« Ma Gesù stesso
aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria. Quando
però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto
tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch'essi infatti
erano andati alla festa.
Titolo: Imparare a
restare in preghiera.
Argomenti: La smentita e la
conferma di Dio. Cercare l’eterno in ciò che passa. La fede è aderire alla parola che ci è arrivata. Desiderio e preghiera. La difficoltà di restare
in preghiera. Le tentazioni sono occasioni.
23/Ottobre/1977
Introduzione:
Eligio: Mi chiedevo come mai Gesù va in Galilea
per la quale non ha stima.
Luigi: Ma la Galilea siamo ognuno di noi per significarci
che Lui viene a noi anche se non ha stima di noi, anche se sa che noi lo
uccideremo. I galilei lo accolsero, ma lo accolsero per le
meraviglie che avevano visto fare a Gerusalemme o che avevano visto fare in
Galilea. Cioè non lo accolsero per le parole che diceva Gesù. Gesù stesso
rispondendo alla preghiera del funzionario dirà: “Voi se non vedete prodigi e
miracoli non credete”; li rimprovera perché l’accoglienza che gli avevano fatto
era in funzione degli eventi straordinari che avevano visto, per i miracoli.
Non l’avevano accolto perché erano attratti dal Padre, perché avevano il
desiderio del Padre, perché non avevano colto lo spirito del Padre. Infatti
mette a tacere i demoni, coloro che gli dicevano: “Noi sappiamo chi tu sei”.
Gesù chiede di essere conosciuto, vuole essere conosciuto. Se loro gli dicono
di conoscerlo per altri motivi, Lui li smentisce. Fintanto che noi non abbiamo
a cuore la conoscenza di Dio, siamo smentiti da Dio. E questo per sollecitarci
a cercare la vera conoscenza. Perché quante volte noi crediamo di conoscere o
una lezione, o una parola Dio, di averla capita e poi siamo smentiti dai fatti!
È Dio che opera per sollecitarci perché non abbiamo ancora capito. Quante volte
crediamo di, per tornare all’argomento di oggi, pregare. È la lezione del
vangelo di oggi: “Signore io ti ringrazio perché non sono come quel pubblicano”
e crediamo di pregare. Lui credeva di pregare ed è smentito da Dio. Il bambino
stesso crede di sapere, di capire tutto; ed abbiamo una smentita continua di
tutte le conoscenze che abbiamo. E questo ci impegna ad avanzare, ci mette in
crisi e ci costringe a proseguire. E dobbiamo aspettarci la smentita! Saremo
smentiti fintanto che non arriveremo alla vera conoscenza di Dio. Quando saremo
arrivati alla vera conoscenza di Dio, all’eternità, a cogliere quell’aspetto
eterno, allora lì troveremo la conferma, perché tutte le cose che arrivano ci
confermano. Quando il Signore dice al servo che ha fatto fruttificare il
talento: “Vieni servo buono e fedele ed entra nella gioia del tuo Signore”, è
la conferma. Per dire che tutte le cose, quando noi cogliamo l’eterno, ci
confermano che noi abbiamo veramente trovato l’eterno, per cui non siamo più
smentiti. Ma sia la smentita che la conferma, sono opera di Dio, è quindi è
opera buona. È opera buona la smentita, ed è opera buona la conferma. La
smentita è buona perché ci dire: “Guarda che non hai ancora capito! Continua a
camminare! Superati! Non fermarti a quelle conoscenze che non sono eterne, che
non sono assolute e che Io tendo ad annullare per dirti che non sei ancora
arrivato alla vera conoscenza”.
Eligio: Questo sarebbe il ritorno in Galilea.
Luigi: Si. Il Signore ritorna in Galilea
sapendo che noi non siamo capaci ad accoglierlo. Torna nel suo paese. E qual è
il suo paese? È la nostra anima. “Torna nella sua casa e i suoi non lo
accolsero”. Forse che Lui non lo sapeva che non lo avrebbero accolto? Certo che
lo sapeva! Ora, la sua venuta è la condizione assolutamente necessaria per dare
a noi la possibilità di conoscerlo. Noi possiamo non conoscerlo; ma se Lui
viene quando ancora noi non lo conosciamo, per cui possiamo rifiutarlo, noi
certamente non potremo assolutamente vederlo. Per cui Lui viene prima che noi
lo conosciamo per formare in noi la capacità di intenderlo, di capirlo. Perché
chi dà a noi la capacità di intenderlo è Lui stesso. Quindi la sua venuta è
un’offerta ad essere rifiutato perché Lui si dà nelle mani di chi ancora non
può capire.
Eligio: “Perché nessuno è profeta in patria”
vuol dire che Gesù non è profeta in casa sua, nella nostra anima.
Luigi: Lui è il vero profeta infatti dice di
sé: “Ecco qui c’è uno più grande di Giona, più grande di Salomone!”, infatti
Lui è il Verbo, è il vero Maestro: “Non date a nessuno il nome di maestro, il
nome di Padre”; per cui Lui è il vero Padre, Lui è il vero Maestro, però non è
detto che noi lo riconosciamo per quello. Lui venendo a casa sua non è accolto,
viene rifiutato da coloro che sono di casa sua; cioè per coloro che credono di
essere giusti, che credono di appartenere a Dio, di essere suo popolo, vantano
una pretesa che li esclude dalla conoscenza
Eligio: In sostanza coloro che sono di casa sua
non sono di casa sua.
Luigi: Si, è sempre lo stesso concetto: coloro
che credono di vedere sono ciechi, coloro che si credono giusti sono peccatori;
è la lezione del fariseo e del pubblicano. Il fariseo credeva di essere giusto,
di avere dei meriti, credeva di pregare ed è stato smentito da Dio; mentre il
pubblicano che credeva di essere un povero straccio viene accolto da Dio. Quel
povero diavolo era veramente nella casa di Dio.
Eligio: Bisognerebbe poter essere in tutta la
giornata nella situazione d’animo di questo pubblicano.
Luigi: Infatti quello che ci conduce alla vera
preghiera, che è quella del pubblicano, è la fede. Ma quale fede? Ed è la
lezione di oggi, la fede che ci fa constatare il tutto di Dio e il niente
nostro. Perché noi crediamo di credere, crediamo di aver fede, ma se questa
fede non ci porta a riconoscere il tutto di Dio e il niente nostro, se non ci
mette nella centralità di Dio “Lui tutto – io niente”, che fa dipendere tutto
da Dio. Allora è in questa consapevolezza del “Dio tutto – io niente”, che
l’anima si apre alla vera preghiera, che è quella del pubblicano. Perché la
vera preghiera è far dipendere tutto da Dio, che non pretende, che non fa
valere i suoi diritti: questa è la vera preghiera. E la vera preghiera, che
presuppone la fede, è sguardo che attende tutto da Dio, che fa dipendere tutto
da Dio e che dice: “Abbi pietà di me che sono un niente!”; è un chiedere
misericordia, è un affidarsi a Dio. Il fariseo invece si vanta, ritiene di
essere qualche cosa e si rende impossibile entrare nel regno di Dio, perché non
tiene conto che Dio è Colui da cui tutto dipende; ma questa è la condizione per
entrare nel regno di Dio perché l’entrare nel regno di Dio presuppone il
riconoscere Dio da cui tutto dipende. Da Dio dipende soprattutto il nostro
sguardo, dipende il nostro pensare, il nostro vivere. Per cui pregare veramente
è vivere: l’ascesa della nostra vita sta proprio nella preghiera. Kirkegaard ha
un pensiero bellissimo: “L’uomo più grande è colui che sa congiungere le mani”,
che sa pregare. Noi invece riteniamo che il pregare sia un fare niente (Marta e
Maria). No! Il pregare è l’essenza della vita, perché Dio è il centro della
vita. Non ci troviamo davanti a una statua, ma ci troviamo davanti all’Essere
Vivente. Ecco per cui diciamo che pregando alla presenza di Dio, siamo condotti
a invocare che Dio prenda possesso di tutto di noi: “Signore,discendi”. Cioè di
fronte a Dio, ed è Dio che suscita in noi questo desiderio, la preghiera di Dio
suscita in noi il desiderio del suo regno, cioè il desiderio di vedere “tutto
suo”, cioè che venga a prendere possesso di tutto di noi. Quindi la vera
preghiera è: “Signore, viene a prendere possesso della tua casa!”. Allora qui
abbiamo la creatura che, prima che Egli venga, invoca che Egli venga. Allora
qui abbiamo il desiderio che precede l’incontro. Questa situazione è positiva
perche la fame precede il pane perché se il pane arriva prima che si sia
formata la fame, Lui viene a casa sua: “ … ma i suoi non l’accolsero”. Bisogna
che prima si formi in noi questa fame, questa invocazione e questa invocazione
si forma alla presenza di Dio. Quindi la vera preghiera è questo sguardo a Dio,
che presuppone la consapevolezza data dalla fede del “tutto di Dio e del niente
nostro”, in questo sguardo, per opera stessa di Dio, (perché è guardando a
Colui che è Uno solo che si forma di vedere il pensiero unico su tutto) che invoca
di vedere Lui che prende possesso di tutto: Gesù che dice su tutto: “Questo è
mio”; soprattutto che dica: “Questo è mio” sul mio pensiero! Perché la tragedia
dell’uomo è la sua solitudine, questa impossibilità di entrare nell’Altro, di
guardare all’Altro, per cui noi ci troviamo davanti a un muro: ci sono delle
cose nostre che noi non riusciamo a vedere che sono opera dell’Altro, che sono
cose nostre, per cui bisogna che Lui ci dica: “Questo è mio!”. Il giorno in cui
noi scopriamo che il pensiero nostro non è nostro ma è “suo”, noi apparteniamo
a Dio, ma questo viene da Lui. Ecco per cui Lui forma in noi questa preghiera:
“Signore, discendi!”; “dove” discendi? E sarà la lezione di domenica prossima,
la lezione di Zaccheo, che sale per vedere, e vediamo che questa preghiera è
accolta dal Signore che dice: “Chiedete e vi sarà dato!”, “Qualunque cosa
chiederete vi sarà dato”, ma nella vera preghiera, che è quella che desidera
vedere. Pregare vuol dire elevare il lo sguardo a Dio, guardare a Dio;
l’essenza della preghiera è guardare a Dio. Zaccheo desiderava guardare;
abbiamo il problema della fede, e Gesù lo confermerà: “Tu sei figlio di
Abramo”. La fede di Zaccheo si manifesta nel fatto che lui non si rassegna alla
folla che gli impedisce di vederlo, non si rassegna alla sua natura per il
fatto che è piccolo di statura, non si rassegna alla sua povertà, alla sua
miseria. Chi ha la fede non si rassegna alla sua piccolezza, o agli ostacoli
che il mondo gli impone, o alla distanza da Dio, ma si dà da fare per cercare
di vedere Gesù che passa. E Gesù lo conferma: “Seguimi, oggi sarò a casa tua”.
La risposta lo conferma perché Dio risponde sempre alla nostra vera preghiera.
La preghiera viene esaudita, e viene esaudita molto di più di quello che noi
speravamo perché Dio risponde in modo sostanziale, mentre il desiderio di
Zaccheo era solo quello di vedere passare Gesù. Gesù gli dice: “Vengo ad
abitare a casa tua!”. Quindi Gesù risponde al desiderio sostanziale della sua
anima, ma risponde molto di più di quello che lui osasse sperare. Zaccheo non
sperava di poterlo accogliere in casa sua! La vera fede che ci porta alla vera
preghiera, è quella che ci fa superare tutte le difficoltà del mondo e nostre,
per vedere il Verbo di Dio. Allora se noi abbiamo questa fede e cerchiamo di
vedere, il Signore risponde, accoglie questa preghiera, ci conferma, perché la
vera fede è questa: la consapevolezza che tutto è suo. Allora se io so che Dio
è tutto e che io sono niente, ecco che supero tutto per vedere. Il vedere sarà
poi dono suo, è Lui che me lo dà, ma la fede mi deve portare a desiderare di
vedere. Il Verbo di Dio che passa, cioè che mi parla nel transitorio; il Verbo
di Dio è eterno, passa sulla mia strada, passa nelle cose transitorie, però è
eterna. Se in noi c’è questo desiderio di vedere l’eterno, questo ci porta a
superare qualsiasi ostacolo, Dio risponde.
Emma: Ci vuole proprio la consapevolezza del
nostro nulla.
