«Nel
frattempo i discepoli lo pregavano dicendo: “Maestro, mangia”. Ma egli rispose loro:“Io
ho da mangiare un cibo che voi non conoscete” I discepoli si dicevano perciò
gli uni gli altri: “Che qualcuno gli abbia portato da mangiare?”». Gv 4 Vs 31-33
Primo tema.
Titolo: Dio si fa strada-Rapporto tra cibo e strada.
Argomenti: Articolo di un seguace di Charles de Foucauld. Il silenzio. Il motivo che
ci muove dev’essere Dio. La rivelazione
dell’incarnazione. Dio conversa con
noi. Vivere è possibilità di fare comunione con
la Realtà di Dio. Motivati da Dio. L’ambiguità della persona. Il principio del nostro vivere.
4/Settembre/1977
Introduzione di Luigi Bracco:
Leggo un articolo che ho trovato su un
quotidiano scritto da un seguace di Charles de Foucauld; riporto qualche
pensiero che può essere utile per ognuno di noi.
“Quando
Dio comincia decisamente a lavorare in un’anima generosa, nasce un bisogno insaziabile
di solitudine per dare a Dio per dare a Dio nuove possibilità di intimo lavorìo
spirituale. È prima di tutto un bisogno oggettivo: salvarsi dalla mediocrità e
dalla eresia dell’azione che sempre minacciano; che è poi il bisogno dell’anime
che in Dio solo trova appagamento. Ogni settimana fuggite per un giorno.
Ventiquattrore di deserto ogni settimana sono necessarie quando si è immersi in
una intensa attività. Alcune ore almeno ogni settimana sono necessarie per
tutti. La fuga nel deserto è il solo mezzo sicuro per far stare in piedi un
missionario e per farlo progredire spiritualmente. Se fosse possibile bisognerebbe trovarsi un
eremitaggio, un angolo sereno e tranquillo, specialmente quando dove si vive si
è continuamente disturbati. Un giorno alla settimana; è meglio un giorno fisso;
ma per legittimi motivi lo si può spostare nel giorno che preferite, con il
metodo che preferite. Siate fedeli come Padre de Foucauld all’amore al ritiro,
al silenzio, della vita interiore nascosta con la quale soltanto si operano
grandi cose per il regno di Dio. ricordati bene che il tempo che togli alle
anime o ai doveri non è rubare; tu torni così ricco se fai bene il ritiro che
darai molto di più e in modo molto più efficace e aggiungo, tu darai agli altri
in modo molto più sicuro, senza danni per te. Non mi fa paura un apostolo col
lavoro fin sui capelli che fugge per trovare Dio, mi fa paura chi non sente il
bisogno di fuggire. Temi una cosa sola: se non senti il bisogno del ritiro.
Pensieri tratti dalla conversazione sull’introduzione:
Eligio: Mi
chiedevo: fin dove il voler andare in ritiro è un fatto di sentimento, oppure è
un’esigenza oggettiva?
Luigi: Solo tu puoi saperlo
perché tutte le nostre operazione nel mondo sono ambigue. Ogni persona è
guidata da un’intenzione: qual è l’intenzione che ci guida? Qual è il motivo?
Per questo non possiamo mai giudicare gli altri, perché non conosciamo
l’intenzione degli altri. Uno può anche decidere di andare in ritiro per motivi
sbagliati. Ognuno è sempre guidato da un motivo interiore, abbiamo sempre dei
motivi che ci sospingono. Dio dialogando con noi, contesta questi nostri motivi
sbagliati, e contesterà fintanto che noi non arriveremo a mettere come motivo
puro Dio, che è il vero motivo. Siccome Dio è il Principio, deve essere in
nostro vero movente, Dio discende Lui a discutere i nostri motivi: “Voi mi
cercate per il pane che avete mangiato ieri. Non cercatemi per il pane che
passa, ma cercatemi per il pane che non passa”. Vedi che Dio viene a discutere
con noi i motivi per cui noi andiamo a Lui. Le folle lo stavano cercando dopo
la moltiplicazione dei pani; lo cercano, ma il Signore contesta questa ricerca:
“Voi mi cercate perché ieri vi ho dato da mangiare”. È valido il motivo di
ieri, ma oggi non è più valido il motivo per cui mi cercavate ieri. Per ieri
Lui dà da mangiare, ma oggi non bisogna più cercare il Signore per il pane di
ieri. Gesù è uno che cammina davanti a noi e ci porta, e confessa le nostre
intenzioni, ci porta fino ad avere quell’intenzione vera che coincide con Dio:
essendo Dio il Principio, deve essere il nostro Principio. Essendo Dio in noi
il motivo di tutto, deve essere in noi il motivo di tutto. Essendo Dio il
Padre, deve essere nostro Padre. Però questo lo sa solo la persona e Dio.
Infatti i discepoli chiedono: “Maestro, quando sei venuto qui?” e Lui non
risponde a quel “quando”, Lui coglie il motivo che li guida, Dio li conosce.
Dall’esterno potremmo dire: “Guarda come sono buoni: cercano il Signore”. Il
Signore invece smentisce quella ricerca. Dio non sta a guardare la nostra
azione esterna (ad es. la ricerca di Dio), Lui cerca il motivo per cui noi
andiamo a Lui e fintanto che questo motivo non è Lui, non è la Verità, Dio, che
ci aiuta, che è misericordioso, dialoga con noi, per purificare i nostri
motivi, fintanto che non arriviamo ad avere come motivo principale il Verbo
della Vita. Allora entriamo nel regno di Dio.
Eligio: Lo
capisco in relazione alla ricerca di Dio; ma in relazione alla ricerca del
silenzio, che è necessario per entrare in dialogo con Dio, la scelta resta meno
chiara. O uno è motivato nella ricerca di Dio, oppure in una
giornata di silenzio si rischia anche di annoiarsi.
Luigi: Certo; però il consiglio
dell’articolo sul deserto, è rivolto a chi ha interesse per Dio, si presuppone
l’interesse per Dio. Se non c’è interesse per Dio, se uno si vuole divertire,
si può consigliare di andare al “Raduno degli Alpini”. Si presuppone che ci sia
interesse per il Signore.
Rina: Si può anche consigliare
una giornata di riposo.
Luigi: Certo, se tu hai bisogno
di riposo di riequilibrarti, và pure a fare una giornata di
silenzio. Però non siamo al motivo sostanziale. Il Signore non ci obbliga a
fare una giornata di silenzio però discute con noi e ci dice: “Guarda che non è
il silenzio di per sé che possa riequilibrare il tuo interiore”. Infatti nel
silenzio noi dobbiamo orientarci alla ricerca di Dio perché solo Dio stabilirà
il punto fondamentale di sicurezza e di equilibrio della nostra vita interiore.
Per cui, il silenzio è premessa, ma bisogna che il motivo che mi porta al
silenzio sia Dio. Soltanto se in me c’è la passione per Dio, quindi devo aver
capito l’importanza della ricerca di Dio, allora comincerò a cercare quei
mezzi, e il silenzio è un mezzo, per avvicinarmi sempre di più al Signore. Come
i Sacramenti sono un mezzo, un aiuto, per avvicinarmi di più al Signore. Ogni
mezzo presuppone sempre un fine: ed è questo il motivo determinante, quello che
ci muove. “Per quale motivo tu vai a fare il deserto? Per quale motivo ti
raccogli? Per quale motivo ti rechi in tale luogo? Per quale motivo vai in
chiesa?”. Ecco è determinante il motivo. Fintanto che questo motivo in noi non
è Dio, cioè se non siamo sufficientemente convinti che tutto dipende da Dio,
dobbiamo imparare ad essere motivati da Dio, dobbiamo imparare a vivere nel
regno dello Spirito, noi siamo soggetti a questa contestazione da parte di Dio.
Per cui vado in quel luogo ma mi accorgo che non mi soddisfa, mi stanco, mi annoio, ho bisogno
di altro, è il Signore che mi contesta e mi dice: “Guarda che non è sufficiente
questa motivazione per raggiungere quell’equilibrio, quella sicurezza
interiore, per ottenere quella pace, quella luce che tu vai cercando. Per poter
arrivare a quella meta devi capire che devi conoscere il tuo Signore. Perché è
solo Dio il Principio della luce, dell’equilibrio, della pace interiore”. A
poco per volta Dio forma una selezione in noi; tutte le nostre scelte sono
sempre ambigue perché l’elemento motivante le nostre scelte è sempre personale,
è interiore: nessuno può vederlo dall’esterno. Se io mangio un pezzo di pane;
coloro che mi osservano possono dire: “Luigi mangia un pezzo di pane perché ha
fame”; un altro può dire: “Luigi mangia un pezzo di pane per far piacere ad
Eligio”. Quante volte mangiamo per far piacere agli altri e non perché abbiamo
fame. Ecco, vedi che dall’esterno le azioni sono sempre ambigue e soltanto la
persona che la fa lo sa, perché noi non possiamo fare niente se non siamo
motivati. Quindi quando io agisco, io solo so per quale motivo vengo
all’incontro, per quale motivo vado in chiesa, per quale motivo mangio un pezzo
di pane o non lo mangio. Lo so solo io e il Signore che mi osserva nell’intimo.
Per cui anche se un apparentemente a parole o a fatti, si comporta
positivamente oppure si comporta negativamente, può darsi che intimamente sia
motivato dal Pensiero di Dio, oppure da pensieri molto, molto umani. È Dio solo
che conosce questo. Allora Dio dà le lezioni personali per salvare. Fintanto
che noi non arriviamo a mettere nella nostra vita, per grazia di Dio,
l’elemento motivante: Dio, lo Spirito di Dio, “Faccio così perché Dio è così”,
“Perché Dio è il Principio mi lascio motivare da Dio, dal suo Spirito e non da
altro”, non entriamo nel regno di Dio e non lo vediamo. Perché in noi abbiamo
altri motivi. Ecco, Dio dialoga sui motivi. Bisogna stare attenti ai motivi che
ci muovono e questo ci conduce alle origini, al Principio: “In principio era il
Verbo”. Allora, se “In principio era il Verbo”, in principio delle tue azioni,
metti il Figlio di Dio, metti la Parola di Dio, non mettere le parole di
uomini, non mettere le parole del mondo, non mettere il tuo corpo, non mettere
i tuoi bisogni, metti la Parola di Dio, perché quella ti libera, quella ti dà
vita. Quindi perché Dio ci dice: “In principio era il Verbo”? perché ce lo
dice? Affinchè ognuno di noi metta nel principio delle sue decisioni, delle sue
scelte, il Verbo e non altro. Fintanto che noi siamo motivati da altro, Dio
discute, analizza e mi dice: “Guarda che il motivo che ti ha condotto qui, non
è quello autentico”. Ce lo fa capire come lo fece capire alla folla che Lo
stava cercando. Per cui non basta cercare. Noi qui abbiamo una folla che cerca
il Signore e c’è Gesù che contesta la loro ricerca: “Voi mi cercate per il
mangiare. Non cercatemi per il mangiare, cercatemi per il pane che dura in
eterno”. Vedi che sposta i motivi?
Pietro e gli altri vanno a pescare e Gesù dice loro: “Vi farò pescatori di
uomini”. Gesù fa degli spostamenti mantenendo una certa affinità in modo che la
creatura capisca. Anche perché se parlasse di altro la creatura non capirebbe.
Nelle sue parole c’è una certa affinità: pane con pane, pesce con pesce.
Pinuccia: È
consolante che Dio ci contesti perché noi stessi a volte non sappiamo il motivo
vero che ci muove.
Luigi: Dio non è che ci aspetta
sulla vetta, Dio si fa strada per i nostri passi. Dobbiamo sempre tenere
presente questo: che la strada non è strada in quanto parte da un certo punto,
ma in quanto parte da me, dalla situazione in cui mi trovo. Per cui la strada
di Dio parte dall’abito che fa Eligio, dai suoi vestiti, dalle sue stoffe;
parte dalla tua farmacia; parte dai tuoi travagli; parte dal punto in cui
ognuno di noi si trova. E quella è strada. La strada è strada in quanto
congiunge un punto in cui uno si trova, con la meta alla quale si deve
arrivare, altrimenti non è più strada. Parte dal nostro errore, dal nostro
sbaglio, altrimenti non è più strada. Ora, Dio non è soltanto la meta, non è
soltanto la vetta, e ci aspetta là, Dio è anche strada nostra. Il chè vuol dire
che parte dal punto da cui uno si trova. “La strada che conduce al deserto, la
città santa, che sale”; il deserto siamo noi. La strada parte dalla nostra
notte. Dio si incarna proprio per venire a discutere i nostri motivi; non per
giudicarci, non per condannarci. Tutte le lezioni di Dio non sono per
condannarci ma sono per salvarci. D’altronde Colui che ci ha creati dal niente,
ha rivelato nella sua incarnazione l’amore per noi: e questo amore continua. Noi
non siamo delle creature che debbono arrivare ad una meta altissima e il
Signore sta sulla cima a guardare: “Se ce la fa bene; se non ce la fa, peggio
per lui”. No! Dio si fa compagno nostro, amico nostro, ci conforta, ci consola,
certe volte ci rimprovera ma si fa strada così noi sappiamo dove mettere i
passi.
Eligio: Se è
strada è anche punto di orientamento. In qualunque punto mi trovo di peccato,
mi grazia. Per cui non potrò mai dire: “Non sapevo” nelle scelte che ho fatto.
Luigi: Non potremo mai dirlo,
perché Dio si fa illuminante per la situazione in cui mi trovo. Di fronte al
Signore non potremo dire: “Signore, ma io non sapevo”. “Tu sapevi perché Io ero
dentro di te”. Costantemente noi sappiamo.
