HOME


Ora quel giorno era un sabato; perciò i Giudei dicevano a colui che era stato guarito (in quel punto, cioè in quel giorno): “È sabato, non ti è permesso di portare via il tuo giaciglio …”». Gv 5 Vs 10


Titolo: Conflitto tra la legge e la volontà di Dio.


Argomenti: La volontà della natura umana di Cristo. L’abitazione di Dio nell’uomo. L’uomo non dà valore al mondo del pensiero.La morte di Cristo esterna, specchio dell’orribile peccato che compiamo nel pensiero. “Ecce homo”. La natura umana del Cristo siamo noi. Con l’Incarnazione Dio ha fatto sua una parte di me.

Il paralitico vivendo la parola di Dio entra in conflitto con la legge. Rivestire la legge di Dio con le nostre intenzioni. La legge, i segni, le creature ci sono dati per farci alzare gli occhi a Dio. Gesù prese su di Sé i nostri peccati.


 

26/Marzo/1978


Esposizione di Luigi Bracco:

Luigi: Teniamo presente che i Giudei qui esprimono una volontà secondo la legge: è il problema del sabato. Esprimono una volontà contraria alla volontà di Gesù, perché Gesù, guarendo quel malato gli ha anche imposto: “Prendi il tuo giaciglio e cammina”. Ora, essi obiettano: “È sabato, non ti è lecito”.

Qui ci troviamo con un uomo di fronte a due volontà:

-         la volontà di Colui che l'ha guarito,

-         e la volontà che gli viene dall’autorità religiosa che gli dice: “Non ti è lecito fare questo!”.

Cerchiamo possibilmente di cogliere che cosa Dio ci vuol significare nel presentarci quest’uomo, guarito da Gesù, che si trova in conflitto tra due volontà:

-         la volontà che gli ha espresso Colui che l'aveva guarito

-         e la volontà che gli esprime l'autorità religiosa: “Non ti è lecito fare questo!”.

Perché Gesù non si è accontentato di guarire quel malato, ma guarendolo gli ha ordinato di fare una cosa che era contraria alla legge?

Se l'ha fatto un significato c'è ed è un significato che deve servire per ognuno di noi, perché tutto è lezione.

Teniamo anche presente che Gesù qui si è trovato di fronte a tanti malati, eppure ne ha guarito uno solo.

Perché non li ha guariti tutti?

Perché ne ha guarito uno solo?

Ora questo ci porta ad intendere che ci deve essere un significato anche in questo fatto.

Dobbiamo quindi cercare di approfondire che cosa Gesù abbia voluto significare a noi guarendone uno tra tutti, mentre Lui, confermando le profezie, dice di essere venuto per guarire i malati.

E perché allora trovandosi di fronte a molti ammalati non li ha guariti tutti, ma uno solo? E poi, perché guarendo quest’uno gli ha ordinato di fare una cosa per cui lui è venuto a trovarsi in conflitto tra due volontà, per cui ha dovuto scegliere? Lo vedremo poi in  seguito quest’uomo di fronte alle due volontà ha scelto la volontà di Colui che l'aveva guarito; ma proprio scegliendo la volontà di Colui che l'aveva guarito, si è messo in contrasto con il sabato, con la legge dell’autorità religiosa.

Eligio: Avrei voluto chiederti un chiarimento su una lettura della settimana santa, ma entrerebbe in un altro argomento.

Luigi: Non sappiamo….. se il Signore lo offre, può darsi che ci sia un collegamento.

Eligio: È dell’epistola agli Ebrei di S. Paolo: “Cristo nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a Colui che poteva liberarlo dalla morte e fu esaudito per la sua pietà”. Qui mi ha impressionato l’atteggiamento di Gesù che chiede al Padre di essere liberato dalla morte. Mi è parso di vedere due volontà diverse: quella che del Padre che voleva l’espiazione (e non mi piace molto vedere il Padre così: mi pare un aspetto un po’ spietato quello di un Padre che esiga questo) e quella del Figlio. E poi continua così la lettura: “ Pur essendo Figlio imparò l’obbedienza dalle cose che patì (e questo non lo capisco) e reso perfetto”. E anche qui: non sapevo che in Gesù ci fosse uno stato di perfettibilità: lo pensavo perfetto, già come Figlio di Dio.

Luigi: Come Figlio di Dio è perfetto.

Eligio: Comunque qui dice che è reso perfetto dalle cose che patì, dall’obbedienza che ha dato al Padre per le cose patite. E poi continua: “ e divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”. E poi c’era anche un altro concetto su cui volevo fermarmi, preso, forse, dalla Liturgia delle Ore: “ che Gesù prese su di sé i nostri peccati”. Pensavo, mentre leggevo questo, alla reazione di orrore che ha avuta l’antica popolazione degli Atzechi quando fu loro portata la religione cristiana: inorridivano a vedere il crocifisso (per cui Cortez o chi, li ha uccisi tutti). Essi Dio lo immaginavano in modo diverso. Deve sempre farci una certa impressione pensare a Gesù che subisce una morte del genere per accettare la Volontà del Padre e assicurare a noi la salvezza. È difficile vedere tutto questo in quell’atmosfera divina, dove noi per divino intendiamo qualcosa di amore, di bello, di tutto fuorché qualcosa di cruento, come avviene nella Passione di Gesù. Che cosa si può pensare di questa volontà di Gesù che “con forti grida e lacrime” chiede al Padre la liberazione dalla morte? Questo vuol dire che c’era una volontà diversa.

Luigi: Certo, c’è stato un conflitto di volontà…

Eligio: Ci è però difficile da capire, perché più volte Gesù dice di essere venuto a fare la Volontà del Padre. Soprattutto in questa Settimana Santa mi ha colpito maggiormente di altre volte il pensiero che Dio abbia fatto morire suo Figlio proprio di, di quella morte; altre volte mi ha colpito meno. “ E fu esaudito per la sua pietà”, conclude (come fu esaudito?)

