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«Io vi ho mandato a mietere ciò per cui non avete faticato; altri si sono affaticati e voi siete subentrati nel frutto delle loro fatiche». Gv 4 Vs 38 Primo tema.


Titolo:  1-Altri è chi semina e altri è chi raccoglie. 2-Mandati a mietere.

Argomenti: La fatica di Dio – Il compimento da parte di Dio e da parte della creatura – Il pane che non passa – Capire per restare alla presenza di Dio – Accettare che tutto è opera di Dio – Comunione e assimilazione – L’infinito nel pensiero dell’uomo – La fedeltà nel chiedere la Luce – Costanza e incostanza – Cercare Dio prima di tutto – La fuga dell’uomo da Dio – La fatica del seminatore e del mietitore -


 

31/Luglio/1977


Prima parte.

Luigi: Il tema fondamentale è questo: non si può mietere se non si è mandati a mietere;

-                     in che cosa consiste l’essere mandati

-                     quand’è che si è mandati

-                     e soprattutto in che cosa consiste la fatica del mietere che è la vera fatica dell’uomo.

Ricordiamo nella Genesi quando Dio disse: “Mangerai il tuo pane con il sudore della tua fronte” dove il sudore è la fatica e perché questo sia una fatica per l’uomo; anche qual è la fatica degli altri da noi, cioè la fatica di coloro che hanno seminato o di colui che ha seminato. Quindi qual è la fatica di colui che semina e di colui che fa crescere e qual è la fatica dell’uomo che è mandato a raccogliere, a mietere.

Angelo: Se chi semina è Dio, Dio non fa mica fatica.

Luigi: Guarda Gesù sulla croce, non è Dio? “Se il seme non muore non porta frutto”,  come aiuto è valido per approfondire; per cui seme di Dio, ed è Dio che semina, e il seme è la sua parola, il suo Verbo, che deve morire. Noi dobbiamo commorire con Cristo: qui abbiamo la fatica da parte del seminatore e la fatica da parte del raccoglitore. Sono le due fatiche da mettere in evidenza. La morte del seminatore e la morte di colui che raccoglie, per poter raccogliere (ridotto in termini essenziali). Abbiamo visto la fatica di Gesù seduto al pozzo, stanco, ad aspettare la samaritana: “Queres me… Cercando me ti sei seduto stanco” ecco la stanchezza di Dio. Perché noi cerchiamo Dio ma prima di cercare Dio, noi siamo cercati da Dio, Dio è il vero cercatore. C’è un autore che ha paragonato Dio al cane del cielo, al cane del pastore che va a cercare la creatura.

Luigi: “Vi ho mandato a mietere ciò che non vi è costato alcuna fatica”.

Cina: Sono avvolta dalle opere di Dio, la mia fatica è aderire per riconoscere che sono opera di Dio. Invece non ho capito il secondo punto.

Luigi: “Voi siete subentrati al loro lavoro”; San Paolo dice: “Io porto (ecco gli altri) a compimento quello che manca alla passione di Cristo”. L’opera è tutta compiuta da parte di Dio, però manca da parte della creatura qualche cosa. Perché due sono i compimenti: c’è il compimento da parte di Dio e c’è il compimento nella creatura dell’opera di Dio. Per cui il “Tutto compiuto” sul Calvario, Gesù lo dice mentre muore, tutto è compiuto nell’opera di Dio per la salvezza dell’uomo. Quindi da parte di Dio “tutto è compiuto”, ma non vuol dire che sia “tutto compiuto” nella creatura per la salvezza della creatura. Il tutto non è compiuto perché il tutto compiuto nella creatura sarà a Pentecoste; cioè sarà quando la creatura, aderendo al tutto compiuto di Dio, muore a se stessa, commuore con Cristo per arrivare alla conoscenza della verità di Dio, cioè alla vita eterna. Quindi abbiamo un “tutto compiuto” da parte di Dio che non coincide con il “tutto compiuto” nella creatura.

Cina: Ma la creatura non sarà mai “tutta compiuta”.

Luigi: No, non mi sono spiegato. Il “tutto compiuto” nella creatura sta nell’arrivare al termine del disegno di Dio. Il termine del disegno di Dio è arrivare: “Che tutti si salvino e giungano a conoscere la verità”. Allora perché tutti si salvino e giungano a conoscere la verità, Dio svolge un suo lavoro. Questo lavoro, sia che la creatura sia degna, sia che la creatura non sia degna, Dio lo porta a compimento; cioè Dio si dona indipendentemente dalla creatura. Si dona anche alla creatura che lo uccide: Lui si dona ugualmente perché Dio non è condizionato dalla creatura nella sua opera. Però questo non vuol dire che la sua opera nella creatura giunga al compimento. Nella creatura giunge a compimento nella conoscenza della verità cioè con l’entrata nella vita eterna, con l’inizio della vita eterna, con la Pentecoste.

Silvana: Il nostro raccogliere in Dio non è altro che adesione alla sua parola, alla sua proposta.

Luigi: Perché non ci manda a seminare ma ci manda a mietere? Perché non ci manda a far crescere? L’opera di Dio comprende diversi tempi: c’è la seminagione, la crescita, la mietitura.

Silvana: Perché seminare e far crescere non è nostro compito.

Luigi: Si, compito dell’uomo è mietere.

Emma: La fatica nel mietere è la fatica del superamento dell’io.

Luigi: Si, ma non ti sei chiesta per quale fine si mieta?

Emma: Ma il mietere è il lavoro della nostra vita: “Ti procurerai il pane con il sudore”.

Luigi: Gesù stesso dice: “Non faticate per il pane che passa ma faticate per il pane che non passa”. Gesù qui commenta la fatica della creazione, la fatica di cui parla il Padre. Il Figlio la commenta per noi come commenta la parabola del seminatore per noi. Abbiamo il Creatore che dice all’uomo: “Mangerai il tuo pane col sudore della fronte” la fatica dell’uomo; Gesù precisa in che cosa consiste questo mangiare, questo faticare quando dice: “Non affaticatevi per il pane che passa ma faticate per avere il pane che non passa e che resta in vita eterna”. Quindi vedi che commenta quelle parole mentre noi scivoleremmo sul piano materiale al intendere che il lavoro materiale è fatto per avere il mangiare, il denaro.

Amalia: Non posso raccogliere in Dio se il mio pensiero non è in Lui.

Luigi: Se il mio pensiero non è in Lui, non vedo nemmeno che ci sia da mietere, non me ne accorgo; ritengo addirittura di essere un seminatore; non vediamo la messe. Abbiamo visto le volte precedenti: “Io vi dico: alzate gli occhi, guardate, la messe è matura”. Lui dice a noi, e quello che disse allora è ciò che dice ad ognuno di noi quando siamo in ascolto di Lui, se siamo in ascolto Lui: “Guarda che la messe è matura; bisogna raccogliere”. Ma se Lui non ce lo dice, noi non ce lo immaginiamo nemmeno che la messe sia matura, diciamo: “Ci vogliono ancora quattro mesi; verrà il tempo della mietitura” rimandiamo. Non ci rendiamo conto, crediamo che i nostri doveri i nostri impegni siano tutt’altro; chiamiamo volontà di Dio tutt’altro da ciò che è in realtà la volontà di Dio. Ecco la confusione: attribuiamo a Dio i nostri sentimenti, le nostre volontà, i nostri desideri ma sono tutte solo proiezioni del nostro io. Per vedere che c’è da mietere bisogna avere il nostro sguardo, la nostra attenzione rivolta a Dio. Quindi non soltanto per raccogliere ma addirittura che c’è da mietere, per vedere che c’è del lavoro da fare e per capire quale lavoro c’è da fare perché è Dio il maestro. È Dio che insegna l’ora, il momento in cui bisogna mietere: ci fa vedere che c’è da mietere e segna il tempo. E perché si miete?

Ines: “Io vi ho mandati a mietere” ma non è facoltativo.

Luigi: No, è un correttivo di quello che ha detto prima: “Altri è chi semina, altri chi raccoglie”. Abbiamo concluso che quel “altri” è per precisare che è la creatura che deve raccogliere perché Dio semina in noi senza di noi ma non raccoglie senza di noi. Sembrerebbe che la raccolta sia su iniziativa nostra perché è la creatura che deve raccogliere. Qui Gesù corregge questa interpretazione errata: non si può raccogliere se non si è mandati. Per cui l’iniziativa è sempre di Dio.

Ines: L’importante è raccogliere. Siamo in un campo in cui Dio continuamente passa e semina e noi abbiamo il compito di raccogliere quello che Lui semina.

Luigi: Si, ma se io non riesco a raccogliere se non raccolgo? Sto andando alla ricerca del fine per cui dobbiamo raccogliere. La volta scorsa abbiamo precisato che si mangia per poter restare alla presenza; soltanto assimilando Colui che parla a noi, soltanto capendo, noi restiamo alla presenza. Ma se non ci preoccupiamo di mangiare Dio, noi perdiamo la presenza di Dio. Noi sostanzialmente siamo alla presenza di Dio, è Lui che parla a noi in tutto: “Sono Io che parlo con te”. Però non possiamo restare alla sua presenza se non mangiamo quello che Lui ci dà da mangiare: perdiamo la sua presenza. Lo scopo essenziale non è tanto capire il significato ma restare alla sua presenza, il fine è questo: per non perdere Lui, infatti noi perdiamo. Noi siamo in fuga da Dio. “Quando uno ascolta la parola e non la comprende, viene il maligno” l’orgoglio, l’io che si esalta, subentra, viene quando non comprendiamo la parola che è stata seminata. Qui abbiamo tutta la pazienza, la fatica di Dio che corre dietro ad uno che continuamente scappa dalla sua presenza; per recuperare continuamente questa creatura che è in fuga, che precipita dal cielo.

Rina: Non si può mietere senza di noi.

Luigi: La raccolta non può avvenire in noi senza di noi, ma non possiamo raccogliere senza Dio; cioè soltanto nella misura in cui siamo mandati possiamo raccogliere.

Angelo: La fatica sta nel seminare.

Luigi: La fatica del seminatore, non è la nostra. La nostra è la fatica del raccogliere. La morte in croce del Cristo è il simbolo di questo correre dietro alla creatura; e corre dietro fino alla sua morte, e alla sua morte in croce, fino a lasciarsi uccidere. Dio personalmente viene a morire in noi; noi ci troviamo senza Dio perché abbiamo bisogno di sperimentare “Se il seme non muore”. Noi abbiamo bisogno di sperimentare la morte di Dio in noi per scoprire l’importanza, la verità di Dio. Soltanto sperimentando la mancanza di una persona cara, scopriamo l’importanza di quella persona; prima non lo notiamo. Noi siamo con Dio ma non avvertiamo la sua presenza; il giorno in cui siamo senza Dio ci accorgiamo che ci manca. Allora lì si forma l’animo capace. Il giorno in cui lo ritrovi dici: “Ho sperimentato cosa vuol dire stare senza, adesso non lo lascio più!”. Se non avessi la possibilità di ritrovarlo ci sarebbe la dannazione.

Eligio: Tutta la nostra responsabilità sta nell’adesione incondizionata a Dio; anche questo è grazia di Dio.

Luigi: Tutta la nostra adesione, sembra niente ma è faticosissimo, sta nell’accettare che tutto è opera di Dio. infatti si accede al trono del regno di Dio, si entra nel regno di Dio, Dio è Colui che regna,  proprio riconoscendo che tutto è opera di Dio.

