Essi gli domandarono: “Chi è quell’uomo che ti ha detto: prendi il tuo
letto e cammina?”. Gv 5 Vs 11-12
Argomenti: La Legge e la Volontà di Dio. Ubbidire vuol
dire incarnare. L’uomo nuovo e l’uomo
vecchio. La volontà di Dio
interpretata dall’uomo. La cecità del
pensiero dell’io. I discepoli di Emmaus.
Il fine e il mezzo. L’incapacità di riconoscere Gesù. Il vero amore
del prossimo. Non vedere i miracoli
quotidiani. Prendere su di sè le
lezioni dell’universo. Non giudicare. Le distrazioni del pensiero. Ognuno vede
fuori quello che ha dentro. Peccato mortale è il
peccato che non ti lascia pensare Dio. Rinnegare noi
stessi in Dio è una sublimazione di noi in Dio. Dimenticare lo spirito
della legge per fermarsi alla lettera. La buona fede
che può portarci alla rovina.
9/Aprile/1978
Riepilogo
dell’episodio del paralitico;
Dall’esposizione
di Luigi Bracco:
Luigi: Soffermiamoci sul
versetto 12 e domandiamoci che cosa Dio voglia dirci personalmente in questa
scena in cui presenta, in giorno di sabato, un ammalato che, paralizzato da 38
anni, guarito da Gesù, sta portando sulle sue spalle il suo giaciglio per
ordine di Gesù. Di fronte a questo ammalato il Vangelo ci presenta la scena dei
farisei che gli obiettano: “Non è lecito portare il letto perché è sabato”, al
che lui risponde: “Colui che mi ha guarito mi ha detto di portarlo”, per cui
essi gli chiedono: “Chi è colui che ti ha detto di prendere questo letto e di
camminare?” È difficile trovare immediatamente un rapporto con la nostra
vita spirituale, però, sapendo che è Parola di Dio per noi, dobbiamo cercare di
arrivarvi. Per questo è necessario approfondire quando subito la lezione
non è palese.
È l'amore alla Verità, a
Dio, che deve spingerci. Dobbiamo approfondire fino ad arrivare ad un punto di
contatto tra quella scena e la nostra vita personale. Questo ammalato, paralizzato
da 38 anni, guarito dalla Parola di Gesù. Ora in quanto ubbidisce incarna la
Parola di Gesù. Quindi attualmente ci troviamo di fronte:
-
ad un uomo che incarna la Parola di Dio
-
e ad un’autorità (farisei, i maestri in Israele) che in
nome della legge (e la legge era volontà
di Dio, Parola di Dio) gli obbiettano che egli
non può fare quello che fa.
A
questo punto troviamo questa situazione: un uomo che per ubbidire alla
Volontà di Dio si trova contraddetto da quelli che sono i maestri della Volontà
di Dio. È Dio stesso che ci pone di fronte ad una scena di
conflitto; conflitto con due espressioni di Dio stesso: la Legge e la Volontà
di Dio. Chi in buona fede ubbidisce alla Volontà di Dio è salvo o, per lo meno,
è sul cammino della salvezza. Eppure qui troviamo il Signore che, di proposito,
pone a confronto un conflitto di volontà. Lo pone di proposito, perché tutto
ciò che Lui fa di proposito per aiutarci, perché quella situazione deve trovare
un riscontro nella nostra situazione, nella nostra vita; ed è per questo che
noi approfondiamo questo fatto per intendere che cosa il Signore voglia
metterci in evidenza; cioè quale aiuto vuole darci ponendo a confronto un
conflitto di volontà, un conflitto quindi di parole di Dio. Andando avanti
quest’uomo, in quanto incarna la parola di
Dio, sulla scena rappresenta il Cristo (Cristo è infatti la Parola di
Dio incarnata). Quindi per noi, attualmente, quest’uomo paralitico che incarna
la Parola di Dio, significa il Cristo.
Pinuccia: Perché?
Luigi: Perché incarna la
Parola di Dio e il Cristo è la Parola di Dio incarnata. Quest’ammalato guarito dice:
“Io porto il mio giaciglio, perché Colui che mi ha guarito, mi ha detto: “prendi
il tuo letto e cammina”. Sta facendo la Volontà di Dio, sta ubbidendo,
quindi sta incarnando la sua Parola. Ubbidire vuol dire incarnare. Se noi
camminando nella nostra vita possiamo onestamente dire : “In questo momento
faccio questo, perché Dio ha detto questo”, noi siamo in quel momento la Parola
di Dio vissuta incarnata.
Pinuccia: Quindi significhiamo
Cristo?
Luigi: Certo è logico. Perché
Cristo è la Parola di Dio tra noi, la Parola di Dio incarnata. Poiché sulla scena quest’uomo può onestamente dire:
“ Io faccio quello che Lui mi ha detto”, per noi rappresenta la Parola di Dio,
l’attuazione della Parola di Dio; per cui rappresenta il Cristo. Prima
quand’era ammalato da trentotto anni non rappresentava la parola di Dio; ma
come Cristo ha parlato lui è diventato la Parola di Dio attuata, realizzata.
Prima che Gesù parlasse era un ammalato paralitico. Vedremo qual’era la
funzione di quest’ammalato paralitico, perché in tutte le cose Dio significa
qualche cosa per chi è ammalato dentro, per chi è paralizzato dentro. Quindi se
troviamo un paralitico fuori, non è perché quel tale lì sia peccatore, ma quel
tale è paralitico fuori, perché c’è qualcuno che è paralitico dentro e che ha
bisogno di ricevere ed intendere una lezione. Osserviamo allora questo
paralitico guarito dalla Parola di Dio: attuando la Parola di Dio, viene messo
in confronto, a tu per tu con i farisei che gli dicono: “ questo non lo puoi
fare”. Egli obbietta: “ Questo lo faccio, perché Chi mi ha guarito mi ha detto
di fare così”. Quindi :
-
quest’uomo guarito che incarna la Parola di Dio
rappresenta il Cristo ;
-
I farisei che obbiettano rappresentano l’uomo che crede
di sapere la Volontà di Dio. La Volontà di Dio è la legge.
Andando più avanti
nell’approfondimento, notiamo che:
-
quest’uomo guarito rappresenta l’uomo che ha fatto la
Pasqua, che ha incontrato il Cristo
e che è risorto;
- i farisei rappresentano gli uomini
della legge, cioè gli uomini prima della Pasqua.