Luigi: Penso che il problema vada spostato più indietro spiritualmente. Cioè, prima di chiedermi perché Dio faccia morire suo Figlio, penso che dobbiamo chiederci, perché Dio creando l’uomo accetti di morire nell’uomo. È Dio stesso che dando la vita a noi accetta di venire a morire in  noi. Dio creando l’uomo, creando ognuno di  noi, viene ad abitare in noi. Il fatto di abitare in noi richiede un approfondimento, perché l’abitazione di Dio in noi è un suo sottomettersi al nostro io, alla nostra povertà, alla nostra incapacità di restare con Lui; vuol dire accogliere da noi il tradimento, cioè, accogliere da noi di essere messo fuori dalla nostra vita. Ho fatto molte volte l’esempio di una persona nobile, intelligente, delicata, che offra un dono ad una persona volgare. Ecco, il dono della persona grande è un dono carico di profondità, di delicatezza. Dato ad una persona molto volgare è scontato  che sarà usato male, calpestato, non capito,. Ora l’accettazione di convivere di Dio con noi è la condizione perché l’uomo possa essere un essere cosciente. Cioè noi abbiamo la consapevolezza di esistere perché abbiamo la presenza di Dio in noi, la presenza dell’Essere. È la presenza di Dio in noi che dà a noi la capacità di dire “io sono”.

Ma il fatto di dire “io sono”, mi da la possibilità di mettere fuori Dio dalla mia vita. Mi approprio malamente del dono che mi fa Dio abitando in me.

Dio creando l’uomo, quindi già in Adamo, ha accettato di venire a morire nell’uomo, proprio per dare esistenza all’uomo. L’abitazione di Dio nell’uomo è la coabitazione di una persona nobilissima con un essere volgare. È scontato che chi ne patisce è l’Essere nobilissimo: cioè coabitando accetta la passione, l’altro lo farà morire. Eppure questa è la condizione perché ad un certo momento l’altro rinsavisca.

Eligio: Si, ma è la presenza di due volontà che non capisco: non quella umana e quella divina, ma quella del Padre e quella del Figlio.

Luigi: No, il Figlio è la Volontà del Padre, è solo Volontà del Padre. Poi, il Figlio incarnandosi, assume la natura umana. Ogni natura ha una sua volontà. Allora nel Figlio abbiamo una Persona sola, due nature, due volontà: quella divina che “è la Volontà del Figlio, e la volontà della natura umana che si esprime: Gesù stanco, Gesù che muore: qui abbiamo la natura umana: Gesù muore come natura umana, non come Figlio di Dio. È la natura umana che muore, il Figlio di Dio non muore, Dio non muore. Però era necessario che ci fosse la rivelazione di quello che avviene nella nostra vita personale, cioè del Dio che viene a morire in noi.

Dio in sé non muore, ma nell’uomo viene a morire. In quanto si offre all’uomo, in quanto viene ad abitare nell’uomo, si dà nelle mani dell’uomo. Dio si dà nelle mani dell’uomo. Il darsi nelle mani dell’uomo vuol dire da parte di Dio l’accettazione di essere annientato dall’uomo. L’uomo non si rende conto di quello che avviene nel suo spirito, perché l’uomo, quanto più si stacca da Dio, tanto più da importanza alle cose esteriori, alle cose materiali e non dà più valore alle cose dello spirito.

Noi non diamo più valore ai nostri pensieri. Ci crediamo perfettamente liberi, con nessuna conseguenza, di fermarci a pensare ad una cosa piuttosto che ad un’altra. A noi sembra  che sia indifferente il pensiero; noi non ci accusiamo del pensiero; noi ci accusiamo dei fatti, perché per noi valgono i fatti, quel che facciamo: cioè per noi vale il mondo esterno. Se io colpisco spiritualmente una persona, non mi rendo conto del male che faccio; ma mi rendo conto se colpisco materialmente, fisicamente. Appunto, più noi ci stacchiamo da Dio, dalla Realtà, e più cadiamo nella schiavitù del mondo esterno.

Cosa vuol dire? Che noi diamo valore di realtà al mondo esterno, per noi conta il mondo esterno. Il mondo esterno diventa il regno della realtà in cui noi siamo.

Il mondo dello spirito diventa astrazione. Questo è una conseguenza dell’esserci staccati da Dio; cioè una conseguenza dell’aver fatto fuori Dio dalla nostra vita.

Allora il mondo dello spirito perde importanza, diventa astrazione.

Il mondo che acquista molta importanza è quello esterno: questo però ci rende schiavi delle cose che mutano e muoiono. Allora è proprio in questa schiavitù al mondo esterno che Dio ci da la sua lezione rivelandoci in esso quello che avviene nel nostro mondo interno, di cui noi non ci rendiamo conto. Cioè, noi interiormente, anche prima di Cristo, da Adamo in poi, uccidiamo Dio. Però la consapevolezza di quello che facciamo, l’abbiamo soltanto in Cristo “esterno”,in questa rivelazione del Cristo esterno. Cristo che muore rivela Dio che muore in me, in ognuno di noi.

Eligio: Ma il modo così orribile con cui muore…..

Luigi: È perché il nostro peccato è così orribile; noi non ce ne rendiamo conto, ma il peccato è orribile. È orribile, diciamo, non per Dio, ma per noi; per le conseguenze che arreca in noi: perché Dio chiama noi a diventare figli suoi. Invece noi, staccati da Dio, diventiamo dei satana, dei Barabba. Ecco il peccato diventa orribile in noi, perché staccati da Dio siamo soggetti ad ogni corruzione.

Dicevamo prima che tra tutte le creature non c’è una creatura così cattiva e crudele come l’uomo, perché l’uomo arriva a distruggere ogni creatura, ogni suo simile; non solo, ma ad infierire sopra le sue vittime.

Non si accontenta di uccidere, l’uomo infierisce.

Vedi come l’uomo non si è accontentato di mandare a morte il Cristo; ha dovuto infierire sul Cristo; ha dovuto dileggiarlo, sputacchiarlo. Non c’è più soltanto l’uomo che sotto la pressione di una violenza uccide; no, c’è qualcosa di malvagio, di satanico.

Ma questo male che si scatena nell’uomo che si separa da Dio necessita che ci sia un’innocente che si offra all’oggettivazione di ciò che l’uomo porta dentro di sé. L’uomo porta il male dentro di sé prima di scatenarlo fuori.

Lo scatena soltanto per grazia di Dio (dico: grazia di Dio, quindi volontà di Dio) ed è per la salvezza dell’uomo.

Non è che il peccato si manifesti nell’uccisione del Cristo: si rivela, c’era già, e di quella gravità.

Eligio: Quindi nel subire tutti questi oltraggi della malvagità umana, si può concludere che in questo senso Cristo assume su di Sé i peccati degli uomini, cioè le conseguenze.

Luigi: Certo, porta su di Sé, ha preso su di Sé, come conseguenze. Infatti quando Pilato presenta, dopo ormai averlo fatto flagellare, deriso, ecc….. il Volto del Cristo, Lo presenta dicendo: “Ecce homo”. Ma ci rendiamo conto cosa vuol dire questo  “Ecce homo”? Vuol dire: “ Ecco l’uomo, ecco che cosa è l’uomo”, cioè, ecco che cosa sei tu, tu, ecc….

