« L’uomo credette alla
parola che Gesù gli aveva detto e se ne andò». Gv 4 Vs 50 Sesto tema.
Argomenti: Tutto è miracolo ma per vederlo ci vuole fede. Dalla
fede nella presenza fisica, alla fede nella Parola. L'incontro con la Parola
di Dio mette in crisi. Andare a vedere la parola che ci è
stata annunciata. La Parola nella presenza fisica di Gesù. Vedere
la parola realizzata. Più approfondiamo,
la Parola, più questa allarga il suo raggio di azione. La
crisi in cui ci pone la Parola. Il Bambino che dice niente
ma è presente. Collegamento fra il primo e il secondo miracolo.
25/Dicembre/1977
Introduzione:
Eligio: In riferimento all'ultimo
versetto di questo capitolo IV, il v. 54, che dice: “Fu questo il secondo miracolo che
Gesù fece venendo dalla Giudea alla Galilea”, ti volevo chiedere: qual è la funzione del miracolo? Se
i miracoli non sono necessari, perché Gesù li opera? E perché questo è il
secondo miracolo?
Luigi: Il miracolo non serve a chi non
crede ma a chi crede. Non è necessario, ma è segno di sovrabbondanza di
vita. “Troverete
sovrabbondanza di vita”, dice Gesù. In una relazione d’amore, tante cose non sono necessarie, però
si fanno per sovrabbondanza d’amore. L'amore si rivela proprio là dove non c'è
il dovere, non c'è la regola, non c'è la
necessità.
A Cana, alle nozze,
c'erano tre categorie di persone: i commensali, i servitori e i discepoli. Gli
unici che captarono il miracolo furono i discepoli; ma neppure i servi, che
constatarono il cambio dell’acqua in vino, capirono il segno. È perché per
captare il miracolo si richiede la fede.
D’altronde tutto
l'universo è un miracolo, ma noi siamo molto lenti a captarlo perché siamo
molto lenti ad amare Dio. Il passaggio al meraviglioso, al miracolo, richiede
già una relazione d’amore, presuppone la fede. È la fede che mi conduce a
vedere il miracolo, il meraviglioso in tutto, perché il meraviglioso è vedere
non più la cosa, ma la Persona. Là dove vedo la Persona vedo il miracolo. Là
invece dove vedo la cosa, la natura, non lo vedo: vedo la natura e vedo l'eccezione
alla natura; non lo capisco, e allora lo faccio rientrare in un caso
eccezionale, non nel miracolo. Vedo il miracolo se ho già presente la Persona
Divina: ma se ho presente la Persona, ad un certo momento il sorgere del sole,
il nascere dell’erba, lo scorrere dell’acqua, una goccia d’acqua, tutto diventa
miracolo, diventa tutto meraviglioso.
Eligio: Quindi il miracolo è per confermare
coloro che già credono.
Luigi: Sì, infatti Gesù dice: “Affinché abbiate la vita ed una
sovrabbondanza di vita”. Il miracolo è una sovrabbondanza di vita. Questa sovrabbondanza di vita è
più di quello che ci aspettiamo. Quando avviene in noi più di quello che ci
aspettiamo, noi vediamo il miracolo. Noi ci aspettiamo sempre in relazione a
quello che già abbiamo sperimentato: ieri ho sperimentato questo, e se la cosa
oggi si mantiene in questa linea qui, trovo la cosa normale, la conosco, si
ripete così. Abbiamo una ripetizione, non vediamo l’intervento Divino.
Se invece la cosa
mi sorprende, ho una comunicazione della Persona Divina, la quale mi comunica: “Guarda che Io penso a te”. Quando io vedo la cosa normale, mi
sfugge la Persona.
Quindi per vedere
il miracolo, ci vuole la fede. Infatti quando noi chiediamo un miracolo per
credere, il Signore si rifiuta di farlo. Il miracolo presuppone una relazione
di fede e di amore con la Persona, cioè la presenza della Persona.
Con la Presenza
della Persona, ad un certo momento tutto diventa una pioggia di luce, come “un
fuoco d’artificio”, una cosa meravigliosa; anche quello che notavamo come la
cosa più comune ci sorprende, in quanto scopriamo un suo Pensiero personale per
noi. Entriamo perciò in rapporto a tu per tu con Dio. Allora Dio comincia a
fare i miracoli, i segni. Li faceva già prima, ma io non potevo notarli. Come
incomincio a notarli, incomincia a diventare tutta una pioggia di miracoli, di
meraviglie, di sorprese….
Ad esempio, sono
uscito e ho incontrato una persona: se non ho presente il Pensiero di Dio,
penso che è un caso, ma dicendo “caso”, cado nella normalità e mi sfugge
l'elemento personale, e quindi mi sfugge l'elemento d’amore, mi sfugge
l'elemento del pensiero: non avverto che sono stato pensato da -.
Anche un fatto
straordinario, se non c'è questo rapporto di fede e di amore, non è visto come
un miracolo, perché anche lo straordinario, quello che mi colpisce, io lo
attribuisco alla mia ignoranza, al caso, a una cosa che non capisco. Invece il
miracolo è “intervento di Persona” nel mio mondo. Dio interviene in tutto
personalmente, ma se io non ho presente Lui, io non vedo questo suo intervento
personale. Quando invece comincio ad avere attenzione a Lui, Lui incomincia a
sorprendermi.
Prima non mi
sorprendeva, ora comincia a sorprendermi.
