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Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Gv 5 Vs 14 Primo tema.


Titolo: L’attesa nel tempio


Argomenti: Acqua stagnante e agitata. Col fallimento dell’io arriva Cristo. Nell”Alzati”, c’è il superamento dell’io. Non vedere la presenza di Dio. Il desiderio della Presenza ci fa entrare nel tempio. Il conflitto col mondo. Ateo e credente. Testimoniare il dono di Dio con la prova. Attraverso tanti no, si forma il si a Dio. Dentro e fuori dal tempio. Ascensione e pentecoste.Dio trova noi. Nel tempio non si entra senza di noi. Accettare ciò che si capisce  e ciò che non si capisce. L’adultera.

Conquistati da chi ci libera dalla morte. Essere trovati da Dio. L’autenticità.


 

7/Maggio/1978


Pensieri tratti dalla conversazione:

Eligio: L’immersione nella piscina significa mettere Dio prima di tutto superando il proprio io. Il paralitico, proprio perché paralitico, non poteva buttarsi. Ma da Gesù resta guarito, senza che l’abbia impegnato a superare se stesso. Ora non mi pare che questo rientri nella logica della ricerca di Dio, perché Dio si comunica a noi nella misura in cui noi superiamo noi stessi per accogliere Lui (es. parabola delle vergini stolte, nelle quali Dio non conosce nulla di Sé in esse, perché sono piene del pensiero di se stesse). Qui invece ci troviamo davanti ad un atto magico di Gesù. Come mai? Il paralitico da solo non poteva buttarsi!

Luigi: Non poteva buttarsi perché c’era un altro pensiero che glielo impediva. Intanto dobbiamo tenere presente che l’acqua che si agita simboleggia il Cristo mentre l’acqua stagnante simboleggia la vita nel pensiero del nostro io, la vita lontana da Dio. L’acqua agitata dall’angelo è il segno del Verbo, perché il Verbo è l’acqua viva: “L’uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Il Verbo viene da Dio quindi è acqua viva che dà a noi vita. Il rifiuto di Dio forma in noi l’acqua stagnante, cioè acqua morta: in questa Dio opera ancora per offrirci la possibilità di guarire. La venuta del Cristo sostituisce la piscina, l’angelo, l’acqua agitata, sostituisce tutto: non c’è più bisogno di buttarsi. Il Cristo non è l’uomo che viene a buttare il paralitico nell’acqua agitata dall’angelo. Quando il Cristo arriva sostituisce il rinnegamento di noi stessi, perché Cristo venendo a noi, lo pone Lui stesso: “Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso”.

Eligio: Sostituisce il rinnegamento di noi stessi?

Luigi: Quando viene cosa dice a quest’uomo? “Vuoi essere guarito?”. E quest’uomo cosa risponde? “Signore non ho nessuno”. Quest’uomo testimonia la sua miseria, la sua povertà: “Signore non ho nessuno”. In questo: “Non ho nessuno!” lui praticamente confessa che non ha più nessuna risorsa. Non l’ha superato ma è a terra. Non fa più conto su niente: “Non ho nessuno”. E proprio in questa povertà (infatti i trentotto anni di malattia rappresentano l’esaurimento di tutte le nostre risorse, per cui l’uomo non ha più nessun appoggio, ha provato tutto, tutte le medicine, tutti i medici, peggiorando la sua situazione), che arriva il Cristo. Il Cristo arriva dopo che noi abbiamo sperimentato tutte le nostre risorse e abbiamo toccato con mano che non ce la facciamo. Quando siamo vicino al fallimento (con i trentotto anni di malattia siamo alla fine della vita, simboleggiata dal numero quaranta), arriva quello che non ci sognavamo nemmeno: il Cristo! Il Cristo che ci dice: “Vuoi essere guarito?” e noi rispondiamo: “Non ho nessuno!”. Il paralitico che dice: “Non ho nessuno!”, non sa che ha davanti a sé Dio. Allora Gesù gli dice: “Alzati!”, ecco il superamento. questo: “Alzati!”, significa elevare il nostro sguardo a Dio, al cielo, perché è lì la guarigione. La guarigione non sta nel: “Prendi il tuo lettuccio” o nel: “Cammina”, ma sta nel: “Alzati!”; cioè: “Alzati dal pensiero di te stesso, dal tuo mondo, dal tuo niente, dal far conto sugli altri e guarda Dio!”. Guarda a Dio perché è Dio che ti guarisce. Dare all’uomo la possibilità di alzare gli occhi a Dio è dargli la possibilità di superarsi. Ecco, in questo: “Alzati!”, c’è il superamento dell’io. Cristo quando viene, la prima cosa che dice è: “Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso”. Rinnegare se stesso vuol dire: “Cessi l’uomo di guardare alla sua terra, al suo mondo e volga il suo sguardo a me, in alto”. La salvezza viene dall’alto. “Gesù lo trovò nel tempio”, l’essere trovati nel tempio è proprio essere raggiunti dall’alto. C’è un parallelismo impressionante tra questo argomento a cui siamo giunti, con questa settimana che stiamo vivendo, i dieci giorni tra l’Ascensione e la Pentecoste; questi sono i dieci giorni in cui i discepoli di Gesù devono stare nel tempio di Gerusalemme, perché ascendendo al cielo Gesù raccomanda loro: “Restate in Gerusalemme fintanto che non siate investiti dall’alto”. Ora, quel restare nel tempio in attesa, significa che la novità viene da Dio, perché non basta entrare nel tempio per essere trovati da Dio. L’essere trovati da Dio è una novità di Dio, è un salto di qualità nella nostra vita, una conoscenza nuova. Noi siamo trovati in quanto lo Spirito scende in noi dall’alto. È opera di Dio. Ma è proprio se siamo trovati che noi scopriamo la presenza di Dio. Noi ci troviamo in un mondo in cui Dio è presente, ma noi vediamo ben altre presenze. Non vediamo Lui presente. Crediamo che Lui sia presente, ma non lo vediamo presente. Tutto quello che vediamo è altro da Dio. Abbiamo presente ciò che non è Dio e Dio che è presente non l’abbiamo presente. Ecco la situazione in cui si trova l’uomo. La volta scorsa abbiamo notato che l’uomo non ha la possibilità di rendere presente niente e nessuno. Desidera la presenza ma non ha la possibilità di rendere presente Colui che è assente. Possiamo desiderare la presenza di un amico, ma con tutto il nostro desiderio non possiamo renderlo presente. Però in questo mondo, fuori dal tempio, in cui Dio per noi è assente (perché il tempio è il luogo in cui Dio rivela la sua presenza, il che non è automatico), in questo mondo in cui per noi Dio è assente e i presenti sono altri, Dio annuncia la sua presenza. Infatti se crediamo alla sua presenza, è perché Dio l’annuncia, quindi ci dà il desiderio di vederla. Ma il desiderio di vedere la sua presenza non è la possibilità di vederla. Però il desiderio di vedere la sua presenza è quello che ci muove e ci fa entrare nel tempio. L’altra volta abbiamo detto che è a forza di dire tanti “no” che si arriva a dire di “si”, però a fondo di tutti questi “no”, c’è il desiderio della presenza. Questo paralitico guarito che comincia a camminare (non è stato guarito del tutto perché non sapeva ancora chi fosse Gesù, però cominciava a camminare; non sapeva dove andare, però portava con sé la guarigione da parte di uno sconosciuto), si trova in conflitto con i sacerdoti, i farisei della legge che gli dicono: “Non puoi fare quello che fai perché è sabato e non puoi portare il tuo letto!”. Ma lui testimonia e dice: “Colui che mi ha guarito mi ha detto: prendi il tuo lettuccio e cammina”. Questo conflitto (ed è Dio che glielo mette di fronte), suscita in lui un maggiore desiderio di conoscere Colui che l’ha guarito. Ecco come i “no” ci portano a desiderare di conoscere, di vedere, di rivedere. È il desiderio di conoscere Colui che ci ha dato la vita che ci fa camminare e ci introduce nel tempio.

Eligio: Allora ripetendo “no” a quello che noi sentiamo come contrario a Dio, necessariamente arriviamo all’incontro con Dio? Anche se non abbiamo evidente la persona?

Luigi: Si perché non puoi dire “no” se non hai dentro di te un “si”. Sembra quasi una sciocchezza il fatto che Gesù gli abbia detto: “Prendi il tuo lettuccio”, invece in queste parole c’è un profondo significato. Il Signore avrebbe potuto dire: “Alzati, cammina, lascia il tuo giaciglio!”, invece gli ordinò: “Prendi il tuo lettuccio”, gli ha detto una cosa che è contro la legge. Ma gliel’ha detto proprio perché mettendolo in conflitto con una regola, lo promuoveva sul cammino della fede, e quindi sul cammino della necessità di vedere Colui che l’aveva guarito, cioè di ritrovarlo. Era stato guarito, ma siccome adesso era in conflitto con il mondo, questo conflitto lo portava nella necessità di vedere Colui che egli difendeva. Così coloro che credono in Dio vengono a trovarsi, proprio per la fede in Dio, in conflitto con il mondo, perché non possono approvare il mondo e quindi nella necessità di conoscere di più Dio, per poter sostenere questo conflitto con il mondo. Ma guarda cosa succede: anche coloro che negano Dio, che si professano atei, hanno il bisogno di conoscere di più Dio per potersi convincere di quello che negano. Ad un certo momento ci troveremo tutti attorno a Dio: chi da una parte chi dall’altra, ma tutti attorno a Lui. Dio diventa il centro massimo di attrazione per coloro che lo amano e anche per coloro che lo negano.

Eligio: È importante sapere questo: che scartando tutto quello che ci pare contrario a Dio, noi per esclusione, arriviamo a Dio.

Pinuccia: Si, perché Lui non lo conosciamo, per cui non possiamo dire di “si” a Lui, ma possiamo solo dire di “no” al mondo.

Luigi: Ma capisci che per dire di “no” al mondo, devi avere dentro di te qualcosa di Lui, altrimenti non puoi dire di “no”.

Pinuccia: La sua parola.

Luigi: Si, la sua parola. Infatti il paralitico di fronte all’obiezione: “Non ti è lecito portare il tuo letto, perché oggi è sabato, la legge non lo permette”, risponde: “Colui che mi ha guarito mi ha detto di farlo”. Quest’uomo aveva nel suo cuore Colui che l’aveva guarito. E proprio perché l’aveva nel suo cuore, questo lo porta a dire: “no” al mondo e a non seguire il mondo. Ma non seguendo il mondo gli fa sentire maggiormente il bisogno di incontrarsi con Colui che l’ha guarito, perché non lo conosceva. Infatti Gesù si era allontanata dalla folla. Quindi la sua conoscenza che egli aveva di Gesù era secondo la folla, era secondo il mondo. In mezzo al mondo, se Gesù fosse stato tra la folla, quell’uomo avrebbe gridato: “Ecco là colui che mi ha guarito!”. Invece no, Gesù non era tra la folla. Ma Gesù, allontanatosi dalla folla, lo invitava ad entrare nel tempio di Dio. Ecco il significato di quell’allontanamento.

(Interruzione per nuovi arrivati)

Luigi: Riepilogando la situazione è questa: questo paralitico che viene guarito da Gesù, rappresenta la situazione di ognuno di noi; ma di ognuno di noi dopo che ha sperimentato tutte le sue risorse umane per realizzare la sua vita; cioè dopo che ha fatto conto sulle cose del mondo, sui proprio impegni, sui suoi programmi. Ad un certo momento tocchiamo con mano che noi da soli, con tutte le nostre forze, con tutti i nostri impegni, con tutta la nostra buona volontà, non ce la facciamo né a trovare Dio, né a risolvere quella vita che corremmo impostare. D’altronde Gesù stesso dice: “Dove io sono voi non potete venire”. È necessario che l’uomo sperimenti tutte queste cose, perché quando incontra Gesù, deve incontrarlo da povero. Ecco è anche per questo che Gesù arriva molto tardi nella vita del mondo e forse anche nella nostra vita, perché quando il Signore ci incontra, deve incontrarci con quella disponibilità di animo che ha l’uomo che sa di non avere più nessuna risorsa per la propria vita, per cui tutta la sua speranza è solo in Lui. Se l’uomo incontrasse Gesù prima di fare l’esperienza della sua impotenza e della sua incapacità, non valorizzerebbe l’incontro con Gesù, come lo valorizza quando ha già sperimentato il suo niente. Ora quest’uomo che era paralizzato da trentotto anni (trentotto anni rappresentano quasi tutta la vita, perché la vita è significata dal numero quaranta: quarant’anni è il tempo per passare dal deserto al monte di Dio), ormai è ridotto all’impotenza: incontrando Gesù, incontra la sua salvezza. Ma il Signore lo guarisce dicendogli: “Alzati!”. Ecco la parola, il Verbo con il quale il Signore guarisce noi. “Alzati”, cioè alza il tuo occhio dal tuo mondo, dal tuo io, dalla tua vita; “Alzati!”, cioè portati in alto, perché è dall’alto che viene a noi la salvezza, la liberazione (che rappresenta poi la Pentecoste: lo Spirito che scende a noi dall’alto). Dice: “Alzati e cammina!”. Però prima di dirgli: “Cammina” gli dice: “Prendi il tuo letto”. Ora proprio mentre porta il suo giaciglio, entra in conflitto con i tutori della legge, con coloro che gli dicono che non può portarlo perché è sabato (Gesù l’aveva fatto di proposito). Ora questo conflitto è ancora Dio che glielo mette davanti, per farci constatare che Lui dopo averci dato il suo dono, ci mette alla prova. Anche la prova e la tentazione è sempre opera di Dio, per darci la possibilità di possedere il suo dono. Perché non basta che il dono di Dio arrivi a noi; bisogna che noi testimoniamo questo dono che abbiamo ricevuto. E come lo testimonieremmo se non fossimo messi alla prova? Allora ecco che il Signore ci mette alla prova, cioè ci mette nell’occasione di dimostrare lo Spirito al quale vogliamo appartenere. Il Signore dicendogli: “Prendi il tuo letto e cammina”, lo mette in conflitto con la legge, perché di sabato non poteva portare il suo lettuccio. Per questo gli fanno l’obiezione: “Tu non puoi fare questo”. Ma lui risponde: “Colui che mi ha guarito mi ha detto di portarlo”: è per questo che dicendo tanti “no”, ad un certo momento si forma in noi il vero “si”, la vera adesione a Dio. Dio ci provoca, attraverso tutte le occasioni del mondo, tentazioni, in cui ci viene detto: “Metti prima di tutto il denaro, metti prima la figura, metti il tuo nome, l’ambizione, ecc.”. Se uno ha dentro di sé il Pensiero di Dio dice: “No! No! No!”. Perché? Perché Colui che mi ha dato la vita mi ha detto una cosa diversa. Ecco, a forza di dire: “No”, si forma in noi il desiderio di conoscere Colui che difendiamo, che portiamo in noi. È questo desiderio che ci fa entrare nel tempio di Dio. Parlando del tempio avevamo fatto la distinzione tra l’essere fuori del tempio e l’essere dentro. Il tempio di Dio è il luogo in cui Dio rivela la sua Presenza. Essere fuori dal tempio è essere là dove non si vede la Presenza di Dio, ma si vedono altre presenze. Ora, fintanto che riteniamo che le cose dipendano da altri anziché da Dio, siamo fuori dal tempio: facciamo conto su altro, crediamo che ad operare siano altri, noi, ecc.. per entrare nel tempio bisogna convincerci che Dio è Colui che fa tutto, che opera tutto, dal quale tutte le cose dipendono: è la condizione per entrare nel tempio, ed è la condizione per arrivare a scoprire la Presenza di Dio. La Presenza di Dio si rivela soltanto nel tempio di Dio. Però in questo tempio non possiamo entrare da soli. Il tempio in cui si manifesta la Presenza di Dio è quel luogo di cui Gesù stesso parla: “Dove io sono voi non potete venire”. Però Gesù dice anche: “Io vado a prepararvi un posto affinché dove sono io siate anche voi”. Quindi Gesù dice: “Dove io sono voi non potete venire”, ma non lo dice per escluderci, altrimenti non direbbe: “Io vado a prepararvi un posto affinché dove io sono siate anche voi”. Il Signore dice questo per insegnarci qual è la via per entrare nel tempio. Cioè dice che noi da soli non possiamo entrare nel tempio, però con Lui si, anzi Lui è la via che ci fa entrare nel tempio se viviamo e seguiamo le sue parole. Questo paralitico guarito stava incarnando la Parola di Colui che l’aveva guarito. Lui non sapeva chi fosse, però stava facendo le sue parole, viveva secondo esse. Infatti di fronte agli altri che gli dicono: “Tu non puoi fare questo!”, risponde: “Colui che mi ha guarito mi ha detto di farlo!”. Quindi stava facendo la parola di Dio; facendo la parola di Dio, questa lo introduce nel tempio di Dio. Infatti “poco dopo” Gesù lo trovò nel tempio, ci dice il vangelo. “Poco dopo” che lui aveva detto queste parole, che aveva testimoniato di voler fare la parola di Colui che l’aveva guarito. Allora Gesù lo trovò. Non è il paralitico che trovò Gesù, ma è Gesù che trovò il paralitico perché nel tempio non siamo noi che scopriamo, ma siamo noi che siamo scoperti; non siamo noi che troviamo ma è Dio che trova noi. Per questo dico che in queste parole troviamo significato il tempo di Pentecoste, questo periodo tra l’Ascensione e la Pentecoste, in cui Gesù raccomanda ai suoi di restare a Gerusalemme, nel tempio, in preghiera, fintanto che lo Spirito non sarà sceso su di loro dall’alto. È lo Spirito di Dio che rivela la Presenza di Dio, lo Spirito che scende dall’alto. Quindi è lo Spirito di Dio che trova noi, scende dall’alto e trova noi, ci rivela la Presenza di Dio: “In quel giorno conoscerete il Padre e me”. “Come avviene che tu ti manifesti a noi e non al mondo?” gli chiede un discepolo. Gesù gli risponde: “Chi mi ama, osserva le mie parole, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e faremo la nostra dimora in lui”; queste parole coincidono con la Pentecoste. Quindi la discesa dello Spirito dall’alto è rivelazione della Presenza del Padre e del Figlio in noi; rivelazione che avviene nel tempio.

Eligio: La creatura deve entrare nel tempio, cioè mettere Dio prima di tutto, ma Dio ha i suoi tempi per manifestarsi.

Luigi: Si, perché non basta essere entrati nel tempio per trovare la Presenza di Dio. È necessario entrare nel tempio, ma non basta per trovare la presenza di Dio, perché la presenza di Dio ci viene dall’alto. È Dio che trova noi. Fintanto che Dio non trova noi, noi non possiamo, per quanto lo desideriamo, rendere presente Colui che è assente. Dio opera per farci desiderare la sua presenza, ma non basta il nostro desiderio per trovarla. La sua presenza è dono suo. Fuori del tempio possiamo essere trovati da Dio anche senza di noi: quel paralitico fu trovato da Gesù due volte: una volta fuori del tempio e una volta dentro il tempio; ma fuori del tempio l’ha trovato senza che l’altro facesse niente, era impotente, malato, misero, ridotto sul lastrico, e Gesù gli ha dato la possibilità di camminare. Ma nel tempio non si entra senza di noi, senza cioè che lo vogliamo espressamente. Fuori dal tempio si è anche senza di noi, per condizionamenti sociali, ambientali, del mondo. Noi siamo fuori dal tempio naturalmente: non vediamo Dio, ma vediamo altro. Dio opera fuori di noi per infondere in noi il desiderio di vedere la sua Presenza e quindi di entrare nel tempio; ma noi nel tempio non entriamo senza di noi; cioè senza quell’uomo di fronte all’obiezione dei farisei che gli dicono: “Tu non puoi portare il tuo lettuccio”, avesse buttato via il letto perché: “Voi siete l’autorità che mi dice che non posso portare il mio lettuccio!”, lui non sarebbe entrato nel tempio. Invece dicendo di no a loro, ecco la partecipazione personale, vi entrò. Per cui c’è l’”Alzati!”, cioè: “Alzati dal pensiero di te stesso! Ma poi devi dire anche di “no” al tuo mondo”. Quindi si richiede un superamento del nostro io e un superamento di tutto il mondo. È in base a questo rinnegamento totale che si entra nel tempio. Però non basta ancora essere nel tempio per trovare la presenza di Dio: la presenza di Dio viene da Dio. Infatti il Signore prima di mandare il suo Spirito, lo Spirito che viene dal Padre, li fa aspettare dieci giorni. Questi dieci giorni di attesa tra l’Ascensione e la Pentecoste rappresentano proprio quel poco di tempo che è necessario perché la creatura si convinca che non è lei che la presenza. Noi abbiamo bisogno di convincerci, anche dentro il tempio, che se Dio rivela la sua presenza, è stato tutto dono suo. Ecco, il desiderio nostro che abbia reso presente Colui che noi desideravamo.

Eligio: E poi lì subentra quell’azione misteriosissima di Dio, per cui Lui stabilisce la sua abitazione nell’anima, in cui la creatura non può più niente.

Luigi: Perché in questi dieci giorni abbiamo significata la notte passiva dell’anima. L’anima può solo pregare e non può fare niente, perché qui l’anima è tutta dipendente da Dio. Così arriviamo all’anima tutta dipendente da Dio. ecco, per entrare nel tempio l’anima può ancora fare qualcosa perché dice “no”, sollecitata da Dio; ma dentro il tempio l’anima non può più fare assolutamente niente perché è nel luogo in qui tutto è dipende da Dio. Si è quindi in quella notte passiva in cui l’anima può solo vegliare in attesa che lo Spirito discenda. Infatti il Signore dice: “Restate in preghiera in Gerusalemme (quindi in questa interiorità), fintanto che lo Spirito non discenda a voi dall’alto”. La rivelazione della presenza è puro dono di Dio che trova noi; è necessario che trovi noi perché soltanto trovandoci ci fa il posto per la sua presenza; siamo noi, nel pensiero dell’io, che sfuggiamo a questa presenza. Qui ci avviciniamo al significato della transustanziazione della Messa, in cui Dio fa “suo” quello che noi gli offriamo. Dio fa “suo”, cioè ci trova. Trovarci vuol dire che fa “suo” quello che è nostro. È quanto avviene a Pentecoste. E lì abbiamo il salto di qualità, per cui passiamo dalla conoscenza secondo il mondo, alla conoscenza secondo Dio, cioè alla conoscenza essenziale. In quanto Dio dice: “Questo è mio”, trova noi; ma è necessario l’offertorio, è necessaria l’offerta da parte nostra, la dedizione: ecco la notte passiva. Su quello che noi mettiamo a disposizione di Dio, Dio scende a prendere possesso e dice: “Questo è mio”. Qui abbiamo il passaggio dalla conoscenza negativa a quella positiva (simboleggiata dalla Sindone: il passaggio dal negativo al positivo), il passaggio dalla conoscenza di Dio secondo le creature (conoscenza negativa perché noi conosciamo Dio secondo il mondo per ciò che Dio non è: ad esempio sappiamo che Dio non è il tavolo, non è la creatura, non è questo, non è quello ma non possiamo conoscere quello che Dio è in Sé), alla conoscenza di Dio secondo Dio che è una conoscenza positiva, perché a Pentecoste con la discesa dello Spirito Santo, conosciamo quello che Dio è e cominciamo quindi a conoscere le cose nella loro vera essenza, da Dio. È Dio che porta noi in alto e ci conduce a vedere dall’alto secondo il suo punto di vista, secondo ciò che Egli è. L’Essere è appunto quel “Dove io sono” di cui parla Gesù. Egli ci conduce a quel “Dove io sono e ci dà la possibilità di vedere.

