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«Molti samaritani di quella città credettero in Lui a motivo delle parole della donna che attestava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto,  noi stessi abbiamo udito e abbiamo visto che Egli è veramente il Salvatore».  Gv 4 Vs 39-42 Primo tema.


Titolo:  “Molti samaritani credettero in lui”


Argomenti: Il criterio per credere o meno – La passione che portiamo nel cuore ci fa leggere gli avvenimenti – La trasformazione della samaritana – L’interesse per Dio apre il nostro orecchio all’ascolto di Dio – Il mezzo attraverso cui ci giunge la Parola – La diagnosi della tristezza della vita – I samaritani e gli ebrei – La vera fede – Mandati da Dio – Non dividere ciò che Dio ha unito -


 

21/Agosto/1977


Dall'esposizione di Luigi Bracco:

Nella prima ora teniamo presente che il Signore in tutte le sue parole, ha lezioni personali per ognuno di noi, perla nostra vita spirituale; quindi tutte le scene, tutte le parole devo sempre interpretate, riferite alla nostra vita personale e fintanto che non intendiamo che cosa il Signore ci voglia dire in quella frase, in quella scena per la nostra vita personale, non abbiamo ancora capito la parola del Signore, la parola di Gesù. Quindi le parole non vanno intese in senso storico, in senso scientifico, in senso letterario perché Dio parla personalmente.

Quindi il tema di oggi è: “Molti samaritani di quella città credettero a lui a motivo delle parole della donna”. Teniamo presente quale lezione il Signore ci vuole dare presentandoci questa scena: “Molti samaritani che credono nella parola della donna”. C’è da chiederci se è stato un motivo di forza o è stato un motivo di debolezza il credere ad una donna e ad una donna di quel genere come era la samaritana. Per quale motivo il Signore ci presenta proprio questa scena? Ricordiamo ad esempio nella risurrezione di Gesù che i discepoli non credono ai messaggi delle donne; Gesù stesso invita a non credere al sentito dire o per lo meno invita a non fidarsi del sentito dire. A Pilato chiede: “Queste cose le dice perché altri te l’hanno detto o perché tu sei convinto?”. Il Signore insiste molto: “Perché non giudicate da voi stessi quello che è giusto?”. Qui abbiamo questi samaritani che credono alle parole della donna.

Un secondo punto da tener presente è questo: quale lezione Gesù abbia voluto darci nel mandare questa donna samaritana a recare il suo messaggio. Questa donna che ha avuto cinque mariti più uno, che era quello che era, perché Gesù usa quel mezzo? Certamente in quanto è avvenuto e in quanto ci viene riferito ha una sua lezione particolare per noi. Oggi ci viene presentato; non siamo noi che abbiamo aperto il vangelo a questa pagina ma è il Signore che ce l’ha fatta aprire, che ci ha fatto giungere a questo punto. Dall’eternità il Signore ha determinato che oggi, in questo momento, ci fermassimo a questa scena. Che cosa ci vuol dire?

Nella seconda ora terremo presente che i samaritani, all’invito della donna, escono dalla città, vanno incontro a Gesù, lo invitano a fermarsi.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Cina:: La samaritana invita anche me a credere in Gesù.

Luigi: Con questi samaritani che credono alla donna quale lezione Dio ci dà; è una lezione positiva o negativa?

Cina:: Positiva perché hanno creduto al messaggio.

Luigi: Hanno creduto attraverso quale mezzo?

Cina:: Attraverso le parole di questa donna.

Luigi: E non ti dice niente questo? La parola di questa donna. Nota che i discepoli di Gesù, ed erano i discepoli di Gesù, non credono alla resurrezione di Gesù, per quello che dicono le donne. E le donne erano Maria di Magdala, ad esempio, e altre donne. Infatti a Emmaus dicono: “è vero che qualche donna dice di averlo visto; ma Lui non l’hanno visto”. Ora, i discepoli di Gesù non credono, invece i samaritani, in terra pagana, credono ad una donna e a che tipo di donna. Che lezione Dio vuole darci attraverso questo? Gesù rimprovera i suoi discepoli che non hanno creduto. Che lezione ci può dare questo?

Cina:: Che quando non si crede …

Luigi: Ma si deve credere a tutto? Si deve credere ad ogni cosa che giunge a noi? Quale criterio dobbiamo avere per giudicare quello a cui dobbiamo prestare fede o meno. Dobbiamo credere a qualunque cosa ci giunga? San Paolo dice: “La carità crede tutto”.

Emma: La caratteristica di questa donna è che è smarrita nel mondo e invoca il Messia; per questo Gesù si rivela a lei e le dà il messaggio da portare agli altri.

Luigi: Questi samaritani ci danno una lezione di umiltà e di rispetto della persona: accolgono il messaggio anche attraverso una persona del genere.

Silvana: Se in noi c’è l’attesa del Messia crediamo a qualunque persona ci parli di Lui.

Luigi: Quello che dobbiamo tenere presente è questo: il problema non è che i samaritani credettero alla donna, ma che i samaritani credettero al Messia, credettero in Cristo a motivo della donna. La cosa è diversa. “Credettero in lui” non credettero alla donna; credettero in lui a motivo delle parole della donna. Se credettero in lui è perché ce l’avevano dentro; la donna è stato il fattore scatenante che ha portato a rivelare quello che avevano nel cuore: l’attesa.

Silvana: Quindi tutto va accolto da Dio e tutto va riportato a Dio.

Luigi: Si, ma qual è il criterio per credere? Se tutto ci parla di Dio, come possiamo selezionare quello che una cosa o una persona ci dice di Dio? Noi di fronte al parlare delle creature, cogliamo tante cose: c’è la creatura che ci devia verso le passioni del mondo, che ci esalta le cose del mondo. Ora, quand’è che noi vediamo quello che si dice di Dio se in tutto si parla di Dio? la condizione è questa: prima di tutto dobbiamo avere in noi la passione per Dio, il desiderio di Dio perché ognuno di noi legge fuori di sé per quello che ha dentro di sé. Se uno ama una passione del mondo, in tutte le cose che gli giungono dal mondo, cerca di leggere quella sua passione e approffitta di tutte le informazioni che gli giungono dal mondo, per cogliere lezioni per la sua passione. Soltanto chi ha dentro di sé la passione per Dio, in tutte le cose che gli giungono, cerca quello che gli dicono di Dio; ma allora è lui che va alla ricerca, allora lui trova; un altro non lo trova. Ogni cosa che giunge a noi è un frutto; il frutto è costituito dalla buccia, dal guscio e dall’interno che è la polpa. Ogni fatto che ci arriva è costituito da una superficialità, da un fatto apparente e da un fatto interno. Noi generalmente ci fermiamo all’apparenza, a quello che si dice nel mondo e questo è il pensiero del nostro io. Fintanto che siamo nel pensiero del nostro io, siamo condotti a fermarci all’apparenza delle cose e non andiamo oltre. Chi ha amore per l’eternità, per Dio, per le cose di Dio, non si ferma all’apparenza ma cerca in ogni fatto, va a fondo: ecco l’amore alla sapienza; va a cercare la lezione di Dio in quella cosa. Crede in Dio, non crede alla cosa.

Silvana: Non dobbiamo giudicare ma tutto deve essere motivo di ascolto.

Luigi: Noi cosa ci saremmo aspettati in questa scena? “Quei samaritani non credettero al Messia a motivo di quella donna”; invece la situazione è rovesciata. Proprio a motivo di una tale donna, quei samaritani non dovevano credere: invece hanno creduto. Questo ci fa capire che questi avevano dentro l’amore per Dio perché altrimenti, naturalmente, se si fossero fermati al mezzo (perché noi generalmente ci fermiamo al mezzo), non avrebbero creduto. Se una persona si presenta a me con certi numeri, merita una certa fede; ma una persona che è un ubriacone, un carcerato, una creatura insignificante, anche se reca a noi un messaggio di Dio, viene da noi declassato perché considerato non degno. Ecco l’errore fondamentale. Siccome quella samaritana era una prostituta, se non avessero avuto l’amore di Dio dentro di loro, non le avrebbero creduto: “Ci vogliono dei santi per parlare del Messia; ci vogliono dei profeti”, non un essere squalificato. Invece no! È proprio attraverso la debolezza della creatura che si manifesta la gloria di Dio, la grandezza di Dio e si rivela il cuore. Se non abbiamo amore nel cuore, ci fermiamo all’apparenza; se viene a noi un essere grande, importante, gli diamo fiducia; se invece arriva a noi un povero non gli diamo fiducia. Ma Dio ci dirà: “Ma ero Io in quel povero, in quell’essere più umile, più povero, più insignificante che parlava a te e tu non hai visto. Come mai?”.

Pinuccia: Avremmo dovuto aspettarci che i samaritani non credessero. Però hanno avuto un motivo per credere: hanno visto il cambiamento in quella donna.

Luigi: Eh già! Il motivo è stato quello! Credettero a motivo della trasformazione che che è avvenuto in quella donna. “A motivo di” ma non credettero alla donna, credettero in Cristo. Quindi noi non dobbiamo porci il problema: quale criterio dobbiamo avere per credere a uno o all’altro? No, tu devi credere in Dio, solo in Dio.

Eligio: Hanno creduto a motivo del cambiamento della donna?

Luigi: Non per il cambiamento di per sé ma per la validità dell’argomento perché ogni cosa arriva a noi per l’argomento, non per il mezzo. “A motivo di” vuol dire che c’è stato un motivo scatenante. Ricordiamo che quella donna era conosciuta nel suo paese come “prostituta”, quindi come una donna declassata. Quindi i samaritani credettero in Cristo: quello è stato il motivo che ha fatto rivelare quello che loro avevano dentro il cuore. Attendevano, come anche lei attendeva il Messia. Perché ad un certo momento ha rivelato il bisogno del Messia e allora Gesù le dice: “Sono Io!”. Lei ha provocato anche negli altri in terra di Samaria, l’attesa del Messia; perché quello che ha provocato a lei la rivelazione della presenza del Cristo, è stata a sua volta la causa della rivelazione nei samaritani, dell’incontro con Cristo.

Eligio: Si, questo è chiaro però io volevo dire che più per la mutata condotta della donna, è per la validità dell’argomento che si è scatenato l’interesse da parte dei samaritani.

Luigi: Certo, perché non c’è nessun argomento esterno valido per portarci nella fede se la fede non è nel nostro cuore. Se il nostro cuore non è aperto a Dio, non c’è nessun argomento esterno valido. Occhio non vede, orecchio non intende se il cuore non ha interesse. Non c’è sordo più sordo di chi non vuol sentire, cioè che ha interesse per. Chi apre il nostro orecchio ad udire e il nostro occhio a vedere, è il cuore, è l’interesse per. Ora, soltanto se in noi c’è interesse per Dio, allora riconosciamo i messaggi di Dio in tutte le cose. Allora torniamo alla carità che crede tutto; cos’è la carità? Questo interesse, questo amore per Dio. Questa carità crede tutto perché crede Dio; riceve messaggi da Dio in tutto. Comunque non è la validità del mezzo che dà valore all’argomento, ciò che si dice. La validità, il messaggio che Dio ci manda attraverso questa donna samaritana che porta l’annuncio, è che la verità non è condizionata dai mezzi che usa per arrivare a noi. Non è che Dio per arrivare a noi deve adoperare dei mezzi puri, dei mezzi grandi! Dio arriva a noi anche attraverso i mezzi più scadenti perché Dio è tanto libero da arrivare a noi anche attraverso il male, anche attraverso il peccato. Dio raccoglie anche dove non ha seminato. Cosa vuol dire? Che Dio usa dei mezzi per raccogliere le anime, che sono il contrario di quello che ci aspettiamo! Usa anche il demonio!

Franca: Questo episodio mi ha fatto pensare che la vita è un cammino verso una fede profonda.

Luigi: Cioè la fede è movimento verso, non è fede in quanto tale. Questi samaritani si sono mossi a motivo delle parole della donna e poi cosa hanno sperimentato? Quindi la fede è fede in quanto ci mette in movimento non in quanto ci fa credere alla cosa: quella non è fede. Se avessero creduto alla donna e fossero rimasti in piazza, allora avrebbero creduto alla donna, non avrebbero creduto in Cristo. Invece loro si sono mossi: la differenza sta lì. La vera fede è fede in quanto ti mette in movimento, suscita un interesse per vedere una cosa che ci è annunciata. Perché la fede ci annuncia una cosa da vedere e ci mette in movimento verso quella. Se noi crediamo cioè aderiamo a questo annuncio, ci mettiamo in movimento e non abbiamo requie, non ci diamo pace fintanto che non arriviamo noi stessi a vedere quello che ci è stato annunciato. Allora lì abbiamo la fede, la fede che è cammino verso. La fede che conclude in carità, in contemplazione e deve mantenere la speranza di arrivare là. Una fede che non spera di arrivare alla conoscenza, alla contemplazione, alla carità di ciò che ti è stato annunciato, non è fede, è solo parvenza, perché manca la sostanza.

Franca: La samaritana ha ascoltato la parola di Gesù..

Luigi: Ed è arrivata a scoprire il Messia, Gesù. Ed anche i samaritani sono arrivati all’incontro col Cristo.

Franca: Ma i samaritani avevano già prima questo desiderio di conoscere Dio?

Luigi:  Se c’è in noi una passione contraria, rifiutiamo l’annuncio. Implicitamente la nostra anima desidera conoscere Dio, siccome è creata da Dio, anzi l’anima è creata direttamente da Dio, ciò significa che l’anima di per sé desidera la verità, desidera Dio. Noi siamo sostanzialmente un desiderio di Dio. Sant’Agostino dice che tutta la nostra tristezza, il nostro cuore è triste, soffre, geme fintanto che non arriva a conoscere Dio perché tutto ciò che è creato da Dio sospira Dio. Anche se noi non lo sappiamo perché per fare la diagnosi di noi stessi, per conoscere noi stessi (noi siamo un mistero a noi stessi), per fare la diagnosi di quello che sentiamo, di quello che proviamo abbiamo bisogno di essere con Dio, di essere nella verità, di essere illuminati. Se noi non siamo illuminati proviamo, sentiamo la tristezza della vita, però non possiamo fare la diagnosi di questi mali; soltanto nella luce di Dio capiamo: “Ti manca questo! Hai bisogno di incontrare questo!”. Lontano da Dio sentiamo la nostalgia di Dio però non possiamo fare la diagnosi; possiamo però avere delle passioni contrarie: possiamo avere come centro della nostra vita il pensiero dell’io, le passioni del mondo. Queste passioni contrarie ci impediscono di conoscere Dio allora abbiamo bisogno delle lezioni di penitenza del Giovanni Battista, di tutto l’Antico Testamento che ci invita alla giustizia essenziale: “Togli io tuo io dal centro; togli gli interessi, le passioni del mondo e metti il Pensiero di Dio al primo posto”, perché questa è la condizione per poter incontrare il Messia. Altrimenti non lo incontrerai anche se Lui si facesse vedere tutti i giorni da te. L’occhio non può vedere se il cuore non ha interesse; il cuore nasce all’interesse per in quanto fa la giustizia essenziale, riconosce che noi non siamo Dio, che Dio è un altro e che per giustizia lo dobbiamo mettere al di sopra di tutto nella nostra vita. Gesù dice: “Nessuno può venire a me se non è attratto dal Padre” cioè nessuno può andare al Cristo se non ha interesse per Dio. Possiamo anche credere di andare al Cristo ma ci andiamo male. Soltanto se siamo attratti da Dio, se abbiamo interesse per Dio, allora andiamo bene al Cristo perché noi andiamo al Cristo chiedendogli di condurci a quella meta, a quel fine che è la conoscenza del Padre che sospiriamo perché non sappiamo come fare. Allora Lui diventa il nostro Maestro che ci conduce là dove noi vogliamo andare. È necessaria la giustizia essenziale che nessuno può fare al posto nostro, dentro di noi; questo orientamento. Questo orientamento Dio ce lo dà, perché Dio attrae tutti: “Dio vuole che tutti si salvino” però noi non dobbiamo disorientarci nel pensiero del nostro io. Il pensiero del nostro io ci porta “naturalmente” ad esteriorizzarsi nelle passioni del mondo, (“principe di questo mondo”) per cui diventiamo insensibili alla parola del Cristo, al messaggio del Cristo; perché chi ha interesse per le cose del mondo non trova più in Cristo l’aiuto per arrivare al fine. L’aiuto Cristo lo dà a coloro che vogliono arrivare al Padre: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me”. Ma è sottinteso che l’anima voglia arrivare al Padre.