Eligio: Qual è la lezione di questo secondo
miracolo rispetto al primo, entrambi fatti a Cana?
Luigi: Il primo miracolo fu il cambiamento
dell’acqua in vino: il passaggio dalla festa del mondo alla crisi, per
l'intervento di Dio.
Il primo incontro
con Gesù ci fa passare dalla festa del nostro mondo alla relazione sua
personale: è Lui che si presenta a me che ho presente altro. Mentre in
un primo momento noi viviamo nelle nostre cose del mondo, con la sua Presenza
tra noi ma senza la nostra a Lui, Lui ci mette in crisi, perché è Lui stesso
che fa mancare a noi il vino, che minaccia la nostra festa, perché è proprio la
sua Presenza tra noi che, per richiamare la nostra attenzione a Lui, ci mette
in crisi.
E questo avviene
anche con questo funzionario. A noi può sembrare che Gesù abbia soddisfatto la
sua preghiera. Ma se noi analizziamo a fondo, vediamo che Gesù ha messo in
crisi questo funzionario. Ed è appunto questo l'argomento di oggi: “L'uomo credette alla Parola che
Gesù gli aveva detto e se ne andò”. Cioè in ogni incontro con Gesù, la prima cosa che Egli fa, è quella di
metterci in crisi, in questo senso: questo funzionario credeva già; pressato dalla morte del figlio che stava morendo, e dalla fede in Gesù,
corre verso Gesù e lo prega di discendere (così come potremmo fare noi una
preghiera ad un medico famoso): “Vieni
a curare mio figlio!”. Ma Gesù, alla preghiera di quel funzionario, oppone un rimprovero: “Voi se non vedete segni e prodigi
non credete”. Quindi in un
primo momento abbiamo questo rimprovero. Gesù non ascolta la preghiera. Ma il
funzionario ritorna ad invocare: “Vieni,
prima che mio figlio muoia!”. Notiamo la fede di questo funzionario che ha fede in Gesù, ma come
potremmo avere noi fede in un medico. E Gesù cosa fa? Gli dice: “Va’, tuo figlio vive!”. E se andando da un medico per nostro
figlio, questi ci rispondesse così invece di venirlo a vedere? Questo
funzionario non credeva in Gesù come Figlio di Dio, ma come uno di cui si
sentiva dire che faceva delle cose meravigliose, dei miracoli, dei segni. E
quindi si rivolge a Lui, come noi potremmo rivolgerci ad un medico famoso in
caso di una malattia grave. Ma se quel medico si rifiutasse di venire, ci
licenziasse come ha fatto Gesù, che diremmo noi? Sostanzialmente al funzionario
è successo così: lui invoca e Gesù lo licenzia.
È qui che succede
la crisi. Perché Gesù licenziando il funzionario: “Va’, tuo figlio vive”, sostanzialmente lo mette nel rischio di trovare il
figlio morto. Gesù voleva sollecitare in lui un passaggio di fede: è qui
che Gesù voleva arrivare. Il funzionario aveva fede in Gesù, ma solo se Gesù
scendeva, cioè aveva fede in una presenza personale, fisica, di Gesù come in un
medico che può venire a curare personalmente un malato: aveva fede nel suo
intervento.
L'incontro con Gesù
e le parole che Gesù gli dice, lo fanno passare ad un’altra fede, cioè lo fanno
passare alla fede nella Parola. Prima aveva fede nella presenza fisica. Ecco la crisi in cui ci mette
Gesù! Quel funzionario andava a cercare l'intervento di una presenza fisica,
straordinaria, eccezionale; invocava la presenza fisica, e sperava che questa
presenza fisica, scendendo a curare suo figlio, lo potesse guarire con la
scienza, con la stregoneria o con un fatto straordinario. Aveva cioè fiducia
nella presenza fisica e ne invocava la discesa. Invece Gesù lo mette in
crisi, proprio portandolo a credere nella Parola: è la Parola quella che salva.
Ma invitandolo a
credere nella Parola, lo costringe a passare dalla sua fede ad un’altra fede:
ed è qui che il funzionario rischia di arrivare a casa e trovare il figlio
morto.
Lo stesso rischio che
correremmo noi se, rivolgendoci ad un professore, questi si rifiutasse di
venire a casa nostra a curarci il figlio, dicendoci soltanto delle parole.
È questo il tema di
meditazione oggi: l'incontro con la Parola di Dio mette in crisi,
perché fa passare da una fede ad un’altra, e di fede in fede, poiché Dio è
Spirito e Verità, ci conduce a vivere in adorazione di Dio. È vero che si
incarna, ma Lui ci sollecita di continuo ad andare oltre la carne.
Facciamo il
raffronto con i pastori che vengono sollecitati a partire; partono dal
loro gregge nella notte e vanno a Betlemme per ubbidire alla Parola che era
stata loro detta. Devono lasciare la loro mentalità, il loro gregge, i
loro interessi, vanno a Betlemme e vedono. Vedono quello che era stato loro
annunciato e trovano una conferma.
Qui Gesù dice al
funzionario: “Va’!”; ma dove? A fare che cosa? È la stessa
parola che gli angeli dicono ai pastori: “Andate a Betlemme e troverete”. Essi credono alla parola (e qui abbiamo
la parola degli Angeli) e dicono:
“Andiamo a vedere il Verbo che ci è stato annunciato”. Qui, per il funzionario, il Verbo è questo: “Tuo figlio vive!”.
Quel funzionario
invocava la vita: la Parola di Dio gli dà la vita, affinché
egli trovi la vita nella Parola di Dio.