Luigi: Questa è la premessa della vera
preghiera. La consapevolezza del nostro niente è la conseguenza della consapevolezza
del tutto di Dio. Perché la fede cosa ci dice? Che tutto è opera di Dio. Ora,
se noi aderiamo alla fede, se riconosciamo che tutto è opera di Dio, come
conseguenza ne deriva il nostro niente. Perché: “Che cosa hai che tu non abbia
ricevuto? Allora non vantarti, perché tutto è dono gratuito”. Allora se tutto è
dono di Dio, riconosci che tutto è dono di Dio, ma aspettati anche che tutto è
di Dio per cui guarda sempre a Dio. La preghiera che sgorga da questa
consapevolezza ci porta ad avere questo sguardo attento a Dio. Questa
attenzione non è rivolta a una statua, Dio non è una statua, Dio è il Vivente,
è il Creatore, è Colui che genera continuamente il suo Verbo, per cui ecco che
di fronte a Lui, se guardiamo solo Lui, Lui stesso infonde in noi questa
invocazione a chiedergli di vedere, che Lui dica su tutto quello che
apparentemente dipende da noi, su tutto il nostro mondo, ma che lo dica Lui, il
suo Verbo: “Questo è mio!”. Perché la nostra gioia scaturirà da questa parola
qui: “Questo è mio”. Da questo momento cominciamo ad appartenere.
L’appartenenza deriva dall’aver udito. In tedesco ci sono due verbi che ci
possono fare capire: udire e appartenere. Cioè noi apparteniamo nella misura in
cui ci fermiamo ad ascoltare. Tu appartieni a ciò a cui ti sei fermato ad
ascoltare, quindi ascoltando finiamo per appartenere. Noi abbiamo bisogno di
ascoltare l’altro che parla, per cui mi conquista, mi possiede: io appartengo
all’Altro. Se Dio parla forma in noi la sua casa però noi abbiamo bisogno di
dire: “Signore parla!”; questa è la vera preghiera: è questo guardare a Dio.
Guardando a Dio, Lui parla perché è vivo, è il Vivente, genera il suo Verbo.
Genera il suo Verbo in noi che ascoltiamo e ascoltando, apparteniamo. E
arriviamo a scoprire che anche questo Pensiero appartiene a Lui, che tutto di
noi appartiene a Lui. Ecco, allora incomincia la nostra gioia perché la nostra
tristezza, la nostra solitudine è il non saperci pensati. Ora, fintanto che noi
ci chiudiamo nel pensiero dell’io, in un modo o nell’altro, ci costruiamo la
nostra vera tristezza, perché alle estreme conseguenza noi ci troviamo solo più
nelle cose nostre, cioè ci evitiamo di essere pensati e amati da un Altro.
Invece noi abbiamo bisogno di vedere non che le cose siano nostre, ma che sia tutto
suo. Più ci vediamo suoi e più attingiamo a questa sorgente di gioia. Infatti
Gesù dice: “Affinché la vostra gioia sia piena!”, ma la pienezza di gioia
dipende proprio dal vederci suoi. Quindi la vera preghiera, il chiedere non è
come possiamo pensare noi; perché se chiediamo nel pensiero dell’io, è finito!
La vera preghiera è quella di Zaccheo, che desidera vedere l’eterno in tutto
ciò che passa: “Signore, discendi perché io ho bisogno di vedere l’eterno nelle
cose che passano, nel transitorio”. A questa invocazione noi siamo condotti
dallo sguardo su Dio, è Dio che infonde in noi questa invocazione, questa
preghiera: “Signore, discendi a rivelarmi la tua eternità nel mio transitorio;
lì gusterò la gioia perché scoprirò il tutto di Te”.
Pinuccia: Questa eternità è la generazione del
Verbo.
Luigi: Si. Il Cristo stesso è rivelazione di
ciò che avviene o non avviene nella nostra vita; di ciò che
già è, perché noi siamo già nell’eterno, solo che non vi partecipiamo. Abbiamo
bisogno di parteciparvi, e tutta la tristezza dell’uomo sta lì. Tutti i
problemi dell’uomo sono dati dal fatto che l’uomo ha un piede nell’eternità
però vive nel transitorio. Allora abbiamo tutta la problematica umana; noi
dovremmo sempre cercare di capire, di giustificare tutti i nostri problemi
umani in questa luce: tutti i problemi umani sorgono dal fatto che egli ha un
piede nell’eternità, già adesso, ma si trova con l’altro piede nel transitorio.
È come se uno avesse un piede sul treno che passa e un altro sulla banchina: è
una tribolazione, è uno strazio. È la tribolazione di ogni uomo che dà luogo a
tutta la problematica umana. Ora, questa problematica non si risolva mettendo
tutti e due i piedi sul tapis-roulant, sulla parte che scorre, ma si tratta di
passare a mettere tutti e due i piedi nell’eterno. Perché dal transitorio
possiamo toglierci, ma non possiamo dimenticare l’aspetto eterno perché quella
è opera di Dio. Dio ha dato a noi l’impronta dell’eternità infatti noi tendiamo
a trasformare tutto in eternità. Tutta la nostra fatica, tutti i nostri lavori,
i nostri sudori, sono rivolti a rendere perenne ciò che muta. Tendiamo a
rendere perenne il nostro fisico, in modo da vivere per sempre. Tendiamo a
rendere perenne tutto ciò che muta, la casa, il denaro, le cassette, tutto questo
per cercare di fermare il transitorio. È un errore! Perché il problema non sta
nel rendere eterno ciò che non è eterno, ma sta nel vedere l’eterno anche nel
transitorio. Noi vediamo un corpo che si disfa e vogliamo renderlo eterno, ma
quello è un segno dell’eterno: scopri l’eterno, non cercare di rendere eterno
ciò che non è eterno; perché ti sottometti a una fatica che è fallita già in
partenza. Perché ciò che passa è per annunciarti ciò che non passa: “Perché
cercate il Vivente tra le cose morte?”. “Cercate il Vivente tra le cose vive,
non tra le cose morte”; così è lo stesso: “Perché tu cerchi l’eterno tra le
cose che passano?”. No! Le cose che passano sono per segnarti la superiorità di
ciò che è eterno: cercalo nello spirito, Dio è spirito. Per cui cogliendo
l’eterno, coglierai anche l’eterno che c’è nel transitorio. Ma se tu cerchi di
rendere eterno il transitorio, perdi l’eterno e perdi anche il transitorio.
Emma: Dobbiamo scoprire l’eterno nel
transitorio.
Luigi: Si perché noi essendo fatti per l’eterno,
siamo tribolati dalle cose che passano, dal vedere le cose che passano. Abbiamo
bisogno di vedere l’eternità anche nelle cose che passano. Ma dobbiamo evitare
di fare delle cose che passano, delle cose eterne.
Pinuccia: Cogliere l’eterno significa invocare
Dio che dica su tutto: “Questo è mio”.
Luigi: Il Signore non dice: “Questo è mio” a
parole come diciamo noi ma lo dice facendocelo vedere. Dio ci fa cogliere la
lezione eterna nelle parole transitorie che dice. Quella lezione eterna, se è
Dio che ce la fa cogliere, è la lezione che resta eternamente in noi, non è più
soggetta a mutamento, agli eventi. Per cui, scoprendo questo, non c’è nessuna
ragione che costringa la creatura che
abbia colto l’eterno a ridiscendere nelle cose transitorie. Sarebbe un assurdo!
Gli altri non possono capirla, ma la creatura che ha colto qualche cosa di
eterno non può più mollarlo perché noi siamo fatti per l’eternità, infatti
tutta la nostra sofferenza sta nel fatto di non poterci inserire in questa
eternità. Nell’io noi tendiamo a costruirci la nostra patria ma per quante
patrie ci siamo costruiti in esilio, siamo sempre insoddisfatti. Per cui
dobbiamo orientarci a cercare la nostra vera patria, dove essa è, non cercare
di trasformare quello che è esilio per nostra patria. Trovando la nostra vera
patria, anche la terra straniera diventa nostra patria, perché tutto diventa
opera dello spirito, allora ovunque tu ti trovi a casa di Dio, perché tutto è
casa di Dio. Ma il punto determinante è questo: “Cerca prima di tutto il regno
di Dio, e non preoccuparti del resto. Perché se ti preoccupi del resto, tendi a
rendere eterno ciò che eterno non è e che non può esserlo perché è segno!”. È
segno quindi non puoi legarti al segno come fosse la realtà, come se fosse lo
spirito, come se fosse il pensiero; il pensiero è qualcosa di diverso. Cogli il
segno e intendi. Gesù dice: “Voi siete capaci ad intendere i segni
dell’atmosfera, perché non cogliete il segno del tempo della vostra vita!”.
Pinuccia: Il punto di partenza è riconoscere, anche
senza vederlo, che tutto è Suo.
Luigi: Si, quello lo si riconosce per fede. Noi non potremmo avere la fede se Dio non parlasse. Dio parla
per primo. Dio viene in casa sua anche se noi non siamo capaci di intenderlo,
per cui Lui parlando forma in noi l’orecchio capace di intendere. Ma è già con
la sua parola che Lui ci forma l’orecchio. Il che vuol dire che se Lui ci forma
l’orecchio parlando, vuol dire che Lui si dona prima che noi siamo capaci di
capirlo. Allora Lui parlando, forma in noi la fede. Teniamo presente che in
ogni passaggio si richiede la partecipazione nostra; per cui possiamo fermare
la discesa di Dio a qualunque punto perché l’opera di Dio, la preghiera, la
fede, non è mai un fatto automatico, un fatto magico, richiede sempre la
consapevolezza da parte della creatura; Dio parla rispettando la creatura, cioè
chiede alla creatura la partecipazione consapevole. Se la creatura non
aderisce, arresta il processo di discesa per cui Dio ha dato ma tu non hai
risposto. Per cui il difetto non mai di “dono” ma è sempre un difetto di
risposta. Allora, Dio parla e la creatura può aderire o non aderire; se
aderisce entra nella fede. La fede è aderire alla parola che ci è arrivata.
Ecco, ma cosa mi dice la parola? La parola mi dice questo: “Dio è Colui che fa
tutto. Dio è il Creatore”. Se io aderisco a Dio principio di tutto, di
conseguenza scopro che tutto è opera sua. Ora, se tutto è opera sua, devo
vedere che tutto è opera sua, di conseguenza ci porta alla preghiera, ci porta
all’invocazione, entriamo nel processo dell’amore che desidera che l’Altro
prende possesso di tutto di noi; ma non di noi come individui ma tutto
l’universo intorno a noi perché tutto è
opera sua. E sapendo che tutto è opera sua, anche se non lo vedo ancora (la
fede), desidero vedere tutto come opera sua. Se uno non crede, allora non sa
che tutto è opera di Dio, attribuisce tutto agli uomini, alla natura, al caso;
invece se aderisco so che tutto è opera di Dio, anche se non lo vedo ancora. Lì
inizia tutta la tribolazione: “Signore, che io veda il tuo volto”. E la
preghiera non si ferma fintanto che non si arriva a vedere questa discesa di
Dio in tutto. Tutte le meditazioni domenicali sono lezioni di preghiera: dagli
albori in cui il Signore ci dice di pregare; alla pazienza con cui bisogna
insistere nel pregare come quella povera vedova; Mosè che alza le mani per
combattere il nemico e che devono sostenerlo fintanto che il nemico non è
sconfitto, perché quando si stanca il nemico prevale; alla lezione di oggi del
fariseo e del pubblicano al tempio, perché noi possiamo ritenere di pregare
quando non preghiamo; alla lezione di domenica prossima di Zaccheo. Diciamo che
ogni lezione è un aspetto della preghiera: per cui non soltanto bisogna pregare
ma bisogna pregare sempre, quindi ci vuole la pazienza nel pregare perché
bisogna continuare a pregare fintanto che arriva quel giorno in cui si vede il
trionfo sul nemico, che è il pensiero del nostro io, in modo da vedere tutto
come opera di Dio, la gloria di Dio: “Signore, discendi!”. Bisogna pregare con
la consapevolezza del nostro niente, perché se non siamo consapevoli del nostro
niente non possiamo iniziare a pregare, o di essere riconoscenti a Dio, non ci
possiamo giustificare. E la vera preghiera deve essere desiderio di vedere Gesù
che passa sulla nostra strada, cioè vedere il Verbo di Dio, l’eterno, nel
transitorio.
Pinuccia: Essenzialmente la preghiera è
desiderio.
Luigi: La preghiera è sguardo a Dio mentre il desiderio è già una conseguenza della preghiera perché
guardando Dio, Dio forma in noi il desiderio di vedere il tutto di Dio e il
niente nostro. Se invece pregando non si forma in noi questo desiderio, vuol
dire che la nostra preghiera non è la vera preghiera, era una preghiera fasulla
perché non si è formato il vero desiderio. Ma chi forma questo desiderio è Dio,
guardando Dio, siamo informati da Dio, nella misura in cui guardiamo Dio, Dio
forma in noi il desiderio, il pensiero. Noi siamo informati nella misura in cui
guardiamo. Nella misura in cui facciamo la cura del sole, ci abbronziamo; è il
sole però che lavora però dobbiamo restare esposti al sole. Così dobbiamo
essere esposti, fermarci a guardare Dio. È necessario pregare sempre quindi
tenendo conto che la preghiera non sta nel dire tante parole, non sta nel dire
le giaculatorie, non sta nell’andare in certi luoghi, non sta nell’assumere
certe posizioni, ma sta essenzialmente nel pensiero. Ecco, allora è necessario
questo sguardo, questo pensiero presente sempre in tutto, in modo da riferire
sempre tutto a Dio per poter accogliere tutto da Dio. Per poter accogliere
tutto da Dio bisogna essere convinti che tutto viene da Dio, che tutto è di Dio
e non c’è niente che sia nostro. Questa convinzione forma in noi il desiderio.