Franca: Il Signore scende al nostro livello…

Luigi: Certo, il Signore scende a incontrarci là dove noi ci troviamo; Lui non chiede prima: “Sali sul monte e là mi troverai”. Scendendo al nostro piano poi ci porta al suo piano. L’incarnazione ha proprio questo scopo: Dio si porta al livello in cui si trova l’uomo, qualunque livello, fosse anche nell’abisso più nero, Dio non ha difficoltà a sorprenderlo. L’importante è che l’uomo aderisca, che lo segua, perché Dio non sta, il Verbo non sta dove è l’uomo. Il Verbo si abbassa fino all’uomo poi sale, cammina.

Amalia: La parola di Dio mi arriva da ogni cosa, anche da ciò che è carico di debolezza.

Luigi: Fintanto che siamo legati al mezzo di trasmissione, non siamo a posto con lo spirito di Dio. Soltanto il giorno in cui ci accorgiamo che abbiamo la possibilità di ascoltare le parole di Dio attraverso qualsiasi mezzo ci giungano, allora vuol dire che siamo in sintonia con lo spirito di Dio.

Eligio: I samaritani rappresentano l’anima caratterizzata da una passione essenziale: quella della verità di Dio.

Luigi: Quindi il samaritano rappresenta il povero rispetto agli ebrei, ai farisei perché non aveva il tempio di Gerusalemme, non aveva regole, non aveva tradizioni. Ma proprio questo povero era più aperto a Dio rispetto al popolo ebreo. Perché il nostro io, ecco la fregatura dell’io, ad un certo punto si sposa alla tradizione, all’abitudine e diventa maestro, si crede giusto: “Signore, io ti ringrazio perché non sono come gli altri”. Intanto gli altri sono aperti alla verità, a Dio e noi che ci riteniamo giusti, e per questo ringraziamo il Signore perché non siamo come gli altri, siamo chiusi alla verità stessa.

Pinuccia: Il Signore ci dice: “Giudicate da voi stessi quello che è giusto”.

Luigi: La fede è vera soltanto se ci mette in movimento verso l’esperienza personale della conoscenza di Dio; se “sta” non è più fede. Ma se non crediamo a tutto quello che giunge a noi, se poniamo delle condizioni: “Io voglio sperimentare Dio nel modo che dico io” e rifiutiamo tutti i messaggi che il Signore ci manda, non arriveremo mai alla meta perché è Dio che ci conduce. È Dio che ci conduce, non siamo noi che arriviamo. È Lui che sceglie i mezzi che ritiene validi, non quelli che scegliamo noi. Non siamo noi che facciamo la strada: è Lui che fa la strada a noi. Dobbiamo sempre dire: “Sei tu Signore che mi hai portato, che mi hai fatto fare il cammino”. Fintanto che possiamo dire: “Sei tu Signore” noi entriamo nel regno di Dio. in caso diverso non possiamo fare a meno di dire: “Sono io che ho fatto la strada, sono io che ho scelto i mezzi” allora restiamo fuori. Allora: “Invano busserete: non vi conosco! Perché io ti mandavo quel massaggio e tu ne volevi un altro”. Nell’amore, quando c’è la pretesa, c’è il fallimento perché l’amore riceve, non pretende. Come pretende fa svanire completamente l’amore. Perché l’amore vuol dire essere pensati dall’altro. Essere pensati dall’altro vuol dire entrare nell’ordine dell’altro. Quando pretendo, voglio subordinare l’altro alla mia pretesa: finito, non hai più l’amore. È la strumentalizzazione dell’io. Implicitamente ci autoeleggiamo maestri per cui diciamo: “Signore, io ti credo se tu entri da quella porta”; subordiniamo la venuta di Dio ad una certa condizione dettata da noi. Per cui: “Se tu mi dai questo segno io ti credo, ma se tu non scendi dalla croce io non credo” noi vogliamo che Dio arrivi a noi alle nostre condizioni. “Nessun segno sarà dato a questa generazione” e qual è questa generazione? Quella che pretende di subordinare la verità a se stessa. Questa è quella generazione che non può ricevere segni. Tutto è segno di Dio, tutto. Vediamo in questo episodio che Dio manda una prostituta; la prostituta è un segno di Dio. Dio manda a chiamare tutto un popolo: “Guardate che la messe è matura”. Però guai se pretendiamo dei segni allora più niente diventa segno.

Pinuccia: Come quando uno va a scuola e non capisce niente.

Luigi: Sarà il maestro che si adeguerà all’allievo; siccome vede che non capisce, scende al livello dell’alunno. Purchè lui ascolti! La condizione è accogliere; attraverso qualsiasi mezzo perché Dio parla in tutto. Non dobbiamo pretendere che Dio parli soltanto attraverso qualcosa.

Pinuccia: Dobbiamo tenere presente lo spirito di Dio per poterlo capire.

Luigi: Ma lo spirito di Dio parla in tutto. La nostra anima, già per natura, è unita a Dio e l’uomo non deve dividere ciò che Dio ha unito. Quando Gesù dice: “L’uomo non divida ciò che Dio ha unito”, siccome le parole di Dio sono sempre da intendere sul piano spirituale, noi crediamo che si riferisca solo al matrimonio, però le parole di Dio hanno un valore spirituale, un valore eterno. Quindi come valore eterno Dio dice: “L’uomo non divida ciò che Dio ha unito”; che cosa Dio ha unito? Dio ha unito a sé soprattutto la nostra anima; quindi la nostra anima, essendo desiderio di Dio è unita a Dio: l’uomo non deve dividere la sua anima, il suo desiderio, da Dio. Come non dobbiamo dividere i segni di Dio, le parole di Dio da Dio: “Date a Dio quello che è di Dio”. Tutte le cose vanno sempre tenute unite a Dio. Questo è il dovere di ogni creatura: pagana o non pagana. Qualsiasi creatura è tenuta a non attribuire a sé l’universo, il mondo, la vita oppure il suo piccolo mondo. Perché niente è nostro: Tutto è di Dio. allora, se tutto è di Dio riferisci sempre ogni cosa a Dio: accoglila da Dio, ringrazia Dio, adora Dio in tutto. Dio ha creato l’uomo su questo piano; Dio ha creato l’uomo in dialogo con Lui e l’uomo deve mantenersi in questo dialogo. Non deve rompere questo dialogo; quando l’uomo si considera autonomamente divide la creatura dal Creatore: crea divisione.

Pinuccia: Se l’anima è desiderio di Dio, quando non è unita a Dio che cos’è?

Luigi: È desiderio di Dio ma non lo conosce ancora; quindi è desiderio di verità, di assoluto. Quando non è orientata a Dio, siccome l’anima ha la possibilità di pensare a se stessa avendo la coscienza di sé, quando mette il suo io al centro, devia in altre passioni perché tende a proiettare, sempre con il desiderio di Dio, la passione di assoluto sulle creature. Quindi se desidera una creatura, vuole che quella creatura sia assoluta come Dio. Per cui nelle nostre passioni, noi siamo sempre una passione per Dio, noi siamo sempre dei cercatori di Dio, però possiamo proiettare la passione per Dio, ad esempio, verso il denaro: vogliamo che il denaro sia come Dio, assoluto come Dio, stabile come Dio, sicuro come Dio. Tutte le nostre fatiche di lavoro sono tali perché cerchiamo di rendere Dio ciò che non è Dio; cerchiamo di assicurarci un capitale assoluto che ci dia una sicurezza come ce la dà Dio; proiettiamo la nostra anima verso il denaro. Siccome la nostra anima desidera Dio, ma non lo conosce, è oscillante; per cui può cercare Dio anziché nello spirito, nella materia. Tutte le nostre scienze si possono sintetizzare nello sforzo di cercare Dio nella materia, fuori di noi stessi. È sempre l’anima che cerca Dio, che però lo cerca in un luogo sbagliato. L’angelo che dice: “Perché cercate il Vivente tra i morti?”. È un ammonimento che deve essere dato ad ognuno di noi: “Perché cerchi il tuo Dio tra cose che passano, tra le cose morte?”. Facendo così ti sobbarchi di una fatica immensa per cercare di voler far diventare Dio una cosa che non può essere Dio. Se amo una creatura e la amo con il Pensiero di Dio, con il desiderio di assoluto, pretendo che quella creatura sia come Dio. Quella creatura deve andarsene via perché non potrà mai essere Dio, non può eesere perfetta come Dio, perfetta come Dio, generosa come Dio. Lo sforzo per strumentalizzare tutto il mondo non è altro che espressione della passione di assoluto. Non facciamo altro che testimoniare che noi siamo fatti per Dio perché in tutte le cose a cui ci rivolgiamo noi chiediamo che siano Dio. Cercando Dio là dove non può essere, sbagliamo. Sant’Agostino dice: “Prima di tutto orientati in te stesso: passa dal mondo esterno a mondo interno perché Dio, essendo spirito, abita dentro di te”. Tutte le creature sono segno di Dio, ma nelle creature non si conosce Dio. Dio, essendo spirito, devi cercalo dentro di te: Dio abita nel suo cielo, Dio regna dal suo trono. Fintanto che tu non arrivi al trono di Dio non potrai conoscere Dio, non potrai entrare nel regno di Dio.

Pinuccia: Per quale motivo Gesù manda quella donna ad annunciare il suo messaggio? Può esserci un motivo per noi e un motivo per la donna stessa.

Luigi: No, a noi interessa solo il motivo per noi perché non possiamo giudicare la donna.

Pinuccia: Ma io posso essere quella donna.

Luigi: Come mandata da Dio, si, in questo caso è sempre per noi.

Pinuccia: La lezione è che noi dobbiamo accogliere Lui in ogni mezzo.

Luigi: È per insegnarci che la parola non è legata al mezzo, non è condizionata dal mezzo. Dio è tanto libero da poter usare qualsiasi mezzo, anche il demonio, per testimoniare la sua verità. La verità è talmente superiore che non è condizionata. Guai se noi dicessimo: “Dio mi parla solo attraverso quel mezzo”.

Pinuccia: Tutto ciò che mi arriva devo confrontarlo con lo spirito di Dio che abita in me.

Luigi: Certo, senza la spirito di Dio non si capisce niente e si devia tutto perché l’occhio vede in quanto ha interesse.

Pinuccia: Se noi fossimo nella condizione della samaritana, per quale motivo Dio ci potrebbe mandare?

Luigi: Perché Dio manda chi vuole. È Dio che ha il motivo di mandarci. Dio è talmente libero che può usare chi vuole e nessuno si deve vantare se Dio lo mandasse. Se ci manda a testimoniarlo non è perché abbiamo dei meriti. “Io sono Dio e sono libero di mandare chi voglio; ho deciso di mandare te che sei una prostituta”. Questo per dire: “Non vantarti perché ti mando; non credere di essere qualcuno perché anche se avessi fatto tutto quello che ti dico, ti devi sempre considerare un servo inutile”. Siccome il nostro io salta sempre fuori, Dio ti manda a compiere una sua opera, non vantarti, non ritenere di essere qualcuno. Se Dio ti ha scelto non è perché tu abbia dei numeri particolari; Dio ti dirà: “Ti ho scelto proprio perché non valevi niente!”.

Pinuccia: Da cosa deduciamo che Gesù l’ha mandata dai samaritani?

Luigi: Tutto è opera di Dio; dal momento in cui Gesù le dice: “Sono Io che parlo con te”: quello è il mandato. Perché la verità muove, la verità è vita: la vita è proprio questa comunione con Dio, questa partecipazione a Dio. La vita è Dio che muove, quindi la samaritana è mandata da Dio. noi siamo talmente materiali che diciamo: “Per essere mandati da Dio bisogna che Dio mi dica esplicitamente di andare là”. No! Spiritualmente si è mandati in quanto si è illuminati. Ognuno di noi ricevendo una luce, questa luce la deve fare in tutta la sua vita; mandato da-, la deve fare in tutto il suo mondo, la deve predicare in tutto il suo mondo. Perché Dio illumina una parte di noi e poi ci dà tutto un prato da raccogliere in quella luce ricevuta. E bisogna farlo! “Guai se io non predicassi”, dice san Paolo, perché è mandato da, è la verità che manda.

Pinuccia: Ma non devo predicare agli altri ma devo predicare nel mio mondo personale. Invece qui la samaritana lo predica agli altri non lo predica a se stessa.

Luigi: Si, ma gli altri sono parte di se stessa, era il suo paese, il suo mondo. Quando Gesù guarisce l’indemoniato gli dice: “Va a casa tua e lì predica quello che il Signore ha fatto per te”. Interpretiamo male se riteniamo: “noi” e “gli altri”; ma gli altri sono te! Il nostro mondo non è fatto solo del nostro corpo o dei nostri pensieri. Il nostro mondo è fatto dal “dentro” e dal “fuori” di noi perché tutto è una cosa sola. Noi non siamo soltanto il nostro corpo, noi siamo tutto l’universo e tutte le creature sono l’universo. Dobbiamo annunciare a tutte le creature che Dio regna.

Pinuccia: I samaritani accolgono l’annuncio della samaritana ed escono dalla città.

Luigi: Si, la vera fede ti mette in movimento: questa è l’opera della fede. La fede quando arriva a noi ci chiede di uscire dalle nostre cittò, del nostro mondo, dal pensiero del nostro io perché se non si esce non si arriva a vedere. Vedremo in seguito qual è la condizione per arrivare a vedere, per arrivare a dire: “Noi stessi abbiamo udito e abbiamo veduto il Messia”. Ma la condizione è quella di uscire dalle nostre città altrimenti non si arriva a toccare, a vedere; si vive nel sentito dire: allora qui è peccato. Perché credere a ciò che arriva a noi è doveroso ma può diventare peccato se non usciamo dal nostro paese, diventa colpa. Per cui se io credo soltanto perché l’altro crede, o credo soltanto perché l’altro me l’ha detto ma non esco dal mio paese, allora questo diventa colpa. Qui ricadiamo nel giudizio del Signore che dice: “Tu credi per sentito dire”. Gesù ci rimprovera: “Perché non riconoscete da voi stessi quello che è giusto?”. Quando gli apostoli dicono: “Sono molti quelli che entrano nel regno di Dio?” Gesù risponde loro: “Sforzatevi voi di entrare per la porta stretta”, ecco la lezione. Perché se tu non ti affatichi ad entrare, credi per sentito dire, credi a quello che ti fa comodo. “Io credo perché il tale crede” invece nelle cose che ci stanno più a cuore, non crediamo mai soltanto perché l’altro ce lo dice. Quando amiamo veramente, amiamo personalmente. Non diciamo: “Sono contento perché quella persona tanti la amano!”. Se tu la ami, non sei contento che tanti la amano, la vuoi amare tu personalmente. In tutte le cose, se ci stanno veramente a cuore, noi ce ne interessiamo personalmente. Il giudizio di Dio è questo: “Come mai nei lavori, negli affari, nelle cose tue, ti interessi personalmente e non ti interessi personalmente delle cose di Dio?”. Dio ci fa toccare con mano che là le cose ci stavano a cuore mentre qui non ti stavano a cuore: “Ho riconosciuto che in voi non c’è amore per Dio”. Ricadiamo nell’atteggiamento di Erode quando dice ai Magi: “Andate e fare diligente ricerca sul bambino e quando l’avrete trovato venite a dirmelo così anche io andrò ad adorarlo”. Qui non abbiamo la fede perché la fede non manda gli altri a cercare, la fede si impegna personalmente perché la fede è un movimento verso.