Presentandoci il Cristo, Dio rivela che cosa è l’uomo, che cosa fa l’uomo.

Pilato ha detto “ecce homo” ed ha presentato il Cristo, ma nel Cristo c’era lo specchio di quello che è l’uomo, di quello che fa l’uomo al suo Dio.

Gesù è innocente. Di fronte all’innocente che cosa si rivela? Si rivela l’altro, il delitto dell’altro. Se in Cristo avessimo un essere colpevole, allora non si rivelerebbe l’altro; ma di fronte all’essere innocente, si rivela soltanto l’altro. Come di fronte allo specchio si rivela soltanto il volto di colui che si specchia in esso: non c’è niente nello specchio di sé, riflette soltanto l’altro. Quando abbiamo una creatura tutta pura, in essa si riflette soltanto l’altro essere, la malvagità dell’altro, la cattiveria dell’altro. Per cui nell’ “ecce homo”, noi vediamo l’uomo. Non c’è più il Cristo, c’è l’uomo, cioè c’è il peccato dell’uomo. Allora Lui ha preso su di sé il nostro peccato. Ma l’ha preso su di Sé per rivelarlo a noi, affinché rivelato a noi, noi prendessimo coscienza del veleno che portavamo in noi ed avessimo la possibilità di capire ciò da cui dobbiamo liberarci, cioè quel superamento dell’io, perché è l’io nostro che uccide Dio; comprendessimo cioè quella necessità di superare il pensiero del proprio io, di non fermarci più all’autonomia nostra (peccato di Adamo con tutte le conseguenze); di non fermarsi più a questo peccato, a questo arresto al pensiero del nostro io, ma di collegarci sempre con Dio, di mettere Dio al centro di tutti i nostri pensieri, come punto fisso di riferimento: cioè è Lui il Signore della mia casa, è il Signore della mia vita, è il Signore dei miei pensieri, Lui.

Allora riferisco tutto a Lui. Lui abita con me? Io non mi debbo appropriare di Lui. Ma proprio perché abita con me deve essere un onore per me avere Dio che abita con me, e quindi riferire tutto a Lui, vedere tutto un Lui, avere tutto il mio pensiero per Lui. La funzione del Cristo è proprio questa: si è fatto figlio dell’uomo. Ecco allora che abbiamo l’altra volontà, perché amando l’altro, uno prende su di sé la volontà dell’altro. Quindi abbiamo in Lui due volontà: la volontà umana, cioè la volontà dell’essere che ama l’altro, e la volontà divina.

Eligio: Questo lo capisco. Ma qual è l’interpretazione letterale di questo passo: “Imparò l’obbedienza dalle cose che patì”?

Luigi: Sì è un po’ difficile quel passo poiché rivela la natura umana. Direi, meglio: “ la natura umana imparò l’obbedienza”, quasi a dire: l’uomo imparò ad ubbidire a Dio, a sottomettersi a Dio da quello che ha patito il Cristo. Portato nei termini nostri, lo direi così, perché la natura umana non fa altro che riflettere tutta l’umanità (“ecce homo”). Nella natura umana del Cristo abbiamo tutta l’umanità che Lui riconduce a sottomettersi alla volontà del Padre. Il Figlio di Dio non è perfettibile, è perfetto: è Figlio di Dio! Gesù stesso dice: “ Chi mi accusa di peccato?” Nessuno può accusarlo di peccato. D’altronde come persona è divina, è perfettissima. Assumendo su di sé la natura umana, l’ha fatto per amore. In quanto uno ama l’altro, si offre all’altro. È quello che Dio fa creando l’uomo. Ho detto che Dio creando l’uomo già fin dall’origine si è offerto all’uomo. Il Cristo ci rivela la creazione di Dio, la creazione che Dio ha fatto dell’uomo già fin dall’origine. È questa abitazione, “tabernacolo” tenda (“ha messo la sua tenda tra noi”).Ora Lui che è l’Eterno, l’Assoluto, si è vestito della nostra provvisorietà (la tenda), per stare con noi. Ma venendo ad abitare tra noi, ha subito tutte le conseguenze della coabitazione con degli esseri volgari come noi, degli esseri incapaci a glorificare Dio come deve essere glorificato l’Assoluto. Attraverso questo processo di amore, Lui assume su di sé la natura umana; ma questa natura umana rappresenta tutta l’umanità. Allora tutta questa umanità qui, attraverso il patire, la sottomissione che ha fatto il Cristo al Padre dell’umanità, la morte, ha imparato l’ubbidienza a Dio, ha imparato a sottomettersi a Dio. Infatti noi dobbiamo imparare a sottometterci a Dio.

DeBortoli: Quindi, non il Cristo ha imparato, ma gli uomini….

Luigi: La natura umana del Cristo. Ma la natura umana del Cristo siamo noi. Noi diciamo il “corpo del Cristo”, ma il corpo del Cristo rappresenta tutti gli uomini e l’uomo è tutta la natura umana in Lui. Ecco, in Lui. Nel modo con cui Lui si è presentato, nel modo con cui Lui è vissuto tra noi, nel modo con cui Lui ha patito ed è morto tra noi, tutta la natura umana ha imparato, attraverso Lui. Ecco, perché noi diciamo che non facciamo Pasqua se non conmoriamo con Lui. Conmoriamo: perché una parte di me in Lui è già morta, ha imparato l’ubbidienza a Dio perché il suo corpo è una parte di me: facciamo tutti una cosa sola. Allora se Lui ha assunto una natura umana, io, natura umana, una parte almeno della mia natura umana,è in Lui. E questa parte qui, per mezzo della sua Persona, è stata sottomessa al Padre. C’è una parte quindi di noi occupata da Dio, che ha occupato un punto di noi e l’ha portato al Padre, sottomesso al Padre. E in noi ci sarà sempre eternamente, se non capiamo, se non entriamo tutto in questa sottomissione, questo stridore; per cui siamo infelici, scontenti, non in pace, tormentati, ecc. Tutto questo accade in noi fintanto non facciamo entrare tutto di noi in questa sottomissione al Padre in cui una parte di noi già si trova per l’opera del Cristo, perché il Cristo noi non lo possiamo assolutamente cancellare. Non lo possiamo cancellare, perché è una parte di noi. È come se Lui mi avesse preso la mano e questa mano me la avesse sottomessa al Padre. Ma la mano sottomessa al Padre mi crea già l’esigenza di sottomettere al Padre il braccio, la testa, il corpo, tutto, perché una parte di me è sottomessa al Padre. Cristo una parte di me l’ha fatta sua, perché si è incarnato.