Eligio: Non si entra automaticamente nel rapporto con gli: “altri che si sono affaticati e voi siete subentrati”.

Luigi: La coscienza dell’altro, che è tutto opera dell’altro da noi, si forma in noi soltanto nella misura in cui raccogliamo in Dio; altrimenti noi perdiamo la coscienza dell’altro e attribuiamo a noi.

Eligio: L’atteggiamento di umiltà precede il lavoro di raccolta: riconoscere che non siamo noi.

Luigi: Già quello è un atto di raccolta perché non possiamo raccogliere se non siamo mandati e raccogliamo solo nella misura in cui siamo mandati. Ma per essere mandato devo avere presente Dio e non il mio io; se ho presente Dio sono umile; l’umiltà è data dalla presenza di Dio. Se non ho presente Dio non vedo nemmeno che ci sia da raccogliere. Non ci può essere umiltà se non c’è presenza di Dio. L’umiltà che è poi la povertà, nasce in noi dal confronto con; se io guardo la cima della montagna vedo la mia povertà. Ma se io non guardo la cima della montagna credo di essere chissà chi. L’umiltà, la povertà è la conseguenza di un rapporto, presuppone la presenza di Dio; se Dio non mi mantenesse la presenza della vetta della montagna, ecco la fatica di Dio, io non potrei nemmeno immaginare l’umiltà, la povertà della creatura. Perché è un rapporto, il rapporto presuppone il confronto, il confronto presuppone il termine fisso di riferimento. Dio mi mantiene il punto fisso di riferimento anche se sono il più grande delinquente di questo mondo. Dio mantiene la sua presenza; la fatica di Dio è quella di correre dietro alla creatura per mantenere sempre questo punto fisso di riferimento in modo che la creatura abbia questa continua sollecitazione, questo continuo richiamo. Ma è tutto dono di Dio, gratuito, gratis, non faticato. La fatica da parte nostra è, avendo questo dono, quello di raccogliere, di riferire a Dio, di riportare a Dio; perché noi possiamo, nonostante questo, peccare, dimenticare, trascurare Dio.

Eligio: Bisogna proprio realizzare questa opera di Dio.

Luigi: Comunque la conoscenza della verità, che è una conseguenza dell’opera di Dio e dell’opera dell’uomo, è il frutto di una raccolta: messe raccolta nel granaio. Questa opera di raccolta nel granaio non avviene senza di noi; ma non possiamo farla senza Dio. Dio opera la seminagione, opera la crescita, tutto senza di noi, cioè mantiene sempre la sua presenza e questa è la fatica di Dio. La raccolta in Dio non avviene senza di noi; per cui tutta la raccolta in Dio, tutti i fatti, tutte le parole, giungono a noi, nelle nostre mani e si fermano lì; dicono a noi: “Portaci a Dio” ma se non le riportiamo a Dio, restano lì, muoiono lì, ecco la morte del Cristo. Muoiono lì nelle nostre mani. Quindi tutte le opere di Dio sono un seme, è un bambino posto nelle nostre mani. In quanto ci mettono un bambino nelle nostre mani vuol dire che è affidato a noi; possiamo farlo crescere oppure possiamo farlo morire: e lui muore; ed è il seme che muore. Il bimbo non cresce senza di noi; se noi intendiamo, e abbiamo la presenza di Dio, lo riceviamo da Dio, allora ci diamo da fare per raccogliere in Dio. Ecco la parte nostra. Per cui il bimbo ci è posto nelle mani senza di noi, non cresce senza di noi.

Eligio: Per raccogliere cosa intendi?

Luigi: Ridare a Dio quello che è di Dio, riportarlo in Dio perché fintanto che non raccogliamo in Dio, la cosa non è intelletta, non si illumina. Resta in noi e ci dice: “Riportami a Dio”, in Dio diventa frutto di vita eterna, ci fa conoscere Dio, crea in noi la comunione, ci mantiene la presenza. Inizialmente siamo una coscienza del tu. Non è vero che noi conosciamo prima il nostro io, noi conosciamo prima l’altro, noi siamo scoperta dell’altro: in conseguenza della scoperta dell’altro prendiamo coscienza di esserci noi; ma il nostro io nasce dopo aver visto l’altro. Però non ci manteniamo alla presenza dell’altro se non facciamo quello che fa l’altro; soltanto facendo ciò che fa l’altro ci manteniamo alla presenza dell’altro. Fintanto che non impariamo a fare quello che fa l’altro, quello che fa Dio, noi diventiamo una fuga da Dio; è Dio che mantiene la sua presenza nonostante noi. È un processo di discesa; ho detto discesa fino al punto da lasciarsi mandare alla morte e alla morte di croce, fino a morire in noi, fintanto che riesce ad arrestare la nostra fuga. Quindi abbiamo tutta l’opera gratuita di Dio per correre dietro a noi fintanto che non riesce a fermare questa fuga e a ricuperarci. Quando ferma la nostra fuga allora ci recupera anche se la perdita è all’infinito; perché Dio è onnipotente quindi ci recupera anche se la nostra fuga è stata all’infinito; però l’importante è fermare la nostra fuga.

Eligio: Cosa intendi per “fuga all’infinito”? intendi la negazione per la verità?

Luigi: Intendo la non raccolta; in quanto non raccogliamo non riusciamo a restare alla presenza. Possiamo restare alla presenza soltanto in quanto raccogliamo in Dio.

Nino: Può esserci un’infinito in noi che siamo finiti?

Luigi: L’infinito è nel pensiero dell’io; il pensiero dell’io può addirittura diventare un inferno. Perché siccome noi siamo creati per comprendere l’infinito, la nostra anima (e qui ritorniamo a quella potenza che portiamo in noi nel nostro pensiero) ha una potenzialità infinita con Dio perché è fatto per conoscere Dio, per convivere con Dio, per convivere alla presenza di Dio, per conoscere la verità di Dio. Perché Dio è un infinito. Ora, soltanto una fame infinita può ricevere un dono infinito. Senz’altro il dono di Dio è Infinito; ora, se Dio dona se stesso alla creatura vuol dire che nella creatura forma una capacità di ricevere un dono infinito però (ecco il rischio), questa capacità di assoluto, di infinito può trasformarsi in una fuga infinita da Dio e quindi nell’inferno. Tant’è vero che noi, esperienza nostra quotidiana, tendiamo a trasformare in assoluto tutto quello che vediamo e che tocchiamo; perché tutto questo lavoro qui in terra? Perché stiamo correndo dietro a delle cose che muoiono, che passano e noi vogliamo che durino all’infinito, vogliamo renderle assolute. Corriamo dietro alla casa e vogliamo che questa casa resti stabile in assoluto; corriamo dietro al denaro e vogliamo che questo denaro resti in assoluto; abbiamo bisogno di sicurezze e vogliamo che queste siano assolute. Amiamo le creature e vogliamo che siano assolute cioè vogliamo trasformare tutto in Dio. Ma perché? Perché noi abbiamo fame di Dio, cioè abbiamo bisogno di questo infinito.

Nino: Vogliamo trasformare tutto in infinito però seguitiamo ad avere delle delusioni.

Luigi: È opera di Dio.

Nino: Si ma in questa fuga da Dio, Dio non ci lascia mai arrivare all’infinito.

Luigi: Gesù dice: “Dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue”, quindi l’inferno c’è. Il verme è il pensiero dell’io che non muore, e il fuoco non si distrugge. Per cui anche quando perdiamo tutto possiamo ripiegarci indietro per cercare di recuperare quello che abbiamo perso, all’infinito: possiamo irrigidirci nella nostra passione. E abbiamo degli esempi di questa situazione; non possiamo giudicare il pazzo, non possiamo giudicare la creatura che è chiusa nella conchiglia del suo io per cui non riesce ad uscire dal suo io, però dobbiamo trarne l’esempio, perché sono lezioni di Dio. E quando vediamo una creatura che non può uscire dal pensiero di se stessa e vedi che converte tutto, la terribile possibilità che ha il nostro io, nel pensiero del suo io; riesce a trasformare tutto l’universo nel pensiero del suo io. Sono esempi che Dio ci manda; è malattia; non possiamo giudicare però è lezione di Dio. Vedi quel tale come converte in io tutto il suo mondo e non ne esce più; per cui non è più capace di intendere niente d’altro.

Eligio: Possiamo raffigurare l’inferno.

Luigi: Si, non possiamo giudicare, condannare, però dobbiamo prendere la lezione di Dio. noi ci troviamo davanti delle persone che sono chiuse e che non riescono più ad aprirsi a nessun altro argomento se non al pensiero di se stessi; per cui se tu le vuoi interessare devi soltanto parlare del loro io. Non possiamo giudicare perché non conosciamo il loro animo, però dobbiamo prendere la lezione: è Dio che parla e che mi dà questa lezione. E quando mi dà questa lezione devo essere attento perché c’è questo rischio. Come il re Mida che trasformava in oro tutto quello che toccava, anche noi possiamo trasformare in io tutto quello che tocchiamo.

Nino: “Voi siete subentrati al nostro lavoro”, fa una distinzione tra la loro fatica e la nostra; è sempre una fatica ma la sua è una fatica gratuita per noi, nella nostra fatica c’è già la “mercede di vita eterna” quindi è un lavoro che ha già del gioioso in sé.

Luigi: La gioia maggiore deve essere quella perché noi possiamo essere molto tribolati fuori con Dio. La Madonna a Bernardette le dice: “Io non ti prometto la felicità qui in terra”. Quindi la creatura può essere molto tribolata fuori, ma dentro ha una pace che vince il dolore, la sofferenza, la tribolazione esterni. Invece con il mondo, esternamente si è nella gioia, si ride, si scherza, si è felici ma interiormente c’è il vuoto: però la tristezza è maggiore.

Nino: Certi santi sono arrivati a chiedere la sofferenza perché hanno capito che li aiutava in questa raccolta.

Luigi: In conclusione diciamo che è da preferirsi essere con Uno che ti ama, essere nella tempesta piuttosto che essere solo nella gioia. Perché c’è il conforto, la presenza di Uno. Addirittura la presenza dell’Uno ti smobilita la pesantezza della morte. Gesù dice: “Chi viene dietro di me non gusterà la morte” non dice che la morte non ci sia, dice che non la proverà.

Pinuccia: “Altri hanno faticato” chi sono questi “altri”?

Luigi: Tutte le creature, tutto l’universo, tutti quelli che ci precedono, è la famosa serie di numeri. Per cui se uno è il 1925, dal 1924 in precedenza è tutta fatica di Dio. per cui ci sono: la fatica di Dio e tutte le creature che arrivano a noi. Tu pensa ad un povero, che colpa ne ha di essere povero; quell’ubriaco, quel pazzo che colpa ne ha di essere nato pazzo? È la fatica che sopporta per noi, per ognuno di noi. Per cui se vedo il povero per strada, se vedo l’ubriaco per strada può darsi che sia un angelo! Un giorno mi rinfaccerà dicendomi: “Ero io che mi sono vestito di stracci per te, per salvarti! Ho fatto la figura dell’ubriacone tutti i giorni per salvare la tua anima!”. Perché è Dio che l’ha fatto così, per ognuno di noi; quindi abbiamo la fatica di tutto l’universo. San Paolo dice che tutte le creature gemono e soffrono. Domani, certamente quel mendicante sarà un angelo di luce che mi rimprovererà perché non ho capito la lezione. In tutti i malati il Signore mi dirà: “Ero io, ero io, ero io!”. Tutti i malati mi diranno: “Ma io ho sofferto per te! Sono morto per te! Ho fatto quella figura meschina per te”. Tutta la fatica di Dio e di tutte le creature sono per noi, per portarci alla mietitura. Per cui non solo Dio ci rimprovererà ma, Gesù dice, Ninive, Sodoma e Gomorra nel giorno del giudizio si alzeranno contro di voi perché “Se in Sodoma e Gomorra ci fosse stato…. voi non avete capito!”.