Maria: In tutto questo episodio del paralitico io vedo come il Signore guida l’uomo, lo aiuta e continua a seguirlo: Gesù fa il primo passo verso quest’uomo che non può muoversi, poi gli dice di fare una cosa che è contro la legge e poi lo conduce nel tempio.

Luigi: Certo, però non lo conduce per mano, perché Gesù si allontana, ma l’ha messo nelle condizioni di camminare. Infatti gli altri ad un certo momento gli chiedono: “Ma chi è colui che ti ha detto: prendi il tuo lettuccio e cammina?”. Quello guarda ma non sa chi sia, perché Gesù si era allontanato dalla folla e lui non sa, non può dire chi sia. Ora, quell’allontanarsi dalla folla ci rivela quello che Gesù dirà anche agli Apostoli: “È necessario che io me ne vada perché se non me ne vado non può venire a voi lo Spirito di Verità”. “È necessario che io me ne vada”. Gesù ci precede, quindi è Lui che ci viene incontro, poi si allontana. Non ci viene incontro per restare con noi ma ci viene incontro per darci la possibilità di camminare, perché noi siamo paralizzati; ma come noi cominciamo a camminare, Lui ci precede, e quando noi lo cerchiamo tra la folla, non lo troviamo più. Appunto perché non c’è più, ci sollecita ad entrare nel tempio. Per cui seguendo Lui c’è il passaggio da quello che è il mondo esteriore, la folla, a quello che è il nostro mondo interiore (il tempio rappresenta il nostro mondo interiore dove Dio abita, dentro di noi). Così accade quando Lui ascende al cielo. Ci precede nel mondo interiore ed invita noi ad entrarvi, perché lo troveremo lì. E quando lo troveremo lì, lo troveremo come una presenza che non verrà più meno, mentre invece la presenza esteriore è una presenza che viene meno; infatti il Signore dice: “È necessario che io me ne vada, perché se non me ne vado non può venire a voi lo Spirito”. Ora, se lui dice: “È necessario che io me ne vada” a maggior ragione tutte le creature dicono a noi: “È necessario che noi passiamo perché se non passiamo lo Spirito della presenza di Dio non può venire a te”. Ecco perché tutte le cose passano e tutto il mondo passa: per lasciare il posto, perché altrimenti in noi non c’è il posto per la presenza di Dio. Il Signore dice: “Io vado a preparare il posto”. Ma come va a preparare il posto? Appunto perché ci invita a lasciare tutto un mondo esterno, per entrare dentro di noi; perché se noi non entriamo dentro di noi, non troviamo la Verità, perché Dio è Spirito e Verità e la Verità non abita nelle cose esteriori ma nell’interiorità dell’uomo. Tutte le cose (e Cristo incarnato: l’incarnazione del Verbo ci rappresenta tutta l’opera di Dio sono soggette al tempo, sono soggette al passare per lasciare in noi il posto alla Verità di Dio. Se le cose non passassero noi resteremmo sempre abbarbicati ad esse e vivremmo di esse e per esse e non avremmo in noi il posto per la Verità di Dio. Il Cristo è rivelazione del Padre ed è rivelazione anche di tutta l’opera del Padre. Quindi è Lui che ci fa capire perché le cose passano. In quanto Lui stesso dice: “È necessario che io passi”, ci fa anche capire perché tutte le opere di Dio passano: passano per insegnarci, per lasciare in noi il posto a ricevere lo Spirito di Dio che è lo Spirito della Presenza. Poi con lo Spirito della Presenza di Dio allora ritroviamo anche tutta l’opera di Dio nel suo significato. Lo Spirito della Presenza di Dio ci condurrà a vedere la Verità in tutte le cose, la Verità totale. Allora comprenderemo il significato delle opere di Dio in tutto. Allora le cose non ci faranno più male, non ci impediranno, non ci toglieranno più la Presenza di Dio. Con lo Spirito della Presenza di Dio, tutte le cose ci aiutano a mantenerci uniti a Dio. Mentre prima di ricevere la rivelazione della Presenza di Dio tutte le cose ci impediscono di trovarla e sono motivo di ostacolo ad essa, dopo sono un richiamo ad essa. Abbiamo un momento critico che è quello in cui il Signore, dopo averci incontrato e dato la possibilità di camminare, se ne va da noi dicendo:“È  necessario che io me ne vada”. È questo un momento un momento critico infatti i suoi discepoli restano presi dalla tristezza. Ma Lui promette: “Io vi vedrò di nuovo”. Ecco questo: “Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore gioirà e nessuno potrà togliere la vostra gioia”, lo troviamo significato nella frase: “Gesù lo trovò nel tempio”. Capisci?

Nino: Non è tanto facile.

Luigi: Prima il Signore ci fa sperimentare la nostra paralisi, la nostra povertà. Quindi in un primo tempo Lui ci lascia nel mondo senza trovarci: lascia che noi ci dibattiamo, che noi facciamo, che noi ci agitiamo (le nozze di Cana dove ognuno beve il suo vino; ce n’è in abbondanza e Lui è uno sconosciuto; c’è ma è uno tra i tanti. Poi arriva il momento in cui il vino viene a mancare: ecco, le nostre risorse ci vengono a mancare, la vita ci viene a mancare e ci troviamo angosciati perché non sappiamo più dove appoggiarci. È necessario che sperimentiamo il fallimento di tutto per trovare la sua grazia, il suo dono, il suo bene. È lì allora, se Lui arriva, che noi diciamo: “Abbiamo trovato finalmente la nostra salvezza”. Lui ci dà la possibilità di camminare, ma ci dà la possibilità di camminare non più secondo la massa, secondo la folla, secondo una regola, ma ci dà la possibilità di camminare secondo la fede, secondo il suo amore, perché Lui è intervenuto personalmente. Ora ha stabilito un legame personale con noi, perché ormai noi abbiamo toccato con mano che da soli non ce la facciamo. Allora è Lui il mio bene, è Lui la mia salvezza, è Lui il mio tutto; allora l’anima è legata a Lui. Legata a Lui, incontrando la contraddizione del mondo, risponde: “No, io non posso aderire al mondo”. Ora è proprio questa partecipazione personale, che è partecipazione d’amore, a provocare in noi il desiderio di entrare nel tempio di Dio, di conoscere Colui che ci ha guariti, che ci ha salvati, che ci ha dato la possibilità di camminare mentre eravamo disperati. È questo desiderio che ci fa entrare nel tempio. Qui Cristo diventa tutto per l’anima, perché l’anima ha sperimentato che niente era bene per lei, niente ormai poteva salvarla. Però attraverso quest’opera, Dio diventa strada per noi che ci introduce nella sua nuova conoscenza. Non basta essere stati guariti, poter camminare: Dio ha una meta ben precisa alla quale ci vuole condurre: la sua meta è la Pentecoste, cioè l’incontro con la sua Presenza in noi, con una Presenza che permane. E fintanto che non arriviamo a questa presenza, noi corriamo il rischio di tornare indietro. Infatti nel tempio Gesù dirà al paralitico (precisiamo che l’incontro nel tempio del paralitico con Gesù è un segno, non è la Pentecoste): “Non peccare più affinché non ti avvenga di peggio”. C’è la possibilità per quell’uomo di peccare, ed è questo fatto che ci rivela che questo incontro è soltanto un segno, un annuncio, perché fintanto che l’anima non incontra la Presenza di Dio, non è giunta al suo termine, quindi corre il rischio di tornare indietro, di cadere. L’anima deve avere la pazienza con il seme che Dio ha posto nella sua terra: quella pazienza che deve perdurare fino al frutto. Se l’anima è impaziente interrompe lo sviluppo del seme e perde tutto. Abbiamo l’esempio della parabola del seminatore in cui il seme è perso a seconda del terreno in cui cade. Ed è soltanto il terreno profondo, cioè l’anima che con pazienza custodisce, medita, che ha la possibilità di far giungere il seme al frutto. Il frutto è proprio l’incontro con la Presenza di Dio, è l’incontro della Pentecoste. E se l’anima si stanca prima, allora perde tutto. Dio arriva e mette il seme: “Alzati!” (è la sua parola), ma questa parola è una parola che cresce e deve crescere tanto da maturare a Pentecoste.

Nino: Tutto questo procedimento dell’anima noi lo possiamo capire o è una cosa misteriosa che passa dentro di noi e la capiamo chissà quando?

Luigi: Lo scopriremo veramente a Pentecoste. Però non è tutto notte, tante cose le possiamo capire, tante altre no. C’è una Pentecoste personale per ogni anima: è la Pentecoste in cui Dio svela la sua Presenza, la Presenza del Padre e del Figlio, già su questa terra, come è avvenuto per i discepoli. I discepoli a Pentecoste hanno scoperto la presenza di Dio. che cos’è lo Spirito di Verità che è disceso a Pentecoste? È lo Spirito che rivela la Presenza del Padre e del Figlio in noi. Infatti Gesù quando parla della venuta dello Spirito Santo in noi dice: “Il Padre e io verremo e faremo abitazione in”. Coincide con quello: “Io vi vedrò di nuovo”. Quindi la venuta dello Spirito è quello è quel: “Io vi vedrò di nuovo”, per cui trovano il loro maestro a Pentecoste: trovano il Padre e trovano il Figlio. Pentecoste è la scoperta di questa presenza. E sarà questa Presenza che, che è Spirito di Verità, che farà i suoi discepoli dei giganti nel mondo, per cui non avranno più paura di niente perché ormai hanno Dio con loro. Ora, in quel giorno: “Lo Spirito di Verità venendo in voi vi farà ricordare tutto quello che io vi detto e ve lo spiegherà e ve lo farà capire”. È lo Spirito di Verità che fa capire, però non è detto che Gesù man mano che parlava ai suoi discepoli, essi non capissero niente; certe cose le capivano e certe non le capivano. È una conoscenza che progredisce. Dio fa questa meraviglia: man mano che parla ci dà già la possibilità di capire tante cose, mentre la vera intelligenza l’avremo soltanto nella nostra Pentecoste, nell’incontro con lo Spirito di Verità. È alla luce della Presenza di Dio, cioè di ciò che Dio è, in noi, che si illumina tutto il nostro mondo e tutto il nostro cammino. Quando si va in montagna c’è uno che guida e che sa la strada; ma sa la strada perché è già stato in cima. Ci guida e noi gli andiamo dietro; tante cose non le capiamo, non capiamo perché dobbiamo passare qui, là, o perché dobbiamo fare dei giri lunghi. Quando però si arriva sulla cima, guardando indietro, allora capiamo perché ci ha fatto fare tutti quei sentieri: era necessario per evitare di cadere, per evitare di farci finire in un burrone. Così lo stesso: certe cose si capiscono e certe non si capiscono. Noi siamo paralizzati in tante cose, quello lo capiamo: basta pensare alla nostra capacità di camminare verso Dio, all’incapacità di pensare: e questa è paralisi spirituale. La paralisi fisica, esterna, ci rivela la paralisi interiore che ognuno porta dentro: incapacità a restare con Dio, a camminare nelle cose di Dio. Così leggiamo una pagina di vangelo e siamo paralizzati e non sappiamo muoverci. Una parola la ripetiamo mille volte e non sappiamo approfondirla. Il non aver la possibilità di approfondire la parola del Signore, vuol dire essere paralizzati: siamo come di fronte a un muro e non ci capiamo niente. Allora abbiamo bisogno che Lui venga a liberarci dalla nostra paralisi. Capiamo la nostra paralisi, capiamo il bisogno che qualcuno venga a darci una mano. Difatti già nell’Antico Testamento i salmi sono un’invocazione dell’anima: “Signore, vieni!”: è l’invocazione dell’anima, è il bisogno di avere un aiuto dal cielo. Questo lo capiamo; invece tante altre cose non le capiamo ancora, fintanto che non arriviamo a Pentecoste. Comunque la fede sta in questo: dobbiamo aderire a quello che capiamo, ma anche a quello che non capiamo, con la speranza che un giorno lo capiremo, con l’aiuto di Dio. Non dobbiamo accettare solo quello che capiamo e rifiutare quello che non capiamo; no, poiché siamo alla presenza di Uno che è infinitamente superiore a noi e, in quanto superiore, dice tante cose che noi ancora non capiamo. Però: “Signore, io questo non lo capisco, per me è assurdo, però so che c’è la tua mano”. Se la Madonna avesse accettato solo quello che capiva, non sarebbe mai diventata la madre di Dio, perché per lei era un assurdo, eppure dice: “Sia fatto di me secondo la tua parola”. “Non capisco, ma sia fatto di me secondo la tua parola”. Ecco, la fede sta lì. La fede sta nell’aderire; nel credere alla parola di Dio anche se non capiamo, in attesa di capire. Bisogna credere per arrivare a capire, accettare. È quanto è significato in questo paralitico: egli è l’uomo che non capisce, che non ha la possibilità di camminare, però crede. E non conosce Gesù, perché Gesù quando gli dice: “Alzati!” e lo guarisce, non gli presenta la sua carta d’identità: “Io sono Gesù”; infatti l’altro dirà, quando gli chiedono chi è: “Io non so, mi ha guarito, ma io non so chi sia”. Quando lo conoscerà? Lo conoscerà quando sarà nel tempio. Allora andrà a dire: “Chi mi ha guarito è Gesù”. Ma è solo nel tempio che lo conosce.

Pinuccia: Però per poter testimoniare di fronte all’autorità religiosa che lo accusava e che addirittura poteva lapidarlo, perché andava contro la legge.

Luigi: Bisogna anche correre quel rischio.

Pinuccia: Per avere questa forza per testimoniare, di vivere e di incarnare la parola di Gesù, deve aver intuito qualcosa di Lui.

Luigi: Ha intuito? Se l’ha guarito! Era paralizzato da trentotto anni e nessun sacerdote, nessun levita, nessun fariseo era riuscito a guarirlo o per lo meno, nessuno lo aveva buttato nell’acqua.

Pinuccia: Però si era creato un legame perché dice: “Colui che mi ha guarito mi ha detto …”.

Luigi: Lo credo bene! Pensa che legame si creò in quell’adultera che quel mattino fu condotta a Gesù. La volevano lapidare! Ormai rischia la morte, ormai non ha più nessuna risorsa, deve essere lapidata, la legge la condanna. “Tu però cosa dici?”. Questa adultera è nella stessa situazione del paralitico: non può fare niente, è con le spalle al muro, è morta. Gesù non dice niente, perché lascia lavorare gli animi nel silenzio, poi ad un certo momento, siccome gli altri insistono, dice: “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra”. E di nuovo fa silenzio e a poco a poco se ne vanno tutti. Resta la donna, là in mezzo. “Donna, nessuno ti ha condannata?”, “No”, “Nemmeno io”. Vuoi dirmi che legame si è creato? È questo legame che di fronte agli altri che gli dicono: “Non ti è lecito”, gli fa dire: “Colui che mi ha guarito mi ha detto di prendere il mio letto”. Ormai quest’uomo è tutto di Colui che l’ha guarito. Non sapeva chi fosse, come l’adultera non sapeva chi fosse il suo Signore. Ma ormai è fatto: Lui l’ha liberata da tutti coloro che la volevano lapidare. È lì la meraviglia! Lui viene e ci libera dalla morte. Ma liberandoci dalla morte ci conquista. Noi siamo conquistati da Colui che ci comprende. Ecco, Lui è uno che ci comprende perché ci dà la vita e ci libera da una situazione di morte. Questo è il dono, e Lui questo dono lo fa a tutti. Arriva il momento in cui incontra tutti. Però non è sufficiente ricevere i doni di Dio per entrare nella vita, soprattutto per entrare nel tempio. Questi doni vanno fatti. Ecco perché il Signore dopo averci fatto il suo dono, ci mette alla prova, cioè ci invita a vivere personalmente il suo dono, a testimoniarlo, perché soltanto facendolo, noi personalmente ci offriamo a Dio, cioè dimostriamo che vogliamo appartenere a Lui. È questo desiderio di appartenere a Lui che ci fa entrare nel tempio, che ci fa desiderare di conoscere Lui, di conoscere Colui che ci ha guariti, che ci ha dato la possibilità di camminare. Ecco perché ci vuole la partecipazione personale e il Signore ci mette nell’occasione, mettendoci tutto un mondo contrario attorno, di testimoniare lo Spirito al quale vogliamo appartenere. Se noi di fronte alle prove del mondo, rinunciamo al dono che abbiamo ricevuto da Dio, allora lo perdiamo. Allora non si entra più nel tempio. E gli altri diventano di nuovo più importanti.

Teresa: Nel tempio non siamo noi che troviamo Lui, ma è Lui che trova noi; cioè ci trova nel senso che ci trova disponibili?

Luigi: In quanto trova in noi qualcosa di Sé.

Teresa: Perché abbiamo messo Lui al primo posto siamo entrati nel tempio.

Luigi: Si, e lì siamo trovati. Guardi che questo essere trovati è una cosa molto importante: è la condizione per arrivare alla Pentecoste. Non siamo noi che troviamo. Fintanto che siamo noi che troviamo, non ci siamo. Abbiamo bisogno di essere trovati da Dio.

Pinuccia: Vuol dire scoprirci pensati da Lui?

Luigi: Si, certo, ci scopriamo pensati da Lui. Ci scopriamo suoi.

Pinuccia: Tutti dipendenti da Lui.

Luigi: è la situazione opposta in cui vengono a trovarsi le vergini stolte che non sono conosciute. Non apre loro perché: “Non vi conosco”. Invece essere trovati vuol dire essere conosciuti. Ora Dio ci conosce in quanto in noi c’è suo Figlio, c’è il suo Verbo, e nella misura in cui c’è il suo Verbo.

Teresa: Allora Dio conosce solo Sé stesso.

Luigi: Dio conosce Se stesso perché Lui è l’Essere e fuori di Lui è nulla. Noi siamo soltanto in quanto partecipiamo a Lui, in quanto abbiamo qualcosa di Lui in noi, altrimenti non siamo conosciuti. Che cosa abbiamo noi di nostro?

Lucia: Gesù è al di sopra di ogni legge: se io entro nel tempio e trovo Gesù, cioè se lo trovo dentro di me, sarà libera anch’io. Perché se io non ho questa libertà …

Luigi: Questa libertà è lo Spirito di Dio che gliela dà. È Dio che la libera! Non è lei che si libera! Se lei dicesse: “Io non voglio ubbidire a questo, non voglio ubbidire a quello”, non trova Dio! no, è lo Spirito di Dio che libera, non è la ribellione a, o il rifiuto di.

Pinuccia: È l’adesione al suo Spirito.

Luigi: Ecco, è l’amore. Gesù non è venuto a negare la legge, ma è venuto a perfezionarla. Siamo noi, nel pensiero del nostro io, che non facciamo la legge. Credevano i sacerdoti e i farisei di essere i difensori della legge, invece erano proprio loro che violavano la legge. Infatti accusavano Gesù di fare certe cose di sabato, cioè di guarire degli uomini in giorno di sabato. E Gesù cosa dice? “Se un asino o un bue cade in un fosso, voi in giorno di sabato, lo lasciate lì fino al giorno dopo, o lo tirate subito fuori? E forse un uomo non è più importante di un asino o di un bue? E perché voi un asino o un bue lo tirate fuori in giorno di sabato secondo la vostra legge e un uomo non è possibile guarirlo in giorno di sabato?”. Ecco, vuol dire che non c’è amore per l’uomo, per salvare l’uomo, non per far morire l’uomo. Infatti l’anima di tutta la legge è: “Cerca il Signore Dio tuo, ama il Signore tuo Dio con tutte le tue forze affinché tu viva”. Questa è l’anima di tutta la legge. È per la vita dell’uomo. L’anima della legge quindi non sta nel non rubare, nel non fornicare, nel non uccidere. L’anima della legge è: “Ama il Signore Dio tuo, cerca il Signore Dio tuo prima di tutto”, cioè: “Entra nel sabato, nel sabato del Signore! Conosci il Signore prima di tutto. Questa è l’anima di tutto!”. Invece noi dimentichiamo questo e ci abbarbichiamo a: “Io pago le imposte, io non rubo, io faccio questo, io non faccio quest’altro, io sono giusto!”. No! La legge non sta in questo. Bisogna arrivare all’anima della legge. L’anima della legge è Dio. Gesù è venuto a riportarci l’anima delle cose e della legge. Invece noi nel pensiero del nostro io ci atteniamo sempre soltanto alla regola: “Se io non faccio questo sono a posto!”. Questo lo facciamo nel pensiero dell’io, non nel Pensiero di Dio. Allora diciamo: “Signore, ti ringrazio perché non sono come quell’altro; per cui questo non lo tocco, quell’altro non lo faccio!”. Quello che salva l’uomo non sono le sue virtù o la sua volontà, ma è Dio! Per cui l’uomo deve imparare a far conto su Dio, non a far conto su se stesso, non a far conto su ciò che egli è o su ciò che egli fa o sulle sue virtù. Deve imparare a far conto su Dio, perché chi lo salva è Dio. Chi fa figli di Dio non è il nostro sangue, non è la nostra volontà, non è l’ambiente in cui ci troviamo; i figli di Dio nascono da Dio, non per opera di uomo. Per questo bisogna imparare a far conto in tutto su Dio, a riferire tutto a Dio, a guardare Dio, ad aspettare tutto da Dio. Ora Gesù è venuto a rivelare l’anima della legge e l’anima della legge è questa: “Cerca prima di tutto il Signore Dio tuo, perché è Lui che ti salva, non è la tua volontà, non sono le tue opere.

