione che non ti avvenga di peggio”.

Luigi: C’è ancora da tener presente questo: come mai quest’uomo che è entrato nel tempio di Dio (e il tempio di Dio rappresenta il tutto dipendente da Dio), e quindi ha riconosciuto che tutto dipende da Dio, ha ancora la possibilità di peccare? Perché il Signore gli dice: “Sta attento, non peccare più”? Ormai è nel tempio in cui tutto dipende da Dio. Ora siccome il peccato sta nel far dipendere le cose non da Dio (l’autonomia), come mai Gesù ammonisce a non peccare, colui che fa dipendere ogni cosa da Dio? C’è da vedere l’aspetto positivo proposto in questo ammonimento. Se Gesù dice ciò, non lo dice per spaventarlo o per caricarlo di paura, ma per farlo avanzare verso l’impeccabilità.

Pinuccia: Cioè per continuare a stare in questa dipendenza: proseguire in essa. Ora, per chi dopo essere stato liberato ricade nella schiavitù, Gesù dice che la sua condizione è peggiore della prima e porta l’esempio della stanza vuota. Quindi ci ammonisce a non lasciare vuota la stanza interiore, la nostra anima, perché se rimane vuota e si accontenta di essere vuota, cioè liberata, senza impegnarsi nella ricerca di Dio, non è possibile che si conservi così, libera, e sarà presto invasa da sette demoni, anziché da uno come prima.

Luigi: Tieni presente quel “sette” che è importante. Esso corrisponde al settimo giorno, vita eterna. Qui abbiamo un “sette” di dannazione.

Pinuccia: Allora il solo fatto di accontentarsi della liberazione è già un peccato, perché è un trascurare l’impegno principale.

Luigi: Il rischio che si corre è quello di accontentarsi della liberazione, dire: “Il Signore mi ha liberato, il Signore mi ha guarito, adesso sono contento: mi ha dato della libertà e del tempo. È una situazione di rischio. Per cui: “Sta attento, perché il Signore ti ha dato la libertà affinché tu abbia a correre: affrettiamoci a conoscere il Signore”.

Pinuccia: Altrimenti pecchiamo perché trascuriamo l’essenziale.

Luigi: Accontentarsi, sì, è peccato.

Pinuccia: Il Signore non ha moltiplicato il pane materiale perché ci accontentassimo del pane materiale ma per farci desiderare il pane spirituale, perché potessimo impegnarci a vivere per Lui, a conoscerlo. La lezione positiva sta in questo impegno.

Luigi: Si, dobbiamo impegnarci nella conoscenza.

Pinuccia: Egli ha spazzato la nostra stanza interiore da cui ha cacciato il demonio, cioè il nostro io dal centro, affinché noi mettessimo Dio al centro e ci impegnassimo con Lui, vivendo in questa dipendenza.

Luigi: Sì, però quest’uomo era già in questa dipendenza perché era nel tempio.

Pinuccia: Dio l’ha liberato affinché rimanesse in questa dipendenza. Ora vorrei chiedere: questo fatto che Gesù annuncia, può verificarsi diverse volte nella vita dell’uomo? Cioè c’è speranza per l’uomo a cui è capitato il “peggio”, che possa essere di nuovo liberato e questo più volte? Cioè finché si è su questa terra, si può ricadere più volte in una situazione peggiore della prima ed esserne ancora liberati? O accade una volta sola?

Luigi: Questo lo sa il Signore. Comunque noi non dobbiamo mai disperare, con Dio. Le parole che Lui ci dice, non le dice per gettarci nella disperazione, ma per farci camminare. Il peccato capitale è la disperazione, perché vuol dire ritenere che Dio non possa perdonarci. Invece Dio può sempre. Siamo noi che ci stacchiamo da Dio, non è Dio che si stacchi da noi. Dio è presente anche nell’inferno, però l’anima dannata non può accoglierlo.

Pinuccia: La possibilità di attaccarci a Lui, Dio ce la dà sempre?

Luigi: Questa possibilità Lui ce la dà sempre. Siamo noi che ad un certo momento formiamo questa chiusura che ci fa rifiutare Dio. Cioè, siccome diventiamo figli delle nostre opere, non avendo preferito Dio, diventiamo incapaci di preferire Dio. Si è sempre attratti da Dio, però l’attrazione di Dio ad un certo momento richiede a noi il superamento dell’io, e se noi abbiamo messo il nostro io al centro, come Dio ci richiede il superamento dell’io, noi ci stacchiamo da Lui.

Pinuccia: Però non è impossibile questo superamento dell’io e allora perché dici che “diventiamo incapaci”?

Luigi: Si, perché nel pensiero dell’io diventa impossibile.

Pinuccia: Ma perché? Se uno pensa a Dio.

Luigi: Ah si, con Dio tutto è possibile.

Nino: Intuisco che quando ci si stacca da Dio una seconda volta, poi diventa più difficile; la ricaduta è peggiore della seconda malattia.

Luigi: San Paolo dice chiaramente: “Coloro che sono stati illuminati una volta, se hanno perso la luce, non possono essere illuminati una seconda volta.

Pinuccia: Però se l’hanno persa tutta.

Luigi: Dobbiamo tener presente che sono tutti ammonimenti del Signore. Quando il Signore parla di “peggio”, come in questo caso, non lo dice per spaventarci, ma non dice nemmeno delle fandonie, dice la realtà. Ciò vuol dire che il rischio di questo “peggio” esiste. Lui non lo dice per farci correre il rischio, per gettarci in esso, ma per farci avanzare. Dice questo in senso positivo; lo dice per il “meglio”. Però effettivamente c’è questo rischio. E la visione di questo ci deve maggiormente impegnare ad affrettarci.

Nino: Mi viene in mente il giovane ricco che si allontana da Gesù e non ritorna.

Luigi: Si, e la situazione è grave, perché prima di incontrare Gesù c’era la speranza; e dopo averlo trovato non ha più la speranza.

Nino: Quel giovane era arrivato a un piano superiore a tanti altri.

Luigi: Si, infatti Gesù “lo amò”. Ma questo ci fa capire che non basta l’amore di Dio. Aveva osservato i comandamenti, per questo era arrivato a Gesù. Poi con Dio, abbiamo sempre delle proposte, dei passaggi. E di passaggio in passaggio si arriva all’eternità, all’infinito.

Nino: Vorrei capire meglio la posizione di quello che ricade nel peccato la seconda volta.

Luigi: Il peccato si interiorizza, per cui noi stessi diventiamo impotenti a preferire Dio alle creature; nello stato di peccabilità si può preferirlo ma nello stato di peccato non  più. L’incontro con Gesù ci mette nella possibilità di preferire Dio. Gesù ci libera dal peccato in quanto ci mette nella possibilità di preferire Dio, perché noi da soli non possiamo preferire Dio alla presenza della creatura. Dio ha un’attrazione, ma astratta, lontana, diventa un sogno; ma quello che preme su di noi è la presenza delle creature, è l’attualità delle creature. Ora, la venuta del Cristo ha dato a coloro che credono nel suo nome, la possibilità di diventare figli di Dio: non li ha fatti figli di Dio, ma ha dato loro la possibilità. Cosa vuol dire dare la possibilità di diventare figli? È dare la possibilità di preferire Dio alle creature. Nel peccato l’uomo non ha tale possibilità.

Nino: Questo è proprio il peccato contro lo Spirito Santo.

Luigi: Il peccato contro lo Spirito Santo è il rifiuto di occuparsi di Dio. E ad un certo momento diventa tutto peccato contro lo Spirito Santo. Però nella situazione di peccato la creatura è (come dice questo giovano ghigliottinato), impotente a resistere alla pressione dei fatti: uno non sa nemmeno come sia avvenuto, sono gli eventi che ti caricano talmente per cui, come scrivono i militanti delle Brigate Rosse: “Siamo talmente carichi di odio che da un momento all’altro può scattare il grilletto”. Ecco, la lontananza da Dio ti porta al delitto, senza che tu te ne accorga nemmeno e poi dici: “Ma sono io che ho fatto questo?”

Nino: Dio però lo può ancora recuperare.

Luigi: Certo. È una lezione per ognuno di noi, affinché noi non siamo Giuda. E Giuda non si deve giudicarlo così. Perché sono tutte opere di Dio, affinché noi non siamo Giuda, perché il Giuda è dentro ad ognuno di noi.

Eligio: Papini analizzando l’amore di Dio, si dice convinto che alla fine anche Satana sarà redento. Non so come si possa fare un’affermazione del genere, ma è tanto la speranza che l’amore di Dio possa anche cambiare la volontà più contraria.

Luigi: Si, si, Dio può, ma la creatura può resistere infinitamente alla volontà di Dio.

Eligio: Non è che Dio non possa ma è la creatura che rifiuta.

Luigi: Dio ha fatto la creatura libera di rifiutare ciò che Dio può.

Eligio: Molto opportunamente insisti sempre sull’amore di Dio.

Luigi: L’amore di Dio vuole salvare tutti. C’è questo fatto: la creatura diventa figlia delle sue opere. E quando la creatura fa il rifiuto, diventa figlia del rifiuto. Altrimenti non ci sarebbe stato bisogno ad esempio della morte di Cristo in croce. Se Cristo è venuto a morire in croce, vuol dire che c’è una colpa grossa che lavora su di noi. C’è un rischio grave, altrimenti sarebbe bastata la legge, sarebbe bastato che Dio avesse fatto calare una bella parola dal cielo e tutti si sarebbero salvati. Invece no! Perché c’è stato bisogno di questo? Vuol dire che il rischio è grosso.

Nino: Il giorno in cui sia arrivato realmente il regno di Dio in tutti …

Luigi: Ma il regno di Dio è già in tutti, siamo noi che dobbiamo scoprirlo!

Rina: Ma non avviene contemporaneamente, avviene in ognuno di noi.

Luigi: Si, è personale.

Nino: Il regno di Dio c’è, però non c’è in tutti noi, perché molti lo rifiutano. Il giorno in cui ci sia il regno di Dio in tutte le anime, cosa farà il demonio?

Eligio: Io ho stentato ad entrare in questo argomento perché pensavo che dopo aver detto tanti “no” nelle prove, si entra nel tempio dove si sperimenta la presenza di Dio.

Luigi: Si diventa impeccabili.

Eligio: Non impeccabili, ma forse irreversibili, magari con ritorni di debolezza, ma non più di adesione a valori contrari a Dio.

Luigi: In una situazione peggiore.

Eligio: Con l’invasione di sette demoni, ecco questo non lo pensavo possibile. Ho pensato in termini personali all’incontro del paralitico con Gesù, a questi momenti di grazia che vengono accordati a tutti, a quelle chiare percezioni dell’azione di Dio nella nostra vita, (in qualunque situazione noi ci possiamo trovare, di salute o di malattia), nelle quali Dio ci dice: “Alzati!”. E questo è sempre un rischio, perché in questa infusione di nuovo vigore, si può sempre presumere di essere in parte artefici di questa nuova vita, perdendo un po’ di vista Colui che ci ha dato questa grazia facendoci alzare. Ecco allora che nel nuovo stato, affinché io non abbia ad avere questa presunzione e a ricadere in ciò che ha causato la paralisi, Gesù mi riconferma e mi ribadisce la prima esortazione: “Alzati” dicendomi: “Non peccare più!”. Cioè vedo le due esortazioni strettamente collegate: mi prospetta in negativo ciò a cui andrei incontro se venisse meno in me la tensione, in positivo, espressa da: “Alzati!”, cioè: “Guarda in alto, a Dio!”. Essendo Dio  un infinito, lo sguardo verso Lui è uno sguardo di penetrazione crescente di amore e intelligenza, che non ha mai fine. Se di fronte al fascino di Dio, spostassi il mio sguardo, fatalmente dovrei gravitare verso il mondo delle creature; sarebbe il peccato, il “peggio”, perché cadrei nel mondo delle cose corruttibili, staccandomi da Dio che è incorruttibile e che è la vita.

Luigi: Si, perché adesso mi distacco da Dio, avendo ascoltato la parola di Dio, quindi la situazione è più grave, perché una cosa è che io sia caduto schiavo delle creature senza conoscere Dio e senza che Dio mi abbia parlato, un’altra è se mi stacco da Dio quando Dio mi ha parlato; la situazione qui è molto più grave perché io preferisco la creatura al Dio che mi parla. Abbiamo qui una scelta personale grave.

Eligio: E penso che la liberazione dalle creature in questo momento di grazia dato dall’incontro con Gesù, sia relativamente facile, in quanto mi prospetta un mondo superiore di libertà. La ricaduta, per l’accettazione di questo mondo da cui Cristo mi ha staccato, penso sia pericolosa, perché io avevo già la possibilità di confrontare i due valori.

Luigi: Certo.

Eligio: Però non ho potuto entrare dentro l’argomento perché mi fa paura pensare al peggio di una vita di paralisi. Cosa ci può essere di peggio che passare una vita di dubbi, di incertezze e in cui pur intuendo un mondo migliore, ricado in quello peggiore?

Luigi: Sono i sette demoni, siamo sempre in questa situazione. La stanza vuota, liberata da Dio dal demonio, è quest’uomo che, avendo incontrato il Cristo e liberato dalla sua paralisi, cammina con il suo lettuccio in giorno di sabato, ha la possibilità di resistere alla pressione di quello che dicono gli altri, di quello che dice il mondo, entra nel tempio di Dio e incontra di nuovo il Signore.

Eligio: Ma non basta.