Teresa: E quella parte l’ha presa senza la mia adesione?

Luigi: L’ha presa senza la mia adesione: Cioè, l’adesione l’ha avuta in Maria. Maria ha detto “si” per noi, ma non c’è tutto in noi. Noi non siamo Maria. È una parte però che è incancellabile.

Teresa: Per conmorire con Cristo bisogna che ci sia la mia adesione.

Luigi: Bisogna che ci sia il mio io, questo io che non ha dato l’adesione, perché una parte di noi già appartiene a Lui. Maria ha risposto con la sua adesione: ha detto “si”, ma l’ha detto per noi. Dicendo “si”, una parte ormai di noi ha incarnato il Cristo. È come una parte del nostro mondo, ammettiamo che il nostro corpo sia tutto il mondo che attraverso Maria è diventato il corpo del Cristo. Ma una parte di questo mondo è anche mio mondo, perché noi formiamo tutto questo mondo. Allora o riusciamo a estirpare questa parte che è di Cristo, a metterla fuori dal nostro mondo, o dobbiamo sottoporre tutto il nostro mondo a Cristo per diventare tutto uno come per entrare nella gioia, nella pace, nella felicità……Abbiamo cioè due soluzioni: o riusciamo a togliere questo come un bubbone, come un’escrescenza, come un tumore e lo mettiamo fuori, perché “non lo voglio, non è mio”, Perché non vogliamo che Lui regni su di noi, o altrimenti, l’altra soluzione, è quella di far entrare tutto di me in questa parte che è sottomessa a Dio, che è Dio. Soltanto che mettere fuori quella parte che Dio ha occupato è impossibile a noi, perché è occupata da Dio che è superiore a noi. È una pagina che noi non possiamo cancellare. È un punto che Dio ha occupato, che Dio ha fatto suo e che noi non possiamo assolutamente cancellare, perché dovremmo cancellare, distruggere noi.

Cina: Sarebbe quel punto immacolato di cui si è parlato tante volte?

Luigi: No, qui è l’Incarnazione. Con l’Incarnazione Dio ha fatto sua una parte di me. Ha detto “questo è mio”. Di fronte a Lui che dice “questo è mio”, noi non possiamo assolutamente dire niente, non possiamo cancellarlo. È suo.

Teresa: Quindi non ci sono due soluzioni; ce n’è una sola.

Luigi: Ce n’è una sola. Cioè l’altra soluzione è una fatica improba al punto che noi distruggiamo noi stessi, perché si tratterebbe di cancellare una pagina che non può essere cancellata. Per cui più noi cerchiamo di cancellare questa pagina, più questa diventa grande, imponente. È la pietra che scartata diventa la pietra fondamentale, senza la quale non si tira su nessuna costruzione. Ora questa pietra appartiene al nostro mondo. È come se ci fosse nella mia vita una pagina che io voglio cancellare: cerco di strapparla, ma tutta la mia vita salta in aria; non c’è nessuna ragione per sostenerla. Allora c’è una soluzione sola: debbo far entrare tutta la mia vita in quella pagina. Cioè, Dio che fa sua una parte di me, invita me a far entrare tutto di me in quello che Lui ha fatto suo. È la problematica dell’incarnazione. Ecco perché dico che  la lezione di Pasqua (morte – risurrezione) non è assimilata da noi fintanto che noi stessi non conmoriamo con Lui e non risuscitiamo con Lui. Come abbiamo letto stamattina nella lettera di San Paolo, “ dimenticare le cose del nostro mondo per occuparci delle cose del cielo” ( Se siete risorti con Cristo…). Se pensando a noi, nel pensiero del nostro io, noi abbiamo ucciso Dio e ci siamo proiettati nella realtà esteriore, per cui abbiamo ritenuto che il mondo esterno, le tenebre esteriori fossero la vera realtà e che Dio fosse soltanto un sogno, un’astrazione, un pensiero lontano; se pensando a noi ci siamo proiettati all’esterno, e ci siamo resi schiavi di questo mondo esterno, morendo a noi, noi moriamo anche a tutto questo mondo esterno, per incominciare a vivere nella realtà dello spirito. Allora “ se siete risorti con Cristo, non cercate più le cose della terra, ma cercate le cose del cielo, dove il Cristo è alla destra del Padre”. Ecco, occupatevi di questo se siete risorti. Ma io per occuparmi del cielo, devo morire a me stesso e quindi a tutto quel mondo che è in relazione al mio io, al mondo esterno, mondo materiale. Per cui, sì, si rimane nel mondo, ma non si è più del mondo, non ci si può più appassionare per le cose del mondo, perché uno appartiene ad un altro mondo: uno è morto a questo. “Io sono morto a questo mondo”, dice S. Paolo, “morto con Cristo”. Questa è la lezione della Pasqua: fintanto che noi non facciamo così, le Pasque sono soltanto nominali, recitate, non sono Pasque per noi, perché non entriamo nella lezione di Cristo. Il Cristo è morto per questo, affinché noi moriamo al nostro peccato. Il nostro peccato sta nel fare il nostro io punto fisso di riferimento, nel fermarci alla creatura, anziché andare al Creatore. In sostanza, vuol dire far fuori Dio dalla nostra vita, e quindi vuol dire uccidere Dio. Siccome noi spiritualmente uccidiamo Dio (spiritualmente si uccide col non tenere conto), ma non ci rendiamo conto del delitto, del deicidio che facciamo, ecco che Dio si incarna, assume una parte di me, prende un corpo. Dato che noi crediamo solo ai corpi, Dio assume un corpo, perché noi riteniamo che quello che vale siano solo i corpi. E attraverso questo corpo Lui ci dà la vera lezione, cioè si mette nelle nostre mani e si lascia uccidere. Vede le due volontà che si scatenano in questo episodio. Ad un certo momento noi troviamo questo uomo davanti a due volontà. Una è la volontà della legge, che è poi volontà di Dio: teniamo presente che è Dio che ha dato la legge, e in nome della legge si manda a morte Colui che ha attuato la parola di Dio. E una è la volontà di Cristo. Costui stava attuando la Parola del Cristo. Cristo gli aveva detto: “prendi il tuo letto e cammina”. E qui fa notare che quell’uomo era guarito, si era alzato (era guarito poiché l’uomo guarisce alzandosi, aveva guardato in alto); aveva preso su di sé il lettuccio e camminava. Infatti Gesù gli disse: “ Levati prendi il tuo lettuccio e cammina”, poi si legge: “ e subito quell’uomo guarito, preso il suo letto se ne andava”. Cosa fa?