Lucia: Infatti tante volte uno vuol pregare e non riesce.

Luigi: Certo, non sono i nostri propositi per pregare che ci fanno pregare. È sempre il pensiero dell’Altro che ci fa pregare. È il pensiero dell’Altro che ci libera, non la legge. Non bisogna fare le cose in base a quello che gli altri dicono o perché questa è la mia regola, o secondo il mio programma. Le cose vanno fatte per amore di Dio, nello Spirito di Dio.

Cina: Ed è anche molto bello lavorare così: è la vera libertà.

Eligio: E più cresce il rapporto con Dio e più beneficiamo di questa libertà e siamo liberi dai condizionamenti vari, per cui più che porci il problema della libertà, dovremmo porci il problema di entrare nel Pensiero di Dio, come risposta.

Luigi: Certo, infatti: “Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi”. Cosa vuol dire: “Liberi”? Libero è uno che è guidato dal suo amore: “Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me”, cioè: “È lo Spirito che mi guida!”. È l’amore, l’amore di Dio che guida! Perché dovrei dirmi: “Se non faccio questo, chissà gli altri cosa dicono; oppure mi sconfesseranno?". No, non è questo! Altrimenti la vita sarebbe solo una recitazione! Ma Dio non ci ha dato la vita per recitare! Per cui se recito bene sul palcoscenico, tutti mi battono le mani e io sono contento. Questa è la vita? No, questo non è vivere!

Cina: Questo è girare intorno all’io!

Luigi: Ma certo, quello è soltanto io! Infatti il Signore quando dice: “Due salirono al tempio” cosa ci insegna? Il fariseo che si credeva giusto tornò a casa sua non giustificato. Eppure era giusto, agli occhi di tutti e anche a se stesso.

Cina: Ed è tanto facile fare quello sbaglio!

Luigi: È facile perché è il nostro io che ci porta a fare così: il nostro io ci porta a recitare. È soltanto Dio che ci rende autentici nella nostra vita. È l’amore che rende autentici. Ma l’amore vero, quando è vissuto senza tenere conto di nessuno; perché quando amando, tengo conto di quello che dicono gli altri, io devo recitare, anche nell’amore. È solo Dio che ci rende veramente autentici.

Nino: È molto liberante e bello a pensarci, però in pratica sembra impossibile.

Luigi: No, non dobbiamo mai dire che è impossibile, perché presso Dio nulla è impossibile. Dobbiamo sempre confrontarci con la Madonna che è la creatura ideale, il disegno puro di Dio, che Dio stesso ha messo davanti a ognuno di noi. La Madonna non ha mai detto: “È impossibile!”

Nino: Io pensavo già: “Come faccio a fare?”.

Luigi: Eh no! Noi da soli certamente non possiamo, ma con lo Spirito di Dio tutto è possibile. E Dio è venuto per portarci proprio questa libertà. C’è una grande libertà, con Lui si canta di gioia!

Pinuccia: E poi il fatto di intuire una cosa così bella è già una promessa di Dio: è segno che ce la vuol dare.

Luigi: Certo, in quanto il Signore ci presenta già ce la promette. Se ci troviamo adesso qui a parlare di queste cose, non siamo noi ad averlo deciso, no, ma è il Signore che conduce. Ora se conduce e ci presenta certe cose è già perché ce le vuole dare, altrimenti non ce le presenterebbe nemmeno. Quindi se ce le fa pensare è perché già ci invita ad entrare  a vivere in questo amore: così si entra nel tempio.

Teresa: Perché Dio non si è limitato a dirci: “Ama Dio con tutto il tuo cuore” e ci ha dato anche le leggi, come quella del sabato, che ci confondono? È per farci toccare con mano che non riusciamo a realizzarle?

Luigi: San Paolo dice che la legge ci è stata data per farci toccare con mano la nostra morte; la legge non può salvarci.

Teresa: Sembra che voglia prenderci in giro.

Luigi: No, Dio non ci prende mai in giro, anzi, Dio si è sacrificato per salvarci.

Pinuccia: La legge ce l’ha data come aiuto.

Cina: È una segnalazione da non sottovalutare.

Teresa: Il fatto è che se solo si approfondisse si fa l’altro passo, ma a prima vista si compie la legge così come ci è stata insegnata.

Luigi: Però succede questo: noi più siamo presi dal pensiero del nostro io e più riduciamo la legge soltanto a delle regole. Invece più siamo vuoti del pensiero del nostro io e più cogliamo l’amore che c’è nella legge. Allora guardiamo in profondità, cogliamo l’essenziale, lo spirito. Se invece noi guardiamo al pensiero del nostro io, lo Spirito se ne va e noi stiamo soltanto in superficie. È come se mangiando un frutto buttassimo via il gheriglio della noce e tenessimo il guscio. Ora, il pensiero del nostro io ci fa buttare via il frutto e ci fa tenere il guscio. Se noi invece abbiamo il Pensiero di Dio, questo ci fa buttare via il guscio e tenere la polpa. È l’inganno del pensiero del nostro io. Nel pensiero del nostro io restiamo solamente alla superficie, alla regola: “Mi hanno detto di fare così e allora faccio così!”; sto soltanto alle cose esteriore e credo di soddisfare alla vita con Dio comportandomi in un certo modo esterno così. Non c’è l’amore; l’amore si manifesta soprattutto nel pensare ad una Persona; amare vuol dire vivere per l’Altro, quindi è desiderio di conoscere l’Altro, di volere l’Altro: questo è amore.

Teresa: Ma tante volte uno crede di vivere per l’Altro facendo quello che l’Altro ci comanda.

Pinuccia: Ma ci si dimentica di conoscerlo.

Luigi: Chi ci dà la possibilità di cogliere l’essenziale anche in quello che Lui ci comanda è sempre lo Spirito di Dio. L’Altro ci comanda: “Conoscimi! Cerca il tuo Signore!”. Io non voglio che tu faccia digiuno, che tu faccia penitenza, io voglio che tu mi conosca! Se noi abbiamo in noi lo Spirito di Dio, cogliamo: “Questo è l’essenziale, questa è la volontà di Dio!”. Quando il Signore ci dice: “Non preoccuparti del mangiare, del vestire, della figura, non fare l’elemosina per farti vedere. Cerca prima di tutto il regno di Dio!”, si coglie subito: “Questa è la volontà di Dio!”. Se uno ha il Pensiero di Dio lo coglie. Ma se uno non ha il Pensiero di Dio, coglie soltanto la regola esterna, la formuletta (ad esempio do dieci euro a un povero tutti i giorni e sono a posto, oppure recito le preghiere e sono a posto). Ecco, uno cerca di essere a posto! È lì lo sbaglio! Nel pensiero del nostro io cerchiamo di essere a posto perché per esempio l’Altro ci comanda di pagare le imposte in questo modo. Io pago, così e sono a posto: vado a messa tutte le domeniche, faccio la comunione una volta all’anno e sono a posto, ecco, ho pagato. Sono fuori dall’amore! Invece se uno è nel Pensiero di Dio va all’essenziale: coglie ciò che l’amore vuole! E l’amore cosa dice? “Anche se tu dessi tutte le tue sostanze, ma rifiutassi il tuo cuore, rifiutassi il tuo pensiero, tu recheresti un’offerta all’amore! Non ameresti!

Teresa: Come un cittadino che paga le imposte, ma non è che lo faccia con amore.

Luigi: L’amore è un’altra cosa! Cioè lui paga per evitare una condanna, cioè per essere a posto. Noi ci comportiamo per essere a posto: è lì l’errore! Questo è essere nel pensiero del nostro io. Invece l’amore non ha paura di morire a se stesso. Anzi più muore a se stesso, più vive per l’Altro, perché l’amore è proprio vivere per l’Altro. L’amore non ha paura delle difficoltà: è nel pensiero del nostro io che noi abbiamo paura delle difficoltà. Allora quando ci troviamo davanti a certe esigenze diciamo: “Ah no, questo è impossibile!”. Invece quando c’è vero amore, l’amore non conosce l’impossibile. Infatti il Signore cosa dice? “Chi cerca di salvare la propria vita la perde, ma chi perde per amore mio, questi la salva”. Ma l’amore desidera proprio perdersi per far vivere l’Altro perché più si perde, più vive l’Altro.

Teresa: Quei farisei avevano paura di trasgredire la legge e avevano paura di fare contro Dio.

Luigi: E facevano contro Dio.

Eligio: E anche noi per una concezione sbagliata abbiamo fatto consistere per molti anni il peccato in una trasgressione di qualche comandamento.

Luigi: Certo.

Eligio: Mentre il vero peccato sta nel non aver presente Dio.

Luigi: Si, il vero peccato sta nel non occuparci di Dio, nel non cercare Dio! È lì che noi constatiamo che siamo infinitamente lontani da Dio! Perché Dio ci ha dato la vita per conoscere Lui. Ma noi tutti i giorni che cosa facciamo per conoscere Lui, di che cosa ci occupiamo?

Teresa: Si, per noi finora il conoscere il Signore era una cosa da farsi ma una tra tante altre. Ora capisco che se la vera vita è conoscere Lui.

Luigi: Come se la vera vita? Lo dice Lui! La vera vita è entrare nella vera pace e riposarsi in questa conoscenza. Questa è la vita eterna, la vita vera!

Pinuccia: In questa attenzione all’anima della legge è possibile compiere anche la legge stessa?

Luigi: Ma chi ama compie! Non ha bisogno di tenere presente questo o quello. Chi ama, chi cerca Dio prima di tutto si comporta secondo quello che dice l’amore.

Nino: Ma noi siamo inscatolati in una maniera che non riusciamo a uscirne.

Luigi: È lì l’errore!

Lucia: Per questo che non esiste che una legge sola: amare Dio e il prossimo. Se amo Dio e il prossimo osservo tutte le leggi.

Luigi: Certamente! Sant’Agostino dice: “Ama e fa tutto quello che vuoi”. Lasciati guidare dall’amore, cioè lasciati guidare dal Pensiero di Dio e poi sta tranquillo che ci pensa Lui! il Signore ci dice: “Pensa a me ed io penso a tutto”.

Nino: Dovremmo proprio toglierci ogni programma, regolamento.

Luigi: L’anima di tutto è questo: conoscere Dio. conoscere Lui come ci conosciamo tra noi; no, di più, perché noi non ci conosciamo; ci conosciamo solo fisicamente, ma non sappiamo quello che veramente siamo. Lui invece è possibile veramente conoscerlo e averlo amico più di quello che siamo noi, tra noi. Lui è l’Essere veramente presente. Noi non siamo presenti. Noi siamo presenti così col corpo, ma cinque minuti dopo ognuno di noi se ne va per proprio conto e poi col pensiero dove siamo?

Nino: Noi diciamo queste cose, le crediamo vere, però poi abbiamo timore di sbagliarci e allora vogliamo le nostre sicurezze per sentirci a posto. Amare Dio in quella maniera, non possiamo toccare con mano se lo amiamo veramente, non possiamo misurarlo; abbiamo bisogno di una risposta subito, di un qualcosa di preciso da fare come ad esempio visitare un malato e se lo facciamo ci sentiamo a posto.

Eligio: Abbiamo bisogno di una regola.

Luigi: Certo, così è a posto. Se io dico: “Se tu vuoi essere a posto, tutti i giorni devi dare un euro a un povero”, è facile questo.

Nino: Ma non riusciamo ad uscire da quell’ingranaggio ed è quello che ci rovina.

Pinuccia: Ma è il Signore che ce ne libera.

Luigi: Certo, è Lui, se più lo cerchiamo; dobbiamo cercare il Signore e desiderare di trovarlo come troviamo le creature presenti. Perché Lui vuole rivelarci questa sua presenza, perché è presente.

Pinuccia: Ma non dipende a noi trovarlo.

Luigi: Certo, non dipende da noi, però Lui vuole che noi lo cerchiamo: questa è la sua volontà. Lui c’è e si annuncia e ci dà il desiderio di vederlo. La possibilità di vederlo dipende da Lui: però Lui non la nega: se ci fa aspettare è perché sa che noi non siamo in condizioni di accoglierlo. E noi dobbiamo avere questa pazienza. La fede accetta da Dio i doni di Dio, ma accetta anche da Dio quello che Dio non dona.

Pinuccia: Però continua a desiderare.

Luigi: Si, perché Dio vuole che lo desideri. In quanto Dio dice: “Guarda che c’è una sorgente molto buona”, me la fa desiderare.

Teresa: Continuare a desiderare, se è ancora Dio che mi dà il desiderio.

Pinuccia: Certo, ma tu lo puoi coltivare e puoi perdere.

Luigi: Dio dà il desiderio, perché Dio continuamente mi parla di Sé, mi annuncia Sé, mi promette Sé. Dio continuamente mi dice: “Io sono”. Io non posso dimenticare che Lui è presente in tutto. Possiamo convincerci che Lui non è presente? Lui è presente in tutto, lo crediamo: non possiamo convincerci che Lui sia assente. Non lo vediamo però. Sappiamo  che è presente, ma non lo comprendiamo. È lì il problema nostro: noi non sappiamo che c’è, ma non la comprendiamo e vogliamo vederlo: ora chi ci dà questo desiderio di vederlo? È Lui. Però Lui si fa aspettare fintanto che noi non siamo in quelle condizioni tale da poterlo accogliere. Perché? Perché fintanto che noi abbiamo altri amori non siamo capaci di ricevere la sua presenza, perché la sua presenza richiede questa totalità, cioè che Lui possa dirci: “Tu sei tutto mio!”. Ora, non ci rendiamo conto che la rivelazione di presenza, cioè la presenza, è una conseguenza del fatto che Lui ci dice: “Tu sei mio!”. Ma Lui non può dire: “Tu sei mio!” fintanto che io sono di altri. Se io ho altri amori come può dirmi: “Tu sei mio!”, fintanto che io sono di altri? È lì l’assenza! Perché Lui è presente e io non lo vedo? Perché io ho altri amori, altri pensieri, altri interessi. Su questi altri interessi, Lui non può dire: “Questo è mio!”. Fintanto che in noi non si semplifica, desiderando Lui, il nostro animo al punto tale da essere tutto di Lui, in quel punto lì, Lui dice: “Tu sei mio! Oggi io ti ho generato!”: e la Presenza è lì.

Teresa: Sembra un circolo chiuso perché se noi lasciamo gli altri amori, nella misura in cui lo conosciamo, se Lui aspetta a farsi conoscere fintanto che noi abbiamo lasciato gli altri amori …

Luigi: Ecco la lezione di quel paralitico che è guarito e cammina e non sa chi è colui che l’ha guarito, però appartiene a Lui. Non vuole più ubbidire ad altri. È per questo che dicendo tanti “no” ad un certo momento si arriva a dire “si”. Si dicono tanti “no” perché qualcosa di Lui l’abbiamo già in noi; lo conosciamo già.

Teresa: Uno può dire questi “no” quando è riuscito a captare che c’è qualcosa …

Luigi: Ma questo “qualcosa” ce l’abbiamo. Ad esempio, possiamo dire che Dio non è presente tra noi? Puoi dire che Dio non c’è? Puoi dirlo? No! E come mai non puoi dire che Dio non c’è? Questo vuol dire che Dio si è già dato a te in qualche conoscenza. Vuol dire che conosci già qualcosa di Lui. È una conoscenza progressiva, non è già “tutta data”. Dio ci precede sempre nei doni che ci fa: il difetto è sempre nostro.

Teresa: Quindi la prima conoscenza è gratuita?

Luigi: È sempre gratuita! Infatti se noi crediamo che Dio esiste è perché Lui già si è donato e aspetta la nostra risposta; siamo noi che nel rispondere ci divertiamo e facciamo stupidaggini. Il difetto non è da parte di Dio. Noi diciamo che Dio aspetta ma Dio i doni li fa sempre. Dio ha detto al paralitico: “Alzati e cammina!” e lui non sapeva chi fosse; anzi, diceva: “Io non ho nessuno!” e aveva Dio davanti a sé. Anche noi diciamo: “Io non ho nessuno!” e abbiamo Dio davanti a noi e non lo sappiamo. Quindi il dono Lui ce lo fa. Il fatto che Dio si sia presentato davanti al paralitico, ha fatto un dono. La presenza, il venirci incontro è un dono. Per quanto noi desideriamo una presenza, se l’altro non viene a me, noi la presenza non la troviamo. Quindi se una persona viene a noi, è quella persona che si dona a noi. Non basta tutto il nostro desiderio perché questa persona si doni. Quindi la presenza è sempre un dono. Ora, Gesù si è presentato a quel paralitico, quando addirittura lui diceva: “Io non ho nessuno!” e riteneva che fosse “nessuno” anche quell’uomo che gli domandava: “Vuoi essere guarito?”. Quindi è un dono. Dio si dona prima che noi lo conosciamo. Lui è guarito ma non sa chi l’abbia guarito. Noi portiamo in noi il dono di Dio. quando il signore dice: “Il Padre e io verremo” non è che loro si spostino. È una scoperta che Dio ci fa fare. E quando scopriremo, sai cosa scopriremo? Che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo erano con noi fin dal giorno della nostra nascita. Scopriremo questo: sono sempre stati con noi! Non è che siano venuti, siamo noi che siamo venuti. Dio, per opera sua, ci ha condotti dove Lui era. Ma Lui era già prima. Siamo noi che abbiamo bisogno di scoprire Colui che è già con noi. Siamo noi che ci divertiamo, che siamo volubili, instabili, che non siamo capaci di fermarci. E allora, ecco, Lui non può rivelarsi. “Ho tante cose da dirvi, ma non le potete portare!”. Perché dice che non le possiamo portare? Perché se io un momento sono qua e un momento sono là, dove mi può trovare? Se do un appuntamento a una persona a una determinata ora e poi mi allontano per un altro impegno, quella viene, ma non mi trova. Gli do appuntamento in un altro posto: quello va e non mi trova perché io sono già da un’altra parte: così non mi trova mai! Siamo noi che non ci facciamo trovare perché siamo instabili e allora è necessario tutto questo lavoro che Dio fa con noi, per renderci un po’ fermi. Più noi ci fermiamo e più Lui si dona. Ma i doni di Dio ci precedono sempre!

Pinuccia: La Pentecoste coincide con il “Tu sei mio, oggi ti ho generato!”?

Luigi: Si, è la rivelazione di presenza. E il fatto di essere trovati da Dio, ci rivela la presenza di Dio. noi non vediamo la presenza di Dio in quanto siamo diversi dalla sua volontà; c’è qualcosa di noi che è diverso e che genera l’assenza.

Pinuccia: Cioè c’è qualcosa che è generato dal nostro io e non da Lui.

Luigi: Non è Dio che sia assente, Dio è presente. Gli assenti siamo noi. Dio è presente a noi e perché non lo vediamo?

Pinuccia: Perché non facciamo dipendere tutto da Lui.

Luigi: E allora non possiamo essere trovati.

Cina: Credo che insegni la strada che ci guida.

Luigi: Lui è la strada. Non si lasci insegnare la strada, è Lui la strada: “Io sono la strada!”. Bisogna camminare in Lui. Ecco, siamo sempre lì: noi tendiamo sempre a scendere in una regola nostra; dobbiamo stare attenti, perché è Lui: “Io sono la strada, la via, la verità, la vita!”. Io, è quell’Io lì. E noi ci dobbiamo fermare in quell’Io. Cioè dobbiamo metterci alla presenza di Lui ed entrare in questo rapporto personale con Lui. È Lui la via che ci conduce a conoscere se stesso, a conoscere il Padre. Ma è Lui che conduce, è la sua Persona. L’importante è la Persona. In cristianesimo non è regola, è Persona: bisogna convincerci di questo. È un rapporto personale tra noi, i nostri pensieri e Lui e dobbiamo imparare a ragionare con Lui. Bisogna imparare ad ascoltare Lui, a interrogare Lui, a riferire tutto a Lui. Bisogna imparare a ragionare sempre con Lui, perché è Lui che ci conduce, non sono i nostri impegni. No, è Lui! È Lui che fa tutto: d’altronde Lui è Dio.

Cina: Si sciupa tanto della vita.

Luigi: Eh si! Pensi tutti i pensieri che sciupiamo!

Cina: E pensare che poi comincia col pensiero: a seconda dell’idea che abbiamo in mente, facciamo poi le cose.

Luigi: Il pensiero è determinante e il pensiero dovrebbe essere soltanto Dio, perché il vero pensiero è questo. Siamo chiamati a diventare pensiero di Dio. Infatti il Figlio di Dio è Pensiero di Dio, Pensiero del Padre. Il luogo in cui il Figlio è, è proprio il Padre. Per questo dicevo, quando abbiamo parlato del tempio, che portato alle estreme conclusioni è il Padre. È nel Padre che noi troviamo il suo Verbo, il suo Pensiero. Noi siamo chiamati a diventare Pensiero del Padre, figli di Dio.

Nino: Stavo già di nuovo per dire che non è possibile.

Pinuccia: Bisogna avere la fiducia che è Lui che ci conduce: a noi chiede solo l’attenzione e la disponibilità, vero?

Luigi: Certo, e Lui ci fa Pensiero suo. Ed è lì allora che Lui dice: “Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato”. Allora si entra nella vita eterna: lì si diventa eterni, lì si scopre la Presenza.

Pinuccia: Già su questa terra?

Luigi: Questa terra è già cielo. Vista in Dio questa terra è già cielo.

Cina: Si intravede che Dio ci vuol dare la Verità, ma poi quando ci si guarda attorno, tutto ciò che succede …

Luigi: Bisogna camminare con la testa tra le nubi! Non guardarsi attorno, non coi piedi per terra, ma avere la testa nelle nubi e non dire che è impossibile.

         Dio ci fa sognare un sogno che può diventare realtà!



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Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Gv 5 Vs 14 Secondo tema.


Titolo: Il trovare di Gesù.


Argomenti: I due mondi: assenza e presenza di Dio. Ascensione-Pentecoste: puro pensiero di Dio. Il silenzio di tutto l’universo. La conoscenza “negativa” di Dio. Nel secondo mondo si passa quando il Padre dice: “Tu sei mio”. Purezza di amore che conduce a scrutare le parole del Cristo. Rivelazione di presenza. Scoprirsi pensati da Dio. Presenza di Dio: essere che possiamo pensare. L’esperienza della morte di Dio. Le funzioni sociali di Dio. Il tempo è solo per la creatura, in Dio tutto è presente. Credere e trovare. Isolamento con la persona amata. Fede e presenza.