Luigi: Non basta. Ora questo è da confrontarsi con la situazione della stanza, dell’anima cioè che è stata liberata dal demonio. Qui siamo a questo punto. Ciò che il Signore qui dice:

-                     “Adesso fa attenzione a non peccare più affinché non ti avvenga di peggio!”, corrisponde all’altra lezione:

-                     “Quando la stanza è vuota corre il rischio di trovarsi occupata da sette demoni!”. Corre il rischio: lo dice affinché uno abbia ad affrettarsi a riempirla di conoscenza di Dio, di presenza di Dio, di amore di Dio. Tu mi dici: “Ma era già con Dio!”. Ecco il problema sta lì! Notiamo però questo: quando abbiamo parlato del come quest’uomo è entrato nel tempio, abbiamo detto che egli è entrato nel tempio per negatività, cioè in forza delle negazioni che aveva fatto verso il mondo.

Eligio: Aveva però un’attrazione positiva ben superiore.

Luigi: Si, lui guarito, sollecitato da: “Tu non puoi portare il tuo letto in giorno di sabato!”, risponde: “No, no, no, perché Colui che mi ha guarito mi ha detto: prendi il tuo letto”. Quindi non ubbidisce al mondo; è entrato nel tempio sospinto dal mondo stesso, come reazione al mondo.

Eligio: Tu diresti cioè più per reazione che per scelta positiva.

Luigi: Ti ricordi che parlando di quella “negatività” si era notato che a forza di dire “no” si entra nel tempio di Dio?

Pinuccia: Se Dio non lo conosciamo ancora come faremmo a sceglierlo? È Lui stesso allora che ci conduce.

Luigi: È Dio che ci mette di fronte alle prove del mondo. siccome noi non siamo capaci di camminare, Dio ci fa camminare sollecitandoci con le tentazioni. Di fronte ad esse, noi non sappiamo ancora chi è Dio, ma sappiamo quello che non è Dio. Per cui capiamo ciò che non è secondo Lui. Quest’uomo è entrato nel tempio per un’azione negativa, sospinto dai suoi “no”. Adesso incontrando nel tempio Gesù che gli dice: “Eccoti guarito, sta attento a non peccare più”, incomincia a conoscere chi è Colui che l’ha guarito. Il peccato è distacco da Dio. Gesù dicendogli: “Non peccare più”, che cosa lo sollecita a fare? “Sta attento a stare unito”. Ma per stare unito adesso deve camminare in modo positivo. Adesso non si tratta più di dire dei “no”; adesso si tratta di dire dei “si”. Era questo che volevo dire: si tratta di dire dei “si” a Colui che tu adesso hai conosciuto. Noi non conosciamo chi è Dio, però conosciamo chi non è Dio. Allora davanti al mondo che mi dice: “Guarda, adora questo, perché questo è Dio”, rispondo: “No, questo non è Dio!”. Se mi dice: “Adora il denaro, adora la carriera!”, rispondo: “No, questo non è Dio!”. Non so chi sia Dio, però questo mi fa entrare nel tempio, dove è tutto dipendente da Dio.

Eligio: Il paralitico guarito non sa chi è Dio. Lui sa di aver ricevuto un grande favore e questa coscienza di essere un “favorito” lo spinge a dire “no” a chi gli propone altro. Così per noi. Dicendo questi “no”, entriamo in quel luogo in cui Gesù ci dice: “Eccoti guarito!”.

Luigi: Entriamo nel “tutto dipendente da Dio”. Capisci che dicendo “no” ad ogni altra dipendenza, noi entriamo automaticamente nel “tutto dipendente da Dio”? Però entriamo per non conoscenza.

Eligio: Ma per esclusione.

Luigi: Si, per esclusione. Infatti noi nel mondo sappiamo chi non è Dio.

Eligio: Un’altra cosa che sempre mi ha impressionato è la finezza e delicatezza grande che Gesù usa nei confronti dell’adultera alla quale, a differenza del paralitico a cui dice: “Non peccare più”, dice: “Va e cerca di non peccare più”.

Luigi: “Non voler più peccare!”.

Eligio: Quasi a sottintendere che probabilmente sarebbe ritornata a peccare; ma voleva evidenziare che la sorgente del peccato era nel desiderio.

Luigi: Certo, per questo le dice: “Non volere”.

Eligio: Invece qui mi impressiona l’affermazione così categorica di Gesù: “Non peccare più!”.

Nino: Stavo facendo un conto di anni: se al paralitico sono voluti trentotto anni per guarire, se la seconda ricade, ci vorranno trentotto anni per sette: quindi la guarigione dalla seconda ricaduta diventa praticamente impossibile.

Luigi: Si, è quel concetto di “sette”, i sette demoni, che si contrappone al settimo giorno della vita eterna. Ma ora guardiamo alla lezione positiva prima di tutto e che è la cosa più importante, perché il Signore ammonisce sempre per dare doni maggiori e non per far arrestare l’anima nella paura di precipitare. Il Signore non parla per farci vivere nel timore del castigo, ma per farci vivere liberi nel suo amore. Il Signore quando parla propone e la sua proposta ha sempre un aspetto positivo. Qui propone a quest’uomo non qualcosa di negativo, cioè di pauroso, ma di positivo. La parola di Dio che invita a non peccare, invita a camminare nell’unione. Cioè gli dice: “Adesso che mi hai incontrato nel tempio: cammina in questa unione, non disunirti più!”. In quanto lo invita gli dà la possibilità. Gli dà la possibilità di preferire Dio a tutto, perché la parola di Dio, come parla, dà la grazia per compierla. Quindi se il Signore gli propone di non peccare più, lo invita a diventare impeccabile. Adesso diciamo: “Ma come diventa impeccabile?”. Diventa impeccabile sulla parola di Dio. Perché quando Dio mi dice: “Non peccare più!”, non mi propone di non peccare, mi offre di non peccare. Rendo l’idea?  Cioè mi propone di diventare impeccabile. Ora, uno mi può dire: “Non peccare”, ed è una creatura che me lo dice, e allora io lo vedo come un ammonimento, una minaccia; ma se è Dio che mi dice: “Non peccare più”, la sua parola è efficace, e in quanto è efficace, mi dà la possibilità di diventare impeccabile, cioè mi invita ad entrare in cielo. Non è norma, non è regola “non peccare più”, ma è proposta di entrare nell’impeccabilità, cioè di entrare nel cielo di Dio. È quanto diceva questo giovane condannato a morte: “Io vivo nell’altro mondo”.Ecco, gli propone di entrare nell’altro mondo.

Nino: Se nella seconda situazione si può tornare a peccare e il peccato è più grave, è però anche vero che nella seconda situazione è molto più difficile peccare, perché ha già ricevuto una parte di luce.

Eligio: Lo pensavo anch’io, fino a ritenerlo persino impossibile.

Luigi: Tieni presente che lui era entrato nel tempio per negatività e adesso qui il Signore lo invita alla positività. Cioè: “Prima sei entrato qui perché hai detto molti “no” ed hai avuto la partecipazione personale perché ti sei rifiutato di ubbidire alle proposte che ti faceva il mondo. Adesso ti propongo di seguire Me!”. È una cosa molto diversa.

Eligio: Infatti io il lato positivo l’ho visto come sinonimo di quel “Alzati!”, cioè: “Continua a stare alzato!”.

Luigi: Certo! Cioè la parola di Dio che dice alla creatura: “Non peccare più!”, propone alla creatura l’impeccabilità, perché gli dà la grazia di non peccare. La parola di Dio, arrivando a noi, non ci propone il sogno. In quanto parla a noi, ci dà la possibilità di quello, se però noi ubbidiamo, restiamo uniti. Quindi dà a noi la possibilità di entrare in quell’impeccabilità. Ce la propone; non è un’impeccabilità “ipso facto”, ma un’impeccabilità progressiva: man mano che si cammina in questa unione si diventa impeccabile, cioè si entra nel cielo di Dio. Positivo in questo senso, quasi a dire: “Ecco, adesso sei entrato nel tempio di Dio, ti invito ad entrare nel mio cielo, a fare “tutto mio cielo”, cioè ad entrare nella vita eterna”.

Pinuccia: Cioè ci invita a dire dei “si” a Lui, a vivere in questa dipendenza a ad approfondire le sue parole.

Luigi: Si. Adesso lui non ha più da dire dei “no” al mondo, ma è impegnato personalmente a tu per tu con Dio. Il mondo a questo punto non interessa più, perché il mondo non è più un problema: adesso il problema è Dio; adesso è impegnato personalmente con Dio. È come quando uno ama una persona; prima dice di no a tutte le altre persone, poi finalmente incontra quella persona. Adesso il problema di dire di “no” alle altre è scontato, non c’è più; adesso il problema è quello di vivere con quella persona, ecco, di vivere con Dio. è l’aspetto positivo di ciò che dice Gesù a quell’uomo nel tempio.

Eligio: Per me il “non peccare” è “continua a stare alzato”, cioè fissa il tuo sguardo sempre più profondamente in Dio.

Luigi: Si, il Signore parla per questo. Dio parla per salvare. In quanto parla per salvare, in tutte le cose noi dobbiamo sempre vedere l’aspetto positivo, non il negativo. Cioè, se noi pensiamo a noi, vediamo il negativo, la minaccia, e così in tutte le cose. Pensando a noi, quando il Signore ci dice: “Non preoccuparti del mangiare, né del vestire, cerca prima di tutto il regno di Dio!”, diciamo: “Ma allora io devo fare niente, allora come faccio a vivere?”. Se penso Dio vedo anche l’aspetto positivo, cioè l’impegno con Dio, a cercare Dio. In tutte le sue parole, Dio parla sempre per salvare e quindi per proporci qualcosa. E noi in tutte le cose non dobbiamo vedere quello che Lui ci impedisce di fare o quello che ci minaccia a non fare. No, in tutte le cose noi dobbiamo vedere quello che Lui ci invita a fare. Anche qui Lui invita a fare qualcosa. Che cosa invita a fare? Proprio questo: entrare in questa intimità con Lui personalmente.

Nino: Vorrei suggerire di fare un parallelo pratico: pensiamo quando eravamo staccati da Dio, ci riusciva facile essere staccati da Dio.

Luigi: Anzi, pesava enormemente impegnarci con Dio, pensare Dio.

Nino: Ora invece quanto ci pesa il momento in cui ci stacchiamo!



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Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Gv 5 Vs 14 Ottavo tema.


Titolo: Gesù dice: “Alzati” morendo in croce.

Argomenti: Solo di fronte al dolore incominciamo ad interrogare il cielo. La parola dell'uomo è relativa, la Parola di Dio è eterna. Cristo morendo ci fa toccare la morte che portiamo in noi vivendo per il mondo, per il nostro io. L'uomo da solo non può liberarsi dalla morte che porta con sé. Conoscendo Dio abbiamo la trasformazione del male in bene. L’uomo può fare il male ma non il bene. Cristo morendo ci fa alzare gli occhi al cielo. Gesù è morto affinché noi impariamo a morire a noi stessi. La vita è unione con Dio; noi non siamo vivi da soli.  L'unione è mettere Uno al di sopra di tutto e per far ciò, bisogna lasciar tutto il resto. Amare vuol dire scegliere. I nemici sono dentro di noi.


 

25.Giugno.1978


Pensieri tratti dalla conversazione:

Riassunto tratto dall'incontro N.124 del 19/03/78 presso Bracco:

Pinuccia: “Subito quell’uomo fu guarito, e preso il suo letto, se ne andava”.

Si approfondì questo argomento meditando sulla Passione di Cristo. È proprio attraverso la sua morte in Croce che si compie in noi questa parola che fa alzare gli occhi al di sopra di noi stessi e del nostro mondo, verso Dio, in cui noi ritroviamo la vita. Per questo meditando sulla Passione di Gesù, si può vedere quanto è costata a Gesù questa parola: “Alzati!” per guarire l’uomo.

Luigi: Cioè per fargli alzare gli occhi al cielo. Altrimenti se Cristo non muore, noi teniamo sempre il nostro sguardo sul mondo, sulle cose nostre, sul nostro io. È necessario sempre che qualcuno muoia: ed ecco qui la ragione del dolore che c'è nel mondo degli innocenti che soffrono, perché soltanto di fronte al dolore innocente noi incominciamo ad interrogare il cielo. Ma alzando gli occhi al cielo, incominciamo a guarire, perché la sorgente di tutte le nostre malattie sono gli occhi in basso. Fintanto che noi guardiamo al pensiero del nostro io, alla nostra terra, al nostro mondo, alle cose nostre, noi perdiamo vita. Tant’è vero che Gesù dice: “La vita non viene dalle cose che si posseggono”; “Se possedeste anche tutto il mondo, che cosa serve, se perderete la vostra anima?”. Quindi non è da ciò che uno ha che viene la vita, la vita viene da ciò che uno è. Ma ciò che uno è deriva dal guardare Colui che è.

Pinuccia: Quindi dal donare?

Luigi: Dal donarsi. Alzare gli occhi è sempre un donarsi a Colui che ci supera. Ma perché noi alziamo gli occhi a Dio, è necessario vedere qualche cosa attorno a noi che sconvolga le nostre sicurezze.

Pinuccia: O anche noi.

Luigi: O anche in noi, qualcosa che sconvolga le nostre sicurezze, che sconvolga quella vita che stiamo facendo: la vita del nostro io. Anche una malattia allora è grazia di Dio per farci alzare gli occhi verso il cielo, quando noi, convinti di conoscere la volontà di Dio, guardiamo soltanto più le cose della terra, le cose degli uomini, le cose del mondo, e non ci accorgiamo che facendo così perdiamo la vita, perché più noi guardiamo in giù e più la vita diminuisce: come quella donna che perdeva sangue: una perdita crescente di vita. Invece  passando dalla terra al cielo, alzando gli occhi, ricuperiamo la vita. Ora perché avvenga questo, è necessario che Cristo muoia. È la morte del Cristo che ci fa alzare gli occhi.

Pinuccia: Non basta il dolore nostro o il dolore degli altri?