Pinuccia: Io facevo una distinzione tra le creature; pensavo parlasse di coloro che fanno fatica a raccogliere in Dio.

Luigi: La raccolta è un’opera personale e questo sfugge a noi. Noi riceviamo la semina e la crescita e siamo responsabili di quello che raccogliamo; ma tutta la crescita e la semina è opera di “altri” che ci rendono responsabili. Per cui non soltanto siamo responsabili verso Dio ma anche verso tutte le creature perché tutte operano per salvarci. Noi crediamo di trascurare Dio per piacere alle creature, ma quelle stesse creature ci condanneranno perché dovevamo cercare Dio, per loro! Perché loro ci sollecitavano a cercare Dio.

Eligio: Quindi i Patriarchi, i Profeti, Dio, Gesù non hanno portato a termine il loro lavoro?

Luigi: Per noi personalmente. Cioè noi siamo arrivati ad un certo punto che è la conseguenza di tutti i punti precedenti e abbiamo il compito di raccogliere tutto quanto è stato seminato per noi. È un compito enorme. Da parte di Dio tutto è compiuto ma per ognuno di noi c’è qualcosa da compiere. Noi dovremo recuperare tutto quello che troviamo fatto, perché noi nasciamo in un mondo fatto. Recuperare nel senso di riportare a Dio, capire in Dio il significato. Per cui abbiamo un compito enorme. “Come mai tu sprechi tutta la tua giornata a fare niente?”, “Ma io ho sudato tutta la vita per la casa, la famiglia, il lavoro”, “Hai fatto niente! Avevi tutto da recuperare e non hai recuperato niente”: quello è l’essenziale!

Pinuccia: L’importante è il fine: restare alla presenza di Dio.

Luigi: Non possiamo restare alla presenza del Tu, continuamente scappiamo nell’io, se non facciamo quello che fa Dio. E fintanto che non impariamo a fare quello che fa Dio, c’è questa fuga da Dio.

Eligio: Posso raccogliere solo se ho presente Dio e per averlo presente devo fare l’atto di giustizia essenziale.

Luigi: In altri termini, noi possiamo avere la presenza del problema soltanto in quanto poniamo Dio come causa; in caso diverso non mi pongo nemmeno il problema del superamento.

Nino: Presuppone tutto il lavoro di questi anni.

Luigi: Si, noi senza rendercene conto abbiamo dietro di noi, a monte di noi stessi, un lungo cammino.

Pinuccia: “Altri è chi semina altri chi raccoglie” questo è evidente per due motivi: il seme, che sono poi i fatti, le parole che riceviamo ogni giorno, è Dio che lo semina nella nostra vita. La nostra anima è un campo seminato da Dio. Tutte le cose ci sorprendono, le subiamo.

Luigi: Direi che proprio perché ci sorprendono noi scopriamo che c’è un Altro, perché se fosse opera nostra non ci sorprenderebbero; noi siamo sorpresi dagli avvenimenti perché c’è l’Altro.

Pinuccia: Ogni cosa che Dio ci manda è un seme di vita.

Luigi: Puoi dire che cos’è la vita? O in che cosa consiste il crescere in pianta del seme?

Pinuccia: Perché nel seme c’è già tutto.

Luigi: La vita è comunione e la comunione è fondata sull’assimilazione. Quando abbiamo parlato di assimilazione, di mangiare abbiamo detto: cosa succede nel mangiare? Trasformo ciò che non è vita in mia vita. Il seme fa quello! Il seme cosa fa? Assorbe il mondo materiale attorno a sé che non vive, lo trasforma in sé, lo assorbe in sé e lo fa vita. Noi mangiando, trasformiamo quello che è inferiore a noi in noi; c’è un salto di qualità perché personifichiamo. Ora, fintanto che noi mangiamo quello che è al di sotto di noi, lo trasformiamo in noi; ma se noi mangiamo quello che è di Dio, non trasformiamo Dio in noi ma trasformiamo noi in Dio; vedi il salto di qualità del seme? Il seme ha questa tremenda potenza: che fa fare un salto di qualità al mondo inferiore nel mondo superiore. Ma facendolo passare dal mondo inferiore al mondo superiore, lo personifica. Per cui abbiamo il seme che fa diventare albero quello che non vive, che è materia. Noi mangiando trasformiamo in noi: quindi abbiamo il mondo inferiore che viene trasformato e diventa vita nostra, e diventa essere nostro; per cui mangiando il pane non ci trasformiamo noi in pane ma il pane si trasforma in noi per cui io vivo mangiando. Ma se io trasformo le cose superiori a me non trasformo le cose superiori in me, ma trasformo me nelle cose superiori: abbiamo la divinizzazione. Gesù dice: “Chi mangia di me”.

Angelo: Cosa è il cibo superiore nel quale io vengo trasformato se lo mangio?

Luigi: Si, ci trasformiamo in Dio. È la parola di Dio. Gesù dice: “Chi mangia di me vive di me”. Mangiare le cose di Dio vuol dire capire; noi preoccupandoci di capire le parole di Dio siamo trasformati in Dio: è l’“ut unum sint”. Dio parla a noi perché noi facciamo una cosa sola con Lui. Dio ci dice: “Non sei tu che mi trasformi in te ma sono io che ti trasformo in me”. Il principio superiore, assimilando trasforma in sé. Per quanto riguarda il mondo dipendente da noi, lo trasformiamo in noi; ma se ci nutriamo di cose superiori, abbiamo un’inversione di direzione. Infatti più pensiamo a Dio e più la nostra vita si divinizza. La spiritualità in noi cresce nella misura in cui ci occupiamo di. Mangiamo nella misura in cui ci occupiamo di. Se ci occupiamo delle cose dello spirito ci spiritualizziamo. Sartillage dice che più pensi al cielo e più ti crescono le ali, più ti occupi della terra e più ti crescono i piedi. Più ci occupiamo delle cose del mondo e più il mondo pesa su di noi, ci attrae. Più ci occupiamo delle cose dello spirito, più la terra si alleggerisce. Per cui uno meno si è occupato delle cose dello spirito e più gli sembrano astratte, lontane; invece più conosci la materia e più ne sei competente e più ti trovi a tuo agio. In caso diverso ti senti spaesato. “Le pecore di Dio capiscono la mia voce, ma le pecore del mondo mi uccidono”.

Luigi: Dio opera in un modo piuttosto che in un altro; perché? Perché è molto importante agire avendo presente Lui. Tenendo presente Lui, siccome è il principio della verità, di tutto, si vive veramente bene secondo il suo spirito. Se invece non si ha presente Lui ma si ha presente il nostro io, i giudizi in noi si formano in modo sbagliato perché non si formano nel suo pensiero, ma si formano nel nostro pensiero e allora diventano errati. Questi giudizi errati ci conducono a delle scelte errate e quindi ad una vita sbagliata. È Dio che ci conduce a fare queste cose per dirci: “Vedi che devi imparare a vivere con Me? Ad interrogarmi in tutto? A lasciarti guidare dallo spirito in tutto? A non agire mai di testa tua?”. Anche in una famiglia ognuno può agire di testa sua oppure può agire tenendo presente il pensiero degli altri. Se ognuno agisce di testa sua ci si smembra. Siccome la verità è Dio e non siamo noi, noi dobbiamo riferire sempre tutto a Dio, se vogliamo agire bene. Invece se noi riferiamo ad un altro centro, che può essere il pensiero del nostro io, un’altra creatura, un mio interesse, ma non è Dio, quest’altro centro non essendo il vero, mi porta a dei giudizi sbagliati. Dio opera per farci toccare con mano, per convincerci su quello che dobbiamo mettere prima di tutto. Tutta l’opera di Dio sulla nostra terra, nella nostra vita terrena è quella di convincerci di quello che dobbiamo mettere prima di tutto. Quando Gesù dice all’inizio della sua missione: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire; cerca prima di tutto il regno di Dio” è quello che il Signore ci dice durante tutta la vita, ogni giorno, con le lezioni della vita. Vediamo che le persone accanto a noi muoiono; che cosa ci dice il Signore?: “Vedi che devi cercare Dio prima di tutto?”. Vediamo tanti conflitti, sbandamenti; che cosa ci dice il Signore? “Vedi che devi cercare Dio prima di tutto?”. Incontriamo tanti affanni; cosa ci dice il Signore? “Vedi che devi cercare Dio prima di tutto?”. “Perché passeranno i cieli e la terra ma le mie parole non passeranno”. Cosa vuol dire? Che quello che Gesù disse allora è quello che il Verbo di Dio dice ogni giorno della nostra vita. E perché ce lo dice? Per insegnarci quello che dobbiamo mettere prima di tutto.

Emma: In quel libro di de Foucauld diceva: “Mangia sempre di meno; solo il necessario  affinché  tu possa compiere il necessario”.

Luigi: Per conoscere Dio, mangia sempre di più non: mangia sempre di meno. Cioè mangia spiritualmente perché dobbiamo preoccuparci di mangiare, di assimilare molto le sue parole perché un essere lo conosciamo attraverso le sue parole. Perché non conosciamo Dio nel pensiero del nostro io ma è Lui che si rivela; tutto è dono di Dio. Allora la parola di Dio deve essere accolta, poi trattenuta molto perché cosa molto preziosa, cercare di penetrarla fino ad arrivare al punto che è conoscenza di Dio. Arriviamo alla conoscenza di Dio attraverso l’ascolto, la meditazione, la penetrazione della sua parola. Prima dobbiamo cercare le sue parole, trovate dobbiamo custodirle, meditarle, approfondirle; più attraverso le sue parole arriviamo a conoscere Lui, più questa conoscenza ci dà la possibilità di ricordarlo, di lasciarci guidare, di scoprire la sua presenza, di essere sicuri che non siamo mai soli. Perché la conoscenza di Dio è rivelazione di presenza; più lo conosciamo e più scopriamo la sua presenza; più scopriamo la sua presenza e più ci ricordiamo di Dio e abbiamo la possibilità di pensarlo. Quindi non ricorriamo al pensiero nostro: “Mi ricordo che Lui è presente”, non è pensiero nostro, è Pensiero suo. La presenza di uno si afferma su di me, si fa toccare con mano. Ma si fa toccare con mano nella misura in cui io ho fatto attenzione.