Eligio: Nelle
scelte che io faccio non sono mai sicuro di niente.
Luigi: Ma vedi, noi non dobbiamo
mai servirci di questa insicurezza; noi davanti alla luce di Dio capiremo che
Lui ci parlava in tutte le cose, tutti i giorni, e forse ci lascia anche con un
margine di dubbio però dobbiamo tenere presente che la certezza, la sicurezza,
la luce, la si ha nella meta. Noi non ci conosciamo mai a fondo, anche nei
nostri motivi; siamo sempre motivati però c’è una tale confusione dentro di
noi, c’è un caos. Più ci avviciniamo a Dio, siccome la luce è Dio, più ci avviciniamo
alla luce, a Dio, più capiamo anche noi stessi, capiamo chi è che ci guida,
capiamo anche i nostri peccati. Più ci avviciniamo a Dio, di fronte alla luce
di Dio noi scopriamo quello che siamo stati noi, ad esempio, scopriamo tutte le
nostre colpe. Prima magari credevamo di essere giusti. A volte sentiamo dire:
“Ma non so cosa vuole Dio da me: non mai ammazzato nessuno”. “Signore ti
ringrazio perché sono giusto” e invece davanti a Dio sono una povera creatura
che non valeva niente, mi sono esaltato, mi sono gonfiato. Lontano da Dio noi
non ci conosciamo, solo in Dio noi ci conosciamo. Ecco perché noi dobbiamo
cercare molto Dio, a costo di soffrire la fame: “Cercate prima di tutto Dio
perché Dio è la vostra luce”. Non solo conoscerete Dio ma comincerete a
conoscere anche voi stessi, a capire anche voi stessi, cioè quello che vi
guida, e quello che non vi guida; e comincerete anche a subire il travaglio
della purificazione che Dio manda proprio perché vi credete giusti mentre siete infinitamente lontani dalla
giustizia e dalla verità. “È solo alla tua luce che io vedrò la luce” dice
Sant’Agostino. L’importante è avvicinarci sempre di più alla Sorgente, perché
dalla Sorgente cominciamo a vedere bene. In lontananza è logico che uno si
trovi nell’incertezza però quest’incertezza è
una lezione di Dio che mi dice: “Sei lontano da Me per cui non puoi
vedere con certezza la tua strada”. Vedi che Dio si fa strada? Perché
nell’incertezza mi rivela il bisogno essenziale che ho, perché la certezza ce
l’ho solo in Dio. È il Signore! Perché se Lui non mi chiamasse, io non me ne
accorgerei. Con questo il Signore mi dice: “Non darti da fare per risolvere
questo problema; cerca Me; il problema si risolverà; sono Io che lo risolverò”.
Eligio:
Nell’incertezza Dio dice: “Aspetta Me”.
Luigi: Non soltanto: “aspetta”
ma: “Cerca Me perché è in Me la soluzione del tuo problema”. Comunque anche se
noi sbagliamo, Lui i nostri sbagli, li trasforma in passi di strada. Dio usa i
doppi comandi con noi. I doppi comandi sono sempre per risvegliarci
all’essenziale. All’essenziale non arriviamo senza di noi. Dio ci corregge per
formare in noi la convinzione di mettere Lui prima di tutto. Per questo non mi
devo preoccupare di risolvere il mio problema, qualunque esso sia. Devo
risolverlo? Magari lo risolvo con gli occhi chiusi. Come faceva San Francesco:
“Tengo gli occhi chiusi: che io vada a destra o vada a sinistra ci pensa il
Signore a correggermi”. L’importante è che io capisca che se mi trovo
nell’incertezza è perché ho bisogno di salire. Direi: “Non pensare al tuo
problema, risolvilo come puoi, ma guarda in Alto”. Va in Alto, e più vai in
Alto più il problema si risolverà perché il problema è Lui che me lo crea. Se
Dio mi crea un problema è perché io vada in Alto. Più cerco di risolvere il mio
problema orizzontalmente, più Dio me lo complica perché mi vuol far capire: “Te
lo complico perché voglio che tu salga più in Alto, non devi cercare di
risolverlo in basso”. Tutto il Signore fa per portarci in alto e ci dice:
“Svegliati, che il tempo passa. Ora è tempo per conoscere il tuo Signore, poi
sarà troppo tardi”. Solo in Dio troverai la certezza, la sicurezza: “Solo in Te
la mia salvezza”, “Dio è la mia rocca”, “Dio è la mia forza”, ci fanno pregare
i Salmi. Dio ci dirà: “Quante volte l’hai ripetuto nei Salmi. Ero Io che
parlavo con te e ti facevo dire: Dio è la mia sicurezza. E tu la tua sicurezza
dove la ponevi? Dove la cercavi?”. Dio si fa strada. Come Dio si fa strada?
Facendomi dire quello che Lui è. Ma io ero così sciocco che dicevo: “Dio è la
mia sicurezza” e poi andavo a cercarla altrove. Ecco, di fronte alla sua luce
capirò che era Lui che mi parlava. Ma lontano da Lui non me ne rendevo conto.
Eligio: In teoria
lo capisco ma è in pratica che trovo difficoltà.
Luigi: Teoria vuol dire
contemplazione degli argomenti in Dio, quindi quando noi ci raccogliamo
nell’incontro cosa facciamo? Lasciamo tutto, ci fermiamo sulla parola di Dio,
su un argomento e lo proiettiamo in Dio; in questo modo dimentichiamo il nostro
mondo. Allora lì vediamo. San Giacomo dice: “Quando ti specchi, guardi, vedi
come sei; poi te ne vai e te ne dimentichi”; ciò che tu hai visto in teoria, è
la vera pratica e quella che invece tu chiami pratica, è astrazione, è teoria.
Allora tu dimentichi quello che hai visto. Quando vedi, dovresti restare,
permanere, vivere quello che hai visto perché quella è la Realtà. Quell’altra
in cui ti trovi non è la realtà, è da assorbire in questa Realtà. Quando ti
raccogli in Dio vedi come dovrebbe essere. Quando il Signore fa vedere a Mosè
l’altare, il Tabernacolo glielo fa vedere nel cielo: gli fa vedere tutto come
deve essere. E poi gli dice: “Ti raccomando, adesso che scendiamo in terra,
devi fare fedelmente in terra, il Tempio come te l’ho fatto vedere nel cielo”.
Quindi noi abbiamo la possibilità di isolarci transitoriamente nel cielo, di
contemplare le cose come dovrebbero essere in Dio, la vita come dovrebbe essere
in Dio. Abbiamo questa possibilità perché c’è questo punto verginale in noi,
portiamo Dio in noi. E in Dio cosa vediamo? Lo diciamo nel “Padre nostro”: “Sia
fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. Se non avessimo la
possibilità di vederlo in cielo, non potremmo dire: “Fallo in terra”. Quando
siamo raccolti in Dio vediamo le cose “come in cielo”, come dovrebbero essere e
il Signore ci dice: “Adesso mi raccomando, in terra falle nello stesso modo in
cui le hai viste in cielo”. Non scostarti dall’originale. Cioè: “Hai
contemplato nello specchio quello che sei? Non dimenticarlo. Cammina con quella
realtà presente, vivi in quello”. Invece noi viviamo a compartimenti stagni; ci
fermiamo in raccoglimento un’ora, vediamo le cose come realmente sono, da Dio e
poi facciamo un salto di qualità, ci troviamo in altro ambiente e non
colleghiamo le due situazioni. È lì che noi astraiamo. Noi diciamo: “Qui in
terra è la realtà”. No! Dovremmo dire: “Questa è astrazione mia!” perché sono
lontano da Dio. La vera Realtà è Dio, quello che io contemplavo nel silenzio.
Ora, Dio ogni tanto ci dà la grazia di poterci fermare nel silenzio a
contemplare, e quello è sollecitazione sua, per richiamarci, per metterci in
movimento, per trasformare la nostra terra, per dirci: “Fai sulla terra quello
che hai visto nello Spirito, nel cielo”.
Pinuccia: Abbiamo
letto che San Gregorio Magno soffre perché non riesce a portare il cielo sulla
sua terra, ed era un santo.
Luigi: Certo, la cosa non è
facile, d’altronde se Gesù è morto sulla croce per insegnare a noi la strada,
vuol dire che la cosa non è facile, ma è possibile. Non dire mai: “È
impossibile” a Dio perché ti troncheresti la strada. Non dobbiamo dire: “Il
tale santo non è riuscito per cui figurati se ci riesco io”. Non dire mai
questo! Non preoccuparti. Sono tutte lezioni di Dio da tener presente. Gesù ci
dice: “Sforzati tu di entrare” se ci dice di sforzarci non è perché la porta
sia chiusa. Se il Signore ci esorta di sforzarci è perché richiede il nostro
impegno, e nello stesso tempo ci dice che è possibile varcare la soglia. Dio ci
ama, questo è poco ma sicuro, perché nessuno l’ha obbligato a crearci. Quindi
l’Amore non inganna, non ci dice di sforzarci se la porta non fosse valicabile.
Se ci dice di sforzarci è perché la porta può essere valicata. Soltanto che ci
vuole tutto il nostro impegno. Per cui nulla è impossibile presso Dio: si può entrare
nel regno di Dio. Lui ci guida, ci sostiene, si fa strada per noi affinché noi
entriamo però ci dice: “Sforzati di entrare”. Quindi: “Metticela tutta” perché
Dio ci sovrasta sempre. Siamo noi che
siamo in difetto; per cui per quanto ce la mettiamo Dio ci offre sempre di più
di quello che ci meritiamo di ottenere con tutti i nostri sforzi. Per quanto
noi ci impegniamo, Dio sovrabbonda sempre, di luce, di grazia, di misericordia.
Però Dio chiede uno sforzo ad ognuno di noi; e noi non dobbiamo mai limitare la
sua richiesta dicendo: “Questo per me è impossibile”, perché il tale santo, la
tale figura non ce l’ha fatta. Tu non puoi sapere: quella è una lezione per
noi; una lezione di umiliazione, lo sa il Signore. Da parte tua: sforzati di
entrare.
Eligio: Il
problema è mi distraggo da questa strada.
Luigi: Dio non ha solo detto: “Io
sono la Verità”, ma ha detto: “Io sono la Verità, Io sono la via”, Lui stesso
l’ha dichiarato apertamente. Gesù è via in quanto mi collega con la meta.
Altrimenti avrebbe detto: “Io sono via per coloro che arrivano ad alta quota;
ma dalla vetta alla bassa quota, non sono più via”. No, Lui non ha fatto questa
distinzione. Lui ha detto: “Io sono la Verità”, quindi la Verità è a quota
altissima; però dice anche: “Io sono via” e la via è quella che collega. Ma chi
collega? Chi non è ancora arrivato alla Verità con la Verità, chi non è alla
Verità. Il peccatore non è alla Verità.
Eligio: Quindi
non posso mai dire che non so la strada.
Luigi: No, perché Dio la opera
sempre adeguata al mio passo. Io devo stare attento perché certamente arriverà
un giorno in cui io mi troverò davanti a Lui e dovrò constatare che Lui mi
aveva costruito una strada, forse anche un’autostrada proprio sulla soglia di
casa mia, che partiva proprio dai miei gradini. E io non l’ho vista. Era
un’autostrada e non l’ho vista. Non dovevo neanche andare al casello, perché
parte da casa mia. Gesù ci dice: “Stai attento perché Io sono tua strada: stai
attento a Me”. D’altronde tutta l’opera di Dio è finalizzata alla nostra
salvezza per cui deve collegare i due estremi: la Verità con la creatura.
Quindi il luogo della partenza è dove noi ci troviamo. Quindi in ogni
situazione abbiamo Dio “a portata di soglia”.
Pinuccia: Questo
vuol dire che abbiamo sempre la possibilità di pensare a Lui, di collegarmi con
Lui.
Luigi: Si, quindi se cammino la
grazia è Sua, perché Dio si è fatto strada per i miei passi; se non cammino la
colpa è mia perché rifiuto la strada, cioè rifiuto di ricordarmi di Lui. Di
ricordarmi di Lui e di essere attento alle sue parole, alle sue lezioni perché
è attraverso le sue parole che Lui si fa strada. Perché le sue parole mi
parlano nella situazione in cui io mi trovo mi fanno fare sempre un piccolo
passo. E quand’è che faccio un piccolo passo? Quando supero qualcosa di me,
qualcosa che ha per motivo il mio io. E comincio a mettere qualche cosa che ha
per motivo Dio; ecco un piccolo passo. Il motivo è Dio perché la strada è fatta
“di Dio” non fatta di io. Non dire: “Risolvo questo problema e poi mi occuperò di
Dio”. No! In questo istante, mettiti subito in verticale, metti il Pensiero di
Dio, metti la Parola di Dio, metti qualche cosa che sia motivata da Dio: quello
ti fa camminare. Ora, se sto attento, Dio mi parla personalmente con le sue
lezioni. Possono essere lezioni di incertezza, di confusione, ma possono anche
essere lezioni di gioia perché non è che Dio operi sempre con il bastone. Anzi,
sono più le lezioni di gioia, di misericordia, di perdono, di serenità, di
forza perché Lui sa che domani sarò tribolato; per cui oggi magari mi riempie
di gioia, di consolazione, mi dà una luce grande che mi sosterrà domani nel
giorno della prova. Dio interviene sempre e interviene su quel piano in cui io
posso capire qualche cosa; non interviene su un piano del quale non capisco
niente. Ad esempio mi dice: “Non affannarti per il mangiare”.