Sono due uomini messi a
confronto: uomo nuovo e uomo vecchio. L’uomo prima di fare la Pasqua, siccome
non ha superato il suo io, è ancora nel
suo io. Noi nel pensiero del nostro io ci facciamo maestri, per cui affermiamo
come assoluto, quella regola, quella legge, quella Volontà di Dio come la
interpretiamo noi, come la vediamo noi, e tendiamo ad imporla all’altro. E non
intendiamo invece che quell’altro, in quanto si presenta, è una lezione di Dio
per me. Per cui l’uomo antico, l’uomo maestro della legge, l’uomo prima della
Pasqua, tende ad imporre agli altri, che sono scena davanti a lui, quella sua
regola di vita; a fare cioè gli altri secondo se stesso. Mentre invece, nello
spirito, noi dovremmo accogliere dagli altri e meditare ciò che Dio vuole
insegnarci per cambiare noi. A questo punto possiamo già capire abbastanza la
lezione, in questo senso: questi farisei sono i veri paralitici: loro non si
muovono; e quell’uomo che era paralitico da trentotto anni, era paralitico
perché c’erano i farisei che erano paralitici. È il Signore che ha
capovolto completamente le situazioni. Ad un certo momento presenta l’uomo che
ubbidisce alla sua volontà, all’uomo che crede di ubbidire alla sua volontà, ma
non ubbidisce. Li mette a confronto, li mette in conflitto, per farci capire
che l’uomo che si irrigidisce sulla lettera della legge, non intende. La
legge, come tutte le creature (d’altronde la legge è la sintesi di tutta la
creazione) deve portarci a cercare Dio. Se non ci porta a cercare Dio, essa
diventa lettera morta, diventa regola che non ci salva. Se tutte le creature
non ci portano a cercare Dio ci mettono in conflitto con Dio. Per questo il
Signore dice che anima, centro di tutta la legge è: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutte le tue forze,
con tutto te stesso”. Ama! cioè cerca il Signore Dio tuo con tutta
la tua mente, con tutte le tue forze. Se le creature non ti conducono a cercare Dio con tutte le tue forze, le
creature ti portano in opposizione alla volontà di Dio, ti mettono in
conflitto con la Volontà di Dio. Quindi se la legge non ti porta a cercare Dio
con tutta la tua mente e con tutte le tue forze, la legge stessa diventa per
te motivo di conflitto con Dio: in nome della legge manderanno a morte il
Cristo. Nelle ultime conseguenze troveremo i farisei che in nome della
Legge, manderanno a morte il Cristo. Cristo muore. Cristo che è il Figlio di
Dio viene condannato dalla legge che è la Volontà di Dio, ma Volontà di Dio
interpretata dall’uomo, perché quando l’uomo non vede la volontà di Dio
come uno stimolo, una sollecitazione ad interessarsi di Dio, a cercare Dio
prima di tutto, viene portato dalla stessa legge in conflitto con Dio, fino ad
uccidere Dio, perché non supera se stesso. Nel pensiero dell’io l’uomo
tende ad uniformare tutti gli altri a se stesso, ad imporre cioè se stesso.
Egli crede di rendere gloria a Dio, ma impone se stesso; mentre invece se
l’uomo è aperto a Dio, di fronte ad un altro cerca di intendere ciò che Dio gli
vuol significare, perché l’uomo che è aperto a Dio, è in continuo movimento per
conoscere Dio. Dio ci sta facendo e ci sta facendo non soltanto dal di dentro,
ma anche dal di fuori, attraverso anche tutti gli incontri, attraverso tutte le
persone che incontriamo, perché son tutte opere di Dio. Allora se la nostra
anima è aperta a Dio, quindi è nell’anima della legge, tende continuamente
a modificarsi a seconda delle lezioni che Dio le manda. Se invece la nostra
anima non è aperta alla ricerca di Dio prima di tutto (perché lo scopo della
legge è questo) adopera la legge stessa per cambiare gli altri e non per
cambiare se stesso, quindi per imporsi agli altri. Notiamo quello che il
Signore dice; “Non guardare la pagliuzza
che c’è nell’occhio del fratello”. Noi con la legge in mano tendiamo a guardare
la pagliuzza che c’è nell’occhio del fratello (es. notiamo che sono gli altri
che non mettono Dio prima di tutto,
invece di mettere noi Dio prima di tutto). Dio non ci ha dato la legge per
fare i presidenti di un tribunale e quindi per giudicare gli altri. No, Dio ci
ha dato la legge per sollecitarci a cercare Lui prima di tutto. Se non
cerchiamo Dio prima di tutto, facciamo della legge un tribunale per giudicare
gli altri, quindi per cambiare gli altri e non per modificare noi stessi. Per
questo Gesù ci dice: “Non guardare la
pagliuzza che c’è nell’occhio del fratello, ma sta attento al trave che c’è nel
tuo.” C’è sempre un trave nel nostro occhio che noi dobbiamo cercare di
toglierci. Siamo noi che dobbiamo sforzarci di entrare. Se noi ci
sforziamo di entrare, gli altri vengono dietro. Quindi lo scopo della legge
è perché noi ci sforziamo di entrare. “
Sforzatevi voi di entrare per la porta stretta”. A questo punto mi sembra
che la scena sia entrata in rapporto personale con noi, vero? Quindi possiamo
già meditare su questa scena che ci presenta il cap. del Vangelo di S.
Giovanni. C’è ancora un altro aspetto da mettere in evidenza e che ci fa
vedere fino a che punto l’uomo resti cieco quando è preso dal pensiero del suo
io e interpreta la legge secondo la lettura. Notiamo questi farisei di fronte
ad un uomo che era paralizzato da 38 anni (quindi una meraviglia dell’opera di
Dio: Dio ha fatto meraviglie! L’ha guarito! Cammina), non lo interrogano chi
ha fatto questa meraviglia, ma gli chiedono chi è che gli ha detto di prendere
il suo letto e di camminare. Ecco la cecità a cui ci porta il pensiero
del nostro io! Non vediamo più le meraviglie di Dio, i miracoli che Dio ci fa
attorno! Per questo Gesù dice: “Se
non credono alla Parola di Dio, anche se un morto resuscitasse, non servirebbe
per convertirli.”Costoro vanno alla ricerca di chi ha detto all’uomo di
prendere il letto e non si accorgono che quest’uomo è guarito! È stato
miracolato! È come se noi vedessimo uno che improvvisamente entrasse in questa stanza
a porte chiuse passando attraverso il muro e noi facessimo il problema perché è
entrato senza suonare il campanello. Noi facciamo questione, perché ci sentiamo
offesi e pensiamo a noi stessi: “ Non ha chiesto il permesso a noi”. Questo qui
gli ha detto: “ Prendi il tuo letto” e
non ha chiesto il permesso a noi! a noi maestri! ecco l’io che salta fuori.
Per cui l’uomo resta accecato. Per aiutarci nella meditazione, teniamo presente
l’argomento del Vangelo di oggi: Gesù cammina con i due discepoli di Emmaus
e loro non si accorgono che è il loro Maestro. Per cui allo spezzare del
pane Lui si rivelerà, diranno,: “ Ma non
avevamo più il cuore dentro? Era diventato di pietra che non l’abbiamo riconosciuto quando parlava con
noi e ci spiegava le Scritture? Infatti Gesù aveva detto loro: “Oh stolti e duri di cuore ad intendere……….”
Cioè Gesù è con noi e noi non lo riconosciamo. Quelli che erano chiusi sul loro
dolore, sulla loro tristezza per la pena di aver perduto il loro Maestro, per
cui i loro occhi erano impediti di vedere Colui che era con loro. Ecco la
lezione che Dio ci invita ad approfondire con questa scena. Noi di fronte al
miracolo di Dio: Dio che è tra noi, Dio che opera cose meravigliose, presi dal
pensiero del nostro io, dal pensiero di essere noi i maestri, oppure dal
pensiero delle nostre sofferenze, tristezze o dolore, non vediamo più che Dio è
con noi, proprio magari attraverso questa sofferenza, quella pena, oppure
quella scena che Lui ci mette davanti. Ora, durante il silenzio, poniamoci
queste domande: che cos’è che rende cieco l’uomo? E cos’è che fa sì che noi
credendo di fare la Volontà di Dio, andiamo contro Dio? Perché credendo di fare
la Volontà di Dio, arriviamo ad uccidere il Cristo in nome della Volontà di
Dio? Che cos’è che provoca questo errore e qual’è l’apertura che bisogna avere
per uscire da esso? Perché se il Signore ci presenta questo, evidentemente ce
lo presenta perché è un errore in cui con molta facilità cadiamo. Tutte le
lezioni sono lezioni personali per noi, se il Signore ce le presenta, ce le
presenta per evitarci di fare questi errori. Allora dobbiamo chiederci cos’è
che ci fa cadere in questo errore e cos’è che ci può liberare da questo errore.
Seconda
parte
Nino: La legge è un mezzo
per arrivare al fine…
Luigi: Bisogna sempre avere
il fine per prendere il mezzo. Cioè tu non sali su di una macchina se non sai
dove andare.
Nino: La legge ti conferma
se metti il primo comandamento al suo posto, cioè se si parte da qui.