Luigi: Dio opera per correggere quello che noi abbiamo in mente; per cui se in mente abbiamo altro da Dio, Dio opera per correggere il nostro pensiero in modo da convincerci che dobbiamo avere presente Lui nel pensiero. Lui sta colloquiando con noi; cosa vuol dire colloquiare con noi? Uno colloquia con l’altro in quanto tiene presente quello che pensa l’altro (altrimenti non puoi stare in contatto); posso entrare in colloquio con un bambino che gioca a birille solo se mi abbasso a giocare alle birille con lui; poi passerò ad altri argomenti ma prima devo scendere al suo livello per prendere contatto con lui. Così se noi abbiamo un certo pensiero, soltanto se Dio tiene presente il mio pensiero entra in contatto con me. Ma cosa vuol dire che Dio tiene presente il mio pensiero? Ci recupera dalla nostra dispersione. Come fa a raccoglierci dalla nostra dispersione? Ci fa toccare con mano: “Io ho agito senza tenere conto di Dio e ho avuto questi risultati”; è Dio che mi ha condotto. Mi ha sorpreso nel mio pensiero, mi ha portato secondo questo pensiero a certi risultati e mi ha fatto toccare con mano che certi risultati sono conseguenza del fatto di non aver tenuto conto di Dio. Quindi è tutto Lui, capisci? Noi crediamo di essere noi a pensare ma è tutto Lui che ci guida, che ci porta a queste conclusioni: è misericordia di Dio! Per questo dico che Dio non agisce mai per punire ma sempre per salvare. Dio ci fa sempre toccare con mano l’importanza, la necessità di tenere presente Lui, di avere Lui al centro dei nostri pensieri, come punto fisso di riferimento. Facciamo l’esempio del piede pestato; se un mio fratello mi pesta un piede ma io non ho presente Dio, guarda che reazione ho in conseguenza di questo fatto. Se invece tengo presente Dio cosa succede? Non vedo più il mio fratello ma vedo Dio che, attraverso questo mio fratello, mi pesta un piede. Quasi quasi chiedo perdono al mio fratello perché Dio l’ha usato per pestarmi un piede; per cui fa fare a lui una magra figura, l’ha usato malamente. Siccome non posso prendermela con Dio, perché io so che Dio è un giusto giudice, dire che Dio è in difetto. Questo mi fa correggere, è una purificazione, mi libera dall’offesa del fratello. Ecco l’importanza di riferire le cose a Dio, perché capovolge tutto. Invece se ci fermiamo alle cause seconde, tutti i miei giudizi sono errati. Dio opera per convincerci che dobbiamo imparare (la vita eterna, spirituale sta lì) a riportare tutto a Dio. Siccome non possiamo riferire tutto a Dio se consapevolmente non facciamo questo tratto di strada dal nostro io a Dio, siamo personalmente impegnati a fare questo lavoro perché nessuno lo può fare al posto nostro. Dio opera affinché ognuno di noi si convinca e poi impari a farlo, quel tratto di strada che senza di noi non si fa. Dio tutte le cose le fa arrivare a noi ma le lascia stare lì, fintanto che noi non capiamo la lezione e impariamo a proseguire per riportarle fino a Dio; per cui tutte le cose vengono da Dio e debbono per mezzo nostro essere riportate a Dio. La vita consiste in questo: tutte le cose vengono da Dio e dobbiamo riportarle in Dio; riportandole in Dio si illuminano e quindi partecipiamo della vita di Dio. Ma partecipiamo nella misura in cui riportiamo a Dio; per cui ognuno, in Dio, ha la vera ricompensa del lavoro che fa “Ad ognuno verrà dato secondo il suo lavoro”; chi non riporta a Dio non riceve niente, chi riporta poco riceve poco, chi riporta molto riceve molto. In che cosa consiste questo ricevere? Questo ricevere è conoscenza, raccoglimento, è possibilità di restare con Dio, di vivere in Dio, di non essere più soli, di avere il suo spirito in tutte le cose. Per cui è tutto nostro interesse raccogliere molto in Dio perché più raccogliamo in Dio e più la nostra anima è raccolta, la nostra anima vive. Quando il Signore dice: “Chiedete molto”, spiritualmente vuol dire: “Raccogliete molto in Dio”, “Chiedete molto affinchè la vostra gioia sia piena”. Chiedere presso il Padre cosa vuol dire? Vuol dire interrogare Dio, ma cosa vuol dire interrogare Dio? Vuol dire portare i problemi che arrivano a noi, riportarli a Dio. Non vuol dire: “Signore dammi questo, dammi quello!”.

Eligio: Ma io pensavo ad una richiesta positiva: “Signore, fa che io veda”.

Luigi: Noi diciamo a parole: “Fa che io veda” ma direi che è più interessante ancora invece di dire: “Signore fa che..” dirlo senza parole. E cosa vuol dire dirlo senza parole? Vuol dire che mi trovo in una situazione buia, ho un problema che non so risolvere, quindi tendo a portare questo mio problema nel Pensiero di Dio, tendo a vederlo illuminato da Dio. Quando Gatry aveva un problema cosa faceva? Si inginocchiava e chiedeva aiuto al Signore fintanto che non riceveva la luce su quel problema. Si tratta proprio di riferire quel problema, quell’argomento, quella parola di Dio al Padre; perché Gesù dice: “Il Padre vi ama”. San Giacomo dice: “Chi ha bisogno di luce la chieda ma la chieda con fedeltà; non creda di poter ricevere qualcosa colui che è oscillante” cioè che un po’ vuole e un po’ non vuole perché colui che è oscillante non ottiene niente. È necessario un certo tratto di fedeltà. “Se qualcuno di voi manca di sapienza, la domandi a Dio che dona a tutti generosamente senza rimproverare e gli sarà data. La domandi però con fede, senza esitare”, con fede e senza esitare è quella costanza. “Perché chi esita – cioè chi è incostante – somiglia all’onda del mare mossa e agitata dal vento e non pensi di ricevere qualcosa dal Signore l’uono che ha l’animo oscillante. L’uomo che ha l’animo oscillante è instabile in tutte le sue azioni”. Per cui questa luce richiede da noi una certa permanenza. Non è che chiedo e immediatamente ricevo la luce perché Dio non è un distributore meccanico; perché è proprio attraverso questa costanza, questa non oscillazione, che si forma in noi una certa purificazione. Per cui Dio, per mandare la luce, chiede a noi una certa purezza d’animo che si forma attraverso questo permanere in attesa della luce perché nell’attesa che si forma in noi la capacità di ricevere la luce. La luce ci arriva a seconda della fame che si è formata in noi, dovrebbe formarsi una fame infinita, però diciamo che una “poca fame” riceve già un po’ di luce. Allora abbiamo il problema della costanza, del permanere, perché è permanendo che si diventa figli: “Ho chiamato mio figlio dall’Egitto”, dal luogo di schiavitù perché è in luogo di schiavitù che si forma l’amore. Perché è quando sono in terra d’esilio che sento tanto il bisogno di tornare a casa mia. Ecco perchè a volte il Signore ci fa aspettare tanto; perché in noi si deve formare quella tanta fame che è la condizione essenziale per poter gustare un certo cibo. Più il dono è grande più presuppone una grande fame per poter ricevere e gustare il dono. Dio sa qual è la condizione per ricevere il dono, noi non lo sappiamo e allora ci lamentiamo: “Ma come mai il Signore mi fa aspettare tanto e non mi inonda subito con la sua luce!?”. Anche se ti inondasse, tu non saresti in grado di sopportarla e la sprecheresti. Il Signore dice: “Non date le vostre perle ai cani” ecco perché il Signore non dà le perle a noi che siamo cani, perché non siamo capaci di gustarle. La fame, l’esilio, non fa altro che crescere in noi il bisogno; ma il bisogno ci rende molto prezioso quel dono che aspettiamo; quando lo riceveremo noi sapremo tutta la preziosità.

Emma: Il dono arriva quando Lui sa che noi siamo capaci di riceverlo.

Luigi: Più uno soffre, più è tribolato e più il suo cuore si apre, diventa stabile, buono. Attraverso la croce, il dolore, la sofferenza. Vediamo chi nasce in una famiglia ricca con quanta facilità spreca tutti i doni; i padri lavorano, faticano per procurare ai figli una ricchezza e i figli la sciupano proprio perché non hanno sofferto per averla quindi non sono stati capaci di tenerla. Noi vogliamo tenere soltanto quelle cose per le quali abbiamo sofferto molto. Quindi non dobbiamo temere di soffrire per certi doni, perché è proprio quella sofferenza che ci rende capaci di mantenerli, di gustarli, di possederli. Se fossimo intelligenti non avremo bisogno della sofferenza; ma siccome non siamo intelligenti bisogna che in noi si formi la consapevolezza del dono. Ci vuole quella costanza per cui il Signore ci fa aspettare; però è nell’attesa, nella veglia che si forma l’abito per ricevere un certo dono: “Vegliate”. Dio non ha difficoltà a darci i suoi doni, la difficoltà sta nell’avere noi l’animo capace di poter trattenere i doni, di poterli gustare; gustare vuol dire capire. Per capire bisogna avere una certa matrice in noi, altrimenti non possiamo capire.


 

 

 

 


«   Io vi ho mandato a mietere ciò per cui non avete faticato; altri si sono affaticati e voi siete subentrati nel frutto delle loro fatiche». Gv 4 Vs 38 Secondo tema.


Titolo: Cos’è la vita?


Argomenti: La vita è partecipazione, comunione con ciò che esiste - Strumentalizzare le creature - La morte è impossibilità di comunione - Dio è il principio della comunione con tutto ciò che esiste – Il senso della vita – Vita vegetale, animale umana – La vita dello spirito – Vita e cibo – Il possesso – La vita nella Parola -


7/Agosto/1977


 

Dall'esposizione di Luigi Bracco:

Lo spunto di meditazione, come conclusione degli argomenti precedenti, è tratto da un annuncio pubblicitario sul Corriere della Sera che dice: “Per favore, qualcuno può spiegarmi perché la vita è bella? Oppure perché è bello vivere? O almeno perché si deve vivere?”. Sono gli argomenti meditati sull'episodio della samaritana che maturano in noi questi interrogativi;

Infatti abbiamo sentito Gesù che ci dice:

-         “Se tu sapessi il dono di Dio” (orientamento dell'anima);

-         “L'acqua che io gli darò diventerà per lui una sorgente d'acqua zampillante fino alla vita eterna”;

-         poi ci parla del “cibo”, nutrimento di vita;

-         poi del problema del mietere; “raccogliere”, “assimilare”, che già delinea che cosa significa vivere (mantenersi in vita e crescere).

Sono tutti argomenti che ci hanno preparato a mettere a fuoco il problema essenziale della vita:

-         se la vita ha un senso e quale sia questo senso,

-         e perché sia bello vivere.

I parte: Che cos'è la vita? Che senso ha?

Cosa vuol dire vivere? Quand'è che c'è la vita? Perché noi chiamiamo vita quello che non è vita. La vera vita, quella dello Spirito, non è in noi fino a che non sappiamo che cosa sai vivere.

Significazione di vita: le troviamo sul piano vegetale e animale. Sono significazioni della  vera vita che è “conoscenza” di Dio. Abbiamo:

il concetto di esistenza: la pietra esiste ma non vive;

il concetto di vita: i vegetali e gli animali esistono e vivono, ma non conoscono Dio;

il concetto di conoscenza: l'uomo esiste, vive e può conoscere Dio.

Abbiamo questi tre piani: il concetto di vita è nel piano intermedio e nel piano dello spirito, diventa conoscenza. In che cosa consiste la vita? Gesù dice che:

-         “la vita è più importante del cibo”,

-         “le mie parole sono spirito e vita”

-         “Io sono il pane della vita”

-         “La vita non viene dalle cose che si posseggono”.

Tenendo presente questi aiuti che il Signore ci dà nel suo vangelo, possiamo dire:

-         che non possiamo identificare la vita col mangiare perché la vita vale più del cibo;

-         quindi non si può vivere per mangiare e neppure per vestirci, perché la vita vale più del vestito;

-         che la vita è nelle sue parole;

-         che Lui stesso è la vita.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Emma: La vita sta nella conoscenza di Dio.