Eligio: C’è il
rischio che uno cerchi il silenzio per starsene tranquillo.
Luigi: Si può anche cercare un
posto tranquillo per avere più disponibilità per stare con Dio. Questo deve essere
fatto motivante: il bisogno di una maggiore disponibilità per Dio. Vedi che a
monte abbiamo degli elementi motivanti le nostre scelte? Che cos’è che mi fa
scegliere un’oasi di pace? Perché in fondo, in fondo, sento il bisogno di
raccogliere la mia anima. Ecco che mi trovo in un luogo di silenzio. Ma cos’è
che ti ha condotto lì? Lì per lì magari non sono capace a scegliere allora,
siccome sono attratto da Dio, invoco, sospiro la liberazione. Altrimenti non lo
sospirerei quel momento di silenzio, ma cercherei altro.
Rina: Però ci sono le
tribolazioni che vengono dalle preoccupazioni.
Luigi: Le tribolazioni ci sono
fintanto che non arriviamo alla contemplazione, al vedere tutto contemplato in
Dio. Perché più ci avviciniamo a Dio e più gustiamo questa pace fino ad
arrivare al punto che all’esterno subiamo la tribolazione ma nell’intimo
abbiamo la pace. Noi vediamo degli ammalati che fuori sono tribolati che dentro
hanno una grande pace. Perché la vera pace è solo presso Dio. Quindi la
tribolazione è una sollecitazione da parte di Dio; anche la tribolazione è
strada che Dio fa per noi, per i nostri passi. Nella tribolazione sto male e
allora cerco di uscirne: è Dio che si fa strada per i miei passi. Per cui Dio
si fa malattia, si fa dolore, si fa disgrazia per i miei passi: è Dio. È tutto
Dio. Però Dio non mi manda la tribolazione per dannarmi, ma per crearmi la
nostalgia di Lui. Ad un certo momento dico: “Ah, se potessi uscire da questa
situazione!”. È Dio. Vedi che è Dio che crea la nostalgia? La nostalgia di un
luogo di pace, la nostalgia della liberazione. Nella schiavitù è Dio che si fa
strada per i miei passi, per farmi invocare la liberazione. E intanto,
invocando la liberazione, mi rivolgo a Dio: ecco l’orientamento.
Rina: Quando stai male apprezzi
maggiormente il bene.
Luigi: Quante volte abbiamo detto
che noi diventiamo capaci di gustare, di possedere, attraverso la fame: la fame
è elevazione. È Dio che si fa strada per noi. Ad un certo momento ci troviamo a
sospirare tanto l’incontro con il Signore, che quando lo incontriamo siamo
capaci di gustarlo. Però se Dio non si fosse fatto strada formando in noi la
fame, il desiderio, la tribolazione, non potremo gustarci l’incontro. Allora
diremo: “Signore ti ringrazio perché mi hai fatto tribolare, è vero, però così
facendo mi hai dato la possibilità di gustarti adesso”. Vedi che Dio trasforma
tutti i nostri mali in bene?
Pinuccia: Dio si fa
strada in quanto incarna ogni situazione.
Luigi: Tutto quello che succede è
Lui.
Pinuccia: Però la
sua opera è distinta dalla sua persona.
Luigi: No, perché Dio dice: “Io
sono in tutto”; Lui è in tutto. Tutto è opera Sua per noi personalmente.
Attraverso tutte queste opere è Lui che viene a trovarmi a casa mia: “Ero Io;
il malato ero Io; il povero ero Io”.
Eligio: E se mi trovo
in un pasticcio.
Luigi: Dio dice: “Il pasticcio
ero Io”. Tutto quello che accade nella nostra vita è regno di Dio; sia che
accada fuori, sia che accada nel mio corpo, sia che accada nella mia testa,
tutto è opera di Dio. “Ero Io che ti ho fatto impazzire, per salvarti”. Tutto
quello che accade è opera di Dio. Tutto! Tutto! Cosa vuol dire quel “tutto”?
Tutto è strada di Dio per i nostri passi. Non è strada nostra. Per cui noi
dovremo ringraziare Dio di tutto, perché se ci salviamo, è stata tutta opera sua.
Il nostro grazie è solo per Lui; non è per noi o per i nostri meriti. Il nostro
grazie è solo per Lui che si è fatto strada per i nostri passi. Per noi Dio si
è fatto notte mentre Lui è Luce. Lui che è Spirito, ad un certo momento, si fa
materia. È un assurdo! Eppure si veste di questo assurdo. È assurdo che il
Signore si metta a lavare i piedi a Pietro. È sempre lo stesso concetto: di si
fa strada per l’uomo. Forse che Dio ha bisogno di farsi strada? No! Dio è la
Meta Altissima ma per amore si fa strada per noi; e farsi strada vuol dire che
si fa tutto di noi, cioè si fa tutto situazione nostra. Noi dobbiamo fare
attenzione perché le nostre situazioni sono movimento; quindi noi le dobbiamo
accettare dalle mani di Dio; perché non è importante la situazione di per sé,
ma l’importante è tener presente che la situazione è opera di Dio. Se non
accettiamo la situazione, ci adoperiamo per modificarla, magari adottando dei
mezzi umani. No, io devo vedere la mano di Dio, devo ricordarmi di Dio. Ogni
situazione che mi capita è sempre opera di Dio, è sempre presenza di Dio per
cui io devo vedere Lui, non devo vedere il mio io. Devo ricordarmi di Dio, devo
sapere che c’è Dio. Se io so che c’è Lui, scopro la dinamica della situazione:
la situazione diventa movimento. La situazione non è statica, mi mette in
movimento, è strada, mi fa camminare. Se mi ricordo di Lui. Perché Dio si fa
strada ma è il suo Pensiero che è movimento. Se io invece penso a me e
dimentico Lui, la mia strada diventa un pantano; mi fermo, mi blocco, diventa
come le sabbie mobili. Se mi dimentico di Lui io sprofondo. Allora è importante
sapere che Lui si fa strada, per ricordarmi che è Lui in ogni situazione in cui
io mi trovo. E quindi che non sono solo, che non sono solo mai! Se tu pensi
Lui, ti accorgi che la sua strada è un “tapis roulant”, è una scala mobile che
mi fa correre, che mi fa andare avanti. Se io penso a me, allora tutto si
ferma. Pensa a Dio e ti accorgi che è Lui che ti porta avanti: è il Pensiero di
Dio; lì trovi la Presenza. Per questo è importante sapere che Dio si fa strada,
perché se so che è Dio che si fa strada in ogni situazione penso Dio. Sapendo
che è Dio, ricordandomi di Dio, questo mi mette in movimento, in movimento
buono, verso lo Spirito, mi mantiene in verticale.
Eligio: Quindi in
ogni situazione penso a Gesù: è l’Incarnazione.
Luigi: Si, ma l’Incarnazione cosa
mi fa capire? Perché l’Incarnazione è rivelazione, che quello che avviene nella mia vita pratica.
Siccome nel peccato noi siamo portati a dimenticare Dio e a pensare al nostro
io, Dio si fa carne, in Cristo, per liberarmi. Non è che prima di Cristo le
cose avvenissero in modo diverso. Prima di Cristo Dio trattava con gli uomini
allo stesso modo perché Dio vuole salvare tutti: da Adamo all’uomo dei nostri
giorni. Dio si faceva strada anche prima di Cristo. Con Cristo noi abbiamo la
rivelazione di come Dio opera con noi. Se io conosco Cristo so che
nell’incarnazione c’è la rivelazione di tutto quello che avviene nella mia
vita. Gesù me lo dice apertamente: “Io sono la strada”. Mi fa capire
l’Incarnazione, che è questo contatto tra Dio che senza venir meno di essere
Dio, diventa uomo, diventa me stesso, come me, incarna tutte le situazioni di
peccato in cui io mi posso venire a trovare. Però se io lo guardo, Lui mi mette
in movimento verso l’essenziale. Se io non lo guardo, resto nel mio pantano. Dio scende e prende contatto con il
punto in cui io mi trovo: ma se io mi ricordo di Dio. Cosa vuol dire ricordarmi
di Dio? Vuol dire che la situazione in cui oggi, in questo istante mi trovo, è
voluta da Dio per farsi strada per i miei passi, perché condurmi verso la
Verità, per farmi conoscere Lui, che è vita eterna. Quindi in ogni istante c’è
una grazia, e una grazia infinita di Dio, allora qui torniamo a parlare dell’universo.
In ogni punto dell’universo, c’è tutto l’universo. Quindi in ogni punto della
mia vita c’è tutto Dio, c’è tutta grazia di Dio. Non è che la grazia di Dio sia
là, in un altro luogo. In ogni punto del tempo, in ogni istante, c’è tutta la
grazia di Dio. Per cui non devo sperare che domani. No! Devo stare attento in
questo istante, perché in questo istante c’è tutta la grazia per trarre da me
il meglio della mia anima. Il meglio da quel punto in cui mi trovo, dalla
miseria in cui mi trovo. Però da parte di Dio c’è tutta la grazia. Eligio,
leggi il versetto che approfondiremo oggi?
Eligio: Lettura
del Vangelo di San Giovanni capitolo 4,31-35: “Nel frattempo i discepoli lo pregavano dicendo: “Maestro, mangia”. Ma
egli rispose loro: “Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”. I
discepoli si dicevano l’un l’altro: “Che qualcuno gli abbia portato da
mangiare?”. Gesù disse: “Mio nutrimento è fare la volontà di Colui che mi ha
mandato, e portare a termine l’opera sua. Non dite voi: ancora quattro mesi ed ecco
venire il raccolto? Ebbene, io ve lo dico: “Alzate gli occhi e guardate i campi
che già biancheggiano per la messe”.
Luigi: Vedi come Gesù si fa
strada con gli apostoli? Loro gli dicono: “Maestro, mangia” e guarda Lui come
si fa strada con gli apostoli. E come si fa strada? Dicendo loro: “Io ho un
pane diverso; Io ho un cibo diverso”. Come si fa strada con la samaritana; lei
va al pozzo per prendere l’acqua e Lui le chiede: “Dammi da bere”: stabilisce
un contatto. Fino a portarla alla rivelazione: “Sono io che parlo con te”. Se
in ogni situazione in cui ci troviamo, se ci ricordiamo di Dio, Dio conversa
con noi. Con-versare vuol dire che ci fa vertere con Sé verso la vetta. Tutto
il nostro pianto scaturirà da questo: “Ero Io che parlavo con te, tutti i giorni,
e tu non l’hai capito”. Colui che ci crea, ci crea parlando. Un giorno ci fa
esistere e poi ci crea parlandoci personalmente.
Pinuccia: Però la
samaritana non sapeva che stava conversando con Dio, eppure Dio l’ha condotta
alla rivelazione; noi invece abbiamo la possibilità di ricordarci che è Dio che
sta parlando con noi.
Luigi: Quello è vero; lei
apparentemente, perché non possiamo giudicare, era una donna di peccato però
vediamo dove Dio l’ha condotta. Però era attratta da Dio, sotto sotto aveva il problema
di Dio. Non è necessario che ci sia la coscienza attuale di Dio, perché è
sufficiente ascoltare, seguire. Infatti lei sta, si lascia portare da Gesù, non
scappa via. In quanto noi ci lasciamo portare da Gesù, significa che in noi c’è
un’apertura. Quando Gesù dice: “Io ero malato, ero povero, ero carcerato”, gli
dicono: “Quando? Noi non sapevamo che eri tu”. In tutto Lui arriva a me, però
io non devo essere chiuso nel mio rifiuto. Quando scoprirò che era Lui in
tutto, se mi sarò lasciato guidare, lo ringrazierò ma piangerò se avrò
rifiutato di interessarmi di ciò che Lui mi proponeva. Perché Lui mi propone
cose che a volte sembrano assurde: “Se tu conoscessi il dono di Dio, e chi è
colui che ti dice: dammi da bere”. Lei va al pozzo cercando acqua e Gesù le
propone un’altra acqua; i discepoli gli parlano di un cibo e Lui parla di un
altro cibo; Nicodemo parla di una vita e Gesù gli parla di un’altra vita. Non
c’è bisogno di sapere chi è Lui, quando arriveremo alla meta sapremo chi è Lui,
ma l’importante è non pestare i piedi non ribellarsi alla sua proposta. Se io
non so chi è colui che mi parla ma aderisco, vuol dire che sono aperto a Dio.
Perché tutto quello che non è il mio io, è Altro. In quanto io ho rispetto per
la vita, ho rispetto per l’Altro perché il mio io tende a mangiare tutto in sé.
Mangiare vuol dire assimilare tutto; mi faccio centro del mio mondo per cui
divento tutto mondo. Qui non scopro Dio, scopro il mio io e rifiuto l’Altro. Ma
se io sto attento a chi mi sta parlando, all’avvenimento che mi sta accadendo,
perché Dio mi sta dicendo qualche cosa, quello mi porta: è il tapis roulant. In
questo versetto è evidentissimo come Gesù si fa strada per i suoi discepoli
quando gli propongono un argomento umano: “Maestro, mangia”, e Lui con le sue
parole li fa salire, li fa salire.
Eligio: La
samaritana ha una grande disponibilità interiore; infatti quando Gesù le parla
lascia tutto, si ferma a parlare con Lui. Invece noi abbiamo sempre fretta.
Luigi: Si, notiamo come sia Lui
che conduce parlando, con-versa.