Emma: Mi viene in mente la frase che ha detto
Giovanni Marengo a sua fratello: “Tu fai pure questo e quello ma tanto è Dio
che lo fa”.
Eligio: Mi fa pensare il fatto che io posso
stare in fondo della chiesa e facilmente dire: “Ti prego Signore, perdonami
perché sono un peccatore”; poi magari uscire e dire: “Guarda quello là che
antipatico!”.
Luigi: Quello rivela la nostra superficialità
perché se Dio ci fa entrare nel tempio e ci mette in contatto con Sé, e mi ci
dice: “Io ti do la consapevolezza, ti do la possibilità di credere che sei nel
tempio e qui sperimenti la mia presenza”. Non c’è un dentro e un fuori perché
tutto è tempio. E se tutto è tempio di Dio... Perché quel “sempre” deriva da
una totalità. Per cui Lui mi dà la possibilità su tutto di dire “Questo è mio”.
Questo stato è una concessione che Lui fa per istruirmi, per farmi capire che
io devo estendere questo punto su tutti gli altri punti. Ecco lì la
partecipazione personale. È per il dono di Dio che mi dice: “Ecco, qui sei con
me”, e qui abbiamo un punto verginale in noi, che è in noi indipendentemente da
noi, non è per opera nostra, per cui Lui abita in noi anche se noi siamo dei
delinquenti, anche se noi lo uccidiamo, e questa è opera Sua; ma in questo
punto qui Lui lo fa, ed è concessione Sua, per darmi la possibilità di
estendere questo punto su tutti i punti. È il seme che deve crescere, deve
diventare albero, fino a coinvolgere tutto, fino a coprire tutto. E questo
richiede la nostra partecipazione personale. Abbiamo un mondo da far entrare,
che è possibilità di dimostrare l’amore che abbiamo per Dio perché certamente
arriverà un giorno in cui questo tempio regnerà su tutto ma noi possiamo essere
fuori perché non abbiamo partecipato a niente. Allora tutta la fatica della
nostra vita è questa: di estendere questo punto su tutto sapendo che tutto è
già tempio suo.
Eligio: Pensavo che è relativamente facile fare
questa preghiera perché con facilità riconosco di avere mille difetti. Soffro
per la discontinuità …
Luigi: Dio mi mette alla prova proprio
mettendomi davanti un antipatico, perché mi dà la possibilità di possedere
quello che Lui mi ha fatto capire. Teniamo presente che quando alla sua
presenza, e noi siamo sempre alla sua presenza in quanto Lui è il Presente,
(dico sempre che il più grande dono che Dio ci fa è quello di pensarlo. Ma Lui
ci dà la possibilità di pensarlo anche quando noi siamo nel peccato più nero
perché Lui abita in noi indipendentemente da noi, la Verità parla a noi anche
se noi non ascoltiamo). Quindi Dio è presente a noi in qualunque modo noi
siamo. E cosa vuol dire che Lui è presente a noi? Che ci dà la possibilità di
pensarlo, comunque noi siamo. La possibilità di pensarlo, ci dà anche la
possibilità di essere quello che noi dovremmo essere davanti a Lui, cioè di
essere conformi alla sua volontà. Quando io insegno ad un allievo una legge di
fisica, poi lo metto alla prova in modo che lui la possa applicare, in modo che
la possegga veramente. Perché se tu hai veramente capito la regola, solo se la
applichi, la possiedi veramente. Allora Dio mi mette nell’occasione di poter esplicare
quello che io invocavo di essere liberato. Ecco che la nostra superficialità
cresce nella misura in cui noi siamo superficiali. Se cinque minuti fa io ho
invocato di essere liberato, ora Dio mi occasiona ad applicare quello che io ho
chiesto per darmi il perdono. C’è quell’episodio del servo che chiede al
padrone che gli sia condonato il debito e poi esce e non condona il debito al
suo fratello. Allora il padrone lo getta in prigione. Perché c’è qualcosa che
rimane in noi di quel che riceviamo che tende a permanere. Per cui se ricevo un
atto d’amore, questo atto d’amore permane per un certo tempo allora io questo
atto d’amore lo devo riflettere intorno a me. Se lo rifletto intorno a me,
incomincio a possederlo e divento stabile. Se invece non lo rifletto quando
sono occasionato, divento colpevole perché tradisco qualche cosa che è in me.
Eligio: Rischio di cancellare il dono ricevuto.
Luigi: Certo! Perché avendo ricevuto il dono
adesso devo perdonare; ma se non perdono divento colpevole. Se ricevo un’offesa,
tendo anch’io ad offendere, ma se ho ricevuto amore, un dono, ho avuto la
possibilità di incontrarmi col Signore che mi ha dato una grazia in un momento
di preghiera, devo permanere nel dono ricevuto. Questa è la permanenza. Ed io
devo permanere in questa linea.
Eligio: Devo tenere presente questo stato
d’animo quando il Signore mi mette alla prova.
Luigi: Perché il difficile è sempre il
restare. Gesù addirittura dice: “Il demonio
è colui che non seppe restare”. Il non saper restare è il non permanere.
Abbiamo detto che il grande tesoro è il saper pensare, sapendo pensare noi
riceviamo una grazia, tenendo presente che il Signore dice: “Non c’è preghiera
che non sia esaudita”. Se noi pensiamo Dio, e pregare vuol dire pensare,
entrare nel suo tempio, immediatamente riceviamo la grazia che è permanenza di
stare alla sua presenza. Che è permanenza in ciò che abbiamo chiesto: è la
preghiera. Il pubblicano chiede pietà: “Signore, abbi pietà di me che sono un
peccatore!”, ma se uscendo dal tempio non ha pietà del suo fratello non permane
in questo dono ricevuto: il perdono. Ecco cosa vuol dire fermarsi. Perché alla
presenza di Dio, è Dio che gli fa chiedere pietà, è la presenza di Dio che gli
fa chiedere pietà. È Dio che suscita questa invocazione, è dono di Dio. Poi Dio
lo occasiona mettendogli attorno qualche motivo per avere pietà, Dio lo mette
alla prova per avere pietà. Perché lo mette alla prova? Per confermarlo! Perché
se io confermo quello che ho chiesto, resto confermato: è lì la liberazione.
Perché se io chiedo di essere confermato, Lui mi mette alla prova proprio per
liberarci. Per liberarci mi deve mettere nella possibilità di confermare quello
che ho ricevuto. Vedi la prova! Se invece non supero la prova, Dio non può
liberarmi, rimango schiavo, rifiuto il dono di Dio, non vedo il dono di Dio. Se
vedessi il dono di Dio dico: “Guarda Dio come è buono! Mi dà l’occasione di
essere confermato”. Confermando, resto confermato. Quando Lui mi confermo,
resto libero. Allora comincio a sperimentare lo Spirito: è Dio che regna!
Eligio: Lo spirito della preghiera è confermare
quello che Dio vuole da me, che io faccia quello per essere libero.
Luigi: La condizione per poter realizzare
qualcosa dei doni di Dio, perché Dio i doni ce li dà indipendentemente da noi,
ma la condizione per possederli è farli perché noi diventiamo figli delle
nostre opere. Perché soltanto concedendomeli ho la possibilità di esprimere di
averli ricevuti.
Eligio: Confermiamo quello che Lui ci ha dato.
Luigi: Quel servo debitore ha ricevuto il
perdono ma poi l’ha perso subito perché occasionato ad esprimere quello che
aveva ricevuto, non è stato capace, e l’ha perso. Il nostro difetto è quello di
non vedere che quello che Dio ci mette attorno, non è altro che darci la
possibilità di possedere quello che abbiamo ricevuto.
Eligio: Per mantenere questo stato di grazia
devo fare come ho ricevuto.
Luigi: Tu guarda come diventiamo figli delle
parole che diciamo. Se diciamo delle parole di Dio, diventiamo figli delle
parole di Dio; ma se diciamo delle stupidaggini, diventiamo figli delle
stupidaggini. Il fatto che Dio ci dia la possibilità di fare, è tutta
misericordia. Ci dà la possibilità di testimoniare per cui dice: “Chi sarà arrossito
di me, anch’io arrossirò di lui”. Ma perché? Perché quella che noi chiamiamo
tentazione, è già misericordia di Dio per darci la possibilità di possedere,
per confermarci il possesso del dono ricevuto. Per cui noi la dobbiamo vedere
come una grande liberazione, quando ci troviamo nella tentazione perché è Dio
che mi dà l’occasione per possedere il dono ricevuto.
Eligio: Altrimenti Gesù non ci avrebbe esortato
a pregare sempre.
Emma: Lo fa per renderci forti.
Luigi: Si, ma la fortezza è per darci il possesso,
la capacità di permanenza di restare alla presenza dello Spirito.
Eligio: La tentazione noi la vediamo come
insidia, invece è un’occasione per possedere il dono ricevuto.
Luigi: Certo, tu capisci che per confermare
devo essere occasionato. Se sono occasionato dico: “Ah finalmente, Dio mi dà
l’occasione per confermare il dono ricevuto!”, ed è gioia! È Lui che mi dà il
possesso. Perché Lui si è dato, ma a noi non basta ricevere doni, perché lo
possiamo perdere nel secondo tempo. Sento dire: “Ma io prego sempre che Dio mi
mandi dei doni!”, ma guarda che Dio te li manda in continuazione i doni! È lì
la crisi, quando ci accorgeremo che Dio ha sempre risposto alle nostre
preghiere e noi li abbiamo sempre persi, ma nel secondo momento, quando ci
occasionava a possedere quello che Lui ci aveva donato.
Eligio: Molte volte abbiamo la presunzione di
amare Dio anche di un amore profondo; poi non vediamo le prove che Dio ci
manda. Ci facciamo sfuggire le occasioni che Dio ci manda per stare con Lui.
Luigi: Si, non vediamo Dio ma vediamo solo le
creature. Poi scopriamo che Dio continuamente ci vuole dare questo bene qui; ci
mette proprio nelle occasioni per darcelo questo bene.
Emma: Forse dimentichiamo lo spirito di Dio.
Luigi: Perché siamo superficiali? Perché ci
portiamo dietro tutto un carico di azioni già fatte, di risposte già date in un
certo modo, di parole dette, per cui siamo figli di tutto un passato per cui
siamo abituati a comportarci come ci siamo sempre comportati. E se prima ci
siamo comportati non secondo lo spirito di Dio, Dio ci dà sempre la possibilità
di pensarlo, anche se siamo dei delinquenti, e pensandolo invochiamo la sua
presenza, la sua grazia, lo invochiamo per essere come Lui vuole. Però è lì la
penitenza: noi portiamo tutto il carico dei comportamenti autonomi che abbiamo
avuto.
Pinuccia: Come si fa a superare tutte queste
prove nella gioia?
Luigi: La gioia è una conseguenza della
conferma. Se occasionati, abbiamo confermato lo spirito, siamo confermati. La
lotta è precedente! È quando vedo il fratello che mi dà fastidio, lì ho la
lotta perché io sono abituato a comportarmi in un altro modo, devo superarmi,
per confermare la misericordia di Dio che ho ricevuto. Se confermo nei riguardi
di Dio, ecco la gioia. Il Signore stesso dice: “Allarga il tuo cuore al misero,
allora vedrai la luce che scenderà dentro di te!”. La luce c’è già: tu
confermala! Vedrai che la luce prenderà possesso di te. La gioia è una
conseguenza dell’abbinamento tra il dono di Dio e la conferma da parte nostra.
È quanto abbiamo confermato di misericordia, di perdono, l’amore,
l’universalità di Dio. Se non confermiamo veniamo riassorbiti dal nostro mondo
precedente, e cadiamo nella tristezza. Mentre le conferme di Dio sono
accompagnate dalla gioia, mentre l’espressione del nostro io sono accompagnate
dalla tristezza. Noi confermando il nostro io inauguriamo un processo di
solitudine, e di solitudine crescente per cui noi quando abbiamo trionfato (per
questo dico che quando vinciamo perdiamo sempre), ci siamo chiusi nel nostro io
e quindi ci siamo isolati di più. Quando invece noi sappiamo perdere,
sostanzialmente vinciamo perché ritroviamo la gioia, la gioia di Dio.
Pinuccia: Anche la preghiera di vedere tutto
secondo Dio è seguita dalla prova.