Teresa: Questo non lo capisco tanto: perché finchè si tratta della guarigione dell’uomo, questa è superiore al sabato (il sabato è fatto per questo); ma non capisco perché fosse necessario fargli portare il lettuccio: non era poi questa una cosa tanto importante da contraddire alla legge. Non ne capisco il significato.

Luigi: Di questo ne abbiamo parlato (lei non c’era). Comunque è questo ora che importa far notare. Noti il parallelo: Gesù dice “Levati prendi il tuo lettuccio e cammina”. “Quell’uomo, subito guarito, prese il suo letto, se ne andava, camminava”. Cosa abbiamo? Gesù che noi adesso, a cose fatte, sappiamo essere Dio, perché abbiamo la testimonianza della sua risurrezione, della Pentecoste e di tutta la conferma che il Padre ha dato del Figlio, ha parlato. È Dio che ha parlato e l’uomo è risorto. L’uomo non può da solo risorgere; l’uomo resta morto, cade e non si risolleva più: è la pietra che cadendo dalla montagna sta giù, non può ritornare su. Il processo non è invertibile. Quindi Dio ha parlato. E che cosa ha detto all’uomo? “Alzati prendi il tuo lettuccio e cammina”. L’uomo guarito prende il suo lettuccio e  cammina. Abbiamo la parola detta da Dio realizzata. Cioè quest’uomo è la realizzazione della Parola. In questo paralitico abbiamo l’incarnazione della parola del Cristo. Ma Cristo è Dio, quindi abbiamo l’incarnazione della parola di Dio.

Teresa: Allora l’uomo non guarito dà un’altra interpretazione alla legge? Non capisco.

Luigi: Lasciamo per un momento la legge e stiamo a questo punto: Gesù ha parlato. Che cosa ha detto all’uomo? “Alzati prendi il tuo lettuccio e cammina”. L’uomo poteva non alzarsi; poteva alzarsi e non prendere il suo letto; poteva alzarsi, prendere il suo letto e non camminare. Gesù gli ha detto tre verbi; quest’uomo ha realizzato questi tre verbi, ha incarnato la Parola di Dio. Noi di fronte a quest’uomo che cosa diciamo? Quest’uomo ubbidisce a Dio. Ora, cosa vuol dire ubbidire a Dio? Incarnare la Parola di Dio, attuare la Parola di Dio, fare la Parola: ecco, la parola di Gesù copiata, attuata, realizzata: Lui vive la parola di Dio. Soltanto che, vivendo la Parola di Dio, viene a trovarsi in conflitto, in urto con un’altra volontà che credeva essere la volontà di Dio: la legge, l’autorità, i sacerdoti che gli dicono: “non ti è lecito”.

Teresa: Ma quella legge lì non l’hanno mica messa loro.

Luigi: L’ha messa Dio

Teresa: Ma Dio non ci ha mica dato la legge per ingannarci

Luigi: Certo

Teresa: Ma per farci sperimentare la nostra impotenza nell’attuarla?

Luigi: Qualcuno dice: due volontà, quindi una volontà è quella di Dio, e una volontà è quella del demonio. Evidentemente qui non si può accettare questa interpretazione perché qui si tratta della legge data da Dio. Eppure la legge diventa in conflitto con la parola ascoltata e vissuta. Ecco le due volontà procedono da uno stesso: tutte e due sono da uno stesso Essere, perché sono espressioni di Dio. La legge è volontà di Dio, la parola del Cristo è volontà di Dio, eppure ad un certo momento nell’uomo queste due volontà entrano in conflitto. Cosa succede? Se il Signore ci presenta questa scena, è una lezione personale per ognuno di noi; il che vuol dire che in ognuno di noi c’è il conflitto di queste due volontà: la volontà che viene in noi dalla parola di Dio e la volontà che viene in noi dalla legge, dalla regola. Ora tutte e due procedono dallo stesso Principio. Il Principio è uno solo: è il Verbo, la Parola di Dio. Solo che la Parola, la legge, la volontà di Dio, come viene significata a noi, come scende nel nostro mondo viene da noi rivestita dei nostri abiti. Noi ce ne appropriamo e la trasformiamo in regola e dimentichiamo Dio! Non capiamo l’anima della legge. Perché le creature che sono opere di Dio mi mettono in conflitto con il Signore? Col Creatore? Il peccato sta nel preferire la creatura al Creatore. Ma la creatura non è opera di Dio? Tutto il mondo è opera di Dio? E come mai se io seguo il  mondo entro in conflitto con Dio? Eppure è tutta opera di Dio, è volontà di Uno solo. È che l’uomo appropriandosi dei segni, delle opere di Dio, della legge, dimentica Dio, e trasforma tutto in regola di vita. Ora Dio mi aveva dato la legge, come mi aveva dato le creature, non perché mi dimenticassi di Lui e me ne facessi regola di vita e cercassi di piacere a queste norme o a queste creature, ma perché attraverso esse (ecco l’anima della legge che noi trascuriamo pensando a noi), noi alzassimo i nostri occhi a Lui. Perché la legge ci è stata data per farci alzare gli occhi al Creatore. Tutto l’ universo, tutte le creature Dio le ha create per farci alzare gli occhi a Lui, non per arrestare i nostri occhi alle singole cose. Infatti Gesù correggerà il nostro errore dicendo: “Alza gli occhi! Alzati!” All’uomo che è rimasto paralizzato dalla legge, dalla regola, dal suo io, il Signore, Verbo di Dio, arrivando dice: “Alzati e rivolgiti a Dio”. L’uomo è guarito da questo alzare gli occhi verso il cielo di Dio. È simbolizzato dal serpente di bronzo di Mosè: l’uomo avvelenato dai serpenti, alzando gli occhi verso il serpente di bronzo era liberato dal veleno. Tutta la legge era data affinché l’uomo alzasse gli occhi. Infatti Gesù precisa dicendo che anima di tutta la legge è: “ama”! Ora cosa vuol dire amare? Guarda! Guarda il tuo Signore! Alza gli occhi a Lui, perché il tuo Signore è al di sopra di te, il tuo Signore ti trascende. In quanto ti trascende tu devi alzare gli occhi, da te stesso, dalle creature, da tutto quello che ti viene da Dio devi alzare gli occhi a Dio, perché la funzione di tutta l’opera di Dio è quella di farti alzare gli occhi a Lui. Se tu  non alzi gli occhi a Dio tutti i doni di Dio (e la legge, e le regole, e le creature) ti mettono in conflitto. Ecco la fonte del conflitto, per cui in noi sentiamo le due volontà: vogliamo una cosa, eppure ne facciamo un’altra. Come mai questo conflitto? Ed è il conflitto che Gesù prese su di sé, per noi, per evidenziarci questo fatto. Ecco la necessità di superare sempre noi stessi. Ed ecco come si forma in noi il conflitto delle due volontà.