Luigi: Bisogna sempre tener
presente che il fine va sempre messo come prima cosa: poi adegui i mezzi al
fine. Prima tu scegli dove vuoi andare, poi adegui la strada, la macchina, il
treno, alla meta che ti proponi. Noi invece senza rendercene conto, scegliamo
prima il mezzo (l’automobile, la strada, ecc.) e poi ci chiediamo: adesso che
siamo qui dove andiamo?
Nino: Se cerchiamo Dio la
legge è una conferma del pensiero di Dio, se no la deformiamo.
Luigi: Certo, perché se non
cerchi Dio, non hai messo il fine.
Teresa: Non si può dire: “Se
prendi questo treno, vai a Torino?”
Luigi: Devi voler andare a
Torino per prendere il treno. Devi prima voler andare a Torino e trovarti
nell’impossibilità di sapere qual è il mezzo che ti porta a Torino. Allora ad
un certo momento, nel travaglio, uno scopre la legge, scopre il treno. Ma
bisogna esserci ben convinti del fine al quale dobbiamo tendere. Fintanto che
non siamo convinti del fine, è inutile che noi ci abbarbichiamo ai mezzi,
perché deformiamo i mezzi. Anzi addirittura i mezzi ci portano in conflitto con
la Volontà di Dio. Quindi dobbiamo osservare bene noi stessi se siamo convinti
che dobbiamo cercare Dio prima di tutto, perché se non ne siamo convinti
deformiamo tutto.
Nino: Ne siamo convinti, ma
anche noi qualche volta cerchiamo di arrivare a Dio attraverso una regola.
Rina: Ma regola è un aiuto
comunque, vero?
Luigi: Sì, è un aiuto. Come i
paracarri: delimitano la strada, sono un aiuto per camminare, ma nessuno di
noi si mette a girare attorno ai paracarri. Uno cammina sulla strada per andare
alla meta. I paracarri aiutano: andando alla meta uno sta attento: se c’è
la nebbia, aiutano, ecc.
Rina: Quindi non è giusto
dire: la legge è un mezzo per orientarci al fine, ma per avviarci al fine.
Luigi: Sì, perché il fine
bisogna già averlo prima. Del fine bisogna già esserne convinti prima.
Nino: Più che mezzo è una
conferma: es. non basta fare la comunione tutti i giorni….
Luigi: Se non hai il
proposito di cercare Dio.
Nino: Prima bisogna avere Dio
prima di tutto, poi si torna alla regola e allora essa aiuta: ma ci devi
arrivare di ritorno; non va presa dall’inizio.
Luigi: Certo, all’inizio
bisogna mettere il fine.
Riprendiamo un momento
il tema che è questo: siamo partiti dalla frase del Vangelo: “Onde essi gli chiesero: chi è quell’uomo che
ti ha detto: prendi il tuo letto e cammina?”Abbiamo osservato la
deformazione che c’è in questa interrogazione, perché questi farisei di fronte
a quest’uomo miracolato (38 anni di malattia, paralizzato)che improvvisamente
rinasce, e lo vedono camminare sano, non si preoccupano di interrogarlo, di
chiedergli: “ Chi è che ti ha guarito, che ha compiuto questo miracolo
meraviglioso?” Invece gli chiedono: “Chi è colui che ti ha detto che devi
portare il letto?” C’è una deformazione mentale che fa riflettere sul
rischio della deformazione mentale che può avvenire in ognuno di noi quando non
superiamo il pensiero del nostro io. Il problema è questo: cosa può
succedere, cosa succede che, nella vita dell’uomo, facendo anche in buona
fede (non possiamo dire che questi
farisei fossero in mala fede) la Volontà di Dio, si è condotti a lottare
contro Dio, addirittura ad uccidere il Cristo, quindi ad uccidere il Figlio
di Dio in nome di Dio. “Vi manderanno a morte, dice Gesù stesso, credendo con
ciò di rendere gloria a Dio”. E Gesù
precisa il motivo: “E faranno questo
perché non hanno conosciuto né il Padre né Mè.” Quindi il non
conoscere può diventare molto colpevole e ci porta al delitto.
Adesso vogliamo sentire
Cina.
Cina: Io sono fuori
argomento perché mi sono fermata sui discepoli di Emmaus. Anche noi, come loro,
siamo qui per cercare il Signore e non Lo vediamo. Però c’è la sua parola che dice che è con noi e
che tutto viene da Lui.
Luigi: Perché dice che è
fuori argomento? Abbiamo proprio accennato prima che i discepoli di Emmaus
camminavano con Gesù ed avevano gli occhi impediti di conoscerlo. Qui questo
paralitico guarito, in quanto camminava portando il letto, incarnava la parola
di Dio e quindi rappresentava Gesù. Allora davanti ai farisei abbiamo Gesù, un
uomo che incarna la Parola di Dio (ubbidisce al Cristo, quindi è parola di
Cristo vissuta, incarnata).
Così qui troviamo:
- un uomo che vive la parola di Dio;
- dei farisei che osservano questa scena.
I discepoli di Emmaus
camminano con Gesù, ma sono ripiegati sul loro dolore. Questi farisei sono
ripiegati sul pensiero della loro legge, della loro regola, quindi hanno gli
occhi impediti di vedere la Volontà di Dio incarnata: si preoccupano di fare la
Volontà di Dio e non vedono la Volontà di Dio che è davanti a loro. I discepoli
di Emmaus ripiegati sul loro dolore soffrono perché manca loro il Cristo, Gesù,
il loro Maestro, e non vedono che il loro Maestro è con loro. Quindi vede che
non è fuori tema e che la cosa è uguale?
Cina: Mi pareva un’altra
scena quella dei discepoli di Emmaus…..
Luigi: Ma se andiamo a fondo
tutte le scene si raccolgono in un verbo unico e ci danno sempre una stessa
lezione.
Perché Dio, attraverso tutte le cose, attraverso la giornata di oggi, il sole
di oggi, i monti, la neve, gli incontri, ecc. che cosa dice? Sta parlando a noi
per farsi pensare. Se Lui non parlasse, noi non penseremmo a Lui. È Lui che
parlando genera in noi il suo Verbo; il suo Pensiero e ci mantiene uniti.
Quindi Dio creando, parlando a noi si fa pensare. Tutto lo scopo della
creazione, tutto lo scopo della nostra vita, è soltanto questo: quello di
pensare a Dio, perché chi pensa a Dio forma una sola cosa con Dio. Noi
siamo stati creati per formare una sola cosa con Dio. Ma bisogna che Dio parli,
perché se Dio non parla tutto di noi muore. Quindi noi naturalmente ci
stacchiamo da Dio, se Dio non parla, perché chi ci mantiene uniti, non
siamo noi con la nostra volontà, ma Dio. È Lui che parlando a noi, ci unisce. È
il Verbo che ci unisce. Se Lui non parla, tutto si spegne in noi. Dio sta
parlando a noi: parlando risveglia la sua attenzione su di Sé. Una persona
quando parla ad un'altra, attrae l’attenzione e l’attrae fino al punto in cui
l’altra scopre il pensiero di quella persona che le sta parlando. Scoprendo il
pensiero si unisce, lo condivide. Ecco che si forma la comunione. Però è
necessario stare attenti a Colui che parla con noi. Non saltare in
continuazione da una cosa all’altra, perché se uno parla con me e io continuo a
pensare ad altro, offendo la persona che parla con me. Però chi mi unisce è
sempre l’Altro che parla a me. Dio parla a noi in tutto e attraverso la
molteplicità delle parole che Lui dice a noi sostanzialmente dice una cosa
sola: pensa a Me. Alza i tuoi occhi al di sopra di te stesso, al di sopra
dei segni che io faccio attorno a te e guarda a Me, perché Io sono con te.
Guardando Lui, ecco, in Lui poi capiamo il significato delle cose che ci dice,
scopriamo la sua presenza, ecc.
Pinuccia: Ma anche se non
cogliamo il significato, è importante come diceva prima lei parlando con Eligio
fuori,cogliere il richiamo della sua Presenza: è Lui che mi parla ad es. con
quella nuvoletta: “Io sono il Principio
che parlo con te.”