 

14/Maggio/1978


Esposizione di Luigi Bracco:

Luigi: L’incontro nel tempio del paralitico con Gesù che l’aveva guarito, è un segno della Pentecoste. Infatti come Gesù trovò quel paralitico guarito nel tempio, così a Pentecoste lo Spirito Santo trova i discepoli di Gesù riuniti con Maria, la madre, nel tempio, in preghiera. Abbiamo già meditato le volte scorse cosa vuol dire essere nel tempio e domenica scorsa ci siamo soffermati a meditare sull’attesa nel tempio. Adesso, se Dio ce ne dà la possibilità, cerchiamo di soffermarci soprattutto su questo: “Lo trovò nel tempio”, cioè su questo “trovare” di Gesù. intanto notiamo che soltanto se siamo trovati, possiamo trovare la presenza di Dio. fintanto che noi non siamo trovati da Dio apparteniamo ancora ad un altro mondo. poiché due sono i mondi:

-                     Abbiamo il mondo in cui tutti esistiamo, ci troviamo, il mondo che sperimentiamo, ed è il mondo dell’assenza di Dio: il mondo in cui Dio si annuncia e noi non lo possiamo negare (non possiamo convincerci che non esista o che non sia presente), però non possiamo vederlo presente. È un mondo in cui ciò che è presente è tutt’altro da Dio: sono presenti le creature, le cose, gli avvenimenti che vediamo determinati dagli uomini, dal caso, dalla natura, da noi, ma non vediamo la presenza di Dio.

-                      E poi c’è un altro mondo in cui possiamo vedere la presenza di Dio; in cui la Presenza di Dio non soltanto ci è annunciata, ma si rivela. Un mondo in cui Dio ci promette la manifestazione della sua presenza. E questo lo possiamo vedere soprattutto dai discorsi di Gesù nell’ultima cena, da qualche frase tipica come: “Io vi vedrò di nuovo e la vostra gioia sarà piena”, “Finora vi ho parlato in parabole ma viene il giorno in cui vi farò conoscere apertamente il Padre”. E faceva coincidere questa rivelazione del Padre con la venuta dello Spirito Santo, cioè con il giorno di Pentecoste. Così abbiamo in questi due mondi sempre lo stesso Spirito di Dio che parla, ma nel primo, Dio parla a noi in parabole e ci annuncia ciò che Egli ci farà vedere quando ci svelerà, ci farà vedere, ci farà conoscere il Padre. nel primo mondo, parlandoci in parabole, forma in noi una cosa che sarà essenziale nella preparazione a Pentecoste, cioè sarà essenziale nel tempio. Intanto notiamo che lo Spirito di Dio opera in tutto fin dal primo giorno della nostra esistenza, già dalla creazione: opera quindi per noi e in noi anche senza di noi. Ma nel primo mondo Dio opera in noi anche senza di noi, nel secondo mondo Dio non opera più senza di noi, senza una partecipazione nostra. Dio non ci fa entrare nel tempio di Dio, in questo secondo mondo, senza di noi, senza una partecipazione nostra. Dio non ci fa entrare nolenti: Dio opera nolenti noi nel primo mondo; nel secondo mondo non opera nolenti noi, nel primo mondo, lo Spirito di Dio parlando a noi in parabole, forma in noi la fame, il desiderio; forma in noi il bisogno di conoscere Dio, di incontrare quella presenza che Dio, parlandoci in parabole, già annuncia. Ora, man mano che noi viviamo in questo primo mondo, siccome tutto è opera di Dio, questa fame, questo desiderio, si accentua, si seleziona, si purifica. Se noi stiamo in questa fede, in questa attenzione alla parola di Dio, all’esistenza, alla verità di Dio, Dio ci seleziona sempre di più questo desiderio, questa fame, fino a portarci al desiderio di lasciare tutto il resto per restare soltanto in questa fame, soltanto in questo desiderio; cioè Egli fa di noi un puro desiderio di Dio. Ed è simboleggiato questo fatto da quei dieci giorni di silenzio, tra l’Ascensione e al Pentecoste, in cui vengono a trovarsi i discepoli di Gesù, dopo che Gesù era asceso al cielo, in attesa di ricevere, (di essere investiti come aveva promesso Gesù) dall’alto. Ascendendo al cielo, Gesù lo aveva promesso loro, e aveva raccomandato loro: “Restate in Gerusalemme”. Quello che Gesù raccomandò loro, lo raccomandò ad ognuno di noi, quando arriviamo su quell’orizzonte: “Restate in Gerusalemme”, quindi: “Restate in questa interiorità”. Gerusalemme significa la nostra anima, quindi la nostra interiorità. Vuol dire: “Restate” in questa interiorità, in attesa (ed è l’argomento della volta scorsa: in attesa, perché la creatura a questo punto non può più fare niente) di ricevere lo Spirito dall’alto. In questa interiorità noi notiamo due fattori che determinano l’animo e che insegnano a noi certe cose; perché è vero che in questa attesa l’anima ormai non può far niente, perché tutto è opera di Dio, però noi possiamo vedere alcune caratteristiche che avevano le anime di questi discepoli nel tempio in attesa della rivelazione della Pentecoste, che possono (in quanto lo possiamo notare) servire anche per noi:

-                      Prima di tutto il silenzio: silenzio di tutto il mondo. Notiamo come l’argomento di ieri sera e questo coincidano, proprio oggi che è il giorno di Pentecoste, sullo stesso motivo: la venuta dello Spirito Santo, pur approfondendo capitoli diversi di San Giovanni:

 

-                      Vangelo di San Giovanni Cap. 7, 38: “Ancora per poco sono con voi”, “Mi cercherete e non mi troverete”, cosa significa questo? “Chi ha sete venga a me e beva: dal seno di chi crede in me scaturiranno fiumi di acqua viva”. “Gesù disse questo dello Spirito che i credenti in Lui dovevano ricevere, infatti lo Spirito Santo non era ancora venuto”.

 

-                     Vangelo di San Giovanni Cap. 5,14: “Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio”, che simboleggia la venuta dello Spirito Santo nel tempio. Sembra una coincidenza casuale, ma è tutta opera di Dio e dobbiamo essergli grati.

Pinuccia: Tutto è programmato da Dio.

Luigi: Si, i tempi sono determinati da Dio. Così il tempo dell’incontro è determinato da Dio, non è in mano nostra: “Nemmeno il Figlio lo sa, né gli angeli, ma solo il Padre”. Questo Gesù lo dice non perché ci sia un tempo determinato da parte di Dio, ma perché noi abbiamo ad attendere tutto da Dio. Ecco, la famosa attesa nel tempio, in cui l’anima ad un certo momento comprende che non può più far niente. L’anima nel primo mondo può fare molto, perché Dio presenta continuamente delle scelte. Arriva un momento in cui l’anima non può fare niente e aspetta tutto, perché lo Spirito viene dall’alto. Però in questo fare niente può fare tanto, cioè:

-                     Prima di tutto mantenere il silenzio, il silenzio di tutto il resto. Quando Gesù raccomanda: “State a Gerusalemme”, dà un impegno: quello di restare in silenzio; nella preghiera e quindi di non distrarsi. Infatti anche qui abbiamo la significazione grande della Pentecoste. La Pentecoste è una grande sintesi, la più grande festa dell’anima; è una sintesi in cui si ricapitola l’Apocalisse, si ricapitolano i discorsi di Gesù sulla fine del mondo dei Sinottici (Gesù parla della fine del mondo annunciando i segni che precedono la sua venuta: e la sua venuta è Pentecoste perché dice: “Vi vedrò di nuovo”) e dei discorsi di Gesù del Vangelo di San Giovanni. Quindi noi abbiamo nella Pentecoste la sintesi dei discorsi sulla fine del mondo e quindi il silenzio (la fine del mondo è poi il silenzio di tutto il nostro vecchio mondo, il silenzio di tutto); abbiamo la sintesi dei discorsi di Gesù nel Vangelo di San Giovanni della promessa dello Spirito Santo e poi abbiamo la sintesi dell’Apocalisse (e l’Apocalisse poiché è rivelazione del segreto, è tutto un’accolta di segni che precedono la grande rivelazione della Verità di Dio; rivelazione personale, la quale all’ultimo è preceduta da un silenzio di mezzora di tutto l’universo: ecco il silenzio del tempio). Ora questo silenzio di tutto l’universo è il silenzio dell’anima, di tutta la creazione, di tutto il mondo. È il silenzio che raccomandava Gesù, di stare in questa interiorità.

-                      Ma in questa interiorità, in questo silenzio, non c’è soltanto silenzio, perché la creatura di per sé non è che possa fare silenzio (faccio tacere tutto il resto e resto vuoto), no, c’è il silenzio di tutte le cose, ma c’è un’attenzione, perché Gesù dice: “In attesa di ricevere lo Spirito dall’alto”. Ora, dicendo: “Di ricevere lo Spirito dall’alto”, rivolge l’attenzione dei suoi discepoli all’alto, perché è di là che deve venire lo Spirito. Quindi mentre l’anima fa silenzio, fa tacere tutte le voci del mondo, è tutta rivolta all’alto. “All’alto” che cosa significa? Al Padre, perché Gesù dice che manderà lo Spirito dal Padre: “Se io non vado, lo Spirito non può venire a voi, ma se me ne vado, ve lo manderò dal Padre”. Ora, tutte le parole che Gesù dice, le dice per noi, per orientare i nostri pensieri, la nostra anima e la nostra preghiera. Quindi dicendo: “Lo Spirito che vi manderò dal Padre”, rivolge tutta la nostra attenzione a quel luogo da cui Lui ci manderà lo Spirito. Sapendo che lo Spirito deve venire di là, siamo tutti rivolti là, in questo silenzio. Ecco perché in questa attesa c’è:

 

-                     Il silenzio di tutto

 

-                     E c’è un orientamento di un pensiero, di un Pensiero Unico a quell’Altezza, a quell’Alto, al Padre di cui ha parlato Gesù e da cui deve venire a noi lo Spirito. Quindi l’essenza della preghiera nel tempio ha queste caratteristiche.

Eligio: Non va considerata in questa essenza di preghiera anche quanto dice Gesù: “Mi cercherete e non mi troverete”, cioè non dobbiamo anche cessare da questa ricerca per restare in questo silenzio? Ricerca nel senso in cui l’abbiamo sempre intesa, come uso degli strumenti umani?

Luigi: Certo. Non è più una ricerca attiva, perché la ricerca attiva la possiamo fare nel primo mondo, prima di entrare nel tempio. Nel tempio entriamo ancora con la nostra partecipazione attiva. Non da soli. Da soli non possiamo entrare, ma con Gesù si, e c’è una parte nostra che partecipa. Nel tempio invece si diventa tutto attesa, ma un’attesa orientata, direi pilotata, perché il Signore orienta la nostra anima a Sé. La nostra anima qui è fissa in un punto ben preciso. Ed è da questo punto ben preciso che discende lo Spirito Santo, che si è trovati da Dio.

Eligio: Dobbiamo sospendere la ricerca in quel senso, come iniziativa nostra.

Luigi: Certo, perché se l’anima è rivolta al Padre attende tutto da Lui. Ma è rivolta al Padre perché? Per la promessa del Figlio! Tutto è fondato sulla parola che è giunta a noi.

Nino: Quindi è assenza dell’io, silenzio e attenzione.

Luigi: L’attesa è determinata da questi fattori.

Eligio: È importante questa distinzione, perché noi abbiamo parlato molto della ricerca basata sui nostri mezzi di conoscenza.

Luigi: Ma non neghiamola questa, perché è validissima: è la ricerca del primo mondo. Anzi è proprio per mezzo di essa che si entra nel tempio di Dio in cui si attende.

Eligio: Ma ad un certo momento Gesù ci dice: “Mi cercherete e non mi troverete”.

Nino: Ma anche l’attenzione è una ricerca, non attiva, perché si è consapevoli che la conoscenza ci deve venire da Lui. Sei lì, pronto in attesa di sentire, di ricevere.

Luigi: Certo, è quella ricerca in cui uno pende tutto dall’Altro.

Pinuccia: Ma non siamo noi a decidere il momento in cui dobbiamo smettere questa ricerca attiva, no? Il tempo lo determina Dio.

Luigi: Lo determina parlando a noi. Parlando a noi, forma il tempo dell’incontro, perché il tempo della nostra vita spirituale è determinato dalle sue parole. Sono le sue parole che arrivano a noi, man mano che le assimiliamo, ci fanno giungere su quell’orizzonte lì, in cui la nostra anima dipende tutta da Dio.

Eligio: Cioè arriva il momento in cui noi ci troviamo nel tempio, dove è Lui che ci trova.

Luigi: È Lui che ci ha guidati.

Eligio: Dicendo tanti “no”, si arriva a dire quel “si” quando si è nel tempio e si è disponibili.

Luigi: Sì.

Nino: È un passaggio da un tipo di ricerca alla contemplazione.

Eligio: All’infusione dello Spirito.

Luigi: All’attesa dell’infusione, perché noi abbiamo sempre tener presente che la scoperta della Presenza di Dio è una conseguenza della conoscenza del Padre, della conoscenza di Dio, perché viene dal Padre. È il Padre che genera il Figlio. Ed è soltanto in questa conoscenza, in questa generazione del Figlio che il Padre dice a noi: “Tu sei mio figlio”. Ed è lì che lo Spirito di Dio ci rivela la presenza di Dio. Infatti quando il Signore dice che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, lo dice per noi, affinché noi abbiamo a capire che la venuta in noi dello Spirito Santo presuppone in noi il Padre e il Figlio. Quindi abbiamo tutto un passaggio di intelligenza, di conoscenza, per arrivare a questa Presenza. La Presenza è poi determinata dal punto d’incontro di due direzioni: la discesa dello Spirito Santo e l’attesa dell’anima, per cui lo Spirito del Padre discendendo riconosce noi suoi. E qui abbiamo la sintesi della Messa, perché anche la Messa dice a noi nella transustanziazione il salto di qualità tra ciò che di noi ascende e la Parola di Dio che discende. È proprio il passaggio di due conoscenze: la conoscenza, prima, secondo il mondo, e la conoscenza nuova dell’Essere in Sé. Prima nel mondo in cui siamo attivi, conosciamo Dio per sentito dire, per quel che ci dice la folla; la folla delle creature, la folla della creazione.

Eligio: E qui dobbiamo ragionare.

Luigi: Si, dobbiamo ragionare, per cui noi abbiamo una conoscenza di Dio negativa e diciamo: “Dio non è quello, non è quello, e non possiamo conoscere l’in Sé di Dio, perché conosciamo Dio per quel che non è: la creatura è limitata e noi diciamo che Dio è illimitato; la creatura muore, Dio non muore; ecco, noi conosciamo Dio per negatività.

Eligio: Anche per gli attributi positivi.

Luigi: Ma questa è ancor sempre una conoscenza negativa: (in base a ciò che Dio non è, cioè dalle creature) estendiamo all’infinito gli attributi positivi delle creature, ma l’”in Sé” di Dio a noi sfugge fintanto che lo Spirito non viene a noi dall’alto perché questa non è rivelazione di Dio. Questa conferma il: “Dove io sono voi non potete venire”. Le conoscenze che voi avete di Dio sono fuori di quel “Dove io sono”. La conoscenza di Dio è data soltanto in Dio. Ed è qui che si richiede il silenzio di tutto ciò che non è Dio e l’attesa di Dio. Per questo diciamo che Dio trascende la creatura e richiede il superamento dell’io, quindi il silenzio di tutte le creature, il silenzio di tutto il primo mondo. Qui si passa nel secondo mondo. Ma nel secondo mondo si passa proprio quando il Padre dice: “Tu sei mio”. È la parola di Dio che trasforma l’offerta. Noi nei dieci giorni di attesa, quando si arriva su quell’orizzonte, siamo tutto offerta (l’offertorio): è l’anima che si offre a Dio affinché su di essa Dio dica la sua parola. Su questa offerta Dio dice: “Questo è il mio corpo”: ci fa suoi. Lui fa suo quello che noi gli offriamo. Ora evidentemente però Lui fa suo, cioè fa noi suoi figli soltanto in quanto in noi c’è assenza di ogni altro amore. Ecco perché Dio non rivela la sua Presenza fintanto che in noi non c’è questa purezza di amore, che è poi totalità di amore, totalità di attesa di pensiero e quindi silenzio di tutto il resto. È su questa “totale dipendenza” da Lui che Lui ci dice la parola che ci conferma. Il Signore riconosce noi in quanto trova noi suoi. Non è che dica a noi nel silenzio questa parola: “Tu sei mio”; è la discesa dello Spirito che coincide con l’attesa nostra. Per cui lo Spirito che discende è lo stesso Spirito che attende. Ed è qui il punto di incontro tra Dio che discende e la creatura che ascende sulla parola di Dio, che ascende per Dio. In questo punto di incontro c’è la rivelazione della presenza e abbiamo il giorno della nostra Pentecoste. Per approfondire ciò possiamo tenere come pensiero guida quelle parole meravigliose che dice Gesù: “Chi mi ama osserva le mie parole e il Padre mio lo amerà e noi verremo a Lui e faremo in lui la nostra dimora”. Ora, notiamo questo: noi non vediamo la presenza di Dio e non la troviamo, non perché Dio non sia presente, ma perché noi non siamo capaci a dimorare in Lui. Noi siamo volubili ed è la nostra volubilità che ci impedisce di vedere Colui che è presente. Ciò che Gesù dice come conclusione: “Faremo in lui la nostra dimora”, non è che loro facciano la loro dimora quasi si spostassero, perché Dio non si sposta: ma rivela che rendo noi capaci di dimorare, di abitare con Dio; ed è qui la rivelazione della presenza.  Ma come si arriva a questa presenza? Dice: “Chi mi ama osserverà le mie parole”. Sono le parole che conducono, che fanno entrare nel tempio. E fin qui abbiamo la creatura che è attiva: “Chi mi ama”; il Signore propone delle scelte, propone un amore, quindi abbiamo la creatura che diventa attiva. “Chi mi ama osserva le mie parole”. Ora, questo osservale le mie parole non è un “fare” le sue parole in senso attivo, esteriore; ma vuol penetrarle, perché l’amore fa penetrare, fa custodire, fa meditare le parole dell’essere amato perché interessano. Le parole della persona amata interessano molto, per cui ogni sfumatura, ogni cosa sua viene esaminata con attenzione in profondità. È questo amore che conduce a scrutare le parole del Cristo. E scrutando le parole del Cristo: “Il Padre mio lo amerà”. Ecco, qui abbiamo una salto di qualità, perché fintanto che abbiamo la creatura che ama (naturalmente è dono di Dio, ma è Dio che propone l’amore), la creatura che osserva, che medita, che approfondisce, abbiamo la creatura che è attiva. Ma “Il Padre mio lo amerà”: qui abbiamo il passaggio, il salto di qualità. È Dio che trova la creatura, la quale penetrando le parole del Cristo, diventa parola del Cristo e amata: “amerà”: qui abbiamo un futuro, che in Dio non c’è. Dio ci ha sempre amati. Quindi il Signore Gesù qui parla di far capire a noi che, approfondendo le sue parole, ci scopriamo amati dal Padre. Perché in quanto dice: “Il Padre amerà” non è una novità del Padre che amerà. È una novità per noi perché prima invece eravamo ignorati dal Padre (“Io non vi conosco”), eravamo lontani dal Padre. Dio è vicino e noi siamo lontani. Però Dio ci ama e noi non vediamo questo amore, perché ci troviamo con un nostro mondo molto lontano da Dio. Dio ci pensa e noi non siamo pensati. Ora è proprio attraverso l’opera del Cristo che ci porta a scoprire quello che Dio è e quindi a scoprire l’amore di Dio, che noi ci scopriamo pensati (amare vuol dire essere pensati) da Dio. Ecco, qui è il momento in cui la creatura è trovata (“Il Padre lo amerà”). Essere trovati vuol dire essere conosciuti: qui la creatura è conosciuta, è amata, è pensata, si trova cioè pensata da Dio; non è più sola, si trova conosciuta. Allora dice: “Il Padre mio lo amerà e noi verremo e faremo abitazione in lui”: qui abbiamo la rivelazione della Presenza. Allora prima abbiamo la scoperta del conoscerci pensati e poi l’incontro con la Presenza che è una conseguenza.
Cioè in quel “verremo e faremo la nostra dimora” abbiamo lo Spirito Santo.

Nino: Praticamente diventa una consapevolezza di essere amati.

Luigi: Ecco, è una presa di coscienza. Perché Dio è già presente, ma noi non lo vediamo presente.

Nino: Penso che sia una cosa graduale, perché noi questa consapevolezza l’abbiamo già.

Eligio: La Pentecoste a me pare sia una cosa più profonda della semplice consapevolezza che noi possiamo avere senza l’effusione dello Spirito Santo.

Nino: Non sempre l’abbiamo così presente, ma ci sono dei momenti o passaggi della vita in cui essa è evidente.

Luigi: Ma guarda che lo scoprire la presenza di Dio è lo scoprire un Essere che tu puoi pensare, come noi ci pensiamo. Adesso noi ci pensiamo e non ci conosciamo perché noi vediamo le presenze fisiche e dialoghiamo con le nostre presenze fisiche e crediamo di conoscerci. Dio lo pensiamo ma non possiamo identificarlo come identifichiamo la creatura. Il giorno in cui lo Spirito Santo viene e rivela la presenza di Dio in noi, Dio diventa pensabile da noi e diventa pensabile in tal modo che se anche tu volessi cacciarlo, non lo potresti più, perché è una presenza che non puoi più ignorare perché è presente più di te.

Nino: Anche Merton in “Semi di contemplazione” seguita a dire che la contemplazione è una cosa che non si può dire.

Eligio: Comunque la Pentecoste per l’anima è qualcosa di più che la consapevolezza di essere amati da Dio.

Luigi: Certo, è rivelazione di Presenza, è la scoperta della presenza di Dio in noi.

Eligio: E quindi è essere mossi da Lui.

Luigi: Non soltanto essere mossi, ma è la scoperta di un Essere presente. Quando si verifica questa presenza, scopriamo un Essere che è sempre stato con noi fin dall’inizio. Ma lo scopriamo in un modo che diventa pensabile, per cui noi possiamo interrogarlo, possiamo dialogare, possiamo ascoltarlo quando vogliamo: è a disposizione. Direi che non possiamo più cacciarlo, perché è una Presenza eterna. Ecco, è un Essere presente che è sempre lì.

Eligio: La consapevolezza di essere amati è già nella posizione del Battista. Invece nella Pentecoste c’è un salto di qualità.

Nino: Io ho l’impressione di una gradualità di cose.

Luigi: È tutto graduale.