Luigi: No, non basta né il dolore nostro né il dolore degli altri. Il dolore nostro e il dolore degli altri ci prepara. È solo il Figlio di Dio che ci fa alzare gli occhi al Padre.

Pinuccia: Attraverso il dolore?

Luigi: Attraverso la sua morte. Perché fintanto che noi vediamo delle creature, noi ci giustifichiamo sempre: le creature le rivestiamo del pensiero del nostro io (“ma io lì non sono colpevole, io lì...”). Invece se è il Figlio di Dio che muore, colpevole sono io.

Pinuccia: Perché è innocente.

Luigi: Non soltanto perché è innocente, ma proprio perché Figlio di Dio. Il pensiero che Lui è il Figlio di Dio estende la colpa della sua morte a tutti. Non è più limitato nello spazio o nel tempo. Così la parola che noi leggiamo nel Vangelo, non è parola detta solo per qualcuno in quell'ora, in quel tempo, in quel luogo: essendo Parola di Dio è parola per tutti. È il passaggio a  “Parola di Dio” che rende quella parola universale, per cui ognuno si specchia in essa: quella parola lì è per me. La parola dell'uomo è limitata, relativa. Invece la Parola di Dio è Parola eterna: “Passeranno i cieli e la terra,ma le mie parole non passeranno”. Ora, se le sue parole sono eterne, sono sempre valide; valgono per ogni uomo. Non posso davanti alla Parola di Dio dire: “questa parola vale soltanto per quel tale”. Essendo Parola di Dio, è valida universalmente, eternamente quindi per ognuno di noi. Allora di fronte alla morte del Cristo, ognuno di noi non può dire: È morto a causa di altri”. No, essendo Figlio di Dio, Parola di Dio, è morto a causa mia.

Pinuccia: E questo mi fa alzare gli occhi?

Luigi: Questo mi fa alzare gli occhi al Padre, per cercare una giustificazione al nostro delitto. Tutto quello che procede dal nostro io è senza giustificazione. Ecco perché, adesso col problema dell'aborto, non basta che ci sia una legge che autorizzi la donna ad abortire. Quando la donna ha abortito, anche se di fronte allo stato è giustificata, porta dentro di sé un trauma che nessuno può cancellare anche se tutti le dicessero: “hai fatto bene”. Le parole degli uomini non giustificano la nostra coscienza. Se noi portiamo un delitto dentro di noi, non basta che tutti ci battano le mani per cancellarlo. L'uomo porta il trauma dentro di sé: ha fatto qualche cosa di sua iniziativa. Non basta che gli altri lo approvino o lo autorizzino. Noi l'autorizzazione la riceviamo solo da Dio. Il fatto di aver ucciso uno, crea in noi una situazione di colpa, per cui abbiamo bisogno di una giustificazione: “ma perché è avvenuto questo?” Cristo morendo fa toccare con mano a noi la morte che portiamo dentro di noi vivendo per il mondo, vivendo per il nostro io. Si forma l'interrogazione: cos'è che di sbagliato portiamo in noi per cui, Lui è morto, per cui l'abbiamo ucciso? Ed è questo problema che ci fa alzare gli occhi a Dio. Ma alzando gli occhi a Dio, troviamo la nostra vita e quindi il perdono e la misericordia. Allora troviamo la giustificazione del nostro delitto: Cristo è morto per distoglierci da una vita che era morte per noi. Comprendendo questo troviamo in Dio il capovolgimento: quello che era colpa nostra diventa misericordia di Dio. Dio cambia il nostro peccato in grazia, perché lo fa diventare un motivo di salvezza: Cristo morto per noi diventa motivo di vita, perché ci fa alzare gli occhi al Padre. Tutto quello che noi facciamo di delitto, crea in noi uno stato di colpa che non possiamo cancellare, anche se tutto il mondo mi dicesse che è cancellato.

Pinuccia: È il senso di colpa che ci fa alzare gli occhi al Padre?

Luigi: Certo, perché nello stato di colpa restiamo schiavi di esso.

Pinuccia: Per essere liberati?

Luigi: E già; la colpa crea in noi un problema che noi non possiamo risolvere. Quante volte sentiamo, quando capita una malattia, una disgrazia, dire: “perché il Signore mi ha fatto questo? Perché il Signore mi ha mandato questo?” Vede che sorge il perché. L'anima si muove verso Dio. Quando invece tutte le cose vanno bene, noi non alziamo gli occhi, perché abbiamo trovato la nostra soddisfazione. Ci crediamo approvati, e se pensiamo a Dio diciamo: “Dio mi benedice”, e non ci accorgiamo invece che stiamo morendo, perdendo la vita (cfr. quella donna che quando le morì la mucca disse: “Il Signore si è ricordato di noi”). È il problema che ci offende; la disgrazia, il dolore, la malattia; e quello che rompe i nostri propositi, le nostre intenzioni, che ci fa alzare gli occhi a Dio.

Pinuccia: Ci fa scoprire che esiste un'altra Volontà superiore che si impone sulla nostra.

Luigi: Sì. Cristo morto, è come avere un morto in casa: uno non può ignorarlo. Il delitto lo portiamo con noi, e non possiamo liberarcene da soli perché noi diventiamo figli delle nostre opere. Per questo che la donna che ha abortito porta un trauma e da sola non può liberarsi dal pensiero di avere ucciso.

Teresa: Ma per alzare gli occhi al cielo si presuppone una fiducia nel Signore. Se uno fa un delitto, rimane nel suo peccato se non confida nel Signore.

Luigi: Certo.

Teresa: Ma allora non alza gli occhi al cielo.

Luigi: No, però quel peccato lo porta alla morte, lo distrugge. Se non alza gli occhi al cielo si sente sempre più distrutto, perché non può liberarsi dal male, perché noi diventiamo figli delle nostre colpe, e quindi schiavi, e quello ci schiaccia. L'uomo da solo non può liberarsi dalla morte che porta con sé. È la conseguenza del primo peccato, da Adamo in poi: come l'uomo fa il male, resta schiavo del male, e da solo non può liberarsene e non c'è nessun uomo che lo possa liberare, perché se anche tutti gli uomini gli dicessero: “ hai fatto bene”, lui non può convincersene. Il problema del peccato, del male, della colpa si risolve soltanto conoscendo  Dio. Conoscendo Dio abbiamo la trasformazione del male in bene, perché si scopre che quella colpa, quel male è servito a farci scoprire la nuova vita in Dio. Allora attraverso il male attraverso il peccato si arriva alla vita: ecco,Cristo offrendosi ad essere ucciso, attraverso la sua morte, diventa per noi motivo di salvezza, perché ci fa trovare una vita nuova che noi non supponevamo, che è la vita col Padre: la vita in Dio. E allora trovando questo diciamo: “Signore, ti ringrazio per la tua bontà e misericordia”. Troviamo la liberazione dal male, perché scopriamo che quel male ci è servito ad unirci a Dio.

Pinuccia: E lì è il perdono?

Luigi: E lì allora avviene il perdono; nella conoscenza di Dio noi troviamo il perdono. È solo Dio che può liberare, è solo Dio che può perdonare. Nessun uomo, con tutte le sue parole o con tutto il suo amore, o con tutte le sue leggi, può perdonare la creatura che ha fatto una colpa; le parole degli uomini non riescono a liberarci da quel senso di colpa che portiamo dentro di noi, che Dio ha scritto dentro di noi.

Pinuccia: La voce di Dio

Luigi: È la voce di Dio. I mali non si possono cancellare, la creatura non li può cancellare. Prendiamo un esempio semplice: una foglia attaccata ad un albero; noi la possiamo staccare con molta facilità, e la possiamo schiacciare, ma non la possiamo più riattaccare. Questo che cosa significa? Che noi possiamo fare il male, ma non possiamo più fare il bene; possiamo separarci dalla vita, non possiamo più riunirci. E non possiamo quindi dimenticare: “ho interrotto la vita”. Il male una volta fatto, non può più dalla creatura sola essere rimediato. È solo se, attraverso quel male Dio mi conduce a scoprire una vita nuova, e allora la vita nuova che si scopre, ecco mi libera, mi cancella quel male che ho fatto, perché con quel male lì, io ho distrutto qualcosa di vivo: prima era vivo ed adesso non c'è più e non posso non pensare che la colpa è mia; prima ce l'avevo e adesso non c'è più, e questo crea il senso di colpa. È soltanto se attraverso quel male ne è scaturito qualcosa di nuovo, di bello, di bene, che resto giustificato: ad es.  uno ha raccolto un fiore, ma per farne un atto d'amore. Cogliendo un fiore, io l'ho strappato dalla sua vita, però attraverso questo strappo ho fatto nascere l'amore. L'atto d'amore, superiore giustifica questo. Così la morte del Cristo: Cristo è stato mandato a morte, e sappiamo cos'è che l'ha mandato a morte: il pensiero del nostro io, il pensiero delle nostre ambizioni, le nostre carriere, la figura, l'onore del mondo, il nostro nome, le invidie, le gelosie, ecc. cose che sono in ognuno di noi. Se attraverso questa morte, noi arriviamo a scoprire (Dio ci conduce a scoprire) un amore nuovo, una vita nuova Cristo non è morto invano. Allora capiamo che Cristo si è offerto per portarci in quella vita, in quell'amore che noi non immaginavamo, che non sapevamo.  Allora ecco, la morte resta assorbita dalla vita nuova. Trionfa la vita. Ma se noi non arriviamo a questa vita nuova, la morte resta solo morte, diventa motivo di condanna, perché prima Lui era vivo ed io adesso l'ho ucciso. E non posso uscire da questo fatto: io l'ho ucciso! Non vedo il disegno di Dio, perché per vedere il disegno di Dio devo portarmi in Dio. Alzando il mio pensiero a Dio, Dio mi fa capire che il disegno era suo: per portarmi nella vita nuova.

Pinuccia: Il disegno della  morte?

Luigi: Sì l'offerta di lasciarsi uccidere è stato disegno di Dio per portarci una vita nuova. Ma questo noi lo scopriamo solo in Dio. Se non alziamo gli occhi a Dio, vediamo soltanto il nostro io che  ha ucciso. E in questa relazione del nostro io che ha ucciso Lui resta morto, ma la colpa è mia e questa colpa mi porta alla morte. “Voi avete ucciso l'Autore della vita”. Ecco se io uccido l'Essere che per me è tutto, una volta che l'ho ucciso, io non ho più il tutto, non ho più la vita. La morte dell'Altro è la morte mia. Nessuno mi può liberare dalla consapevolezza di questa morte, perché non c'è più. Come quando muore una persona molto cara, tutte le parole che gli altri dicono sono inutili. Uno cerca di consolare, ma non può consolare niente, perché l'altro non c'è più. Sì, sì, parole che non servono, perché l'altro prima c'era, adesso non c'è più. Qui è lo stesso.

Cina: È il pianto di Rachele che nessuno può consolare.

Luigi: Nessuno la può consolare. Ed è logico.

Pinuccia: Soltanto se alza gli occhi a Dio.

Luigi: Ecco alzando gli occhi a Dio, allora uno ritrova la vita risorta. Allora capisce che la morte è inserita in un disegno maggiore, superiore. Qui la morte è assorbita dalla vita.

Cina: Si guarisce solo alzando gli occhi a Dio.

Luigi: Questo: “alzati” è un segno profondo del modo attraverso cui il Signore guarisce ognuno di noi; ci guarisce dicendo: “alza gli occhi dal tuo mondo, dal pensiero del tuo io, dalla tua vita, dal tuo modo di vivere e scopri la vita nuova che c'è in Dio” : è in Dio che noi scopriamo un disegno nuovo. Ma se non alziamo a Dio gli occhi questo disegno non lo scopriamo; resta il senso della nostra colpa e questa ci porta alla distruzione di noi stessi, addirittura al suicidio; non possiamo più sopportare la vita, perché non siamo più vivi.

Cina: Alzare gli occhi  è non sprecare la vita

Luigi: Non basta che uno dica di non sprecare la vita, se non dice all'uomo come fare per non sprecare la vita; per quanto lei ammonisca: “non sprecare la vita” l'uomo non sa che cosa fare per non sprecare la vita. È come dirgli: “non lasciare che il tempo passi”, ma come faccio? Posso fermare l'orologio? Non posso fermare il tempo che passa: il mattino sorge ed è subito sera: provi ad arrestare il tempo. Lo stesso è dire: non sprecare la vita. Bisogna offrire la possibilità, il “come” possiamo uscire dalla vanità della vita, dallo sprecare la vita in niente. Noi riusciamo soltanto se Dio dice: “alza gli occhi al cielo”.

Pinuccia: Ma ce lo dice morendo.

Luigi: Lui ce lo dice morendo, perché morendo ci fa alzare gli occhi al cielo. Ma non è detto che noi alziamo gli occhi al cielo, perché niente avviene di automatico. Però questo “Verbo” che Lui dice: “alzati”, è il Verbo, è la Parola di Dio, quindi Parola eterna; è Parola che Dio dice ad ognuno di noi, perché le parole di Dio sono parole universali, quindi sono parole che Lui ripete ogni giorno. Non le ha dette solo allora. Quella parola che ha detto allora è la Parola che dice ancora sul Calvario mentre muore. Dicendo: “Ho sete”, dice: “alzati”. È la Parola che Lui dice ogni giorno in tutti gli avvenimenti che ci fa capitare, e dice: “alzati”; è la Parola, il Verbo di Dio per ognuno di noi per comunicare a noi la vita, per liberarci dal vivere per cose vane, per cose inutili, per cose che passano e portarci alla vita essenziale.

Pinuccia: Continuazione della lettura del riassunto:

         … Quello che accadde allora fu rappresentato davanti a noi affinché prendessimo coscienza di quello che accade nella nostra vita... Il velo della notte della morte si stende su tutto e su tutti, la sua morte è morte di tutti... “Avete ucciso l'Autore della vita”; avete ucciso la vita.