Luigi: Certo.
Teresa: Qual è lo sbaglio dei
discepoli di Emmaus? Come avrebbero potuto fare diversamente?
Luigi: Erano troppo ripiegati
sul loro dolore, troppo presi dal pensiero di se stessi e questo impediva loro
di riconoscere Gesù. Quando Gesù dice (più avanti nel Vangelo di S.Giovanni): “
Me ne vado, ma intanto nessuno di voi mi
interroga: dove vai?”. Lui voleva che Lo interrogassero, perché chi ha
amore per una persona, si interessa di tutto quello che fa quella persona, del
luogo dove va, ecc. Se quella persona dice: “Io vado”, s’interessa e
chiede: “Dove vai?”. “ Invece, dice Gesù, voi perché vi ho detto
me ne vado, siete entrati nella tristezza e non mi interrogate più”. Questo
lo disse parlando ai suoi apostoli nell’Ultima Cena. Erano già ripiegati allora
su di sé, infatti quando disse loro: “È
necessario che Io me ne vada, perché se non me ne vado, non può venire a voi lo
Spirito di Verità”, essi pensarono subito: “adesso rimaniamo soli”. È il ripiegamento del pensiero dell’io, la
tristezza. Questo impedisce loro di interrogarlo: “Maestro dove vai?” e di
disporsi ad ascoltare ciò di cui Cristo voleva parlare loro. Perché Lui
voleva parlare loro del Padre! “Invece
presi dalla vostra tristezza, nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?” Questo
ci fa capire che il ripiegamento sulla nostra tristezza, sulla nostra pena, ci
impedisce di capire la Parola di Dio. Così adesso qui possiamo capire i
discepoli di Emmaus: erano ripiegati sulla loro tristezza. Infatti il Vangelo
dice: “Erano tutti presi dalla loro tristezza e facevano il loro cammino di
ritorno”. Ed è qui che il Maestro li sorprende. Essi, ripiegati nella
tristezza, non vedono Colui che è con loro e che sta parlando loro, per cui
Egli dice loro: “Oh stolti e duri di
cuore ad intendere le parole!” All’ultimo quando Lui si rivelerà essi si
chiederanno: “ non avevamo più il cuore in petto da non vederlo?” Cristo
risorto si rivela sempre attraverso ciò che ciascuno porta nel cuore di Lui.
Infatti Lui risorto non si è più manifestato a tutti (dice S. Pietro) ma
soltanto a coloro che erano stati con Lui prima. Questo è un segno per dire a
noi che se noi non stiamo attenti al Verbo di Dio quando viene a noi, quando
parla ancora a noi nel pensiero del nostro io e ci invita a morire a noi
stessi, quando Lui risorgerà, non si manifesterà più a noi, perché ognuno
di noi Lo può trovare risorto soltanto nella misura in cui Lo porta già dentro
di sé, l’ha accolto dentro di sé. L’amore lo ottiene soltanto colui che ha
vegliato molto per esso, ma se uno non ha vegliato ad un certo punto non lo
trova più. Il Cristo passato nella dimensione spirituale (che è poi la vera
realtà) è accessibile soltanto a coloro che gli hanno fatto posto nel loro
cuore quando Lui si è incarnato, cioè quando Lui si è abbassato al livello
della creatura ed ha parlato d essa, invitandola a rinnegare se stessa, a
superarsi. Se la creatura si apre a Lui, allora Lo ritroverà risorto,
altrimenti si trova soltanto di fronte al Cristo morto.
Nino: Non accetta la morte
di Cristo come volontà di Dio; si ferma all’apparenza, al sentimento, al dolore
della morte.
Luigi: Sì, bisogna
accettarla, e poi cercare di capire che quella scena, quel fatto che è
avvenuto, è avvenuto per ognuno di noi personalmente. Per cui se il Cristo è
morto, è morto perché io commuoia, a che cosa? A quello che mi impedisce di
vedere Dio! Cioè che commuoia con Lui a me stesso. Ecco perché abbiamo fatto il
confronto tra l’uomo guarito e i farisei; quest’uomo che incarna la parola di
Dio è l’uomo che ha fatto Pasqua, è morto a se stesso. I farisei (problema
della legge), rappresentano l’uomo che non ha ancora fatto la sua Pasqua, cioè
che non è ancora morto a sé stesso; e allora, non ESSENDO MORTO A SE STESSO,
vuole imporre la sua regola a tutti gli altri, affermare se stesso. Tende ad
uniformare tutti gli altri a sé, anche secondo la regola, anche se in buona
fede.
Teresa: Però chi è convinto
che compiendo la legge va a Dio, desidera anche questo negli altri.
Luigi: Certo, ma chi è
convinto di andare a Dio ha messo Dio prima di tutto. Il vero amore del prossimo
è questo. Il vero amore del prossimo è aiutare gli altri a trovare Dio, a
orientarsi a Dio. Ma bisogna essere orientati a Dio. Se lei non è orientata
a Dio non può aiutare un altro ad orientarsi a Dio. Perché ognuno di noi,
anche se a parole diciamo “Dio”, ognuno di noi rende spettacolo e convince gli
altri di quello che veramente cerca. Ora ognuno di noi, nella nostra giornata,
nella nostra vita, cerca sempre qualche cosa. A parole possiamo dire una cosa,
ma cos’è che veramente cerchiamo? Noi siamo spettacolo non delle parole che
diciamo ma di quello che cerchiamo: tu cosa cerchi prima di tutto nella tua
vita? Nella tua giornata che spettacolo dai? È questa la testimonianza che
rendiamo. Soltanto se cerchiamo Dio con tutto il nostro cuore, rendiamo spettacolo
che Dio è il vero tesoro, è il centro della nostra vita.
Teresa: Certo, noi possiamo
illuderci. Penso però che compiendo la legge noi vogliamo fare la volontà di
Dio, cerchiamo Dio.
Luigi: No, non è la legge che
di per sé ci possa salvare.
Nino: Se cerchiamo Dio prima
di tutto, trovandoci di fronte la legge interroghiamo Dio, e Lui ci fa subito
capire se ci fermiamo alla lettera o se cerchiamo la sua Volontà. Perché se noi
non abbiamo Dio presente mettiamo noi delle regole e ci illudiamo che siano quelle
di Dio (cfr. Hitler che pur avendo sempre Dio in bocca non ha forse mai
interrogato Dio se faceva bene o no a sterminare gli ebrei).
Luigi: Mettere Dio prima
di tutto vuol dire dialogare sempre con Dio: ci vuole sempre questo dialogo
diretto tra la nostra anima e Lui. Dio non è un lontano al Quale arriveremo
dopo tante svolte, no Dio è immediatamente presente, Dio sta parlando sempre
con te. Dio è sempre presente, quindi tu guarda Lui, parla con Lui, ascolta
Lui, riferisci tutto a Lui: questo è avere Dio al centro = riferire tutto a
Lui. E non dire: ecco io compio questa regola, faccio questo atto, poi dopo
arriverò a Lui, no, parla sempre con Lui. È Lui che ti libera, è Lui che ti
purifica ed è Lui che porta a compimento. Siamo in formazione. Bisogna lasciarsi
fare.
Teresa: E in un secondo tempo
farà capire ciò che in principio non si capisce.
Luigi: Certo. Capirai poi
dopo, però adesso, lasciati fare, lasciati lavorare dal tuo Maestro. Ma quand’è
che noi ci lasciamo lavare i piedi, lavorare dal Maestro? Quando siamo in
rapporto diretto con Lui: Signore so che ci sei Tu, Signore so che sei Tu
in questo avvenimento, in questo fatto…… quindi accetto, perché so che ci sei
Tu. È questo rapporto diretto tra la nostra anima e Dio che porta a compimento
la nostra opera, o l’opera di Dio in noi.