Già abbiamo
meditato che basta pregare Dio e la preghiera è immediatamente soddisfatta. Il
difficile è restare in quello che la preghiera ci dà, perché la sostanza della
preghiera è la comunicazione della Presenza di Dio. Dio ci presenta nella
preghiera Se stesso. La preghiera è elevazione della nostra mente a Dio, e Lui
ci comunica Se stesso. Noi magari eleviamo la nostra mente a Dio per cercare i
suoi beni, come questo funzionario che va a Gesù per cercare, sotto un certo
aspetto, di strumentalizzarlo, di farlo scendere. Ma Gesù invece lo fa salire.
Il funzionario lo invocava per qualche cosa di suo e Gesù invece gli rivela
qualche cosa di Suo. Così è nella preghiera: noi magari andiamo al Signore per
i nostri problemi e Dio ci porta nel suo problema: è lì che soddisfa la
preghiera vera: ha portato quel funzionario nella vita. La parola di Dio già ci
sollecita ad andare, ma ad andare dove? “và”: a constatare quello che ti dico:
“Io ti dico: tuo figlio vive”. Gli angeli dicono: “Andate a Betlemme, troverete
un bambino avvolto in fasce e posto in una mangiatoia”; loro vanno e trovano.
Un bambino messo nella mangiatoia vuol dire un bambino qualunque, non era un
segno eccezionale. Il segno eccezionale era tutta la gloria di Dio che parlava
di questo bambino, per cui loro andando, videro. “Andiamo a vedere il Verbo che
ci è stato annunciato”. Andarono e videro la Parola. Per cui tutta la nostra
vita è un andare a vedere la Parola che ci è stata annunciata, cioè a vedere la
Realtà. Per questo Gesù dice: “Và, tuo figlio vive”. Ora, di fronte a
questa sua parola, posso dire: “Mi ha deluso! Io speravo che Lui scendesse!
Invece non è sceso! Me ne vado per i fatti miei: non credo alla parola. Allora
non vedrò mai la Parola che vive. La Parola mi è arrivata, mai io non la vedrò
perché non sono andato. La condizione per vedere è andare. Dio già ci
annuncia la realtà alla quale Lui mi chiama, però bisogna che noi crediamo,
alla sua parola, per arrivare a vedere questa parola. Per vedere però bisogna
partire sempre da un nostro mondo, come questo funzionario che aveva un suo
mondo: cioè abbiamo sempre questo passaggio da compiere. Per cui di fronte alla
parola di Dio, c’è sempre una situazione di crisi, di rischio, perché devo
superare il mio mondo, la mia mentalità, le mie ragioni, la mia fede. Per
questo funzionario questo suo mondo era credere in Gesù, ma come presenza
fisica che opera dei miracoli. Gesù si rifiuta di operare con
questa presenza fisica. Mentre il primo miracolo è questo intervento di
Gesù, il secondo è questo non far vedere la presenza. Questo funzionario è
stato portato da una fede ad un’altra fede, perché credendo è poi arrivato a
credere (credette lui e la sua famiglia). Ma prima credeva in Gesù in un certo
modo, adesso crede in Gesù in un ben altro modo: cioè crede che è la parola
che opera, non la presenza fisica. Ecco l’incarnazione: il Verbo di Dio si
fa carne e Gesù dice: “La carne non giova a niente”. Cioè non è la presenza
fisica che giova, ma è la parola in questa presenza fisica. Il funzionario
andava a cercare la presenza fisica, ma da questa presenza fisica ad un certo
momento nasce una parola che lo fa aggrappare solo più ad essa. Debbo solo più
credere ad essa; ma questa parola su che cosa si sostiene? Non c’è più la
presenza fisica perché la presenza fisica si rifiuta di venire con me. Non
viene come presenza fisica, è solo più lo Spirito: la parola ormai è solo più
agganciata allo Spirito, al Dio che parla. È Dio che fa parlare gli angeli e sospinge
i pastori ad andare a vedere. I pastori vedono un bambino qualunque, ma in
Lui c’è la parola: è la parola di Dio che si è incarnata e che rivela la
presenza. È questa parola qui che bisogna cogliere e seguire. È quella che
ad un certo momento ci libera perché ci porta a quello che è lo Spirito. Ecco
tutta la funzione del Verbo di Dio che si fa carne. Dio si fa carne (ecco la
sua presenza fisica tra noi) ma ad un certo momento scompare la sua presenza
fisica e ci fa aggrappare alla sua parola. È questa parola qui però che ad un
certo momento diventa universale. Lui è presente in tutto. prima Lui era
presente soltanto in un corpo (per noi) per cui io per ottenere una guarigione,
dovevo invocare la presenza di quel corpo lì. Dopo che Lui ha parlato non ho
più bisogno di quel corpo lì, ma trovo Lui in tutto, che parla. Ed è la sua
parola che mi dà vita, è la sua presenza spirituale, poiché Dio è Spirito. “Le
mie parole sono Spirito e vita, la carne non giova a niente”. Però la carne è
stata il mezzo per la mia debolezza, per testimoniare la parola. Allora
incontrare in Cristo vuol dire incontrare la parola, incontrare la parola vuol
dire fare questo passaggio: da una fede all’altra fino a giungere alla presenza
spirituale, alla presenza di Dio in tutto, che parla in tutto; quindi non più
legato ad una presenza fisica, ma che parla continuamente con noi, dentro e
fuori di noi in tutto.