Conversare vuol dire convergere insieme verso un fine: arrivare al compimento
di un pensiero. Quindi si parte da luoghi diversi, si con-versa, si verte verso
un unico pensiero. Si ascende; l’ascensione è camminare insieme verso una certa
meta per poter vedere il panorama dall’alto. Questo è conversare: Dio conversa
con noi per portarci a vedere il suo Pensiero. La regola della conversazione è
di essere disponibili all’ascolto; quindi non cercare la propria figura, non
disprezzare l’altro, ascoltare il Maestro che parla. Se teniamo presente che
l’anima della conversazione è sempre Dio, che è Lui che conduce, facciamo
attenzione a Lui, perché in tutto c’è Lui; anche se c’è un bambino che parla,
anche in una storiella sciocca, c’è una sapienza infinita. Colui che racconta
la storiella forse non lo sa, ma se tengo presente di, c’è una sapienza
infinita, e quel tale mi sta comunicando una grande lezione che mi converge
verso la Verità.
Eligio: Ci sono
anche tante cose che non capiamo.
Luigi: Anche le cose non capite
sono lezioni. L’anima è sempre la fedeltà: “Adesso non capisci, capirai dopo.
Però se non lasci fare non prenderai parte con me”. Anzi, a te può sembrare
assurdo che il tuo Maestro ti debba lavare i piedi, ma tu lascia fare, perché
se non lasci fare non potrai prendere partecon Lui. La condizione è questa:
lascia fare perché è Dio che conduce e quando Uno mi conduce l’importante è che
io mi lasci condurre. Il rischio è quello di non volere perché “È assurdo, è
impossibile che il Maestro mi lavi i piedi”, allora non mi lascio fare. Dio,
attraverso la mia cecità, mi conduce a toccare con mano la mia povertà. E
quando alla sera sono stanco, sfinito, disorientato, questa lezione di povertà
è Dio che mi conduce; mi conduce verso il mio niente. Ma più arrivo a
constatare il mio niente e più mi avvicino al “Tutto di Lui”. Per cui quando tu
credi di aver toccato il fondo della disperazione, dell’annullamento, ti trovi
a tu per tu con Dio. ti trovi all’alba del grande giorno, del Suo sorgere. Ho
detto molte volte che se noi ci convincessimo del nostro niente, vedremo Dio
perché Dio è presente; quello che offusca la nostra capacità visiva è il nostro
io altrimenti noi vedremo Dio, perché Dio sta parlando con noi e noi non lo
vediamo. Il poter riconoscere che tutto è opera sua, questo ti riempie di
gioia, di vita. Io dovrei essere pieno di gioia nel dire che tutto è opera del
mio io. Invece no! Sono soddisfatto quando posso dire che tutto è opera di Dio,
che è tutto gloria di Dio. Si comincia ad intuire perché in Paradiso nessuno
invidia l’altro, il fiorellino piccolo non invidia il girasole perché tutto è
opera di Dio. Tutta la gioia della creatura non sta nell’esaltare se stessa ma
sta nell’esaltare Dio.
Eligio: Pensavo a
quanta tensione c’è nel passare dal pensiero dell’io a Dio.
Luigi: È la fatica di cui parla
Gesù perché noi siamo diventati figli delle nostre opere, quindi del nostro io
per cui per quella strada che doveva essere facile è diventata molto difficile,
la porta si è fatta molto stretta perché ci troviamo già inglobati in un mondo
corrotto dal peccato. In Adamo, prima del peccato, la strada per arrivare a Dio
era molto facile, perché l’io riferiva tutte le cose a Dio che è luce. Noi
riferiamo invece tutte le cose al nostro io che è tenebra, non giustifica. Noi
non diremo mai: “Faccio questo per soddisfare il mio io”, mettiamo il
paravento, ma diremo: “Faccio questo per dovere; perché tutti fanno così; per
la figura”. Quando giustifico le cose in Dio allora vedo bene, capisco, sono in
pace perché l’uomo è fatto per capire. Camminando sulla strada di Dio, c’è la
fatica di ricordarsi di Dio, poi man mano che si cammina diventa più facile, ma
soprattutto all’inizio c’è la crisi. Gesù ci manda in crisi perché contesta le
nostre sicurezze: “Chi viene dietro di me e non odia suo padre e sua madre,
addirittura la sua vita non è degno di me”.
Pinuccia: Deve
crollare tutto il nostro mondo.
Luigi: Tutto il nostro mondo è
soggetto a passare perché si va verso “un nuovo cielo ed una nuova terra”. È la
fine del mondo di cui parla Gesù, che deve avvenire nella tua vita. Un altro
mondo si avvicina a te: Dio ti porta a vederlo. “Passeranno i cieli e la terra
ma le mie parole non passeranno”, allora sistemati nello Spirito che non passa.
Non sistemarti nelle cose della terra perché passano e se passano ti creano un
danno. Se io costruisco una casa sulla sabbia, è fatale che quella casa crolli.
È fatale come il tempo che passa. Ora, se consideriamo che tutte le cose di
questo mondo sono sabbia e che tutte le cose che hanno per centro il nostro io
sono sabbia, non costruirci sopra la tua casa perché ognuno di noi vive nella casa che si è
costruito. E non dire che non lo sapevi.
Eligio: “Il
mietitore ha il salario e riceve il frutto per la vita eterna, in modo che il seminatore
si rallegra come il mietitore. Poiché in questo si verifica quel detto: altri è
chi semina ed altri chi raccoglie. Io vi ho mandato a mietere ciò che non vi è
costata alcuna fatica; altri si sono affaticati e voi siete subentrati nel loro
lavoro”. Molti di quella città credettero in lui a motivo delle parole della
donna che attestava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”. Quando dunque
questi samaritani lo raggiunsero, lo invitarono perché restasse presso di loro.
E vi rimase due giorni. E in numero molto maggiore credettero in lui per la sua
parola; e dicevano alla donna: “Non è più per quello che tu hai riferito che
noi crediamo; infatti noi stessi abbiamo udito e annunciamo che egli è
veramente il Salvatore del mondo”.
Luigi: L’argomento che
approfondiremo gira sempre attorno al problema del mangiare, del mietere (che è
il problema essenziale della vita); abbiamo constatato che vivere
è possibilità di fare comunione con la Realtà di Dio; quindi la vita è
possibilità di comunione con Dio. Poi abbiamo visto che la vita è scelta; la
scelta presuppone un lasciare infatti quando non scegliamo Dio, rifiutiamo Dio.
Non scegliere è rifiutare di vivere. Quindi la comunione con Colui che è si
attua quando si sceglie Dio. Poi abbiamo approfondito il problema del mangiare.
Cioè la vita è fondata sul problema del mangiare e sulla comunione. Il tema di oggi è: Il rapporto che passa
tra il cibo e la vita. Nel senso che, senza renderci conto, noi viviamo per
mangiare, spiritualmente e materialmente parlando. E questo è molto sbagliato.
La maggior parte delle persone del problema del mangiare, del vestire, che sono
mezzi per vivere, ne fa un fine; finisce per vivere per mangiare, per vestire,
per avere una bella casa. Questa sera dovremmo correggere il tiro e capire la
differenza che c’è tra il cibo e la vita. Prendiamo come pensiero guida le
parole di Gesù: “La vita vale più del cibo”. Gesù fa la distinzione tra vita e
cibo; la vita vale più del cibo quindi non deve essere soggetta al cibo, più
del vestito. Allora, in che cosa consiste il cibo? In che cosa consiste la
vita?
Pinuccia: Questo
vale anche sul piano spirituale, non solo in campo materiale. Perché in campo
materiale è normale che la vita vale più del cibo.
Luigi: Tu dici che è normale, io
direi che è il rovescio, perché la normalità fa servire la vita al cibo. A
parole diciamo che è normale che si mangi per vivere ma quando tu hai mangiato,
per che cosa vivi? Me lo sai dire? Vivi per il mangiare il pasto dopo. Allora
lì si vive per mangiare. Dobbiamo precisare bene, in che cosa consiste il
mangiare perché si mangia per vivere; quindi il mangiare è ordinato alla vita.
Ora, quel vivere per -, mi deve animare ancora prima del mangiare. Se fosse
possibile vorrei approfondire con voi il rapporto che c’è tra cibo e vita.
Pinuccia: Gesù
dice: “Mio cibo è fare la volontà del Padre mio” cosa significa?
Luigi: C’è il cibo e c’è la vita
anche nello spirito e non bisogna fare della vita il cibo: il cibo serve per la
vita. In termini normali noi diciamo: “Viviamo di cibo ma viviamo per”. Quindi
bisogna distinguere tra: vivere di-, e vivere per-. Allora è necessario il
cibo: si vive di-; ma per cosa si vive? Quindi cerchiamo di approfondire questo
argomento.
Pensieri tratti dalla conversazione:
Luigi: Gesù dice: “Io sono la
vita” è la conclusione della conversazione sul rapporto che c’è tra cibo e
vita. Cioè è la risposta alla domanda: per che cosa vivere? Vivere per -. Gesù
l’ha dichiarato: “Io sono la vita”. Dobbiamo soprattutto distinguere bene in
che cosa consiste il cibo e in che cosa consiste la vita. Tenendo presente
tutto il discorso precedente, cioè che la vita sta nella possibilità di
comunione con Colui che è. Partiamo da questi concetti: in che cosa consiste i
cibo per questa vita e che cosa vuol dire vivere e quand’è che si vive in modo
da evitare di vivere la nostra vita per il mangiare. Portato nelle estreme
conseguenze, vivere per mangiare, significa distruggere noi stessi. Invece
quando si vive per Colui che è, è tutt’altro che distruggerci. Notiamo che è
necessario mangiare per vivere, l’importante è che non si viva per mangiare; il
mangiare è un mezzo, l’importante è che non si faccia del mangiare il fine
della nostra vita. Perché noi corriamo questo rischio. Chiediamoci quindi
perché è necessario mangiare, qual è lo scopo del mangiare, secondo lo Spirito
di Dio. Sul piano materiale il mangiare è un’assimilazione nel piano
spirituale. La vita è comunione e la comunione deriva dall’ascolto per cui la
vita è ascolto.
Luigi: Gesù dice: “La vita vale
più del cibo”, quindi ci chiediamo perché ce lo dice, quale sia il significato
di questa sua affermazione. Poi perché nella nostra vita esiste il cibo, perché
esiste la vita; a cosa serve la vita e perché la vita non possa essere
subordinata al cibo anche se il cibo serve per la vita.
Pinuccia: La
possibilità di comunione con ciò che esiste, che viene da Dio, è il cibo che mi
viene offerto affinché io arrivi alla comunione.
Luigi: Ma non è il cibo che ci dà
la possibilità di comunione?
Pinuccia: Ma tu hai
spiegato il cibo come possibilità di comunione con ciò che esiste.
Luigi: Il cibo ci dà la
possibilità di comunione. La possibilità di unirmi mi è data da Dio: quindi
o è Dio o è il cibo. La possibilità di comunione non è ancora comunione; la
possibilità di comunione ci viene dal cibo per cui è necessario mangiare per
mantenerci nella possibilità di comunione, di vivere. Il mangiare mi mantiene
la possibilità di vivere ma non è ancora vivere per cui rischio di vivere per
mangiare. Noi non viviamo da soli; è il cibo che ci mantiene nella possibilità
di vita. Chi ha la vita in Sé è solo Dio; noi non abbiamo la vita in noi, la
vita in noi è per partecipazione. Noi per vivere, in assoluto, dobbiamo trovare
Dio, comunicare con Dio. Dio è il Vivente, noi viviamo per partecipazione.
Fintanto che non impariamo a comunicare con Dio, a partecipare alla vita di
Dio, se noi non avessimo (ecco Dio che si fa strada) la possibilità di
comunicare con altro, noi perderemmo la vita.
Il cibo è per mantenerci nella possibilità di trovare la
vita. È il cibo che ci mantiene la possibilità fintanto che possiamo mangiare
altro cibo (che sono tutte le opere di Dio). È Dio che si fa strada. Quindi abbiamo
un cibo che, assimilato, non ci dà la vita ma ci mantiene nella possibilità di
trovare la vita. Vita è fare comunione con Dio. Il cibo ci mantiene nella
possibilità. Il cibo è possibilità di fare comunione con Colui che è. Fintanto
che non impariamo a fare questa comunione, se Dio non ci desse la possibilità
di fare comunione con le sue opere, noi perderemo la vita, spariremmo. Perché
la vita è comunione; se non abbiamo la possibilità di fare comunione con le
opere di Dio (è Dio che si strada), noi moriamo.
Pinuccia:
Spariremmo, in che senso.
Luigi: Nel senso di dispersione;
perché non possiamo annullarci, però possiamo disperderci all’infinito. Ora,
dobbiamo precisare in che cosa consista questo cibo. Il cibo è una
concessione; è Dio che si abbassa alla nostra capacità di assimilazione perché
non siamo capaci ad assimilare Lui. Ma c’è una grande diversità tra il
cibo e Lui, perché il cibo è sottomesso a noi, quindi ci dà la possibilità
di vivere ma non è vita. La vita richiede qualcos’altro! Per cui noi
approfittando di questa possibilità di vita, dobbiamo affrettarci a trovare la
possibilità di assimilare Dio, di fare comunione con Dio.
Pinuccia: La vita
si è fatta cibo per arrivare a noi.
Luigi: Vedi, la vita si era fatta
cibo, è una concessione perché non siamo ancora capaci di nutrirci alla Sorgente
che arriva a noi, ma per fortificarci, per darci la possibilità. Però guai se
noi vivessimo, ci accontentassimo del cibo, per questa concessione.
Pinuccia:
Spiritualmente parlando quand’è che si vive per il cibo?