Teresa: Mi sono fermata su
questo: che anziché scoprire le meraviglie del Signore, dargli lode, essi
cercano chi disse a quel malato di prendere il suo letto e portarlo.
Luigi: Ci fermiamo ad osservare
ciò che gli altri fanno di diverso da noi.
Teresa: Ecco, diverso dal
nostro modo di vedere. A volte è difficile accettare che Dio possa fare
meraviglie diversamente da come lo vediamo noi.
Luigi: Certo; anzi le
meraviglie non le vediamo più. Lui le fa. Oggi se per es. è una meraviglia,
tutto è una continua meraviglia; i miracoli sono in continuazione, tutto. Che
noi possiamo parlare è una meraviglia, che al mattino ad un certo momento ci
svegliamo è una meraviglia. Dio opera continuamente meraviglie. Soltanto che
nel pensiero del nostro io, noi ci priviamo delle meraviglie: vediamo tutto
abituale, tutto un’abitudine, una regola: questa cosa qui la conosco già,
quell’altra è una cosa vecchia, questa l’ho sempre fatta, e non vediamo più le
meraviglie. Ci priviamo del meraviglioso; ma privarci del meraviglioso vuol
dire privarci della presenza di Dio, perché è il pensiero di Dio in noi che
suscita sempre in noi le novità; mentre invece nel pensiero del nostro io, noi
cominciamo a dire: quella cosa lì l’ho vista ieri, questa è uguale a quella,
ecco, facciamo vecchie tutte le cose. Facendole vecchie, ci priviamo della
vita. Dio invece, siccome sarà eternamente superiore a noi, sempre, per quanto
faremo una cosa sola, sarà una sorgente di novità per noi. Ma la sorgente di
novità è tale in quanto noi non pensiamo a noi, ma pensiamo a Lui. Allora nel
pensiero suo, tutto in noi diventa novità. Nel pensiero del nostro io tutto
diventa vecchio, stanco, monotono, senza vita; tutto si spegne. Non si canta
che lo Spirito di Verità è sorgente di novità? Creatore? in È creatore
continuazione, quindi è una sorgente di novità.! È Lui che fa nuove tutte
le cose, se però noi siamo con lo Spirito di Verità che è lo Spirito di Dio.
Per cui ogni momento, se noi siamo con lo Spirito di Dio, abbiamo una sorpresa:
Dio ci sorprende. Così ci lega, così ci unisce: Signore sei meraviglioso! È il
canto dell’anima. Tutto è una meraviglia con il Signore. Lontano dal Signore
invece tutto diventa triste, non più attraente, non più degno di vivere.
Teresa: Quindi da parte nostra
dobbiamo preoccuparci di fare questa giustizia: Dio al primo posto e attribuire
tutto a Lui. Se questi l’avessero fatto, avrebbero accettato questo, come fatto
dal Signore, non si sarebbero più fatto problema.
Luigi: Certo, avrebbero
superato il pensiero del loro dolore, della loro tristezza; oppure questi
farisei avrebbero superato il pensiero della legge. Perché di fronte ad un uomo
miracolato, se uno ha il pensiero di Dio, si chiede: ma chi ti ha miracolato?
Andrebbe alla ricerca di chi l’ha guarito. È questo che interessa. E non vede
se quell’altro si sta comportando in modo diverso da come la pensa lui. Dio
essendo novità mi deve tener aperto, se sono in buona fede (è Dio che forma in
noi la buona fede). Se siamo in buona fede, siamo sempre aperti alla novità e
non condanniamo il fratello che si comporta in modo diverso, ma cerchiamo di
prendere la lezione che Dio ci sta dando, attraverso il fratello che si
comporta in modo diverso. Quindi non giudichiamo il fratello. Non giudicare,
prendi piuttosto su di te la lezione che il tuo Signore ti sta dando attraverso
tuo fratello che si comporta in modo diverso da quello che tu ritieni vita
giusta. Perché è Dio che ci ammaestra. Se Dio ci ammaestra, non posso
dire: questo è un cane e lo prendo a calci, No, è un cane: sta attento alla
lezione che Dio ti vuol dare attraverso questo cane. Non posso dire: questa è
una formica e la schiaccio. No, cerca di capire quello che il Signore ti vuol
significare attraverso la formica, perché è una lezione per te. Se io la
schiaccio, mi privo della lezione, per cui il Signore un giorno mi potrà dire
(ed io non potrò obbiettare niente): “Io ti avevo fatto incontrare con una
formica per insegnarti questo e quest’altro. Tu invece hai schiacciato la
lezione che ti volevo dare, non l’hai ricevuta”. Ci aveva fatto vedere quella
formichina; sembra un’inezia, eppure c’è anche il Signore nella formichina. E
forse magari attraverso la formichina ha una lezione grande e personale proprio
per la nostra anima. Tanto le formiche che invadono la casa, quanto i
passerotti che rompono i tetti sono lezioni di Dio. Prima di distruggere,
riflettiamo un momento: perché il Signore ci manda questo? Perché il Signore ci
presenta questo? È una scena in cui c’è la mano di Dio. Se siamo convinti che
in tutto c’è la mano di Dio e che tutto è opera di Dio, in tutto c’è una
lezione di Dio. Prendiamo le lezione e cerchiamo di riflettere, perché non soltanto
attraverso le cose grosse, grandi , imponenti, non soltanto attraverso il
delitto o attraverso il fratello o attraverso il prossimo, ma attraverso tutto,
Dio ci sta dando delle lezioni. Lui ci parla in tutto, e quindi in quanto
parla, dobbiamo essere attenti, avere quella delicatezza e dire: qui c’è la
mano di Dio e non permetterci subito di schiacciare. Noi siamo talmente
grossolani che per noi la formichina è niente, mentre invece una cosa grossa,
un uomo, è tanto importante. No, guarda che il Signore ti sta dando delle
lezioni nel piccolo e nel grande.
Nino: Quindi interrogare
sempre Dio prima.
Luigi: E noi essere anche
umili, così, perché ci troviamo in una casa che non è nostra, per cui non posso
permettermi il lusso di spaccare ciò che non mi piace, di spostare i mobili
come voglio io, perché ad un certo momento mi si può chiedere; chi è il padrone
qui? Ed è logico che ci prenda a calci, ci metta fuori, fuori del suo Regno.
Perché? Perché io ti ho invitato ad entrare in casa mia, ma impara a rispettare
il padrone della casa. Ora, cosa vuol dire rispettare il padrone della casa? In
tutte le cose prima di muoverti, cerca di capire qual è la volontà del Signore
della casa in modo da rispettare la sua volontà. Noi siamo in casa di Dio, per
cui dobbiamo muoverci secondo la Volontà di Dio, imparare a muoverci secondo la
sua volontà, non secondo a ciò che piace a noi o quello che non piace a noi
(questi sono i superamenti dell’io); e quindi superati, non lasciarti guidare
dalle impressioni, dai sentimenti, dai tuoi gusti. Cerca i gusti del tuo
Signore, cerca il pensiero del tuo Signore e allora imparerai anche a
comportarti secondo Lui. Allora il Signore ti farà salire più su, ti renderà
partecipe, ti renderà signore della casa, ma è Lui, non noi. Adesso facciamo il
peccato di Adamo: “sarete come Dio”. No, nessuno di noi con la violenza può
essere come Dio, è un assurdo; è Dio che ci fa essere come, ma ci fa essere se
Lui ci chiama e quindi se noi ci apriamo. Quindi è Lui, non siamo noi,
attraverso la nostra prepotenza. Noi attraverso la nostra prepotenza possiamo
essere gettati nelle tenebre esteriori.
Teresa: Dobbiamo accettare che
Dio possa ammaestrare in modo diverso.