Luigi: Si, perché tutti i doni di Dio, e la preghiera è dono di Dio, il poter pregare è un dono, sono
grazia di Dio. Per cui quando entriamo in preghiera, immediatamente Dio concede
i suoi doni, perché il pregare è già dono di Dio. Ogni dono di luce da parte di
Dio è seguito sempre da una prova. La prova è necessaria infatti nella parabola
del seminatore il seme che cade tra le spine, quando arriva la prova, (la
parola è la prova perché la parola porta la prova)viene soffocato. Invece se il
seme è seminato nel terreno profondo, quando arriva la prova può essere
sostenuta; se invece il terreno non è profondo, cade. Ma perché c’è la prova?
C’è la prova per confermare in noi il dono affinché Dio ci doni il possesso
della sua Verità. Ma per possedere il dono, non basta che Dio lo doni, è necessaria
da parte nostra, la conferma, cioè l’affermazione.
Pinuccia: L’accettazione …
Luigi: Ma per accettarlo devo confermarlo,
cioè devo farla, devo superare la tentazione.
Pinuccia: Per affermarla devo accettarla, la
prova.
Luigi: Se resto con Lui perché se trascuro
Lui, immediatamente cado nell’io per cui mi sento umiliato. Se dimentico Dio,
immediatamente suscito in me una reazione molto lontana da Dio, che mi fa
perdente. Io credo di vincere imponendo la mia volontà sull’altro, invece
perdo. Ecco che tutto è grazia di Dio, tutto è dono di Dio, se tengo presente
Dio. Perché Lui opera per liberarci, Lui è il Liberatore. Allora se hai capito
che Lui è il Liberatore, resta con Lui.
Eligio: Sono le reazioni istintive che fanno
paura.
Luigi: Sono tutte le reazioni che abbiamo
avuto in passato che creano la tribolazione per cui noi sentiamo tutto il peso
delle creature. Non è che le creature siano pesanti, per cui il Signore ha
fatto male il mondo, ma l’amore al mio io che mi rende pesante le cose. Il giorno
in cui fossimo tutto nell’amore di Dio, le cose diventano leggerissime,
diventerebbero uno scherzo. Sarebbe tutta una gioia lasciare fare a Dio, vedere
un cielo stellato, vivendo nel mondo Dio, dobbiamo godere di quella libertà per
cui non c’è più niente che ci faccia paura perché si diventa figli di Dio: e
quello è vivere! Invece noi arriviamo con tutto un carico di azioni fatte
autonomamente, siccome il pensiero di Dio si perde, queste cose ci pesano
terribilmente su di noi. Allora c’è tutta questa tribolazione. Nel momento in
cui preghiamo Dio ci dona la sua grazia e ci mette nell’occasione per
mantenere, per confermare il dono che Lui ci ha dato pregando: questa è la
preghiera. La preghiera però è necessario confermarla allora lì inizia un
processo di liberazione. Ogni lezione confermata apporta in noi una
liberazione. Ogni azione confermante il dono ricevuto porta in noi una
liberazione; non è una liberazione totale perché la liberazione totale richiede
una conferma su tutto. Oggi dobbiamo rimangiarci tutte le nostre azioni
autonome che abbiamo fatto e che pesano su di noi. Oltre le azioni, anche tutte
le parole autonome che abbiamo detto nel pensiero del nostro io. Il Signore è
chiaro: “Di ogni parola che avete detto vi sarà chiesto conto”, e cosa vuol
dire “chiesto conto”? È il peso che avvertiamo su di noi.
Pinuccia: Se arriviamo alla liberazione capiremo
cosa vuol dire: “Questo è mio”. Dire vuol dire vedere.
Luigi: Si, non è un dire a parole.
Pinuccia: Tutto è suo ma non lo vediamo per ora.
Cioè una cosa è sapere che tutto è suo, un'altra è vedere che tutto è suo.
Emma: Però non posso dire che tutto sia mio,
anzi niente è mio, lo riconosco.
Eligio: Ma in pratica come ci comportiamo?
Comunque anche quando pregavo, ed ero sincero, anche se sbagliavo, Dio ha colto
la mia preghiera perché mi ha mandato le occasioni per confermarmi, per
liberarmi.
Luigi: Tutto è grazia di Dio. Riprendendo la
lezione del servo che dopo averlo perdonato, il Signore, mette subito alla
prova. Cioè quello che il Signore dice a parole, poi ti chiede di farlo col tuo
prossimo.
Pinuccia: Anche con Zaccheo; lui sale sull’albero
e Gesù gli dice: “Discendi!”.
Luigi: Si. Poi con Zaccheo la meraviglia è che
lui si aspettava di vederlo e ottiene infinitamente di più: “Oggi verrò a
mangiare a casa tua”. È lì la meraviglia: come Lui ascolta la preghiera. E
quella è poi la vera preghiera! Quando mio cognato stava morendo, disse che
prima aspettava di andare in pensione per occuparsi di Dio a tempo pieno, e
ringraziava Dio che aveva anticipato il tempo. Nel campo dello Spirito sembrava
di vedere Zaccheo che sale per vedere passare Gesù e Gesù che sovrabbonda ed
entra in casa sua: perché c’era la vera preghiera. Per cui riceve la conferma
che Dio ascolta sempre la nostra preghiera, che è poi desiderio; desiderio che
infonde Dio se noi guardiamo Lui.
Eligio: Pensavo quanto ci vuole nell’io per
superare le umiliazioni; invece con Dio è molto meglio accettare l’umiliazione
e vederla come occasione di conferma alla vera preghiera.
Luigi: Anche questo ci fa rivela quanto siamo
incapaci ad ascoltare; noi vogliamo essere ascoltati da Dio, e Dio ci ascolta
ma poi occasionati, non superiamo la prova, e non confermiamo il dono ricevuto.
Pinuccia: C’è un libro di Federico Sciacca: “Come
si vince a Waterloo e come si perde in Austria”, in spagnolo è “Parole e
silenzio” su Napoleone.
« Ma Gesù stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve
onore nella sua patria. Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero
con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme
durante la festa; anch'essi infatti erano andati alla festa.
Titolo: Il silenzio
di tutte le cose.
Argomenti: La Parola Eterna, Dio la dice solo personalmente.
Si possiede il dono quando uno si
applica testimonia quello che ha
ricevuto. Attenzione e
distrazione. La vera
preghiera. La
solitudine del pensiero disperso. La pazienza. Credere di pregare. La fede ci conduce a pregare. Costatare la presenza di Dio. Il silenzio.
30/Ottobre/1977
Luigi: Sentiamo i riassunti delle domeniche
precedenti.
Pinuccia: Il 25 settembre abbiamo fatto il riepilogo
delle domeniche di agosto e settembre. Abbiamo approfondito i seguenti temi.
-
La vita come scelta;
-
Mangiare e vivere: Dio che si fa cibo e Dio che si fa vita (la vita vale
più del cibo);
-
Dio che si fa strada per la nostra vita;
-
Il tema dell’amicizia;
-
Il tema della gioia;
-
I rapporti tra questi diversi argomenti.
In quell’incontro
abbiamo affrontato un nuovo argomento che si è aggiunto riguardo al quarto
tema: La vita vale più del cibo; cioè un richiamo a in che cosa consiste la
vita: non si vive se non quando si vive per qualcosa. Questo richiede il
superamento dell’io; invece il cibo non ci fa ancora superare l’io, e questo è
ancora facile mentre il difficile è vivere. Perché è facile ricevere,
spiritualmente parlando, leggere il Vangelo, ricevere le luci, o in una
conversazione, è facile sentir parlare di Dio, sentire le riflessioni, ma è
difficile poi vivere. E si vive solamente quando, dopo aver sentito la Parola,
si applica personalmente a ciò che la Parola ha proposto. Poiché sono parole di
Dio, ci propongono sempre Dio. Quindi bisogna vedere se, dopo aver ascoltato,
ci impegniamo ad ascoltarle nel silenzio. Perché è lì, in quel silenzio
personale, che Dio ci dice la sua Parola Eterna. A differenza delle altre
parole che noi leggiamo, che giungono a noi, questa Parola Eterna, Dio la dice
personalmente. E la dice soltanto se noi entriamo nell’ascolto personale con
Lui, cercando di superare noi stessi.
Luigi: Silvana sei convinta di questo?
Silvana: Si.
Luigi: Cioè che la Parola Eterna,
Dio la dice solo personalmente? Cioè tutte le parole che noi sentiamo sono
relative, non sono eterne, ma la Parola Eterna, quella che rimane, che è
conosciuta, la possiamo soltanto ascoltare personalmente, nel silenzio
interiore.
Silvana: Cioè la Parola che noi ascoltiamo
leggendo non basta, bisogna che la ascoltiamo nel silenzio interiore, a tu per
tu con Dio …
Luigi: La Parola che noi sentiamo, dopo, le
dobbiamo portare nel silenzio, personale con Dio, perché è soltanto lì che
ascoltiamo la Parola Eterna di Dio, che non passa. Cina sei convinta?
Cina: Io penso che la Parola di Dio che mi
arriva, se poi non la medito nel silenzio, peggio per me.
Luigi: Si, ma la Parola Eterna si comunica.
Ogni parola che arriva a noi ha, per così dire, un aspetto esterno, è un segno,
non è che noi cogliamo l’Eterno che giunge a noi. Anche quando si parla di Dio,
non è che noi cogliamo l’Eterno nella parola che giunge a noi. Noi possiamo
cogliere l’Eterno solo personalmente, dalla bocca di Dio. La vera vita procede dalle
parole che procedono dalla bocca di Dio. Per cui tutte le parole che noi
sentiamo attorno a noi, sono proposte di Dio. Tutto quello che avviene attorno
a noi all’esterno, è una proposta per farci entrare in questo ascolto, che è
poi una donazione, della nostra anima, del nostro pensiero, a Dio. È questo
ascolto diretto tra la nostra anima e Dio. Perché è lì, dalla bocca di Dio, che
si ascolta la Parola Eterna di Dio, che Dio che genera il suo Figlio in noi. Ed
è quella Parola Eterna che resta sempre in noi. Perché le parole che arrivano a
noi, vanno e vengono. Noi siamo tutti proiettati verso l’esterno, ma Dio non è
nell’esterno, Dio abita nelle cose interiori. E fintanto che noi non Lo
cerchiamo nelle cose interiori, non Lo troviamo. Anche se tutto intorno a noi
parla di Dio e Dio parla di Sé a noi; però parla fuori.
Silvana: Se uno capisce che cosa c’è di “vero”
nella parola che giunge a noi, quella parola diventa stabile.
Luigi: Ma è un “vero” che si coglie
personalmente. Dio crea la nostra anima direttamente, mentre il nostro corpo lo
riceviamo attraverso i genitori. La nostra anima è creata direttamente da Dio.
questo vuol dire che Dio stabilisce con noi un rapporto diretto, cioè Dio parla
personalmente con noi. Ma il parlare Suo personale, richiede da noi un ascolto
personale. Se uno parla a me personalmente, questo richiede da me un ascolto
personale verso di lui. Ma cosa vuol dire questo ascolto personale? Siccome
l’ascolto è una scelta, vuol dire che io devo far tacere tutte le altre voci,
tutte, per ascoltare solo Lui. Allora, Dio parla personalmente perché ha
qualche cosa da dirci che nessun altra voce, attorno a noi, può dirci. Anche
quando si parla di Dio. Per cui parlandoci di Dio, ci dicono cose che noi poi
dobbiamo sentire personalmente alla Presenza di Dio, dalla bocca di Dio. Ecco,
quella è la Parola che ti dà vita. Siete convinti di questo?
Silvana: Cioè non riesco a capire il riscontro
pratico di quello che hai detto.
Luigi: Quando leggi il Vangelo, dopo aver
detto: “È vero”, dopo, nel silenzio,
hai bisogno di ritrovare questa parola che hai ascoltato, nel Pensiero di Dio,
alla Presenza di Dio, nel silenzio di Dio, perché soltanto se cogli la Verità
di quella parola, la novità eterna, la novità che rimane.
Emma: A me succede che quando leggiamo la
Parola di Dio, nel silenzio che viene dopo, “sento” che è vera, che è una cosa
vera. Per cui penso che sia quello il punto di eternità: perché la “sento”
vera.
Luigi: Ecco, adesso tu stai parlando di
“sentire”; io non direi che si tratta di “sentire”, perché la parola eterna,
quella che rimane, si coglie nell’intelletto, è “capire” non è un “sentire”.
Perché Dio abita in noi ed è da questa Sua abitazione in noi che deriva a noi
la luce eterna, quella parola di Verità che Dio solo dice personalmente ad
ognuno di noi, che nessun altro può dire.
Emma: Si, io lo sento quando una parola è
vera, non so come esprimerlo diversamente.