Luigi: È chiaro che la sua morte stende un velo su tutti noi? Riferendolo a quanto abbiamo detto prima?

Cina: No,non mi è chiaro. Ed è una tristezza non capire un mistero così grande.

Teresa: A me sembra di aver capito che se noi non guardiamo in alto noi rimaniamo sempre nella notte

Luigi: Allo stato di colpa, con la nostra colpa addosso, e non c'è nessuno che ce ne possa liberare.

Teresa: Anche se tutti dicono che non siamo colpevoli; noi ce la sentiamo addosso

Luigi: È questo velo della morte che si stende su tutto.

Teresa: Guardando in alto, vedendo questo nel disegno di Dio per scoprire un amore più grande, possiamo svincolarci.

Luigi: Non noi, ma è Dio che ci libera e risorge, si fa ritrovare e quindi abbiamo il perdono. Cioè la vita nuova assorbe in questo caso la morte; l'assorbe perché la morte è stata  soltanto l'occasione per portarci nella vita.

Teresa: Giustifica la morte

Luigi: Ecco, giustifica la morte, perché è l'occasione per farci scoprire una vita che noi non immaginavamo; è una vita nuova che noi non avremmo mai immaginato. Allora questa vita nuova, questa nascita nuova giustifica questa morte, anzi,ci fa vedere il grande amore di Dio.

Teresa: Come l'atto d'amore giustifica il taglio del fiore, e quindi la risurrezione...

Luigi: Sì. S. Francesco non osava raccogliere una foglia, un fiore, perché era rompere qualcosa della Volontà di Dio, era andare contro la Volontà di Dio. Ma per un atto d'amore che lo giustifichi, allora sì; allora si tagliava magari la gamba ad un maiale per fare il brodo a un malato, così si legge nei fioretti.

Cina: Infatti spiega al contadino arrabbiato che aveva fatto questo per un atto d'amore, tanto che alla fine il contadino gli portò tutto il resto del maiale.

Luigi: Questo fa capire come è lecito strappare un fiore per un atto d'amore. L'amore nuovo che nasce, giustifica quell'offesa alla  natura. Così la vita nuova che nasce con Dio, giustifica la morte del Cristo. E ci fa ammirare la misericordia di Dio che proprio per farci nascere a questa vita, ha sacrificato tutto Se stesso. È venuto a morire in mezzo a noi per dare a noi la vita. “Tanto così Dio ha amato il mondo, da dare il Figlio suo per la vita del mondo”, per portarci nella vita. Una vita nuova. Ma se noi questa vita non la scopriamo, se non nasciamo ad essa, resta solo il nostro delitto e solo il nostro delitto; perché lontani da Dio noi vediamo soltanto il nostro io che ha ucciso. E questo non ci libera! Lo capisce?

Cina: Non lo capisco tanto

Teresa: Non è che noi pecchiamo per scoprire un amore maggiore

Luigi: No! Questo viene dopo; se noi facessimo il peccato per scoprire, avremmo già scoperto... Noi non immaginiamo nemmeno: è una scoperta; è una vita nuova.  È una nascita. Ora, se io non sono ancora nato, non immagino nemmeno cosa vuol dire nascere.  Questa vita nuova agli occhi del mondo, è una vita da pazzi, perché nel mondo non si capisce minimamente che cosa voglia dire la vita dello spirito. L'uomo materiale non capisce le cose dello spirito. L'uomo spirituale capisce le cose dello spirito e capisce anche l'uomo materiale; ma l'uomo materiale non può capire le cose dello spirito. Dice che sono vaneggiamenti, astrazioni, pazzie. E Gesù che cosa dice? “Il mondo non può ricevere lo Spirito di Verità, perché non lo vede, non lo conosce”: il mondo non lo può ricevere, “voi invece lo riceverete perché è in voi”. Ecco, vede la vita  personale?

Cina: Eppure Gesù è morto per tutti e perché allora questa differenza?

Luigi: Gesù muore per tutti, ma lei capisce che la sua morte non è un distributore automatico di vita, come il distributore di panini? Con Dio non avviene niente di  automatico. Gesù è morto, Signore ti ringrazio, noi siamo tutti salvi! No, Gesù è morto affinché noi impariamo a morire a noi stessi (cfr. Luci sul patibolo). Ma se noi non commoriamo con Lui, Lui è morto invano. Anzi la sua morte diventa per noi motivo di rovina. Lui è venuto tra noi per la salvezza e la rovina di molti. Come mai?  Non è venuto soltanto per salvare? Eppure Simeone dice: “sarà motivo di salvezza e di rovina per molti in Israele”, la pietra d'inciampo, la pietra di scandalo.

Cina: Se non si corrisponde, si resta in questa...

Luigi: Sì, perché si resta nel nostro delitto. Noi non possiamo uscire dal delitto, noi non possiamo liberarci dal male fatto. Chi fa il peccato resta schiavo del male fatto, non può liberarsene. Chi ci libera è Dio, ma perché ci liberi dobbiamo alzare gli occhi a Dio. Alzando gli occhi a Dio, Lui ci fa scoprire la vita nuova. Allora ci giustifica anche il male, anzi il male ce lo cambia in bene. Allora diciamo: “Signore, ti ringrazio, perché attraverso quella colpa, mi hai condotto a scoprire un amore che io non immaginavo nemmeno tra me e te”. Prima non lo immaginavamo. Non potevamo immaginarlo. Lui muore affinché noi impariamo a superare il pensiero del nostro io, impariamo a morire con Lui. Morire con Lui, a che cosa? Al nostro io, al mondo, ai nostri interessi, a tutto ciò che ha per centro il nostro io che è delitto. Perché la vita non viene dalle cose che  noi abbiamo messo attorno al nostro io, che anzi ci soffocano e ci impediscono di vivere. Cristo muore affinché noi impariamo a morire a tutte queste cose che ci impediscono di vivere.

Teresa: Quindi utilizzare la morte di Cristo vuol dire unirsi alla sua morte?

Luigi: Si, ma che cosa vuol dire unirsi alla sua morte? Morire a noi stessi.

Teresa: Morire a noi stessi e quindi risuscitare con Lui.

Luigi: S. Paolo dice: “Voi siete morti con Lui”. Il battesimo è proprio questo concetto di morte a noi    e al mondo: “siete morti e se siete morti non vivete più per le cose del mondo, non vivete più  per voi”. Perché se io sono morto al mondo e a me stesso, vuol dire che non debbo più vivere né per il mondo né per me. Ma se vivo ancora per il mondo, vuol dire che io sono vivo per il mondo. Allora la tua vita non è in Cristo.

Teresa: Quindi non è che la morte di Cristo di per sé, automaticamente, ci salvi, ma in quanto noi ci uniamo.

Luigi: Ci uniamo a questa sua morte.

Teresa: Cioè accettiamo questa morte per noi.

Luigi: Ma accettare quella morte vuol dire capire che cos'è che l'ha causata; ma comprendendo cos'è che l'ha causata io devo morire a tutto quello che è stato motivo di essa.

Teresa: Per cui se il mio io è stato motivo di morte, faccio morire il mio io per ritrovare la vita di Dio.

Luigi: Ecco perché dobbiamo morire a noi stessi. Cristo morendo ci rivela la morte che portiamo in noi. Lui è morto per portarci nella vita; ma per portarci nella vita, ci deve liberare dalla morte che portiamo in noi. Ora fintanto che noi viviamo attorno a quello che è morto, noi moriamo. Il nostro io staccato da Dio è causa di morte. Abbiamo bisogno di capire questo. Noi non siamo abbastanza convinti che il nostro io è motivo di morte per noi. Ora noi veramente crediamo in Cristo soltanto se accettiamo di morire al nostro io, come Lui è morto sulla croce. È soltanto accettando questo che noi incominciamo a partecipare della salvezza; altrimenti non partecipiamo della salvezza: allora la nostra fede è una fede soltanto nominale, ma non è vita. S. Paolo è molto chiaro: Cristo è morto per farci toccare con mano la nostra morte, affinché noi con moriamo con Lui a tutto il nostro mondo e impariamo a vivere al suo mondo. Ecco, dobbiamo imparare a vivere al suo mondo, cioè alzare gli occhi al Padre. Per cui: “se veramente siete risorti, non occupatevi più delle cose della terra, ma occupatevi delle cose del cielo, non cercate più le cose che si vedono, cercate le cose che non si vedono, dove Cristo è alla destra del Padre”. Presso il Padre ritroviamo una vita nuova.

Teresa: Sembra una contraddizione, però per non morire dobbiamo cercare di morire.

Luigi:  Sì, perché la nostra vita è in Dio, “è nascosta in Dio”, come dice S. Paolo. Il nostro errore è che ci crediamo già vivi. La vita è unione con Dio, è comunione; noi non siamo vivi da soli. Da soli siamo soltanto capaci a morire, non a vivere. Più noi pensiamo a noi e più noi moriamo. Noi da soli moriamo. È il tralcio staccato dalla vite: il tralcio da solo non può fare a meno di morire, non può illudersi: io ho la vita, io vivo, vivo da solo. No tu da solo puoi solo morire, non puoi vivere. L'uomo da solo non può vivere, può solo morire. L'uomo da solo può solo fare il male. Perché la vita è comunione e la comunione presuppone sempre un altro. Uno può essere in comunione soltanto in quanto è attaccato ad un Altro. S. Paolo dice: “La vostra vita è nascosta in Dio”. Perché ci dice che la nostra vita è nascosta in Dio? Affinché non abbiamo a ritenerci vivi o a non cercare la vita altrove. Perché quando uno mi dice: “guarda che la tua vita è là”, dicendomi: “è là”, mi fa capire che io: “sono qui”, e se sono qui, allora non sono vivo, perché se la mia vita è là, fintanto che io non sono là, non vivo. Allora se mi dice: “La tua vita è nascosta in Cristo, in Dio”, fintanto che non sono unito a Lui, che non trovo Lui, che non conosco Lui, sono nella morte, perché la mia vita è là, in Lui. Quindi o non credo a queste parole, ma se credo a queste parole debbo cercare la mia vita in Dio. Cercando Dio, si crea la comunione con Dio. Dio è la vita. Dio è il vivente; noi non siamo i viventi. Dio è l'Essere, non siamo noi l'essere. Il Signore disse a Caterina: “Io sono Colui che è, tu sei colei che non è”- “Io sono il Fedele, tu l'infedele, Io sono l'Immutabile, tu sei colei che muta”. Ecco, noi siamo tutta infedeltà, noi siamo non vita. Lui è il Pane, noi siamo la fame. La vita essendo comunione, richiede questo alzare gli occhi a Lui. Questo alzare gli occhi è il tralcio che resta unito alla vite. Se noi non alziamo gli occhi a Lui il nostro tralcio si stacca dalla vite, e il tralcio staccato dalla vite, non può fare a meno di morire. Ecco perché il “Verbo” dice questo: “alzati”: è: “guarda a Colui che è al di sopra di te, guarda a Dio, perché la tua vita è nascosta in Dio, alzati per avere la vita”. Il Verbo di Dio parla a noi per comunicare a noi la vita, non per condannarci. In tutte le cose parla a noi per darci la vita e proprio perché parla a noi per darci la vita, dice a noi: “alza il tuo sguardo, non fermarti alle cose che si vedono, perché tutte le cose che si vedono hanno per centro il tuo io, quindi non fermarti a te, perché tu da solo sei morto, il Vivente è Dio. Alzati a Colui che vive, guarda Colui che vive riceverai la vita” (ecco la partecipazione, la comunione): noi riceviamo la vita nella misura in cui guardiamo a Dio. Nella misura invece in cui guardiamo a noi o agli uomini o alle creature, noi perdiamo la vita e la perdiamo sempre di più fino alla morte. È una perdita crescente. Quindi la salvezza sta in questo. Ora Cristo muore per farci alzare gli occhi, per darci la vita. È convinta?

Cina: Capisco che solo Dio mi può guarire, se alzo gli occhi a Dio. Altrimenti...

Luigi: Resta tralcio staccato

Cina: E muoio. Ma capire a fondo la morte di Cristo ce ne vuole; capire la morte di Cristo a cui è legata la nostra morte...