Pinuccia: “Venite a vedere uno che mi ha detto tutto quello che ho fatto” ha scoperto di essere conosciuta ed amata.

Luigi: È un po’ come il tema di Natanaele che si sente conosciuto: “Ieri sotto l’albero prima che Filippo ti chiamasse io ti ho visto” perché Dio ci conosce. Il sentirsi amati conosciuti è la convalida dell’avvenuto incontro con Cristo; questo avviene solo dopo l’incontro con Cristo, personale e diretto perché è Dio stesso che ci rivela questa conoscenza. Dio ci conosce prima però la rivelazione a noi avviene con l’incontro col Cristo.

Franca: Gesù dice: “Li riconoscerete dai loro frutti” ma vale anche per il diavolo?

Luigi: Il Signore si serve del diavolo, perché noi possiamo essere ingannati dal diavolo se ci lasciamo ingannare, cioè se non abbiamo lo spirito di Dio. Il diavolo non può entrare là dove c’è Dio quindi se nella nostra anima c’è il desiderio dello spirito di Dio, anche il diavolo deve ubbidire a Dio, fa la volontà di Dio, non può farne a meno. Anche nell’inferno si fa la volontà di Dio perché Dio regna in tutto; Dio regna in cielo, in terra, in ogni luogo quindi anche nell’inferno, però nolente perché il diavolo non vuole fare la volontà di Dio. Siccome il diavolo è orgoglio, egoismo, ognuno di noi può diventare un diavolo infatti quando pensiamo a noi stessi non vogliamo fare la volontà di Dio, ma vogliamo fare la nostra volontà però siamo costretti a farne un’altra: Dio ci costringe a fare la sua volontà.

Franca: Dio rispetta la nostra volontà.

Luigi: Dio rispetta la nostra volontà ma adopera la nostra volontà per fare la sua volontà. Dio adopera tutte le creature: tutte le creature volenti o nolenti fanno la volontà di Dio perché sono testimoni di Dio, glorificano Dio: anche nell’inferno si glorifica Dio. Dio riceve gloria nei campi in cui ha seminato e nei campi dove non ha seminato. Forse ci sono campi dove Dio non ha seminato? Si, è la volontà nolente, la volontà contraria, è l’orgoglio, ma Dio riceve gloria anche da quello. La grandezza di Dio, la gloria di Dio è questa: tutto rende gloria a Dio. Ora, se tutto rende gloria a Dio, in che cosa sta la differenza? Ci sono quelli che partecipano a questa gloria avendo Dio al centro del loro cuore e ci sono quelli che non vogliono partecipare a questa gloria però vi partecipano ugualmente. La tribolazione interna da che cosa è data? Che uno è costretto a rendere gloria a Dio anche non volendo dare gloria a Dio: c’è un conflitto.

Silvana: Dio ci lascia sbagliare per aiutare noi..

Luigi: E per aiutare anche gli altri perché Dio vuole salvare tutti e adopera tutti i mezzi: tutto è opera sua, tutto è volontà sua. Per cui non dobbiamo avere paura di niente se siamo con Dio ma se non siamo con Dio dobbiamo avere paura di tutto perché tutto ci devia, tutto ci travia anche le stesse dirette di Dio, le opere sante, se non siamo con Dio, ci deviano. I farisei avevano il tempio di Dio, la rivelazione di Dio, la tradizione di Dio, erano il popolo di Dio, eppure tutto questo non fu sufficiente. Anche questa è lezione di Dio per noi, per cui non vantarti se hai Dio con te, se Dio ha parlato a te, se Dio ti ha dato la sua rivelazione, non ritenerti mai qualcuno perché se tu ti dimentichi di Dio, tutto diventa motivo per te di deviazione: e anche quella è misericordia di Dio. Dio ti fa deviare per salvarti, per farti capire che non devi inorgoglirti, non ritenerti di essere suo popolo, di essere il suo prediletto. Ritieniti sempre un servo inutile, che accoglie tutto dalle sue mani e in tutto ringrazia e riferisci a Dio perché soltanto così si è figli di Dio: in quanto si riferisce tutto a Dio. Se uno ha lo spirito di Dio e riferisce tutto a Dio non c’è niente che gli possa far male: “Tutto è buono per coloro che cercano Dio” è parola di Dio. Ma per coloro che non cercano Dio, cioè che non hanno Dio al centro della loro vita, tutto diventa male, diventa deviante perché abbiamo il prinicipio del male dentro di noi. Per satana, tutta la misericordia di Dio, diventa motivo di ambizione, motivo di tormento perché tutto dipende da ciò che mettiamo come principio. Ma in quanto Dio regna in tutto, tutto e tutti, volenti o nolenti fanno la volontà di Dio e rendono gloria a Dio. Quindi tutti ci aiutano, tutto è un aiuto se noi siamo orientati a Dio; se non siamo orientati a Dio tutto diventa dannoso per farci toccare con mano che non siamo orientati a Dio; e anche questa è opera di misericordia di Dio.

Pinuccia: “Tutto concorre al bene di coloro che cercano Dio” dice San Paolo.

Luigi: Dato il regno di Dio, tutto deve essere segno e opera della grandezza di Dio, tutto rende gloria a Dio. Altrimenti avremo due regni: il principio del bene e il principio del male; avremo un conflitto. Ma in Dio non c’è conflitto perché c’è uno solo che regna, c’è un principio solo: c’è Dio solo che regna. Se ci distraiamo da Dio allora cadiamo sotto influssi diversi, opere diversi: allora tutto ci devia. Se noi siamo uniti a Dio tutto ci aiuta a conoscerlo.

Pinuccia: Anche le cose che ci deviano sono misericordia di Dio.

Luigi: Certo perché se tutto è visto con Dio e da Dio, tutto è positivo. Presso Dio non c’è il negativo. Quindi il conflitto è soltanto interiore: c’è la verità che non vuole secondo Dio. Cioè se noi mettiamo il nostro io al centro tendiamo a subordinare tutto al nostro io; subordiniamo anche Dio al nostro io, lo strumentalizziamo. Abbiamo quindi una volontà contraria: ma questa volontà contraria non tende a realizzarsi. Perché quando noi cominciamo a pretendere di affermare il nostro io, di affermarlo come Dio, tendiamo a trasformare in oro tutto quello che non è oro, cominciano le resistenze, i limiti, i muri. Tutto diventa un muro e quel muro è Dio, è opera di Dio per farci toccare con mano la volontà contraria che abbiamo in noi. Infatti se uno parte non secondo Dio, trova il semaforo rosso che ti blocca; attraverso molti modi Dio ti blocca. Trovando il semaforo rosso, il blocco, scatta la rabbia: ma la rabbia è nostra! Ad un certo punto Giona si arrabbia: “Lo sapevo che tu sei un Dio generoso; mi mandi a dire che Ninive sarà distrutta poi tu li perdoni e che figura ci faccio io?”. Ma la tua rabbia è come la rabbia del profeta che pensa a se stesso. Se il profeta ama Dio dice: “Signore io ti ringrazio, ti lodo perché mi hai fatto fare una brutta figura ma hai rivelato il tuo amore”. “Forse voi state male perché io sono buono?” Dio dice a quelli della prima ora che guardano male coloro che sono arrivati all’ultima ora perché: “Li hai pagati come noi che abbiamo faticato tutto il giorno!”. “Io ho faticato tutto il giorno e credo di aver diritto ad avere una paga maggiore”: ecco il pensiero dell’io. Guardo male il padrone perché ha trattato coloro che hanno lavorato un’ora solo come me che ho lavorato, ho faticato per tutto il giorno. Il Signore rimprovera: “Non posso fare del mio quello che voglio?”. Vedi la lezione? Per cui l’opera è buona; se noi siamo con Dio diciamo: “Oh Signore come è bello, come sei buono; hai dato a quello che ha lavorato solo un’ora come se avesse lavorato tutto il giorno. Che bellezza essere con un Signore grande così!”; chi ama Dio ragiona così perché partecipa della gioia di Dio. Chi pensa a se stesso prova l’invidia, c’è la pretesa, non vede più il dono dell’amore: pretende e si offende. L’opera di Dio è sempre quella: Dio fa delle sue opere quello che vuole. Se siamo con Dio non facciamo altro che glorificarlo e partecipiamo; se non siamo con Dio la rabbia è nostra, l’offesa è nostra però subiamo su di noi la gloria di Dio, l’opera di Dio, l’amore di Dio. Soltanto che l’amore di Dio, quello che per altri è amor di Dio, per noi è motivo di gelosia, di invidia, di tortura, di tormento; ma è effetto dell’io, è una volontà contraria che però deve subire. Non è che se io pretendo di più Lui mi dà di più: “Prendi il tuo e vattene”.

Pinuccia: Per superare questo conflitto, anche se si sente la volontà contraria è sufficiente non lasciarsi guidare dalla volontà contraria.

Luigi: Ah certo! Il sentire non conta niente: “Sentirai la tentazione; tu sottomettila a Dio”. Non bisogna lasciar parlare. Questi sono invidiosi e se la prendono con il Signore invece bisogna cercare di capire il significato. Per cui possiamo sentire la tentazione ma dobbiamo cercare di capire che cosa c’è di sbagliato in me. Perché Dio ha dato a coloro che hanno lavorato poco la stessa paga? Perché è stato così ingiusto agli occhi miei? Cerchiamo presso Dio il significato. Se cerco presso Dio capisco l’amore di Dio, capisco come Dio opera. Allora quello mi porta a Dio, ma devo cercare presso Dio perché tutte le cose vanno sempre riferite a Dio e vanno sempre cercate e riferite a Dio. Se sono viste in Dio, allora quelle ci portano all’amor di Dio; non dobbiamo mai cercare di vederle nel pensiero dell’io perché il pensiero del nostro io è un angolo e un angolo non può vedere tutto, vedere parzialmente, quindi devia tutti i giudizi.


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«Molti samaritani di quella città credettero in Lui a motivo delle parole della donna che attestava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto,  noi stessi abbiamo udito e abbiamo visto che Egli è veramente il Salvatore».  Gv 4 Vs 39-42 Secondo tema.


Titolo:  “Noi stessi abbiamo udito”


Argomenti: Costatare il Messia – Le condizioni per arrivare a credere personalmente – Tutto è sacro – Il mezzo attraverso cui arriva a noi la Verità – L’invito al pranzo di nozze – L’ascolto della Verità che convince – Le sicurezze del mondo e la sicurezza di Dio -


21/Agosto/1977


Dall'esposizione di Luigi Bracco:

“Noi stessi abbiamo udito e sappiamo che Egli è veramente il salvatore del mondo”. La riflessione deve tendere, per capire la lezione che il Signore ci vuole dare in questo: “Noi stessi abbiamo udito e sappiamo”, attraverso quale via si giunge a toccare con mano, a constatare, a udire e a vedere il Messia. Attraverso questi diversi passaggi dei samaritani, dall’umiltà con cui ascoltano la parola di quella donna che agli occhi loro era declassata; dal distacco dalla loro città per andare a vedere ciò di cui essa aveva parlato; poi il fatto di invitare Gesù a restare con loro; e poi i due giorni, perché è dopo due giorni che arrivano a vedere, quindi la simbologia di questi due giorni e poi finalmente, la condizione per arrivare. Perché se si fossero fermati al primo giorno o se si fossero fermati a quello che aveva detto la samaritana, cioè se si fossero fermati a credere per sentito dire non avrebbero iniziato il cammino. Quindi quand’è che iniziamo a credere per convinzione personale, che cosa si richiede per arrivare a credere per convinzione personale.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Interlocutore: Ma è Dio stesso che ci convince.

Luigi: Certo, è Dio stesso che ci convince però noi non dobbiamo rifiutarci. In questo passo del Vangelo tratta le condizioni per arrivare a credere personalmente. Dono suo è la chiamata, dono suo è la strada: “Io sono la via, la verità, la vita”. Quindi dono suo è la chiamata perché: “Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato”. Se noi desideriamo è perché Lui già è venuto a noi; l’interesse per Dio è già dono suo; il pensare Dio è già dono suo, non è iniziativa nostra. Dono suo è conoscere le condizioni; dono suo è farle, applicarle queste condizioni; dono suo è arrivare alla meta. Tutto è dono suo. Per cui Lui ti dice: “Se tu vuoi arrivare là, passa attraverso questi sentieri”; ora, i sentieri sono dono suo non sono iniziativa nostra. È necessario che noi facciamo tesoro delle lezioni che Lui ci dà, dei sentieri che Lui ci indica, per arrivare alla meta. Quando Lui dice: “Nessuno può entrare nel regno di Dio se non ritorna bambino” è un sentiero; ma è dono suo. “Se non rinasci dall’alto non puoi vedere” è dono suo, non è iniziativa nostra.

Interlocutore: Il Signore ci invita ad abbeverarci alla Sorgente.

Luigi: Come si giunge a questa constatazione personale, diretta? Perché è una esperienza personale giungere alla convinzione che Lui è veramente l’unica sorgente.

Interlocutore: Dio ce lo promette.

Luigi: D’accordo, c’è la promessa; ma poi?

Interlocutore: E poi bisogna portarla nella vita pratica.

Luigi: Ma per portarla nella vita pratica bisogna avere la convizione, altrimenti si recita. Cioè, si ha la convinzione ascoltando o mettendola in pratica? Il mettere in pratica è un momento successivo alla convinzione. Oppure ci convinciamo mettendo in pratica la parola?

Interlocutore: La lezione che ho colto in questo brano di vangelo è che alla proposta deve corrispondere un’adesione personale per poter arrivare all’incontro personale con Dio.

Luigi: E dove la vedi l’adesione?

Interlocutore: Nel partire, nel seguire la parola che giunge. Per arrivare a vedere quello che si è creduto bisogna partire.

Luigi: E in che cosa consiste il partire, nella nostra vita personale?

Interlocutore: Consiste nel superare il nostro io, cioè nel seguire la parola di Cristo. Però qui si parla di una partenza per incontrare Cristo; cosa significa? Siccome è solo con Cristo che si può superare il proprio io, cos’è questo lasciare; lasciare che cosa?