Luigi: Però il fatto di “sentire” non è
convincente perché se domani tu sentirai in modo diverso dirai che è vero
quello che hai sentito. Invece la parola eterna che ci comunica Dio ha un
aspetto di eternità che vuol dire perennità: cioè sempre vero. Per cui non
possiamo quindi fidarci del “sentire”: non è questo che ci comunica Dio. Noi
tante cose le possiamo “sentire” vere, ma non abbiamo in noi la ragione perché
siano vere; anche se le sentiamo vere. La Verità in Dio è superiore a noi, noi
la contempliamo nella Verità, ma non dipende dal nostro sentire. Anche se
“sentiamo” in modo diverso, la Verità rimane e permane la stessa perché la
Verità è superiore a noi, è per noi indiscutibile: rimane sempre quella! Però
questa Verità che permane in noi, si illumina soltanto nella misura in cui noi
ci fermiamo in preghiera, ci fermiamo nell’ascolto. La vera preghiera è
ascolto, è guardare Dio. Ma guardare Dio non è come guardare una statua, ma è
guardare un Essere Vivente che ha qualcosa da comunicare a noi. Ora, perché Dio
chiede questa preghiera e dice che: “È
necessario pregare sempre”? Cioè che è necessario avere sempre questo sguardo rivolto a Lui. Perché
ce lo dice? Basterebbe che ci dicesse: “Guardate
gli uccelli dell’aria; guardate i gigli dei campi; guardate la natura; guardate
il mondo; è tutta opera mia; così pregate”. No! Lui chiede a noi qualche
cos’altro! Infatti ci dice: “Quando
vuoi pregare, entra nel silenzio della tua stanza, chiudi l’uscio, e lì nel
segreto rivolgiti al Padre”, perché chiede questo? Evidentemente perché il Padre ha da dire a noi
qualcosa che né i gigli dei campi, né gli uccelli dell’aria, né la natura, né
tutte le creature possono dirci. È questo che volevo dire. Dio ha una Parola di
Verità da comunicare a noi, ha qualche cosa, ha un Dono eterno, perenne da dare
a noi che soltanto Lui ci può comunicare. Allora tutte le cose, tutte le
creature, tutti gli avvenimenti ci sollecitano a cercare questo contatto;
perché tutte le cose ci sollecitano a pregare, ad entrare in questo silenzio,
in questo ascolto per udire questa Parola. Se noi non udiamo questa Parola, che
non si sente con gli orecchi, ma è una Parola che si coglie con l’intelletto,
che entra in noi, che ci convince, che determina l’unione con Dio, noi non
abbiamo pregato. Perché non siamo noi che ci uniamo a Dio ma è Dio che ci
unisce a Lui; ma ci unisce a Lui nella misura in cui ci fermiamo ad ascoltare
la Parola che procede dalla sua bocca, la Sua Parola. Ora, è attraverso questo
silenzio che noi entriamo in comunione con Dio. Perché tutta la difficoltà che
noi incontriamo a pregare è la nostra incapacità a prendere contatto con
l’altro, è uscire dalla nostra solitudine. Anche quando incontriamo le
creature, noi siamo sempre nel pensiero del nostro io, siamo dominati da tutte
le nostre opere precedenti, abbiamo una estrema difficoltà ad uscire dalla
nostra solitudine, che poi ci tormenta. Per uscire dalla nostra solitudine
abbiamo bisogno dell’altro. La vera preghiera è comunione, è partecipazione con
l’Essere. Ecco, partecipazione vuol dire comunione; la comunione richiede di
uscire dal nostro isolamento. Fintanto che noi siamo legati a tutte le nostre
cose, noi facciamo fatica ad uscire dal pensiero del nostro io, siamo
impossibilitati ad uscire dalla nostra solitudine: ci facciamo del male con le
nostre stesse mani! Ora, per poter prendere contatto con una persona, bisogna
che quella persona ci faccia il dono della sua presenza, perché se quella
persona non mi fa il dono della sua presenza, io non posso entrare in contatto
con quella persona. Anche se desidero entrare in contatto, il desiderio da solo
non basta! Perche se quella persona non mi fa il dono di venire a me, io non
posso entrare in contatto con lei. La presenza è sempre il dono della persona
stessa. Non siamo noi che a forza di pensare creiamo la presenza dell’altro.
Quindi è sempre un dono dell’altro che arriva a noi. Ma poi non basta che
l’altro arrivi a noi, che si renda presente a noi, non basta ricevere doni per
avere la vita, perché una volta ricevuto il dono bisogna ritornare a colui che
ci ha fatto il dono. Ecco, direi che perché si realizzi la comunione è
necessaria la presenza di due doni: il dono di Colui che rivela la sua presenza
(Dio che mi rivela, attraverso la fede: “Io
sono presente in te”, Dio che si annuncia a me) e il dono della creatura
che si dona, che si rende disponibile all’ascolto.
Interruzione nuovi arrivati
Luigi: Abbiamo detto molte volte che bisogna accogliere l’Eterno nelle cose che passano.
Silvana: Io penso allora di non aver mai fatto
questa esperienza. Però credo che la Parola che leggo nel Vangelo sia vera,
sono convinta che sia vera.
Luigi: Si, ma tu dici questo perché l’hai
sentito dire da altri. Ad esempio adesso stiamo parlando, no? Parlando, cosa
succede nella tua mente? Succede che tu segui l’argomento che stiamo
sviluppando. Seguendo, senti parlare, e se il parlare è coerente, giungi a
vedere il pensiero che voglio comunicare; perché parlare vuol dire comunicare,
riversare nell’altro. Ora, riversando, si presuppone che da parte dell’altro ci
sia la dedizione, l’apertura, l’attenzione. L’attenzione è sostanzialmente un
atto di scelta, perché per fare attenzione dobbiamo far tacere in noi tutte le
altre cose, e applicarci a seguire ciò che l’altro mi dice. Ma l’altro,
parlando, scende a livello in cui l’ascoltatore si trova e poi a poco per
volta, lo conduce a vedere il suo pensiero fino a che tu possa dire: “Ah, è così! Ho capito!”. Ma hai capito
in quanto l’altro ti ha condotta. Ad esempio in montagna, seguendo una guida,
giungiamo sulla vetta. Ma sei arrivata sulla vetta in quanto la guida ti ha
condotta. Se tu vai da sola difficilmente potresti raggiungere la vetta. Così è
lo stesso nella conversazione: quando uno parla: ti conduce a vedere il suo
pensiero: quello è un dono. Abbiamo l’esempio nel Vangelo della Trasfigurazione
sul Tabor: Gesù condusse Pietro, Giacomo e Giovanni a vedere un raggio della sua
gloria; è un dono. Ma ho detto che non basta ricevere doni! Avendo ricevuto un
dono, bisogna riportare questo dono a Colui che l’ha elargito, ritrovare Colui
che ci ha fatto il dono. Questo è l’argomento di domenica scorsa: quando si
riceve una grazia, una luce, un dono da parte di Dio, subito dopo Dio ci mette
alla prova, arriva la tentazione perché soltanto se noi, nella prova, nella
tentazione, affermiamo lo Spirito che abbiamo ricevuto, lo possediamo. Ora,
metterci nella tentazione, metterci alla prova cosa vuol dire? Una volta che la
guida ci ha portato in cima alla montagna, tornati a valle la guida ti dice: “Adesso prova a ritornare in vetta da sola”,
per vedere se hai interiorizzato la strada. Come la maestra che insegna la regola
e per essere sicura che l’abbiamo interiorizzata, capita, ci dà il problema da
risolvere: solo in questo modo si verifica se abbiamo capito la regola se la
possediamo. Quindi quand’è che si possiede il dono ricevuto? Quando
personalmente uno si applica a testimoniare quello che ha ricevuto. Ora, la
tentazione è un’occasione che Dio ci dà per testimoniare la fede, la luce, il
dono che abbiamo ricevuto. Se noi lo testimoniamo, allora cominciamo a
possediamo il dono. Invece se noi ci lasciamo trascinare dal fascino della
tentazione, allora noi perdiamo il dono. Ci rimane il ricordo, ma il ricordo è
come la foto della persona amata: c’è solo la foto ma non c’è più la presenza.
Così ci rimane il ricordo della Parola che mi era arrivata, che mi aveva illuminato,
ma manca la Presenza, non è più efficace, non è più mia vita. Ora, affinché la
Parola sia efficace è necessaria la Presenza di chi la dice. Non basta il
desiderio, perché non è che a forza di desiderare io posso avere la Presenza di
Dio. Tutte le nostre parole, non fanno una Parola di Dio come tutto il nostro
desiderio non fanno la presenza di una persona. Come davanti ad una persona
morta, tutto il mio desiderio di vederla viva, non la fanno rivivere. Questo
cosa ci insegna? Che la presenza di una persona è il dono della persona stessa;
non è determinata da altro, è un dono. Però non basta il dono che riceviamo,
bisogna che questo dono coincida con un altro dono: bisogna che Dio si renda
presente e ci vuole il dono da parte della creatura, l’attenzione, la
disponibilità. Essere attenti vuol dire scegliere, distaccarsi
da tutte le altre presenze per concentrare tutta la nostra attenzione su quella
presenza. Per cui: la Presenza di Dio in noi è il risultato del dono da parte
dell’Altro e il dono da parte nostra, che richiede il silenzio di tutto ciò che
non è Lui per essere “tutto di noi” presente a Colui che è Presente. Cioè
bisogna imparare ad essere con Lui come Lui è con noi. Cosa vuol dire questo?
Vuol dire che quando una persona parla con me io posso essere distratto per cui
io manco di rispetto verso la persona che mi sta parlando. Mentre quella
persona mi fa il dono di parlarmi, io non sono presente a lei come lei è
presente a me: abbiamo un difetto da parte nostra. Abbiamo il peccato: io non
sono presente a Dio come Dio è presente a me. Ecco, direi che l’essenza della
preghiera è la dedizione a Dio, che è una scelta, perché devo lasciare tutto il
mio mondo di pensieri per essere tutto attento a Lui. Ora, è da questa tutta
attenzione a Lui che nasce, che procede dalla bocca di Dio quella Parola che
nessuno può dire, ed è questa la Parola Eterna. Ed è proprio questa Parola
Eterna, che essendo Eterna, resta in noi eternamente. Ecco la rivelazione della
Verità.
Cina: E se non rimane in noi?
Luigi: Se non rimane in noi è perché non
l’abbiamo ascoltata dalla Sua bocca. Se la Parola procede dalla Sua bocca,
rimane in noi, perché è al di sopra di noi, è superiore a noi. Dobbiamo tendere
a questo per poter ricevere la rivelazione, la parola eterna che procede dalla
bocca di Dio. Siete convinti che se Dio chiede a noi la preghiera, e la
preghiera è entrare nel silenzio con Lui, per ascoltare solo Lui, se ce lo
chiede, è perché vuole dare a noi qualcosa che nessuno ci può dare. Altrimenti,
come ho detto prima, basterebbe guardare gli uccelli dell’aria, i gigli dei
campi, o quello che dicono o scrivono gli uomini, e noi saremmo soddisfatti.
Invece non siamo soddisfatti. E perché non siamo soddisfatti? Perché tutte le
parole degli uomini, e tutte le creature, non fanno una parola di Dio. E tutte
le parole che dicono le creature, sono parole di Dio, e Dio parla in tutte le
creature, eppure non fanno una parola di Dio. Ora, noi questo dobbiamo saperlo,
che Dio ha da dire a noi una parola che nessuna creatura può dire. Tutto ci
ammonisce ad entrare in quel silenzio, a pregare. Ho detto che la vera
preghiera è ascolto, è sguardo, è attenzione a Dio; cioè silenzio di tutto il
resto. Nella vera preghiera si dipende da Dio. Come il cane che guardando il
padrone, dipende tutto dal padrone; sta lì ad aspettare il lancio della pietra,
il cenno del padrone: ma l’iniziativa è del padrone. Allora nella vera
preghiera si dipende tutto da Dio, sapendo che Dio vuole dirci qualche cosa che
solo Lui può dirci, personalmente, e che nessun’altro può dirci. Noi dobbiamo
sapere che c’è questo, che dobbiamo aspettarci questo, che la vera preghiera è
questo, e quando il Signore vorrà ci comunicherà la sua parola
eterna. Intanto noi dobbiamo amare questo silenzio, sapere che la vera
preghiera è questo sguardo a Dio. Non dobbiamo accontentarci di quello che ci
dicono gli altri, di quello che sentiamo dire, ma dobbiamo raccogliere tutto in
questa Presenza, in modo che queste parole che abbiamo sentito dire, siano
confermate, dette dalla bocca di Dio. Soltanto in quel punto lì saremo
confermati, avremo la luce, saremo in pace. Soltanto lì troveremo la vera pace
dell’anima. È bellissima la preghiera dell’Eterno riposo: “L’eterno riposo, dona a noi o Signore, e splenda a noi la luce
perpetua; riposiamo in pace. Amen”; perché è solo lì che noi troviamo la
vera pace. Tutto ciò che eterno, Dio lo comunica personalmente, non al gruppo,
alla massa, ma a tu per tu; perché l’anima è creata direttamente da Dio, cioè
in rapporto diretto con Dio. Dio ci comunica quello che è transitorio, per cui
noi tutti assistiamo alle cose che passano, il tempo, le creature, cose che
vengono e cose che vanno; e questa è opera di Dio; ma tutto ciò che è eterno,
Dio lo comunica solo personalmente. Se però noi siamo aperti alla Presenza, e
ho detto che per avere la Presenza è necessaria la collaborazione, il dono
reciproco di due esseri: il dono di Dio e il dono della creatura; senza questa
contemporaneità di doni non c’è la comunione, non scatta la vera vita.