Luigi: Il cibo è la Parola che
arriva a noi: quando non passiamo alla conoscenza del Padre. Perché ci
accontentiamo delle lezioni di Dio, delle parole che arrivano a noi. Dobbiamo
ancora definire in che cosa consiste il cibo. Il perché esista l’abbiamo visto:
è concessione. Ma non abbiamo detto che differenza c’è tra cibo e vita. Direi,
dove si ferma il cibo. Il cibo arriva a noi, viene assimilato. Cosa vuol dire
mangiare? Cosa vuol dire questo assimilare a noi. Ricordiamo che c’è un mondo
al di sotto di noi, e c’è un mondo al di sopra di noi; tutto il mondo al di
sotto di noi, serve soltanto per mantenerci nella possibilità di passare al
mondo al di sopra di noi. Ma noi possiamo nutrirci di tutto il mondo al di
sotto di noi, è Dio che si fa sotto di noi, l’Incarnazione, per mantenerci nella
possibilità di passare al mondo superiore. Corriamo il rischio di non passare
al mondo superiore. Noi ci troviamo con il cibo fintanto che nutriamo noi, che
assimiliamo a noi, che assorbiamo il mondo al di sotto di noi in noi; perché il
cibo serve per alimentare noi, serve noi.
Pinuccia: Parli sul
piano materiale.
Luigi: Parlo anche sul piano
spirituale; perché il mangiare, in quanto è subordinato a noi, sottomissione di
Dio, alimenta noi per farci fare qualche cosa di superiore ma che può anche non
avvenire. Per cui è giusto, è necessario mangiare per vivere, ma questo non è
sufficiente per vivere. Perché il mangiare ci dà la possibilità di entrare in
comunione ma non è che si entra in comunione. Infatti possiamo non entrare in
comunione.
Pinuccia: Ma
quand’è che si verifica che mangiando non si passa al mondo superiore?
Luigi: Quando ci fermiamo
soltanto al nostro io, esauriamo tutte le lezioni di Dio. Perché se Dio si
concede, vuol dire che noi abbiamo la possibilità di assimilarlo a noi, di
nutrire noi. Teniamo presente che noi siamo solo possibilità di fare
comunione, non siamo comunione. Questa possibilità da che cosa mi è data?
Mi è data dal cibo. Quindi il cibo mi mantiene la possibilità; se non mangio
muoio: perdo la possibilità. Il cibo mi mantiene nella possibilità di superarmi
ma non mi costringe a superarmi. Se io non mi supero, vivo soltanto per
mangiare: non raccolgo in Dio, raccolgo nel mio io. Mi mantiene ma non dura.
Dobbiamo tenere presente che la possibilità si perde in continuazione. Che cos’è
che ci mantiene in comunione? Siccome vivere è fare comunione con Dio, che
cos’è che ci lega in comunione con Dio? Noi diciamo che è l’amore ma non
sappiamo cosa diciamo. Che cos’è che mantiene questa colla, che ci mantiene in
comunione? Mangiare, sotto un certo aspetto, è comunione, infatti “mangiamo” la
Comunione Eucaristica. Però c’è una grande differenza; che vivere è fare
comunione, mantenendo l’esistenza di ciò con cui facciamo comunione. Vivere
vuol dire fare comunione con qualcuno che esiste, salvandone l’identità, la
presenza, l’essenza, non distruggendola. Mangiando noi distruggiamo ciò con cui
facciamo comunione. È per questo che lo perdiamo in continuazione: mangiando
noi distruggiamo, trasformiamo nell’io, trasformiamo in possibilità. Infatti se
tu mangi una mela, la mela non esiste più. Rimangono gli elementi nutritivi ma
la mela non c’è più. Noi abbiamo distrutto qualche cosa: noi viviamo di questa
distruzione, perché fermiamo tutto al nostro io. Di fronte a ciò che Dio ci
concede, noi assumiamo tre posizioni (ogni bambino si trova in queste
posizioni). Siccome non siamo ancora capaci a fare comunione con Dio, Dio si
concede (cibo), quindi abbiamo dei dati sotto di noi, abbiamo il mondo sotto di
noi, vediamo come ci comportiamo. Siccome noi siamo passione per l’unità,
perché abbiamo fame di unità, di fronte a ciò che non è “io”, è “altro” (es. il
cibo è altro, la natura è altro), noi ci troviamo in tre posizioni: mangiamo,
lo distruggiamo o lo capiamo. Infatti il bambino tende a distruggere ciò che
non riesce a capire: perché noi abbiamo bisogno di affermare l’unità.
L’altro o lo assimilo o lo distruggo, lo faccio fuori. Nel pensiero dell’io noi
facciamo fuori Dio; per cui: o riusciamo ad assimilare Dio nell’unità tra
Dio e noi oppure lo facciamo fuori. Non possiamo farne a meno. Il mondo deve
odiare coloro che non capisce; non può non odiare. L’uomo spirituale, non è
costretto ad odiare il mondo, perché fa l’unità anche con coloro che sono contrari,
anche con i nemici. Ecco perché con Dio si possono amare i nemici, perché si
comprendono, con Dio. L’uomo del mondo non può amare il nemico, tende a
distruggerlo; per questo nel mondo c’è la passionalità, l’odio, mentre
nell’uomo spirituale non c’è la passionalità, non può esistere, perché
comprende il mondo. Mentre il mondo non può comprendere l’uomo spirituale. Per
la passione dell’unità, quello che non si comprende, si deve distruggere. Per
cui abbiamo la posizione animale: mangio l’altro, oppure distruggo, oppure lo
capisco, però sul piano spirituale. L’altro da me, è Dio che si concede, si
sottomette a noi, si fa pane, si fa cibo per mantenere in noi la possibilità di
fare la comunione con Lui, di arrivare a capire Lui, di conoscere Lui. Però la
comunione è permanenza con colui con cui si fa comunione, non è distruzione. Ma
la permanenza avviene soltanto nel superamento dell’io allora passiamo alla
vita. La vita richiede il superamento dell’io; il mangiare non richiede il
superamento dell’io. Il mangiare è nutrimento dell’io per mantenerci nella
possibilità. Il mangiare mi mette nella possibilità di superarmi. Ecco
perché devo tener presente Dio, cogliere l’essenziale, devo passare al
significato. Devo passare a Dio perché soltanto passando a Dio, comincio a
vivere. Quindi vivo per -, quando mi dedico a -. Ma quel dedicarmi vuol dire
superarmi, vuol dire consacrarsi a qualche cosa. Se io mi dedico al mangiare,
mentre il mangiare serve solo per la possibilità di superarmi, per arrivare al
mondo superiore, ecco che mi distruggo. Per cui posso vivere per il mangiare ma
non debbo vivere per il mangiare. Se posso, perché nessuno mi costringe a
superarmi, però se vivo per il mangiare mi distruggo. Perché il mangiare serve
solo per mantenermi la possibilità di superarmi e di vivere per -; ma non per
qualcosa che è al di sotto di me, perché tutto quello che è al di sotto di me
serve solo per mantenermi nella possibilità di superarmi: è una condizione
transitoria. Infatti mangiando mi distruggo. Se distruggo la strada che mi si
offre, distruggo me stesso perché se non passo oltre, ecco che la strada si
sfalda, non sta su: la strada è transitoria. Cammina in fretta perché la strada
non è sempre strada. La strada si offre in quanto io cammino, ma se io mi fermo
la strada si svuota, non c’è più, non la trovo più, si annulla; perché la
strada mi sostiene se io vado avanti, ma se mi fermo, si apre un abisso e
sprofondo. Questo vuol dire che Dio si concede perché non siamo ancora capaci
di fare comunione con Lui per mantenerci la possibilità (e ce la mantiene per
un certo numero di anni) di passare in fretta ad imparare a fare comunione con
Lui. Vivere vuol dire avere questa possibilità; se abbiamo la possibilità
dobbiamo fare comunione; fare comunione con Lui, senza distruggerlo, richiede
il superamento del nostro io. Perché nel pensiero del nostro io noi annulliamo
quindi non possiamo fare comunione. Per fare comunione devo sempre avere
l’Altro con me. Ma la condizione è che sia l’Altro a generare me. Perché io non
posso generare Lui. Allora qui arriviamo alla “colla” che è lo Spirito Santo;
perché soltanto il Figlio che conosce il Padre, e che conoscendo si vede
generato dal Padre, crea un legame tra Figlio e Padre, perché è la Verità, lo
Spirito di Verità. Quello che unisce è lo Spirito di Verità, che unisce il
Figlio col Padre. Perché il Figlio si conosce sempre Figlio del Padre, generato
dal Padre. Alla fine la Vita del Figlio diventa il Padre. Quindi il cibo è
transitorio perché è Dio che si fa strada: concessione. Però Dio è Verità
quindi eternamente non si può concedere, perché Dio è Verità, Dio non è sotto
di noi, Dio è sopra di noi. Quindi Dio si concede per darci la possibilità di
entrare in comunione, però la comunione non è distruzione dell’altro; nel nostro
io noi distruggiamo l’altro, per essere noi. Per essere noi dobbiamo
distruggere l’altro; l’amore possessivo è: distruzione dell’altro, è fuga
dall’altro. È solo nel superamento dell’io che abbiamo la possibilità di
permanere.
Pinuccia: Avevo
capito che il vero nutrimento è il raccogliere.
Luigi: Quello è già vivere.
Pinuccia: Ma il
raccogliere non è un lavoro transitorio? In Paradiso si raccoglie?
Luigi: Certo, eternamente
raccoglieremo in Dio, nel Padre. Il Figlio stesso raccoglie nel Padre. Il
nutrimento sarà eterno. In Paradiso l’anima raccoglie tutto nel Padre, senza
difficoltà. Qui in terra dobbiamo raccogliere per non essere portati via, là
dobbiamo raccogliere per vivere.
Pinuccia: Non si
può usare un altro termine al posto di raccogliere?
Luigi: Possiamo dire: adorare.
Adorare significa guardare le cose dal punto di vista di Dio. In Paradiso
adoreremo tutta l’opera di Dio; anche l’opera presente perché Dio continua a
creare. C’è una vita e una novità continua. Nell’eternità non saremo delle
statue. Se siamo vivi qui sulla terra a maggior ragione lo saremo in cielo
perché andiamo verso un più. Quindi nel cielo c’è molta più vita che non qui
perché Dio è Sorgente di novità. Dio non è vecchio; non andiamo verso una cosa
già vissuta, soltanto ricordando le cose passate. No! Dio ci supererà
eternamente ed è Sorgente di novità continua per noi. per cui proprio
questa Fonte di novità continua ci
mantiene in vita. Da cosa ci deriva la vita? La vita deriva dal fatto che
riceviamo cose sempre nuove da raccogliere, da riferire sempre in Dio. Non
avremo difficoltà, non avremo timore di essere dispersi, però la circolarità:
Padre, parola a noi e raccoglimento nel Padre, continuerà eternamente. C’è
questa triangolarità. Quando la Madonna all’apparizione delle Tre Fontane
disse: “Io sono Colei che sono nella
Trinità Divina”; alcuni esperti sfatavano l’apparizione e dissero che la
Madonna non era un teologo perché se fosse stata un teologo avrebbe capito che
ha detto una cosa assurda per nelle Trinità Divina c’è solo Dio. invece è
tutt’altro che assurdo perché tutti noi siamo chiamati ad essere nelle Trinità
Divina. Che cos’è la Trinità Divina? È sempre il Padre che genera il Figlio,
perché il Padre continua a generare, non è che abbia generato. Se il Padre
forma una cosa sola con il Figlio, vuol dire che: “Oggi Io ti ho generato”, è un “Oggi”
eterno. Per l’eternità, se noi faremo una cosa sola con il Figlio, sentiremo il
Padre che dirà a noi: “Oggi Io ti
genero”. Cosa significa sostanzialmente questo? Oggi Dio parla a noi per
farci essere figli suoi. Ecco questo ritorno continuo per cui diventa una
glorificazione continua del Padre. E noi viviamo in quanto inseriti nella
Trinità Divina, non fuori ma dentro. In Paradiso non c’è dentro e fuori. Qui
sulla terra c’è dentro e fuori.
Pinuccia: Ma in
Paradiso quali novità ci potranno essere?
Luigi: Quando ci sarai lo vedrai.
Comunque teniamo presente che in Dio non c’è passato, non c’è futuro, tutto è
presente. Per cui in Dio noi troviamo tutto, anche quello che per noi è passato,
lo troviamo presente. Anche il futuro lo troviamo presente.
Pinuccia: Quando
Gesù dice: “Mio cibo è fare la volontà
del Padre mio” parla del cibo spirituale: è già vivere.
Luigi: Si, qui Gesù parla come Verbo
Incarnato; perché tutto ciò che Lui dice tra noi, lo dice per noi, al piano
nostro. Quando parla di acqua della terra e di acqua del cielo, di vita della
terra e di vita del cielo, cibo della terra e cibo del cielo, è tutto un
parlare per noi, per portarci a -. È tutto un linguaggio per noi.
Pinuccia: Per farci
capire che il vero cibo sta nel portare a termine l’opera sua; parla di ciò che
è cibo. E questo cibo, questo raccogliere è già vivere.