Luigi: La morte di Cristo è per insegnare a noi a morire a noi stessi come Lui è morto, e a morire a tutto il nostro mondo, cioè morire perché non si muore al nostro io, se non si alzano gli occhi a Dio. Morire vuol dire distaccarsi. Noi dobbiamo distaccarci da tutto quello che ci fa morire, per unirci a tutto quello che ci fa vivere, ma se noi non ci distacchiamo, noi non ci possiamo unire. Lei per unirsi ad uno, deve lasciar perdere tutti gli altri, altrimenti non si unirà mai: sarebbe un beato sogno se lei dicesse di voler unirsi a lui e di voler però restare anche con gli altri. Lei non si unirà mai. È un'utopia questa. L'unione è una predilezione, è mettere Uno al di sopra di tutto; ma per mettere Uno al di sopra di tutto, bisogna lasciar tutto il resto. Se noi non lasciamo tutto il resto, non possiamo preferire Uno al di sopra di tutto, lo possiamo dire a parole: “Io amo Lui al di sopra di tutto”, ma il Signore mi sconfessa: “Non è vero”, perché amare vuol dire scegliere e scegliere vuol dire lasciare. Ma se io credo di scegliere senza lasciare, sono un illuso, io non scelgo niente; dico a parole di scegliere, ma dopo non scelgo, perché non voglio lasciare; per cui noi crediamo che vivere sia avere sempre di più senza lasciare niente. E questo è un suicidio, perché la vita non viene dall'avere. La vita viene dallo scegliere, e scegliere vuol dire lasciare tutto il resto per occuparci soltanto di Lui. Nella misura in cui noi siamo capaci di spendere tutto quello che Dio ci dà, e che noi abbiamo, possiamo entrare nell'amore. Ma non entriamo nell'amore se non spendiamo niente. Non possiamo comperare qualcosa in un negozio senza spendere niente. Rubiamo, ma questo non è comprare. Dio ci dà una somma da spendere per entrare nell'amore. Ma spendere vuol dire perdere. Ecco: “va vendi tutto quello che hai”. Cedi tutto. Qui entriamo nella vita. Altrimenti no. Vivere vuol dire staccarci da tutto ciò che non è Dio per conquistare Dio: è il prezzo della Verità che il Signore ci mette nelle mani. Nella misura in cui tu sai spendere quello che Dio ti ha dato, ottieni la vita. Non vogliamo spendere niente? Restiamo con la morte. Spendiamo poco? Otteniamo poca vita. Spendiamo tutto? Otteniamo tutto vita. Ora questo spendere è vivere. Abbiamo detto che la vita è scelta. La vita è un processo di amore. Amare vuol dire scegliere. Ma scegliere vuol dire mettere Uno al di sopra di tutto. Mettere Uno al di sopra di tutto, vuol dire distaccarsi da tutto il resto, altrimenti non si mette al di sopra di tutto. Altrimenti è un'illusione: è come se lei volesse sposarsi con uno e non volesse però lasciare tutti gli altri. Lei capisce che gira a vuoto tutta la vita e non conclude mai? È quello che facciamo tutti noi. Vogliamo sposarci con Uno, però non vogliamo lasciare tutti gli altri; giriamo a vuoto tutta la vita; perché l'amore, essendo scelta presuppone un lasciare. Se uno non lascia effettivamente, non sceglie. Sì, a parole dice:”io voglio questo”, a parole, però non lascia, e non lasciando non vuole.

Pinuccia: Quest'espressione che è stata letta: “La sua morte è morte di tutti; il velo della notte della morte si stende su tutto e su tutti”, io l'ho intesa nel senso che la sua morte è una rivelazione della nostra morte.

Luigi: Sì, rivela la morte che portiamo in noi e quindi è un velo di morte che si stende su tutto; su tutti noi che ci crediamo vivi, scende la notte della morte.

Pinuccia: Cioè ci fa capire che siamo nella morte.

Luigi: Noi ci credevamo nella luce e ci scopriamo invece  immersi nella notte. Tutta l'opera di Dio è rivelazione, quindi è aiuto per farci capire dove è la vita, perché noi da soli ci crediamo vivi e siamo morti; ci crediamo ricchi e siamo miseri, ci crediamo illuminati e siamo nella notte; è perché siamo lontani da Dio. Lontani da Dio capovolgiamo tutto: crediamo di servire Dio e invece Lo uccidiamo, crediamo di lodarlo e glorificarlo e lo bestemmiamo. È soltanto con Dio che si vedono le cose giuste, buone, belle, altrimenti il bene lo si scambia per il male, la vita per la morte, la luce per le tenebre. Per questo è necessario sempre riferire tutto a Dio, guardare sempre Dio, accogliere tutto in Dio, perché Dio è in noi Colui che ci fa capire e vedere bene. Senza di Lui, noi non vediamo bene; ma non vedere bene vuol dire vedere sbagliato, e vedere sbagliato vuol proprio dire veder tutto sbagliato, cioè capovolgere tutto.

Pinuccia: Continuazione lettura: (… sperimentando l'assenza di Colui che abbiamo ucciso, comprendiamo quello che Egli è con la sua Presenza: l'unica possibilità per salvarci è farci sperimentare la sua assenza, la sua morte in noi, che è poi la nostra morte...)

Cina: Sento che son cose tanto grosse, che non posso dire di capirle.

Luigi: È l'essenziale, perché è proprio il motivo per il passaggio alla vita nuova. Bisogna approfondire il mistero del Cristo che muore: è lì, proprio con la sua Croce che Lui ci salva, ma ci salva nella misura in cui noi stiamo davanti a  Lui per cercare di assimilare questa sua parola; perché fintanto che noi restiamo soltanto così, ma non assimiliamo, noi non capiamo che Lui è morto perché noi moriamo a tutto questo mondo, cioè affinché noi ci separiamo, ci stacchiamo da tutto per unirci a Dio. È dall'unione che viene la comunione, cioè viene la vita. In Dio ritroviamo tutto: Cristo risorto; ma ritroviamo tutto in una forma nuova, in una forma che non ci separa più da Dio. Prima di questa morte, tutte le creature ci portano via da Dio, dopo invece ce le ritroviamo nel cielo; non c'è più niente che ci possa separare, anzi, tutte le creature ci aiutano ad andare a Dio, perché ormai le creature le vediamo in Dio, le vediamo come opera di Dio, parola di Dio, e non c'è più niente che ci possa fare male. Ma la chiave di tutto è la rinascita da Dio. Ma per rinascere bisogna morire sopratutto a noi stessi. È il significato di tutto questo nostro nascere qui in terra, di questo morire che continuamente vediamo tutti i giorni, di questa morte che continuamente passa sulle nostre strade; perché si  nasce e poi si deve morire? È per una rinascita, ma una rinascita che può non esserci.

Teresa: Pensavo a questo invito che il Signore ci fa in tutto di alzare il nostro sguardo in alto, a Lui, mettendolo prima di tutto.

Luigi: Ma lei capisce che noi non possiamo guardare in alto se non ci separiamo da ciò che è basso?

Teresa: Ma Lui prima ci fa l'invito, poi viene la scelta.

Luigi: Sì, certo, perché se Lui non ci facesse l'invito, noi non potremmo nemmeno immaginarci che dobbiamo alzare gli occhi, perché noi agiamo sempre “su” Parola di Dio. È Dio che cerca noi.

Teresa: Allora scegliendo Lui, ignoriamo le altre cose, mettendole in second'ordine.

Luigi: Moriamo soltanto nella  misura in cui lasciamo le altre cose, perché noi possiamo illuderci di scegliere Lui e poi non lasciare e allora non scegliamo.

Teresa:Perché non lo scegliamo veramente.

Luigi: Già, ma ci illudiamo

Teresa: Ma se proprio lo scegliamo diciamo di no al resto, lo ignoriamo, gli diamo la morte.

Luigi: Si capisce; la morte è proprio questa separazione da; quindi rientra in un processo di amore. Nell'amore si preferisce uno a tutti; ma in quanto si preferisce, si lascia tutto, altrimenti uno può illudersi e dire: “io preferisco, però non lascio, e allora non preferisce.

Teresa: Credo che non c'è neanche da preoccuparci di dar morte a tutto il resto: basta scegliere veramente Lui.

Luigi: Certo. Infatti noi possiamo pensare ad una cosa sola per volta. Quando noi pensiamo ad una cosa dimentichiamo tutto il resto.

Teresa: Esempio: quando vado a comprare un cappotto, una volta che ne ho scelto uno, non ho più da dire che lascio gli altri: ho scelto e me ne vado con quello.

Luigi: Sì, però all'atto pratico, che cosa succede? Che noi entriamo nel negozio e ci fermiamo davanti a tutti: ci piacciono tutti e non scegliamo. Nella nostra vita succede questo: ci fermiamo un po' con l'uno, un po' con l'altro e non scegliamo mai. Tutta la nostra vita la passiamo cinque minuti di qua, cinque minuti di là, e passiamo tutta la vita così... tra un cappotto e l'altro, perché uno mi convince, l'altro mi piace, l'altro pure e non decidiamo nulla.

Cina: E intanto il tempo passa

Teresa: Ma di per sé non ci sono due problemi: di scegliere e di lasciare

Luigi: No, il problema è uno solo

Teresa: Il problema sta solo nello scegliere

Luigi: Tant'è vero che il Signore creando l'uomo, non ha creato la morte, ha creato la vita. C'era soltanto un problema di scelta. Per Adamo prima del peccato c'era soltanto la scelta; ma la scelta non era un problema di distacco, non sentiva il rifiuto, non c'era il bisogno di morire. Invece noi, in conseguenza del peccato, nel pensiero del nostro io, noi siamo attratti da tante cose e queste ci impediscono di scegliere.

Teresa: Se ci costa il lasciare, è perché non abbiamo ancora fatto la scelta.

Luigi: Ma il guaio sta lì: che noi molte volte crediamo di aver fatto la scelta, ma non l'abbiamo fatta! Noi crediamo di scegliere.

Teresa: Quindi una misura per sapere se abbiamo fatto la scelta è questa: se ci costa lasciare.

Luigi: E già, perché siccome Dio è Spirito, noi crediamo molte volte di dire: “Signore, io ti amo, io vivo per te” e poi praticamente... abbiamo tutti gli altri cappotti.

Teresa: Se ci costa lasciare la bella figura, se ci costa lasciare il nostro interesse...

Luigi: Vuol dire che non siamo morti. È lì che subentra il problema della morte, della necessità di morire, altrimenti non ce ne sarebbe bisogno. All'inizio il Signore stesso dice: “Io non ho fatto la morte”. La morte è entrata in conseguenza del peccato. Allora subentra il problema del distacco. Nel peccato ci illudiamo di aver fatto la scelta e non abbiamo fatto la scelta. Cioè siamo nella  morte.

Teresa: Così, se voglio correggermi dai difetti: finché guardo a me stessa, lotto invano; se invece li dimentico e comincio a pensare a Lui...

Luigi: Questo mi fa sparire tutti i difetti. È la famosa parabola del grano e della zizzania: “Signore, come mai  c'è la zizzania? Vuoi che andiamo a sradicarla?”. “No, lasciate crescere, altrimenti si corre il rischio di sradicare il grano buono”. L'importante  è che il grano cresca! Ora, che cos'è questo grano che deve crescere? È la conoscenza di Dio! Questo è quello che deve crescere in noi! Man mano che questa conoscenza cresce in noi, la zizzania sparisce. La zizzania è presente fintanto che questa conoscenza non è cresciuta: allora c'è la presenza di tutto quello che ci distoglie. Ma non è sradicando il male che ci troviamo col bene; perchè noi guardando a, diventiamo figli di, e più guardo il male, e più senza accorgermene divento figlio di esso.

Teresa: Lo sradicarlo lo consideriamo opera nostra.

Luigi: Certo e sotto sotto ci resta la vanità= sono riuscito a fare questo, quello: “Signore ti ringrazio perchè non sono come gli altri...” e arriva tutto il disastro.

Pinuccia: Mi viene in mente la lettura di Geremia,20,10-13 (invocazione a Dio per essere liberato dai nemici).

Luigi: I nemici sono dentro di noi: nemico dell'uomo è il pensiero di se stesso, le sue ambizioni, le sue passioni, i suoi interessi. Quando la Bibbia parla di nemici, i nemici non sono fuori di noi, perchè il Signore dice che: “non c'è niente dal di fuori che faccia male all'uomo”. Quello che fa male all'uomo è ciò che parte dall'uomo”. Quindi i nemici sono dentro di noi. Quando parliamo di nemici non dobbiamo pensare agli altri, dobbiamo pensare ai pensieri perversi che portiamo dentro di noi e che partono dal pensiero del nostro io ( i nostri sentimenti, le nostre passioni, ecc.). La vendetta che il profeta invoca è il trionfo di Dio sopra i pensieri del nostro io e sopra tutti i prodotti del pensiero del nostro io. Bisogna sempre tener presente questa parola di Gesù: “Non c'è niente dal di fuori che possa far male all'uomo”. Quindi dal di fuori non c'è nessun nemico: i nemici partono dal cuore dell'uomo.

Cina: Geremia ne nomina tanti.

Luigi: Ma son tutte figure dei pensieri in noi che ci indeboliscono, che ci attraggono, per cui noi, pur volendo lasciarci attrarre dallo Spirito di Dio, siamo frenati dal timore della figura, del giudizio degli altri: “qui che figura ci faccio? Ma gli altri cosa dicono se faccio così? Ecc.”. Sono questi i miei nemici! È il pensiero dentro di me, del mio io, della figura, del giudizio davanti agli altri, per cui questo mi indebolisce, tende a portarmi via, mi spia (“spiano per farmi cadere”), sono le prove, le tentazioni che il Signore ci fa sentire affinché noi abbiamo a  trionfare e a far trionfare lo Spirito, perchè facendo trionfare lo Spirito entriamo nella vera vita. Allora il Signore  ce lo fa sentire, ma dentro: sono le tentazioni, sono le prove.

Teresa: Quindi chiedere al Signore che distrugga questo, non è chiedere la vendetta verso gli altri, ma che distrugga le passioni del pensiero del nostro io.

Luigi: Come nel Padre nostro, quando diciamo: “liberaci dal male”: è “distruggi in me questa mia tendenza, questa mia debolezza”. Scegliendo Lui il Signore ci libera. Dicevamo prima:  se scelgo un paletot, resto libero dall'attrazione di tutti gli altri paletot; mi ha liberato da tutto. Noi preghiamo il Signore che ci liberi: cioè scegliendo Lui. Lui ci libera da tutte queste tendenze, perchè ormai ho scelto Lui, perché ormai non faccio più caso al pensiero: “ma gli  altri chissà cosa mi dicono”, no, perchè ciò che mi interessa è Dio. Esempio di quel papà che e ha avuto il figlio incidentato che preferiva la vita del figlio a qualunque denaro: il Signore ha tenuto presente questo e ha guarito il figlio; adesso non può più far la questione del denaro, di pretendere di più, ma sorge la tentazione: ecco il nemico! Ecco l'errore dell'avere; avendo ottenuto la guarigione del figlio, ora vorrebbe avere anche più denaro. Se cede dimostra che gli sta più a cuore il denaro che la guarigione del figlio. Invece no, loda il Signore, ringrazia il Signore che ti ha guarito il figlio e non star a discutere per il denaro; perdi il denaro, perchè questa è la tentazione: ecco il nemico! Fa trionfare Dio. Dio dice alla creatura: perdi. Il problema dell'avere è dell'io; vuole l'una e l'altra cosa. Davanti a Dio no, si sceglie; hai scelto una cosa che che vale più dell'altra? Perdi l'altra. Perdendo l'altra, allora  entri nell'amore. La bellezza sta qui: che di fronte a questo ragionamento quest'uomo è stato felice. Ecco la disponibilità: subisce la tentazione, però è felice, deciso a fare così. La tentazione di per sé non è male. Il Signore ce la fa sentire affinché noi abbiamo a far trionfare lo Spirito. Ma dobbiamo far trionfare lo Spirito. Allora ecco: “Signore liberami dai nemici”. Se c'è questa apertura nella preghiera, noi vediamo il nemico, ma il Signore ci libera. Liberandoci dai nemici, allora la nostra vita si amplifica, diventa molto grande. È solo il Signore che ci può liberare, perché il nostro io entra dappertutto, sotto diverse forme (questo lo faccio non fosse altro che per il mio nome, per l'onore, per la gente, bisogna almeno salvare il buon nome, la figura davanti agli altri se no chissà cosa dicono, ecc.).