Luigi: Certo, la vita viene da Lui e se non teniamo presente Dio ci accorgiamo che la vita viene meno in noi. Da questo possiamo dedurre che cos’è la vita: evidentemente la vita non l’abbiamo in noi. Da che cosa dunque viene a noi la vita? Se non teniamo presente Dio noi moriamo, anche se abbiamo l’apparenza di vivi: cioè possiamo essere vivi fisicamente, con il corpo, ma avere la morte dentro. Se ci dimentichiamo di Dio e se lo trascuriamo, noi seminiamo la morte dentro di noi. Quindi noi avvertiamo la morte e avvertiamo anche la vita. In che cosa consiste la morte, questa tristezza, questo vuoto che avvertiamo dentro di noi? Che conseguenze lascia in noi questo non aver presente Dio? Per cui noi ci sentiamo morire, tristi, vuoti.

Eligio: Vita per l’uomo è pervenire alla coscienza di sé.

Luigi: Non si può identificare la vita come coscienza che l’uomo ha in sé, poiché c’è già una vita indipendentemente dall’uomo: come mai infatti Dio ci significa la vita con degli esseri viventi che non sono intelligenti? Ci deve essere una ragione. Siccome tutte le opere di Dio sono un aiuto per noi, evidentemente vuol farci capire qualcosa della vita. La vita è possibilità di comunione con ciò che esiste: nella vita dello spirito Dio è il Vivente, il solo Vivente e nell’uomo deriva da Lui la possibilità di comunione con ciò che esiste. Però noi già abbiamo nel vegetale e nell’animale una possibilità di comunione con ciò che esiste. Se Dio ci presenta questo è per insegnarci qualcosa: quindi abbiamo il piano dell’esistente, il piano della vita, il piano dell’intelligenza, cioè dello spirito. Tutto è parola di Dio. Ora, se il Signore ci presenta il vegetale che vive, l’animale che vive, vuol farci capire qualcosa della vita attraverso di essi. Il vegetale e l’animale vivono in quanto riescono a stabilire una comunione, un rapporto con ciò che esiste. Una pietra invece non riesce a stabilire una comunione. Noi siamo morti quando non comunichiamo più con l’altro, con ciò che esiste. Ora, evidentemente, ciò che esiste in assoluto è Dio: la possibilità di comunione con Dio è la vita dello spirito.

Eligio: Sono partito ad analizzare il concetto di vita senza tener conto di Dio per vedere se la vita si giustifica da sé.

Luigi: Teniamo presente che la vita è partecipazione, è comunione con ciò che esiste: quindi abbiamo già una significazione di vita nel piano naturale in quanto c’è la possibilità di comunione con l’altro che esiste: la pianta ha la possibilità di assimilare il mondo che ha attorno, quindi ha la possibilità di stabilire un rapporto, di entrare in comunione con la vita. E questo vale non solo per le forme viventi relative, ma anche per Dio: Dio è Colui che esiste e quindi Lui è in comunione con Se stesso e quindi abbiamo in Lui la massima espressione di vita. Perché noi abbiamo l’essere che per vivere ha la vita fuori di sé: abbiamo la pianta che trae vita dal di fuori di sé; così pure l’animale e così pure noi. Solo Dio ha la vita in se stesso, perché Dio solo è l’Essere, quindi è in comunione con se stesso, con l’Essere. Noi traiamo la vita sempre dall’altro infatti Gesù dice: “Un altro è colui che semina”, per cui se noi ci separiamo da Colui che semina, da Colui che ha la vita in sé, in noi viene meno la possibilità di entrare in comunione con ciò che esiste. Per cui noi siamo in comunione con ciò che esiste e quindi abbiamo la vita in quanto abbiamo presente Colui che ha la vita in se stesso. Quindi la vita viene a noi dalla Presenza di un Altro: se noi ci separiamo dalla Presenza di quest’Altro viene meno in noi la possibilità di comunione con tutto ciò che esiste; sentiamo allora l’incomunicabilità: proviamo la morte, il vuoto, il distacco da. Però questo distacco dalle creature stesse, da tutto ciò che esiste, fa sì che le cose non ci dicano più niente: sentiamo la morte quando ci troviamo di fronte a delle cose che non ci dicono più niente. Cose e creature che ci ignorano. Come mai? Non devo accusare le cose o le creature che non dicono più niente a me, perché se non mi dicono più niente è perché mi sono staccato da Colui che parla a me. Quindi la possibilità di comunione con ciò che esiste, e questo è vita, mi deriva dalla Presenza di Colui che è l’Essere. Però questa Presenza di Colui che è l’Essere, io non ce l’ho automaticamente in me, perché per averla presente io debbo superare il pensiero del mio io, devo mettermi in rapporto con Colui che è. Se io mi dimentico di Lui, viene meno in me questa possibilità di comunione con ciò che esiste, perché la possibilità di comunione con ciò che esiste me la dà Lui. Quindi il Principio Creatore di tutto ciò che esiste è anche Principio ci comunione con tutto ciò che esiste.

Eligio: Cosa intendi quando dici che c’è la possibilità di comunione con le cose inferiori? Non è una strumentalizzazione?

Luigi: Il distacco da Dio mi porta alla strumentalizzazione delle creature, anche se apparentemente resto in comunione con esse, ho già seminato la morte: quando strumentalizzo le creature, non sono più in comunione con esse, perché cerco di asservirle al pensiero del mio io, perché ho già fatto centro il pensiero del mio io anziché Dio; cioè praticamente mi sono staccato dalla sorgente della vita quindi stabilisco solo più un rapporto di comunione apparente: riesco ad asservirle soltanto per l’errore che le creature portano ancora in sé. Per cui si lasciano attrarre magari da altri motivi; ma man mano che le creature arrivano a Dio, si separano da me e mi lasciano solo ed esperimento la morte, ma ho già seminato la morte in me.

Eligio: Ma questo vale per l’uomo; ma per quanto riguarda le piante, le pietre?

Luigi: Anche con le creature inferiori (animali, vegetali, minerali) riesco a stabilire una comunione solo apparente, se mi distacco da Dio e le strumentalizzo: cioè mi sfugge l’anima di esse, la sostanza e mi prendo il guscio. Per cui credo di trattenere le creature e di sfruttarle, ma perdo il meglio delle creature stesse. Perché soltanto se ho presente Dio, anche verso le creature inferiori, entro in quella comunione che è anche vera vita per me. San Francesco che non strappava neanche la foglia dell’albero per rispettare la volontà di Dio, riceveva molta più vita dall’albero, che non se avesse strappato la foglia per farne quel che ne voleva; gli sarebbe rimasta una foglia, ma morta. Invece ha rispettato la foglia unita all’albero, ha rispettato la vita. Per cui il principio della vita è proprio il rispettare la vita. Il principio dell’essere in comunione con tutto ciò che esiste è proprio il rispettare la vita: se raccolgo un fiore dopo un po’ appassisce; rispettando chi lo fa appassire, perché chi lo fa appassire è un altro, ho la possibilità di assimilare, di capire il significato, la lezione che è molto più vita per me che non aver portato il fiore con me.

Eligio: Ogni cosa che usiamo disgiuntamente dal Pensiero di Dio, diventa per noi motivo di morte.

Luigi: Anche qui è ancora un disegno di misericordia di Dio, perché queste cose non fanno altro che accelerare quel processo di morte che abbiamo seminato in noi, per farci toccare la morte, in modo che ci dedichiamo a scoprire dov’è la vita. Dio è il Principio della vita perché è il Principio di tutto ciò che esiste. È il Principio di tutto ciò che esiste e anche il principio di comunione. Se noi ci separiamo dal principio di ciò che esiste, noi perdiamo la possibilità di comunione. Infatti “In Lui era la vita” e quindi la possibilità di vita (di comunione che è amore). Se noi dimentichiamo Dio, mettiamo l’io al centro e questo ci porta ad una certa comunione con tutte le creature, ma ad una comunione sbagliata che non fa altro che accelerare il processo di morte che abbiamo già seminato in noi: perché le cose cominciano ad ossessionarci, ci disperdono, ci fanno quindi toccare con mano la morte che portiamo in noi, perché se noi non toccassimo la morte, non scopriremmo la morte che portiamo dentro. Ma il farci toccare la morte che portiamo è misericordia di Dio. Noi tocchiamo la morte attraverso le cose che a un certo momento diventano per noi un motivo di schiavitù, un peso insopportabile, un’ossessione, per cui noi tocchiamo la morte, il vuoto. La fonte di questa esperienza è in nostro distacco da Dio. Facendoci toccare con mano la fonte della nostra morte, Dio ci dà la possibilità di ritrovare la fonte della nostra vita. “Poiché ti sei dimenticato di me, oggi ti trovi così, in questa situazione di morte”, morte che è impossibilità di entrare in comunione con ciò che esiste, per cui le cose fuggono da me, mi sento solo, isolato, come una pietra: questa solitudine è dovuta al fatto che è venuta meno in me l’unione con il Principio che mi dà la possibilità di entrare in comunione. Quindi per noi la vita è possibilità di essere in comunione con tutto ciò che esiste e questa possibilità ci viene da Colui che crea tutto ciò che esiste e maggiormente quindi, ciò che esiste è Dio: Dio è il Principio della vita in noi, ma lo è in quanto noi lo teniamo presente. Se non lo teniamo presente, la prima conseguenza è il distacco da Lui: ma questo distacco è già esperienza di morte, di vuoto, di solitudine. Invece più noi teniamo presente Dio, più le cose diventano parlanti a noi (il vento, il temporale, la natura; le creature parlano, ma parlano nella misura in cui Dio parla a noi. Tutto è opera di Dio e Dio opera continuamente, per cui anche la pioggia o il temporale lo manda attualmente Dio; in quanto lo manda, già provoca in noi una domanda: “Qual è il significato? Cosa mi vuol dire il Signore con questo?” ecco che già ci carica, ci crea un movimento, perché ho presente Dio, so che Dio ci tiene presente, parla a noi, noi ci sentiamo pensati e sentendoci pensati, ecco che le cose cominciano ad acquistare per noi importanza, perché Dio ci significa qualcosa attraverso di esse, per cui le cose cominciano ad acquistare un anima. Mentre invece più pensiamo a noi più le cose perdono anima: le vediamo ancora per l’apparenza esterna (la pianta che utilità mi può dare); ma guardando le cose solo per l’aspetto dell’utile, del guadagno, per l’aspetto relativo a me, trasformando le cose in denaro, perdo l’anima di esse. E perdendo l’anima delle cose non sono più in comunione con esse: è vero che ho approfittato di esse, ma proprio approfittando delle creature, possedendole, io perdo la creatura stessa, perdo l’anima della creatura e ciò che ho trattenuto è il meno, perché ciò che ho trattenuto domani perisce, muore e non mi resta che polvere nelle mani e l’anima se n’è andata. Se invece considero la creatura con il Pensiero di Dio, secondo il Pensiero di Dio, magari non la possederò materialmente, ma spiritualmente sono in una comunione altissima, e quello è vita: questo è amore, capacità di amare, che ci viene dal Pensiero di Dio. Per questo possiamo dire che la vita è possibilità di comunione con tutto ciò che esiste. Quando questa possibilità viene meno a noi, noi cominciamo a provare la morte. Naturalmente questa possibilità di comunione riportata sul piano spirituale diventa possibilità di capire: ecco quindi che abbiamo la vita come conoscenza, ma sul piano spirituale che è la forma più alta di comunione.