Luigi: No, non ci siamo. Teniamo
presente che Gesù dice: “Tutto è compito”
sulla Croce; qui abbiamo il compimento. Questo compimento è per noi, è il tutto
compiuto di Dio per noi. Diciamo che è l’opera tutta esaurita del cibo fatto
per noi; quello è cibo per noi. Il compimento dell’opera del Cristo, è il cibo
per noi, per mantenerci nella possibilità. Con Cristo morto in croce, abbiamo
la sintesi di tutte le concessioni di Dio; tutte le concessioni di Dio si
concludono con Cristo che muore in croce. Abbiamo il compimento; forse è
Pentecoste? No! Perché per quanti Cristo muore, ma non si verifica che
automaticamente sia data lo la Pentecoste. Tra la morte di Cristo in Croce e
la Pentecoste, ci sono cinquanta giorni, che presuppongono tutta la
partecipazione della creatura alla morte del Cristo. Per cui io compio in
me quello che manca alla morte di Cristo. Allora diciamo che il compimento
dell’opera di Dio in Cristo, è cibo; è compimento dell’opera di concessione per
insegnare all’uomo a vivere; o meglio: per dare all’uomo la possibilità di fare
comunione con Dio. Ora, la possibilità di fare comunione, non è fare comunione.
Perché non basta che Cristo muoia in croce che noi, automaticamente, facciamo
comunione con Dio. Con la sua morte in Croce ci dà la possibilità. Allora vedi
tutta la funzione del cibo? Lì c’è il cibo.
Pinuccia: Cristo ci
insegna a raccogliere nel Padre tutte le opere del Padre, e questo è già
vivere.
Luigi: Si, questo è già vivere.
Comunque continuiamo l’approfondimento.
Eligio: La vita è
nel Padre; l’amore che ho per il Padre si trasforma in vita.
Luigi: L’amore deve essere il
superamento del pensiero di noi stessi; perché noi molte volte amiamo nel
pensiero del nostro io e di conseguenza creiamo la distruzione dell’altro. Nel
pensiero del nostro io, tendiamo a strumentalizzare l’altro. Nel pensiero del
nostro io non possiamo mantenere la comunione con l’altro perché tendiamo a
sminuirlo, a strumentalizzarlo per cui creiamo nell’altro la fuga, la
distruzione. Il problema del mangiare diventa un mezzo; in un primo tempo
mangio la mela e in un secondo tempo la distruggo; questo nel pensiero del mio
io. Superando il pensiero del mio io, nel pensiero dell’altro, il mangiare è
“far essere l’altro”. La vita è il Figlio e il Padre; perché? Perché il Figlio
fa essere il Padre, il Figlio vive nel Padre. Quindi vivere vuol dire fare la
gloria dell’altro, far essere l’altro, pensare all’altro; ecco cosa significa
vivere per-. Se io vivo per il mangiare, vivo per far essere il mio mangiare.
Quando io vivo per far esistere l’altro, può essere giusto o sbagliato, ma vivo
per -. La vita vera consiste nel far essere, ed è vero amore, perché chi ama
vuole il bene dell’altro, far vivere l’altro, per cui uno dimentica se stesso.
Se uno non dimentica se stesso, fa servire l’altro, lo strumentalizza, io
mangio l’altro. Invece nel vero amore si vuole il bene dell’altro, cioè si fa
essere l’altro, si cerca la gloria dell’altro. Se l’altro è il Padre, il
Padre genera il Figlio. Il Figlio vive quanto più glorifica il Padre, quanto
più glorifica il Padre. Per cui il Figlio vive per il Padre.
Eligio: Se
accetto l’opera del Padre glorifico il Padre.
Luigi: Tutte le opere che
giungono a noi, in quanto arrivano a noi, sono relative a noi; se tutte le
opere che arrivano a noi, ed è opera di Dio, le utilizziamo per noi, e solo per
noi, nel pensiero dell’io, queste opere ci servono, in quanto ci mantengono in
vita; cioè ci mantengono nella possibilità di superarci. Ma se io non mi
supero, tutta quest’opera viene annullata, viene distrutta. Allora, per
mantenermi nell’opera di Dio, devo superare tutte le cose che mi arrivano,
superare me stesso per cercare di capirle in Dio. Tutto ciò che Dio ci
presenta noi possiamo mangiarlo, distruggerlo o capirlo. Solo con Dio io posso
capire il significato delle opere di Dio; ma se io non le riferisco a Dio
ma soltanto al mio io, non posso far altro che mangiarle o distruggerle. Non
posso farne a meno. Quindi perdo la comunione con l’altro perché lo annullo.
Soltanto Dio mi dà la possibilità di comunione con tutte le creature perché con
Dio io rispetto la presenza dell’altro, non lo mangio, non lo distruggo ma
rispetto la presenza dell’altro. Per cui anche se l’altro è mio nemico, lo
rispetto perché vedo Dio, non lo distruggo. Nel pensiero del mio io non posso
fare a meno di distruggerlo. Anche se materialmente, fisicamente non lo
distruggo, odiandolo, dentro di me lo faccio fuori: quindi lo distruggo. Ora,
nel pensiero del nostro io non possiamo mantenere nessuna comunione perché
soltanto Dio può mantenermi nella possibilità di comunione, quindi di vita,
perché la vita è fare comunione. Solo con Dio posso avere presente l’altro
senza fargli del male, senza distruggerlo. Ognuno di noi, essendo fatto per
l’unione, siamo fame di unità. Fame di unità vuol dire: o faccio l’unità con Dio,
o faccio l’unità in me per cui devo distruggere tutto quello che non è me.
Quindi devo distruggere tutti gli altri, tutto ciò che è altro da me. Quindi
soltanto con Dio, ma per arrivare a Dio devo superare me stesso, soltanto
raccogliendoci in Dio, abbiamo la possibilità di vera comunione. Perché
manteniamo, senza distruggere, la presenza di tutto l’esistente, di Dio e di
tutti gli altri esseri. Quindi è Dio il principio di vera comunione perché mi
dà la possibilità, mi fa rispettare l’altro, mi fa rispettare il Vivente.
Pinuccia: La
possibilità di comunione con tutto ciò che esiste, presuppone la comunione con
Dio?
Luigi: Se io tengo presente Dio,
la presenza di Dio, già mi sollecita a cercare presso di Lui la vita, il
significato delle cose. Il cercare Dio è già vivere anche se non l’ho ancora
trovato perché la ricerca di Dio mi mantiene già in vita. Dio è tanto grande
che ci mantiene in vita già mentre lo cerchiamo, anche se non l’abbiamo ancora
trovato: quanto più sarà vita trovarlo. Però, fintanto che non lo troviamo, non
possiamo fare a meno, non avendolo ancora trovato, pur essendo in vita, non
possiamo mantenere la comunione con -. Perché le cose soltanto in Dio,
conoscendo Dio, possiamo mantenerle presenti. Per cui non possiamo fare a meno
del mangiare, fintanto che non abbiamo trovato Dio, anche se lo cerchiamo.
Precisiamo cosa significa mangiare; perché esiste il mangiare? È concessione di
Dio per mantenerci nella possibilità di -. Quindi il mangiare è subordinato al
nostro io, perché il mio io da solo non sta su. Noi diciamo: “Io ci sono”. No!
Tu non ci sei, ci sei in quanto partecipi. Allora, se Dio non si concedesse
alla tua capacità di assimilazione, alla tua povertà in cui tu ti trovi, non
staremmo su; per cui Lui si fa cibo per la tua miseria. Se tu sei subordinato
alla pietra, Dio si fa pietra; si fa mela per farti capire: “Hai bisogno di
Me”. Perché noi da soli non stiamo su. Allora, Dio sapendo che noi da soli non
stiamo su, perché non abbiamo ancora trovato Lui, si offre per mantenerci su,
in forme al di sotto di noi, in quelle forme delle quali noi siamo capaci a
nutrirci, ad unirci. Però proprio perché sono al di sotto di noi, noi
nutrendoci di loro le distruggiamo e le perdiamo. Perdendole, queste ci mettono
in movimento, perché non sono più contento. Il bambino fintanto che ha un
gioco, ci gioca; ad un certo momento lo distrugge, lo perde, non ce l’ha più;
perdendolo si mette in movimento verso altro. Perdendo le cose per cui abbiamo
vissuto, Dio ci mette in movimento verso altro. Tutto questo crea un processo:
perdendo si crea il movimento; il movimento crea la fame che ci rende degni,
capaci di nutrirci di altro e ci fa crescere.
Eligio: Chi non
tiene presente Dio, proietta il suo io su tutto.
Luigi: Ecco, questa proiezione
del pensiero del nostro io su tutto, distrugge tutto. Gesù dice: “Chi cerca di salvare la sua vita la perde”.
Più ci preoccupiamo di difendere i nostri affetti, per cui corriamo dietro alle
creature, dietro al mondo, e più perdiamo il mondo, le creature. Lezione per
dirci che fintanto che tu non ti dimentichi per far vivere l’altro, tu perdi
tutto quello che tocchi. Non toccare niente ma cerca di capire quello che Dio
ti presenta a vai a Dio. Non preoccuparti di risolvere i problemi, capisci
l’anima, perché Dio ti fa quel problema, e vai a Dio: in Dio il problema si
risolve cioè è Dio che lo risolve per te. Il Signore mi dice: “Pensa a me che Io penso a te”; cioè:
“Risolvi il mio problema con me e Io risolvo tutti i tuoi problemi con te”.
Perché tutti “i problemi con te”, è Lui che me li pone affinché noi abbiamo a
capire il vero problema che noi abbiamo con Lui: l’essenza è quella!
Pinuccia: Se noi
mangiamo le cose, le strumentalizziamo, le distruggiamo è rivelazione di come
Cristo muore in noi.
Luigi: Certo, capisci che
l’uccisione del Cristo è mangiare il Cristo. San Paolo dice circa la Comunione
Eucaristica: “Tutte le volte che mangiate
il corpo di Cristo annunciate la sua morte, fintanto che Egli risorga”.
Annunciate la morte perché la Comunione Eucaristica è annuncio della morte di
Cristo; la morte ha un significato spirituale, la morte del Cristo è
significato per l’altra vita: Dio si fa uccidere da noi. Rappresenta ciò che io
distruggo che mi mette in movimento verso altro. La morte del Cristo ci mette
in movimento verso -; io ho ucciso Dio. Capisco che porto il delitto dentro di
me perché la morte che porto dentro di me, mi fa toccare con mano che io porto
il delitto dentro di me, che il mio io è delitto.
Rina: Ma poi Cristo risorge.
«Nel frattempo i discepoli lo pregavano dicendo:
“Maestro, mangia”. Ma egli rispose loro:“Io ho da mangiare un cibo che voi non
conoscete” I discepoli si dicevano perciò gli uni gli altri: “Che qualcuno gli
abbia portato da mangiare?”». Gv 4 Vs 31-33 Secondo tema.
Titolo: L’amicizia con
Gesù.
Argomenti: L’incontro con il
pensiero di Dio, fine della conversazione di Dio. Cristo: rivelazione del Pensiero del Padre. Il rapporto di amicizia scatta in quanto c’è già
un’affinità di interessi. Imparare a restare
con Dio. La lontananza da Dio. Unità e molteplicità. Permanere nella parola di Cristo. Assimilare la verità di Dio.
18/Settembre/1977
Luigi: Restiamo ancora nei temi
degli argomenti precedenti: la vita, il cibo, la strada. Esiste Dio ed esiste la
creatura; la strada è il mezzo che unisce la creatura a Dio. Dio prolunga la
sua strada per offrire in qualunque situazione la creatura si trovi, la
possibilità di un collegamento, di un ritorno. La creatura si trova in
situazione di fuga da Dio e se Dio non prolungasse la sua strada mantenendo
sempre il contatto, la creatura si disperderebbe nel nulla. La caratteristica
della strada è quella di collegare due punti: la meta con il punto di partenza.
Eligio: Circa il
tema dell’amicizia volevo chiedere: come è possibile stabilire questa amicizia
con Gesù senza sentire la sua presenza?
Luigi: Noi facciamo molto questo
problema del sentire: “Ma io non sento Dio”. “Non avverto il Cristo, non
avverto la sua presenza”. Intanto il problema del sentire è sentimento. Sentire
vuol dire provare su di noi; cercare di sentire è sbagliato. Il fatto di andare
alla ricerca di un sentire, è sbagliato. In quanto Dio si è incarnato, ha
stabilito con noi un rapporto di sensibilità; Incarnazione è entrare nel nostro
mondo di sentimento. Però Gesù dice: “Nessuno può venire a me se non è attratto
dal Padre”. Allora l’incontro con Cristo, non può avvenire in noi se non c’è la
stessa premessa, una premessa spirituale ben chiara: dobbiamo essere attratti
dal Padre. Non dobbiamo pretendere di sentire le cose dello Spirito se non
mettiamo le condizioni che ce le fanno sentire, perché il sentire è già una
conseguenza dell’essere in un certo luogo.
Eligio: Come
hanno fatto gli apostoli ad aderire inizialmente? Quali sono stati i presupposti?
Luigi: All’attesa del Messia che
era provocata dalla problema di Dio presente nella loro vita. “Abbiamo trovato
Colui di cui hanno parlato Mosè e i Profeti”. Avevano presente il problema di
Dio. Di che cosa hanno parlato Mosè e i Profeti? Ora, se uno non si impegna in
ciò di cui parlano Mosè e i Profeti, se non ha l’ansia di Dio, se non sente il
bisogno di Dio; Mosè e i Profeti hanno parlato del Cristo. Gesù stesso dice: “Scrutate le Scritture: parlano di me!”.
Scrutate l’universo, tutte le creature, tutti i fatti: parlano del Cristo.