Eligio: In ogni situazione, in ogni ambiente o
fatto della nostra vita, questa parola ci sollecita a passare da una realtà ad un’altra?
Luigi: Quando l’incontro, sempre, per cui non
è il miracolo che ci sollecita ma la parola. Infatti il miracolo, il
funzionario lo vede dopo. Quindi Gesù lo mise in crisi perché non gli fece il
miracolo ma gli disse una parola. Gli avrebbe fatto il miracolo se gli avesse
detto: “Io scendo con te”. Abbiamo l’altro episodio del centurione che chiede
il miracolo. A lui Gesù risponde: “Io verrò”. Ma il centurione dice: “Non
venire, basta una tua parola”. È meraviglioso. Quando crediamo alla parola, Lui
non fa difficoltà a confermare questa fede anche con la sua presenza fisica. È
ad un certo momento, tutto il mondo diventa parola: se noi crediamo in Lui, se
passiamo alla sua parola. Perché è la parola che è trasformante, non la sua
presenza fisica. È la parola che trasforma la presenza fisica. La parola mi
dice: “Questo è il mio corpo”, è la parola che trasforma il pane. Non è il pane
che mi fa capire la parola. Ma è la parola che mi trasforma il pane in presenza
fisica. Allora se io credo alla parola tutto mi diventa parola, anche la
presenza fisica, ma per virtù della parola. Se invece della parola mi
aggrappo alla presenza fisica e aspetto di vedere la carne, cioè che ad un
certo momento il pane diventi carne, non lo vedrò mai. Perché il miracolo
Lui non me lo fa nel segno, se chiedo un segno, ma per virtù della parola, se
credo in essa. Se mi desse un segno come io lo chiedo mi confermerebbe
nell’errore. Ora che Lui scenda sul mio piano perché sono debole e
s’incarni e parli nella mia povertà, si, ma parlando mi impegna ai passaggi. Il
suo parlare è un dialogare con la mia miseria, ma come parla con la mia miseria
mi fa già fare un passaggio, mi mette in crisi. Le parole di Dio sono sempre
delle proposte: come mi arriva la sua parola, o io credo o mi rifiuto di
credere; ma se mi rifiuto di credere, non arriverò mai a vedere la parola.
Però, per arrivare a vedere la parola devo accettare il rischio, come questo
funzionario il quale, siccome crede alla presenza fisica, partendo,
praticamente se ne va via dal medico che potrebbe curare suo figlio. E il
medico l’ha licenziato, non ha ascoltato, apparentemente la sua preghiera. A
noi sembra facile questo distacco, perché sappiamo che è Dio Colui che gli ha
detto: “Và, tuo figlio vive”. Ma bisogna tenere presente che
quel funzionario non vedeva il Figlio di Dio in Gesù, ma vedeva il medico,
l’uomo che aveva la possibilità di guarire suo figlio purché fosse sceso a casa
sua. Per lui partire, credere alla parola che lo licenzia, vuol dire
arrivare a casa e vedersi il figlio morto, ecco il rischio. Pure credette
alla parola. Qui abbiamo il passaggio; quindi “vide la parola”, ecco la nuova
forma del credere. Andò a vedere la parola realizzata. Gesù lo mandò a
vedere la sua Parola, come gli angeli mandarono i pastori a vedere il Verbo
che loro annunciavano. Ecco la vera fede. La fede è vera soltanto se và a
vedere. Ma se la fede si accontenta di credere e non và a
vedere non è fede questa. Questo funzionario poteva starsene lì a Cana e dire:
“Io credo”; e non andare a vedere. Ma se noi crediamo veramente andiamo a
vedere come i pastori. C’è però sempre la difficoltà, il rischio, perché per
andare a vedere bisogna passare attraverso questa crisi (per i pastori fu
quella di lasciare il gregge per andare a vedere il Verbo; infatti dicono
espressamente: “Andiamo a vedere il Verbo che ci è stato annunciato”). Subire
la crisi vuol dire uscire dai nostri schemi o valutazioni. Per questo
funzionario, uscire, fu il superare la convinzione che Gesù con la sua presenza
fisica avrebbe potuto guarire suo figlio, se fosse sceso a curarlo. Infatti lui
invoca che venga a curarlo, come noi possiamo invocare il medico, le medicine,
le erbe. È qui che Gesù si rifiuta, ma rifiutandosi gli fa un dono
meraviglioso che gli fa scoprire tutto un altro mondo. “Basta una tua parola”.
Quando noi scopriamo che è la parola che opera e non la presenza fisica, ad un
certo momento la parola la possiamo trovare ovunque perché Dio sta parlando
ovunque. Ecco allora che comincia il meraviglioso, il miracolo non è più
legato alla presenza fisica.
Eligio: Come facciamo noi che siamo pressati da
presenze fisiche che offuscano il pensiero e la penetrazione dei significati?
Come possiamo fare noi per scoprire la parola in questo mondo di presenze fisiche
soprattutto nelle cose abituali e banali?
Luigi: Bisogna uscire dalla banalità. È
soltanto la parola di Dio che ci fa uscire dalla nostra banalità. Quindi, più
noi ci mettiamo ad ascoltare la parola stessa di Dio, la parola che il Cristo
stesso ha detto, più essa si fa sentire in noi e diventa universale. Si fa
sentire nei segni e quindi ci rivela la sua presenza nei segni. Quanto più ci
fermiamo ad approfondire le sue parole, la sua vita, tanto più esse si
sganciano da quel tempo e da quel luogo in cui ha parlato, si allargano,
diventano universali e ad un certo momento, parlano in tutto anche oggi. Per
cui l’oggi del Cristo è uguale a quel oggi di duemila anni fa. non ci sono più
distanze. La parola di Dio di allora è valida per le nostre automobili, per i
nostri traffici. Però questo allargarsi del raggio di azione della parola di
Dio è in relazione all’approfondimento della parola di Dio. Più noi l’approfondiamo, più questa allarga il suo raggio di azione.