Convinta? Hai capito?
Cina: Sono persuasa che tutti noi abbiamo
avuto dei momenti di luce, dei momenti di trasfigurazione, se no non saremo in
questa ricerca. Però sono consapevole di non avere la capacità di trattenere
questi doni di eternità.
Luigi: Però ho detto che Dio ci chiama a
questa eternità, ci chiama a ricevere questi doni. Direi che tutti i doni che
Lui ci fa, la vita, l’universo, le creature, il mondo, direi che sono doni
marginali di Dio, sono molto lontani dal vero Dono che Lui vuole darci. Il vero
Dono che Lui vuole darci, presuppone da parte nostra questa attenzione a Lui,
questa dedizione a Lui. Allora tutti i doni marginali, il soprappiù, il pane
che Dio ci dà che ci dà per mantenerci nella possibilità di ascoltare Dio, sono
soltanto delle sollecitazioni da parte di Dio, a farci entrare, a farci
desiderare il vero Dono, che Lui non dà fintanto che noi non saliamo a Lui, per
ricevere direttamente da Lui, personalmente il vero Dono. In quanto si tratta
di un dono personale, e l’Apocalisse ne parla, la pietruzza bianca che Dio dà,
e sulla quale c’è scritto un nome che soltanto colui che lo riceve lo conosce,
Dio lo dà personalmente. Però per ricevere il dono personale, bisogna salire e
fintanto che noi non saliamo, che non entriamo in questo silenzio, in questa attenzione
e attenzione vuol dire far tacere ogni altra voce, Dio non ci dà il vero Dono.
Se non facciamo attenzione vuol dire che siamo distratti. La nostra tremenda
pena sta nella nostra incapacità ad uscire dalla nostra solitudine, ad arrivare
alla Presenza dell’Altro; noi molte volte non cerchiamo il contatto con Dio e
ci chiudiamo in una gabbia che è la nostra solitudine. E arriva un momento in
cui non siamo più capaci a fare attenzione a Colui che ci sta parlando, a Dio.
Sappiamo che dovremmo fare attenzione, ma tutto ci distrae. Ora, la distrazione
da parte di tutte le creature, provoca in noi la solitudine: noi siamo sempre
soli. Ora, fintanto che noi non siamo capaci ad ascoltare Uno solo, noi siamo
perseguitati dalla nostra solitudine: da cui scaturisce la nostra tristezza, la
nostra malinconia, perché la vita è comunione, la vita è presenza con l’altro,
è partecipazione. Però per entrare in comunione, è necessaria questa
attenzione, perché ho detto che la Presenza richiede il dono di due. Dio si dona
a noi, ma non basta che Dio si doni, bisogna che la creatura si doni. Ecco, se
la creatura non si dona, il dono di Dio non libera la creatura dalla solitudine
in cui la creatura si chiude. Siccome noi diventiamo figli delle nostre opere,
arriva un certo momento in cui noi siamo incapaci ad ascoltare, a fare
attenzione a Uno solo, siamo sempre distratti, perché siamo dominati da tutto
ciò che ci ha distratti. Noi, pensando a noi stessi, ci sensibilizziamo verso
tutto ciò che mi arriva, per cui tutto ci porta via; ma portandoci via, ci
impedisce di fare attenzione ad Uno solo; e impediti a fare attenzione a Uno
solo, ci impedisce la comunione con Uno solo, ci impedisce la partecipazione,
ci impedisce la vita. Praticamente ci costringe ad essere soli; ci impedisce la
comunione con Dio: perché per entrare in comunione ci vuole l’ascolto; per
stare in ascolto ci vuole questa attenzione ad Uno solo; questa attenzione
richiede di far tacere ogni altra voce. Se io non sono capace a far tacere
tutte le altre voci, io sono incapace di attenzione; se sono incapace di fare
attenzione, sono incapace di fare comunione con Dio; cioè sono incapace ad
amare, quindi non posso ricevere la vita: quindi sono incapace ad essere
liberato dal pensiero del mio io.
Pinuccia: Continuazione della lettura del
riassunto;
Dio rivela la sua
Presenza a tu per tu, non alla massa; ma la rivelazione della sua Presenza
richiede la nostra presenza a Lui, il nostro silenzio. La parola di Dio nel
silenzio, è rivelatrice della Presenza e coincide con la Presenza. Ed è questa
parola rivelatrice che ci trasforma in Sé. Prima trasformavamo l’esterno in
noi, adesso abbiamo Dio che trasforma noi in Sé: questo è il superamento
dell’io. Per cui la vera fase di cambiamento della nostra vita e della nostra persona
è la seconda. Abbiamo detto che sono due le fasi: la fase del ricevere (siamo
noi che trasformiamo le cose, il cibo, in noi, mangiandolo lo assimiliamo in
noi); nella seconda fase rimaniamo noi trasformati.
Luigi: Veniamo trasformati nella misura in cui
noi ci doniamo: per ricevere dobbiamo donarci. Quindi
riportare il dono, ringraziare; questo vuol dire glorificare Dio, fare la
Verità di Dio. Quindi non basta ricevere la Verità, bisogna farla questa
Verità. E Dio, nella prova, nella tentazione, negli argomenti del mondo, ci
sollecita a fare la sua Verità, per affermare il suo Spirito, testimoniare la
fede. Se testimoniamo, ecco che allora questa ci libera; ma se non
testimoniamo, noi diventiamo figli della nostra non testimonianza. Ecco che
allora questa contribuisce alla nostra dispersione. Ogni infedeltà diminuisce
in noi la capacità di attenzione. Infatti Gesù dice: “Di ogni parola inutile voi
dovrete rendere conto”. Anche San Paolo dice: “Tutto
ciò che non procede dalla fede è peccato; i figli di Dio si riconoscono in
questo: che in tutto si lasciano guidare dallo Spirito di Dio”. Siamo sempre lì! Noi diventiamo figli
delle nostre opere. Se noi, in quello che diciamo o facciamo, ci lasciamo
guidare dallo Spirito, diventiamo figli dello Spirito; ma se noi testimoniamo
il mondo, diventiamo figli del mondo. E cosa vuol dire che diventiamo figli del
mondo? Vuol dire che il mondo ci distrae sempre di più, cioè ci indebolisce
sempre di più. Ecco perché Gesù dice: “Cercate prima di tutto il regno
di Dio”, perché siete
tanto lacerati! Dovete sempre mettere prima di tutto il regno di Dio! Perché
ogni parola, ogni azione che noi facciamo non secondo Dio, ci porta molto
lontano da Dio; per cui ci rende più difficile l’attenzione, perché siamo
distratti, per cui non siamo più capaci a fare attenzione.
Pinuccia: Non ci sono delle cose neutre che ci
lasciano indifferenti …
Luigi: Ma noi arriviamo al punto in cui siamo
incapaci ad ascoltare un nostro pensiero, perché continuamente il nostro
pensiero ci scappa: questa è la distrazione. Vuol dire che la nostra anima è in
balìa di tutto e di tutti. Come mai succede questo? È Dio che ci ha fatti male?
No, sei tu che non hai testimoniato Dio e adesso tutte le tue non testimonianze
te le porti dietro! E quando tu vorresti stare attento a un tuo pensiero, che
tu ritieni bello, lo vedi buono, lo vedi innocente, lo vedi vitale, come fai
per afferrarlo, quello ti scappa. Invece quando ti si presenta un pensiero
stupido, sciocco, quello non riesci a scacciarlo via dalla tua mente. Tutto
questo succede per dirci che la tua anima è in balìa di tutto e di tutti. La
tua anima è un po’ come quei casolari, quelle baite, quei rifugi alpini, che
quando soffia la bufera, la tormenta, se tu sei ben protetto, ben chiuso, te ne
stai al caldo, ma socchiudi soltanto un pochino l’uscio, la bufera entra e
porta via tutto. Ecco, bisogna essere molto attenti se la nostra anima è ben
raccolta in Dio, se ne sta al caldo; ma se tu socchiudi al mondo, il mondo
entra e ti porta via tutto e non sei più padrone della tua anima. Gesù dice: “Con la pazienza possiederete le
anime vostre” perché Dio è
sempre con noi anche quando siamo completamente portati via dal mondo. Però
fintanto che Lui ci tiene in vita ci dà la possibilità.
Pinuccia: Cos’è la pazienza?
Luigi: È questa non disperazione; è questo
continuo ritornare sulla parola di Dio, sulle lezioni di Dio,
per cercare l’intenzione di Dio: è questo non disperarci. È questo non dire: “Per me è finita!”, perché il Signore è
tanto potente da raccoglierci in tutte le nostre dispersioni. Anzi, Lui è
venuto proprio per raccoglierci da tutte le nostre dispersioni: “Da tutto ciò che si disperdeva”. Quindi da parte nostra, anche se siamo
solo capaci a fermarci un secondo, fermati per un secondo, sii paziente, non
disperare mai perché Dio ci dà sempre una mano, ovunque noi siamo, per
raccoglierci in Lui. Certo che se io sono tanto distratto, il raccogliermi in
Lui mi richiede tanta penitenza, tanto sacrificio, tanta pazienza, perché sono
molto lontano. Ma questa pazienza ci vuole! Questa pazienza che è data appunto
dalla fede! È dalla fede che si ricava la pazienza; è sulla garanzia della
parola di Dio perché Dio è sempre con noi anche se noi siamo molto lontani da
Lui. Dobbiamo imparare ad essere con Lui come Lui è con noi: ma Lui è sempre
con noi, questa è la garanzia! Lui è sempre con noi anche se noi siamo
infinitamente lontani da Lui. È questo suo essere “sempre con noi” dà a noi la
possibilità di recuperare, per essere con Lui come Lui è con noi; se noi siamo
pazienti.
Pinuccia: Ci vuole proprio questa pazienza, anche
se questo costa tanto sacrificio …
Luigi: Certo, pazienza deriva da patire. C’è
sofferenza in quanto siamo attratti dalle nostre opere che abbiamo fatto nel pensiero
del nostro io. Per cui dico che noi non facciamo fatica a ricevere i doni,
quindi è molto facile seguire il mondo; Gesù parla di una strada larga che
porta alla perdizione, appunto perché lì noi troviamo noi stessi, il mondo ci
accarezza e noi troviamo la conferma del nostro io; e allora ci lasciamo andare
verso il mondo, è facile per noi. Mentre è molto difficile resistere perché
bisogna trascendere questo nostro io, bisogna trascendere chi ci esalta, e
bisogna trascendere chi ci deprime. E questo superamento è fatica; per questo
Gesù dice: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta”. Perché parla della
“porta stretta”? Sembra che Dio si diverta oppure che abbia fatto male le cose.
Avrebbe potuto fare larga la porta che porta alla salvezza e stretta quella che
porta alla perdizione. Cioè noi con difficoltà dovremmo andare verso la
perdizione e invece come mai è stretta la porta che porta alla salvezza? Non è
che Dio abbia fatto male le cose! Che abbia fatto male a fare stretta la porta
che porta verso la salvezza. Siamo noi che non seguendo Dio, diventiamo sempre
più sensibilizzati verso le cose che portano che esaltano il nostro io.
Pinuccia: È dono di Dio però noi lo facciamo
nostro.
Luigi: Si, i doni che ci arrivano da Dio, noi
non li riceviamo da Dio e non li riportiamo in Dio. Siccome noi siamo stati
creati per diventare figli di Dio, se non testimoniamo lo Spirito di Dio, noi
diventiamo figli di altro. Ora, non è che Dio ci abbia fatti male, dandoci la
possibilità di diventare figli di altro, Lui ci ha fatti per diventare figli
suoi, ma per essere figli suoi, dobbiamo avere Lui come Padre; se io scelgo un
altro padre, divento figlio di quell’altro padre. Ma come fai a diventare
figlio di un altro padre? Proprio perché Dio ci ha creati per diventare figli
di -. Dio ci ha creati per essere a immagine e somiglianza Sua, ma se invece di
specchiarmi in Lui mi specchio nella creatura volgare, io divento volgare. Ma
come mai divento volgare? Perché sono stato creato per diventare a immagine e
somiglianza di colui in cui mi specchio. Dio mi ha creato bene perché mi ha
creato per diventare a immagine e somiglianza di Lui, a condizione che io mi
specchi in Lui. Ma se io mi specchio in altro, è sempre la stessa natura creata
buona da Dio, ma che diventa brutta perché anziché guardare Dio, ha guardato
altro.
Pinuccia: Sempre in quell’incontro, un altro
aspetto che si era aggiunto era il commento sulla frase di Gesù: “Io sono sceso per fare la volontà
del Padre mio e portare a compimento l’opera sua”. Conoscere la Verità è il compimento: il Cristo viene
per compiere la volontà del Padre per portare a compimento la Sua opera. Ma per
chi la porta a compimento? La porta a compimento in noi, perché sono gli uomini
che devono essere portati a conoscere il Padre. Il compimento sta lì, in noi.