Luigi: Hanno lasciato il loro mondo, la loro città, le preoccupazioni. Perché loro potevano sentire la parola della samaritana, credere anche a quella parola; però poi restare nelle preoccupazioni del loro paese. Ognuno nel suo mondo ha delle preoccupazioni, ha dei pensieri, degli affari. Anche a quegli invitati giunge la parola, perché la parola giunge indipendentemente da noi, anche se ci turiamo gli orecchi, anche se chiudiamo gli occhi, la parola giunge lo stesso a noi. E questo ci testimonia che la parola è superiore a noi. Il mezzo attraverso il quale la parola giunge a noi è inferiore: infatti di fronte a questi samaritani, la samaritana era inferiore, declassata, (donna, prostituta) quindi inferiore. Quindi il mezzo attraverso il quale Dio arriva a noi è inferiore a noi. Però, siccome Lui ci fa arrivare la sua parola anche se noi ci turiamo le orecchie, vuol dire che il messaggio è superiore a noi. Mi pare di vedere Gesù che entra in Gerusalemme a dorso di un asinello. L’asinello è quello che è, però porta Gesù. Non individuiamo Gesù per l’asinello che arriva; Gesù adopera l’asinello per entrare nella sua città, quindi il mezzo è inferiore, ma quello che arriva è Dio, quindi superiore a noi. Per cui, in ogni parola che ci arriva, non dobbiamo fermarci al mezzo, perché è Dio che arriva a noi. Si impone su di noi, quindi è superiore a noi. Ecco perché la terra su cui camminiamo è sacra, tutto è di Dio, “Togliti i calzari”, adora, tutto è adorabile perché in tutto c’è Dio che viene a te, il tuo Creatore che viene a te. Viene in quanto si impone a noi, viene a noi anche se non lo vogliamo. La parola, il messaggio, l’annuncio, l’invito, si fa sentire da noi anche se ci turiamo le orecchie. Quando ci turiamo le orecchie è perché l’abbiamo già sentito. Il Signore ci dirà: “Io ero stato con te, ti avevo parlato, ti avevo chiamato; e tu?”. Noi non possiamo dire di no, che non è vero! “Gerusalemme, Gerusalemme quante volte …” e Gerusalemme non può rispondere che non è vero: “Non ti ho udito!”. Il Signore dirà: “Tu mi hai udito”. Quindi noi ci troviamo in un luogo con preoccupazioni nostre, conseguenza del fatto ché vediamo il mondo con il pensiero del nostro io, staccato da Dio. Invece vivere vuol dire assimilare, entrare in comunione. Per cui nel pensiero del nostro io tendiamo a sottomettere tutto, a  far grandeggiare il nostro io; di conseguenza ci carichiamo di preoccupazioni, di catene. In questo mondo giunge la parola di Dio. A questo punto anche sentendo la parola di Dio che giunge a noi, possiamo non renderci disponibili, quindi possiamo non uscire dalle nostre preoccupazioni: “Io ho i buoi, i campi, la moglie, non posso venire, abbimi per giustificato”. Si tratta quindi di uscire, di renderci disponibili a, per incontrare Colui che ci è annunciato. La fede sta nel rendersi disponibile ad andare a  vedere ciò che la fede ci annuncia; “Guarda che c’è un tesoro” ma non ce lo dà, ce l’annuncia. Noi possiamo, a seconda dell’interesse che abbiamo nel cuore, aprirci alla ricerca che ci è stata annunciata, oppure rifiutare perché abbiamo altro che ci preoccupa. Chi dice: “Ho altro che mi preoccupa, non sono disponibile” Dio dice: “Non gusteranno la mia cena”.

Interlocutore: La disponibilità non è ancora la libertà.

Luigi: No, perché la parola di Dio come giunge a noi, dà la grazia per partire; la grazia necessaria, ma che non è sufficiente per arrivare alla libertà. Prima di tutto questi samaritano avrebbero potuto sentire la parola ma non partire. Partirono e invocarono che Gesù si fermasse con loro. Quindi bisogna restare, non basta uscire; bisogna fermarsi nell’incontro perché soltanto fermandosi si riceve la convinzione. È tutto un processo di crisi perché se l’uomo non parte, non può arrivare all’incontro; può arrivare all’incontro ma può non sostare nell’incontro perché è la parola di Dio che convince, non siamo noi che ci convinciamo. È la parola di Dio che ci fa toccare qualcosa di Dio, non siamo noi che tocchiamo. Però abbiamo bisogno che ci avviciniamo per essere toccati dalla parola di Dio.

Interlocutore: Quando la samaritana dice: “Ho incontrato un uomo che mi ha detto..”, loro sono partiti per andare a vedere..

Luigi: C’era un interesse per quell’argomento: Messia.

Interlocutore: Quando hanno visto Gesù si sono fermati ad ascoltarlo.

Luigi: Ma non ti sei chiesta perché quei samaritani, sentendo il messaggio della donna, non sono andati nelle altre città a riferire ciò che avevano udito? Avrebbero potuto farlo, invece non lo fecero. Nella maggior parte dei casi noi ci comportiamo in questo modo: andiamo a riferire agli altri ciò che abbiamo sentito dire, ci accontentiamo del sentito dire, e andiamo a proliferare, facciamo le comari.

Interlocutore: Ma è grazia del Signore!

Luigi: Tutto è grazia del Signore, cioè tutto quello che è positivo nella vita spirituale, è tutta grazia di Dio. Però la creatura può metterci qualcosa di suo e quando ci mette del suo disperde; di conseguenza fa la comare. Per cui ha sentito quella parola ma anziché andare alla fonte, lo diffonde: si sostituisce alla fonte. Quindi deforma, amplia, lo rende sicuro ma è tutto un sentito dire. La prassi comune è fare la comare, anche nelle cose dello spirito. Infatti il Signore dice: “Pochi sono coloro che entrano: sforzatevi di entrare. Molti cercheranno di entrarvi ma pochi vi riusciranno”; pochi sono coloro che trovano la porta. Quindi vuol dire che la massa si comporta in modo diverso. Quindi non è una cosa naturale, è una cosa soprannaturale, è grazia di Dio, il desiderare di andare alla fonte.

Interlocutore: Quindi solo se si è convinti si può comunicare.

Luigi: Si, ma prima bisogna arrivare alla convinzione. Questi samaritani sono usciti per andare a vedere il Cristo che si era annunciato.

Interlocutore: Hanno scoperto che Gesù è il salvatore del mondo.

Luigi: Ascoltando Gesù hanno scoperto, perché è Lui che l’ha rivelato: Egli è il salvatore universale perché la salvezza è per tutti. Capire che il vero bisogno di ogni uomo è Dio, è di incontrare Dio. Tutti gli uomini hanno bisogno di incontrare Dio; se soffrono, se sono cattivi, disordinati è perché non toccano Dio. Per questo Gesù è la salvezza universale, per tutto il mondo, per tutti gli uomini, non soltanto per qualcuno.

Interlocutore: Ma la rivelazione Gesù l’ha data ai samaritani quando sono arrivati all’incontro con Lui.

Luigi: In due giorni. Infatti loro hanno udito (se hanno udito è perché Lui ha parlato)¸ perché è la sua parola che convince. Convincere vuol dire legare; è la parola di Dio che ci lega a sé, non siamo noi che ci leghiamo. “Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi”. È sempre l’altro che convince me, non sono io che mi convinco. È Dio che ci lega a Sé, che ci sceglie. Per legarci a Sé, Lui ci dice: “Metti il piede qui, metti il piede là”; e a poco per volta ci troviamo convinti.

Interlocutore: Ci convince per il contenuto delle sue parole, non perché abbia un fascino nel parlare.

Luigi: Certo, è per il contenuto che ci convince.

Interlocutore: Da parte nostra è richiesta la disponibilità per ricevere la sua parola.

Luigi: Si, la nostra disponibilità prima di tutto alla sua parola ovunque, perché Dio non è legato ai mezzi, mi fa giungere la sua parola. Dobbiamo sempre stare attenti perché ci muoviamo in un terreno sacro, in un luogo sacro, perché in tutto c’è Dio che parla. Devo stare attento a ricevere i messaggi, perché se Dio non mi mandasse i messaggi noi cadremo nel nulla, e quindi a saper distinguere, riconoscere, partire dietro quello che Lui mi annuncia, uscire dalla mia città, chiedergli di fermarsi con me, perché soltanto in questo suo fermarsi mi può convincere. Basta anche un istante. Quanti l’hanno incontrato e poi l’hanno crocifisso. L’amore chiede di fermarsi; nell’essere tutto disponibili. La disponibilità sta nel non misurare il tempo. Non siamo noi che misuriamo il tempo a Dio, caso mai è Dio che misura il tempo a noi.

Interlocutore: La conoscenza è un fatto personale, per cui come si arriva a conoscere Dio.

Luigi: Precisiamo che qui i samaritani non hanno conosciuto Dio: hanno conosciuto la salvezza del mondo; perché per arrivare a conoscere Dio dobbiamo arrivare a Pentecoste.

Interlocutore: Dobbiamo uscire dalla nostra mentalità.

Luigi: Non soltanto dalla nostra mentalità ma anche dalla mentalità degli altri. Perché quante volte gli altri rivelano delle esigenze verso di noi; ci impongono dei doveri, ci caricano di catene. Gesù ci insegna a liberarci anche da quelli che noi chiamiamo doveri perché uno solo è il vero dovere di credere. Ora il mondo ci impone tanti doveri, anche in nome della volontà di Dio: “Verranno a voi dicendo: sono io”. Notiamo come Gesù si è comportato verso padre e madre; “Onora tuo padre e tua madre” era un comandamento, eppure guarda come il Signore rende disponibili anche verso padre e madre perché una cosa sola è necessaria. Gesù ci insegna le esigenze del Pensiero di Dio.

Interlocutore: Dall’ascolto arriviamo alla convinzione; attraverso la convinzione il Verbo si incarna. La parola diventa vita.

Luigi: Quand’è che siamo convinti? Siamo convinti quando la cosa è diventata vita in noi. Se noi crediamo per sentito dire, il sentito dire non diventa vita per noi. Fintanto che ci accontentiamo del sentito dire, come fede, come religione, vuol dire che la nostra vita è altrove. Fintanto che la mia vita è nel denaro, nella creatura, non ho difficoltà a credere nel sentito dire perché tanto non mi tocca nell’essenziale. Quando mi toccherà nell’essenziale allora … ma per ora non mi tocca nel mio prima di tutto.

Interlocutore: “Abbiamo udito e ora sappiamo”.

Luigi: Hanno constatato. Quand’è che diciamo: “La mia salvezza sei tu; la mia salvezza sta nel denaro; la mia salvezza sta nella creatura; nella carriera, nel posto di lavoro”? Dobbiamo arrivare a dire: “La mia salvezza sei tu Signore”. Che cosa ci deve essere perché si formi in noi questo concetto, questa individuazione: “Questa è la mia salvezza” mentre prima ritenevo che altro la mia salvezza? “Tu lo chiamerai Gesù: salvezza di Dio” perché qui sta la tua salvezza. Dare il nome: Gesù vuol dire che lo dobbiamo chiamare con questo nome, come “mia salvezza”. “Tu sei la salvezza di Dio per me”. La Madonna a La Salette, nei messaggi si lamenta perché gli uomini danno il nome di suo Figlio alle cose materiali, al lavoro, ecc. Danno il nome di suo Figlio “mia salvezza” alla creatura piuttosto che al Creatore. Che cosa si deve formare in noi affinché possiamo dire: “Signore tu sei la mia salvezza” oppure che cosa c’è in noi quando diciamo: “Questa è la mia salvezza” ad altro; al posto di lavoro. Che si forma in noi perché possiamo dire: “Ah, la mia salvezza sta lì!”.

Interlocutore: Come hanno fatto i samaritani a credere alle parole della Samaritana.

Luigi: Perché avevano già la fede; hanno creduto in Lui, “a motivo di”. Quando noi siamo “mossi” è perché abbiamo la fede.

Interlocutore: Sono partiti dalla loro città per andare a vedere Gesù.

Luigi: Si, si sono dati da fare per capire se era Lui il Messia.

Interlocutore: Cosa significa che il Signore è stato due giorni con la donna?

Luigi: La creatura ha una funzione transitoria, di convogliarci al Cristo; ma poi il rapporto è sempre diretto, personale con il Signore.

Interlocutore: Pensavo ancora a cosa è necessario affinché si formi in noi questa esclamazione: “Signore, sei tu la mia salvezza”.

Luigi: Anche quando diciamo che il posto di lavoro è la mia salvezza, denunciamo che c’è un bisogno in noi. Quindi prima di tutto bisogna che si formi un bisogno; e poi che si formi in noi la convinzione che questo bisogno non può essere soddisfatto da niente. Non basta sentire il bisogno. Perché il bisogno lo proiettiamo, sbagliando, sul denaro perché mi dà sicurezza. “Forse è il denaro che mi dà sicurezza”, “Forse è il posto di lavoro che mi dà sicurezza”, “Forse è la mutua, la mia salvezza”. Fino a che, per un processo di selezione, si forma in noi la convinzione che niente può darci la sicurezza all’infuori di Dio. Prima abbiamo bisogno di sbattere il naso, di romperci la testa in tante soluzioni, fino al giorno in cui ci convinciamo, è Dio che ci convince, che la salvezza sta solo in Dio. diciamo: “La mia salvezza è Dio!”. Allora esclamiamo come i primi discepoli: “Abbiamo trovato il Salvatore, Colui di cui hanno parlato Mosè e i Profeti, Colui di cui parlano tutte le cose. Ma noi non capivamo? Non ci rendevamo conto?”. Tutte le creature ci annunciano che  la nostra salvezza sta in Dio perché tutte le creature gemono e soffrono in attesa della rivelazione di Dio. Tutte le creature ci dicono: “Ma cerca Dio! Non siamo noi il tuo Dio!”. Noi, siccome non siamo intelligenti, fraintendiamo il linguaggio delle creature e ad ogni creatura diciamo: “Tu sei la mia salvezza”, “Tu sei la mia salvezza”, “Tu sei la mia salvezza”. E loro ci dicono: “No, noi moriamo, noi passiamo; noi  mutiamo; non siamo noi la tua salvezza”. Fino al giorno in cui ci convinciamo che la nostra salvezza è solo Dio. Allora lì orientiamo la nostra ricerca e incontrando il Cristo, incontriamo Colui che viene a noi per darci quello che abbiamo già identificato come unica soluzione al nostro bisogno. Allora diciamo: “Ah era quello che io aspettavo! Cercavo uno che mi mettesse a posto i dati”. Se io identifico la mia sicurezza, la mia vita con il posto di lavoro, dirò: “Mia salvezza” a Colui che mi offre questo posto di lavoro. Soltanto identificando la nostra salvezza con la conoscenza di Dio, con l’incontro con Dio, dirò: “Mia salvezza è il Messia. È Colui che viene a me parlandomi di Dio”.

Interlocutore: Come facciamo a diventare “tutto Pensiero di Dio”, poiché questa è la nostra vocazione?

Luigi: Prima di tutto non dobbiamo rifiutare Dio; chi non rifiuta Dio, la condizione per non rifiutare Dio è quella di accogliere tutto da Dio; tutto: beni e mali, quello che mi conviene e quello che non mi conviene, quello che mi piace e quello che non mi piace, perché in tutto c’è la mano di Dio.

Interlocutore: Per seguire Gesù dobbiamo lasciare tutte le nostre preoccupazioni.

Luigi: Fintanto che non abbiamo trovato Dio, c’è il nostro io al centro: è solo Dio che ci libera dall’io. Ma cosa vuol dire non essere liberi dal pensiero del nostro io? Vuol dire non essere liberi dal vedere il mondo staccato da Dio; per cui necessariamente vediamo le creature come tanti altri nostri io, il relazione al nostro io. Vedere il mondo staccato da Dio significa caricarci di catene, di preoccupazioni. Tutto questo ci rallenta nel cammino, prolunga il tempo dell’attesa, prolunga il tempo dell’incontro con Dio. Se noi fossimo capaci, immediatamente a dimenticare tutto di noi, noi vedremmo Dio presente. L’attesa si prolunga nella misura in cui noi non siamo capaci a partire.

Interlocutore: I samaritani si sono fermati due giorni con Gesù..

Luigi: Si, due giorni più uno prima con la samaritana.

Interlocutore: Quindi la ricostruzione deve avvenire nell’incontro col Cristo.

Luigi: Si, prima il nostro io si fa centro, quindi si carica di catene, di preoccupazioni, di doveri, di impegni; è a questo punto che sorge la crisi, Cristo stesso parlando pone in crisi l’uomo. Se l’uomo non sopporta la cristi uccide il Cristo, lo manda a morte: “Egli è l’erede, facciamolo fuori così l’eredità sarà nostra”; noi non vogliamo perdere i beni, ciò per cui viviamo. Allora il padre manderà ad uccidere, a bruciare la città. Però il problema che ci interessa è questo: “Facciamolo fuori”, e noi lo facciamo fuori dalla nostra vita in quanto non teniamo conto di Dio, in nome degli impegni.