Quindi la profondità o l’altezza diventa espansione nel nostro mondo, fino ad
includere i duemila anni di distanza; diventa attuale, attualità. Per esempio
noi possiamo fare questa lettura delle scene del funzionario e fermarci
brevemente traendone una lezione di fiducia e basta. E allora la limitiamo a
quel tempo di allora. Tutt’al più possiamo trarne anche una lezione di morale,
concludendo che anche noi dobbiamo avere fede, però quanta distanza rimane tra
l’allora e la nostra situazione d’oggi. Posso non avere questo bisogno del
funzionario perché non ho figli malati. Ma se noi approfondiamo, scopriamo
che la profondità allarga il raggio di quella scena e ad un certo momento
include tutte le problematiche. La parola ci fa passare da una fede, per
cui io credo per una presenza fisica, ad una fede per cui io credo per la
parola che mi giunge, per lo Spirito, per la parola che parla. Per cui mi
afferro solo alla sua parola in cui c’è la sua presenza spirituale. Non ho più
bisogno della sua presenza fisica. Credo nella parola e questo mi cambia. Quando
la parola mi dice: “Non preoccuparti del mangiare o del vestire, ma cerca prima
di tutto il regno di Dio” cosa vuol dire credere a questa parola? Noi siamo
infatti legati tutti ad una presenza fisica ben diversa che ci impegna a
correre per mangiare e vestirci, perché altrimenti mi metto nei guai. Se io
fossi libero di agganciarmi alla parola pura (non più presenza fisica) sarei
totalmente libero. “Tutto il resto vi sarà dato in soprappiù” e allora non ci
penso più per niente. A Betlemme, Gesù è la nascita pura; verginale: è la
parola pura che nasce nel silenzio di tutto il resto, perché questa Madre, la
Vergine, è il silenzio di tutto. È nel silenzio di tutto che noi scopriamo
il tutto. la nascita di Betlemme è il preludio, segno di quella vera
nascita del Verbo, del Figlio di Dio, dal Padre che ognuno di noi è chiamato a
scoprire nel silenzio del tutto. qui abbiamo il passaggio, che è sempre effetto
della parola, dalla presenza fisica alla parola che è Verbo di Dio. è sempre la
parola che ci muove, che ci fa fare i passaggi. Qui abbiamo il passaggio da una
fede che crede nella presenza fisica, alla fede che crede nella Parola che
parla. Ma avremo un passaggio successivo, ed è il passaggio della parola che
parla, alla presenza senza più parola; cioè alla Parola fatta Persona,
divenuta presenza, non più presenza fisica, ma presenza spirituale, quella
che nasce dal Padre e che nasce dal silenzio del tutto e che presuppone quella
Madre, la Vergine, che fa conto solo su Dio. Per cui siamo chiamati a far
conto solo sul Padre e in questo silenzio del tutto in cui nemmeno più Dio
parla parole come segni, come parabole. Colui che è presente dice: “Eccomi” non
lo dice più a parole ma si fa vedere, si fa toccare con mano, è una presenza
spirituale. Questa nascita qui, con questa caratteristica di questa Madre,
Vergine, cioè questo bambino (è bambino, quindi non parla) è presenza pura:
sono Io. è la sua presenza tra noi. quella presenza che siamo chiamati a
scoprire. Si annuncia. Poi parlerà, perché deve farci fare tutti questi
passaggi (come in questa scena in cui parla). Ma è alla presenza pura di Dio
che siamo chiamati. È fintanto che non arriviamo a questa presenza pura di Dio,
noi siamo sempre in questi rischi della parola che parla e di queste tensioni
che dobbiamo superare perché ci sono delle crisi; perché io credo in questo è
la parola mi propone altro. Invece dobbiamo tendere a questa presenza in cui “è
solo Lui”. la sua parola è la presenza “presenza del Verbo” che non usa più
parole per comunicarsi. Si presenta. Es. una persona mi può scrivere da
lontano, mi può suonare il campanello, mi apre la porta e non mi dice niente.
Ora, lo scritto da lontano, il campanello è tutto in funzione di quando apre la
porta e si presenta. E non dice niente. Ma il fatto meraviglioso, il miracolo è
questo: apre la porta e non dice niente, ma colui che ti scriveva da lontano,
colui che ti aveva suonato il campanello adesso è lì. Il disegno di Natale sta
lì: è l’annuncio del Bambino che dice niente ma è presente: “Sono
Io”. Però c’è tutto l’universo che lo annuncia che dice: “È Lui”. Per cui come
dimentichiamo questo e ci voltiamo indietro, ritroviamo tutto l'universo che ci
ripete: “È Lui!”. Lui non dice niente, però tutto l'universo ci ammonisce che è
Lui. E tutto il nostro bisogno, la nostra fame, tutte le nostre problematiche
ci dicono: è Lui. E Lui però non dice niente. Però quando parlerà dirà: “Voi
stessi dite che Io sono”. Ecco la finezza del parlare di Dio.
Rina: Ma arrivare lì...
Luigi: Siamo chiamati tutti ad arrivare a questa
presenza.