Quindi questa frase la dice per noi, perché capiamo che non siamo creature
compiute, siamo creature non fatte, ma che Dio sta facendo; se noi ci lasciamo
fare. La tragedia si consuma in quanto ci crediamo già fatti. E allora non ci
poniamo più il problema del vivere ma solo quello del mangiare.
Luigi: Si, noi credendoci già fatti, e Gesù
rimprovera questa convinzione: di essere sani, di essere
giusti, di vedere, per cui dice: “Io
sono venuto per accecare coloro che credono di vedere; a rendere malati coloro
che si credono sani; a fare peccatori coloro che si credono giusti”. Per cui diciamo: “Signore, ti ringrazio perché non
sono come gli altri” e chi pensa così non è neanche entrato nel tempio di Dio, non è
giustificato. Questo per dire che noi possiamo anche credere di pregare ed
essere molto lontani da Dio. Perché la vera preghiera è un’altra. La vera
preghiera è lo sguardo del mendicante verso il suo Signore. Ecco, noi dovremo
sentirci mendicanti dell’Assoluto, di avere questa coscienza della mendicità,
di questo bisogno essenziale, perché senza di Lui non possiamo fare niente.
Ecco, allora abbiamo la creatura povera che chiede: “Signore, pietà di me che sono un peccatore”. Ecco, questo è pregare. Pregare vuol
dire: dipendere in tutto da Dio. Se noi arriviamo, per grazia di Dio, a far
dipendere tutto di noi da Dio, ecco che allora entriamo in questo silenzio
nostro che ascolta la Parola Eterna di Dio. Allora è lì che scopriamo che il
pensiero nostro è Pensiero di Dio; è la Parola Eterna di Dio. Ma
è in questa povertà nostra, in questo niente nostro, che si fa dipendente tutto
da Dio. Si fa dipendente al punto tale che anche il nostro pensiero è opera
Sua. Ho detto che la vera preghiera è sguardo a Dio: se uno guarda a Dio, si fa
tutto dipendente a Dio. Noi dipendiamo a ciò a cui guardiamo. Ecco che allora
cresciamo ad immagine e somiglianza di ciò a cui noi guardiamo. Guardando a,
diventiamo dipendenti da. Ad esempio guardando il sole, ci abbronziamo: però è
il sole che ci abbronza. Guardando Dio, siamo fatti da Dio.
Pinuccia: Ma come facciamo a guardare Dio se non
lo vediamo presente?
Luigi: Ho detto che la preghiera è la
continuazione del cammino della fede. Ora, la fede ci annuncia la Presenza di
Dio. Noi lo crediamo presente perché Lui si annuncia come Presente in noi: “Io sono presente in te”, e si annuncia
in un modo che noi non lo possiamo smentire. Noi non possiamo dire: “Tu sei un peccatore, per cui Dio non è
presente in te”; perché Dio, per natura, è presente ovunque. Io non posso
dire: “Dio qui è assente!”, non lo
posso sostenere, perché Dio è presente, Dio è presente in tutto. La creatura
non può far fuori Dio. Si, c’è la parabola in cui i servi dicono: “Facciamolo fuori dalla nostra
vigna”. Ma sostanzialmente
Dio è anche nell’inferno, Dio è dappertutto. La creatura, verso la Verità di
Dio, è impotente, perché la Verità di Dio è superiore alla creatura. La creatura può soltanto proclamare se stessa. La creatura può
dire che questo foglio bianco sia nero, ma il foglio resta bianco. La creatura
può dire: “Dio è assente”, ma Dio
continua ad essere presente. La creatura può bestemmiare dicendo: “Dio è assente”. Ora, per fede mi giunge
l’annuncio che Dio è presente. La fede mi porta questo annuncio. Quindi per
fede sappiamo che Dio esiste, che Lui è presente. Sapendo che Lui è presente,
ecco che, siccome ogni passaggio richiede la nostra partecipazione, sapendo che
Lui è presente, la sua Presenza ci sollecita alla partecipazione: ecco la
preghiera. Quindi è la fede ci conduce a pregare. Se noi non abbiamo fede, non
siamo condotti a pregare; perché se preghiamo, preghiamo male, non è la vera
preghiera.
Pinuccia: Quindi è uno sguardo nella fede:
guardiamo a Lui anche senza vederlo.
Luigi: La fede mi annuncia ciò che ancora non
vedo. Noi sappiamo che non potremmo pensare a Lui se Lui non si facesse pensare
da noi. Cioè se Lui non generasse in noi la sua Presenza, e il suo Pensiero,
noi ce lo potremmo sognare di pensare Lui; noi non ce lo immagineremmo nemmeno
il Pensiero suo. Se noi lo possiamo pensare, è perché Lui per primo, e quando
ancora non eravamo capaci a pensarlo, Lui ha generato il suo Pensiero in noi.
Per cui Lui dona Sé a noi prima che noi siamo capaci di ascoltarlo, fino a che
noi siamo capaci di pensarlo. È lì il rischio di Dio: che Lui si dona ad una
creatura che non è capace di ascoltarlo. Per cui davanti a chi non è capace di
riceverLo, si offre ad essere ucciso, a non tenerne conto. Eppure soltanto
donandosi, dà a noi la capacità, perché la capacità è dono Suo. Ecco per cui
c’è questo processo di discesa: “Nessuno
può salire se non Colui che discende”. Perché se noi possiamo salire (e per salire si intende
pensare Dio), è perché Dio per primo è disceso a noi; cioè noi saliamo con la
scala con la quale Lui è disceso; quando noi non avevamo ancora il desiderio
della scala. Quindi tutto è dono di Dio, ma noi davanti ad ogni dono dobbiamo
sempre corrispondere con questa adesione. Per cui, Dio mi annuncia che Lui è
presente, io rispondo con una adesione a questo annuncio. Se rispondo con
l’adesione, questo mi sollecita ad entrare in preghiera: ecco l’ascolto. Se
entro nell’ascolto di Dio, se io ascolto, Lui mi fa desiderare di vedere il suo
Regno, mi fa desiderare il possesso di Lui, di tutto ciò che è di Dio, di fare
Suo tutto ciò che è mio. Allora ecco la preghiera: “Signore discendi perché la mia vita non sia una noia, perché la mia vita non scompaia; vieni a prendere
possesso di tutto ciò che è mio”. Ma questo non è conseguenza della fede,
ma della preghiera. La preghiera alimenta la fede. Se noi rompiamo la catena, o
un certo anello, tutto si frantuma. Ma questa è opera nostra, perché siamo
infedeli, non restiamo. Per cui Dio si annuncia; se noi restiamo fedeli
all’annuncio abbiamo la fede; se noi restiamo fedeli alla fede, entriamo nella
preghiera; se noi siamo fedeli alla preghiera, invochiamo, desideriamo che Dio
discenda a prendere possesso di tutto ciò che è mio.
Pinuccia: Continuazione lettura del riassunto:
È Dio che parlando
ci ha creato e parlando ci porta a compimento; il presupposto è l’ascolto:
ascoltare Colui che parla con noi. Quindi, Gesù dicendoci questa frase: “Mio
cibo è fare la volontà del Padre mio, portare a compimento l’opera sua”, ci
rivela due cose:
-
1) che non siamo creature compiute;
-
2) che Colui che ci porta a compimento è Lui.
Quindi non staccarti da Lui, non
chiamare altri con il nome di “maestro” perché Dio solo è il tuo maestro; resta
in ascolto di Lui. La condizione per conoscere Dio non consiste solo nel leggere
il Vangelo, perché la parola di Dio richiede un superamento, richiede questo
contatto, questo ascolto, a entrare in questo silenzio in cui dice la Parola
Eterna. Per cui abbiamo due tipi di parola di Dio: la parola a livello nostro,
il Verbo incarnato, la parola che passa, la cui funzione è quella di farci
entrare nell’ascolto della Parola Eterna. Ma noi non possiamo entrare
nell’ascolto della Parola Eterna, se non arriviamo a questo silenzio di tutto
perché la Parola Eterna di Dio presuppone da parte nostra un “tutto silenzio”,
un “tutto ascolto”; perché non siamo più noi lì che parliamo. La parola che
passa, che transe, che ci dà da mangiare, è la parola in colloquio con Lui, ma
noi parliamo ancora, noi discutiamo. Ma questa è la parola che ci offre a noi
da mangiare per orientarci a quel grande silenzio di cui parla l’Apocalisse: “Prima della grande rivelazione di
Dio, ci fu in tutto l’universo il silenzio di una mezz’ora”. Quel “tutto l’universo” è tutto il nostro mondo che deve tacere; e questo silenzio
è la condizione per poter ascoltare questa Parola Eterna di Dio. Parola Eterna
che una volta ascoltata rimane per sempre in noi, ed è rivelatrice della sua
Presenza; per cui è a questo punto che diciamo che il silenzio di Dio è
Presenza di Dio, rivelazione della Presenza di Dio, perché ci dice: “Sono Io”, si fa toccare; ma questo
presuppone il silenzio di tutto.
Luigi: Però non possiamo dire: “Sento che è vero!”, come diceva prima
Emma; non si tratta di un “sentire”,
perché quando si ascolta dalla bocca di Dio la Parola Eterna, questa luce “si possiede”, ma non è un sentire. È
importante sapere che quella è la meta! Non dobbiamo accontentarci di “sentire” ma dobbiamo arrivare a
possedere quella luce, per vedere tutto in quella luce. Un test che possiamo
fare è questo: quando si possiede la Presenza di Dio, ad esempio, non si
possono più dire certe parole. Quando il Signore dona la sua Luce, diciamo
così, anche se volesse dimenticarla, non puoi più dimenticarla perché è
superiore a noi. Non dobbiamo più neanche preoccuparci di tenerla presente,
perché è una grazia che sovrabbonda, e sovrabbonda per la vita eterna.
Pinuccia: La Parola Eterna basta ascoltarla una
volta e rimane: è una scoperta ed è continua, perché per la vita eterna Lui
dice questo. È un crescendo in quanto poi in questa parola si raccoglie tutto e
allora tutto si intende nel suo significato. È una vita continua, ma ormai è un
punto fermo di conoscenza cioè si è ascoltato la Parola Eterna. La Parola
Eterna è la parola che non muta più, che non è più soggetta a mutamenti: è il
Verbo, il Verbo di Dio. Però questa Parola Dio la dice solo personalmente:
ecco, che ci fa veramente persona. È il nome segreto che dà ad ognuno di noi.
In quanto presuppone da parte nostra, e quindi presuppone tutte le lezioni
precedenti delle lezioni mangiate, questo silenzio di tutto; perché fintanto
che c’è qualcosa di nostro, non possiamo ascoltarla. Dio dice questa Parola, ma
noi non possiamo assolutamente ascoltarla, c’è un’incapacità assoluta ad
ascoltarla, di ricevere quella Parola lì e quindi di poter accedere alla
rivelazione della Presenza di Dio. Per cui quando andiamo alla ricerca della
Presenza di Dio, e ci mettiamo nell’impossibilità di poterla ricevere, di poter
ricevere questa rivelazione. Perché non abbiamo il senso della parola di Dio
che ci dice; non capiamo, non mangiamo, non abbiamo capito la parola di Dio;
cioè la mangiamo in tanti modi, in modi sbagliati: possiamo ingolfarci, cioè
possiamo fare cultura, possiamo fare indigestione, ma intanto non assimiliamo.
Invece quando abbiamo veramente capito, assimilato la parola di Dio, amiamo
entrare in questo silenzio che ascolta; che ascolta Dio solo, sapendo che la
rivelazione della Presenza di Dio ci viene solo dal Padre.
Luigi: La parola di Dio che giunge a noi, dopo
richiede, se noi l’abbiamo assimilata, richiede a noi questo
silenzio, questo amare, questo ascolto di Dio, a tu per tu. Questa Presenza di
Dio implica il silenzio. Dio non parla con parole umane, ma direi che il suo
silenzio è proprio una Presenza: ma è scoprire questa Presenza. Perché Lui ci
annuncia che è presente ma una cosa è il Suo annuncio e una cosa è constatare
la Presenza. Ma Lui vuole condurci a constatare questa sua Presenza. Questa
constatazione qui diventa per noi un Dono eterno, un dono che non va più via, è
una scoperta. Per cui c’è l’annuncio e c’è la scoperta di ciò che Lui ci ha
annunciato. Per cui possiamo dire: “Adesso
ti vedo con i miei occhi”, dice Giobbe. “Ne ho
sentito tanto parlare, ma adesso ti vedo con i miei occhi”. Prima Dio parla, e noi ne sentiamo
parlare, di tante cose di Lui, poi se noi lo ascoltiamo, se lo seguiamo, siamo
condotti a vederlo con i nostri occhi. Ma non con gli occhi fisici.