Interlocutore: Soffochiamo Dio dentro di noi.

Luigi: Ma perché lo soffochiamo? Perché ci rendiamo conto che il Pensiero di Dio ci manda in crisi.

Interlocutore: Ma nel caso in cui uno vuole realmente liberarsi ma non riesce. È facile dare via i beni, ma è difficile lasciare le preoccupazioni; come si fa?

Luigi: Abbiamo detto che la partenza dalla propria città non è un distacco materiale; lasciare la città vuol dire lasciare la città che ci preoccupa, che ci impedisce di essere disponibili per Dio. Quando tu hai trovato il campo in cui è nascosto il tesoro, perché il tesoro è nascosto, mentre ciò che si trova è il campo, cosa dice Gesù nella sua parabola? Che chi trova il campo in cui è nascosto il tesoro, va, vende tutto quello che ha, non per comprare il tesoro, ma per comprare il campo in cui si trova il tesoro.

Interlocutore: Come si fa a vendere tutto?

Luigi: Senti, se non sei capace a vendere aggiustati.

Interlocutore: Dio manda le preoccupazioni perché non siamo ancora capaci a restare nel suo Pensiero. Poco per volta, se è fedele, il Signore lo libererà.

Luigi: Appunto, è il Signore che libera. Ma non venite a dire: “Come si fa a vendere tutto quello che si ha” perché è il Signore stesso che ci dice: “Va, vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri” ci sono sempre dei poveri che sospirano i beni che noi abbiamo. Stai tranquilla che c’è sempre qualcuno che prende su di sé le preoccupazioni che abbiamo. “Va, vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri e compera quel campo in cui è nascosto il tesoro”. Fintanto che non abbiamo scoperto il campo in cui è nascosto il tesoro, non si sa cosa vendere, non si sa come vendere perché si vende dopo aver trovato. Come la parabola del mercante di perle preziose; non si stacca dalle perle che ha, non le vende se non trova quell’altra più pregiata, che vale più di tutte. Ma quando la trova, va con gioia, non con sofferenza, a vendere le altre: perché ha trovato quella più preziosa. Ci si muove dopo aver trovato. Quindi solo quando uno ha trovato il campo, in cui deve impegnarsi per sa che in quel campo c’è il tesoro, allora vende con gioia tutto quello che ha.

Interlocutore: Bisogna trovare il compratore.

Luigi: Il Signore dice: “dà via” anche senza prezzo, si può anche regalare.

Interlocutore: Bisogna tenere presente che il tesoro di Dio ha un suo campo. Non c’è il tesoro di per sé: il tesoro ha un suo campo. Infatti per comperare questo campo in cui il tesoro è nascosto. Il campo non è una situazione esterna infatti Gesù dice: “Se vi diranno è qui o è la, non credeteci, non andateci”. Il campo in cui si trova Dio è qualche cosa per cui bisogna vendere tutto per potersi occupare di Dio. Il campo è un’occupazione, è qualcosa che deve occupare tutto di noi, che richiede il lasciare tutto il resto per occuparti di quello. Soltanto occupandoti di quel campo, si trova il tesoro. È l’invito al pranzo di nozze: non possono vendere il loro campo “Io ho i buoi devo occuparmi in questo campo”, “Ho la moglie: devo occuparmi di lei altrimenti mi lascia”. Teniamo presente il fatto che i buoi non sono male, la moglie non è male, i campi non sono male, non sono peccato. Se Gesù avesse fatto l’esempio di una prostituta che dice: “Io ho i miei amanti, non posso venire” non rispecchierebbe la nostra situazione. Se avesse fatto l’esempio di un ladro, ecc; Gesù non ci presenta una situazione di peccato! Ci presenta delle situazioni doverose: i buoi, i campi, la famiglia, cose più che oneste, addirittura doverose. Queste cose non devono essere motivo di impedimento a partire dietro a Gesù. Questo per dirci che anche le cose più sacre, più doverose, se impediscono la disponibilità per Dio diventano motivo di colpa; motivo per cui: “Non assaggeranno la mia cena”. Gesù non ti presenta una situazione di peccato, ma delle situazioni oneste, giuste che sono giustificate dal mondo. Se dicessi: “Io devo fare Maria, devo pregare” il mondo non ti giustifica; ma se dici che devi lavorare il mondo ti giustifica. Gesù lo dice proprio a motivo del lavoro: “Non gusteranno la mia cena”. Per questo Gesù dice: “Chi non è pronto a lasciare padre, madre, sorella, sposa, figli, campi per amore di Me, non è degno di Me”. Ora, non sta parlando di un distacco materiale perché uno può anche andare nel deserto e portarsi dietro un legame sentimentale che gli impedisce di essere disponibile per Dio. La vendita è tutta una cosa spirituale, in modo da rendersi disponibili per occuparci di Dio.

Interlocutore: Questo succede quando queste cose hanno preso troppo spazio nella nostra vita.

Luigi: Quando tu hai fatto motivo di vita, “mia salvezza” il bue, il campo, la moglie vuol dire che queste cose le hai elette come scopo della tua vita. Tu vivi per loro. No, tu sei stato creato per conoscere Dio e devi occuparti di Dio. Per cui non c’è né istituzione, né regola, né campi, né lavori; sono tutte cose buone ma che non devono diventare motivo di vita. Ecco il rapporto diretto con Dio, l’interesse personale per Dio, non c’è niente che mi possa dare quello che mi può dare solo Dio. Per cui se tu dici: “Ho lasciato Dio per le creature”, le creature non ti daranno mai Dio, per cui non sei giustificato. Anche le creature stesse per le quali ho lasciato Dio, mi rimprovereranno perché ci diranno: “Noi stesse ti dicevamo che avevamo bisogno di Dio, non avevamo bisogno di te, ma di Dio”.

Interlocutore: Trascurando Dio trascuro anche le altre cose.

Luigi: Se noi siamo convinti che il vero bisogno delle creature è Dio, noi possiamo dare il vero bene alle creature soltanto cercando Dio. Perché soltanto cercando Dio noi consideriamo le creature con quel rispetto, con quell’amore, con quella sacralità con cui devono essere trattate. Se non teniamo conto di Dio tendiamo a fare le creature secondo la nostra intenzione, vogliamo che siano come vogliamo noi. Sapendo che è Dio che fa crescere le creature dal di dentro, restando uniti a Dio, anche nei riguardi delle creature, noi cerchiamo di farle crescere ma dall’interno, rispettando il suo rapporto con Dio perché ogni creatura è in rapporto diretto con Dio e noi dobbiamo essere molto attenti a rispettare il dialogo che ognuno ha con Dio e non intrometterci in quel dialogo. Dio mi rimprovererò perché sono entrato come un elefante in una cristalleria, in un rapporto dell’anima con Dio. “Quell’anima era in dialogo con Me; Io con pazienza cercavo di farla crescere e tu, ad un certo momento, hai sprecato tutto!”. Il nostro primo dovere è quello di non rovinare: se non sei capace a fare niente non metterci le mani. Nessuno di noi mette le mani in un motore, anche se è guasto, senza sapere cosa deve fare. Non toccare. Quando capirai allora potrai parlare ma sempre con rispetto, sapendo che le anime sono in diretto dialogo con Dio. Per cui se Dio me lo fa capire, potrò aiutare, semplificare. Gesù dice: “Non fatevi chiamare: Maestro” perché ti metteresti al posto di Dio nel rapporto che l’anima ha con Dio: disorienti l’anima. Soltanto tenendo presente Dio, capiamo che ogni anima è in dialogo con Dio.

Franca:

Luigi: Certo il lebbroso tocca e il povero richiede il mantenimento, mentre la miseria spirituale non si vede. Ma sei convinta che nella nostra ricca società ci sono molti più lebbrosi, nel senso spirituale, che in terra di missione? Tanti santi dicono che la vera miseria non è quella materiale. Sei convinta che in mezzo noi ci sono delle persone che subiscono una miseria estrema? Il problema è che noi ci fermiamo a ciò che appare.

Pensieri conclusivi:

Pinuccia: Il Signore ci dice: “Tu pensa a Me che Io penso a te”. Al Signore dobbiamo offrire “solo” il nostro pensiero.

Luigi: Tant’è vero che se noi pregassimo da mattina a sera con le labbra ma il nostro pensiero fosse altrove, il Signore non saprebbe cosa farsene della nostra preghiera. L’importante è che offriamo a Dio il nostro pensiero.

Pinuccia: Però la mia difficoltà è che non ho il dominio dei miei pensieri.

Luigi: Certo, vivrai questa difficoltà fintanto che non conoscerai il Signore perché il dislivello che c’è tra il sogno e la realtà permane fintanto che la nostra anima non giunge a conoscere il Signore come Lui vuole essere conosciuto. Cioè fintanto che non arriviamo ad essere con Lui come Lui è con noi, Lui ci fa sentire il divario, è opera sua; per cui per noi resta sempre un ideale che non corrisponde alla realtà: abbiamo una frattura. Tutto questo è opera sua per dirci: “Cammina, sali più su, perché Io ti aspetto più su”. Lo vediamo bene nel cammino spirituale: quando vediamo la meta ci sembra pace gioia perché il Signore mi ha dato una luce; ma domani sono di nuovo inquieto. Come mai? Il Signore si è spostato, è andato più su e da lì mi dice: “Adesso sali” e noi ci fermiamo, arranchiamo. Dio è con noi, ma chiede a noi di essere con Lui, come Lui è con noi quindi non dobbiamo stupirci di questi divari. Il Signore corregge i suoi figli. E in cosa consiste questa correzione? Nel farci sentire il divario che c’è tra il sogno di una vita secondo Dio e la realtà. “Guai a voi che avete trovato la vostra soddisfazione”.

Silvana: È necessario per poter conoscere Dio, aver bisogno di Lui; essere coscienti che niente ci può soddisfare se non Lui.

Luigi: Si deve formare in noi quella convinzione, quell’orientamento: “Tu solo hai parole di vita eterna”, “Tu solo puoi rispondere agli interrogativi della mia anima, nessun altro” per cui non andiamo più ad elemosinare da uno e dall’altro. San Giovanni della Croce dice: “Cessa di mandarmi le tue creature che non possono dirmi quello che io voglio. Vieni Tu a curarmi la ferita” perché chi ha aperto una ferita d’amore, è solo Lui che la può saldare, nessun altro. Ora, la ferita d’amore è creata da Lui, è Lui che ha ferito in quanto ha presentato la vita vera, Lui solo può rispondere, può soddisfare.

Silvana: Non dobbiamo mai giudicare perché ma cercare presso Dio il significato perché Dio ci supera continuamente.

Luigi: Non dobbiamo mai fidarci di ciò che sappiamo, anche delle luci di Dio. Dobbiamo in continuazione, sempre riferire tutto a Dio, riportare a Dio, tener presente Dio. Perché per poco che noi dividiamo le cose dal Creatore, tendiamo ad abituarci. Per poco che ci lasciamo portare dalle altre cose, fidandoci di ciò che ormai abbiamo conosciuto, capito, immediatamente siamo portati via. Ci deformiamo, perché è Lui che ci mantiene nella luce. È Lui che fa sorgere la luce ma è anche Lui che ce la mantiene. Per cui, in continuazione, anche quando si parla noi dobbiamo sempre essere in ascolto di Dio, mai permetterci di parlare da noi spontaneamente, per quel che sappiamo, per quello che abbiamo saputo; dobbiamo sempre riferire a Dio. Riferendo a Dio, poco o tanto, la cosa si illumina. Sapendo questo dobbiamo raccogliere, raccogliere la messe; far conto su Dio, non far conto su altro.

Amalia: Ogni persona è in dialogo personale con Dio.

Luigi: Anche se non lo sa. È in dialogo nel senso che Dio è in dialogo con lei. Noi dobbiamo rispettare questo dialogo, stare molto attenti perché lì è terreno sacro, lì è terreno di Dio, è c’è Dio che parla, anche se l’interessato non lo sa. Bisogna stare molto attenti con i bambini perché con la nostra grossolanità possiamo distoglierli dalla sua sensibilità verso il Signore; posso immettere, introdurre la mia persona al posto di Dio. Quindi è una responsabilità grande. È soltanto tenendo presente Dio che Dio ci insegna a comportarci bene verso le creature.

Eligio: In questo episodio ci viene rivelato che ci sono due vite…

Luigi: È caratteristico il fatto che ci sono due fedi,  ci sono due conoscenze: la fede per sentito dire e la fede per constatazione; la conoscenza per sentito dire e la conoscenza da Dio. Fintanto che siamo su un piano fittizio noi ci accontentiamo del sentito dire è quello è rivelazione, è testimonianza a noi, è specchio per noi per dirci: “Non ci siamo”.

Eligio: Ma quella soddisfazione non ci appaga.

Luigi: C’è una soddisfazione momentanea. Ad esempio c’è la felicità dell’ubriaco; anche noi siamo ubriachi, ci droghiamo con il lavoro, con la ricchezza, con le creature. Se io tendo ad una certa meta e la raggiungo, il quel momento, anche se dura poco, mi sembra di essere felice. Indubbiamente non è la vera felicità.

Eligio: Noi siamo felici solo quando il nostro pensiero riposa in Dio.

Luigi: Certo.


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«Molti samaritani di quella città credettero in Lui a motivo delle parole della donna che attestava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto,  noi stessi abbiamo udito e abbiamo visto che Egli è veramente il Salvatore».  Gv 4 Vs 39-42 Terzo tema.


Titolo:  Scegliere e lasciare.


Argomenti: Gioia e Dio. L’ambiguità. Portare a compimento l’opera del Padre. Alzare gli occhi. L’incomunicabilità è morte. La comunione tra le creature. L’uomo spirituale e l’uomo materiale. Dio sopporta tutto. Capire è armonia. Il rumore del nostro io. Molti e pochi. Il vero amore. Ricevere e seguire l’annuncio. “Manderò la mia fame sulla terra”. La vita è scelta.


 

28/Agosto/1977


Approfondimento dei temi precedenti

Pinuccia: Chi è umile vive nella verità.

Luigi: Chi vive nella verità è umile. Come non si può dire che chi è nella pace è con Dio ma si può dire che chi è con Dio è nella pace. Non si può dire che chi è nella gioia è con Dio ma si può dire che ci è con Dio è nella gioia.  Perché anche l’ubriaco può essere nella gioia. Quando uno tende ad una  meta è nella gioia allora dice: “Sono con Dio”. No, non si può confondere! È vero che con Dio c’è la gioia ma Dio non si scambia con la gioia. Altrimenti ci possiamo illudere dicendo: “Ho trovato la felicità, ho trovato Dio”. Il giorno dopo verrai smentito.

Pinuccia: Non è detto che chi ama il prossimo ama Dio.