Rina: Ma bisogna sacrificare tutte le altre
presenze.
Luigi: Si, ma questo noi lo vediamo come un
sacrificio, invece è una bellezza; ad esempio: immaginarci la gioia di
incontrare quella persona che si è annunciata con lo scritto, col campanello. È
scontato che noi non siamo capaci, ma è Lui che si rivela, è Lui che ci
conduce. La presenza non è opera nostra; noi possiamo desiderare, sognare una
presenza, invocarla, ma se Colui che noi attendiamo non si presenta, non basta
il nostro desiderio. Esempio del telefono: noi possiamo desiderare che suoni il
telefono, che una persona ci chiami, ma se quella persona non ci chiama, il
telefono non squilla. Quindi bisogna sempre distinguere tra la fame e il dono
del pane. La presenza è sempre un dono dell'altro, non è un effetto dei miei
sacrifici. Dessi anche il mio corpo alle fiamme, con tutti i miei sacrifici
io non ottengo una presenza; e con tutte le mie parole e preghiere, io non
ottengo una Parola di Dio. La Parola di Dio è dono di Dio e la Presenza
dell'Altro è dono della Persona. È la Persona che mi fa dono della sua
Presenza. Noi siamo immersi in questo dono e non lo avvertiamo (ad es; è come
se suonasse il campanello e io non lo sentissi perché stò attento ai dischi).
Dio allora scende nei nostri rumori e poco per volta ci fa fare questi
passaggi: sentendo tanti rumori cominciamo a sentire la sofferenza. Perché è la
molteplicità di interessi e di voci che ci crea il vuoto. Il vuoto non è mai
assenza. Il vuoto è troppa presenza, molteplicità di presenze. La nostra
felicità è una presenza sola. Perché nella molteplicità noi abbiamo una grande
dispersione (di facoltà, di interessi, ecc.), per cui non capiamo più e abbiamo
il caos. Invece la vita, la bellezza, sta nell'unità di Uno che parla.
Eligio: Ti ringraziamo...
Luigi: Non ringraziare me ma ringrazia Dio. Se
noi comprendiamo queste cose, è lo Spirito che parla in noi. Ciò che udiamo
sono segni. Chi ci parla ci ammonisce, dice sant’Agostino. Ma ciò che dice è
solo rumore se il Maestro interiore non parlasse in noi e noi non facessimo
attenzione a questo Maestro.
Eligio: Proposta di scrivere le conversazioni.
Luigi: Ciò che ci aiuta a restare col Pensiero
fermo è scrivere ciò che meditiamo (per questo sant’Agostino consigliava di
scrivere). Così quando preghiamo ad esempio il Padre nostro e la nostra
fantasia ci porta via, appena ce ne accorgiamo, ritorniamo, ci ricolleghiamo.
Questa labilità nel pensiero ci fa anche scoprire la nostra povertà e
insufficienza. Ci fa capire l'importanza di imparare a fermarci, di imparare a
pensare, perché la vita sta soprattutto nel pensiero, perché Dio è Spirito. La
grande scoperta a cui dobbiamo arrivare è la scoperta per pensiero, del Verbo
di Dio non più a parole, proprio perché è spirituale.
Pinuccia: Non riesco a vedere il collegamento tra
il primo miracolo e il secondo.
Luigi: Giovanni nel suo Vangelo ci parla di:
· primo,
secondo, terzo giorno;
· così ci parla di primo, secondo
miracolo:
sono tappe
necessarie dell’opera di Dio nell’anima;
· nel primo miracolo Gesù mette in crisi i nostri valori con
la sua Presenza;
· nel secondo miracolo ci porta a toccare l'efficacia, la
realtà della Sua Parola.
· Nel primo non dice: “Va
a vedere”, di fatti solo i
discepoli hanno visto il miracolo.
· Nel secondo invece dice: “Va
a vedere la realizzazione della Parola”.
· Nel primo ci fa capire che incontrando Lui ci fa passare,
attraverso la crisi, dalla non vita alla vita, all’orientamento (cambiamento
dell’acqua in vino).
· Nel secondo incontro con Gesù, ci fa passare dal caos in cui viviamo
senza senso, schiavi del mondo, all’orientamento: questo orientamento è una
proposta.
· Il secondo segno è “andare a vedere”;
· Il primo è la trasformazione dell’acqua in vino, cioè
trasformazione della non vita in vita, quindi passaggio.
· Ma la vita è “andare a vedere” (secondo
segno), dedicarsi a -, sulla Parola di Dio. E questo è
un passaggio successivo.
Qui opera per segni.
· nel primo segno non dice di andare a vedere, dice solo che incontrare la
Parola è passare alla vita, è acquisire un significato, un senso; è passare da
un non senso al senso. Tutti i passaggi sono opera di grazia. Se Dio tace noi
decadiamo, non possiamo nemmeno stare in quello che già abbiamo udito e visto:
è la morte. Se Dio non parla il fuoco consuma, la lampada si spegne e tutto
muore. Se Dio parla ci fa passare da:
· il primo passaggio è dalla non vita alla vita.
Cos’è la non vita?
Il caos, la confusione, la vita disordinata, cioè la vita asservita al mondo
esterno, per cui noi non viviamo ma reagiamo soltanto a degli stimoli che ci
arrivano dall’esterno:
· se mi arriva uno stimolo che mi brucia
reagisco in un modo;
· se mi arriva una carezza, reagisco in un
altro modo.