Perché parlano del Cristo? Perché tutte le cose sono parola di Dio. Ora, quando
uno parla, parla per quale scopo? Parla per rivelare il suo pensiero. La
conversazione, che è un susseguirsi di verbi e di parole, ha uno scopo, è per
giungere a una meta ben precisa: la meta è quella di rivelare il pensiero, di
renderlo presente all’altro. Dio, con la sua opera, non fa altro che parlare a
ognuno di noi; tutto l’universo è un parlare di Dio. I fatti di ogni giorno
sono un parlare di Dio con ognuno di noi personalmente. Qual è lo scopo di
questa conversazione? Qual è lo scopo della creazione di Dio? Lo scopo è quello
di rivelarci il suo Pensiero. Il suo Pensiero è il suo Verbo. Quindi a un certo
momento della conversazione, della creazione, della nostra vita, noi dobbiamo
incontrare il Cristo: rivelazione del
Pensiero del Padre. Alla fine di tutta la conversazione del Padre con noi,
dice Gesù: “Non che qualcuno abbia visto,
ma chi ha udito il Padre viene a me”. Allora, c’è il Padre che parla a noi,
però possiamo ascoltare o rifiutare. Se rifiutiamo si presenta a noi un’altra
problematica e il Signore cercherà di recuperarci. Se invece ascoltiamo, quanto
più permaniamo nell’ascolto, tanto più il parlare di Dio, ci conduce a scoprire
il suo Pensiero, il suo Verbo. Se tutto l’universo, tutta l’opera creatrice di
Dio, è parola di Dio, ad un certo momento si deve vedere Cristo, il Pensiero di
Dio. Cristo è la rivelazione della presenza di Dio tra noi. Quando dialoghiamo
con una persona, dobbiamo aspettarci di vedere il pensiero di quella persona.
Però qual è la condizione per arrivare a vedere il pensiero di quella persona?
È il fatto di seguire la conversazione di quella persona perché se sono
distratto non arriverò mai a vedere il pensiero. Lui continua a parlare anche
se sono distratto. Io arriverò alla presenza del suo pensiero senza captarlo,
senza vederlo. Per cui noi possiamo incontrare il Cristo ma non vedere in Lui
il Pensiero di Dio perché non abbiamo seguito la conversazione. L’ascolto della
Parola di Dio è quello che ci conduce a scoprire in Cristo il Verbo di Dio,
l’Atteso. Non ci sarebbe in noi un’attesa se non ci fosse tutta la formazione.
A un certo momento della nostra vita noi siamo in attesa di qualche cosa perché
c’è stata tutta una premessa che ci ha convogliati verso questa attesa. In un
primo tempo della nostra vita ci disperdiamo in tanti interessi, in tante
passioni poi man mano che viviamo Dio conversa, ci converte verso una meta
unica, un’attesa di incontrare il Pensiero di Dio, il Verbo di Dio, Colui di
cui tutto parlava. Noi aspettiamo qualcuno in quanto c’è qualche cosa in noi
che ci parla di Lui. Se nessuno ci avesse parlato di quel qualcuno, non lo
aspetteremo. Se noi lo aspettiamo, lo invochiamo, sentiamo il bisogno di Lui, è
perché qualcuno ci ha già parlato di Lui; noi non ce ne rendiamo conto. Se in
noi c’è il bisogno di incontrare il Cristo, e perché il Padre ci ha parlato di
Lui, del suo Verbo. Allora si forma l’attesa; ma il bisogno di scoprire la sua
presenza è la conseguenza di questa premessa: il Pensiero del Padre in noi,
l’ascolto del Padre. Il sentimento è sempre una conseguenza del pensiero che
portiamo in noi, di un amore che portiamo in noi. Ognuno di noi sente in
relazione al tesoro che ha nel suo cuore. Per cui se uno ha un certo interesse
nel suo cuore, tutti i suoi sentimenti sono una conseguenza di quell’interesse
che ha nel cuore; è sensibilizzato. Ma se noi non coltiviamo l’interesse per
Dio, noi non siamo sensibilizzati a Cristo, non lo sentiremo mai, non possiamo
sentirlo. Per questo dico che il problema è sfasato posto in questi termini,
non dobbiamo mettere prima il bisogno di sentire per poter poi interessarmi di
Dio. No! Prima interessati di Dio e poi preparati a sentire la presenza del Cristo.
Ma se tu non hai interesse per Dio, certamente non arriverai a sentire la
presenza del Cristo, perché il sentimento è sempre una conseguenza. Ecco perché
quando si fa il problema del sentimento le scelte sono sempre sbagliate perché
vogliamo subordinare le scelte della vita a sentire certe cose.
Eligio: Non
dimentichiamo che Gesù si è fatto come noi, sentimento. Nel rapporto di
amicizia ci può essere un sentimento buono che ti fa uscire da te stesso.
Luigi: Tieni presente quando si
stabilisce un rapporto di amicizia, come si stabilisce, quali sono le
condizioni perché si stabilisca. Il rapporto di amicizia scatta in quanto c’è
già un’affinità di interessi; è l’affinità di interessi che ti permette di
stabilire un rapporto di amicizia, di sentimento. Prima no! Non basta dire a
una persona qualunque: “Siamo amici”. L’amicizia si stabilisce in quanto ci
sono delle premesse. Due che sono amici ma che si orientano verso interessi
diversi, non sperimentano più l’amicizia per l’interesse diverso li divide. Da
bambini si gioca insieme, si è amici, poi uno si orienta alla politica, uno
alla religione, e ad un certo momento si scopre di non essere più amici perché
non si ha più niente da comunicare, non si ha più un interesse comune. Quindi
l’amicizia, questo legame che fa comunione, ha questa premessa: la comunione di
interesse. E guarda cosa presuppone la comunione di interesse; vuol dire essere
convinti di certe cose. Quand’è che uno scopre di avere interesse per Dio?
Prima bisogna convincerci che tutte le altre cose sono vane. L’interesse per
Dio ci fa poi amici con tutti coloro che hanno interesse per Dio. Quando uno
matura l’interesse per Dio, avviene dentro di lui una sensibilizzazione per cui
scarta tutto un mondo e ne abbraccia tutto un altro: è l’opera di penitenza, di
conversione. Si presuppone l’interesse centrale, il quale mi crea uno
spostamento di interesse; lo spostamento di tutto il tuo mondo per cui scopri
di essere sensibile a certe cose e non sei più sensibile a tante altre. È
proprio la conversione di tutto il nostro mondo che ci porta a scoprire il
Cristo. Bisogna ascoltare il Padre, ma quando lo si ascolta non si vede, ma si
desidera vedere Colui che parla. In questo desiderio di vedere, si forma in noi
il bisogno del Cristo. Il Cristo ci porterà a vedere Colui che ascoltavamo.
Eligio: Per quale
ragione sentiamo poco la presenza della persona del Cristo?
Luigi: In quanto il Verbo si è
incarnato ha stabilito con l’uomo un rapporto sentimentale. Però questo
rapporto sentimentale presuppone l’interesse per Dio. Se in noi non matura il
bisogno di qualcuno che ci conduca a vedere Colui che parla, non si arriva
all’amicizia con Cristo. L’amicizia con Cristo si arriva a sentire al punto
tale da trascurare tutto il resto per questa amicizia. San Paolo sentiva
l’amicizia con Cristo infatti dice: “Per niente al mondo posso rinunciare,
posso staccarmi dal Cristo. Chi mi potrà staccare dall’amicizia con Cristo? Né
le ricchezze, né principati, né potestà, niente mi potrà staccare dall’amore di
Cristo”. Ma cos’è che l’ha portato a sentire questa amicizia col Cristo? È la
grande passione per Dio. Come mai non sentiamo poco questo legame col Cristo?
La nostra grande difficoltà è quella di permanere in -; è lì che si formano le
distanze. Noi sentiamo quando siamo molto vicini; il non sentire quindi è un
problema di lontananza; la lontananza ci rende deboli e quindi non sentiamo
più. Come mai sperimentiamo questa lontananza anche nei riguardi di Dio?
Sappiamo che Dio è presente dappertutto eppure ci sentiamo molto lontani da
Lui. Il fatto che esiste la lontananza, tutti lo sperimentiamo, infatti il
problema è: come posso avvicinarmi? Come posso sentire? Avvertendo la
lontananza si soffre perché sentiamo che in noi qualcosa si spegne. Dio è
presente dappertutto, quindi è vicinissimo a noi, ma noi ci sentiamo lontani da
Lui. Lì scatta il problema del permanere, e il problema del cibo perché
possiamo restare soltanto in ciò che assimiliamo. Una cosa non assimilata, non
può essere trattenuta: non possiamo trattenere ciò che non abbiamo assimilato.
Finchè non impariamo ad assimilare Dio, non possiamo restare con Dio; allora
precipitiamo in questa lontananza.
Eligio: Siamo
nell’illusione quando diciamo di volere avere un rapporto personale con Dio?
Luigi: No, il bisogno non è
un’illusione. Collegandomi con gli argomenti che abbiamo trattato in queste
ultime domeniche, abbiamo definito la vita come possibilità di comunione con
Dio, il cibo ci mantiene nella possibilità e la strada. Qui si pone il problema
di trovare la strada che ci colleghi con Dio. Noi siamo incapaci a restare a
causa della nostra instabilità, provocata dal fatto che non assimiliamo Dio,
anche se siamo chiamati a restare con Dio, questa è la nostra vocazione, questa
è la vita eterna: restare con Dio. La nostra vita attule ci è data per imparare
a convivere con Dio, a restare con Dio. Ma per restare con Dio bisogna
assimilare Dio; fintanto che non siamo capaci a fare quello che fa Gesù: “Il Padre non mi lascia mai solo perché io
faccio sempre quello che piace a Lui”. Il fare ciò che piace a Lui ci dà la
possibilità di restare con Lui.
Eligio: Si ma
quello che dice il Cristo, per noi restano solo delle parole; la difficoltà è
permanere.
Luigi: Diciamo che la difficoltà
di permanere è perché noi siamo instabili. Se non portiamo dentro di noi
l’interesse per Dio, il problema di Dio, non incontriamo il Cristo. Anche se
Lui si incontra con noi tutti i momenti. A questo punto cessa il problema del
sentimento.
Eligio: Il
problema è come trovare la strada per avere un rapporto di amicizia con Gesù
quando non lo sentiamo?
Luigi: Non permanendo noi
provochiamo la lontananza, mentre sappiamo che Dio è sempre presente. In che
cosa fai consistere questa lontananza da Dio?
Eligio: In una
divergenza di fini.
Luigi: Perché Dio è presente
eppure noi ci sentiamo lontani da Lui: in che cosa consiste la lontananza?
Eligio: La
difficoltà è nell’individuare il mezzo che mi conduce al Padre.
Luigi: Perché pur avendo un
bisogno specifico di conoscere Dio, avverti queste incongruenze, queste
contraddizioni? La lontananza consiste in questo: Dio è Unità mentre noi siamo
molteplicità. La lontananza è data dalla molteplicità. Più noi siamo immersi
nella molteplicità, e più sentiamo la lontananza da Dio perché Dio è Unità.
Quali sono le conseguenze di questa molteplicità? La nostra leggerezza, la
nostra incongruenza, il nostro continuamente mutare di cosa in cosa. Nella
lontananza noi siamo incapaci. In Cristo c’è l’azione di recupero: Cristo tra
noi si fa strada per tutta la nostra lontananza. Strada è collegare i due punti
estremi: Dio che è l’Unità con noi che siamo molteplicità. Il demonio si
definisce: “Uno dai tanti nomi”, uno che è sempre instabile. Nell’episodio di
Giobbe Dio convoca Satana e gli dice: “Dove sei stato?”, “Ho girato tutta la
terra”, muta da una cosa all’altra, da una cosa all’altra. Il mutare da una
cosa all’altra, questa è la lontananza. L’Unità è solo Dio però noi non
restando, saltiamo da una cosa all’altra. Il nostro grande rischio è quello di
saltare da un sentiero all’altro, da una strada all’altra. Tutto è parola di
Dio quindi tutti i sentieri convergono a Dio, ma se noi trasformiamo la nostra
vita saltando da un sentiero all’altro, non
arriveremo mai.
Eligio: È più
facile avere un amico in carne ed ossa che avere Cristo per amico.
Luigi: Perché noi non ci fermiamo
con Cristo, non restiamo con Lui. Restiamo cinque minuti e poi lo lasciamo; se
noi restassimo con Lui, vedremo dove ci conduce. Ci conduce ad un travaglio
tale che noi diventiamo sensibilissimi. Se noi restassimo con Lui, Lui ci
libererebbe da tanto nostro mondo e ci
renderebbe come una corda di violino che vibra al massimo. Quando Lui ti butta
in mare, tu per forza ti devi agitare altrimenti muori, anneghi. Ora, Cristo ti
porta in una situazione di mondo talmente spiritualizzante, che vibri, sei
sottoposto alla massima tensione. Allora Lo senti immensamente perché sei in
una tensione spirituale che è in conflitto con tutto il mondo. È tutta
questione di permanere perché se io resto con Lui solo cinque minuti e poi
quando non mi fa più comodo mi interesso ad altro, allora non sperimenterò mai
questa tensione. Resto un po’ a meditare su una sua parola e poi me ne vado. Ma
se io continuassi con Lui, Cristo mi porterebbe al Padre. Siccome Cristo è uno
che cammina, è uno che va, non sta mai fermo, non è mai con me mentre io mi
diverto, quando mangio, quando mi appassiono per le cose del mondo, perdo il
contatto, perché quando io stavo fermo Lui andava avanti. Quando si va in
montagna se io sto fermo, l’altro va avanti, si creano delle distanze. Cristo è
venuto tra noi, ma cammina, non è che si faccia sempre trovare. Se c’è in noi
l’interesse principale per Dio, Cristo stabilisce un aggancio, e poi tiene con
noi una conversazione e ci convoca al Padre perché Lui stesso va al Padre. “Mi
cercherete ma non mi troverete, dove io sono voi non potete venire”, perché?