Pinuccia B.: Perché dice che Gesù ha assunto su di Sé questo conflitto? Come e dove lo vediamo in questa pagina che stiamo commentando?

Luigi: Nel Getsemani soprattutto vediamo il conflitto delle due volontà: la natura umana di Gesù è tutta l’umanità. Egli raccoglie in Sé la volontà della natura umana e la sottomette alla volontà divina: “ Non la mia volontà (= natura umana) ma la tua, Padre”. La “tua” è il Figlio.  Sottomettete la volontà della natura umana, la nostra natura, al Padre e insegna a noi a sottometterci al Padre in tutto, cioè ad alzare gli occhi al Padre in tutto, cioè ad alzare gli occhi al Padre attraverso tutto.

Teresa: Quindi io sarò completa solamente morendo con Cristo…

Luigi: Morendo con Cristo (e non basta morire) e risuscitando con Lui, perché morire con Cristo vuol dire morire al nostro io per risuscitare alla vita nuova per Dio.

Teresa: Una parte di noi è già morta e risuscitata, quindi io sarò completa soltanto se….

Luigi: Se farò entrare quel tutto di me che non è ancora morto e non ancora risuscitato, in quella parte di me che è già morta e risuscitata. Perché la felicità, la gioia, la vita sta nel realizzare l’unità. Ora Cristo entrando, assumendo su di Sé una parte di noi, ha creato una grande frattura nella nostra umanità, perché ha preso su di Sé una parte e l’ha sottomessa a Dio, e l’altra parte l’ha lasciata a noi. C’è una frattura e c’è un impegno. Ad un certo momento noi arriviamo ad uccidere Cristo, a farlo fuori, cioè non vogliamo sottometterci a quella volontà alla quale Egli ci ha sottomessi: è il motivo della nostra infelicità. Per questo dico: o facciamo fuori Lui o dobbiamo far fuori noi.

Teresa: Però facendo fuori Lui, facciamo fuori noi, perché Lui non possiamo farlo fuori.

Luigi: Lui, per quanto ci affatichiamo, non possiamo farlo fuori: noi lo mettiamo fuori dalla finestra e Lui entra dalla porta, perché è la Realtà, e la Realtà è superiore a noi e non possiamo cancellarla. Più ci affatichiamo a cancellarla fuori, e più quella entra dentro diventa interiore. Io non mi libero da una persona uccidendo una persona, anzi credendo di farla fuori uccidendola, mi rendo doppiamente schiavo di essa perché la schiavitù diventa interna e non me ne libero più. La vera liberazione avviene amando, cioè facendo entrare tutto quello che di noi non è ancora entrato in questa Realtà. Siccome Cristo una parte di noi l’ha già assunta su di Sé, l’ha presa su di Sé, altro a noi non resta, se vogliamo entrare nella vita, che far entrare tutto quello che di noi non è ancora entrato in quella parte di noi che Cristo ha fatto sua. Ecco perché bisogna imparare a morire con Lui al nostro io, a tutto il nostro mondo e risorgere con Lui al suo mondo, alla sua Ascensione, cioè alle cose di Dio, alle cose del cielo, per cui Dio deve diventare nostra vita, quel Dio che da noi è stato considerato astratto, lontano, non interessante e non attraente, perché la nostra vera vita che incombeva su di noi, quella che veramente ci interessava, era il mondo materiale, era il mondo in cui ci troviamo, erano le creature. Per cui queste creature, questo mondo qui interessa e preme su di me molto di più che non il pensiero di Dio. Il pensiero di Dio lo posso rinviare a domani, a dopodomani, alla fine della vita. Ma oggi io debbo salvare la mia figura, debbo mangiare, debbo star bene, debbo guadagnare, ecc.. : tutti questi problemi premono su di noi. Ora è questo che bisogna superare per far entrare il problema di Dio, della sua Verità, del suo Spirito. E dobbiamo farlo entrare con quella pressione su di noi, come attualmente premono su di noi le cose materiali, le cose del nostro mondo. Allora in questa realtà risorta, il mondo per noi non conta più, conta molto invece la Realtà spirituale , la Realtà maiuscola, la Realtà di Dio, conoscere Dio, vedere in tutto il Regno di Dio, imparare a convivere con Dio: questo conta. Il resto che ci sia, che non ci sia, non conta più, perché il resto è soltanto una significazione ed essendo una significazione importa poco: che uno si vesta di verde, di giallo, di rosso, importa poco, importa che viva. Ma se uno vive per vestirsi di verde, di giallo o di rosso, allora tutta la sua vita è distrutta. Se uno vive per mangiare o se uno vive per vestirsi in un modo piuttosto che in un altro, tutta la sua vita decade in niente. Ma se uno vive per un fine superiore che si vesta in un modo o in un altro, mangi una cosa o un'altra è proprio indifferente, perché l’importante è vivere “ per”. Ora Cristo è venuto a portare questa vita “per”, per la vera Realtà ( la Realtà è Dio), a noi che avevamo trasformato e concepito, come realtà, le creature, le cose del mondo, la materia.

Pinuccia B.: Lei ha parlato del fatto che Gesù prese su di Sé i nostri peccati nel senso che ne ha preso su di Sé le conseguenze; non si potrebbe intenderlo anche nel senso che li attribuisce a Sé, cioè che è Lui che ce li fa fare esteriormente?

Luigi: È la stessa cosa

Pinuccia B.: A me non sembra la stessa cosa subirne le conseguenze e farceli fare.

Eligio: Prese su di Sé le conseguenze dei nostri peccati, altrimenti non ci saremo resi conto del peccato che portavamo dentro.

Luigi: Certo; e prenderlo su di Sé vuol già dire darci la possibilità di farli, perché, se Lui non li prende su di Sé, noi non facciamo proprio niente.

Pinuccia B.: Quindi è Lui che ce li fa mettere fuori ed è Lui che ne subisce le conseguenze?

Luigi: Certo.

Pinuccia B.: Però non è la stessa cosa, perché subire è una cosa, ma farlo fare è un’altra.