Eligio: Prima hai parlato della possibilità di comunione con tutte le creature.

Luigi: Quindi questa possibilità di comunione con tutto ciò che esiste mi viene da Dio, quindi prima di tutto devo stabilire l’unione con questo Principio di tutto ciò che esiste. La vita viene a noi da Dio. Dio è il Vivente: infatti noi senza Dio non siamo vivi. E tutto ciò che vive, vive in quanto riceve vita da altro, ma non vive di per sé. Solo Dio vive di per sé perché solo Dio è in comunione con l’Esistente, con ciò che esiste, perché ciò che esiste è Lui. Quindi Lui è il Principio. Essendo il Principio di tutto ciò che esiste, è anche il Principio della vita e quindi anche il principio della comunione con tutto ciò che esiste. Se noi ci separiamo da Lui, ci separiamo dal principio della vita, per cui seminiamo in noi la morte. Questa morte la constatiamo poi in questa separazione da Dio. Ad esempio le persone che muoiono fisicamente, noi le diciamo morte, perché non abbiamo più la possibilità di comunicare con loro, ma loro sono vive, perché loro comunicano con noi, perché loro sono con Dio più di noi. Quindi loro sono in comunione con noi ma noi non siamo in comunione con loro, perché non abbiamo la possibilità di comunicare. Noi le diciamo morte, perché noi pensiamo a noi che ci crediamo vivi; ma se noi pensassimo a Dio, scopriremmo che loro sono più vivi di noi e che siamo noi in difetto, perché non abbiamo ancora la possibilità di comunicare con loro.

Eligio: Questa è una grande verità per cui più siamo uniti a Dio, più abbiamo la possibilità di comunicare anche con le creature che non sono unite a Dio o a un livello inferiore.

Luigi: Infatti San Paolo dice che l'uomo spirituale comprende le cose dello spirito e comprende anche le cose del mondo, ma l'uomo del mondo non comprende l'uomo spirituale. Quindi l'uomo spirituale ha la vita perché è in comunione con le cose dello spirito e anche con le cose materiali, perché ne comprende il significato; invece l'uomo del mondo non comprende l'uomo spirituale, anzi gli è nemico, lo ostacola, lo considera pazzo. L'uomo del mondo è portato a scartare, a negare ciò che non comprende, come noi neghiamo la vita a coloro che sono morti fisicamente, mentre sono più vivi di noi. Loro sono più vicini a noi, ma siamo noi che non siamo capaci di entrare in comunione con loro, ma loro comunicano con noi. Come Dio. Chi è più vicino a noi di Dio? Dio è vicinissimo a noi, quindi Dio comunica con noi esistenti; ma siamo noi in difetto nel comunicare con Dio. Per cui, comunicando con l’altro, io mi sento in difetto, mi sento morto. Così quando mi trovo in un ambiente con cui non posso comunicare, mi sento morto in quel ambiente, perché la vita viene da questa comunione, dalla possibilità di comunione. Ma ciò che è importante è capire cos'è che dà a noi la possibilità di questa comunione. Chi ce la dà è il Principio di tutto ciò che esiste, cioè Dio. Per cui staccandoci da questo Principio, noi perdiamo la possibilità di comunione con tutto ciò che esiste e quindi la possibilità di vita, perdiamo la vita. Sul piano spirituale la comunione con ciò che esiste diventa capire, conoscere. Ma la possibilità di comunione, che è poi assimilazione, che non è isolamento, è già sul piano vegetale e animale: abbiamo il vegetale che assimila, che comunica con gli elementi esterni a sé. Quando abbiamo un essere che non comunica, abbiamo la pietra, che non vive. Dio ci significa anche questo, perché noi possiamo diventare delle pietre. Dio in tutte le cose significa se stesso, ma significa anche quello che siamo noi. Noi possiamo avere una vita animale, non una vita umana, non una vita spirituale, e allora ci significa la vita animale. Noi possiamo avere solo una vita vegetale e allora ci significa la vita vegetale. Ma noi possiamo anche diventare delle pietre, cioè separati da Lui, nell’impossibilità di comunicare con altro, con altri, e ci sentiamo pietre. Allora il Signore ci dice che Lui è venuto a trasformare il nostro cuore di pietra in cuore umano, in un cuore di carne. Tutta questa degradazione di vita fino alla non vita, alla morte, Dio ce la significa: perché se Dio parla quello, lo parla per noi, per cui se presenta il vegetale lo parla per noi, l’animale è per noi, se ci presenta la pietra, parla per noi. Sono lezioni di Dio. Ma tutto questo ha come centro la possibilità della comunione e la possibilità della comunione sta nello scoprire qual è il Principio di questa comunione. Il principio non siamo noi che, per cui se noi ci riteniamo vivi, sbagliamo, perché noi non siamo vivi, ma abbiamo la possibilità di essere vivi. Ma la possibilità ci viene da Colui che vive, cioè ci viene dalla Presenza di Colui che vive. Per cui se io dimentico, trascuro, se non ho presente questo Principio, non comunico più, non vivo più. Infatti noi abbiamo la possibilità di capire la relazione a ciò che abbiamo presente. Se io ho presente un principio difettoso, questo principio difettoso mi impedisce di capire tante cose. Sposta il principio, e vedrai che avrai la possibilità di capire molto di più. Questo ci fa capire che la possibilità di capire, che è la forma più elevata di comunione, viene a noi da ciò che abbiamo presente. Se noi abbiamo presente Dio, che è il massimo Principio, questo ci dà la possibilità di capire tutto. Questo è l’importante: averlo molto presente, perché quello è il principio vero della vita, della comunione e comprensione.

Eligio: Quindi la vita consiste nel collegamento con questo Principio.

Luigi: Certo, dalla comunione con questo Principio deriva la comunione con tutte le altre creature e la possibilità di comprenderle nella ragione di essere. Per cui in Dio io ho la possibilità di entrare in comunione con tutto l’esistente e tutto l’esistente diventa eloquente per ognuno di noi. Già il fatto stesso di sapere, anche se non capisco ancora, che tutto l’universo è in comunione con me personalmente, se io tengo presente Dio, già questo è una sorgente di vita, anche se ancora non capisco. Ma il fatto già di sapere che tenendo presente Dio ho questa possibilità, è già  una sorgente di vita.

Eligio: Si, poi però bisogna entrare in comunione.

Luigi: Ma per restare in questa comunione con Dio, dobbiamo assimilare le parole di Dio, dobbiamo mietere, perché soltanto mietendo, possiamo restare alla Presenza di Colui che parla con noi. Perché chi dà la vita a noi, è Colui che parla con noi. Dio parlando a noi, ci dà la possibilità di entrare in comunione: la comunione non siamo noi che la facciamo, ma è Lui che dà a noi questo. Ma questa sua parola deve essere da noi mietuta, assimilata e riportata a Dio. Più noi raccogliamo la messe che cresce in noi, cioè più noi raccogliamo le parole di Dio, restiamo in questa parole e cerchiamo di capirle e più queste ci portano in comunione con Dio, con il Principio della vita, per cui la vita in noi diventa crescente: vita crescente in vita eterna, sorgente. “Chi beve l’acqua che io gli darò, avrà in se stesso una sorgente di vita crescente fino alla vita eterna”. Questa vita eterna è “vita sempre con Dio”, cioè è avere la possibilità di stare sempre con Dio, per cui non c’è più niente di tutto ciò che esiste che ci porti via da Dio. Allora abbiamo la vita eterna.

Eligio: È evidente perché essendo Lui la Causa di tutto, allora nulla ci può più separare da Lui.

Luigi: Per questo diciamo che il Principio dell’esistente è il Principio della vita. È il Principio che crea tutte le cose che ci dà la possibilità di comunione. Per cui devo solo preoccuparmi di non staccarmi da questo Principio che mi dà questa possibilità.

Eligio: Anche se è così chiaro, anche se è lineare, tanto da sembrare impossibile ragionare diversamente, purtroppo sia nel lavoro che nelle ferie noi ci lasciamo distogliere.

Luigi: È perché agiamo nel pensiero del nostro io e questo ci disperde. Noi facciamo il grosso errore di prendere solo la scorza di un frutto e di buttare via la polpa.


«Io vi ho mandato a mietere ciò per cui non avete faticato; altri si sono affaticati e voi siete subentrati nel frutto delle loro fatiche». Gv 4 Vs 38 Secondo tema seconda parte.


Titolo:  Perché è bello vivere?

Argomenti: Il tesoro nel campo – La bellezza sensibile e spirituale – Comunione e armonia – Verità e bellezza -


 

7/Agosto/1977


Luigi: Perché è bello vivere? Lo puoi dire?

Emma: È bello vivere perché c’è Dio.

Luigi: Gesù paragona la vita del regno di Dio ad un tesoro nascosto in un campo; chi trova quel campo (che è la vita) va, vende con gioia tutto quello che ha per comprare quel campo, perché ha scoperto la fonte della bellezza, della vita. Perché la bellezza è fonte della vita, della gioia. (Bellezza non sul piano sentimentale ma sul piano dell’essere). Gesù dice: “Io parlo così nel mondo, affinché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia”. Quindi Dio parla e fa tutte le opere affinché l'uomo abbia in se stesso la pienezza della gioia, se però raccoglie le opere di Dio in Dio, perché la possibilità di comunione con tutto ciò che esiste, cioè la vita, non ci è imposta, ma ci è offerta: è una possibilità. Possiamo però anche non vivere.

Eligio: Stavo pensando ad Aristotele, a questi grandi autori pagani e pensavo a cosa di Gesù: che del pensiero legato al Principio di Dio Creatore abbiamo il massimo della perfezione.

Luigi: Si, però pensavo di definire che cos'è il bello. Perché è bello vivere? Bellezza sul piano dell’essere, non sentimentale, è fonte di gioia. “Io parlo affinché la gioia sia in essi”. Quindi la sua parola crea in noi gioia; ma per portarci alla gioia, deve portarci alla bellezza. Bellezza è armonia tra ciò che esiste. Dio è sorgente di bellezza, perché è sorgente di armonia: è unità. Dove c'è unità c'è armonia. Cos'è brutto? Brutto è ciò che è disarmonico. Nel disaccordo abbiamo la bruttezza; dove c'è armonia c'è bellezza. Abbiamo detto che vivere è possibilità di comunione. Comunione che è un rapporto, vuol dire creare armonia, creare accordo, creare sintonia. La sintonia è un accordo. Quando abbiamo “cacofonia”, abbiamo disaccordo di. La sintonia è armonia quindi bellezza. Vivere non ci è imposto, ma è una possibilità che ci è data, cioè possibilità di comunione. Quindi la proposta di vivere è proposta di fare dell’armonia, di fare accordo tra; ma questo è sorgente di gioia, questo è bellezza, di per sé è bellezza.

Se armonia è bellezza, noi chiamati a creare comunione con, siamo chiamati a fare la bellezza. Quindi vuol dire che Dio ci presenta delle cose che apparentemente, per noi, personalmente, non sono ancora in armonia. La nostra vita, la nostra esistenza, non sono ancora in armonia con Dio, però abbiamo la possibilità di creare l’armonia con Dio. Non siamo in armonia, ma abbiamo la possibilità di creare armonia.