Luigi: Dobbiamo essere
attenti, perché Dio ci ammaestra sempre in modo diverso, perché Dio è una
sorgente di novità ed è Superiore a noi. Se noi ci riteniamo già perfetti, già
fatti, non accettiamo di essere cambiati, ma se invece ci rendiamo conto che
siamo delle creature in formazione, ci
lasciamo correggere e cambiare. Il bambino se non accettasse di essere corretto
in modo diverso da come vuole, non crescerebbe più. Noi tutti siamo creature in
formazione, ma cresciamo nella misura in cui accettiamo di essere cambiati,
cioè se accettiamo proprio le cose diverse da come le pensiamo noi. Dio è
superiore a noi, e quindi ha sempre qualcosa di diverso da quel che conosciamo
noi, dal comportamento con cui ci comportiamo noi.
Teresa: Non solamente credere
che Dio può ammaestrare gli altri in forma diversa: ci corregge sempre.
Luigi: Certo, anche noi
stessi. Ed è questa l’apertura che bisogna avere, la buona fede. La buona fede
tiene la creatura aperta per cui non dice: “ io ho sempre ragione” non giudica
chi non si comporta secondo la legge. Ha la buona fede chi ha presente Dio e
chi ha presente Dio, in tutte le cose vede Dio e quindi non giudica. “Non giudicate”, dice il Signore. Piuttosto prendi su di te la
lezione che io attraverso quel fratello, magari disubbidiente, violento, che
non tiene conto di Dio, ateo, ecc. ti sto dando.
Eligio: Io mi son fermato
sulla causa della cecità di questi farisei. Nella loro domanda noto
un’arroganza orgogliosa tendente a escludere ogni autorità che non sia la loro.
Anche noi, nel nostro ambiente di famiglia o di lavoro possiamo avere lo stesso
atteggiamento, dimenticando che i fatti o le persone ci sono messi accanto da
Dio per insegnare qualcosa a noi, non perché facciamo pesare su di loro la
nostra autorità o la nostra visione delle cose o il nostro giudizio. Questa
chiusura li rende talmente ciechi da impedire loro di vedere il grande miracolo
della guarigione di quel paralitico: hanno solo visto la violazione della loro
autorità che non era stata interpellata (più che la violazione del sabato è
stato questo che li ha offesi).Quindi si può essere maestri della legge di Dio
e in antitesi con Dio: la legge staccata da Dio diventa un’esaltazione dell’io
e quindi un elemento di conflitto con Dio. Ho concluso pertanto che solo nel
pensiero di Dio e nell’apertura incondizionata (come quella di questo
paralitico che ha incarnato la parola di Dio senza mettere condizioni) possiamo
cogliere la verità dei fatti, interpretandoli nello spirito di cui Dio li
anima; diversamente, nel pensiero dell’io tutto (la legge e Cristo
stesso) diventa occasione di peccato. Quindi la causa della cecità la vedo in
quella chiusura dell’io che ci rende impermeabili alla luce.
Luigi: Come noi ci stacchiamo
da Dio, non c’è più nulla di buono che ci possa aiutare a ritornare a Dio,
perché è solo Dio il Principio che purifica e fa diventare buone tutte
le cose. Ma se noi ci stacchiamo da Dio, tutte le cose diventano dannose per
noi. Cioè Dio è sempre il principio del bene.
Eligio: C’è però una
contrapposizione a Dio e c’è una distrazione da Dio. La distrazione a me pare
una cosa diversa dal rifiuto del fine. Ciò che desidererei sapere è se ci sono
o no dei mezzi, piccoli accorgimenti (
che logicamente non devono mai sostituirsi al fine) che ci aiutino ad evitare
le distrazioni, per avere presente con la maggior continuità possibile il fine,
cioè il pensiero di Dio.
Nino: La preghiera del
pellegrino russo è un aiuto efficace: consiste nel ripetere continuamente
l’invocazione: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me”, oppure anche solo
“Gesù”; ripetendolo continuamente non lasci più entrare altro. Al principio può
essere una cosa meccanica, ma pian piano ti può aiutare a pensare sempre Lui.
Luigi: Può essere un aiuto,
specialmente durante la malattia quando il pensare diventa difficile, ripetere
una certa espressione, o anche quando di notte non si riesce a dormire: ad un
certo momento diventa un po’ automatico e t’accorgi che ti aiuta; però non
penso che ci si possa abbandonare a questo.
Nino: Anche nel lavoro è un
richiamo……
Luigi: Certo nel periodo
della debolezza, quando uno si accorge che è debole, può essere un aiuto.
Nino: Può anche succedere
che proprio quello del lavoro sia un periodo di debolezza. Carretto dice che
questa ripetizione lo aiuta molto.
Luigi: Anche Padre Pio diceva
decine di rosari al giorno.
Nino: Anche Papa Giovanni
tutto il giorno si sforzava di dire giaculatorie. È un modo di tenersi in alto.
Teresa: Il difficile è però di
ricordarsi di ricorrere a questo aiuto: è tutto lì il problema.
Cina: A me aiuta molto
ricordarmi il pensiero della vite e i tralci, letto nell’ultimo bollettino di
Savigliano: “ il tralcio staccato dalla vite muore, se è unito , riceve la
vita”. È un pensiero che mi accompagna, perché non voglio che la mia vita sia
inutile, voglio ricevere la vita, non morire.
Luigi: Sì, bisogna restare
molto uniti a Dio. Quest’unione è proprio la presenza del pensiero. Per
non avere distrazioni bisogna essere presi da un pensiero. Se ricevessimo la
notizia che la mamma è gravissima e sta morendo, partendo per andarla a vedere,
passando per la strada, le vetrine, le persone, non ci distrarrebbero; niente
ci porterebbe via. Il problema è interiore: è l’intensità d’amore che ci libera
dalle distrazioni. Quando uno è molto preso da una cosa, può incontrare tutte
le cose di questo mondo, più niente lo distrae. Se l’amore è spento tutto ci
porta via. Il problema è far crescere in noi l’amore, l’amore prima di tutto,
che deve prenderci con un’intensità tale, per cui niente più ci tocca. Ma la
modifica da farsi è dall’interno, è dentro di noi. Più ci convinciamo
dell’immenso tesoro che Dio è per la nostra vita, per la nostra intelligenza,
per le nostre facoltà, per tutto il nostro comportamento; più ci convinciamo
dell’immensità di questo tesoro e più vendiamo tutto con gioia; e quando uno
vende tutto, non c’è più niente che lo attragga, perché le cose ci distraggono
in quanto noi le consideriamo implicitamente interessanti, importanti. Ecco
perché se io sono preso dal pensiero della mamma gravissima, in agonia, niente
più altro a confronto mi tocca. La distrazione è una debolezza d’intensità
d’amore. Se tu sapessi di dover morire tra due ore, in qualunque luogo tu
vada o ti muova non c’è più niente che ti tocchi, tanto è il pensiero che preme
su di te: “tra due ore parto, sicurissimo”. Vede che è una dimensione
interiore? Non è la pressione esterna siamo noi che implicitamente diamo
valore a delle cose esterne per cui una
cosa mi attrae, l’altra mi disperde: si, voglio andare là, ma ho del tempo
davanti.
Eligio: Questo è dovuto anche
a preconcetti o per aver assimilato precedentemente altri valori.
Luigi: È questo che fa
ritenere molto importante ciò che non lo è.
Eligio: Fortunatamente sento
ripetere molte volte che bisogna mettere Dio al centro dei nostri pensieri, ciò
nonostante non è facile tenerlo sempre presente.
Luigi: Ma non basta vederlo
dall’esterno, bisogna vederlo interiormente.
Eligio: Ma pur essendo
convinto…….
Nino: A volte noi diciamo
che Dio si nasconde a noi, invece siamo noi che abbiamo altri interessi che ci premono:
non siamo interessati a Dio, ma ad altre persone. Non è Dio che si allontana da
noi, siamo noi che ci allontaniamo da Lui.
Eligio: Diciamo anche che Dio
è un Assoluto, quindi misterioso, difficile.