Teresa: Se non teniamo presente che il nemico è il pensiero dell'io, allora questi passi della Bibbia ci sembrano in contraddizione  con le parole di Gesù che ci dice di amare i nemici.

Luigi: Sì, perché le parole di Dio vanno sempre commentate con le parole stesse di Dio. Basta tener presente ciò che dice Gesù; se Lui dice: “non c'è nulla dall'esterno che possa far male”, ho già la parola di Gesù che mi interpreta tutto; quindi se mi parla di un nemico che  mi vuol fare del male, è soltanto dentro, perché Gesù mi dice che dal di fuori niente mi fa male, se sono con Dio. Allora il mio nemico è dentro, non devo pensarlo fuori. Tutto quello che mi viene di fuori è tutta opera di Dio, quindi se anche uno dal di fuori mi vuol far male, mi pesta un piede, è Dio che me lo manda; quindi devo accettarlo dalle mani di Dio.



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Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Gv 5 Vs 14 Nono tema.


Titolo: Il senso della morte di Cristo.

Argomenti: Dio creando l’uomo viene ad abitare nell’uomo. Dio ci salva donandosi a noi, in modo da farci toccare con mano, con la sua morte.  Morendo ci dà la possibilità di uscire dal nostro peccato,  in quanto noi con moriamo con Lui, perchè comprendendo che siamo stati la causa della sua morte, impariamo a superare noi stessi. Le tante facce del pensiero dell’io. L’ascolto di Dio. Il velo squarciato: capire il delitto che portiamo in noi.Confondere bene e male.Nel peccato di Adamo c’è già la morte di Cristo. L’uomo uccide Dio quando non tiene conto di Dio.


 

2.Luglio.1978


Riassunto dell’incontro 125 della domenica di Pasqua 26/03/1978

Commento alla Lettera agli Ebrei: il conflitto delle due volontà in Cristo: “Non la mia ma la tua volontà sia fatta”.

- Cristo che muore in noi, per noi, rivela che noi pensando e vivendo per noi stessi, uccidiamo Dio in noi. Ci salva invitandoci a morire al nostro io, causa della sua morte, ecc.

Cina: Non so quando mi sarà dato di capire questo mistero: Gesù che muore in noi e per noi.

Luigi: Hai capito qual è il mistero dell’uomo di cui si è parlato nel riassunto: “Il mistero nascosto nei secoli e rivelato ora in Cristo?”; cioè questa presenza di Dio in noi? Dio creando l’uomo viene ad abitare nell’uomo, perché questa è la condizione per fare l’uomo cosciente. Ma l’abitazione di Dio nell’uomo comporta l’accettazione di morire nell’uomo. Cristo che muore è segno di quello che avviene nell’uomo, che avveniva nell’uomo già prima ancora di Cristo; già con Adamo, dall’inizio, poiché Dio creando l’uomo, mise il suo Spirito nell’uomo. Ma mettere il suo Spirito nell’uomo, vuol dire accettare che l’uomo non faccia conto su Dio. Questo è il mistero che San Paolo dice nascosto fin dal principio del mondo e che si rivela in Cristo. Riesci a capire ciò?

Cina: No, non capisco questa morte, mentre il Signore ci poteva salvare senza di essa. Non capisco perché sia stata necessaria la morte di Suo Figlio.

Luigi: Lei non deve dire: “Il Signore ci poteva salvare”. È stata necessaria questa morte, perché se avesse potuto salvarci senza di essa, ci avrebbe salvati. Lui ci salva proprio attraverso questa morte. È necessario questo. Lei dice: “Poteva salvarci!”. Ma allora, non è mica stato un divertimento, sa, tale morte! Vuol dire che è stata una cosa necessaria, vuol dire che non poteva salvarci in modo diverso. L’uomo non può essere salvato se non attraverso questa concessione da parte di Dio. Cioè Dio ci salva proprio donandosi tutto a noi, in modo da farci toccare con mano, con la sua morte, la sua assenza. Noi, per scoprire chi è Dio, abbiamo bisogno di toccare con mano l’assenza di Dio nella nostra vita. Se fossimo intelligenti non avremmo bisogno di passare attraverso l’esperienza dell’assenza di Dio, cioè della morte di Dio. Si parla di morte in quanto si parla di assenza. Chi è morto? Morto è colui che non risponde più, che per noi è assente. Una persona è viva in quanto noi la interroghiamo e lei risponde, la urtiamo e lei si irrita; cioè abbiamo sempre un essere che reagisce, quindi che risponde. Un essere morto: tu parli e lui non ti risponde, lo tocca e non si muove. Ecco, abbiamo la constatazione della morte, l’assenza, come non ci fosse più. Ecco la morte di Dio è come se Dio non ci fosse più. Noi abbiamo bisogno di esperimentare Dio come se non ci fosse più. Ecco l’assenza di Dio, la morte di Dio che ogni uomo deve sperimentare perché si salva proprio attraverso questa esperienza qui.

Cina: Accetto ciò che il Signore mi dice, ma senza capirlo.

Nino: Questa morte di Dio io la vedo più evidente nel mondo politico dove anche quelli che si dicono cristiani separano Dio dalla politica, sono in disaccordo tra loro, ognuno ha la verità in tasca, ognuno accusa gli altri, ecc. È Dio che lo fa provare perchè si sono allontanati da Lui. Hanno provocato la morte di Dio e la provocano tutti i giorni. Se ci spostassimo a duemila anni fa, si comporterebbero come i politici di allora e anch'essi rimetterebbero in croce Cristo.

Luigi: Certo, come Pilato.

Nino: Non ho messo in croce materialmente il Cristo, ma con il mio comportamento avrei potuto trovarmi anch'io tra quella folla che urlava di fronte alla sua croce. Dio mi fa capire che anch'io avrei messo Cristo in  croce: bontà sua che me l'ha risparmiato. Lui accetta i peccati nostri su di Sé, perchè ne porta le conseguenze, Lui che non è colpevole.

Luigi: Ma Cina non riesce a capire come proprio attraverso questo portare Lui le conseguenze dei nostri mali, cioè il suo morire, salvi noi.

Nino: Salva noi proprio perchè ci porta a capire che siamo anche noi ad ucciderlo. Il suo sacrificio era precedente alla venuta di Gesù e seguita ancora oggi tutti i giorni. Comprendendo questo, arriviamo a dire: “devo fare tutto il possibile perchè questo non succeda più”.

Luigi: Cioè noi entriamo nella salvezza soltanto dal momento in cui capiamo che siamo colpevoli della morte, e, comprendendo questo ci rendiamo conto che dobbiamo con morire, morire con Lui, perchè non è che Lui morendo, ci abbia salvati. Morendo ci dà la possibilità di uscire dal nostro peccato, non perchè Lui è morto, ma in quanto noi con moriamo con Lui, perchè comprendendo che siamo stati la causa della sua morte, impariamo a superare noi stessi, perchè ci accorgiamo che pensando a noi diventiamo motivo della sua morte. Pensando a noi o ai motivi dei nostri interessi, delle nostre passioni nel mondo, della nostra figura, delle nostre carriere, comprendiamo che quelli sono motivi che hanno mandato a morte il Cristo. Se in noi abbiamo le intenzioni che allora in Pilato, in Erode, in Caifa, in Pietro, furono motivi di condanna a morte di Gesù, di rinnegamento di Lui, di crocifissione, queste, ancora oggi, in ognuno di noi, sono motivi di quella morte. Ma quando noi capiamo che questi motivi mandano a morte Dio, abbiamo la grazia da parte di Dio di superarli, perchè noi facciamo il male in quanto riteniamo che questo male per noi sia un bene. Lontani da Dio noi scambiamo il male per il bene, e allora facciamo questo credendo che per noi sia una cosa buona. Essere egoisti, essere orgogliosi, lo riteniamo per noi un bene; per gli altri magari, ne deriverà un danno, ma per me è un bene, perchè mi esalto, perchè acquisto gloria, divento importante. Il giorno in cui mi rendo conto che tutti questi motivi, queste intenzioni sono causa della morte di Dio (uccido Dio in me) e del far fuori Dio dalla mia vita, incomincia il momento della salvezza, la via della salvezza.

Nino: Se no arriviamo a dire: io non uccido, io non rubo, non faccio del male e a ringraziare il Signore per tutto questo, come quel fariseo nel tempio.

Cina: Io capisco che l'uomo può arrivare a tanto male così; se non sta attento alle lezioni di Dio, si mette in croce Dio, sì. Ma mi chiedo perchè il Padre manda il Figlio a morire, mentre già il Padre ci può dare queste lezioni.

Luigi: No, ce le dà così, non ce le può dare in modo diverso. Queste lezioni ce le dà solo così.

Cina: Mandando a morire suo Figlio?

Luigi: È necessario questo, è proprio necessario. Non deve dire: il Padre può dare queste lezioni di salvezza in modo diverso. Non può darle in modo diverso.

Nino: Il Padre potrebbe evitarci tutto questo, ma allora ci darebbe la pappa fatta.

Luigi: Ma anche se ci desse la pappa fatta, ci rovinerebbe, perchè ci imporrebbe con la sua autorità, dall'esterno una cosa che invece va assimilata dall'interno, perchè si entra nella salvezza attraverso l'amore, quindi l'offerta nostra a Dio.

Cina: Però lei immagini un suo figlio! Mandare a morire il proprio figlio!

Luigi: Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio suo al mondo!

Nino: Se il Padre ci trattasse concedendoci tutto quanto vorremmo, se non avessimo più problemi, ecc. noi che cosa saremmo? Degli esseri senza volontà, oppure ci insuperbiremmo come Lucifero. Quanti figli vediamo che hanno tutto e vanno a tirare bombe molotov.

Luigi: Hanno sempre avuto concessioni.

Nino: La mente umana è capace di tutto e bisogna che ce ne rendiamo conto. E per farcelo capire Dio ha trovato il punto estremo oltre il quale non si può andare.

Luigi: L'animo di tutto sta lì: tra il pensiero del nostro io e il pensiero di Dio. Ora noi dobbiamo convincerci che dobbiamo mettere il pensiero di Dio prima del pensiero del nostro io, che assume tanti aspetti. Molte volte crediamo di averlo superato; ma esso assume gli aspetti del sentimento, legami con parenti, affetto, far piacere agli altri, ecc. per cui quando crediamo di averlo ucciso, di averlo dimenticato, salta fuori sotto mille forme e ci trascina. Ed è attraverso tutte queste forme che noi uccidiamo il Cristo, perchè fintanto che noi non metteremo prima di tutto Dio, restiamo sempre dominati dall'io. “Chi ama suo padre, sua madre, i suoi figli più di me, non è degno di me”. Vede che lezione dà il Signore? Bisogna arrivare a mettere Dio prima di tutto, cioè al centro dei nostri interessi, della nostra vita, dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, di tutto. Ecco quell'essenzialità che Dio rivelava in Maria, sorella di Marta, per la quale essa scavalcava il bisogno di piacere a sua sorella, per star lì a fare niente, ad ascoltare il Maestro. Scatena la critica attorno. Eppure supera tutto per ascoltare il Maestro. Il problema centrale è questo: fintanto che noi non superiamo questo io per mettere Dio al centro, per lasciar che solo Dio viva in noi, noi scivoliamo sul piano dell'io, cioè restiamo dominati dall'io e da tutti i prodotti dell'io; dell'io che assume molti volti: anche se non sempre è il volto del delitto, dell'orgoglio o dell'ambizione sfrenata. Quante volte noi trascuriamo Dio, mettiamo Dio fuori dalla nostra vita in nome di  doveri verso la famiglia, verso la società, verso il proprio nome, ecc. “Chi Gesù dice: non assaggerà la sua cena? Chi ha i buoi, la campagna e la moglie”, e sono tutte creature di Dio. Il Signore non dice: “Non assaggerà la mia cena” la prostituta, il ladro, il furfante; no, ma coloro che hanno il lavoro, ecc., cioè tutti quei doveri sacrosanti con cui noi giustifichiamo la nostra vita. Il Signore vuole insegnarci che quando accampiamo questi doveri come motivazione di disimpegno dall'essenziale, dalla ricerca di Dio, essi diventano per noi delitto, colpa e quindi uccisione del Figlio. Non tenendo conto di Dio, in nome di doveri, uccidiamo Dio. Detto così a parole, a noi non sembra vero, non sembra possibile che uccidiamo Dio se non teniamo conto di Dio: per questo abbiamo bisogno che Dio faccia a noi constatare la morte del suo Figlio. Noi non dobbiamo dire: “Chi ha mandato a morte suo Figlio sono gli Ebrei, è Pilato, Erode, Caifa, Giuda”. Ma dobbiamo chiederci quali sono i motivi, le intenzioni che hanno mandato a morte il Cristo. Allora ci diventa facile scoprire queste intenzioni anche in noi. E se in noi troviamo queste intenzioni siamo partecipi del sangue e della morte di Cristo.