Se vivere vuol dire creare comunione (comunione che non ci è imposta, ma offerta, proposta), questa comunione è armonia, quindi bellezza con Dio, per cui è sorgente di gioia. Quindi non vivere, cioè non fare questa comunione qui con Dio e con tutto ciò che esiste, praticamente vuol dire rifiutare la gioia stessa.

Ad esempio il ricco e il povero non sono in armonia, ma se il ricco crea unione col povero e il povero con il ricco, si fa l’armonia. Se il ricco accetta la vita, accetta di fare comunione con ciò che esiste (non gli è imposto ma offerto); se fa la comunione, che è pace: la pace è accordo. Ma l’accordo presuppone questa comunione fatta con.

Più noi entriamo in comunione con tutto ciò che esiste (abbiamo visto che la comunione è possibile solo alla presenza di Dio), Dio dà a noi la possibilità di creare comunione con tutto ciò che esiste. Quindi se io sono in comunione con Dio, tengo presente Dio, Dio mi dà la possibilità di fare per esempio, comunione con il povero.

Se invece non ho presente Dio e penso a me stesso, debbo creare disarmonia, perché debbo strumentalizzare l’altro; quindi creo bruttezza e quindi creo tristezza; tristezza che si riflette poi su di me, perché non ho vissuto. Tenendo presente che la vita è possibilità di comunione, fare la comunione con Dio vuol dire praticamente generare una bellezza.

Ecco perché chi scopre questo campo, scopre che questo è sorgente di gioia, va, vende tutto per vivere, per realizzare questa vita, cioè per creare accordo, unione con. Preferisce magari rinunciare a tutto per realizzare questo, piuttosto che strumentalizzare tutto per avere, per possedere, perché si creerebbe solo l’infelicità, perché la sorgente della gioia è questa armonia. Ma per ottenere questa armonia bisogna fare questa comunione con Dio e tutti gli esseri; fare cioè questa sintonia: sintonia che è bellezza.

Quindi vivere è fare bellezza. In Dio noi troviamo che la Verità coincide con la bellezza e con la bontà. Ma bisogna tener presente che la verità non ci è imposta, ma offerta, ci è proposta, per cui noi ci troviamo apparentemente in un mondo che ha bisogno di armonia. Quindi ci è proposta l’armonia, ma io posso sottrarmi a vivere, però faccio la mia infelicità.

Eligio: Io ho parlato di questa possibilità della creatura di vivere in comunione con Dio: si può dire che ogni cosa ha la sua verità?

Luigi: In Dio si; le verità parziali (e ogni cosa creata ha la sua ragione in Dio) non le posso cogliere, se non ho presente la verità totale. Solo avendo presente Dio, io ho la possibilità di scoprire l’anima di tutte le cose, quindi le verità parziali. È alla luce di Dio che io ho la possibilità di cogliere l’anima di tutte le creature, se no non colgo niente, anzi, nel pensiero dell’io, trasformando le cose in assoluti, creo una disarmonia nelle cose, perché il pensiero dell’io già deforma, in quanto mi esalto per qualcosa o mi deprimo per altro, quindi creo uno stridore, una ribellione, che si ripercuote poi su di me con tristezza, che è privazione di vita, perché non ho fatto la vita, cioè non ho creato quella comunione che era offerta, ma che per farla dovevo aver però presente Dio.

Staccandomi da Dio, per quanto io mi sforzi per fare la bellezza, faccio la bruttezza, e facendo la bruttezza, questa ricade su di me in tristezza. Mentre invece più ho presente Dio, Dio mi conduce a fare questa comunione con tutte le creature: questo è sorgente di bellezza e quindi sorgente di gioia, che si riflette in gioia, quindi in pienezza di vita (Gesù parla di pienezza di vita).

Quando il Signore ci dice: “Chiedete ed otterrete affinché la vostra gioia sia piena”, inteso profondamente nello spirito voleva dire: “Chiedete, cioè cercate questa comunione con Dio, affinché la vostra gioia sia piena”, cioè cercate la gioia piena, non accontentatevi di gioie parziali. Se la bellezza è armonia, accordo, noi abbiamo la possibilità di accordare solo alla presenza di Dio. Trascurando Dio, noi ci troviamo nell’impossibilità di accordare: lì si forma il caos, la disarmonia di idee, di pensieri, per cui non comprendiamo più, e noi stessi diventiamo un caos a noi stessi, che è conflitto di, cioè disarmonia, per cui magari penso di far prevalere un principio e immediatamente ho la contraddizione dell’altro: abbiamo tutta una cacofonia, una disarmonia di pensieri che creano poi dopo la notte, le tenebre, questa bruttezza, che è poi tristezza, morte. Ma tutto questo deriva dal fatto che noi abbiamo trascurato il Principio dell’armonia, Dio, che è il Principio da cui deriva la possibilità di comunione.

Eligio: Punto base è questo: devo sempre partire dal vertice, se no mi sfugge la base. Portarci sempre alla vetta del monte, per capire il monte.

Luigi: Infatti Gesù ci dice: “Cercate prima di tutto il regno di Dio, non preoccupatevi del mangiare e del vestire: perché là si risolvono questi problemi; quindi portati nel fine e nel fine tu risolverai questi problemi”. Quindi è inutile dire: “Cerco di risolvere questi problemi e così poi posso pensare a Dio, perché arriverò sempre in ritardo: non arriverò mai. Tutte le volte che noi diciamo: “Prima mi sistemo e poi dopo penserò a Dio, quando sarò in pensione mi dedicherò a Dio” noi non arriveremo mai ad avere quel tempo.

Per questo il vangelo insiste su questo: “Cerca prima di tutto il regno di Dio, fa magari digiuno, ma cerca prima di tutto Dio”; in qualunque situazione tu sia, che tu sia malato, che tu sia ricco, che tu sia povero, che tu sia sano non preoccuparti di questo o di quello ma cerca prima di tutto Dio: portati subito in vetta. Se ce lo dice, è perché dà a noi la possibilità di portarci in vetta subito (come materialmente impossibile se non partiamo dalla base: qui il simbolo non ci accompagna; invece con Dio possiamo portarci subito in vetta). Dalla vetta poi, vedrai tutto risolto. I problemi si risolvono solo in vetta e tutto ti aiuterà ad ascendere. Portati subito in Dio e poi con Dio vedrai che i problemi si risolvono.


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«   Io vi ho mandato a mietere ciò per cui non avete faticato; altri si sono affaticati e voi siete subentrati nel frutto delle loro fatiche». Gv 4 Vs 38 Terzo tema.


Titolo: “Stretta è la porta che conduce alla vita e pochi sono quelli che la trovano”


Argomenti: La vita è comunione – La porta stretta – Rinnegare se stessi – Il mutamento – Molti i chiamati e pochi gli eletti – La matematica di Dio – La bellezza è sorgente di gioia – La bellezza di Dio – L’intelligenza nello scoprire la vita vera – I doni spirituali – Seguire il mondo – Armonia e disarmonia -


 

15/Agosto/1977


Dall'esposizione di Luigi Bracco:

La vita è possibilità di comunione con ciò che esiste. Ciò che esiste soprattutto è Dio, quindi la vita è possibilità di comunione con Dio: questo è vivere. Inoltre la vita è bellezza, in quanto fare la comunione vuol dire mettere armonia, vuol dire accordare, raccogliere in Dio.

Cerchiamo ora di penetrare un po’ questa parola di Gesù: “Conduce alla vita”. Perché conduce alla vita? Dicendo questo Gesù ci fa pensare, ci annuncia, ci mette in dubbio che noi non siamo nella vita, perché se ci annuncia una porta che conduce alla vita, vuol dire che noi attualmente non siamo nella vita; cioè ci fa pensare che ciò che attualmente noi chiamiamo vita non è vita, altrimenti non ci annuncerebbe la porta che conduce alla vita.

- Se ce l’annuncia è perché evidentemente non siamo ancora entrati.

- E poi nella vita si entra attraverso una porta.

- E perché questa porta è stretta?

- E perché pochi la trovano?

Per rispondere a questi interrogativi teniamo presente che per vita intendiamo possibilità di comunione, di partecipazione con ciò che esiste, possibilità di comunione in.

C'è una difficoltà ad entrare in questa vita, in questa comunione. Per entrare in questa comunione c'è una porta. Questa porta è stretta. Bisogna sforzarci di entrare, perché è stretta. E qui bisogna abbinare l’altra frase di Gesù che controbilancia questa: “Larga è la porta è facile è la via che conduce alla perdizione”. Sembrerebbe a prima vista che Dio abbia fatto le cose non bene se ha reso facile la via e larga la porta che conduce alla perdizione e stretta invece quella che conduce alla salvezza, che fa entrare nella vita. Perché allora è stretta la porta che conduce alla vita e invece è larga quella che conduce alla perdizione?

Perché Gesù dice: “Sforzatevi di entrare”?; ecco, perché “naturalmente” non si entra nella vita.

La vita che attualmente abbiamo non è vera vita. La vera vita è comunione con, partecipazione; però in questa vita qui si entra soltanto attraverso questo sforzo personale. Quindi non si entra attraverso il gruppo.

Quindi ecco i quattro sottopunti di questo tema:

-             perché conduce alla vita;

-             perché la vita ha una porta;

-             perché la porta è stretta;

-             perché pochi la trovano.

Sotto un certo aspetto è giusto dire che l’entrare per questa porta dipende dalla nostra volontà, perché Gesù stesso dice: “Il regno di Dio è aperto ai violenti, a coloro che vogliono” e “Sforzatevi di entrare”. Però la possibilità di entrare è tutta grazia di Dio, però si entra con l’adesione della nostra volontà, con la partecipazione della nostra volontà. Non si entra per forza. Si entra con l’unione della nostra volontà alla volontà di Dio, con l’unione della nostra volontà al Pensiero di Dio. Senza Dio noi non possiamo assolutamente entrare.

Perché è facile la via che conduce alla perdizione e stretta l’altra? Perché non abbiamo ancora superato noi stessi. Siccome Dio è la vita e quindi non è il nostro io, richiede allora il superamento del nostro io.

Questo superamento qui è la porta stretta. È facile vivere “naturalmente”. Quello che diciamo “naturalmente” ha come punto fisso di riferimento il pensiero del nostro io: tutto si riferisce al nostro io; è facile quindi pensare a noi, è facile fare i nostri interessi; tutto l’universo, tutto il mondo, se viviamo naturalmente ha per centro il nostro io, allora è facile.

Difficile invece è vivere superando il proprio io; se la porta è quella, sarà difficile, perché richiede quel superamento, quel rinnegamento: “Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Naturalmente il superamento del pensiero del nostro io richiede anche il superamento di tutto quel mondo che è in relazione al nostro io, perché si tratta di entrare in comunione con Colui che veramente esiste. Attualmente noi, nella nostra vita naturale che ha per centro il nostro io, siamo in comunione con ciò che solo apparentemente esiste; ecco perché ad un certo momento noi scopriamo che la nostra vita non sta lì. E quand’è che noi scopriamo che la vita non sta nel possesso dei beni, nelle creature, nelle ricchezze? Quando ci accorgiamo che queste cose qui passano o preannunciano il loro passare, per cui ci lasciano tristi, insoddisfatti, ci lasciano la “non vita”.

Allora tutta questa vita naturale è comunione con cose e con creature che passano; passare vuol dire mutare, per cui non ci danno sicurezza. Quando incontro una creatura mutevole, non so mai su che cosa far leva, perché muta; quel che mi dice oggi, domani non lo è più; quindi è motivo di inquietudine, di insoddisfazione di vita.