Eligio: Sono due momenti di una stessa realtà: facciamo il peccato e Lui stesso ce lo evidenzia. Altrimenti come potremmo oggettivare il male che abbiamo dentro? Lui stesso diventa questa oggettivazione.

Luigi: Questo paralitico guarito è l’incarnazione della parola del Cristo. Come incarna la parola del Cristo suscita il conflitto con quelli che credevano d’incarnare la volontà di Dio, il conflitto con un’altra volontà: “Non ti è lecito”!

Eligio: Cioè non avevano colto lo spirito di questa Volontà di Dio, trasformando la stessa in una regola.

Luigi: L’errore sta lì: che io credo di fare la volontà di Dio dicendo: tu non puoi fare questo, guarda che la regola è questa, guarda che il comandamento è questo. Gesù  all’ultimo dirà: “ Verrà il giorno in cui vi condanneranno, vi manderanno a morte, credendo con ciò di rendere gloria a Dio, di fare cioè la volontà di Dio”. È lo stesso conflitto. Qui già mandano a morte questo paralitico. Dicendo: “ Non ti è lecito”, lo mandano a morte. Portato alle estreme conseguenze, abbiamo il Cristo che ci dice: “Verrà il giorno in cui…..”. E Lui stesso lo subisce.

Eligio: Si è fatto Dio

Luigi: Ecco: “ Noi ti mandiamo a morte, non per le opere buone che hai fatto, ma perché essendo uomo, tu ti fai Dio”. Ecco : “Verrà il giorno in cui vi manderanno a morte, credendo con ciò di rendere gloria a Dio e ciò faranno perché non hanno conosciuto né il Padre né me”. Non hanno conosciuto! E come mai non hanno conosciuto? Non hanno amato! Hai amato te stesso e quindi il pensiero di te ti ha impedito di conoscere il Padre e di conoscere il Figlio. E allora, tu, ritenendo di fare la volontà di Dio, uccidi il Figlio di Dio; uccidi Dio, credendo di fare la volontà di Dio.

Teresa: Però fino a che punto sono colpevoli, se sono sicuri di fare la volontà di Dio, anche se fanno il contrario?

Luigi: Vi è una sicurezza che inganna molto e che non per questo giustifica.

Teresa: Non per giustificarli, ma per compatirli.

Luigi: No, non per giustificarli, ma questo ci rivela che ad un certo momento se non cerchiamo di conoscere Dio, scambiamo per volontà di Dio ciò che non è volontà di Dio.

Eligio: Il giorno in cui mi troverò con Cristo ucciso credendo di rendere gloria a Dio, mi renderò conto dell’errore: Cristo si è lasciato uccidere, perché il mio peccato si rendesse evidente.

Luigi: Io non posso accusare Lui di peccato: Lui è innocente, quindi il colpevole sono io: c’è niente da fare. Di fronte all’altro che è innocente, chi è il colpevole? Il delitto c’è, l’altro è innocente: a chi attribuire questo delitto?

Eligio: E abbiamo il corpo del reato lì davanti…

Delfina: Questi sacerdoti che strumentalizzano la parola di Dio lo hanno condannato e si sentono a posto….

Luigi: La lezione è per noi: siamo noi che ad un certo momento trasformiamo l’anima, lo spirito delle parole di Dio in una regola, per cui: faccio così, mi muovo così, ecc… e intanto dimentico Dio. Dimentichiamo Dio! Fa i salti mortali, fa tutto quello che vuoi, ma ama! Cerca Dio! L’importante è che tu cerchi Dio, perché tutta la legge, tutti i comandamenti, tutta la creazione è stata data affinché tu alzi i tuoi occhi al Signore! Se poi, anziché inginocchiarti, ad esempio vuoi stare a letto, sta a letto; se anziché mangiare polenta vuoi mangiare caramelle tutto il giorno, mangia caramelle tutto il giorno: l’importante è che tu pensi al tuo Signore! Ma se tu credi di salvarti mangiano polenta tutti i giorni soltanto, non ti salvi! “Signore, ma io ho solo mangiato polenta mattino e sera….” Non ti sei salvato, perché il Signore ti aveva detto “digiuna”, perché tu potessi avere la mente e l’anima libera per pensare al Signore; ma se tu invece ti sei fatto del digiuno lo scopo, il programma della tua vita, tu hai dimenticato il tuo Signore! Allora hai capovolto quello che era lo spirito della parola del Signore.

Teresa: Ma se faccio una cosa perché il Signore l’ha raccomandata, voglio fare la sua volontà: quindi non dovrebbe questo, di per sé portarmi ad essere nemica di Dio.

Luigi: La volontà del Signore in tutte le cose è che noi eleviamo la mente a Lui, e tutto quello che facciamo deve essere mezzo (tutte le cose sono mezzi) per pensare a Lui, per restare con Lui, per capire, per lasciarci guidare dalla sua Presenza.

Teresa: Se un bambino fa tutte le cose che la mamma prima di andare via gli ha detto di fare, non le fa per il gusto di fare quelle cose, ma per ubbidire alla mamma.

Luigi: Per restare con la mamma, col pensiero della mamma. E così lo stesso per noi. L’importante è lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio. Ma lo Spirito di Dio in tutte le cose ci fa operare, ci fa pensare, ci guida, ecc.. per aumentare la nostra intimità con Lui, per farci entrare sempre più in Lui. Il problema non sta nel fare una cosa piuttosto che l’altra. L’esempio che ha portato del bambino non può essere applicato in pieno nello Spirito di Dio: ha un valore soltanto relativo, perché a Dio non importa che noi facciamo una cosa piuttosto che un’altra. A Dio importa che noi impariamo a restare con Lui, a restare con la sua Presenza. Quello che ci ispira di fare o di non fare, ecc. è soltanto perché facendo così noi siamo aiutati a conoscere di più Lui, ma la meta sta nel fare, la meta sta nel contemplare Lui: quella è la meta! Conoscere Lui.

Teresa: Penso che non è il valore di questo, piuttosto di quello,che conta.

Luigi: Certo, sono mezzi, il valore è Lui

Teresa: Ma è per ubbidire per stare con Lui

Luigi: Per stare con Lui

Eligio: Più che di ubbidienza, bisognerebbe parlare dello spirito di ubbidienza, dello spirito di Colui che ci ordina di fare quello.

Luigi: Infatti qui abbiamo i sacerdoti che dicono a quell’uomo guarito: “Non ti è lecito, cioè sei disubbidiente”. In nome dell’ubbidienza lo accusano dicendo: “tu non puoi portare questo”, sostanzialmente “perché Dio non vuole”. Quindi il problema non sta nell’ubbidienza, perché l’ubbidienza con facilità diventa regola, viene strumentalizzata.