Nino: Non è vero che sia facile scoprirle; ci vuole molto esercizio, perchè è vero che il nostro io camuffa in molti modi. Dobbiamo fermarci con molta attenzione per assimilare questa spiegazione ricevuta sul perchè della morte di Cristo.

Luigi: È una verifica continua che dobbiamo fare.

Nino: E non sempre riusciamo a scoprire l'io che è saltato fuori: abbiamo bisogno di tempo, di aiuto. Sono cose queste che prima dobbiamo accettare,ma poi sperimentare, valutare, momento per momento nel nostro comportamento.

Luigi: Cioè bisogna che scopriamo la morte di Cristo.

Cina: Senza la morte noi non capiamo la nostra colpa?

Luigi: Senza la morte del Cristo non possiamo capire la gravità del nostro male a pensare a noi stessi.

Nino: Chi più ha peccato più forse ha facilità a capire queste cose.

Luigi: Quando il male è più grosso è più facile vederlo. D'altronde se abbiamo bisogno di un male così grosso come la morte di Cristo per toccare il male che portiamo in noi, è evidente che abbiamo in noi cose grosse: più il male è massiccio davanti ai nostri occhi e più si evidenzia il male che portiamo in noi. Quando invece il male è molto attenuato, sfugge. Ci crediamo buoni: io quel male l'ho mai fatto, non ho mai ucciso nessuno, non ho mai rubato, sono a posto. Ecco il male è sottile e non ce ne accorgiamo. Per questo con facilità il nostro io assume l'aspetto del sentimento, anche della bontà verso tutti, ecc. e c'è il nostro io che salta fuori. Un bel giorno scopriamo che questo io è madornale in noi. Ora Gesù muore per farci toccare con mano che fintanto non riusciamo a mettere fuori il nostro io in modo da lasciarci guidare in tutto solo dallo Spirito di Dio, dal Pensiero di Dio, noi restiamo giocati dal nostro io. Con Dio è una verifica continua di amore della sua Presenza. Non è una cosa naturale. Naturale è il nostro io. La presenza di Dio in noi è soprannaturale, quindi richiede da noi un superamento continuo. Non è che uno possa dire: ora sono a posto, vivo così naturalmente, mi lascio andare e vivo bene, ho fatto i voti, ecc. e appartengo ormai alla via di salvezza. No, tutt'altro. Dio è trascendente, soprannaturale, quindi richiede da noi un superamento continuo, una verifica continua. Se noi ci lasciamo andare, crediamo che Dio sia con noi, ma quando Lo cerchiamo non c'è. Quindi Dio è con noi, ma bisogna che continuamente noi verifichiamo questa presenza, riportandoci sempre alla sua Presenza, ricordandoci sempre di Lui, in modo da lasciarci guidare da Lui, dal suo Spirito. Questo non avviene naturalmente. Naturalmente c'è il nostro io che domina.

Pinuccia: Bisogna conoscerlo per lasciarci guidare dal suo Spirito.

Luigi: Certo. Per questo bisogna cercare prima di tutto Dio e il suo Regno. Ma anche cercando Dio e il suo Regno, si richiede poi da noi sempre questa attenzione; è una vita di amore, e nella vita di amore...

Cina: C'è la morte in “tra mezzo”

Luigi: La morte non è in “tra mezzo”, la morte è all'inizio. È per iniziare questa vita che bisogna morire. Perché fintanto non moriamo a noi stessi, ci illudiamo di essere con Cristo. “Finora non avete pregato mai in nome mio”, dice Gesù ai suoi discepoli, ed erano tre anni che erano con Lui. “Tutti ti toccano, tutti sono con te” e nessuno Lo toccava. Comprende? Per cui noi possiamo illuderci di essere con Lui e non siamo con Lui, perché c'è il pensiero del nostro io.

Nino: È così evidente che non basta mettere a tacere l'io qualche volta. Finché non è morto salta fuori. E poi l'opera di Dio è graduale, a volte le prove sono poche, a volte si accavallano e … non ci siamo più.

Luigi: È una verifica continua, cioè Dio chiede a noi un'attenzione continua. È soltanto con questo sguardo rivolto a Lui, che allora ci lasciamo guidare da Lui; cioè il suo Spirito opera in noi nella misura in cui noi guardiamo a Lui. Bisogna imparare a diventare tutto ascolto di Dio, non soltanto quando chiudiamo gli occhi, nel silenzio di una chiesa o nel silenzio di una stanza e ci mettiamo lì alla presenza di Dio. Bisogna imparare a diventare ascolto di Dio, anche quando siamo per la strada, anche quando parliamo. Non dobbiamo mai permetterci di parlare da noi se non abbiamo in noi questa Parola di Dio che parla, questo Dio che parla con noi. Perché sì, il Signore ci invita: “Quando vuoi pregare entra nel segreto della tua stanza”. Ci insegna, per imparare ad ascoltare, a far tacere tutto. Il silenzio è un aiuto per far attenzione solo a Lui. È un aiuto per imparare ad ascoltarlo anche quando non siamo più in questo silenzio. Cioè bisogna imparare ad essere sempre in ascolto in tutto, ovunque noi siamo, “affinché dove io sono, siate anche voi”. Lui è dappertutto, Lui parla in tutto. Ma noi siamo capaci di ascoltare Lui? Il più delle volte non siamo capaci ad ascoltarlo in niente, né quando facciamo silenzio né quando siamo in mezzo ad altri; poi a poco per volta, attraverso le lezioni della vita, incominciamo a diventare capaci di ascoltarlo nel silenzio di tutto, quando facciamo tacere tutto; nel silenzio e raccoglimento incominciamo ad ascoltare Lui. È il primo passo per imparare ad ascoltare. Ma bisogna tendere ad avere questa attenzione rivolta a Lui, quindi questo silenzio di tutto in noi, anche quando parliamo, anche quando camminiamo, anche quando siamo in piazza, in mezzo a tutta la gente che urla. Bisogna imparare a restare con Dio. E quando ci accorgiamo che non siamo più in ascolto di Lui, dobbiamo scappare. Quando mi accorgo che in piazza, in mezzo al rumore della gente, ho smarrito la presenza di Dio, debbo affrettarmi a ritornare nel silenzio, per ricuperare la sua presenza, anche se mi costa magari i tre giorni di ricerca. Non debbo continuare così, perché ogni disattenzione da Lui mi costa poi un'azione di ricupero tre volte tanto. Quindi bisogna imparare ad ascoltare Dio. Questo non avviene in noi naturalmente, ma richiede da noi il superamento continuo di noi stessi e di tutto quello che può entrare nel nostro mondo o partecipare al nostro mondo. Dio non appartiene alla nostra natura. Dio è al di sopra di noi, ma essendo al di sopra di noi però non è lontano da noi, anzi chiede a noi di unirci a Lui per vivere con Lui, perché la vita eterna sta in Lui, sta nel conoscere Lui. Comprende? Ora la morte del Cristo avviene proprio per farci capire questo primo passo che dobbiamo fare per iniziare la vita con Lui, e questo primo passo sta nel morire a tutto il nostro mondo, nel morire a noi stessi. “Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, venda tutto ciò che ha”. Per questo “tutto ciò che ha” non si intende solo l'andare in un ordine religioso, per cui uno dice: “Io ho lasciato tutto, ho lasciato il mio mondo”; c'è tutto un mondo nostro di sentimenti, di esperienze, un mondo personale che dobbiamo lasciare, anche di conoscenze che dobbiamo lasciare. È tutto questo mondo che è molto più difficile da lasciare. È più facile lasciare un mondo materiale, un lavoro, una carriera. Ma lasciare certi nostri sentimenti, lasciare certe nostre esperienze, certe nostre conoscenze, superare tutto un nostro mondo personale, diventa molto più difficile; eppure è necessario. Cristo muore per questo, muore per renderci evidente ai nostri occhi che vivendo per queste cose, vivendo cioè per questo nostro mondo al cui centro c'è il nostro io, noi siamo causa della sua morte. Lui muore per farci capire questo,  affinché moriamo a tutto questo mondo, lo dimentichiamo definitivamente, non ci pensiamo più: “Ho capito, Signore, io credevo che vivendo così io potessi vivere bene, invece tu, morto in croce, mi hai fatto capire, mi hai aperto gli occhi, che, seguendo queste cose io ero causa della tua morte. Allora faccio fuori tutte queste cose, perché esse sono veleno, sono delitto”. Ecco, se mi convinco che è necessario che io faccia fuori dalla mia vita tutte queste cose che fanno perno sul pensiero di me stesso, allora la salvezza della morte del Cristo è arrivata fino a me. Perché non basta che io senta dire: “Cristo è morto per te”, o che io dica: “Signore io ti ringrazio che sei morto per me”. Non basta questo, perché fintanto che io dico: “Signore io ti ringrazio che sei morto per me”, ma continuo a vivere per il mio io, non ho capito niente della morte del Cristo. Ho capito della morte del Cristo e quindi ho iniziato il cammino della   salvezza quando ho capito che vivendo nel pensiero del mio io, lasciandomi guidare dalle mie impressioni, sono causa della sua morte. Il  giorno in cui mi scopro implicata in  questa morte e non la scarico più su gli altri ( “sono gli altri  che hanno ucciso, io sono fuori”, no, perché fintanto che penso questo sono fuori dalla mia salvezza), il giorno in cui scopro, ed è Dio che mi conduce a scoprire, (non sono io che scopro, è Dio che attraverso le lezioni e le prove della vita mi porta davanti alla sua morte) si apre davanti a me la via della salvezza. Tutte le cose che noi facciamo restano e alla sera ce le ritroviamo magari quando andiamo a dormire e i rimorsi ce li sentiamo, e attraverso tutte queste lezioni, questo crogiolo di pensieri, di problemi di coscienza che si formano dentro di noi, ecc. a poco per volta matura in noi il sospetto che in noi ci sia qualcosa di delittuoso, fino a farci scoprire che noi siamo causa della morte del Cristo. Scoprendo questo, capiamo allora perché Lui è morto: “Tu sei morto perché mi si aprissero gli occhi”; quel velo del Tempio che con la morte del Cristo si apre significa questo: noi abbiamo un velo sul nostro tempio interiore, un velo che ci copre per cui non percepiamo quello che avviene in questo Tempio dentro di noi. La morte del Cristo ci apre questo velo e noi vediamo, capiamo. Capiamo che cosa? Capiamo il delitto che portiamo in noi, il male che portiamo in noi. Comprendendo questo abbiamo la grazia di iniziare la vera vita. Ecco perché Cristo morto è motivo di salvezza, abbiamo la grazia per far fuori il nostro male: “Ho capito!”.

Nino: Di fare la diagnosi

Luigi: Ecco, di fare la diagnosi. Ma non è ancora la cura. Non è che avendo capito, io sia guarito, no. Avendo capito ho trovato la fonte del mio male. Avendo trovato la fonte, ho la possibilità di curarmi. Farò dei salti mortali, farò tutto quello che è necessario, ma ho capito il male! Prima invece ritenevo che non fosse male. Lontani da Dio noi ci troviamo in questo terribile sbaglio: riteniamo di fare bene e facciamo male, mandiamo a morte il Cristo e crediamo di rendere gloria a Dio. Lo dice Gesù. Uccidiamo i suoi profeti in nome di Dio. Questo per dire come in noi si formi la confusione dei valori. Con la morte del Cristo abbiamo la rivelazione del male che portiamo in noi. Allora avendo questa rivelazione abbiamo la possibilità di superarlo e quindi di mettere Dio al centro della nostra vita, e non più l'io. Qui incomincia la guarigione; qui incomincia la via della salvezza. Con tutta la tribolazione che ne consegue, è logico, ma ormai siamo sulla via della guarigione, perché abbiamo trovato il punto centrale che avvelenava tutto. Abbiamo trovato il centro di infezione. Prima tutte le nostre cure erano palliativi, ma il male continuava, a lavorare perché non colpivamo la nostra malattia nel suo centro. Ora è solo con Cristo che si evidenzia questo centro in noi, altrimenti non possiamo percepirlo. Ecco il motivo per cui il Padre manda a morte il  suo Figlio.

Pinuccia: Allora bisogna tener molto molto presente la morte di Gesù, per usufruire di questa grazia che ci dà, di questa possibilità di liberarci.

Luigi: Certo, è solo Lui che salva

Pinuccia: Ma nella misura in cui fissiamo lo sguardo su di Lui, alziamo lo sguardo a Lui.

Luigi: Bisogna, sì, rendersi molto conto dell'opera di Dio in Cristo. Poi quando uno si è reso conto  di questo, viene la verifica. Cioè uno non si lascia più guidare dall'impressione, dai sentimenti, dalle sue conoscenze, ma in tutto quanto interroga sempre il Signore; cioè non fa più centro il pensiero dell'altro o il pensiero di se stesso, ma Dio. Noi generalmente non ce ne accorgiamo, ma il nostro comportamento, le nostre scelte nella giornata sono sempre determinate o da una volontà diversa che arriva a noi, (la quale ci chiede un piacere: fammi questo o quest'altro), oppure dal pensiero del nostro io (questo mi fa comodo, questo per la figura, questo per far piacere a quell'altro, ecc., ma è sempre il nostro io che determina). Invece no, bisogna imparare a interrogare Dio: ecco il nostro io deve essere messo a tacere. Il nostro io è quell'albero del bene e del male di cui il Signore creando Adamo dice: “Non devi mangiarne i frutti”. C'è, ma deve essere silente in te. Il nostro pensiero, il nostro io è pensiero, è fatto per contemplare Dio, solo per guardare Dio, ma non dobbiamo mangiare i frutti del nostro io.