Luigi: Certo. Chi ama Dio ama il prossimo. Tutte le creature sono ambigue come tutto ciò che accade nel mondo ha due volti: ha un volto di eternità e un volto di temporaneità. Nel pensiero dell’io abbiamo la temporaneità. A seconda se ha il Pensiero di Dio o dell'io, si ferma ad un aspetto o ad un altro. Ognuno può cogliere Dio dall'esterno, nell'operato degli altri solo se lo porta dentro di sé: così pure la testimonianza che Cristo ha dato (e chi ha dato una testimonianza più grande di Lui?), non fu sufficiente per chi non aveva questa dimensione interiore, cioè questo rapporto personale dell'anima con Dio. Quindi non basta niente dal di fuori, anche se il di fuori è tutta opera di Dio.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Luigi: Il tema della vita è la conclusione e il riepilogo di tutti i temi svolti precedentemente: i due cibi (il cibo materiale e il cibo spirituale). Gesù parte sempre da un argomento nostro; per la samaritana era l’acqua e Lui le parla dell’altra acqua. Qui c’è il problema del mangiare materiale e Lui parla di un altro mangiare. Gesù ci riporta sempre negli argomenti dello spirito. Dice: “Mio cibo è fare la volontà del Padre mio, cioè portare a compimento l'opera sua”; qual è la volontà di Dio per ognuno di noi? Che portiamo a compimento l’opera del Padre, il che vuol dire che l’opera del Padre non è compiuta in ognuno di noi e non si compie senza di noi. Per cui tutto viene da Dio, tutto è seminato da Dio, tutto è fatto crescere da Dio fino alla messe ma aspetta da parte nostra l’opera di raccoglimento nel Padre. Per poter vedere questa messe è necessario: “alzare gli occhi”;  infatti il tema era questo: “Alzate gli occhi”. Perché se non alziamo gli occhi non vediamo la messe; questo è importante: solo con Dio possiamo alzare gli occhi. Dobbiamo capire bene cosa vuol dire: “Alzare gli occhi”. Alzare gli occhi vuol dire alzare gli occhi dalla terra al cielo; il cielo è Dio quindi dobbiamo levare lo sguardo dalle creature a Dio. Perché solo con Dio si può vedere ciò che si deve fare, cioè l'essenziale. Altrimenti si confonde ciò che si deve fare con altro e non si coglie l’essenziale. Anche per vedere l’essenziale è necessario avere in noi presente Dio. Noi Dio naturalmente non l’abbiamo mai presente, ma naturalmente abbiamo presente il nostro io. Per avere presente il  Pensiero di Dio, dobbiamo superarci e superare anche tutto quel mondo che è relativo al nostro io. Quindi: “Va, vendi tutto ciò che hai”, “Chi non è disposto ad odiare padre e madre non è degno di me”. È necessario superare tutto per poter guardare Dio perché è soltanto guardando Dio che si vede quello che si deve fare si vede l’essenziale, quell’unica cosa necessaria di cui Maria ha scelto la parte migliore. Nel mondo non si vede l’essenziale; per poterlo vedere bisogna alzare gli occhi. Quindi come ci sono le due acque, ci sono i due cibi: è tutto un modo di vedere diverso. Ci sono due modi di vedere le cose. Poi abbiamo visto il tema del mietere e del salario; il tema dell'alterità: “Altri è chi semina e altri chi miete”. Poi siamo passati al tema della vita; cosa sia vivere e perché sia bello vivere. Poi abbiamo visto perché la porta sia stretta; poi il credere per sentito dire e il credere per constatazione diretta.

Pinuccia:  Quando abbiamo approfondito il tema della vita abbiamo detto che Dio stesso ci significa la vita nella natura, in quello che ha fatto. Vediamo i vegetali, gli animali, gli uomini. Ci sono tre piani: il piano dell’esistente rappresentato dalle pietre che esistono ma non vivono; il piano dei vegetali e degli animali che sono degli esistenti e vivono. E poi c’è il piano dell’intelligenza, della conoscenza, l’uomo che esiste, vive, conosce. La conoscenza è la forma più alta di vita; la conoscenza di Dio è la forma spirituale più elevata. Il Signore ha creato tutto questo per dirci qualche cosa su ciò che è la vita e su ciò che è la non vita. Nel campo biologico (vegetale e animale) la vita è comunione con qualcosa; la pianta assimila i minerali, li trasforma in vita.

Luigi: Il mondo superiore assorbe sempre il mondo inferiore. La vita è un processo di assimilazione: è un passaggio al mondo superiore. Chi vive porta in sé la vita; Dio è il massimo vivente assimila tutto in Sé.

Pinuccia: La vita è comunione in tutto ciò che esiste.

Luigi: Possibilità di comunione.

Pinuccia: Infatti la pietra che non ha la possibilità di comunione, non vive.

Luigi: Anche noi, siccome non abbiamo la vita in noi stessi, solo Dio ha la vita in Sé. Noi abbiamo la vita solo per partecipazione. Per cui, noi non essendo viventi, possiamo perdere questa vita. Non mantenendo l’unione con Dio, noi perdiamo la vita. Ad un certo momento perdiamo la possibilità di comunione con Dio. E allora troviamo la morte. Con la morte, e possiamo trovare la morte prima di morire, noi siamo fratturati: il mondo non ci dice più niente e noi non diciamo più niente al mondo. Uno può sperimentare questa morte interiore che è la chiusura nell’io: l’incomunicabilità; perché siamo impossibilitati di comunicare con l'Essere. L'incomunicabilità è questa morte interiore.

Pinuccia: La vita è possibilità di comunione con ciò che esiste. La morte è impossibilità di fare comunione. Siamo morti quando siamo nell’impossibilità di comunione. Chi ci dà la possibilità di comunione con ciò che esiste è il Principio di tutto ciò che esiste. Il Principio di ciò che esiste è anche il Principio di comunione con ciò che esiste e quindi di vita. Il Vangelo dice: “In Lui è la vita”. L’uomo non ha la vita in sé ma la vita gli viene dalla presenza di Dio. A seconda di ciò che l’uomo ha presente, ha la possibilità o meno di capire, di comunicare e quindi di vivere. L’uomo riceve la vita da ciò che ha presente: solo se ha presente Dio ha la possibilità della vera comunione con tutto. Se non ha presente Dio, l’uomo si trova nella impossibilità di cogliere l’anima delle cose; si nutre di cose, di apparente ma la sostanza gli sfugge e quindi gli sfugge la vera comunione. Non tenendo presente Dio, l’uomo semina in sé la morte. La massima espressione di vita è la comunione con Dio perché Dio è il Principio di tutto ciò che esiste.

Luigi: Anche in Paradiso, la comunione, il dialogo tra le creature, passa sempre attraverso Dio: così deve già essere qui tra noi. La proiezione di come è la vita nel cielo di Dio, deve insegnare a noi come deve essere la vita tra noi, adesso. Quando il Signore ci fa dire il Padre Nostro, diciamo: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra” e come si fa la volontà nel cielo di Dio? Sempre passando attraverso Dio, mai un rapporto tra creatura e creatura ma tra creatura e Dio; presso Dio poi si parla alla creatura. Ma il termine fisso di orientamento è sempre Dio perché soltanto se la creatura guarda Dio direttamente, ha la possibilità di intendersi con l’altra creatura. Appunto perché si orienta. Ma quando non abbiamo un punto fisso di riferimento tra noi c’è l’incomunicabilità perché se io parlo secondo un mio principio, l’altro ha presente un suo principio, si fraintende. Ecco per cui tra creatura e creatura non si può comunicare la verità; si può comunicare la verità soltanto là dove ogni creatura guarda la verità: allora c’è la verità che si comunica. Facendo riferimento a Dio, le creature si capiscono, si intendono. Questo avviene nel cielo di Dio e questo deve avvenire sulla terra. Quindi noi dobbiamo imparare a comunicare tra noi sempre facendo riferimento a Dio. Non facendo riferimento alle cose della terra o ad esperienze della terra: a motivi umani o sociali, o di massa, perché tutti fanno così, perché la natura è fatta così. Questi motivi non sono validi nello spirito di Dio. Solo in Dio c’è la vera conoscenza e c’è la possibilità di comunione tra le creature. È Dio che fa vivere tutti sotto la stessa tenda: quindi è Dio che unisce. Gesù stesso, quando pregò il Padre affinché siano tutti una cosa sola, pregò il Padre, è il Padre che unisce. Non dice alle creature: “Unitevi tra voi”. No! Pregò il Padre che unisce. Questo per dirci che: “Soltanto se voi guarderete al Padre, il Padre vi unirà; perché è il Padre che vi unisce, non siete voi che vi potete unire tra voi”. Anche se voi, con tutta la vostra buona volontà diceste: “Camminiamo insieme” dopo poco sareste tutti divisi. È solo il Padre che unisce. Allora Gesù prega il Padre che unisca; affinché tutti guardino il Padre. Guardando il Padre ci si unisce.

Pinuccia: Quindi Dio è il Principio di vita.

Luigi: Dio è il Principio di tutto, di comunione, di intelligenza, di comunione. Dio è il Principio di comunione tra le creature.

Pinuccia: Se non lo teniamo presente seminiamo la morte in noi e intorno a noi.

Luigi: Per cui nella vita qui in terra possiamo oscillare tra Dio e la pietra.

Pinuccia: Gesù viene proprio per cambiare il nostro cuore di pietra in cuore di carne. Nella seconda parte abbiamo approfondito il tema: perché è bello vivere. Bello è tutto ciò che è in sintonia, in accordo; brutto è ciò che è disarmonico, fratturato, in disaccordo. Se la vita è possibilità di comunione, la vita è creare comunione con ciò che esiste. Cioè creare accordo, armonia, bellezza. Si può concludere che vivere è fare la bellezza. La bellezza è fonte di gioia.

Luigi: Cina vuoi dire qualcosa?

Cina: Mi ha colpito il concetto di impossibilità di comunione e la comunione.

Luigi: La possibilità della comunione con Dio. Teniamo presente che non è detto che automaticamente si arrivi alla comunione; si può arrivare al Calvario, si può arrivare alla Croce perché ogni creatura, per arrivare alla comunione con la creatura, deve lei stessa superarsi e arrivare a Dio. Non basta che uno sia in sintonia con Dio perché sia in sintonia con le altre creature. Gesù era più che in sintonia con il Padre eppure è stato crocifisso. Quindi bisogna bilanciare la morte in croce, non è da escludere. Non è detto che se io cerco Dio sono in armonia con le creature. Perché l’armonia con le creature, l’armonia con il delinquente, presuppone che anche nell’altro ci sia il superamento del suo io, altrimenti non ci può essere armonia. Gesù stesso dice: “Non crediate che Io sia venuto a portare la pace”. Per questo non dobbiamo confondere: dove c’è la pace c’è Dio. Gesù dice: “Io sono venuto a portare la guerra, la divisione”. Quindi non è che facendo la pace troviamo Dio; cercando Dio si è in pace ma non è detto che questo crei la pace tra le creature. Anzi, siccome la ricerca di Dio è amore, passione, crea conflitto con chi ha altre passioni. L’uomo spirituale comprende l’uomo materiale, del mondo ma non è detto che l’uomo materiale comprenda l’uomo spirituale; anzi, l’uomo del mondo fa guerra contro l’uomo spirituale perché non capisce. La differenza sta in questo: l’uomo spirituale essendo in comunione con Dio comprende l’uomo del mondo e non fa la guerra all’uomo del mondo perché lo comprende; anche se non è compreso. L’uomo del mondo, non comprendendo l’uomo spirituale, deve fargli la guerra, non lo sopporta, deve ucciderlo perché nel mondo, ciò che non si capisce, deve essere escluso. Mentre l’uomo spirituale non esclude quello che non capisce perché lo prende dalle mani di Dio. l’uomo spirituale ha la possibilità di accogliere anche quello che non capisce perché lo riceve dalle mani di Dio. L’uomo del mondo non può accettare quello che non capisce per cui lo deve mandar via, lo deve escludere dalla sua vita, lo deve far fuori, non lo può sopportare. L’uomo del mondo non sopporta, l’uomo spirituale sopporta perché ha Dio. Cristo muore in croce, sopporta il mondo; il mondo deve mandarlo a morte, deve ucciderlo perché non sopporta Cristo. Cristo sopporta il mondo, il mondo non sopporta Cristo, non può sopportare Cristo perché il mondo può andare d’accordo soltanto con chi condivide la sua idea, non può sopportare chi non condivide la sua idea. Dio sopporta tutto perché essendo Verità; chi è con Dio sopporta tutto, ha la possibilità di sopportare anche quello che non capisce. Con Dio ha la possibilità di capire tutto, ma sopporta anche quello che non capisce perché in tutto vede la volontà di Dio, la mano di Dio. Chi non è con Dio non sopporta: “Facciamolo fuori, perché costui viene a rattristare la nostra vita. Viene a limitare la nostra gioia”.

Franca: Gesù dice: “La mia vita nessuno me la può prendere”.

Luigi: Si, ma Lui proprio in quanto entra nel mondo degli uomini, questa è la sua libertà. Lui può non farsi prendere dagli uomini. È Lui che decide il tempo della sua morte non sono gli uomini. Gli uomini hanno cercato tante volte di prenderlo ma Lui non si lasciava prendere perché non era ancora giunta la sua ora. Quando è il suo tempo dice: “Andiamo a Gerusalemme”. Lui può non entrare: “Nessuno mi costringe a dare la mia vita: il Padre me l’ha data ed Io liberamente la do” Lui si incarna. Incarnandosi, mette tutto il mondo in crisi perché fa entrare nel mondo una luce che il mondo non sopporta.

Pinuccia: Si può dire che il fatto che il mondo non sopporta Gesù ma Gesù sopporta noi, è armonia?

Luigi: Certo; Dio sopporta tutto, anche l’uomo malvagio. In Dio si comprende e si giustifica anche l’uomo malvagio per cui Dio sopporta anche la cattiveria dell’uomo, il delitto dell’uomo perché sa che attraverso quel delitto, quel male, l’uomo a poco per volta matura. Perché Cristo si è lasciato mettere in croce? Per salvare, non per condannare. Se per noi non ci fosse una speranza, la morte del Cristo sarebbe per condannare il mondo. Cristo è morto, opera di Dio, è per la salvezza degli uomini, non per la condanna degli uomini. Però può essere condanna. Però da parte di Dio è per la salvezza. Quindi tutta l’opera di Dio nel sopportare gli uomini, è per la loro salvezza, è misericordia di Dio. Quindi insegna anche a noi a non condannare ma a sopportare la cosa sapendo che c’è un disegno di speranza nel sopportare. Perché per l’uomo non è efficace l’esperienza degli altri; l’uomo deve fare esperienza. La pianta matura dall’interno, non cresce dall’esterno. Non basta che ci sia tanta vita intorno ad una pianta che è morta per farla rivivere; la pianta deve avere la vita dentro di sé. Ecco perché tutte le esperienze, la storia, non servono perché ognuno assimila soltanto le sue esperienze. Allora Dio sopporta e dà delle lezioni per cui dobbiamo sopportare gli altri sapendo che attraverso la sopportazione si forma la maturazione dell’uomo, si convince. Ecco perché tenendo presente Dio si rispetta molto la creatura, le condizioni della creatura, sapendo che nella creatura c’è Dio che dialoga, sopporta le bestemmie della creatura affinchè la creatura possa, senza essere soffocata, maturare, spiritualizzarsi. Anche noi non dobbiamo violentare la creatura ma offrire sempre la possibilità dall’interno di assimilare.

Pinuccia: La comprensione dell’opera di Dio e la comprensione delle creature è comunione, è armonia.

Luigi: Se uno è con Dio vede l’armonia: se Dio sopporta le creature, è perché vede una speranza: la speranza è armonia. “Non spezzate la canna incrinata, non spegnete il lucignolo fumigante”. Invece la tentazione nostra è quella di spegnere ciò che fa fumo perché vediamo il difetto; come quando spezziamo la canna incrinata. Invece Gesù ci insegna a far leva su quel poco che c’è; a volta sembra tutta cenere, ma guarda che sotto c’è la brace: stai attento che da lì può sprizzare una fiamma. Se tu spargi la cenere perché pensi che è tutto finito, finisce tutto.

Pinuccia: Quindi la vita è sempre bella. È bello vivere anche nelle situazioni più tragiche.