Luigi: Sì, Dio è difficile, è
logico, perché è profondissimo. Ma è Lui che ci porta a conoscerlo. Noi da soli
non potremmo mai arrivare a Lui, è logico. Quindi è Lui che ci conduce in
questa amicizia; è Lui che ci fa amici suoi, ma bisogna lasciarsi condurre. Ora
noi nella nostra debolezza, ricorriamo pure a tutti i mezzi, perché tutto
quello che ci aiuta ad avvicinarci a Lui, a ricordarci di Lui, lo dobbiamo
tenere; c’è chi trova un aiuto nello scriversi certe frasi su foglietti e ogni
tanto leggerli, c’è chi dice tante giaculatorie, ripete mille volte: “Gesù,
Gesù, ecc.”. Però non limitiamoci a questo (altrimenti cadiamo nella regola):
questo è un mezzo, è come il pezzo di pane che mangio oggi; lo mangio, ma mi
debbo svegliare perché domani il pezzo di pane non ci sarà più per
tenermi in vita: questo pezzo di pane è per dirmi che debbo cercare l’altro
pane. Attualmente Dio nella mia debolezza mi dà questo pane, attualmente nella
mia debolezza Lui mi dice: “ ripeti mille volte il mio nome, ma svegliati a
riconoscere l’essenziale dentro di te, quello che ti deve formare la vita,
perché Dio è Spirito vuole adoratori in
spirito e verità; quindi affrettati a formare la convinzione di questo tesoro
così forte in te da essere disposto a perdere tutto”. Il giorno in cui con
convinzione tu puoi dire: “ tutto per me è niente”, sta tranquillo che non c’è
più niente che ti distragga. Ma bisogna esserne convinti profondamente: è
Dio che convince dell’immenso valore di sé. Quando uno è convinto di questo
immenso valore non c’è più niente altro che ti porti via. Allora, anzi, con
Lui, tutte le cose diventano motivo di unione, perché Lui parla in tutto.
Allora la nuvoletta, non è più la nuvoletta che ti distrae, ma è la nuvoletta
attraverso la quale Dio ti parla, ti sorprende: guarda Dio come è buono, guarda
come…….
Nino: Il cantico delle
creature.
Luigi: È logico; allora
canti il Signore in tutto: non c’è più niente che ti porti via. Cosa è
cambiato? È cambiato qualcosa di prima? La nuvola tanto era prima come è oggi.
Ma come mai ieri mi portava via, invece adesso mi unisce? È cambiato qualcosa
dentro di me. È questo qualcosa dentro di noi che bisogna preoccuparci di
cambiare, di lasciar cambiare a Dio. Non si tratta di cambiare la nuvoletta,
oppure di scappare da essa o non guardarla perché ci distrae. Il problema non
sta lì, perché quella è una parola di Dio. È dentro di noi che dobbiamo
cambiare: dobbiamo cercare di arrivare a questo cambiamento interiore
valendoci di tutti i mezzi per poter salvare il salvabile, però dobbiamo
puntare lì.
Eligio: Comunque c’è una
regola, l’unica: “Cerca prima di tutto il
Regno di Dio……”
Luigi: Certo
Eligio: Noi non vediamo il
miracoloso, perché non portiamo Dio in noi.
Luigi: Il pensiero del nostro
io toglie la meraviglia di Dio attorno a noi. Ognuno di noi vede fuori
quello che ha dentro: chi ha l’azzurro dentro vede azzurro dappertutto; chi
ha la notte dentro vede la notte dappertutto. E questo è Gesù che lo dice: “Luce del tuo corpo (corpo è tutto il mondo)
è il tuo occhio. Se il tuo occhio è limpido, luminoso, tutto diventa luminoso;
ma se il tuo occhio è tenebroso, quanto più grande sarà la tenebra attorno a te!”
Quindi fa che il tuo occhio sia luminoso. Ma luce del tuo occhio è Dio.
Quindi guarda sempre Dio. Il nostro occhio da solo non vede, ha bisogno di
essere illuminato;il nostro occhio vede in quanto c’è la luce. Se il tuo occhio
è illuminato da Dio, allora tutto attorno a te diventa illuminato e tu vedi le
meraviglie di Dio. Se invece il tuo occhio è tenebroso non vedi più le
meraviglie di Dio, vedi soltanto te stesso.
Rina: Non si vede neppure il
miracolo.
Luigi: No: infatti Gesù
stesso fa il miracolo della moltiplicazione dei pani e il giorno dopo gli
stessi suoi discepoli non capiscono più, per cui Gesù li deve richiamare: “Non ricordate ieri che cosa è successo?”
Erano preoccupati perché si erano dimenticati il pane! E non capivano più il
linguaggio di Gesù. Gesù parlava del lievito dei farisei( “Guardatevi dal lievito dei farisei”). Ed essi, sentendo parlare del
lievito, si ricordano di avere dimenticato il pane. Il pensiero del pane
dimenticato impedisce loro di seguire Gesù. E Gesù li deve rimproverare e
dice loro: “Ieri quanti pani avevate? E
quanti hanno mangiato? E quanto avete avanzato? E non capite ancora?” Ecco,
non si vede il miracolo; il pensiero del nostro io, la preoccupazione, ecc. ci
impedisce di vedere. È lì che bisogna cercare di rinnegarci; il rinnegamento
sta lì.
Pinuccia: Penso che questa
cecità che c’impedisce di vedere il meraviglioso,(il miracolo) e il conflitto
che questa scena ci presenta tra la parola incarnata e la legge, sono la stessa
cosa, perché in entrambi i casi il fermarci all’io che provoca questa cecità.
Infatti di fronte alla creazione, se mi fermo all’apparenza e quindi al mondo relativo
all’io e non vado a Colui che mi parla e quindi all’anima della creazione, non
vedo il meraviglioso:
- di fronte agli avvenimenti, anche: se mi fermo
all’io, non capto la lezione che Dio mi vuol dare e mi fermo alla cronaca,
all’apparenza;
- di fronte alle persone, anche: le giudico. E allora
la legge mi serve o per confrontarmi con gli altri o per giudicare gli altri.
Luigi: “Signore io ti
ringrazio che non sono come gli altri: io pago le imposte, io sono giusto,
ecc.”. È sempre la deformazione dell’io.
Nino: Il giudizio è sempre
un confronto.
Luigi: Per questo Gesù dice:
“Non giudicate”. L’importanza
di Dio sta lì: che tenendo presente Dio noi non soltanto non giudichiamo, ma
cerchiamo di ricevere su di noi la lezione, poiché ci chiediamo
cosa: “Cosa vuol Dio modificare di me attraverso questo fatto?” Per cui il
fratello, anche quello che sbaglia, non diventa motivo di giudizio ma motivo di
correzione nostra. La lezione è per noi: dobbiamo assumercela su di noi.
Portare il peso degli altri. Ora questo lo facciamo soltanto se abbiamo fede in
Dio, perché se non abbiamo fede in Dio, facciamo sempre dei raffronti con gli
altri, non possiamo evitarlo. Per cui diciamo, anche se non a parole: “Signore
ti ringrazio perché io a quel piano lì non sono mai sceso; Signore ti ringrazio
perché non ho mai ucciso nessuno”: e non possiamo farne a meno. Invece tenendo
presente Dio, dico: “ quello lì è paralitico: il Signore mi vuol dare una
lezione, mi vuol far scoprire una paralisi che porto dentro”. Quindi cerco di
riflettere su questa paralisi e dove essa stia in me. Perché se il Signore me
la presenta è certamente una scena esterna per insegnarmi una cosa interna.
Infatti abbiamo visto prima che, andando a fondo nella scena del paralitico,
scopriamo che i veri paralitici sono i farisei, paralizzati internamente
dalla legge. Quell’altro è stato un fatto occasionale che Dio ha provocato per
suscitare gli altri paralitici ad urtarsi con la Parola di Dio incarnata.