Pinuccia: Mangiarne i frutti vuol dire essere motivati dall'io?

Luigi: Certo, non dobbiamo lasciarci guidare da questo. L'albero c'è, ma tu non devi toccare i frutti. Infatti cos'è successo? Che la scelta di Adamo ed Eva è stata fatta mettendo fuori Dio: “Sarete come dei”: ecco l'io che salta fuori; mangiano il frutto dell'io. Non hanno più mangiato il frutto di Dio.

Pinuccia: Si sono messi al posto di Dio

Luigi: L'io diventa autonomo e incomincia la rovina. E in questo è determinata già la morte del Cristo. La creatura che non tiene conto di Dio e mangia i frutti dell'io: è lì che abbiamo già la morte del Cristo, che la creatura non può capire (ecco il mistero nascosto) e che capirà soltanto con la morte del Cristo. Ma la morte del Cristo operava già, perché l'uomo uccide Dio quando non tiene conto di Dio. Allora la vita ritorna in noi con la grazia, la possibilità di tener conto di Dio: “Ah, no, adesso ho fatto l'esperienza, adesso so, adesso non mi lascio più guidare né dagli altri, né dalla natura, né dai problemi di interessi, di doveri o non doveri, ma interrogo Dio”. Ecco: riferire sempre a Dio in modo che sia il pensiero di Dio a guidarci.

Nino: Non basta però la volontà

Luigi: No, è tutto grazia di Dio

Nino: Bisogna sempre dipendere, se no si sbaglia di nuovo.

Pinuccia: Si può stare sempre in questo ascolto continuo nella pura fede, senza vedere la presenza di Dio?

Luigi: No, proprio perché uno ha capito questo ha bisogno di conoscere sempre di più da vicino il Signore, perché più uno conosce da vicino l'Altro, più ha facilità di capire il suo pensiero, il suo Spirito, di operare secondo la sua Volontà. Se uno è molto lontano dalla conoscenza di Lui, tutte le volte che si trova a dover scegliere qualche cosa diventa un problema lunghissimo, perché non riesce a capire quale sia la sua volontà, quale sia il suo spirito, come deve fare, come non deve fare. Quindi diventa un problema grossissimo.

Pinuccia: Forse sta in ascolto, ma...

Luigi: Non  sente niente, è logico; perché è quanto più uno conosce il Signore che ha la possibilità e la facilità di ascoltare il Signore. E la vita eterna che cos'è? È proprio data dalla tanta conoscenza del Signore, per cui essa diventa, direi, quasi naturale (perché non c'è mai il naturale), cioè diventa talmente rapida la visione del suo Spirito, della sua Volontà che immediatamente la creatura ha l'intelligenza dell'opera di Dio. Quindi più uno conosce e più gli è facile vivere secondo lo Spirito; però per conoscere bisogna essersi dedicati molto a Dio. Più uno ha messo Dio come ricerca, e più la conoscenza aumenta poiché è Dio che rivela il suo Volto; ma per rivelare a noi il suo Volto richiede da noi questa attenzione, e l'attenzione è ricerca, questo superamento di tutto per ascoltare Lui: la funzione di Maria (“Si faccia di me secondo la tua Parola”). Ecco la creatura che si mette a disposizione della Parola. Ora la creatura per mettersi a disposizione della Parola deve aver superato tutte le parole degli uomini: “Io non conosco uomo”. Ecco l'altro volto della Madonna. Da una parte Maria dice: “Si faccia di me secondo la tua Parola”, ma dall'altra dice: “Io non conosco uomo, non voglio conoscere altro, non voglio andare da altri”. “ Tu solo hai parole di vita eterna”. Qui abbiamo la creatura che si apre solo all'ascolto di quella voce e fa tacere tutte le altre. Ora il far tacere tutte le altre voci è la morte, per aprirci all'ascolto dell'unica Voce, altrimenti quest'ascolto non è possibile. L'ascolto è essenziale per conoscere, perchè Dio solo è il rivelatore di se  stesso non siamo noi che possiamo conoscere. Ecco perchè è necessario l'ascolto. È il Verbo che parla e insegna a noi. “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo del Figlio: solo il Figlio conosce il Padre; nessuno può andare al Padre se non per mezzo di me”. Ecco allora l'ascolto della Parola. Quell'ascolto che era in principio ( “In principio era la Parola, era il Verbo...”) il fondamento della vita degli uomini. “Lui era la luce e la luce era la vita degli uomini”. Poi gli uomini hanno cercato la loro vita altrove, e allora è incominciata la morte. Invece la vita è nell'ascolto della Parola di Dio. Non cercarla altrove.

Pinuccia: Continuazione lettura riassunto:     - La risurrezione nostra avviene riferendo tutto a Dio;

- v.10: il paralitico si viene a trovare in conflitto tra due volontà: quella della legge e quella di Cristo... Entrambe procedono da Dio. Eppure la legge, le creature, ecc. mettono in conflitto l'uomo con Dio se l'uomo non alza il suo sguardo al Creatore. Infatti l'anima di tutta la creazione, della legge,ecc. È: “ama!cerca! Pensa al tuo Signore!...”.

         Gesù prende su di sé questo conflitto, per evidenziarci la necessità di superare l'io, che vorrebbe appropriarsi dei segni (legge, creature, ecc.) e di sottometterlo al Creatore: “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta”. Non conta ciò che si fa ma ciò che si pensa; tutto ciò che facciamo deve essere un mezzo per pensare a Lui, per conoscere la sua Presenza. Quello che ci ispira di fare o di non fare è soltanto perchè facendo  così noi siamo aiutati a conoscere di più Lui; ma la meta non sta nel fare, la meta sta nel contemplare Lui... L'importante è sempre tener presente la finalità dell'opera di Dio che è quella di  educarci al suo Infinito, di inserirci nella vita del suo Spirito, rivelandoci la sua Presenza... Se uno non si preoccupa di conoscere Dio, di riferire tutto a Dio, uccide Dio, pensando di fare la sua Volontà (che ha trasformato in regola...).

Luigi: Si è ripetuto proprio ciò di cui si è parlato: problema della morte, della funzione della morte, la necessità del superamento dell'io.

Nino: Non è stato facile arrivare a capire che Gesù ha preso su di Sé i nostri peccati.

Luigi: Tanta difficoltà per noi è anche data dal fatto che noi tante cose le diamo per scontate, perché  le abbiamo sempre sentite dire. Noi diciamo: “Questo io lo so, perché l'ho sempre sentito dire”. Quante volte sentiamo gente che dice: “Il Vangelo lo sentiamo sempre in chiesa”, quindi uno non si pone      nemmeno il problema, né di approfondire, né di vivere il Vangelo. “Le so già”, “Sì, sì, Gesù ha preso su di Sé i nostri peccati”: è una cosa che ormai sappiamo da quando andavamo al catechismo, e non ci rendiamo conto che non sappiamo niente. Per questo il Signore dice: “ Io sono il pane che va mangiato”. Le parole sue, i fatti suoi, vanno mangiati da noi personalmente. Quello che mangia un altro non serve per me. Ora mangiare vuol dire proprio capire, assimilare. Per questo anche questa parola: “ha preso su di Sé i miei mali, le mie colpe”, è una frase che va mangiata, personalmente da ognuno di noi, perché soltanto quando l'abbiamo capita ( “mangia questo libro”) diventerà nostra vita, altrimenti non possiamo trattenerla. Naturalmente mangiandola mi fa venire mal di pancia, mi dà dolore, perchè la Parola arreca una tribolazione. Ma soltanto quando l'abbiamo capita incominciamo la strada della redenzione, della liberazione: la vita con lo Spirito di Dio.

Cina: È nel venerdì Santo che si legge che il velo si squarciò.

Luigi: È nel Vangelo, nel racconto della passione. Con la morte alle tre, nel momento in cui Gesù lanciò un alto grido e muore, in quel momento la terra, le rocce si aprirono e il velo del Tempio si squarciò. Teniamo presente quello che significa il Tempio. Ognuno di noi ha questo tempio dentro di sé. Questo tempio è nascosto da un velo per noi. Noi non capiamo quello che avviene dentro. È la morte del Cristo che ci apre questo velo e ci fa capire e ci rivela quello che portiamo dentro. Il più delle volte noi dentro questo Tempio, anziché avere il Santo dei Santi, di avere l'adorazione di Dio, abbiamo gli idoli, abbiamo gli animali, abbiamo le nostre passioni, abbiamo il pensiero dell'io sull'altare (i mercanti del Tempio), ma non ce ne rendiamo conto. È la morte del Cristo che squarcia il velo. È convinta?

Cina: Lo dice il Vangelo, al Vangelo si crede.

Luigi: Siamo sempre lì, è quel credere che deve farci desiderare di capire. Bisogna essere convinti. Il Vangelo va assimilato, mangiato. Non basta che dica: lo dice il Vangelo. Giusto, si, bisogna credere, perchè è attraverso la fede che si arriva a mangiare. Ma non basta dire: lo dice il Vangelo e io lo credo. Quante persone dicono: “io credo, non ho difficoltà a credere”; poi invece, man mano che la vita si fa difficile, non si riesce più a credere e non si può più vincere il mondo. Se la fede non ci porta più a conoscere, se non ci fa desiderare di capire, la nostra fede se ne va, noi non possiamo trattenerla, è come il tempo che non possiamo trattenerlo: se ne va. La fede è lo  stesso. O la fede ci porta a desiderare di capire, e quindi a capire (per cui noi crediamo per arrivare a capire, ma solo per arrivare a capire) o la fede se ne va. La fede è una proposta.

Pinuccia: Nella lettura del riassunto ho notato un riferimento a quanto lei ha detto prima a proposito della necessità del superamento dell'io, perchè a volte è una ricerca dell'io il cercare di far piacere alle creature: “Dio ci dà la legge, le creature, ecc.”, non perchè ce ne appropriamo dimenticando Lui, non perchè ne facciamo regola di vita o cerchiamo di piacere a queste norme o creature, ma perchè attraverso di esse (ecco l'anima della legge, della creazione, che noi non capiamo o trascuriamo pensando a noi) noi alziamo gli occhi al Creatore e non li arrestiamo alle singole cose.

Luigi: Nel pensiero dell'io noi ci arrestiamo alle singole cose. È quello di cui si parlava ieri sera con l'adultera: la legge il Signore ce la dà per cambiare noi stessi, non per fare un tribunale. Invece noi adoperiamo la legge nel pensiero dell'io, perchè come noi pensiamo a noi stessi, il nostro io resta da parte, diventa un Assoluto. E allora noi adoperiamo la legge, la regola, la norma che il Signore ci dà, per giudicare gli altri, proiettiamo sugli altri e facciamo un tribunale.

Pinuccia: Qui per quel che si riferisce alla legge, è più facile capirlo. Quello che è più difficile capirsi è quando si riferisce alle creature, forse perchè possiamo sbagliarci a interpretare la carità.  Ci è sempre stato insegnato che dobbiamo amare gli altri, cercare di far piacere agli altri, ecc. ed è lì che dobbiamo ricordarci invece che l'anima della legge e delle creature è la ricerca del Signore, e quindi anche quelle creature che debbo amare mi son date perchè io mi ricordi del Signore, senza preoccuparmi di piacere a loro.

Nino: A volte anziché giudicare la creatura in male la giudichiamo in bene, la assolutizziamo.

Luigi: Certo, ed è lo stesso errore. Quando il Signore dice: “Chi ama suo figlio, sua figlia più di me, non è degno di me”, lo dice perchè c'è anche l'errore di amare la creatura più di Dio, di preferirla a Dio; ed anche lì è una proiezione dell'io, per cui noi certe persone le denigriamo, le giudichiamo, siamo severi; invece ad altre concediamo troppo; facciamo un errore sia da una parte che dall'altra. Soltanto col pensiero di Dio possiamo vedere bene.

Nino: E quando consideriamo troppo le creature, dopo un po' di tempo le giudichiamo, perchè tutte le creature deludono.

Luigi: Certo, infatti l'odio è l'altra faccia dell'amore: si passa con facilità dall'amore all'odio.

Nino: Ieri sera si parlava dello scandalo: quello che fanno i mass-media,  ecc. è tutto scandalo, perchè portano ad idolatrare cose che sono relative.

Pinuccia: Comunque tutto ci è dato perchè noi pensiamo al Signore e non perchè abbiamo a preoccuparci del comportamento che dobbiamo avere nei confronti di queste persone, cose, creature, vero?

Luigi: Certo, tutto è un richiamo a Lui, e alzando lo sguardo a Lui impariamo da Lui, ci lasciamo  guidare da Lui, dal suo Spirito. Ed allora anche il comportamento con le creature deriva da quello, sempre. Per questo Gesù dice: “il secondo comandamento”; ma è il secondo; deve essere sempre  dopo. Quindi ci vuol sempre questo “primo”. Se non c'è questo primo, il secondo automaticamente in noi diventa primo, e allora diventa determinante. Bisogna sempre che ci sia il primo. Non è che uno possa dir: “Beh, adesso ho soddisfatto al primo e mi rivolgo al secondo”. No, no: il primo deve sempre essere il primo. È un primo che deve sempre essere messo, per cui in tutte le cose, deve sempre essere il primo.

Nino: Desidererei una spiegazione più approfondita della “messe” intesa come  fame, perchè un tempo la si intendeva come l'umanità da evangelizzare; l'apostolato. Poi successivamente abbiamo visto in questi incontri che la messe è l'insieme dei segni di Dio, dei segni che Dio ci manda. Oggi nella meditazione domenicale è scritto che la messe è la fame di conoscere Dio. Come mettere assieme le  due cose?