Ma questo non è
vivere, è solo tutta una reazione al mondo esterno.
Invece
incontrando la Parola di Dio, questa incomincia dentro di me a provocarmi un
orientamento e mi inserisce nella vita, per cui incomincio ad avere in me, non
più fuori di me, il motivo di vita; allora anche se il mondo fuori di me tace,
non m’importa più: taccia. La Parola della vita ormai ce l'ho dentro; è passata
dal fuori al dentro.
È il primo
passaggio di Sant’Agostino: dall’esterno all’interno.
· È il primo segno dell’incontro con la Parola di Dio, che
presuppone questa crisi, se no ci sediamo all’ombra della morte.
· Il secondo segno è andare a vedere la Parola.
Nell’esterno non so
ancora se c'è qualcosa da vedere.
Nell’interno mi è
proposto: guarda che c'è qualcosa da vedere; non lo vedo, ma ho il risveglio.
· Nel primo segno, la Parola che arriva a me mi propone, non è che mi
faccia già vedere; ci sono sempre due tempi per la Parola:
· la Parola arriva: primo tempo;
· posso aderire o no; questo funzionario
poteva andare o non andare: secondo tempo.
Ma andando subisce
un rischio, perché andare vuol
dire abbandonare quell’unica fede che lui ha in quell’uomo lì; vuol dire
distaccarsi da quell’uomo, perché Gesù lo manda via da sé. “Va’”, gli dice. Per questo diciamo che non ha ascoltato la
sua preghiera: eppure l'ha ascoltata.
Cina: Mi accorgo che ho tra le mani un tesoro
in questa Parola e ho il timore di non cogliere tutta quella guida che mi può
dare.
Luigi: La Parola ci dà timore e tremore: ma
quando uno scopre un tesoro, sa cosa deve fare. Ogni tesoro è sempre in un
campo, e allora và e vende tutto quello che ha per comprare quel campo. La
Parola che abbiamo tra le mani è una conferma del Natale: Dio tra noi.
Più cerchiamo di ascoltarla e più questa ci rende disponibili e ci sveglia, ci
dà la possibilità di ricordarla di più. Più uno si ferma su di essa e più
questa rimane. Ogni Parola di Dio che giunge a noi ci propone un passaggio. Se
veniamo qui vuol dire la Parola è già arrivata e ci ha proposto un passaggio. E
più noi ci fermiamo ad ascoltarla e più son passaggi che ci fa fare. È
un’ascensione. E meno ci fermiamo, meno ci fermeremmo. Entrare in questo mondo
che ci propone la Parola, noi crediamo sia una rinuncia perché ci costa il
lasciare ma è una vita enorme quella che si trova, un sovrabbondanza di vita,
un liberazione. È il lasciare ciò in cui crediamo che costituisce la crisi:
quel funzionario è legato alla presenza fisica di Gesù, è afferrato lì; e Gesù
gli dice di allontanarsi dalla sua presenza fisica e di ubbidire alla sua
Parola: è lì la prova. Perché fintanto che io sono con lui mi può dare una
mano; se scende poi mi può curare il figlio; invece Lui no, mi allontana
proprio da questa fiducia che ho in Lui. mi allontana cioè dalla presenza
fisica: ecco il passaggio, la crisi. Gesù lo introduce però in un mondo
migliore: il funzionario invocava una cosa e Lui gli dà in sovrabbondanza ben
altro facendogli fare questo passaggio. Il funzionario voleva che il Cristo
scendesse e il Cristo invece gli propone di salire in un mondo più alto: ecco
la Parola di Dio che giunge a noi. ecco, c’è questo rischio, perché siamo
afferrati a certe cose, ad un certo mondo, vediamo solo ciò che dobbiamo
lasciare e non ci accorgiamo di ciò che ci viene offerto; non vediamo il
positivo che è un dono immensamente maggiore. Eppure costringiamo il Cristo a
fare tanti di quei sacrifici per proporci un passaggio maggiore. È come se io
fossi legato alle mille lire e trovassi uno che mi offre un milione. Sono tanto
legato alle mille lire che non vedo il milione che l’altro mi offre. Succede
questo quando Cristo mi propone valori maggiori. Ma siccome la Parola di Dio mi
propone una cosa che io ancora non vedo (se me la propone è perché ancora non
la vedo) io mi afferro a quello che vedo: vedo solo che debbo lasciare questo e
non vedo quell’altro. Facendo invece il passaggio trovo una cosa meravigliosa,
stupenda, una libertà enorme; è toccare con mano: quindi ho visto e ho creduto,
ma solo ora. Se quel funzionario avesse chiesto di vedere prima il miracolo per
poter credere se lo sarebbe sognato: non avrebbe mai visto il figlio guarito.
Invece ha creduto, è andato a vedere e ha visto. Ha visto il “Verbo”. Anche i
pastori hanno visto “il Verbo” che era stato loro annunciato, ma anch’essi
hanno dovuto subire il rischio di lasciare il loro gregge per partire e andare
a vedere. Ecco, la vera fede sta lì: in quel partire per andare a vedere. Cioè
il credere alla Parola che è sempre un superamento di quello che è presenza
fisica, o di quella fede che noi abbiamo. Sono tanti passaggi, gradini. Anche
le conoscenze stesse vanno superate: ieri ho capito questo, oggi la Parola di
Dio mi impegna, mi propone di fare un passaggio ulteriore, più a fondo, fino ad
arrivare a quel silenzio di tutto in cui si scopre Lui che mi dice: “Eccomi”, e
non me lo dice più a parole ma presentandosi. Ecco, allora abbiamo lì la
scoperta eterna, perché non è più affidata ad un mezzo ma è Lui: “Sono Io”.