Eligio: Si può ubbidire dimenticando lo spirito di Colui che ci dice di fare una cosa. Difatti  questi sacerdoti ubbidivano alla legge, ma non ne avevano capito lo spirito.

Luigi: Ed erano convinti di rendere gloria a Dio.

Eligio: Il bambino può ubbidire alla mamma senza amare la mamma.

Luigi: Sì, si può ubbidire per evitare un castigo.

Eligio: E può ubbidire perché ama la mamma, il pensiero, l’anima con cui la mamma gli ha chiesto quello.

Teresa: Ma se io sono convita che Dio mi vuol bene, sono convita che i consigli o i comandi che mi dà sono per il mio bene, quindi ubbidiente resto nella vita.

Pinuccia B.: Ma Dio vuole una cosa sola da noi: “Cerca prima di tutto il Regno di Dio”. È questo che Lui vuole, vero? Non il resto.

Luigi: L’importante è sempre tener presente la finalità dell’opera di Dio è questo educarci al suo infinito, perché Lui è un infinito, e noi dobbiamo imparare a cambiare con questo Infinito; per cui in tutte le cose Lui opera per rivelarci la sua Verità la sua Presenza, per inserirci nella sua vita stessa, nella vita del suo Spirito. È un inserimento all’infinito. Attraverso tutte le cose Lui ci dà lezioni di Sé. Una persona si fa conoscere attraverso il suo modo di parlare. Dio si rivela a noi attraverso le sue parole se però noi siamo sempre attenti a Lui. Allora attraverso le sue parole noi incominciamo a conoscere qualcosa di Lui, poi qualcos’altro, poi qualcos’altro; ad un certo momento, ci troviamo immersi come pesci in mare nella divinità di Dio, in Lui che opera tutto, che è presente in tutto; per cui impariamo a rispettare la sua Presenza in tutto, a convivere con la sua Verità, a fare tutte le cose secondo il suo Spirito.

Teresa: A me pare che non ci sia responsabilità nelle persone che non conoscono. Se uno conosce e poi dà un’ altra interpretazione alla legge è logico che è responsabile. Ma se questi sono arrivati a capire solamente fino lì e credevano con questo di dare lode a Dio, facendo quello che Dio aveva loro comandato, io penso che non siano colpevoli.

Luigi: Ma adesso non conta quello che lei pensa. Conta quello che pensa il Signore. E il Signore  cosa dice?

Teresa: Ma se il Signore non ha dato loro altre possibilità di approfondire. Bisogna vedere se il Signore glie l’ha  date e loro si sono rifiutati oppure se sono solo arrivati a capire: “ osserva la legge” per fare la Volontà di Dio.

Luigi: Ma Gesù cosa ha detto? Gesù li ha approvati? Li ha giustificati o no?

Teresa: Li ha svegliati.

Luigi: Comunque non li ha approvati. Se Gesù stesso dice: “ Vi condanneranno, vi manderanno a morte, credendo con ciò di rendere gloria a Dio; ma ciò faranno perché non hanno conosciuto, ” li giustifica? Giustifica la loro ignoranza? Quando dice: “Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho cercato di……. Adesso ormai non è più tempo, non è più ora per te, perché non hai conosciuto, l’ora in cui sei stata visitata”, la giustifica nella sua ignoranza? Vede che c’è un’ignoranza colpevole?

Cina: Ci è presentata questa legge che è un aiuto, ma che però non è tutto. C’è una parte che senza escludere questa, dobbiamo aggiungere personalmente, ed è quella di cercare con amore ciò che la legge ci propone.

Luigi: Lei dice che la legge non è tutto. Si nota invece un’opposizione, un contrasto, un conflitto, addirittura.

Eligio: È più di un contrasto, non si potrebbe parlare di superamento che si deve fare

Luigi: Ma se uno non la supera è in contrasto. Quindi  non posso dire “ non è tutto”; perché quando non è tutto io sono in un qualche cosa. No, io divento nemico. Perché qui hanno mandato a morte il Cristo ( ed era figlio di Dio) in nome della Volontà di Dio, in nome della loro legge, della loro regola. Ecco l’opposizione. Non l’hanno mandato a morte i ladri, gli adulteri, le prostitute, no, l’hanno mandato a morte dei sacerdoti, cioè degli interpreti della legge. Ora perché Gesù ha guarito questo proprio in sabato e l’ha fatto a ragion veduta; l’ha messo in conflitto, in urto con i difensori della legge. Perché l’ha messo in urto? Perché l’urto c’era. Ha evidenziato quello che già c’era. E se ha evidenziato quello che c’era, è perché  questo urto c’è dentro,in noi.

Eligio: Del resto non possiamo dedurre che la legge è inutile o contraria a Dio.   

Luigi: No!

Eligio: È un mezzo e come tutti i mezzi va usata per quello che serve e superata nello spirito.

Luigi: San Paolo dice che la legge c’è stata data come pedagogo al Cristo: ma se non mi conduce al Cristo, anzi quando il Cristo mi si presenta ed io in nome della legge Lo uccido, vuol dire allora che non ho capito proprio niente della legge, assolutamente, quindi ho travisato tutto. Ecco perché la legge può diventare motivo di contrasto, di conflitto, d’urto.

Pinuccia B.: E questo vale non solo per la legge di Mosè, ma anche per le leggi del giorno d’oggi?

Luigi: Sì; anche per tutte le creature, per tutte le cose, perché nella legge si ricapitola tutta l’opera di Dio.

Pinuccia B.: Ma anche le leggi della Chiesa del Cristianesimo?

Luigi: Tutto quello che può diventare regola. Perché noi possiamo trasformare tutto quello che è spirito in regola, in modo di essere.

Pinuccia B.: Per sentirci la coscienza a posto.

Luigi: Per cui pago le imposte e sono a posto; sono andato a Messa e sono a posto e adesso posso fare quello che voglio. Allora succede questo: che noi facciamo magari la comunione con Dio e poi siamo diavoli, perché condanniamo, critichiamo, ecc. Dov’è la tua comunione col Signore? La comunione col Signore si deve riflettere in comunione con tutte le creature e se non si riflette, se il banco di prova cede, vuol dire che la comunione dentro di te non c’è. Allora vuol dire che tu hai posto la regola al posto del pensiero del Signore.

Eligio: Quindi mai fermarsi alla regola per la regola.

Luigi: Certo.