Pinuccia: In questo silenzio di tutto che ascolta
Dio solo, è una tappa successiva a questa opera di raccolta?
Luigi: Si, certo! “Prima della grande rivelazione ci fu un silenzio di
mezz’ora in tutto l’universo”.
Pinuccia: Si, ma io chiedevo, prima ancora di
questa mezz’ora di silenzio, c’è tutta un’opera di raccolta.
Luigi: Ah si, certo! Ed è un’opera
lunghissima!
Pinuccia: Volevo dire che non è che noi possiamo
improvvisare questo di silenzio.
Luigi: C’è tutta un’opera da parte di Dio in
cui ci educa a questo silenzio. Diciamo che dobbiamo fare
tanti tentativi in questo silenzio. Perché quando cerchiamo di entrare in
questo silenzio, siamo immensamente portati via, disturbati da tutti i rumori
che abbiamo dentro di noi, e prima che la nostra anima sia pacificata in questo
silenzio, per poter guardare, ascoltare Dio, per entrare in preghiera, ci vuole
uno sforzo enorme! È lì che si forma la pazienza! Comunque teniamo sempre
presente che è il Signore che ci conduce, non siamo noi con i nostri sforzi,
perché è Lui il Maestro. Per cui prima di tutto il Signore ce lo promette, e ce
lo promette quando è ancora lontano, poi a poco per volta, se noi siamo attenti
a Lui, ci conduce a questo ascolto. Non siamo noi da soli che possiamo
arrivare. Tu fai solo attenzione a Lui e poi Lui ti guiderà. Dio è un Infinito,
e come potremo arrivare a Lui? Ce lo possiamo sognare! Se noi siamo superbi,
allora Dio ci lascia stare nella “bagna”
per farci toccare con mano che: “Senza
di Me fate niente”. Ma
quando siamo convinti che: “Senza di Lui
facciamo niente”, allora comincia a condurci. “Adesso che hai capito, metti il piede qui, metti il piede là”,
dice il Maestro: “Affronta la parete,
vedrai che poco per volta, arriverai alla meta”. A quel punto potrò dire: “Signore è stato tutto dono tuo”.
Bisogna arrivare ad avere questa consapevolezza della dipendenza da Dio;
altrimenti guai se noi potessimo dire: “Qui
sono io”, oppure: “Questa è opera
mia” perché pensando così, ci escluderemmo dal Regno di Dio, rovineremmo
tutto. Allora ecco perché Dio prolunga il tempo dell’attesa. “Perché Dio tarda così a rivelarsi?”,
perché vuole farci toccare con mano che tutto è dono suo, ed è dono gratuito,
il poter entrare nel suo Regno.
Pinuccia: Già capire che tutto è dono Suo, è già
opera Sua perché una cosa è credere all’annuncio, un’altra è vedere il Regno di
Dio.
Luigi: Certo! È tutto dono Suo: il vederlo
arrivare da lontano, il sospirarlo, il desiderarlo, il sognare e il non poter
arrivare, ma è tutto dono Suo! Anche il non poter arrivare! Ci fa aspettare, in
modo da convincerci, per farci toccare con mano che quando arriverà, sarà
veramente dono Suo. Il popolo di Dio si forma in terra di schiavitù, si forma
in contrasto con il mondo. Quanto più lunga è l’attesa, se uno è fedele, tanto
più sarà forte il legame dell’unione con Dio: quindi anche l’attesa è in
funzione dell’incontro.
Pinuccia: Dunque questa opera di raccolta sfocia
sempre in questo silenzio.
Luigi: Si, è come quando si va in montagna,
che si ammira il panorama: uno sente il bisogno di fermarsi per ammirare quanto
sta vedendo. Perché si va in alto? Per poter contemplare, per poter vedere,
perché si sa che dall’alto si vede meglio. Quindi non cercare di vedere quando
sei in basso, se vuoi contemplare, ubbidisci al Signore, vai in alto: dall’alto
vedrai. Ecco perché il Signore dice a Pietro:
“Non pretendere adesso di capire, lasciati lavare i piedi, poi dopo capirai”,
quindi: “Accetta!”.
Pinuccia: La parola eterna, rivelatrice della
Presenza di Dio in noi, procede dal Padre e solo dal Padre è lì allora, siccome
procede dal Padre, che troviamo la comunione col Figlio, e passiamo alla
situazione di figli adottivi perché due cose che procedono da un Essere solo,
si fondono immediatamente e formano una cosa sola: ecco il processo di
comunione per cui due cose uguali non possono permanere distinte, ecco perché
si sentono una cosa sola.
Luigi: Si, diciamo che non posso stare
separate. Il principio di comunione è questo: è avere un Padre in comune! È
avere un Padre in comune che forma la comunione! La stessa Fonte, oppure la
stessa Meta, perché è la Meta che unisce.
Pinuccia: Concludendo, la parola è veramente
capita quando diventa un vivere per-. Questa è la conclusione di tutto
l’argomento. Sant’Agostino dice: “Non mi
cercheresti se non mi avessi già trovato”; certo! Perché è Dio che tutto
opera. La grande rivelazione sta proprio lì: noi cerchiamo il Signore ma ad un
certo momento proprio la parola Eterna di Dio ci dice che quella ricerca è già
Sua Presenza. È una scoperta personale; quella che scopriremo ascoltando la parola
di Dio è Colui che scopriremo come essere sempre stato con noi: non è che
scopriamo una cosa nuova! È una scoperta nuova e antica allo stesso tempo. Il
trovare è sempre opera sua. Dato che noi siamo sempre proiettati verso
l’esterno, possiamo essere salvati soltanto verso l’esterno. Allora Dio si fa
esterno. È un assurdo perché Lui è interno, però si fa esterno per ricondurci a
fare attenzione a Lui che è interno e ci conduce in quel silenzio in cui si può
ascoltare la parola Eterna. La vita eterna la possiamo avere soltanto se
ascoltiamo questa parola Eterna di Dio; ma fintanto che ascoltiamo la parola
che “transe”, che passa, noi non siamo nella vita eterna. Ma anche questa
parola che “transe” è opera di Dio, perché noi siamo transitori, per raccoglierci
in questa temporaneità e portarci nell’eternità, se noi ascoltiamo. Se
ascoltiamo l’annuncio che la parola che transe ci reca (e guai se Dio non
parlasse). Dopo questo c’è tutta una serie di domande e risposte su un
argomento molto bello. Noi molte volte siamo in preda a dei timori; siamo
sicuri di superare l’io oppure che nella nostra ricerca di Dio non si insinui,
non si infiltri l’io, o una manifestazione dell’io? Il Pensiero Dio è una
proiezione del nostro io? La risposta è che con Dio non bisogna avere paura
perché dal momento che noi ci preoccupiamo del nostro io, già stabiliamo un
principio dell’io autonomo, ci stacchiamo da Dio.
Luigi: Dio si annuncia nella fede, non siamo
noi che pensiamo Dio. Già il pensare Dio è un’azione di ritorno, la prima
azione è sempre di Dio. Dio si annuncia, e già il concetto stesso di Dio, ci
annuncia che Lui è il Creatore di tutto. Per cui non possiamo dire: “Sono io che penso Dio”.
Rina: Sei solo tu che sai se è Dio che ti
motiva o se è il tuo io.
Luigi: Certo, perché il motivo che ci guida,
solo noi lo sappiamo. Se io sono malizioso, la malizia parte dall’io, la colpa
è mia in quanto dimentico Dio, trascuro
Dio. Se invece io temo, ho paura, guarda che anche in questa tua paura, tu vedi
l’opera di Dio.
Pinuccia: Dobbiamo accettare da Dio anche questa
paura.
Luigi: Si, perché tutto ciò che esiste, tutto
ciò che accade, tutto ciò che avviene dobbiamo sempre prenderlo dalle mani di
Dio perché Dio è l’Autore di tutto. Il principio di tutti i nostri mali sta
nell’attribuire alla creatura quello che invece viene da Dio; sta in questo
separare, in questo dividere. Infatti Gesù dice: “Non dividere ciò che Dio ha unito” perché tutte le opere di Dio sono unite
a Dio, vengono a noi da Dio e devono essere mantenute unite a Dio, perché sono
intellette solo in Dio. La paura nasce dalla creatura che pensa a se stessa, ma
già questa sensazione di paura è opera di Dio per avvisarti che hai dimenticato
Dio. È il semaforo rosso che scatta se hai intrapreso una via pericolosa, è un
richiamo da parte di Dio.
Pinuccia: Quindi è già un perdono di Dio.
Luigi: Dio perdona sempre, è tutta
misericordia di Dio.
Pinuccia: Si, ma se noi accettiamo gli stessi
sbagli da Lui, se vediamo l’opera di Dio, è già segno che Dio ci perdona.
Perché altrimenti non ce ne accorgeremmo nemmeno, se Lui non ci avesse già
perdonato.
Luigi: Logico.
Pinuccia: Poi un’altra domanda era: “Ma noi come facciamo ad avvicinarci a Dio
con quella nettezza, con quella purezza?” Noi non dobbiamo avere questo
timore, anzi: avvicinati a Dio con tutta la tua miseria, tutta la tua povertà;
Egli ti libererà, ti purificherà, Lui ti spianerà la strada.
Luigi: Si, come Zaccheo che si è avvicinato a
Gesù con tutta la sua povertà addosso. Tant’è che quando Gesù è andato a casa
sua, tutti brontolano, tutti gridano: “Perché è andato ad alloggiare da un peccatore?”. Eppure, proprio perché Zaccheo si è
avvicinato a Gesù con tutta la sua povertà, ma con il desiderio di vederlo,
Gesù sovrabbonda dicendo: “Oggi
verrò a mangiare a casa tua”. Zaccheo ha ottenuto molto di più di quello che osasse sperare perché lui
voleva solo vederlo e Gesù è andato a mangiare a casa sua. Per cui non bisogna
aver paura di cercare il Signore con tutta la nostra povertà, con tutta la
nostra miseria addosso, perché il Signore è venuto proprio per i poveri, per i
malati, per i peccatori; non è venuto per i giusti. Non ha detto: “Prima lavatevi, purificatevi e poi io vi
incontrerò”; no!
Pinuccia: Quello è l’unico modo per sperimentare
il perdono.
Luigi: Non so se sia l’unico modo. Quello che
è certo è che Dio vuole essere cercato.
Pinuccia: Un altro pensiero è questo: il
superamento dell’io va inteso come l’occuparci di Dio. Occupandomi di Dio,
supero il mio io.
Cina: Siamo sugli alti pascoli. Potessimo anche
solo trattenere un pensiero di tutta questa conversazione. È tutto da
raccogliere!
Luigi: Nino diceva, risentendo la
registrazione a casa degli incontri della domenica che è incredibile quanti
pensieri si perdono! Poi risentendo la cassetta, scrivendo le dispense, quanti
pensieri si ritrovano!
Pinuccia: È molto utile fare i riassunti, perché
è proprio riassumendo un pensiero che ci si accorge di non riuscire a farlo
perché non si è capito a fondo l’argomento. Solo in quel modo capisci di non
aver capito.
Luigi: È molto facile ascoltare, registrare,
ma poi è molto difficile sintetizzare ciò che uno ha capito in un pensiero.
Pensieri conclusivi:
Cina: Dobbiamo ascoltare questa Parola Eterna
in noi.
Luigi: Si, quando la ascoltiamo è vita eterna,
non passa più: lì è la nostra immortalità. È la parola di Dio che forma in noi
l’eternità.
Pinuccia: La generazione del Verbo.
Luigi: Dio dice solo: “Si”; non dice: “Si” e “No”; dice solo: “Si”. Quando ci ha chiamati per nome, chi ha chiamati eternamente
per nome. Non dice: “Ti ho chiamato e
adesso non ti chiamo più”. Dio non è come noi che un momento siamo e un
altro non siamo più.
Silvana: Ascoltare la Parola Eterna …
Luigi: … che richiede da noi il silenzio di
tutto.
Emma: Vedere il Pensiero di Dio.
Luigi: Quando Lo vedremo, entreremo nella vita
eterna, vedremo la vera Luce.
Rina: Ascoltare con attenzione perché si
formi in noi la capacità di conoscere Dio. Se noi siamo figli delle nostre
opere …
Luigi: Si, il Signore ci fa toccare con mano
il bisogno che abbiamo di Lui perché constatando la nostra miseria, si forma in
noi il bisogno di Lui. “Senza di Me fate niente”, toccando con mano il “niente”
che faccio, si forma in me il bisogno di Dio.
Pinuccia: Questa necessità dell’ascolto perché il
Padre possa generare in noi il suo Verbo, questa Parola Eterna. L’importanza
dell’ascolto, non solo in quei momenti in cu mi posso fermare ad ascoltare la
parola di Dio, ma anche nella giornata. Prolungare questo atteggiamento di
ascolto il più possibile.
Luigi: Dobbiamo stare in ascolto anche quando
si parla.