Pinuccia: Questo credere alla Parola è fidarsi di
Colui che parla, ma bisogna sempre avere presente la persona.
Luigi: È sempre la presenza divina che mi fa
passare e mi fa capire la Parola. È Dio che parla in tutto. se non credo in
Dio, neppure accetto la Parola che arriva. Mi posso fidare solo nella misura in
cui ho presente Lui. posso anche ingannarmi nell’interpretare la Parola, ma se
mi fido di Lui, Lui mi corregge. È Dio che dà valore alle parole: la Parola poi
mi trasforma la materia.
Se ho presente Lui,
Lui mi corregge, perché è Lui che opera tutte le nostre trasformazioni nei
nostri difetti di mentalità. San Francesco: poco per volta Dio gli fa capire
che non è in senso materiale che lui deve riparare la Chiesa ma in un altro
senso.
Pinuccia: Se vogliamo credere subito, qui e ora,
la Parola ora udita, che dobbiamo fare?
Luigi: La Parola risuona in ciascuno di noi,
in modo personale: anche la stessa Parola ha un’angolatura diversa per ognuno,
poiché ognuno ha un suo mondo da inserire e da superare.
Pinuccia: Ma sono tante le parole che dobbiamo
accettare.
Luigi: Ma a questo ci pensa il Signore. Magari
abbiamo sentito mille parole e fra tutte una sola ci colpisce. È Dio che parla
personalmente. L’universo è tutta Parola, e quante volte noi passiamo davanti a
tutto l’universo e non udiamo nulla; ma ad un certo momento ne cogliamo una.
Colta quell’una, poi Dio me ne fa giungere un’altra, perché Dio gradua il suo
parlare. È lì il parlare personale di Dio: Dio gradua per ognuno di noi e ci fa
arrivare solamente quella Parola che attualmente siamo in grado di intendere e
quindi di passare a vedere. È quando avremo fatto il passaggio con quella
parola, allora già il nostro animo è preparato ad accogliere una Parola
successiva. Noi possiamo però sempre interrompere l’audizione per cui: fino
adesso ho creduto, ora questa non me la sento; la proposta mi è arrivata ma non
ho fatto il passaggio successivo. E allora uno si ferma e fermandosi incomincia
però a decadere, non può stare e comincia di nuovo a perdere. Ma ogni parola
che giunge a noi ci propone qualche cosa. Dio fa giungere a noi le parole
graduate, misurate, personalmente per ognuno di noi. per cui magari dobbiamo
leggere cinque o sei capitoli del Vangelo perché ci colpisca una Parola che ci
interessi in modo particolare, magari un altro giorno, appena aperto il
Vangelo, la troviamo subito. Magari l’avevo già letta mille volte. È Dio che me
la fa giungere, è Dio che mi interessa. Ma se mi interessa, vuol dire che nel
mio animo si è già preparato qualche cosa per cui quella parola lì sta entrando
in sintonia con la mia anima. Mi sta interessando. È Dio che ci parla, per cui
in tutte le cose noi rispondiamo a Lui, solo a Lui, personalmente a Lui. per
cui il Signore ci dirà “In quel tal giorno Io ti ho fatto sentire la tale
parola, non così tra tante, perché quella parola ti aveva capito in modo
particolare”. E noi non potremo dire: “No, non è vero perché ce l’abbiamo
scritta dentro, perché ci aveva proprio interessato e dentro di noi diremo: “Si
è vero”. Per cui Dio le parole le gradua. Arrivano tutte, ma arrivano una per
volta e sono misurate per noi. Stasera abbiamo sentito diverse parole, ma
ognuno certamente ha sentito qualcosa di diverso, perché Dio parla
personalmente con noi, fa scuola alla massa. D'altronde è logico, perché
l'intelligenza infinita è perfettissima nel grande e nel piccolo. Ad esempio la
nevicata, in massa ha un suo linguaggio, ma un semplice fiocco di neve che dura
solo un istante è perfettissimo: l'infinito, è perfetto nel grande e perfetto
nel piccolo e nelle cose che noi crediamo più insignificanti. Anzi il fiocco di
neve forse è più significativo in sé, e quindi più carico di significato, che
non tutta la massa di neve. La bellezza di Dio sta lì: che Dio è infinito in
tutto; allora se è infinito in tutto è infinito per ogni singola persona, cioè
tratta personalmente ogni singola persona. Dio non tratta con l'umanità, egli
tratta con l'uomo, ogni singolo uomo. L'infinito è infinito in ogni suo punto,
quindi è tutto presente in ogni punto. È lì la bellezza, che è poi significata
nell'Eucarestia stessa: anche la minima parte contiene il tutto. Ecco: un
frammento contiene tutto l'universo. Basta accendere la radio ed essa coglie le
onde che arrivano da tutto l'universo, sono in questo punto qui. Questo vuol
dire che in un punto c'è tutto l'universo. È sufficiente che ci sia un
rivelatore, che non è collegato con niente, eppure c'è tutto l'universo: basta
diventar capaci di ascoltare: ma quello è un segno. Vuol dire che l'Infinito è
presente in ogni suo punto. In ogni punto c'è tutto l'Infinito: quindi non c'è
bisogno di allargarci, ma c'è bisogno di fermarci. L'Infinito arriva a noi, è
presente in tutto, ovunque noi andiamo.