Nino: Almeno così sto sperimentando nella mia vita, convincendomi pian pianino che Lui è presente in ogni cosa. Tutti ammettiamo che tutto è opera di Dio, ma in pratica tutti reagiamo d’impulso, come se questo non fosse vero. Però pian pianino diventa sempre più facile tenere presente che tutto è opera di Dio e quindi ad accettarlo come tale.

Eligio: Ci stiamo avvicinando al tempio.

Luigi: Si, qui abbiamo un processo d’introduzione al tempio, ma nel tempio ci è riservata una novità.

Nino: Si è nella strada, ma non si è arrivati.

Luigi: Si, ma c’è un nucleo di rivelazione che è proprio la rivelazione della Pentecoste ed è riservato ad essa. La Pentecoste è la più grande festa perché è la conclusione di tutta l’opera di Dio, ma non soltanto dell’opera di Dio, ma anche dell’opera della creatura, perché abbiamo anche la sintesi della creatura che risponde al Creatore. Perché la conclusione di tutta l’opera di Dio è sul Calvario. Sul Calvario abbiamo tutta l’opera di Dio che si dona alla creatura. “Tutto è compiuto” da parte di Dio con la morte sul Calvario. Lui si è donato. E simboleggia la sua morte in ognuno di noi; morte che è ancora per la nostra salvezza. Se la creatura di fronte a Lui morto impara la lezione e commuore, allora abbiamo l’altro cammino fatto con Cristo risorto, fino alla Pentecoste.

Nino: Cosa si intende per commorire?

Luigi: Morire al nostro io; perché di fronte al Cristo morto noi prendiamo coscienza che il nostro io è delitto, è deicida, uccide Dio. Noi facciamo l’esperienza della morte di Dio. È un’esperienza che ognuno fa: il silenzio di Dio. L’uomo avendo messo al centro della sua vita il suo io, sperimenta (Dio gli lascia sperimentare), cosa vuol dire essere dipendenti soltanto dal nostro io, essere soli. Ecco, Dio tace. Di fronte quindi alla morte del Cristo, in questa sperimentazione della nostra solitudine, noi capiamo, per grazia di Dio (e per questo Cristo morto è ancora motivo di salvezza per noi), che il nostro io è delitto, è omicida, è deicida. Comprendendo questo, abbiamo la possibilità di risorgere e di superare il nostro io. Ed è qui che noi ritroviamo il Cristo che risorge. Dalla risurrezione in poi, noi abbiamo più l’opera di Dio univoca, sola, ma abbiamo l’opera di Dio spostata alla creatura che ormai sta camminando con Lui. Allora “Se siete risorti con Cristo non occupatevi più della terra, ma occupatevi delle cose del cielo”: la creatura ormai ha capito: superando, trascendendo se stessa, si occupa più del cielo che della terra (al centro delle quali c’è l’io) ha sperimentato che cosa voglia dire essere senza Dio. Allora avendo sperimentato questo, adesso sa che Dio è più importante delle creature, più importante della terra. Inizia il processo ascensionale fino al Padre. Nella Pentecoste abbiamo una situazione completa di tutta l’opera donativa di Dio, di tutta l’opera redentiva della creatura che finalmente ha incontrato la Presenza di Dio. E quindi c’è un mondo nuovo.

Nino: E non si avranno più incertezze; mentre adesso non è che sempre abbiamo presente l’amicizia di Dio e che la nostra autonomia è deicida.

Luigi: Fintanto che non arriviamo alla Pentecoste corriamo sempre il rischio di ricadere. Il cammino è instabile fintanto che non arriviamo alla conclusione.

Nino: Però non per tutti questo cammino è stato graduale, ad esempio San Paolo.

Eligio: Così pure per M.G. che, in soli tre anni, attraverso la preghiera, è arrivato a delle intuizioni e sintesi elevatissime.

Rina: Avrà avuto un colpo di fulmine.

Luigi: Ci sono delle funzioni sociali che Dio opera per trasformare il mondo e che quindi sono necessarie. Dio opera quindi nonostante l’uomo (ad esempio dice di San Paolo: “Non toccatelo, questo l’ho riservato per me, per la mia missione”). Dio crea dei santi, così come ha creato la Vergine, perché ci sono delle funzioni sociali da sostenere nel mondo, per non lasciare andare il mondo in rovina; però sono lezioni da assimilare da ognuno di noi perché il Signore da un momento all’altro può fulminarci, ed è logico, perché c’è tutto un lavoro di attenzione che Egli richiede: “Chi mi ama osserva le mie parole, e il Padre mio lo amerà”. Ci vuole questa attenzione da parte della creatura. Ci vuole questo desiderio. Dio può fulminare chiunque, come ha fatto a San Paolo che addirittura gli era nemico, e Dio te lo fulmina e gli dice: “Da ora in poi invece sarai mio amico e farai quello che voglio io”, appunto perché c’è una funzione sociale. Anche tutti questi gruppi carismatici, neocatecumenali che stanno sorgendo, è tutta opera di Dio, dello Spirito Santo che cerca di trasformare questo mondo che sta andando in rovina, per non lasciarlo andare completamente a rotoli.

Eligio: Così pure Merlin. Bisogna insistere più sulla preghiera che sull’esercizio delle virtù. Dire di più “Dio”, “Dio”, “Dio” e non “io”, “Io faccio”, “Io scelgo”.

Luigi: Si, bisogna partire da Dio. Dio è il principio e Dio è il fine e questo vuol dire che dobbiamo metterlo come principio, cioè dobbiamo sempre partire da Lui per arrivare a Lui. Perché fintanto che noi partiamo dal nostro io siamo su un piano sbagliato.

Eligio: Più che cercare le responsabilità degli altri, dobbiamo riconoscere che è Dio che ci mette in quella situazione, per un atto d’amore che magari non capiamo, ma intanto questo ci apre l’animo a Lui.

Luigi: Se noi riuscissimo ad accettare tutto dalle mani di Dio, noi saremmo già nel tempio. Ma il fatto di accettare tutto da Dio richiede già una morte al nostro io. Tu pensa soltanto che cosa vuol dire accettare tutto dalle mani di Dio, che cosa richiede in noi, quale spogliamento! Prima di arrivare ad accettare che uno ti pesti un piede e dire: “Signore, ti ringrazio perché mi hai mandato uno a pestarmi un piede”, guarda quale rivoluzione deve formarsi dentro di noi. C’è tutto un superamento dell’io, un superamento della figura davanti agli altri, perché se io accetto che uno mi colpisce sulla guancia e gli offro l’altra guancia, è un’umiliazione, anche davanti agli altri, perché sembra che non siamo capaci nemmeno di difenderci o reagire. Guarda quale ascesi richiede questo! Indubbiamente bisogna partire da Dio, ma c’è tutto questo superamento. Anche per Merlin, lo dice lui stesso nel libro, è stato tutto un passaggio graduale dal momento in cui ha capito, in quell’incontro di preghiera, che Dio esisteva. Ma poi per arrivare ad accogliere tutto dalle mani di Dio ci sono stati diversi dialoghi con Dio. Dio stesso gli diceva: “Fermati e ascolta perché ti voglio insegnare questo” e a poco a poco lo convince.

Nino: Così Frossard che si è convertito entrando in chiesa.

Luigi: Si, diversi sono stati fulminati. Ma non è detto perciò che se entro in chiesa io sia cambiato in cinque minuti. È opera di Dio. Così, non devo dire: “Io mi metto in preghiera e Dio mi darà il suo Spirito”. No! Il tempo dipende dal Padre. Per questo taluni li fulmina in cinque minuti e gli altri magari li fa sospirare tutta una vita. Dio lo sa, Lui conosce qual è la situazione della nostra anima e sa ciò che le conviene. Non è che Lui abbiamo difficoltà a donarsi, ma Lui sa il tempo e noi dobbiamo avere questa fiducia in Dio. Per cui la ricerca di Dio è una ricerca che va fatta, ma con umiltà, con amore, con attenzione, sapendo che dipende dal Padre. Quei dieci giorni di silenzio, quella preghiera non è poi tanto preghiera vocale, ma è orientamento, è silenzio di tutto il resto, sapendo che tutto dipende soltanto da Dio. Se io so che tutto dipende da Dio, nelle vicende normali della vita devo accettare che tutto dipenda da Lui. Perché se io accetto che tutto dipende da Lui quando mi metto in silenzio, ma poi nelle vicende del mondo reagisco come se le cose dipendessero dalle creature, io testimonio che non sono convinto che tutto dipenda da Lui. Allora sono proprio queste mie azioni che mi fanno prolungare l’attesa perché è ciò che parte dal nostro io che ci confonde e ci impedisce di restare, di abitare con Dio e quindi ci porta via la Presenza; è quello che parte da noi, non quello che arriva a noi. è quello che parte dal nostro cuore, dal nostro io che ci porta via da Dio. Dio non si allontana mai da noi, ma noi ci allontaniamo da Lui e allora non sperimentiamo più di essere amati. Come mai Lui mi ama e io sperimento il contrario e mi sento solo? Come mai la creatura si sente sola mentre Dio è sempre con lei? Cosa succede nella creatura?  È quello che parte dalla creatura, dal cuore della creatura. Siccome noi diventiamo figli delle cose che facciamo, se facciamo qualcosa non secondo Dio, questo non può ricevere da Dio: “Questo è mio”, perché non è secondo Dio. È questo che mi allontana da Dio. In questa lontananza io mi sento non più pensato, non più amato, sconosciuto, mi sento abbandonato al mio io, solo. Invece se faccio qualcosa secondo Dio, proprio in quanto secondo Dio, questo è “suo”, questo mi avvicina e più mi avvicino, più mi dà la possibilità di restare con Lui. Restano con Lui, scopro la sua Presenza, perché Dio è già presente. Dio ci pensa, Dio ci ama. Eppure il Signore dice: “Il Padre mio lo amerà!”: un futuro. Il futuro è relativo alla creatura. Il tempo passato e il tempo futuro sono relativi alla creatura. In Dio c’è soltanto il presente. Quindi Dio ama. In quanto vuole la creatura, Dio l’ama. In Dio tutto è presente. Anche lì si nota la diversità tra Dio e la creatura: per Dio tutto è presente, per la creatura il presente non riesce mai ad essere tale. La creatura vive nel passato e nel futuro. La dimensione della creatura è passato e futuro e niente presente: il presente, la presenza è un punto che immediatamente sfugge alla creatura: non può essere trattenuto. Per Dio invece tutto è presente. La creatura è chiamata attraverso Dio a riconquistare il passato e il futuro nel presente di Dio. La creatura perviene al “tutto presente” soltanto con Dio e per Dio. Con Lui ricupera tutto, ricupera anche il tempo; ricupera il passato e il futuro in un presente, qual è Dio: ma questo avviene in Dio. Allora quando il Signore parla di futuro (quando dice: “Vi rivedrò, mi rivedrete, vi manderò lo Spirito”), questo futuro annuncia soltanto una situazione di consapevolezza, di coscienza, di scoperta di una cosa che già c’è, cioè la scoperta di un Essere presente che è già con noi. Infatti quando noi scopriremo la presenza in noi del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, scopriremo con meraviglia che sono sempre stati con noi fin dall’inizio. Eppure sarà una novità, una scoperta. Però questa scoperta viene dall’alto, viene da Dio, non viene da noi. Non siamo noi che abbiamo scoperto. Lui ci ha condotti a questa scoperta. Scoprendo, scopriamo che tutto è stato opera sua per formare noi. Per cui tutto il passato diventa presente perché è sempre stato Lui.

Pinuccia: È una scoperta, però noi adesso lo crediamo per fede.

Luigi: Noi lo crediamo per la parola che Dio fa giungere a noi.

Pinuccia: Forse non sarebbe più giusto parlare di esperienza più che di scoperta? Perché si parla di scoperta quando uno trova una cosa che non poteva nemmeno immaginare; invece noi questa cosa la sappiamo perché Lui ce l’ha detto.

Luigi: Ma tu non lo sai e non te lo immagini: quindi è una scoperta. Quanto uno parla tu credi, ma non hai ancora trovato. In quanto uno crede, non vede ancora. Quando scopre, vede e non crede più. Scoprire è trovare. Quando crede, crede sulla parola. Cristo mi ha parlato di queste cose, io le accolgo: “Chi mi ama crede alle mie parole, le osserva, penetra le mie parole”. Ma la parola è ancora un annuncio. Dio parla in parabole nel nostro mondo e si annuncia a noi. Ma che Lui si annunci a noi non vuol dire che noi vediamo la sua presenza. Noi sappiamo che Dio è presente però non lo vediamo. Sappiamo per cui non possiamo negare, ma non lo vediamo.

Pinuccia: E quando lo vediamo allora non è che lo scopriamo: sperimentiamo che è vero quello che abbiamo creduto.

Luigi: Eh già! Ma è una scoperta perché scopriamo la Presenza. Io sentivo parlare di Uno, adesso lo vedo: è una cosa ben diversa. Una cosa è sentire parlare di quel Uno e una cosa è incontrare quel Uno. La scoperta è incontrare quel Uno. Quando l’hai incontrato, l’hai incontrato! Ecco, non puoi più dire: “Non l’ho visto!”, è una cosa diversa: “L’hai visto!”. Quando ci viene annunciato è una cosa che crediamo ma che ancora non vediamo. Il giorno in cui l’abbiamo vista, quella visione ci domina a tal punto che non possiamo negarla. Se noi dicessimo: “Non l’ho visto!”, la coscienza ci rimorderebbe e ci direbbe: “Stai dicendo una menzogna!”. Invece quando Dio parla e dico: “Io non l’ho visto!” la coscienza non mi rimorde, perché è vero che non l’ho visto: lo credo, so che è presente, però non l’ho visto e la coscienza non mi rimorde. Il giorno in cui l’ho visto, se dico: “Non è vero, non l’ho visto!”, la coscienza mi rimorde, vedi che la Verità domina?

Pinuccia: Si, però uno può vederlo per un momento e poi non vederlo più.

Luigi: No, se tu lo vedi, la visione non può essere smentita: quindi rimane. La visione della Verità si trova in quanto si conosce e in quanto si conosce, la Verità è Verità, non scompare. Le presenze del mondo le conosciamo perché sono presenze fisiche e in quanto tali ci sono e non ci sono: oggi ci sono, domani non ci sono più, vanno e vengono. La presenza della Verità non è una cosa che va e che viene. Non è soggetta al tempo, non è soggetta alla creatura, non è soggetta alle nostre fantasie. La scoperta della Verità, il giorno in cui è scoperta, rimane. È Verità, è eterna: non è più smentibile. Anche volessimo smentirla non possiamo più, perché è eterna. La bellezza di Dio sta lì: Dio non muta; tutte le altre cose mutano, per cui oggi l’abbiamo conosciuto ma domani devo rivedere la mia conoscenza, perché qualcosa è cambiato. Con Dio no, è un mondo nuovo, un salto di qualità. La presenza di Dio è talmente vera in noi che ci fa desiderare di assorbire tutte le altre presenze, tutto l’altro mondo nella sua luce. Non si vuol più conoscere altrimenti. Infatti Gesù dice: “Lo Spirito di Verità vi condurrà a vedere ogni Verità”. Cosa vuol dire questo: “Vi condurrà”? È principio di un mondo nuovo. Vi condurrà a vedere ogni verità, cioè vi condurrà ad assorbire ogni altra conoscenza, tutto l’altro mondo, ad assorbirlo in questa luce, in questo nuovo mondo. E l’anima non è tranquilla, non è contenta fintanto che non ha visto tutto raccolto in quello. Ma perché? Perche questa verità è una verità talmente vera per l’anima, che tutto il resto è niente, scompare, sono solo segni.

Pinuccia: Quindi quelle luci o intuizioni che Dio dona sono annunci che vanno e vengono.

Luigi: Sono annunci. Infatti finché non giungiamo a Pentecoste non permaniamo. La permanenza: “Faremo in lui la nostra dimora”, è una conseguenza della Pentecoste, ma della Pentecoste personale, non della festa di Pentecoste. Perché anche questa festa di Pentecoste che oggi celebriamo è soltanto un messaggio, un annuncio, una promessa di quella Pentecoste alla quale Dio vuol condurre la nostra anima. Ma a questa Pentecoste Lui conduce la nostra anima personalmente, perché richiede un passaggio di amore: “Chi mi ama”. Ora cosa vuol dire amare? L’amore è sempre un isolamento con. Quando si ama una persona, si tende ad isolarsi con essa. E in questo isolamento abbiamo il silenzio di tutto il resto, e in questo isolamento con questa persona nasce un mondo nuovo. C’è la fusione di un’anima con l’altra, di un essere con l’altro. La Presenza di Pentecoste è l’incontro di due direzioni: la direzione discendente, Dio che si dona e la creatura che si dona. Una si dona per essere posseduta, l’altra si dona per comprendere, per possedere. Da questa fusione, da questa presenza nasce un mondo nuovo, una creazione nuova. Nasce un mondo che dipende solo da questa realtà. Non contano più le altre realtà. Si era partiti da tutto un altro mondo, poi, attratti dall’amore, ci si è isolati in questo amore. In esso è nato qualcosa di nuovo in cui tutto viene trasformato. Ecco è novità. Abbiamo scoperto in quello una Presenza talmente nuova e talmente grande per noi da valere più di tutto il resto: diventa un mondo che assorbe tutto il resto.

Nino: Quando si scopre la Verità essa ci porta a vedere in una nuova luce anche il passato.

Luigi: Quando tu scopri la Verità di Dio e scopri Colui che è sempre stato con te e ha operato tutto di te, questo ti riporta  a rivedere tutto quello che è avvenuto nella tua vita, perché in quel fatto lì era Lui, in quell’altro fatto era Lui, era Lui che mi pensava, era Lui che mi preparava. Ho scoperto qualcosa di nuovo che era antico (era sempre Dio che operava in tutto): per questo ti viene il desiderio di rivedere quello che è stato, per interpretare tutto in questa nuova luce, per scoprire l’amore che Dio ha avuto per me, in tutto il tempo precedente al suo incontro, prima che io lo conoscessi: era sempre Lui che faceva tutto per me.

Pinuccia: Allora è importante scoprirci amati anche nel passato, per poter scoprire la presenza di Dio.

Luigi: No, noi ci scopriamo amati nel passato, dopo aver scoperto la presenza di Dio, perché la scoperta della presenza di Dio diventa una scoperta universale: si scopre Uno che è sempre stato con noi. Scoprendo che Lui è sempre stato con noi, allora comincio a pensare: “Allora tutto quello che avveniva, era tutto Lui che pensava a me, che preparava me, che parlava a me, ed io non me ne rendevo conto!”. Allora comincio a raccogliere tutto in Lui, come dice San Paolo: “Recuperate il passato!”. Si recupera tutto in questa novità per intendere maggiormente quanto Lui ci ha amato. Se dico: “Quando Dio creava le stelle, quando disse: “Sia fatta la luce”, quando creava il cielo e la terra, pensava a me!”. Allora comincio a comprendere la vastità, la grandezza, l’immensità del suo Pensiero per me, l’amore che Lui ha avuto per me.

Pinuccia: E questo lavoro non lo si può fare nella fede? Si può recuperare anche il passato nella fede, no?

Luigi: No, il passato lo si recupera in quanto si ha una Presenza. Per fede lo puoi fare ragionando.

Pinuccia: Ma non basta la Presenza nella fede? Credo che Dio è l’Essere che ha creato ogni cosa.

Luigi: No, è una cosa molto diversa. Quando si scopre la Presenza, non c’è più la fede, c’è la Presenza. È una cosa molto diversa.

Eligio: Però si scopre un rapporto personale nella fede.

Luigi: Sì, io credo che Dio mi pensa, credo che Dio sia presente perché non posso smentirlo, però è una cosa molto, molto diversa dallo scoprire la sua Presenza. Scoprire la sua Presenza vuol dire che Lui si rende pensabile da me. È un dono, il dono dell’amore. È un Essere che si dona all’altro per essere posseduto dall’altro, e nasce una creatura nuova. È la nascita di una creatura nuova che, poiché Dio le si è dato, può interrogarlo, può pensarlo quando vuole, come vuole. È lì! È una cosa molto diversa dalla fede. La fede è necessaria, si capisce, perché la fede è la premessa, la condizione per iniziare il cammino. Senza la fede non si può fare niente: “Senza di me fate niente”, però la fede conclude con la contemplazione, con la scoperta, con la Pentecoste. Per questo la Pentecoste è una festa grandissima, perché è la conclusione di tutta la fede, di tutta la speranza, di tutta l’opera di Dio e di tutta la risposta della creatura, perché senza la risposta della creatura non si arriva a Pentecoste. La creatura arriva al Calvario, senza la sua risposta, ma non arriva a Pentecoste. Allora la Pentecoste è la grande sintesi: la sintesi della Messa, la sintesi dell’Apocalisse, la sintesi dei discorsi della fine del mondo di cui parla Gesù, cioè è la sintesi di tutta la creazione. Questa è la Pentecoste e con la Pentecoste, che è la linea di spartiacque, inizia un mondo nuovo: è il mondo che parte da Dio, in cui si recupera tutto. È un principio di vita eterna che entra in noi. A Pentecoste l’anima comincia a rivedere, a recuperare tutto nella luce di Dio, a vedere tutto raccolto in essa; è un mondo nuovo che parte da Dio, non più dalla creatura, dalla folla. Prima partivamo dal mondo, dalla creatura per arrivare a Dio: adesso si parte da Dio per scendere alle creature e non si accetta più un processo diverso, perché un processo diverso non dice più niente. Qui abbiamo la creatura che nasce da Dio e in tutto vuole partire da Dio. Piuttosto si isola, resta con Dio, fa come “Simone lo stilita” sulla colonna per quarant’anni, se non riesce a recuperare il mondo preferisce restare solo con Dio, piuttosto che scendere nel mondo. Non può perché Dio è più importante. Infatti Gesù parla di una gioia che più nessuno vi potrà portare via. Ora, questa gioia che nessuno vi potrà più portare via, è una gioia che la creatura constata, prova in questa Presenza. Quindi è una Presenza più valida di tutte le altre presenze, perché le altre presenze non convincono, questa convince. Convincere vuol dire che lega, unisce.

Nino: La fede è un atto di fiducia, invece questo è già la conferma della fiducia: ritrovo che tutto è vero.

Luigi: Resti confermato.

Nino: Non è che vada via la fede, anzi, rimane di più.

Luigi: La fede è superata, c’è la Presenza. È la carità, la contemplazione. La Pentecoste è un punto di arrivo ed è l’inizio di una vita nuova perché lo Spirito Santo è uno spirito attivissimo, è spirito di amore e quindi è uno spirito che recupera tutto.