Luigi: La bellezza viene sempre dall’armonia con Dio. Se noi intendiamo come vita la possibilità di comunione con le creature, allora non sempre è bello vivere, anzi. Se invece intendiamo come massimo essere la comunione con Dio, allora si. Perché più si vive con Dio e più si forma questa armonia con Dio e attraverso Dio si vede l’armonia, la sinfonia  con tutte le creature.

Cina: È quando non si capisce che si sta tanto male.

Luigi: Quindi non è necessario essere in armonia ma è necessario capire. Il capire è dentro, fa l’armonia dentro perché il capire è armonia, è armonizzare; l’intelligenza è armonia; la conoscenza è un’armonia. Mentre quando non capiamo c’è la frattura, c’è la disarmonia. Quello non entra e c’è un’altra cosa che è in contraddizione e siamo noi i primi a soffrirne.

Pinuccia: Quindi possiamo dire che per Gesù sulla croce è bello vivere.

Luigi: Certo, se Gesù sulla croce arriva a chiedere perdono al Padre, è una specie di bellezza, di armonia perché mette in armonia il peccatore con il Padre e con se stesso. La riconciliazione vuol dire armonia: attraverso la sua morte Gesù concilia. Non è detto che automaticamente ci sia la riconciliazione però in Lui, attraverso Lui si realizza. Per questo bisogna sempre essere in Lui; se noi ci distacchiamo da Lui cade l’armonia. Lui si è sacrificato per l’armonia, è morto per l’armonia.

Pinuccia: Quindi abbiamo portato degli esempi concreti; ad esempio tra il povero e il ricco c’è disaccordo, non c’è armonia. Per cui la possibilità come vita in comunione con Dio è una proposta; all’uomo arriva la proposta di creare l’armonia là dove c’è disarmonia, creare bellezza dove c’è disaccordo. Il ricco di fronte al povero è chiamato a creare questa armonia. E questo si verifica in tutti i campi dove c’è disaccordo. Poi abbiamo approfondito le parole di Gesù che dicono: “Stretta è la porta che conduce alla vita e pochi sono quelli che la trovano”. I sottopunti sono stati tre: Gesù dice che c’è una porta che conduce alla vita; perché questa porta è stretta; e perché sono pochi quelli che la trovano. Se Gesù dice che c’è una porta che conduce alla vita è per farci rendere conto che attualmente, nella vita in cui siamo, non siamo nella vera vita.

Luigi: Gesù enuncia due vite: la vita attuale in cui viviamo ci troviamo noi per cui ci fa capire che questa non è la vera vita; c’è una porta che se non oltrepassiamo non possiamo entrare nella vera vita.

Pinuccia: E perché Gesù dice che è stretta: “Sforzatevi di entrare”? Perché siccome Dio è la vita, e quindi il nostro io non è Dio, richiede per arrivare nella vita il superamento del nostro io. Questo superamento del nostro io è la porta stretta. In contrapposizione Gesù dice: “Larga è la porta che conduce alla perdizione e molti sono quelli che la percorrono” allora sembra che le cose non siano fatte bene, apparentemente. Perché se larga è la via che conduce alla perdizione è perché è stretta quella che conduce alla salvezza. Questo è perché noi naturalmente viviamo incentrati nel pensiero del nostro io, le cose le riferiamo a noi, quindi è facile vivere naturalmente. Tutto ci porta a vivere naturalmente: allora non c’è da sforzarsi.

Luigi: Qui ci fa capire come sia facile sprecare la vita, è come sia facile sprecare il tempo, come sia facile sprecare questa giornata. Per cui è molto facile sprecare ma è molto difficile non sprecare. È molto facile divertirci ma è molto difficile convertirci. Perché il convertirci, l’impegnarci richiede sempre il pensiero. È facile agire, è difficile pensare perché pensare richiede il superamento dell’io.

Pinuccia: Qualsiasi pensiero? Perché è facile pensare alle cose del mondo.

Luigi: No, il vero pensare. Perché il vero pensare è la ricerca della verità, è la ricerca del Pensiero di Dio il quale richiede sempre il superamento del pensiero dell’io. Pensare significa unificare: Dio è il centro Unificatore. È più facile agire, perché nell’agire c’è sempre il pensiero del nostro io. Noi possiamo anche trasformare la nostra preghiera in azione; allora diventa molto facile pregare. Per questo il Signore ci rimprovera: “Voi pregate con le labbra non con il cuore”. Il tuo pensiero dov’è? Allora lì diventa molto difficile pregare: la vera preghiera è difficile perché presuppone il silenzio su noi stessi. La vera preghiera è ascolto di Dio che parla. Noi siamo tutti pieni di rumore del pensiero del nostro io. È molto difficile far tacere il nostro io, far tacere il mondo al quale ci siamo interessati. Alla sera, spegnendo la luce, il mondo fa silenzio ma non fa silenzio il mondo che è entrato dentro di noi durante la giornata. E questo non fa silenzio perché noi diventiamo figli di tutte le cose a cui ci interessiamo. Siccome siamo dipendenti del mondo a cui ci siamo interessati, questo ci urla dentro; diventa molto difficile farlo tacere perché comanda lui. Non siamo più noi i padroni: comanda lui. Soltanto se noi ci siamo superati, ecco la porta stretta, durante il giorno per guardare Dio, per cercare Dio, per ascoltare Dio, ecco che allora noi siamo padroni della nostra anima di conseguenza il mondo non fa rumore dentro di noi e diventa facile ascoltare. È facile ascoltare in quanto c’è stata la difficoltà prima. Per cui chi passa per la porta stretta trova molto difficile all’inizio ma poi diventa facile; chi invece non passa per la porta stretta trova molto facile all’inizio ma alla fine diventa un disastro perché resta schiavo di tutto, in balia di tutto. Non può più, non ha più l’anima nelle sue mani, non è più padrone della sua anima perché padroni della sua anima sono gli altri, il mondo. È diventato figlio di un mondo esterno ed il mondo esterno è terribile. Perché il mondo interno ha per centro Dio per cui è bellezza, è centro di unione, centro di gioia, di vita; il mondo esterno no! È frattura, schiaccia l’anima, la svuota, è il non senso. Allora l’uomo si sente vivo ma senza senso di vita, senza significato, si sente tutto schiacciato dagli altri; ecco perché è terribile.

Pinuccia: Invece se si è con Dio, il mondo esterno aiuta.

Luigi: Si, perché diventa tutto opera di Dio.

Amalia: Non c’è la possibilità che quest’uomo si renda conto del vuoto?

Luigi: Per rendersi conto del vuoto bisogna sperimentare Dio. Noi non ci rendiamo conto; quando ce ne rendiamo conto è troppo tardi. Man mano che si avvicina la morte si sperimenta. Non sa fare la diagnosi, ma lo sperimenta. Sarà la vecchiaia, sarà la morte ma non può fare la diagnosi. Interpreterà in cause naturali, accuserà la società, gli altri di quel fallimento che sperimenta. Non può fare la diagnosi, perché per fare la diagnosi bisogna essere nella luce. Però l’esperienza la fa, è Dio che fa toccare con mano: è Dio.

Franca: È Dio o può essere anche una persona che ci richiama a Dio.

Luigi: È sempre Dio perché tutto è opera di Dio. Con Dio se ne può accorgere. Se noi abbiamo fede, e colleghiamo con Dio questa esperienza, allora siamo molto critici. “Sto constatando quello che Gesù disse”. Perché leggendo le parole del vangelo, anticipiamo il futuro, prevediamo quello che sarà. Il signore dice: “Conoscerete il futuro” cioè saprete quello che vi accadrà nella vita man mano che vivete perché sono Io che opero in tutto, sono Io che vengo a voi in tutte le cose.

Franca: Ma prima hai detto che la diagnosi siamo noi che la facciamo.

Luigi: No, ho detto che fintanto che non siamo nella luce, non siamo con Dio la diagnosi non possiamo farla: sperimentiamo le cose ma non possiamo fare la diagnosi. Per fare la diagnosi bisogna essere nella luce, bisogna aver conosciuto. Si può fare solo con Dio, Dio conosce. Solo nella luce di Dio noi conosciamo anche noi stessi; noi non possiamo conoscerci e non possiamo conoscere quello che subiamo. Noi sperimentiamo le cose, ma la causa di quello che noi proviamo, sperimentiamo, non possiamo saperla. È solo con Dio. O la nostra anima è con Dio, è illuminata, allora può dire: “Tu sei così”. Oppure c’è un altro con Dio che può dire a me: “Tu sei così”. Ma è solo con Dio che si conosce. Non è però che senza Dio non si sperimenti; si sperimenta ma non si può fare la diagnosi. Come se un ammalato si sente malato ma non sa dire cos’ha, ci vuole il medico per fare la diagnosi. I mali dell’anima sono molto più gravi dei mali del corpo: li subiamo ma non possiamo fare la diagnosi. Quante volte sentiamo il vuoto, la stanchezza, la paralisi spirituale, sono tutti i mali che ci portiamo addosso; la morte stessa dell’anima, in balìa degli eventi. Tutti questi sono mali che ci portiamo addosso ma non sappiamo fare la diagnosi: solo presso Dio possiamo fare la diagnosi.

Pinuccia: Il secondo punto era: “Molti sono i chiamati, pochi gli eletti”: quei “pochi” come va inteso? Altre volte Gesù fa questo confronto fra i “molti” e i “pochi”, quando dice: “molti sono i chiamati, pochi gli eletti”. Allora quando parla di “molti” dobbiamo intenderlo come la totalità; invece quando parla di “pochi” è sempre simbolo di partecipazione personale. Cioè non si entra in molti nella vita..

Luigi: Totalità nel senso di massa; cioè non si entra in massa nella vita; come non è che Gesù dicendo “pochi” escluda che “tutti”. In quel “pochi” può anche intendere “tutti” però personalmente perché chi ti ha creato senza di te non ti può salvare senza di te quindi c’è la partecipazione personale.

Pinuccia: Quindi “pochi” vuole indicare la partecipazione personale perché l’entrare per la porta stretta richiede il superamento del pensiero del proprio io. Solo noi stessi, se siamo convinti che il pensiero del nostro io non è Dio, possiamo superare noi stessi.

Luigi: Si, perché il pensiero del nostro io è Dio stesso che ce lo dà; nessuno può superare per noi il pensiero del nostro io, soltanto noi. Ecco lì il processo d’amore, soltanto noi possiamo offrirci ad amare, nessuno ci costringe ad amare. Gesù stesso dice: “Nemmeno il Padre mi obbliga a dare la vita, sono Io che la dò”. Ecco vedi la bellezza con Dio è questa: che c’è sempre la partecipazione personale; non avviene niente di automatico. Si va sempre verso un più: più si va verso Dio e più si va verso una maggiore partecipazione personale. C’è la partecipazione di coro di tutto l’universo, di tutte le creature, e in più c’è la partecipazione in proprio della persona singola che sublima tutto il coro e fa un “assolo” con Dio; c’è l’intimità con Dio, in cui però c’è il coro di tutte le creature, di sfondo. Perché  noi non ce ne rendiamo conto, ma in ognuno di noi c’è la sintesi di tutto l'universo; in noi si raccolgono tutte le voci di tutte le creature e anche di tutti gli uomini. In ciascuno di noi c'è la ricapitolazione di tutti gli uomini, perché tutto in noi diventa fame e desiderio di Dio (è la voce di tutto). In più si aggiunge questo superamento dell'io che è personale, per cui c'è questo “assolo”.

Amalia: Non avevo mai inteso i “pochi” e i “molti” in questo senso.

Luigi: Il “molti” non va inteso come numero, perché presso Dio non c'è numero. I numeri presso Dio non sono uguali ai nostri. Nel mondo materiale, non biologico uno più uno è uguale a due; nel mondo biologico uno più uno è uguale a tre; nel mondo dello spirito Uno è uguale a Tre; non solo, ma nell'Unità c'è l'Infinito. Con Dio uno più Uno è uguale all'Infinito: la nostra anima unendosi a Dio diventa infinita, si apre all'Infinito. Ora già questo è un simbolo per dire che la quantità è un po' la cenere della fiamma dello Spirito, è l'ultimo gradino dello Spirito. Lo Spirito bruciato rimane materia, quantità, non c'è più vita; ma più noi saliamo, più abbiamo l'incremento all'Infinito. Però si richiede la partecipazione personale, quel “pochi”, “la porta stretta”, “sforzatevi di entrare”. Per cui i discepoli chiedono: “Sono molti coloro che si salvano?” non è questo il problema! I “molti”, il coro, hanno la funzione di sollecitarci ad entrare. Gesù interpreta la funzione del coro, che è opera di Dio, e dice: “Sforzatevi voi di entrare”. Sei tu che devi entrare, oggi, non domani; non aspettare che entrino gli altri; per cui: “Se tu oggi ascolti la Parola di Dio, affrettati ad entrare nella sua pace, perché non ti succeda come il popolo eletto (i “molti” che non furono solleciti ad entrare nella terra promessa) che morì nel deserto, dopo aver girovagato per quarant'anni”. Il che vuol dire che prima di morire ci sono questi quarant’anni di deserto se noi non entriamo nel regno di Dio. bisogna morire a noi stessi prima di morire perché poi dopo è troppo tardi.

Pinuccia: Poi abbiamo detto che Gesù stesso dice: “Io sono la porta”. Perché non si entra nel regno di Dio se non per mezzo suo.

Luigi: C'è Uno che ci conduce, però noi dobbiamo unirci a quest'Uno. Non basta cercare Dio per trovarlo. “Mi cerherete ma non mi troverete, dove Io sono voi non potete venire”. Si entra nel Regno di Dio solo con Dio. Bisogna sempre appoggiarci su Lui, se no busseremo ad una porta, ma non saremo conosciuti; invano busserete. Bisogna lasciarci condurre da Lui, appoggiarci alla sua Parola. L'iniziativa è sua. Non debbo cercarlo con il sistema mio, con le mie risorse, con il tempo mio, quando voglio io: perché così tu non lo troverai. Cerca Dio quando Dio fa arrivare a te la sua parola. Sii disponibile: bisogna mangiare la cena in piedi, pronti a partire al passaggio dell'angelo.

Pinuccia: Quando leggiamo: “Mi troverete se mi cercherete con tutto il vostro cuore”.

Luigi: La totalità di cuore è la totalità, è il superamento. Uno ama con tutto il cuore quando dimentica se stesso. Il vero amore è non pensare alla propria vita: “Chi pensa alla propria vita la perde”. L'amore è dimenticarsi per far essere l'Altro, per far vivere l'Altro, cercare la gloria dell'Altro. L'amore è quel dono di Dio, quella capacità data a noi di vivere per un Altro: e questo vuol dire far essere l'Altro, pensare all'Altro, non pensare più a se stessi. Più pensi a te, più ti diminuisci: soltanto dimenticandoti per far vivere l'Altro, vivi anche tu. Più fai vivere l'Altro, più vivi anche tu. Nel mondo invece si ragiona in modo opposto.

Pinuccia: In quella frase dell’Antico Testamento non vedo la funzione di Gesù.