Pinuccia: Non solo nei confronti
della creazione, degli avvenimenti, degli altri, posso aver questo
atteggiamento sbagliato e cieco che viene dal fermarmi all’io, ma anche verso
me stessa: il fermarmi all’io può portare in me stessa questo conflitto tra la
legge e la parola incarnata. A volte può essere un’esigenza di fare certe cose
per sentirci a posto con Dio, esigenza che va superata perché l’anima della
legge è cercare il Signore, non perché io possa dire: “ sono a posto”. Se
uno non la supera è perché si ferma all’io. Questo allora può portare anche
ad un altro conflitto interiore: si diffida del perdono del Signore,
giudichiamo noi stessi e non andiamo all’anima della legge. Dimentichiamo così
che l’essenza del perdono è raggiungere l’essenza della legge: “Ama Dio con tutto il cuore, ecc.”
Luigi: Se noi possiamo
pensare Dio è perché Dio già ci ha perdonato. Se Dio non ci avesse
perdonati, noi non potremmo nemmeno pensarlo. Se possiamo pensarlo è perché
siamo perdonati. “Chi pensa Dio forma una cosa sola con Dio” dice San Paolo.
Se noi possiamo pensare Dio è perché Dio ci ha perdonati e ci dà la grazia di
pensarlo. Peccato mortale è il peccato che non ti lascia pensare Dio. Allora
diventa mortale, perché non penso più Dio. Ma se ho la possibilità, anche nel
peccato mortale di pensare Dio, vuol dire che Dio mi ha già perdonato. Si fa
pensare. È grazia. D’altronde se noi lo pensiamo, non siamo noi che pensiamo a
Lui. È Lui che si fa pensare. Ci sveglia a pensarci, quindi vuol dire che siamo
perdonati.
Pinuccia: E questa è la
risurrezione…..
Luigi: Certo. Così anche il
rinnegamento di noi stessi: a volte noi pensiamo che sia un annullamento di
noi; invece il rinnegamento di noi stessi in Dio è una sublimazione di noi
stessi in Dio, è un perfezionamento della nostra persona. Non è una diminuzione,
non è una distruzione. Noi a volte partiamo dal principio: Dio mi vuol
distruggere. No, Dio non è il nemico! Dio ti invita a superarti perché vuole
ampliarti. Siamo noi che nel pensiero del nostro io ci chiudiamo come un ragno
in un buco, diventiamo sempre più gretti, perché il nostro pensiero diventa
infinitesimo, si riduce sempre di più. Il processo della vecchiaia è un
processo di riduzione della personalità. Invece Dio è giovinezza, Dio è
amplificazione. Ora Dio chiede a noi di superarci, perché vuole perfezionare
(Lui ci porta a perfezionamento), ampliare il nostro io. Lo vuole ampliare fino
a quella dimensione infinità da combaciare con il suo infinità, quindi fine a
poter amare tutti. Quando Lui dice: “Siate
perfetti come il Padre vostro che è perfetto”, ci vuol figli di quel Padre.
Altro che mortificarci; non è una mortificazione, un annullamento; è un errore
pensare che sia questo quando il Signore dice: “Chi vuol venire dietro di Me, rinneghi se stesso”: sembra
che parli di fare dell’io, un nulla, un annullamento, no, non è quello; è un
potenziamento, Dio è un più, non è un meno. Quindi se chiede a noi di
superare il nostro io è perché il pensiero del
nostro io è un posto di blocco in cui noi ci fermiamo arrestando il
cammino verso l’infinito: dicendoci “supera te stesso”, ci vuole dire: “va
oltre il posto di blocco”.
Nino: Ma di questo siamo
convinti, perché ci si accorge di conquistare qualcosa, non di perdere.
Luigi: Sì, però molti di noi
hanno paura di dimenticare se stessi. Quante volte sentiamo dire: “ Ma se io
non penso a me, cosa capita?” Abbiamo paura di perdere.
Nino: Però se siamo convinti
che perdere è una conquista anche se qualche volta succede di pensare
così,ci accorgiamo dello sbaglio.
Teresa: Penso a quei farisei;
non può essere che difendessero la legge disinteressatamente? Non l’hanno mica
fatta loro la legge.
Luigi: No, essa viene da Dio,
data a Mosè.
Teresa: Allora non vedo dove
ci sia l’io in un rispetto così grande alla legge come essi avevano.
Eligio: L’avevano per se stessi,
per la loro autorità che non era stata interpellata, non per la legge,
Nino: La legge non è stata
data contro l’uomo, ma per l’uomo. La legge è per aiutare gli uomini, non per
condannarli (cfr. Gesù di fronte all’adultera). La legge non deve servirci per
condannare gli altri; dobbiamo applicarla a noi, non farla applicare agli
altri.
Teresa: Se un figlio non fa le
cose che gli ha raccomandato il padre, il male non sta in ciò che non ha fatto,
ma nell’aver disubbidito al padre.
Eligio: Ma lo spirito del
Padre è diverso.
Teresa: Finora ci è sempre
stato detto che chi compie la legge dimostra il suo amore al Padre, ma ora ho
capito che non è così.
Nino: Non deve compiere
la legge per fare la Volontà del Padre, ma deve fare la Volontà del Padre e
allora compirà la legge.
Teresa: E allora potrà
interpretare la legge come deve essere….
Eligio: Deve capire l’amore
del Padre per osservare la legge….
Luigi: Cioè, se non
abbiamo presente il pensiero di Dio, tutta la legge viene da noi deformata;
per cui, interpretare la legge senza il pensiero di Dio vuol dire sempre
dimenticare lo spirito della legge per fermarsi alla lettera. E allora si
arriva ad essere nemici di Dio; è sintomatico che Gesù è stato condannato in
nome della legge. Ora se è avvenuto questo, perché è avvenuto per noi, non
perché noi avessimo a condannare: guarda questi farisei ebrei come erano! No,
guarda che sei tu l’ebreo, sei tu il fariseo. Quella lezione è per ognuno di
noi; la generazione che attualmente contempla queste scene è la nostra, quindi
il Signore sta parlando per noi; quindi non debbo dire: “è quel tale là, ma io
no”. No, in quanto te lo presenta, tu devi prendertelo su di te e devi stare
attento che in nome della tua regola, della tua legge, della tua comunità, ecc.
tu puoi mandare a morte il Cristo. Perché la legge ti è stata data per
aiutarti a conoscere il Signore, a cercare il Signore e non perché tu dica:
“osservo la legge, così sono gradito al Signore!”
Teresa: Stando unita a Lui,
Lui mi darà la luce momento per momento come debbo comportarmi.
Luigi: Senz’altro. Il
principio è sempre l’unione con Lui: è l’anima di tutto; riferire tutto a
Lui, accogliere tutto da Lui, anche se non si capisce, anche quello che sembra
assurdo, e possibilmente cercare di capire quello che Lui ci vuole significare.
Teresa: Pareva che la legge ci
unisse a Lui, invece dobbiamo stare uniti a Lui , per poterla interpretare.
Luigi: Sì
Nino: Abbiamo un esempio
nelle leggi umane: a che punto ci portano le leggi staccate da Dio (es.
Aborto); non si coglie più lo spirito se vengono strumentalizzate (es. blocco
affitti).
Pinuccia: Quindi la causa di
questa cecità che ci porta ad uccidere il Cristo tanto nella creazione
(sprechiamo tutto), negli avvenimenti, negli altri e in noi stessi, è il
nostro io.
Luigi: Sì, tolto Dio, non
c’è nulla di buono che noi possiamo fare e uccidiamo Dio in nome di Dio,
credendo di fare bene; è il problema che il Signore vuole mettere in evidenza. C’è
una strada che i nostri occhi può sembrare buona e ci porta alla rovina.
Può sembrare buona, io credo di fare cose buone, giuste, di difendere magari
Dio, e invece faccio una rovina.
Pinuccia: Ci toglie la vita:
uccidiamo il Cristo.
Luigi: Salmo 15.