Pinuccia: La scoperta della Presenza è una scoperta progressiva o arriva improvvisamente?

Luigi: Arriva improvvisamente! Richiede tutta una lunga preparazione, ma quando arriva è un colpo fulmine, una conoscenza, una scoperta.

Pinuccia: E abbraccia tutto?

Luigi: No, l’abbraccio è lento, perché Gesù dice: “Lo Spirito Santo vi condurrà”, abbiamo il recupero, ma la scoperta è nuova, immediata. Dipende dal Padre. È per questo che bisogna vegliare in attesa e vegliare con quella pazienza che e con quell’orientamento e con quel silenzio che non si stancano prima di arrivare alla meta. Infatti il Signore raccomanda ai suoi discepoli di restare in preghiera in Gerusalemme fino a quando non saranno investiti dall’alto dello Spirito. E quello che raccomanda loro è segno di quello che raccomanda ad ognuno di noi affinché possiamo arrivare. Dio non ha detto quelle parole soltanto per quei discepoli di allora. Le sue parole sono eterne. Quindi quello che Lui disse, lo dice per ognuno di noi. È parola valida ed eterna per ogni creatura, e quindi è lezione per portarci nella vita eterna. Noi invece, il più delle volte, facciamo un tentativo di silenzio, di raccoglimento, poi naturalmente lo Spirito Santo non viene per cui ritorniamo nel mondo di prima. Poi facciamo un altro tentativo e ci stanchiamo. Invece no! Bisogna avere quella pazienza, mantenere quel silenzio fino alla conclusione: fino alla maturazione del seme di cui Gesù ci parla nella parabola del seminatore. Soltanto il terreno profondo è quello che con pazienza fa maturare il seme fino a giungere a Pentecoste. Quindi ci vuole questa pazienza perché il tempo è di Dio e noi non possiamo dire: “Signore, mi fermo un’ora in silenzio, se mi mandi lo Spirito Santo bene, se no me ne vado!”. No! Noi non possiamo determinare il tempo. Il tempo è di Dio, è del Padre. Lo Spirito viene dal Padre. Per cui stai lì; se Dio vuole farti aspettare cento anni, stai fermo ad aspettare per cento anni! Se non lo aspetti è perché sei fuori dall’amore.

Pinuccia: “Se indugia, aspettalo”. Ce ne accorgeremo quando arriverà?

Luigi: Altroché ce ne accorgeremo! È un terremoto!!!



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Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Gv 5 Vs 14 Terzo tema.


Titolo: Osservare la Parola di Cristo.


Argomenti: La parola di Dio quando arriva è Presenza: effetto immediato. La vera guarigione: testimoniare l’amore.  Nel tempio conosciamo solo se siamo conosciuti. Osservare la parole di Cristo. L’osservare è una conseguenza dell’amore. Il rifiuto di tutto cià che non è Dio.L’importanza della Parola.  È in Cristo che siamo conosciuti dal Padre. La fede è desiderio. Recuperare tutto come opera di Dio. L’importanza della Parola. Il fare di Dio. Dio solo è rivelatore di Sé. Essere e avere. L’interesse con cui mi rivolgo alla parola. La scoperta della presenza di Dio è Pentecoste. Conoscere i tempi della nostra anima. La preziosità del dono. Luogo spirituale. La morte è disgregazione.


 

21/Maggio/1978


Preincontro:

Eligio: “Il paralitico subito fu guarito”. L’istantaneità della guarigione non mi pare corrisponda all’istantaneità della conversione, perché la conversione è un processo graduale, salvo eccezioni, (come successe a San Paolo). Come può quel “subito” riferirsi ad ognuno di noi?

Luigi: San Marco nel suo vangelo, in parecchi episodi fa notare la parola “subito”:

-                     La chiamata degli apostoli: “Essi subito lasciate le loro reti lo seguirono”;

-                     L’incontro con Matteo Levi: “Ed egli subito si alzò e lo seguì”;

-                     La guarigione della suocera di Pietro: “Subito ella si alzò a servirli”;

-                     La guarigione del lebbroso: “Ed egli subito lo guarì”.

Anche qui è messa in evidenza la parola “subito” per dirci che la parola di Dio produce un effetto immediato, sempre che incontri una disponibilità di animo (la parola di Dio è immediata su di noi), con ciò non vuol dire che guarisca totalmente l’uomo. Abbiamo visto che quel paralitico ha avuto subito la possibilità di camminare, perché la parola di Dio è efficace: come arriva a noi, ci dà subito la possibilità di camminare. Né noi possiamo rinviare, perché se rinviamo perdiamo la grazia che è nella parola di Dio, cioè rimane il ricordo di essa ma rimane come il ricordo in fotografia di una persona amata. La fotografia non ha l’efficacia che ha la presenza della persona amata. Così la parola di Dio: quando arriva è Presenza, ed è efficacissima ci dà subito la grazia per poter partire. Cioè, ci libera dalla paralisi e ci fa camminare. Ma camminare non è essere guariti. Infatti vedremo successivamente che nel tempio Gesù dice a quel miracolato: “Eccoti guarito”. Questa conferma ci fa capire che la vera guarigione è avvenuta nel tempio, non prima. E che prima non fosse totalmente guarito lo notiamo, perché la sua conoscenza era secondo la folla (tant’è vero che non vedendo più Gesù in mezzo alla folla, non sa più chi sia). Quando noi non conosciamo chi è Gesù o lo conosciamo per la folla, non siamo realmente guariti. È come uno che si sente forte e fiducioso soltanto perché le cose gli vanno bene. Per questo satana dice a Dio: “Giobbe ti ringrazia sempre, ma è perché gli hai dato la famiglia, tante proprietà e tutte le cose che gli vanno bene; ma prova a togliergli tutte queste cose e vediamo se ti ringrazia ancora!”.

Eligio: Non risulta dal testo evangelico che il paralitico abbia portato su di sé le conseguenze dei trentotto anni di paralisi. Eppure noi diventiamo figli delle nostre azioni e dei nostri pensieri, trascinandone le conseguenze. Gesù vuole forse insegnarci che incontrando Lui abbiamo una liberazione immediata anche da questo condizionamento?

Luigi: Si, ci dà la forza di accogliere il suo perdono e di camminare nel suo Spirito. Infatti il Signore dice: “Io dimentico tutte le colpe passate”. Il Signore quando incontra l’anima non le fa più ricordare tutte le colpe passate e il perdono è integrale.

Eligio: È il sinonimo di liberazione per noi?

Luigi: Si, di liberazione. Però abbiamo visto che quest’uomo cominciando a camminare, ha dovuto subire un certo rischio, una tentazione. È lì che ha confermato la sua fede e ha avuto la possibilità di entrare nel tempio. La parola di Dio arrivando a noi, ci dà la possibilità di camminare verso Dio, di alzare i nostri occhi verso di Lui e di cominciare a camminare, mentre nella malattia siamo paralizzati. Però avendo la possibilità di camminare, non è detto che si sia totalmente guariti. È soltanto quando cominciamo a testimoniare quello spirito al quale noi vogliamo appartenere che incomincia la vera vita. Il Signore ci dà la grazia per camminare, però noi dobbiamo vincere la tentazione, la prova. La vita comincia dal momento in cui noi testimoniamo l’amore al quale vogliamo appartenere. Ma se poi nella prova cediamo, perdiamo la grazia di prima, perdiamo l’amore e ritorniamo nella situazione di prima, forse peggio di prima, perché prima potevamo ancora sperare nell’aiuto di Dio, ma adesso che l’abbiamo trovato, non avendolo sostenuto di fronte alla prova, l’abbiamo ceduto di fronte al mondo. E allora siamo nella situazione di quell’uccellino trovato morto, che si decompone; si ritorna indietro, si inaugura un processo di disintegrazione. Comunque la parola di Dio come arriva a noi, è subito efficace come abbiamo visto negli episodi riportati nel vangelo di San Marco. La parola di Dio è efficace; è efficace anche nel nostro peccato: il Signore quando resuscita un morto, “subito” l’altro resuscita per la parola di Dio. Però, che l’uomo riceva immediatamente, subito, la capacità di camminare, non è detto che sia totalmente guarito. L’uomo poi ha bisogno di partecipare. È lì la difficoltà, poiché l’uomo porta ancora il peso delle cose che ha fatto prima. Per cui nella prova, di fronte alla tentazione, egli sente ancora la voce: “Ma che figura ci faccio?!”. Allora se tiene presente il suo io o il mondo, perde l’efficacia della grazia di Dio.

Eligio: Questa verifica di fronte al mondo, all’incontro avvenuto col Cristo, è la premessa per entrare nel tempio. Cioè non entro con l’incontro col Cristo, ma dicendo tutti quei “no”; cioè si entra per esclusione.

Luigi: Si, certo. Cioè Lui incontra me, anche senza di me, ma non mi fa entrare nel tempio senza di me. Come avviene la partecipazione del mio io? Con i famosi “no” attraverso cui io rifiuto di sottomettermi ad altre volontà, di accogliere altri amori per affermare quell’unico. Lì c’è allora la partecipazione personale. Il Signore opera su di noi le meraviglie, i miracoli senza di noi, ci fa nascere senza di noi; poi ci mette alla prova affinché noi cominciamo la vita personale. Noi cominciamo la vita personale, cioè diventiamo veramente persone solo nel momento in cui cominciamo a dire “no”, perché il “no”, essendo negazione, presuppone sempre un “si” e più noi diciamo “no”, più fortifichiamo il vero “si”. E allora è lì che c’è tutta la partecipazione personale a cui noi siamo invitati. Lui mi ha dato la grazia e adesso mi ripresenta tutte le occasioni in cui prima ho peccato: le ripresenta tutte, una per una, invitandomi a dire di fronte ad ognuna: “Dì no!”, “Dì no!”, “Dì no!”. Man mano che dico di “no”, resto libero: c’è una partecipazione personale. Ecco, si costruisce l’uomo in verticale, l’uomo in un amore unico. Con la grazia di Dio, Dio mi dà la possibilità di affermare il suo Spirito. La grazia di Dio c’è sempre, ma non c’è quell’avvertenza personale, per cui io divento malato, paralitico, per cui non sono capace a restare con Dio, a camminare con Dio. Allora Dio interviene in questa mia capacità, si abbassa, si incarna, scende al mio livello e mi arreca quella grazia efficace, quella parola “ad hoc”, cioè mi dà la possibilità di risorgere subito, di riprendermi. Come mi riprendo sulla sua parola, Lui mi ripresenta tutti i miei peccati, non per farmeli ricordare, ma per darmi la possibilità di liberarmene: ecco le tentazioni. Sono grazie sue. Ora, se di fronte alle tentazioni io adesso dico “no” mentre invece prima avevo detto “si”, ecco, man mano che dico “no”, c’è la liberazione. Ad un certo momento sono tutto libero e allora entro nel tempio: vedi che la persona partecipa personalmente? È per questo che soltanto dicendo molti “no” si arriva finalmente a dire il vero “si”. Quindi la prova, la tentazione è ancora grazia di Dio per portare a compimento in noi il suo dono. Si dice che nel purgatorio ad ognuno vengono ripresentate tutte le colpe, affinché proprio di fronte a queste colpe ognuno abbia la possibilità di preferire Dio: ecco la purificazione, la catarsi, che avviene attraverso questo. E allora man mano che uno si libera sale di un gradino, sino all’ultimo e fa un balzo nel Paradiso (“il salto di qualità”): entra nel tempio. Sono tutte tracce di Dio che ci aiutano per capire i misteri del suo regno.

Riflessione sull’uccellino morto. La morte è disgregazione ed è segno della disgregazione spirituale. È il pensiero che organizza la materia, questo universo. Ad esempio dai mattoni si arriva alla casa; dall’alfabeto si arriva alla Divina Commedia. Lo scopo di questa organizzazione dei 92 elementi costitutivi della materia è per farci passare alla scoperta dello Spirito. Se questa non avviene cessa lo scopo di tutta questa organizzazione: si ritorna agli elementi iniziali che rimangono una testimonianza di una speranza fallita, di ciò che Dio ha fatto per me. Resta ancora il segno, l’orma dell’opera che Dio aveva fatto per farci fare questo salto di qualità alla scoperta nel tempio della sua Presenza. Se questa Presenza non giunge, abbiamo l’aborto: la creazione ha abortito, non ha raggiunto la spiritualizzazione, per cui tutto si disgrega. La disgregazione è morte, dispersione degli elementi iniziali, perché noi non possiamo distruggere niente. Restano gli elementi iniziali perché sono opera di Dio. Questi elementi iniziali però dicono a noi la speranza fallita, il sogno che non si è avverato, rimprovero, morte eternamente cosciente di essere morte.

Il passaggio dalla conoscenza secondo la folla alla conoscenza secondo lo Spirito (cioè di quello che Dio è), avviene col desiderio di essa.

Dall’esposizione di Luigi Bracco:

Luigi: Come argomento di oggi volevamo richiamare in sintesi gli argomenti delle domeniche precedenti. Siamo giunti a questo punto: “Gesù lo trovò nel tempio” e nelle domeniche passate ci siamo fermati sul tempio:

-                     1) Che cosa possa significare per la nostra vita essere trovati nel tempio. Ora, c’è la possibilità nella nostra vita di essere fuori del tempio.

-                     2) E allora quand’è che siamo nel tempio e quand’è che siamo fuori di esso?

-                     3) E se siamo fuori del tempio che cosa possiamo fare per entrare nel tempio: quindi questo passaggio dal “fuori” al “dentro” nel tempio, perché soltanto dentro del tempio noi possiamo essere trovati da Dio e soltanto se siamo trovati noi possiamo trovare la presenza di Dio. Mentre fuori del tempio siamo noi che conosciamo, siamo noi che operiamo, siamo noi che facciamo, siamo noi che scopriamo, nel tempio invece  avviene un capovolgimento. Nel tempio noi troviamo soltanto se siamo trovati, conosciamo soltanto se siamo conosciuti, vediamo soltanto se siamo veduti, amiamo soltanto se siamo amati. Qui abbiamo una precedenza passiva nostra, perché nel tempio l’iniziativa è di Dio e tutto viene a noi da Dio: venendo a noi da Dio, noi in conseguenza conosciamo, scopriamo; per cui il tempio è il luogo in cui Dio rivela la sua Presenza trovando noi. Ecco allora, che cosa possiamo fare per passare da fuori del tempio a dentro il tempio?

-                     4) Cosa possiamo fare per restare nel tempio? Perché possiamo anche essere cacciati fuori.

-                     5) Che cosa possiamo fare, se possiamo fare qualcosa e come, per essere trovati nel tempio?

Teniamo anche presente che l’essere trovati nel tempio corrisponde con quanto Gesù dice negli altri vangeli Sinottici, parlando della ricompensa nei cieli: “Fa le tue opere nel segreto, non farti vedere, rinnega te stesso e allora grande sarà la tua ricompensa nei cieli, grande sarà la tua ricompensa presso il Padre”. Ecco, là si parla di ricompensa. Oppure quando si dice della parabola dei talenti: “Entra nella gioia del tuo Signore”. Quindi la “ricompensa”, “la gioia del tuo Signore”, trova qui riscontro nel vangelo di San Giovanni, con “Gesù lo trovò nel tempio”.

Domenica scorsa abbiamo preso come pensiero guida e suggerirei di tenerla anche come pensiero guida per la nostra meditazione di oggi, se il Signore ce ne dà la possibilità, quella parola di Gesù: “Chi mi ama, osserva le mie parole, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui”. Ecco qui mi sembra che siano ben sintetizzati i nostri argomenti:

-                     L’essere fuori del tempio;

-                     Le condizioni per entrare nel tempio;

-                     Che cosa possiamo fare per entrare nel tempio.

“Chi mi ama osserva”. “Osservare”: questo verbo può essere inteso in molti modi; osservare la parola di una persona che amo è cosa molto diversa dall’osservare le parole di uno che mi è estraneo o di uno che mi comanda una certa cosa. Posso osservare materialmente, esteriormente, per ubbidire e osservare un dovere. Siccome il Cristo parla sempre nello Spirito del Padre, l’osservare la sua parola è la chiave per entrare nel tempio dove: “Il Padre mio lo amerà”. Abbiamo  già visto che questo futuro è relativo soltanto a noi perché il Padre ci ama sempre; quindi è una modificazione di uno stato nostro di coscienza, rivelazione alla nostra coscienza che ci fa scoprire di essere conosciuti dal Padre, di essere pensati, di essere amati dal Padre, se osserviamo la parola del Figlio. E qui siamo nell’argomento dell’altra sera (“Il Padre ci ha dato in Cristo il suo Spirito”): “Chi mi ama osserva la mia parola”, cioè arriviamo allo Spirito del Padre nel Pensiero, in Cristo. È in Cristo che scopriamo di essere trovati dal Padre, conosciuti dal Padre. Gesù disse ai suoi discepoli: “Finora non avete chiesto nulla in nome mio, chiedete ed otterrete perché il Padre mi ama”. In mio nome, cioè in Lui, perché il suo nome è il Padre. Arriviamo al Padre soltanto per Cristo. “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me”. “Chi mi ama osserva la mia parola e il Padre lo amerà”. Cristo fa coincidere la scoperta dell’amore del Padre come conseguenza dell’osservare la sua parola. È una scoperta perché il Padre ci ama da sempre. Ma io osservo la parola di uno, in quanto sono nel pensiero di quell’uno. Lui dice: “Finora non avete chiesto nulla in mio nome”; io osservo il nome, la parola di uno, prego in nome di uno, in quanto sono nel suo pensiero, sono in Lui. Quindi quell’osservare la parola, è un qualcosa di molto profondo, perché mi unisce, mi fa una cosa sola, con il Figlio di Dio e quindi mi fa ricevere lo Spirito del Padre, che è poi lo Spirito Santo, in Cristo: quello Spirito che ci dà la possibilità di restare sempre con la Verità di Dio.

Come pensiero guida negli argomenti propostici teniamo allora presente queste parole di Cristo: “Chi mi ama osserva la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e resteremo in lui”.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Cina: Io mi sono affidata alla Madonna perché mi aiuti a scoprire quella parola che mi deve condurre al tempio. La parola di Dio deve essere il binario sul quale dobbiamo camminare per entrare e anche per restare, perché sembra che qualche volta il Signore ci prenda, altre volte ci lasci.

Luigi: La sua parola non ci manca mai se noi andiamo a cercarla. Il Signore talvolta ci prende, altre volte ci lascia da soli, magari ci mette lontano la sua parola, forse per vedere quanto noi la desideriamo, quanto la riteniamo valida.

Nino: Riflettendo sulle domande proposte, penso che noi siamo fuori del tempio, quando siamo nell’influenza del mondo, del nostro io e non abbiamo ancora vivo il desiderio della conoscenza di Dio. Entriamo nel tempio quando osserviamo la parola di Dio, quando abbiamo messo a tacere le cose del mondo e il nostro io. Osservare la parola non è solo essere attenti ad essa, ma applicarla e viverla, credendo a Dio, perché noi non vediamo ancora la Verità: sarà la fede che ci porterà a conoscere. Queste sono le condizioni per essere trovati da Dio nel tempio.

Luigi: Precisiamo allora: per essere trovati da Dio nel tempio dobbiamo staccarci dal mondo e dall’io e avere il desiderio di conoscere Dio, perché è questo che ci porta dentro.

Nino: Io non riesco a fare una distinzione così netta tra desiderio e fede.

Luigi: La fede è desiderio. Se non è desiderio non è fede. Se non è desiderio di conoscere Dio, con la speranza, con la certezza di arrivarci (perché il Signore lo vuole, siccome è parola sua), non è fede.

Nino: A me riesce più facile la parola fede, tu usi di più la parola desiderio.

Luigi: Non metto soltanto in evidenza la parola “fede” perché molti dicono: “Io ho fede”, ma la fede senza desiderio non è vera fede. “Io credo semplicemente” se non è passione per arrivare a conoscere Dio, cioè per arrivare all’amore, alla carità, non è fede; è una fede senza le opere di cui parlava San Giacomo.

Nino: Ma la fede è impegno a vivere.

Luigi: Certo, la maggior parte della gente dice: “Io credo nel Signore”; ma se tu dici a loro: “Devi cercare il Signore!”, cadono dalle nubi.

Nino: Ma Gesù dicendo: “Chi osserva la parola”, dice di essere tesi a coglierla, ma anche a viverla motivati da questo desiderio, da questa fede.

Luigi: Direi che è proprio il desiderio che ci rende preziosa la Parola. Perché Gesù dice: “Se uno mi ama osserva”, quindi è l’amore che ci porta ad osservare, in quanto l’amore sveglia l’interesse per ciò che Lui dice e allora questo interesse ci rende molto preziose le sue parole. È l’interesse per una cosa che rende preziosa la parola che la riguarda. Quindi: “Chi mi ama osserva”. Se uno dicesse di amare e poi non osservasse le parole di colui che ama, sostanzialmente non ha amore. L’amore vero sta nell’osservare tutto ciò che riguarda l’Essere amato. Osservando poi le parole di Cristo, queste ci introducono, perché “Dove io sono voi non potete venire”. Ecco “Sarete veri miei discepoli se resterete nelle mie parole, allora conoscerete la Verità”; la Verità è nel tempio. Per cui la Verità, dice la Sapienza, dalla sua cittadella (nel tempio), manda le sue ancelle su tutte le strade ad invitare, a dire: “Salite” nel mio tempio. Ma la Sapienza, la Verità sta nel tempio, non esce, manda le ancelle a dire: “Venite!”. Però come si entra? Si entra osservando la parola. È la parola che ci fa entrare, la parola del Cristo, “Senza di me voi non potete venire!”. Ci vuole l’amore: questo amore che è predilezione di, che è preferire Uno al sopra di tutto! “Quindi se mi amate, se mi preferite al di sopra di tutto”. “Se mi amate …”: l’amore nasce in quanto si è amati. Se Dio non ci amasse per primo, noi non potremmo amare. Ecco, qui è evidenziato quello che possiamo fare noi: “Se mi amate”. Dio non ci costringe, Dio ci ama. E poi dice a noi: “Se mi amate”. Ma siccome amare è preferire Uno al di sopra di tutto, come nasce, come si rivela questo? L’abbiamo detto prima, quando si è parlato del “subito”: se mettiamo Lui al di sopra di tutto, Dio ci mette in tutte le occasioni per dire “no” affinché possiamo preferirlo. Dicendo “no”, testimoniamo di preferire Lui al di sopra di tutto. Preferendo Lui al di sopra di tutto, nasciamo come persona, cioè nasciamo come volontà che sa quello che vuole. L’anno scorso quando abbiamo parlato della ricerca di Dio, abbiamo detto che per cercare veramente bisogna aver presente due cose:

-                     Bisogna sapere quello che si vuole;

-                     Bisogna sapere dove è quello che si vuole.