Quindi attualmente ci troviamo in una vita che è comunione con cose che passano, quindi con cose che non sono assolutamente vere e sentiamo il bisogno della comunione con ciò che non passa, con Colui che è, con Dio.

Ma per entrare in comunione con Colui che è e scoprire Colui che è, si richiede questo spostamento di centro, questo superamento, e quindi questa porta stretta. Da qui la difficoltà.

-         Perché sono pochi coloro che la trovano?

Sembra che le cose siano fatte male, se solo pochi la trovano, e noi siamo miliardi. Perché Gesù dice: “Sforzatevi di entrare, perché sono pochi …” perché sono pochi? Altre volte Gesù fa questo raffronto tra i “molti” e i “pochi”. “Molti sono i chiamati e pochi gli eletti”. Quando si parla di “molti” si intende “totalità”. Quando si parla di “pochi”, s’intende che nel regno dei cieli si entra solo personalmente. Il “pochi” è sempre simbolo di partecipazione personale: cioè non si entra in “molti”, ma si entra personalmente nel regno di Dio, perché richiede il superamento dell’io. Il superamento dell’io è un atto personale, perché se non ci si impegna personalmente, non si entra. Così quando dice: “Molti i chiamati, pochi gli eletti” al pranzo di nozze, è sempre per questo, cioè fa il confronto. Cioè ci dice: “Non pensate che si possa entrare in quanto uno appartiene ad un popolo, ad un gruppo, perché si richiede l’impegno personale”. È vero che il “pochi” indica sempre una pluralità (non dice mai “uno solo”, “personalmente”) ma teniamo ora presente il confronto tra “molti” e “pochi”: come nella moltiplicazione dei pani, il passaggio dai cinque pani del bambino ai tanti pani dati alla massa, questo passaggio dal poco al tanto, indica il passaggio dal dono materiale a quello spirituale. Così pure quando dice: “Chi avrà lasciato padre e madre, riceverà il centuplo e la vita eterna”. Quel “centuplo” non è da intendersi in senso materiale: il centuplo, cioè il “molto”, si intende il “dono spirituale”. Così la moltiplicazione dei pani rappresenta già il dono spirituale. Quindi tra il “pochi” e il “molti” abbiamo un passaggio dalla materialità alla spiritualità. Invece le posizioni sono rovesciate, riguardo alle persone: “molti sono i chiamati, pochi gli eletti”. Perché questa contrapposizione tra “molti” e “pochi”? È vero che il “pochi” indica ancora pluralità, ma perché questa riduzione? Perché si entra solo personalmente, cioè ci vuole un’applicazione personale.

Perché c'è questa sproporzione tra i “molti” chiamati e “pochi” gli eletti? Perché nel numero dei pochi si richiede l’applicazione personale. Quindi “molti” sono quel numero secondo il mondo naturale: sono molti; pochi invece sono coloro che entrano nello spirito. Perché gli uni sono molti e gli altri sono pochi? È la porta stretta: il superamento è un fatto personale.

La vita vera è possibilità di vita: non è imposta. È vita di “pochi”.

La vita di natura ci è imposta, quella che ha per centro l’io, mentre la vita di comunione con Dio ci è soltanto proposta, perché richiede il superamento dell’io e nessuno ci obbliga a superare il pensiero del nostro io: perché noi soli possiamo, convinti che il nostro io non è Dio, superare il nostro io. Mentre invece nessuno ci ha proposto la nascita in questo mondo, ma ci è stata imposta. Invece il superamento dell’io ci è soltanto proposto: allora la porta diventa stretta qui.

Si, è Dio che ha voluto la nostra nascita naturale, ma c'è una diversa volontà tra il Dio che vuole la nostra esistenza qui e il Dio che vuole la nostra vita eterna, la nostra salvezza. Perché? Perché la volontà di Dio che vuole la nostra salvezza qui, si impone indipendentemente da noi: io sono nato senza che nessuno mi chiedesse se volevo nascere; mentre per la vita eterna Qualcuno mi chiede tutti i giorni se voglio nascere alla vita eterna, perché qui Dio non si impone più, ma offre; perché l’entrata nella vita eterna, ecco la porta stretta, presuppone la convinzione del rinnegamento di noi stessi del superamento di noi stessi, la convinzione quindi che noi non siamo Dio, che non siamo la verità e quindi la necessità (ecco il battesimo di giustizia di Giovanni Battista) di mettere Dio al centro della nostra vita. Allora la vita vera inizia lì, perché la vita vera è comunione con Colui che veramente è.

La vita è sempre comunione con ciò che esiste, solo che noi facciamo delle comunioni con ciò che esiste momentaneamente e che domani non sarà più, e anche comunioni con ciò che esiste veramente.

Allora la comunione con ciò che esiste transitoriamente nel campo dei segni, quella ci è imposta, perché è necessario per interrogarci se vogliamo accedere all'altra comunione: alla comunione con Colui che resta sempre. Questa comunione non avviene senza la partecipazione nostra, senza questo superamento. Per cui la porta è molto stretta perché non si entra senza la partecipazione della nostra volontà. In quella naturale noi entriamo senza la nostra volontà, perché c'è un Altro che vuole per noi; nell'altra invece non si entra senza la nostra volontà; per cui è difficile, perché richiede la nostra partecipazione. Però intanto, la nostra volontà non può volere quello senza la grazia di Dio.

Sono “pochi” coloro che trovano la porta, perché richiede l'impegno personale, però quel “pochi” nello Spirito di Dio, non esclude che siano tutti. Richiede l'impegno personale che significa: guarda che se tu non ti dai da fare non puoi entrare. Il fatto però che uno si impegni personalmente non esclude che nel disegno di Dio, ad un certo momento, Dio riesca ad impegnare tutti personalmente: sono sempre quei “pochi” che ad un certo momento possono diventare “tutti”. Però si entra sempre personalmente, non come massa.

Il concetto di numeri presso Dio, è diverso dal nostro concetto di numeri: c'è un'aritmetica e una matematica diversa. Anche in questo senso qui: nell'ordine di Dio, ci sono diversi piani:

-                     piano della materia, delle pietre;

-                     piano della biologia, della vita;

-                     piano dello spirito.

Ma già nel salto di passaggio dal mondo della materia al mondo del biologico, noi vediamo che la matematica assume aspetti diversi: nel mondo delle pietre: 1+1=2; invece nel mondo biologico della vita: 1+1=3 nasce un terzo vivente. Nel mondo dello spirito, la matematica assume tutto un aspetto diverso: 1 è = 3 l'unità e la Trinità di Dio. Addirittura l'unità diventa un Infinito. Infatti Dio è semplicità ed unità. Per noi è terribilmente difficile passare dalla molteplicità alla semplicità. Noi siamo per natura, molteplicità; il demonio si definisce Legione: ho molti nomi. Infatti noi, non vivendo una vita unica, la nostra dispersione è determinata dal fatto che abbiamo tanti nomi perché abbiamo tanti interessi, tanti amori. Dio invece è unico, ha un amore unico, ha una vita unica. La nostra terribile difficoltà sta dal passare dalla nostra molteplicità (“molti”), alla semplicità di Dio. Sembra che una cosa semplice sia molto facile; invece  la cosa semplice è terribilmente difficile: ecco la porta stretta.

Attualmente noi siamo “molti” per questo ci riesce difficile entrare in questo “pochi”. Dobbiamo ridurci molto. Per questo Gesù dice: “Non potete servire due padroni”. La vita semplice sta nel servire uno solo, in questa semplicità. Gesù non solo ha esclusa la molteplicità, ma addirittura la duplicità. Per cui in Dio l'Infinito diventa uno solo; mentre per noi, l'infinito è molteplicità (es. l'infinito dei numeri: tanti numeri che vanno all'infinito). In Dio abbiamo un capovolgimento: l'Unità diventa Infinito.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Eligio: Ho pensato che la porta stretta è Gesù.

Luigi: Infatti Gesù dice: “Io sono la porta”, perché non si entra nel regno di Dio se non per mezzo suo: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me”. Però quel “me” che Egli dice, richiede il passaggio dal nostro io al suo Io e quindi diventa porta, nel senso di superamento: “Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso” ecco la porta stretta, la necessità del superamento di natura, perché nella nostra vita naturale tutto diventa facile per noi, in quanto basta seguire la natura, lasciar andare. È facile dormire, riposarsi, far niente mentre è difficile impegnarsi. Per cui all'inizio la vita con Dio è molto difficile; poi man mano che si va avanti, diventa gioiosa. Con il mondo abbiamo il contrario: all'inizio la vita col mondo è molto facile ma ad un certo punto diventa una noia infinita, molto triste. È molto facile seguire l'opinione di tutti, di molti; diventa invece molto difficile resistere. Molto facile è seguire la moda, ma molto difficile è resistere. In un primo tempo il resistere ai “molti” crea difficoltà, perché crea solitudine, crea isolamento, crea non approvazione; però ad un certo momento questo diventa liberazione, diventa libertà: allora diventa fonte di grande gioia. Mentre invece in un primo tempo seguire i “molti” diventa facile: ma seguendo i “molti” uno perde la libertà, cade in una grande tristezza, diventa una non vita, schiavitù; ad un certo punto diventa difficilissimo andare avanti. Ed è a questo punto che l'uomo entra in crisi e la trova poi lì la porta stretta, cioè ad un certo momento noi ci convinciamo che la vera vita non sta qui. È Dio che, attraverso tutte queste lezioni, ci convince che la vita secondo il mondo non è vita vera, perché appunto ci fa toccare con mano la miseria della vita che noi abbiamo abbracciato; perché noi non ce ne accorgiamo: quando uno vive tutto per una persona, o per certi fini, poi si trova frustrato da quella persona o da quei fini e conclude dicendo: “Ho sprecato tutta la mia vita in niente”. Di che cosa si accorge? Dice che la vita è vuota, che ormai la sua vita è senza scopi, senza più niente, e allora scopre la non vita. Per cui all'ultimo, quando crederai che tutto per te sia finito, forse proprio allora tu scopri l'Infinito che sta davanti a te. Dio ci ha condotto a toccare con mano la non vita, la tristezza, per poter scoprire la porta vera della vera vita, perché altrimenti non la scopriremmo mai. Se noi fossimo intelligenti, la scopriremmo subito fin dall'inizio qual è la vera vita. Ma siccome non siamo intelligenti, abbiamo bisogno di sperimentare che questa vita che crediamo vita, non è vita, perché è comunione con ciò che passa, mentre invece la vera vita è comunione con ciò che non passa. Quindi constatando che le cose passano, non dovrei cercare la comunione con queste cose, perché certamente mi portano alla morte. Vivendo per ciò che muore, io semino la mia morte. Vivi allora per ciò che non muore, se vuoi seminare la vita. Ora, tutto lo sforzo della creatura dovrebbe essere quello di individuare ciò che non muore; ed ecco che qui c'è allora subito l'apertura a Dio: ciò che non muore, perché tutto qui, del creato, è sotto il segno del passare, del tempo: anche se durano oltre noi, però hanno tutte l'impronta: “Domani, dopodomani non ci saranno più”.  Anche le cose più stabili, le case, i monumenti, le pietre, tutto passa; non posso dire vero niente, perché domani muta. Anche le stesse scienze scoprono un progresso che domani sarà smentito, dopodomani muterà, così tutte le cose. Basta questo segno per frustrare la nostra vita e farci quindi sospirare un qualcosa di diverso, che non muti, proiettato quindi nello spirito.