Luigi: Nella totalità dell'amore implica l'appoggiarci a Dio (funzione del Cristo): perché si ama in quanto si ha presente una persona. La totalità di amore, la totalità di pensiero presuppone un oggetto di pensiero: non possiamo tirarci su con le nostre stringhe delle scarpe, ma abbiamo bisogno di appoggio; per dimenticarci di noi stessi abbiamo bisogno dell'Altro; per amare, abbiamo bisogno dell'Altro. C'è sempre bisogno dell'Altro: ecco l'alterità. Un Altro è che semina, un Altro è che fa crescere: voi subentrate, ma in quanto trovate già tutto fatto. Quindi Dio viene a te: quando viene, sii disponibile. Tutto il nostro guaio è questo: di non essere aperto all'Altro quando l'Altro viene. Dio parla e tu dov'eri? Io parlavo con te, e tu dov'eri? Dio parla a: la creazione sta lì. Non sei tu che ti apri ad amare: è Lui. Se tu ami è perché Lui è già venuto da te. Nessuno può amare se non è amato, se non c'è l'Altro che si presenta. La Presenza dell'Altro che dà a noi la capacità di amare è il vero dono. Fintanto che non c'è l'Altro, noi non possiamo liberarci dal pensiero del nostro io: “Mi cercherete ma non mi troverete”. È la presenza dell'Altro che mi dà la grazia di amare, ma non mi obbliga: ho la possibilità di amare in quanto l'Altro entra in casa mia; diversamente non posso fare a meno di girare attorno a me stesso, perché nessuno di noi si può liberare da solo: è l'Altro che libera. Ecco che l'Altro è grazia! Il dono della Presenza dell'Altro è la più grande grazia che possiamo avere nella nostra vita: da soli noi impazziamo, perché da soli non stiamo su. La creatura è fatta soprattutto dal dono dell'Altro, dalla Presenza dell'Altro. Quindi non trascurare l'Altro, perché è Lui la tua vita. Se tu lo dimentichi, se tu lo trascuri, quando un giorno tu ne sentirai il bisogno, Lui non ci sarà più. È questione di vita o di morte: la vita e la morte coincidono con la presenza o l'assenza della presenza. Il dono della presenza è vita, è creazione, è il dono di Dio. E siccome Dio sa che questo è condizione di vita per noi, si dona al punto da farsi uccidere da noi, per restare con noi, perché Lui, morto, è ancora motivo di vita per noi, se noi capiamo.

Pinuccia: Poi abbiamo approfondito il versetto: “Molti samaritani a motivo della donna credettero in Lui”: primo tema. E poi dice: “Vanno personalmente e dicono: non è più per quello che tu hai detto che noi crediamo infatti noi stessi abbiamo udito e sappiamo che Egli è veramente il Salvatore del mondo”: secondo tema. Nel primo tema la lezione principale che Gesù ci vuol dare con questi samaritani che credono in Gesù a motivo delle parole della donna è che bisogna prendere tutto da Dio. La loro umiltà, la loro semplicità di sguardo che avevano, questa attesa interiore di Dio li porta a credere in Gesù proprio a motivo delle parole della donna.

Luigi: Non bisogna disprezzare niente, anche ciò che è più disprezzabile, perché in tutto c'è una lezione di Dio.

Pinuccia: La seconda lezione è che la verità giunge a noi, attraverso qualsiasi mezzo.

Luigi: La verità è libera tanto da adoperare anche un peccatore o il demonio, per arrivare a noi. Ma è necessaria l'attesa interiore.

Pinuccia: Nel secondo tema si è anche detto che non basta ricevere l’annuncio ma bisogna seguirlo perché l’annuncio ci mette in movimento.

Luigi: L'annuncio che Dio ci fa giungere attraverso qualsiasi creatura, è per sollecitarci ad andare a ricevere personalmente ciò di cui ci parla: è l'invito della parabola dell’invito alle nozze: “Manda i servi su tutte le strade: venite alle nozze”. Non basta ricevere l'annuncio, perché lo si può anche rifiutare: bisogna andare alle nozze; alle nozze si partecipa personalmente. Noi siamo soddisfatti di una fede per sentito dire fintanto che abbiamo altri interessi. Si cerca invece la constatazione personale, la Presenza, quando si vive per l'Altro. L'incontro personale prende molto di più che non l'incontro per sentito dire, per cui c'è più intensità di fede (“in numero molto maggiore credettero!”).Si va verso un più: più si cerca Dio, più si va verso una vita più intensa, “maggiore”.

Pinuccia: Arrivano a dire: “Noi stessi abbiamo udito”.

Luigi: Ecco la verità interiore. Può dire questo chi ha in se stesso la prova della sua fede, della sua vita, ha in sé il motivo di vita, non più fuori: ecco i figli di Dio. Invece i figli del mondo vivono per altro fuori di sé. I figli di Dio sono mossi dall'interno, perché Dio è dentro di loro. “Abbiate in voi stessi la ragione della vostra fede”. Chi veramente ama si interessa personalmente per avere in sé la ragione del suo amore, della sua vita: lo hai in te il motivo. Gli altri invece si comportano per motivi umani o perché tutti fanno così.

Pinuccia: I samaritani, dopo l'attesa, constatarono che Lui è il Salvatore del mondo: ma non è sufficiente dovevano seguirlo. Per questo: “Si fermò solo due giorni”. Ma non basta volerlo seguire: bisogna che Lui ci prenda.

Cina: Ognuno ricapitola in sé tutte le creature.

Luigi: Noi siamo la sintesi di tutte le creature, non solo, ma tutte le creature in noi diventano “fame” di Dio, poiché tutte le cose che noi vediamo, anche quello passate, venendo a noi, pongono in noi il problema di Dio, il bisogno di Dio: “Manderò la mia fame sulla terra”. Presso Dio non c'è futuro: quando ci parla di tempi futuri, ci annuncia ciò che noi scopriamo con Lui, ma che è già. Dice: “Manderò”, in quanto se noi ascoltiamo Lui, scopriamo che la fame di Dio è già su tutta la terra, cioè che tutte le cose, arrivando a noi, ci conducono nella fame di Dio, nel bisogno di conoscere Dio, dicendoci: “Cerca il Signore, noi ti annunciamo Dio” (come la Samaritana); quindi: “parti, va”. Ecco quanto ci dice tutto il coro delle creature arrivando a noi: cerca Dio, alza gli occhi al cielo! E non può dirci altro. Ubbidiamo all'annuncio solo se dimentichiamo noi stessi; se invece noi ci rivolgiamo alle creature, cercando presso di loro ciò di cui noi abbiamo bisogno, cerchiamo Dio nelle creature, ma non nello Spirito. Abbiamo la vita “personale” quando Lo cerchiamo nello Spirito. Si diventa persone in quanto si sceglie personalmente, se no siamo automi, siamo vissuti, ma non viviamo e siamo solo espressione dell'ambiente e di istinti, ci muoviamo mossi dal mondo esterno; è il mondo esterno che mi fa essere, ma io non vivo. Si vive personalmente quando si ha in se stessi il motivo del proprio vivere, quando si è fatto una scelta personale: quindi Dio si offre a noi per una scelta personale. Tutte le creature ci convocano davanti a Dio, affinché noi facciamo questa scelta personale. Ma se noi non scegliamo Dio, noi deludiamo non solo Dio, ma anche tutte le creature, tutto l'universo che arriva a noi dicendoci: “Cerca Dio”. Noi siamo la sintesi di tutto l'universo, non solo quello di oggi, ma passato, presente e futuro, anche le speranze, perché tutto entra in noi: in noi c'è questo vertice in cui si arriva a contatto con il Figlio di Dio. Più si conosce Dio, più si conosce il valore dell'uomo e lo si rispetta, perché è un infinito.

Emma: “Chi non odia la sua vita non è degno di me”.

Luigi: Nello spirito non c'è l'odio: ma chi si sente amato in secondo luogo, si sente odiato, perché l'amore tende sempre ad avere il posto di privilegio, di amore unico (“non si può servire due padroni”). Anche il pensiero della nostra vita non deve essere al centro, per cui non dobbiamo preoccuparci del domani, perché devi essere disponibile per Dio, a costo di passare la vita seduto su un chiodo.

Emma: È con la meditazione e con l’ascolto che possiamo rimanere con Dio.

Luigi: Dio va e viene continuamente nella nostra vita, perché non ci lascia sul nostro gradino. Lui continuamente ci sollecita a camminare, perché Lui è più grande di noi. E quando si è con uno più grande, continuamente si è sollecitati, impegnati ad andare avanti. Per cui anche quando ho capito, pur avendolo capito, non è detto che mi possa fermare, perché domani il dono ricevuto oggi, non mi sarà più sufficiente, perché Dio mi sollecita fintanto che non arriviamo alla vita eterna. Bisogna sempre guardare avanti e mai ripiegarci sull'esperienza di ieri, volendo riprovare le esperienze passate, perché non le ritroviamo più. Ma va avanti, cioè cerca Dio: tutto serve, ma non cercare di recuperare l'esperienza passata, perché qualunque esperienza è la conclusione di infiniti fatti, per cui mai più potremo ritrovarci in questa situazione in cui ci troviamo ora, perché l'incontro di oggi, è una sintesi di tanti stati d'animo. Va avanti e forse ritroverai questa situazione molto più arricchita. Per cui non aver paura di cercare Dio abbandonando anche la tua stessa vita, il tuo mondo: ritroverai un mondo nuovo “Cieli e terra nuova”. Non aver paura di quello che lasci, né di perdere. Perché se la vita è scelta, proprio in quanto è scelta, è sempre un lasciare, quindi è sempre un perdere. Perché difficilmente facciamo delle scelte pure? Perché abbiamo sempre paura di perdere, ci voltiamo indietro; anche nella vita spirituale, non vogliamo perdere: va avanti!  Dio ci porta alla libertà, ma siamo noi che preferiamo le nostre catene, perché non ci fidiamo di Dio e anche perché “chi ha gustato il vino vecchio difficilmente si apre a quello nuovo”, perché dice: “quello là lo conosco, so com'è”. Nessuno si lancia, perché nessuno sa com'è la vita dopo la morte. Ma se tu non parti e non vai nel luogo che io ti indicherò, ma che tu non sai ancora, non arriverai. La condizione per arrivare è sempre partire. Partire è un lasciare. Non esiste la partenza se non si lascia. È un'illusione dire: “Io scelgo, ma non lascio”. Solo lasciando si incomincia ad amare; chi si sposa lascia le altre donne. Se la vita è scelta, non scegliere Dio, praticamente è rifiutarlo. Non scegliere è rifiutare la vita, perché la vita essenzialmente è scelta. Noi per paura di scegliere, sostanzialmente non viviamo. È la paura che ci domina. Dovremo solo aver paura della nostra paura, che è poi mancanza di fede. Bisogna essere convinti che la vita è essenzialmente un scegliere e che scegliere vuol dire lasciare, perché si sceglie nella misura in cui si lascia. Se tu sai perdere anche tutto nella tua vita, allora fai una grande scelta. Se tu lasci tutto il tuo mondo, trovi tutto. Tu non puoi arrivare al Tutto di Dio, se non lasci tutto. Quello che possiamo lasciare è una moneta che Dio ci dà nelle mani da spendere e bisogna spenderla prima che Lui ce la porti via, perché un giorno certamente ci porterà via tutto il  nostro mondo, ma questo non sarà più una moneta per comperare e per scegliere, perché ormai non potremo più scegliere. Fintanto quindi che abbiamo una moneta da spendere, affrettiamoci a spenderla, perché quanto più la spendiamo, tanto più avremo la possibilità di entrare nella vita, perché facciamo una scelta. Può verificarsi anche la tragedia che noi abbiamo delle monete da spendere, ma non c'è più nessuno che le voglia: “Va, vendi quello che hai, dallo ai poveri”: povero è colui che ha bisogno di ciò che ho, ma se io non mi affretto a darlo, domani non ci sarà più nessuno che ha bisogno di ciò che io ho da dare, e allora diventa una tragedia il mio tenere, perché non ho nessuno con cui comunicare; se la vita è comunione, allora non vivo più. Per questo bisogna affrettarci a dar via tutto quello che si può dare, perché si sceglie, si entra nella vita, nell'amore.

Pinuccia: Quindi la possibilità di comunione è una scelta.

Luigi: La vita come possibilità di comunione è conseguenza di una scelta: fintanto che non si sceglie, si è vissuti, ma non si vive. Soltanto scegliendo si incomincia la vera vita, perché è una vita personale: la scelta è un atto personale. Fintanto che non ho possibilità di scelta, non è che viva: sono costretto. Fintanto che abbiamo possibilità di scegliere, abbiamo possibilità di vivere, ma in quanto scelgo. Se invece non scelgo, faccio come l'asino di Buridano che tra due mucchi di fieno, muore di fame, perché non si decide a sceglierne uno. Contemporaneamente non possiamo mangiare tutti i mucchi di fieno tra cui anche noi ci troviamo. Dio non è mai la creatura, per cui se voglio scegliere Dio, devo avere il coraggio di lasciare gli altri mucchi di fieno. Anche i nostri schemi mentali dobbiamo lasciare, per abbandonarci a Dio.

Eligio: Quindi per l’agonia di Gesù nel Getzemani è compresa in questa armonia.

Luigi: Per arrivare all'armonia, è necessario il superamento dell'io, quindi è necessaria questa agonia che può costare a volte lacrime di sangue. L'armonia sta nella comprensione del disegno di Dio, ma il pensare è fatica; ma ogni intelligenza dà gioia: ecco la bellezza. Ogni intelligenza è bellezza: fare opera di intelligenza, di conoscenza, armonizzare, è armonia, e dà una gioia tale che è superiore alle prove dolorose in cui uno si trova; come la malattia, le difficoltà. La gioia spirituale supera tutto questo, ma per arrivare a questa gioia spirituale, si presuppone il superamento dell'io, che indubbiamente è la prova della passione.

Eligio: Gli scienziati vedono la vita anche nella pietra.

Luigi: Per cogliere la lezione delle pietre, dell'albero, non c'è bisogno che io li conosca scientificamente, ma basta che li colga nella loro grossolanità: mi basta constatare per esempio che la pietra non è vita. Ma anche la pietra è un atto d'amore se penso quale lavoro Dio ha compiuto attraverso la pietra per arrivare a me; l'evoluzione dell'universo. Il semplice fatto poi che Dio mi significhi qualcosa di Sé attraverso la pietra, è già opera d'amore. Tutta la creazione è opera d'amore, però nella pietra Dio ci significa la non vita: più che la sublimazione, si vede in essa l'estinzione del pensiero, della vita: abbiamo cioè una degradazione del pensiero, dello spirito, perché noi ad un certo momento possiamo diventare delle pietre (Lui ci parla di cuore e di pietra), e arrivare a quell'impossibilità tale per cui tutti ci prendono a calci e noi magari non sentiamo più niente. Per questo Dio ci significa questo con il mondo materiale. Certo, se andiamo a fondo, noi in una pietra troviamo tutto l'infinito universo, un mondo di bellezza che ci dimostra che se vediamo la pietra è per la presenza di Dio. Basta pensare a quanto ci dicono gli scienziati: che la pietra non esiste ma è solo un cumulo di energia, per metterci in un mondo di stupore, per cui capiamo che quella pietra è un atto di amore. Approfondendo tutto ci apriamo al parlare di Dio che è un Infinito in tutte le cose. Anche il nostro corpo è una nube fatta di vuoto: domani non ci sarà più: è nato da un grumetto quasi invisibile che ad un certo momento è tutto gonfiato, come una bolla di sapone che dopo un attimo non c'è più. È una meraviglia perché è opera di Dio. Basta una pietra per farci aprire di stupore dinnanzi alla grandezza di Dio. L'infinito di Dio non si riflette solo nella grandezza, ma in tutto: anche nel granello di sabbia si trova tutto l'infinito di Dio. Perché Dio è infinito in tutto, non solo in massa. Colui che è perfetto riflette se stesso e fa perfetto tutto, in ogni cosa che fa, piccola e grande che sia.

Pensieri conclusivi:

Pinuccia: Dio è vita. La ricerca di Dio, se è questione di vita o di morte, deve essere continua.

Cina: Questa è la parola che insegna a vivere.

Eligio: L’armonia con Dio è vita.

Emma: Sant’Agostino dice che bisogna amare tutto, perché tutto è opera di Dio.