Noi non sappiamo quello che vogliamo, all’inizio: siamo informi, caos iniziale. Dio parlando a noi ci offre la possibilità di amarlo, amandolo lo preferiamo al di sopra di tutto. Preferendolo al di sopra di tutto, cioè dicendo tanti “no”, si forma in noi la consapevolezza di quello che vogliamo, ma non sappiamo ancora dove è quello che vogliamo. Per cui dicendo “no” cominciamo a prendere consapevolezza di quello che veramente noi amiamo: perché rifiuto questo, rifiuto quell’altro, si forma in noi la persona che sa quello che vuole.

E abbiamo il primo tempo.

Il secondo tempo è scoprire il luogo “dove” è quello che io voglio: il tempio. Osservando le sue parole, queste mi annunciano il Padre e mi fanno capire dove è quello che io voglio, mi fanno entrare nel tempio.

Nino: Comunque l’entrare nel tempio è una condizione per essere trovati da Dio nel tempio. E l’essere trovati equivale a diventare dimora di Gesù, del Padre e di avere in noi lo Spirito.

Luigi: Si, “Noi faremo dimora”. Cioè si realizza quello che leggiamo nel salmo: “Una sola cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nel tempio del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore …”, ecco la ricompensa: “Entra nella gioia del tuo Signore”; “Per gustare la dolcezza del Signore ed ammirare il suo tempio, perché entrando nel tempio ammiriamo il regno di Dio, scopriamo che tutto è opera sua, che Dio parla in tutto.

Nino: C’è il recupero di tutto, del passato, ecc.

Luigi: Si, si recupera tutto in Colui che è presente. Si trova cioè la Verità, si arriva alla Verità, che è poi una Presenza. Ed è in questo presente che si recupera tutto il nostro passato e tutto il futuro. Si recupera l’uccellino morto di cui si parlava. Si recupera tutto, perché si ritrova tutto come segno, come opera di Dio per farci entrare nel suo tempio. Anche questo è servito per farci entrare nel tempio, è stato un aiuto e allora ritrovandolo diremo: “Ah, guarda il Signore, attraverso quell’avvenimento mi ha aiutato a vedere ciò che Egli è”. Si recupera tutto, si capisce il significato di tutta l’opera di Dio. Allora non c’è più niente che ti disperda.

Nino: A quel punto sei nel tempio e non ne esci più.

Luigi: E sei confermato: “Eccoti guarito”. Tutto ti conferma: “Sei guarito”. Perché se il Signore dice: “Sei guarito”, siccome tutte le cose sono opera del Signore, tutte le cose mi dicono: “Sei guarito”. Le cose non mi portano più via e non portandomi più via mi dicono: “Sei guarito! Sei libero!”. Per cui tutte le cose diventano un aiuto, non diventano più delle cose da cui mi devo guardare; prima eravamo in difesa, perché fuori dal tempio si ha sempre paura di questo e di quello! Nel tempio no, perché tutte le cose mi dicono: “Sei guarito!” e me lo dicono perché è Dio che mi dice: “Sei guarito!”.

Pinuccia: Attualmente siamo fuori dal tempio: è una constatazione. Ma è necessario entrare! È una chiamata: siamo creati per questo. Le condizioni per entrare le abbiamo viste nel paralitico che vi entrò “poco dopo” aver affermato di appartenere a Colui che l’aveva guarito.

Luigi: Cioè ha detto “no” a quei farisei, ai sacerdoti, ecc.

Pinuccia: Quindi la condizione sarebbe quella di dire questi “no”, testimoniando così di voler appartenere a Dio. E poi come si entra? A queste condizioni, cioè testimoniando la parola e osservando la parola, che è poi la stessa cosa. “Chi mi ama osserva la mia parola e il Padre mio lo amerà”: cioè entra nel tempio.

Luigi: Hai approfondito quello che significa quell’osservare la parola? Perché ognuno osserva sempre in funzione di un certo interesse che ha per una cosa. Noi cominciamo ad osservare la parola in quanto siamo già interessati da un certo amore. “Chi mi ama osserva”. L’osservare è una conseguenza dell’amore. L’amore sensibilizza, rende interessante la cosa. Amare vuol dire preferire, mettere al di sopra di tutto,  ed è Dio che ci forma tutte le occasioni per preferire quello che vogliamo. Man mano che noi rifiutiamo, prendiamo sempre più consapevolezza di quello che vogliamo: si forma in noi l’anima, il volere: è Dio che muove in noi il volere. Allora qui, formandosi il volere, si forma tanto interesse per conoscere Dio, perché rifiutando si diventa molto interessati per quel motivo per cui si rifiuta il resto. Perché tu non vuoi questo? Perché non vuoi quell’altro? Allora cresce sempre di più la fame, il desiderio di conoscere Dio. Il tanto desiderio di conoscere Dio, mi fa osservare molto quelle parole che mi parlano di Dio; per cercare di capire quello che mi dicono di ciò che io voglio. Sono le parole del Cristo, le parole del Verbo di Dio che mi fanno conoscere il Padre. Infatti Gesù all’ultimo nella preghiera sacerdotale che abbiamo letto dice: “Ho fatto conoscere il tuo nome a quelli che tu mi hai dato”. Ecco, il Padre li ha amati. Avendoli amati (quindi gli sono appartenuti), sono andati al Cristo, perché sollecitati da questo interesse per il Padre. È il Cristo, la Parola: qui scopriamo l’immensa importanza che della Parola che supera tutto quello che sono i fatti, le figure, le scene del mondo. Non c’è nella, non c’è nessuna creatura che mi possa dire quello che mi dice la Parola del Cristo. Non c’è nessuno perché la Parola ha un valore che è immensamente superiore a tutte le creature. Ecco perché San Giovanni della Croce dice: “Cessa di mandarmi tutti i tuoi servi che non possono dire quello che la mia anima vuole”. Non me lo possono dire; per cui tutte le cose che dicono a noi le creature, non valgono quello che dice a noi la Parola, perché la Parola di Dio mi rivela il Padre. È quella che mi fa entrare nel tempio. È vero che tutto è parola di Dio ma quello che mi dicono le cose non mi può assolutamente far conoscere Dio. Tutte le cose mi dicono: “Cerca il Signore! Ma noi non possiamo dirti chi è il Signore!”. Quindi le cose mi annunciano il Signore ma non lo possono rendere presente. Quindi fuori del tempio, il Signore ci annuncia tutte le cose, ma non dice quella parola che dice nel tempio. E la parola che dice nel tempio è solo Lui a dirla. Allora è lì l’importanza della Parola: la Parola mi rivela la presenza di Dio, la quale nessuna creatura, pur annunciandomela, me la può rivelare. Bisogna cogliere bene l’importanza di questo fatto: quello che si dice nel tempio, assolutamente non si può ascoltare fuori del tempio. Fuori del tempio Dio parla per invitarci ad entrare ad ascoltare quella Parola che è Sua e soltanto Sua, perché viene soltanto da Lui, in cui Lui rivela Se stesso, rivela il Padre.

Pinuccia: Che sarebbe la generazione del Verbo in noi?

Luigi: Che è la generazione del Verbo, che è il Volto del Padre, perché il Verbo parla a noi del Padre. È nel Padre che si scopre la generazione del Verbo e si arriva allo Spirito, a scoprire la presenza di Dio in noi.

Pinuccia: Non si potrebbe anche dire, riferendoci a quanto si è conversato prima, che osservare la parola è scoprire al di là delle cose un Pensiero, quella Presenza che organizza tutto e che dà vita a tutto?

Luigi: Si, ma c’è una differenza fortissima: lì abbiamo ancora il linguaggio delle cose; le cose mi annunciano lo Spirito, mi annunciano Dio, ma non me lo danno, non possono darmelo. Chi me lo dà è soltanto la parola di Dio. Vorrei metterlo bene in evidenza. Se guardiamo i fumetti notiamo che sono delle immagini che non possono dire quello che dice la parola. La parola apre un mistero, apre un mondo infinito che solo la parola può dire.

Pinuccia: Però non questa parola del vangelo, ma la persona del Verbo.

Luigi: Questa parola, la parola del Cristo, del Verbo.

Pinuccia: Qualsiasi parola del vangelo?

Luigi: Qualsiasi parola di Dio è parola di Dio.

Pinuccia: Cioè il Cristo, non le singole parole che dice?

Luigi: Il Cristo che parla. Se le dice Lui queste parole, sono parole sue.

Pinuccia: Ma anche quelle che vedo fuori? La creazione, i segni sono parole sue.

Nino: Le cose cosa possono dirci? Che c’è un Creatore, un Organizzatore e basta.

Pinuccia: Ma non mi fanno pensare a Lui.

Nino: Ma non arrivano a elevarti il pensiero alle cose che ci sono nel vangelo e che ci parlano del carattere di Dio, non solo di un Dio onnipotente che crea tutto, ma di un Dio che parla al nostro spirito. Le cose non arrivano a parlarci allo spirito.

Pinuccia: Penso che si completino, perché tutto è vangelo.

Nino: Se vedo una casa dico: “Qui è un muratore che l’ha costruita!”, ma non conosco il muratore! Vedo la casa e so che un muratore l’ha costruita, ma la persona del muratore la conoscerò quando ci sarà uno che me lo farà conoscere; gli vivrò insieme, lo sentirò parlare e conoscerò il suo carattere.

Luigi: Solo Dio si rivela. Solo Dio può manifestare Se stesso. La persona ha questa caratteristica: nessuno la può conoscere se la persona stessa non si fa conoscere. È soltanto ascoltando la persona che noi conosciamo la persona. È solo la parola della persona che mi fa conoscere la persona; ma tutti gli altri? Tutti gli altri mi possono parlare di quella persona, ma non mi danno quella conoscenza che solo la persona mi può dare. La differenza è lì!  Tutti gli altri mi possono parlare di quella persona, mi posso fare un’idea di quella persona, ma non la conosco, fintanto che non prendo contatto diretto e ascolto quella parola che quella persona mi dice. La caratteristica della persona è questa. È segreta. Soltanto la persona stessa parlando si rivela. Nessuno di noi ha la possibilità di rendere presente ciò che è assente. La presenza è soltanto dono della persona. Nessuna creatura la può rendere presente. Per cui la presenza è dono della stessa persona. Dio solo può donarci la sua Presenza. Tutti gli altri ci parlano di Dio; Lui solo ci può donare la sua Presenza. Il giorno in cui noi scopriamo la sua Presenza, è solo e puro dono suo. Nessuno di noi c’entra, nessuna creazione c’entra. Nessun uomo, tutto quello che ci hanno detto gli uomini c’entra. Tutti gli uomini ci hanno convogliati lì, ma chi ci ha manifestato la sua Presenza è Dio. Qui, nella sua Presenza c’è proprio Lui: è lì la meraviglia: noi scopriamo proprio Lui! Il giorno in cui scopriamo Lui, scopriamo Uno che resta sempre con noi, “Quello Spirito, dice Gesù, che resterà con voi per sempre”. “Vi manderò il Consolatore”, ecco la consolazione. “Entra nella gioia del tuo Signore”, “Una grande ricompensa”. Questa è la grande ricompensa: la possibilità di essere sempre con Lui, per cui Lo possiamo pensare, possiamo dialogare, possiamo ascoltarlo. Lo possiamo guardare sempre, perché Lui è sempre lì. Hai capito che Dio solo può manifestare Se stesso? Quindi soltanto attraverso la parola della persona divina noi possiamo entrare nel tempio divino. È la divinità che passa tra la parola della creatura e la parola del Creatore.

Pinuccia: Quella è un invito e questa è un dono.

Luigi: Si, quella è un invito; sempre opera di Dio, si capisce, ma è una cosa diversa.

Nino: C’è un’analogia tra la conoscenza di una persona umana e la conoscenza di Dio: solo praticandole le si conosce. Ora chiedo: frequentando una persona non arriverò mai a conoscerla totalmente, ci sarà sempre qualcosa che mi sfugge. E con Dio sarà anche così? Ora la nostra conoscenza di Dio è limitata, ma avremo una conoscenza che non avrà più limiti?

Luigi: Dio per quanto lo conosciamo è sempre superiore a noi, quindi rimane eternamente illimitato; sarà sempre fonte di novità, cioè la sua conoscenza non si esaurisce. Non potrò mai dire: “Adesso ho conosciuto tutto di Lui”.

Nino: Non si esaurisce neppure la conoscenza di un uomo.

Luigi: Non si esaurisce, però ad un certo momento un uomo può anche svuotarsi, non ha più niente da dire, non sa più. Cioè, l’uomo non si esaurisce se è collegato con l’Infinito, ma se non è collegato con l’Infinito diventa un nulla.

Nino: Ma c’è sempre qualcosa in lui che ci sfugge e che sfugge a lui stesso.

Luigi: Si, perché la conoscenza della creatura si ha solo nel Creatore.

Nino: Cerco di conoscere prima me stesso, ma devo dire che non mi conosco.

Luigi: Hai ragione, perché la conoscenza della creatura è sempre una conseguenza della conoscenza del Creatore. Più noi conosciamo Dio e più noi abbiamo la possibilità di conoscere noi stessi e le creature; quindi più approfondiamo Dio, più abbiamo la possibilità di conoscere. È vero che di per sé non ci conosciamo mai. Comunque Dio per quanto ci dia la possibilità (e lo vuole) di fare una cosa sola con Lui, non si confonde mai come persona con noi, quindi eternamente ci supererà sempre ed eternamente sarà sempre sorgente di novità per noi, quindi sorgente di vita. Dio essendo vita è novità continua. Lo Spirito di Dio è uno Spirito che fa nuove tutte le cose, quindi è sempre  sorgente di interesse, se no ad un certo momento uno può dire: “Lo conosco”. Una statua, dopo averla guardate bene, davanti, di sopra e di sotto, posso dire di averla vista tutta. Ma Dio non è una statua, per cui non possiamo mai stancarci con Lui. Tu stesso dicevi che Dio diventa una cosa talmente interessante che uno vorrebbe sempre fermarsi a pensare e a dialogare di quello, tanto diventa sorgente di vita per noi, di interesse, di passione per noi. Allora più noi conosciamo Dio, più Dio diventa Uno che ci occupa a tempo pieno, ma ci occupa con un desiderio, con una bellezza e con un’importanza tale, per cui noi riteniamo sprecato ogni tempo occupato in altro. San Paolo cosa dice? “Ho considerato tutto come spazzatura a confronto dell’immenso tesoro della conoscenza del Cristo”. Indubbiamente, più uno conosce e più è attratto e più naturalmente al confronto, dice: “Ma cosa mi sto occupando ancora di altro?”. Allora Dio diventa Uno che occupa a tempo pieno, quindi ci occupa per l’eternità. Occuparci a tempo pieno vuol dire che abbiamo trovato in Lui una sorgente di vita all’infinito: come tale ci occupa sempre. Occupandoci per sempre, ci lega, ci unisce per sempre. E allora si resta sempre nel tempio. Non c’è più nulla che ci possa portare via. “Che cosa ancora mi può portare via?” dice San Paolo, “Nessuna potenza della terra e nessuna potenza del cielo”. Come per dire: “Nessun interesse delle cose che sono in terra e delle cose che sono in cielo mi possono distrarre da questo, perché in Lui trovo molto, infinitamente di più; ed è logico.

Rina: Questo “osservare” la parola, non si può tradurre in “fare” la parola?

Luigi: Se pensiamo al nostro io non possiamo intendere cosa significa “fare”.

Rina: Per esempio Gesù ci dice: “Amatevi”, non posso allora dire: “Adesso mi metto ad applicare la parola e mi metto ad amare?

Luigi: No, il fare di Dio è un fare diverso da quello che noi intendiamo nel pensiero dell’io. Facciamo il confronto tra Marta e Maria:

-                     Marta “faceva” agli occhi del mondo

-                     Maria “non faceva” agli occhi del mondo.

Cioè nel pensiero dell’io Marta era quella che operava; operava per Gesù, perché stava preparando il pranzo per Lui.

Così nella parabola delle vergini stolte:

-                     erano vergini, avevano la fede, avevano la lampada accesa, andavano incontro allo sposo eppure erano stolte. Quindi “facevano”, camminavano.

-                     Qui abbiamo Marta che sta operando e sta “facendo” secondo il mondo, per Gesù;

-                     e abbiamo Maria che “non fa” niente, perché è seduta ai piedi di Gesù e ascolta la Parola.

Ad un certo momento arriva il conflitto, è logico: una non fa niente, l’altra fa tutto. Allora Marta dice: “Maestro, dì a mia sorella che mi dia un aiuto!”. Non lo dice a Maria, ma invita Gesù a dirglielo, perché Maria pende da Gesù, quindi non può ordinare a Maria perché Maria le avrebbe risposto di no; quel famoso “no” con cui conferma il “si”. Quindi l’unico da smuovere è Gesù e Marta l’ha capito perfettamente: Maria pende da Gesù. Qui si rivela che cosa è il “fare” secondo Dio. Secondo Dio, Maria faceva molto di più di quello che faceva Marta, perché pendendo dalle labbra di Gesù, diceva a Marta qual è l’unica cosa necessaria. Ora, se il vero “fare” di Dio è dare il vero bene agli uomini, Maria dava molto di più a Marta di quello che Marta desse a Gesù e a Maria. Infatti Gesù cosa dice? “Maria ha scelto la parte migliore!”, cioè: “Maria fa molto di più di quello che fai tu, per cui io non posso invertire, cioè invitare Maria a fare di meno, a darti una mano, perché Maria fa molto di più!”. Se Maria faceva molto di più, faceva molto di più non solo per Dio, ma faceva molto di più anche per il fratello, anche per Marta, quindi dava il vero bene all’uomo.

Nino: “Sorgeranno fonti di acqua viva”. È la differenza che c’è tra l’essere e l’avere di cui parla Eric Fromm.

Luigi: Si, certo! Però Fromm, anche professandosi ateo, quel pensiero l’ha colto per grazia di Dio.

Nino: È strano, perché si arrampica sui vetri per scoprire quello che Gesù ha detto tanto tempo fa, andando a cercare la spiegazione da Marx e da altri che non gliela possono dare. È un uomo molto intelligente che però essendo staccato da Dio, si perde nei suoi ragionamenti.

Luigi: Comunque arriva a quella distinzione tra avere e essere, dicendo che il mondo si rovina perché fa consistere tutta la vita nell’avere. Invece l’avere non dà l’essere.

Nino: Scopre soltanto una verità parziale.

Luigi: Che di fronte alla Sapienza è poi una cosa abbastanza elementare: non è che l’essere vestito con stracci o l’essere vestito lussuosamente modifichi il mio essere. Sì, gli altri mi schiveranno o mi riveriranno a seconda del vestito che porto, però se sono stupido, lo sono comunque io sia vestito. Così come se io avessi una macchina lunga o andassi a piedi, non è questo che modifichi il mio essere. Apparentemente sembra che se io sono vestito bene e ho tante cose, tutti mi riveriscono,  allora io (ed è qui l’illusione, la fregatura: “Guai a voi ricchi!”), mi illudo di essere quello che recito, quello che ha il vestito bello, o altro da recitare. Per cui siccome gli altri mi riveriscono, io credo di essere quello che gli altri mi dicono. Ad un certo momento invece scopro di essere niente. Ora, l’essere è un’altra cosa. Non c’è nessun avere che mi possa far essere. L’essere mi viene dall’Essere.

Nino: La saggezza popolare ci è arrivata prima di Fromm.

Luigi: Si, appunto, perché si tratta di una cosa elementare.

Nino: Infatti si dice di uno: “è un asino vestito da festa!”.

Luigi: Vedi che tutto il pensiero di Fromm si riduce a questa affermazione?! Di fronte alla grande sapienza divina, questo è un ragionamento da sillabario, è l’a b c.

Pinuccia: È strano però che non creda perché l’essere richiama l’Essere!

Eligio: La verità ha le sue vie.

Rina: Lui è un uomo alla ricerca.

Luigi: Certo, Dio raccoglie da tutte le parti, anche dove non ha seminato. Per cui anche se sto bestemmiando, Dio, attraverso le mie bestemmie mi raccoglie e mi porta davanti alla sua strada, perché Lui vuole salvare tutti. Però di fronte alla Sapienza di Dio che ti parla delle profondità della vita eterna, di quello che c’è nel tempio, queste affermazioni di Fromm risultano molto elementari.

Nino: Eppure la gioventù gli corre dietro e crede di aver trovato il messia! Mentre è uno che sta solo sfondando una porta aperta ma non ti dà soluzioni; è un rigagnolo che arriva a un terreno deserto in cui si perde e finisce lì.

Luigi: E non può essere in modo diverso. Ma questo ci fa anche pensare che più trascuriamo Dio, più diventiamo succubi di tutte quelle parole che dicono gli uomini. Ci si accontenta di una lucciola, quando si ha a disposizione il sole, le stelle dell’universo intero.

Nino: Fromm è un illuso, perché crede ad un cambiamento in massa dell’umanità. Appoggiandoci alla fede scopriamo che questo è impossibile. La fede ci offre dei punti sicuri di riferimento mentre costui sostiene l’importanza di far prendere coscienza del disagio in cui ci troviamo, l’importanza di scoprire il trauma che ha provocato questo disagio, per poi correggerlo e questo tutto a livello di massa. Inoltre attribuiamo i mali al capitale, alla società mentre l’unica causa è l’egoismo.

Luigi: E l’egoismo tu non lo vinci dando delle leggi, delle regole. Se bastasse dire ad un uomo: “Sii buono!”, ci sono già i dieci comandamenti che è la regola perfetta. Ma non basta la legge per cambiare il cuore dell’uomo; ciò che cambia il cuore dell’uomo è l’amore ad una Persona. Senza la Persona non si può cambiare l’uomo!

Pinuccia: Riprendendo l’argomento, oggi ci siamo chiesti:

-                     quando si è nel tempio?

-                     come si resta nel tempio?

-                     quando si è trovati nel tempio?

Quindi possiamo dire che:

-                     siamo nel tempio quando facciamo dipendere tutto ciò che è dentro di noi e tutto ciò che è fuori di noi, da Dio, cioè quando riconosciamo la dipendenza da Dio;

-                     siamo fuori dal tempio quando per noi, tutto dipende dalle creature e dal nostro io.

Luigi: Nel tempio tutto dipende da Dio.

Pinuccia: Si resta nel tempio in questo atteggiamento di dipendenza, che è silenzio, che è attenzione alla Persona, in attesa dello Spirito (quei dieci giorni tra l’Ascensione e la Pentecoste). Si è trovati nel tempio quando il Padre trova in noi che tutto è suo, quando può dire veramente: “Questo è mio, tu sei mio!”.

Luigi: Si, perché facendo dipendere tutto da Dio si diventa suoi.

Pinuccia: In noi non c’è più niente dell’io.

Luigi: Ecco, è lì che Dio dice la Parola che trasforma. Però la Parola nasce da Lui non nasce da noi.

Pinuccia: È Lui che la deve dire. Questo passaggio da fuori a dentro il tempio è il passaggio dalla prima conoscenza, secondo la folla, alla vera conoscenza, che è quella di Dio in Sé.

Rina: Osservare la Parola: come facciamo ad ascoltare la Parola? Ci deve essere lo Spirito di Dio, perché solo il nostro ragionamento non serve.

Luigi: “Chi mi ama, osserva!”, cioè scruta la mia Parola, è guidato dall’interesse; fintanto che scruto secondo il mio punto di vista, sbaglio. Le parole di Dio vanno scrutate in funzione dell’amore. L’amore precede lo scrutare. Bisogna stare attenti al motivo che ci sospinge a scrutare. Noi siamo sempre sospinti da un interesse. Se quello che mi sospinge a scrutare viene dal pensiero del mio io, dall’interesse del mondo, allora cammino con un piede sbagliato, scruto in modo sbagliato, perché sono mosso da un interesse sbagliato.

Rina: Sono mossa da quella frase.

Luigi: No, perché cos’è che mi muove, non è la parola, ma l’interesse con cui mi rivolgo alla parola. Se per esempio io tengo molto alla figura davanti agli altri, posso scrutare anche il vangelo, le parole del Signore, per farmi bello davanti agli altri: l’interesse che mi guida è sbagliato. Questo interesse non mi porterà ad entrare nel tempio. Bisogna essere mossi (“Chi mi ama osserva”) dall’amore di Dio, quindi dall’interesse per Dio, cioè bisogna avere Dio al centro. Ecco perché l’incontro con Cristo è preceduto dal battesimo di Giovanni Battista: questo atto di giustizia attraverso il quale noi riconosciamo che il nostro io non è Dio, per cui Dio va messo al di sopra del nostro io, quindi al centro. Mettendo Dio al centro, cominciamo ad osservare le cose in funzione di questo interesse per Dio. Allora è l’interesse per Dio che mi porterà ad ascoltare le parole di Dio per arrivare a ciò che mi interessa. Ma a questo punto chi mi interessa è Dio. Se invece ciò che mi interessa è altro: ad esempio potrei leggere il vangelo per motivi letterari, scrutare anche le parole, fare l’analisi, studiare l’etimologia o cercare all’origine com’era quella parola: tutto questo non mi fa entrare nel tempio. Quello che ci deve far scrutare le parole deve essere lo Spirito di Dio. È per questo che insistiamo molto nel dire che tutte le parole del Signore vanno sempre osservate nello Spirito del Signore, non nello spirito del mondo, altrimenti fraintendiamo tutto.

Rita: E come si fa per averlo?

Luigi: Tutte le lezioni che riceviamo, che sono poi tutte le lezioni dell’Antico Testamento, nella nostra vita, ci fanno capire che se noi viviamo per il nostro io, siamo degli idolatri, perché il nostro io non è Dio, il nostro io non è la Verità, e che noi siamo su un piano di falsità. Quindi attraverso tutta la nostra vita, il Signore opera per convincerci che non dobbiamo vivere per il nostro io, perché più noi viviamo per il nostro io, più Lui ci fa toccare con mano che ad esempio diventiamo egoisti, orgogliosi, superbi, paurosi, e ci fa scoprire la negatività della vita nella lontananza da Dio. Tutto questo avviene affinché ci convinciamo che dobbiamo superare il nostro io, che non dobbiamo vivere per il nostro io. Vivendo per il nostro io, la nostra vita perde di significato, si svuota: noi stessi diventiamo vuoti dentro, stanchi di vivere, rifiutiamo addirittura la vita, non la possiamo più sopportare. Ma non è che non possiamo più sopportare la vita perché sia tale o sia diventata tale; non sopportiamo la vita perché siamo noi che ci stiamo staccati dalla Vita. E quando siamo staccati dalla Vita, non riusciamo nemmeno più a sopportare niente, perché uno ha il vuoto dentro, non riesce più a trattenere niente. Ecco, tutto questo è ancora lezione e misericordia di Dio per farci capire: vedi? Vivendo per te, tu scavi il vuoto nella tua vita, al punto tale da dover rifiutare la vita stessa. Tutto questo allora è lezione e misericordia di Dio per convincerci che dobbiamo superare il nostro io e che dobbiamo mettere Dio al centro. Quando ci siamo convinti di questo (ed è grazia di Dio), allora cominciamo a riferire le cose non più al nostro io, ma a Dio. Per cui: ricevo questa impressione dal mondo? Non mi fermo ad essa, ma cerco presso Dio cosa mi vuol significare. Ho fatto questa esperienza? Non mi fermo all’esperienza ma vado a cercare presso Dio. Uno non si ferma a se stesso, ma in tutte le cose trascende e cerca di andare presso Dio per intendere. Allora cominciamo a scoprire il valore, l’importanza che Dio ha per noi, perché man mano che riferiamo a Dio, la vita comincia ad acquistare più significato, recuperiamo quello che avevamo perduto; la nostra anima si riempie di pensieri, di problemi e cominciamo a vivere. Allora cominciamo a capire la bellezza (“Com’è bello, restiamo qui, facciamo tre tende!”), e questo interesse porta a occuparci sempre di più e quindi a farci fare delle scelte per cui si comincia a dire “no”. Se mi dicono: “Vieni a cinema?”, rispondo: “No, perché perdo solo tempo”. Si comincia a rifiutare, a dire “no”, perché si ha un altro interesse.  Questa selezione di interessi comincia a renderci molto interessanti le Parole di Dio, perché  esse sole ci dicono ciò che più vale. Ecco allora qui abbiamo lo scrutare delle parole del Cristo. Più scrutiamo le parole del Cristo, più queste ci svelano, ci introducono nel tempio, ci fanno conoscere il Padre e ci portano nella vita eterna.

Pinuccia: “Scrutate le Scritture: esse parlano di me”.

Luigi: “Si, esse parlano di me” dice Gesù. Però per scrutare le parole di Gesù, bisogna avere la lampada. Io posso scrutare le cose attraverso la mia lampada, la lampada del mondo e scruto male: bisogna avere la lampada di Dio.

Pinuccia: Il Pensiero di Dio.

Luigi: Si, non dobbiamo mai fermarci al nostro io come se fosse il centro di tutto. Il nostro io va messo in periferia. Quindi le cose vanno prese da Dio e riportate a Dio. Non sono io il Creatore. E allora se non sei il Creatore, non ritenerti il Creatore. Ma se tu vivi per te stesso, ti ritieni l’assoluto, il tuo assoluto; siamo nel campo degli idoli e allora Dio opera per annullare i nostri errori: ci svuota, ci fa toccare il non senso di tutto.

Eligio: Io ho cercato di approfondire il concetto di tempio, di Presenza, di incontro con questa presenza, di possibilità di giungere nel tempio. Il tempio è il luogo in cui Dio manifesta la sua Presenza. Questo luogo la creatura lo può trovare esclusivamente nel suo pensiero, perché Dio come Pensiero puro, può comunicarsi solo ad un pensiero. Il pensiero dell’uomo è quindi il tempio in cui Dio risiede permanentemente, svolgendo qui la sua attività creatrice, di rinnovazione di redenzione e raccogliendo qui l’uomo dalle sue dispersioni per portarlo attraverso il Verbo alla sua Presenza. L’uomo viene portato oltre la gravitazione delle realtà sensibili e anche spirituali. Restano così di fronte Dio e l’anima. Se l’anima supera tutte le incrostazioni dell’io e le remore dell’ambiente (come il paralitico guarito), entra nella gravitazione di Dio e in modo irreversibile, e condotta da Lui, entra nella realtà della Pentecoste. Questa mi sembra la trafila che l’anima, a somiglianza del paralitico, deve percorrere per entrare nel tempio.

Luigi: Si, però metterei bene a fuoco che quello che muove l’anima in tutta la trafila, deve essere il desiderio di conoscere Dio.

Eligio: Nel paralitico non mi sembra molto evidente il desiderio di conoscerlo; forse è più un rapporto d’amore.

Luigi: Il rapporto d’amore è desiderio di conoscenza.

Eligio: Amore dettato magari da riconoscenza.

Luigi: Chi ama desidera conoscere tutto dell’Essere amato. L’amore cosa fa? Porta a desiderare di essere con l’essere amato, di essere alla presenza dell’essere amato. Questa Presenza è conoscenza. Infatti l’amore si offre quando si è distanti. Perché? Perché si conosce poco. Vedi quindi che l’anima (ed è opera di Dio indubbiamente, perché se noi desideriamo altro non entriamo nel tempio), che ci guida è il Pensiero di Dio, cioè il desiderio di conoscere? Quando abbiamo il Pensiero di Dio in noi, come lo verifichiamo? Portiamo ad esempio il salmo 26 che dice: “Questo solo io desidero: vedere il Tuo volto e abitare nella tuo tempio”. Questo solo io desidero: ecco, l’anima nostra è questo desiderio di conoscere Dio che viene a noi dal Pensiero di Dio. Se ci separiamo dal Pensiero di Dio e abbiamo un altro pensiero, quest’altro pensiero ci porta a desiderare la presenza di altro da Dio.

Eligio: Intanto usciamo dal tempio.

Luigi: Siamo già fuori dal tempio, perché è fuori del tempio che nasce il desiderio di conoscere Dio. Quello che mi fa entrare nel tempio è il desiderio di conoscere Dio; ma questo desiderio nasce fuori del tempio.

Eligio: Ma non è ancora desiderio unico, perché ad esempio il paralitico deve ancora affrontare la prova dell’autorità.

Luigi: Ah, si, è giusto! Perché il desiderio in noi si forma man mano che diciamo: “no”. Più diciamo: “no”, più questo desiderio cresce. Così abbiamo qui prima di tutto Dio che ha amato il paralitico. Come l’ha amato? Chiedendogli: “Vuoi essere guarito?”, Gesù ha dimostrato amore per questo ammalato, l’ha guardato. Quando un essere è guardato si sente amato. Allora quel paralitico si è sentito amato. Amato, ha cominciato ad amare. Amando ha cominciato ad avere interesse per Gesù. Avendo interesse per Gesù, ha cominciato a dire: “No”. Ma più diceva: “no”, più si rafforzava l’interesse per Gesù. A un certo momento questo interesse (e interesse è amore per), diventa desiderio di ritrovare Colui per il quale io ho detto tanti: “No”. Ecco, questo per avere ben chiara e semplice davanti a noi l’anima che ci introduce nel tempio, che è desiderio di conoscere Dio.

Eligio: A questo punto, cioè alla Pentecoste, si ha la ricompensa del Signore.

Luigi: Si: “Entra nel gaudio del tuo Signore”.

Eligio: A questo punto tutto è visto: “Sub specie aeternitatis”, cioè dall’angolo visuale di Dio che in ogni cosa e avvenimento (ed è qui la rivoluzione meravigliosa), rivelerà all’uomo la Verità senza possibilità di deviazioni. Per cui il mondo, che prima poteva deviarmi, diventa anche lui motivo di approfondimento della realtà di Dio.

Luigi: Si, tutto contribuisce.

Eligio: Cioè diventa una rivelazione continua, una Epifania progressiva, sempre più profonda.

Luigi: Senz’altro. Si scopre che il Padre ama; ci ama: “Il Padre mio lo amerà”: è questo il salto di qualità perché diventiamo figli di Dio. Allora si comincia a vedere tutto dal punto di vista di Dio perché, quando uno scopre la presenza del Padre, comincia a guardare tutto con gli occhi del Padre. Da quel punto lì si ricostruisce tutto.

Eligio: Questa penso sia la bellissima e grandissima ricompensa promessa da Gesù quando dice: “Chi mi ama, il Padre mio lo amerà”. Mi sono chiesto poi: come si giunge al tempio? Come l’anima entra nell’intimità di Dio? L’uomo da solo non può. Dio però scende alla sua dimensione per aiutarlo. Però qui devono realizzarsi obiettivamente delle condizioni: ci vuole l’interesse e la passione per giungervi. Gesù è la via al tempio e in Lui ho la possibilità di verificare il mio vero interesse e il mio vero amore.

Luigi: Si, Lui è il metro di verifica, è il punto critico su di noi.

Eligio: Se il mio desiderio di giungere al tempio è vero, mi trovo immediatamente in sintonia con la sua guida, per cui, dicendo di noi a tutte le parole non sue, mi trovo non solo nel tempio me nel “Sancta Sanctorum”, cioè mi porta nella dimora della Trinità, conclusione logica, dopo la Pentecoste, di questo processo spirituale.

Luigi: Si, infatti la festa di Pentecoste è una linea di spartiacque (festa che è segno della Pentecoste spirituale alla quale Dio chiama ognuno di noi). Prima della Pentecoste noi abbiamo tutto un processo ascensionale di ricerca fino ad arrivare alla Verità di Dio. Cioè si parte dalla creazione, dall’uomo e a poco per volta (Avvento, Natale, ecc.) si sale, si sale (un processo ascensionale) fino ad arrivare a scoprire la Presenza. La scoperta della presenza di Dio è Pentecoste, perché lo Spirito di Verità, lo Spirito Santo è Spirito che rivela la presenza in noi del Padre e del Figlio. Ma come si arriva a Pentecoste, non si parte più dalla creazione ma si parte da Dio. Infatti la festa successiva a Pentecoste è la Trinità di Dio; non senza significato c’è questa festa, ed è opera di Dio, per farci capire che con Pentecoste, si parte da Dio per discendere verso la creazione, per recuperare tutta la creazione. Si parte da Dio mentre prima si partiva dalla creazione e a poco per volta (quindi abbiamo tutta la creazione che lavora, che tribola per superare se stessa, per distaccarsi, ecc. e poi un processo di interesse per le cose del cielo) si arriva a Dio, adesso a Pentecoste si parte da Dio, perché questa è la grande realtà che uno ha scoperto: una realtà meravigliosa, che vale più di tutto. E allora da Dio, la prima cosa che ci interessa è penetrare nella Verità di Dio; lo Spirito Santo ci conduce a vedere i segreti di Dio. Poi dai segreti di Dio a poco per volta si discende fino a recuperare tutto l’universo, tutta l’opera di Dio; per cui l’anima recupera il passato (es. l’uccellino morto), recupera il futuro, tutto nel presente di Dio. Ecco, l’anima ha scoperto una realtà meravigliosa da cui non si stacca più, ma in cui recupera tutto e ha la possibilità di recuperare tutto. Così abbiamo la festa della Santissima Trinità, poi il Corpo del Signore (ecco, recuperiamo il Corpo del Signore), cioè ritroviamo il Cristo, ma il Cristo nello Spirito Santo, come promise Gesù: “Vi farò ricordare tutte le cose che vi ho detto io (ecco il Corpo del Signore) e ve lo spiegherà, ve lo farà capire”. La bellezza sta lì: prima ascendevamo senza capire, sollecitati dal desiderio; adesso invece discendiamo comprendendo. È un processo deduttivo con cui si comprende tutto quello che Dio ha fatto per noi per condurci a Pentecoste. E si scopre il grande amore di Dio. Tutto diventa amore. Lo Spirito di Verità è Spirito d’amore, facendosi comprendere ci rivela l’amore di Dio: “Guarda quanto Dio ti ha amato quando tu ancora non amavi; guarda quanto Dio ha fatto per te quando tu ancora non eri capace di conoscerlo”. Scopro l’infinito amore col quale Dio mi ha preceduto affinché io imparassi ad amare. Ecco la grande rivelazione che procede da Pentecoste: è un processo lento da Pentecoste in poi sotto la guida dello Spirito Santo.

Eligio: Ed è l’autore. È sempre autore, ma lì è il protagonista.

Luigi: Che recupera tutto, ed è quel recuperare tutto che diventa vita eterna. Perché man mano che recuperiamo entriamo nella vita eterna, perché quello che si recupera nello Spirito diventa eterno, perché è verità di Dio e quindi non è più soggetto a mutamenti. È lì la meraviglia. Per questo dice che quando uno scopre lo Spirito di Dio non vuole più distrarsi da Lui, perché scopre una cosa che è vera e che sarà vera eternamente e vuole recuperare tutto in questo.

Eligio: Perché tutto il resto in sé è niente.

Luigi: E allora non si stacca più.

Eligio: Comunque è importante avere chiaro questi concetti fondamentali: il tempio, la Presenza che si scopre nel tempio, la possibilità di entrarvi.

Luigi: Si, e poi soprattutto renderci conto, come dice Gesù: “Conoscete il vostro tempo. Siate intelligenti nel capire i segni dei tempi per i vostri interessi; per cui se alla sera il cielo è rosso dite che domani fa bello, e perché non siete altrettanto intelligenti nel capire dove siete voi, a che punto siete, cioè se siete fuori o siete dentro?”. Ora fintanto che faccio dipendere gli avvenimenti, le cose dalle creature, dalla natura, dal mondo, dal caso, io sono fuori dal tempio e se sei fuori dal tempio datti da fare per entrare. Cioè scoprire è saper fare il punto: facendoci meditare su che cosa significhi essere fuori e essere dentro, noi scopriamo il luogo in cui ci troviamo.

Eligio: C’era ancora un argomento, un’esortazione di Gesù che è bellissima: nel tempio restare in silenzio e in preghiera per la venuta dello Spirito Santo. Ma questo concetto lo lasciamo per la prossima volta.

Rina: Se lo invochiamo viene lo Spirito Santo?

Luigi: Certo che viene! Però non siamo noi che possiamo determinare il tempo della discesa. I discepoli stettero dieci giorni in silenzio, in attesa di questo. Ora siccome il Signore conosce noi più di noi, Lui sa qual è il tempo. Perché se Lui si rivelasse prima del tempo, che cosa succederebbe? Che noi lo sprecheremmo. Se io dò nelle mani di uno che non lo sa valorizzare un dono molto prezioso, rischio di sprecarlo. Bisogna aspettare che quella creatura maturi al punto tale da saper apprezzare il dono che gli dò. Ora capisci cosa vuol dire Dio che dona il suo Infinito: chi si fiderà a dare a voi il vostro? A dare a voi quello per cui siete destinati? Chi si fiderà se voi non siete stati capaci ad essere fedeli nel poco, nelle cose degli altri, chi si fiderà di dare a voi il possesso della Verità di Dio? Dio si guarda bene di darlo a voi, perché lo sprechereste immediatamente. Sprecare questo, vuol dire rovinarci per l’eternità. È per questo che il Signore si fa aspettare, in modo da donarsi quando noi sappiamo apprezzare il suo dono. Ecco perché quando Dio ci dà una grazia, poi ci manda nel deserto, nell’Egitto, cioè in un ambiente contrario, a soffrire, in modo da far maturare in noi l’interesse, la fame, la sete. Sperimentando di essere in un luogo dove si soffre la sete, la fame, lontano da quello che si sogna questo ci fa crescere tanto che il giorno in cui Dio ci darà la possibilità di ritrovarlo saremo attentissimi ad ogni minima cosa del suo dono, proprio perché abbiamo sofferto tanto per esso. E allora lì riconosceremo e ringrazieremo il Signore che ci ha fatto soffrire tanto in terra di esilio per far maturare in noi quella sensibilità, quella capacità tale da poter gustare e tener molto prezioso ogni suo dono.

Rina: Dovremmo invocare lo Spirito con la sequenza che è molto bella.

Luigi: Si, certo.

Eligio: Questo silenzio di cui parla Gesù è la mancanza di attenzione a tutto quello che non è Lui e la preghiera di cui parla è l’invocazione che noi dobbiamo rivolgere al Padre?

Luigi: Si, ma non è più invocazione di parole. I discepoli quando venne lo Spirito Santo erano raccolti nello stesso luogo. Anche qui “luogo”, se lo intendiamo nel pensiero dell’io, è un luogo materiale: ad esempio qui siamo raccolti nello stesso luogo. Se pensiamo a Dio, possiamo capire che essendo qui tutti in un solo luogo materiale, possiamo essere in luoghi molto diversi spiritualmente. Agli occhi di Dio, quello che conta è il luogo spirituale. All’inizio del Vangelo di San Giovanni i discepoli dicono: “Maestro dove abiti?” è un luogo spirituale; “Venite e vedete”, è un luogo spirituale. Quindi agli occhi di Dio ognuno di noi abita là dove è col suo pensiero. Dove abiti? Dove vivi col tuo pensiero? Cosa vivi? Quindi il fatto che i discepoli quando arriva Pentecoste erano tutti raccolti  in un solo luogo, significa quel luogo che Gesù era venuto a preparare. Ormai c’erano. E lì hanno visto la gloria e lo Spirito è sceso. “Affinché vediate la mia gloria” aveva detto Gesù. E qual è la gloria del Figlio? È il Padre. Erano nel Padre. Infatti Gesù disse: “Io vado a prepararvi un luogo” e a Pentecoste loro erano raccolti tutti nello stesso luogo: quale luogo diverso da quello che Cristo era andato a preparare? Solo quel luogo lì, non altro, perché siamo nello Spirito e nello Spirito quello è il luogo. Allora essendo in quel luogo, si riceve lo Spirito Santo. Quindi non possiamo illuderci di ricevere lo Spirito Santo fintanto che non siamo nel luogo in cui il Figlio gode la gloria del Padre. Quel luogo di cui Lui dice: “Voi non potete venire dove io sono, ma io vado a prepararvi il luogo affinché dove io sono siate anche voi”. Sembra che contraddica, invece è bellissima.

Pinuccia: “Lodate il Signore perché è buono, eterna è la sua misericordia”. Mentre diciamo la parola: “Lodate”, cosa diciamo? Esortiamo la nostra anima a riconoscere che Lui è Dio?

Luigi: Certo, ma non è dirlo a parole. Ad esempio quando un avvenimento lo accogliamo dalle mani di Dio, lodiamo Dio.

Pinuccia: È un atteggiamento di animo?

Luigi: Anche di più, se ad esempio prendiamo dalle mani di Dio una cosa che ci dispiace, noi lodiamo Dio. Lodare Dio vuol dire dare a Dio quello che è di Dio, riconoscere Dio, glorificarlo.