Eppure Lui dice: “Senza di me nessuno può venire al Padre”. Lui è una strada ma
è una strada che cammina lei stessa per cui se noi non camminiamo con essa, la
strada sparisce; Lui è già andato avanti. Lui ti porta una conversazione; molte
volte noi ci fermiamo nella conversazione col Cristo, soltanto a certi suoi
aspetti. Al discorso della montagna, al Natale, ma Lui ha tutto un parlare che
ci porta a delle vette altissime. Però bisogna permanere in questo parlare,
restare in queste parole. Lui ci incontra su un piano infimo in cui noi ci
troviamo, perché Lui è venuto per i peccatori. Dio mantiene i collegamenti con
noi all’infinito, nella nostra massima dispersione. Quindi anche se noi siamo
capaci di stare con Lui un minuto, un istante, Lui stabilisce il contatto con
noi, in quell’istante. Cioè, in tutti i nostri problemi di dispersione, nella
nostra instabilità, Lui trova il modo, anche nei nostri stessi peccati, di
stabilire un collegamento. Non ci lascia mai soli, anche quando siamo immersi
nelle più grandi passioni cattive, noi avvertiamo sempre o il rimprovero
dell’egoismo, o dell’orgoglio, o dell’ambizione. Noi stabiliamo delle sicurezze
con delle creature, famiglia, casa, denaro, e Dio continuamente ci presenta
l’altra faccia di queste cose, che quello che noi crediamo sicurezza non è in
realtà sicurezza. Stabilendo un contatto con noi, ci invita a proseguire; se
noi continuiamo col Cristo, allora Lui ci conduce alla vita eterna, a scoprire
la presenza del Padre. Però bisogna restare con Lui. Tutte le cose che si
avvicinano a noi nella nostra dispersione ci attraggono ma nel momento in cui
ci invitano a restare, ci pongono un problema che il più delle volte crea in
noi un distacco. Perché il problema del restare presuppone in noi il
superamento del nostro io. In un primo tempo noi l’accogliamo per la novità e
in un secondo tempo richiede un atto di fedeltà, richiede un superamento. Come
la cosa richiede il superamento, noi l’abbandoniamo. Oscilliamo in
continuazione tra un’attrazione e un rifiuto, un’attrazione e un rifiuto; non
appena la cosa che ci attraeva per noi diventa pesante, perché diventa per noi
una richiesta di superamento del nostro io noi la lasciamo. E allora saltiamo
da una cosa all’altra. E questo ci rende incapaci di trovare Dio perché Dio
richiede questa permanenza all’infinito. Siccome Dio non può essere visto nel
pensiero del nostro io, tutto ciò che noi non assimiliamo non lo possiamo
trattenere. La condizione per poter conoscere Dio è quella di superare il
pensiero di noi stessi. In tutto ciò che ci chiede il superamento del pensiero
del nostro io, anche nel poco, é Dio mantiene sempre il contatto con noi; dopo
averci attratti, ci chiede un superamento dell’io; può essere un bicchiere
d’acqua, ma richiede un superamento, a un povero, ad un ammalato. Se questo
superamento ci pesa, crea un distacco, lo lasciamo. Così non arriveremo mai
perché la condizione per poter conoscere il Signore, è quello del superamento
del nostro io perché Dio si conosce soltanto in Dio. Nel pensiero dell’io noi
conosciamo la negatività; tutte le cose per noi sono terribilmente instabili
perché le conosciamo con il pensiero dell’io. Adesso sono seduto comodo su
questa poltrona, tra cinque minuti questa poltrona mi viene tolta. Non vedo la
Verità, la sento la Verità, la Verità si fa sentire su di noi, sentiamo il
bisogno di unità, di vita, di contemplare. Ma per comprenderla, per poterla
conoscere bisogna superare il pensiero dell’io. Dio si conosce soltanto in Dio
e si conosce soltanto per mezzo di Dio. Anche nella nostra dispersione
infinita, nella parole in cui incontriamo il Cristo, Dio ci chiede il
superamento; cioè continuare a restare lì anche se ci costa.
Eligio: Vedevo un
collegamento tra l’amicizia e la conoscenza.
Luigi: Se non c’è il superamento
si perde l’amicizia; se si fa il superamento l’amicizia si salda. Tutte le
grazie di Dio sono seguite dà una prova. Noi diciamo che Dio ce la potrebbe anche
evitare; no! Dio ci dà la prova per darci il possesso, per stabilire con noi un
legame saldo. Dio ci fa la grazia, Dio arriva a noi, Dio si fa sentire da noi,
ci manda una luce ma dopo ci manda la prova per vedere se ci superiamo, se
affermiamo lo Spirito. Nella prova c’è il rischio di fare quello che fa comodo
a noi oppure di fare ciò che è comodo per lo Spirito di Dio; se nella prova noi
testimoniamo lo Spirito, allora l’amicizia si rinsalda perché acquista la
stabilità che deriva dal superamento dell’io. Invece nel pensiero dell’io
notiamo la fragilità dei legami fondati sul denaro: “Quel tale viene a pranzo con me perché gli interessa il denaro”;
qui si nota la fragilità del sentimento. Quando c’è il superamento dell’io, si
ottiene un rapporto saldissimo. Quindi Dio per stabilire con la creatura un
legame molto saldo che diventa vita eterna, ci illumina, ci dà la grazia, e ci
invita a testimoniare. Quando ci invita a testimoniare nella prova, il nostro
io è in gioco; per cui la cosa mi fa piacere, allora c’è il mio io però per
fare la volontà di Dio devo superarmi. Se mi supero e vinco il mio piacere, il
mio io al centro, quello che accarezza il mio io, allora si stabilisce un
legame saldo. Un legame che mi porta poi alle grandi rivelazioni, perché mi
rende permanente.
Eligio: Non
volevo fare l’apologia del sentimento. Mi lego facilmente ad un amico mentre
questo mi è difficile con Dio.
Luigi: No, perché non siamo noi
che stabiliamo il contatto con Dio ma è Dio che stabilisce con noi il contatto.
Noi perdiamo il contatto quando non superiamo il nostro io. Se noi affermassimo
lo Spirito di Dio, cominceremmo a sperimentare l’amicizia con Dio. Il
sentimento arriva a questo punto qui: quando io mi sacrifico per lo Spirito
allora comincio a sentire lo Spirito. Ma devo sacrificarmi, devo fidarmi.
Eligio: Perché
riesco a superarmi per un amico e non riesco a superarmi per Dio?
Emma: Forse perché Dio non si
vede, mentre l’amico si vede.
Luigi: Andiamo un po’ più in
profondità. Il rapporto di amicizia vero, (non parlo dell’amicizia umana) è già
determinato dal Pensiero di Dio, da una comunione di interesse per Dio. Tu non
stabilisci un’amicizia con chiunque infatti l’amicizia ideale è quando c’è una
comunione di interessi e se c’è questa comunione di interessi c’è già il
superamento dell’io, c’è il problema di Dio in mezzo. Chi fa l’unità tra le
creature è il Padre. Infatti Gesù prega il Padre affinchè tutti siano una cosa
sola; non dice agli uomini: “Siate una cosa sola”.
Eligio: Prendiamo
Orazio e Mecenate; li univa la passione per le lettere, per la poesia, per la
cultura. Dopo pochi mesi dalla morte di Mecenate, muore Orazio.
Luigi: Li univa un interesse
comune. Quando c’è amicizia basato sul rapporto con Dio, ciò che unisce è Dio,
lì c’è già la vera amicizia. Quando uno è amico di un altro per il problema di
Dio, quando questi mi dice: “Io non mi supero nei riguardi di Dio” e quello che
ha determinato questa amicizia è proprio il problema di Dio, lì c’è il
superamento.
Eligio: È proprio
questo che non riesco a capire.
Luigi: Un rapporto di amicizia
può essere basato su motivi sentimentali, sessuali, motivi economici, di
figura, di ambizione, oppure sul problema di Dio. Ma tu non puoi stabilire
un’amicizia con chi ha il problema di Dio se tu stesso non senti il problema di
Dio. Ora però, in quanto tu porti il problema di Dio, porti in te questo
superamento. C’è un’affinità per cui ti fa scegliere nel campo degli uomini che
portano in sé questa passione. Ti senti vicino Sant’Agostino anche se è vissuto
in un’altra epoca. Chi ti ha portato a scegliere come amico Sant’Agostino è
Dio; e se tu hai lo stesso interesse di Agostino è perché Agostino parla di
quello che gli interessa, perché chiedi a lui quel superamento che forse tu non
riesci ad avere. Ma perché lo chiedi all’amco? Proprio perché amico, magari ci
ha preceduto, e allora lo chiedi a lui.
Eligio: Allora
come giustifichi tutti i tradimenti nei confronti di Dio in nome delle
creature?
Luigi: Fintanto che non arriviamo
alla meta noi siamo sempre in contraddizione. Fintanto che non arriviamo
all’unione con Dio, siccome solo con Dio c’è la permanenza, c’è la stabilità,
noi cadiamo in contraddizione. Questa instabilità è sofferenza perché non è che
lontani da Dio noi siamo felici. Tutti quanti si allontanano da Dio perché Dio
richiede il superamento dell’io, però denunciano la sofferenza, l’infelicità,
l’incoerenza. Anche quando si è in cammino verso Dio, si porta sempre questa
apertura all’incoerenza che è determinata dalla molteplicità. Se in noi ci
fossero anche soltanto due volti, molteplici, prima di arrivare alla
semplificazione in Dio, questa è incoerenza, è sofferenza. Perché la bellezza
della vita, la gioia, deriva dall’unità massima. Quando in noi possiamo vivere
in tutto, unicamente, pensiero, parola, azione, vita, tutto secondo un unico
Pensiero, un unico Spirito, in noi c’è una gioia massima, perché quella è
bellezza. Nel tema: perché la vita è bella? La vita è bella perché è unione, è
unità, è fare l’unità. Però fintanto che non arriviamo a questa unità massima,
sentiamo sempre in noi, d’altronde è la fame di Dio che ci fa soffrire
l’incoerenza, per dirci: “Cammina” è una sollecitazione. L’amicizia
continuamente si controlla. Oggi siamo amici e domani mattina possiamo non più
esserlo perché io stasera, da solo, ti tradisco, non ti sento più amico, sono
già lontano. L’amicizia non è una cosa che si fa, è una cosa che si fa in
continuazione, è un rapporto continuo. Noi a volte immaginiamo che Dio sia come
una statua, ma Dio è vita e in quanto vita richiede una comunione continua. Non
posso dire: “Ho fatto un patto con Dio; mi sono consacrata a Dio: adesso sono a
posto”; no! Tra cinque minuti puoi essere lontanissima da Dio. Continuamente
Dio dialoga con noi e ci chiede qualche cosa perché ci fa vivere. Se non
corrispondiamo ci può essere un’offesa nei riguardi di Dio a noi e noi nei
riguardi di Dio; è una fusione continua, un continuo dare e avere tra l’amico e
l’altro Amico. Addirittura arrivi a non chiedere niente all’amico per non
rischiare di rompere qualcosa, di creare la minima ombra.
Eligio:
Nell’amicizia si cerca soprattutto di dare e non di avere; per questo mi
piacerebbe avere un rapporto sensibile di amicizia con Gesù.
Luigi: Se tu apri qualunque
pagina del Vangelo trovi Gesù che ti chiede di dare; solo che noi nel dare
vediamo solo il sacrificio, il superamento dell’io, l’aspetto negativo e non
vediamo quello positivo. La continua richiesta di dare da parte di Gesù è per
stabilire un’amicizia, un legame forte con noi. Pensando a noi stessi vediamo
solo quello che dobbiamo lasciare invece di vedere quello che dobbiamo dare:
dando vedi quello che guadagni perché dando stabilisci un legame.
Eligio: San Paolo
dice: “Se anche dessi tutto ma non avessi
la carità nulla mi serve”.
Luigi: Si parla di dare soprattutto
come anima, come superamento dell’io. In ogni pagina del Vangelo Gesù ti fa una
proposta che è una richiesta di distacco, di superamento delle stesse
conoscenze che noi abbiamo.
Pinuccia: Come si
fa a rimanere in un sentiero solo?
Luigi: Il sentiero è questo: Dio
parla e parlando stabilisce un legame tra Sé, tra quello che Lui è, e tra
quello che noi siamo. Dio non è distante spazialmente da noi, Dio è vicinissimo
a noi, quindi la distanza di cui noi parliamo è su un altro piano: la distanza
è molteplicità. Più siamo nella molteplicità e più siamo instabili, leggeri,
superficiali perché ognuno di noi, a seconda di quello che porta dentro, può
restare; se dentro abbiamo pochissimo diventiamo incapaci di restare. Dio
stabilisce sempre con noi un contatto (ecco la molteplicità di pensieri) tra
quello che Egli è e quello che noi siamo. Mi viene un pensiero balzano:
immediatamente in quel pensiero lì già c’è Dio che stabilisce un sentiero per
portarmi a ciò che Egli è. Mi viene un pensiero egoistico, un pensiero cattivo,
immediatamente Dio stabilisce un contatto. Dio stabilisce continuamente
contatti con la creatura. Guai se Dio non li stabilisse! Stabilito il contatto,
l’incapacità è di rimanere in quel contatto perché, stabilito il contatto, Lui
già mi invita. In che cosa consiste il contatto? È un superamento; mi chiede di
superare qualcosa di me, è una rinuncia, è un bicchiere d’acqua: il contatto è
già stabilito. Faccio un pensiero: “Ah, se avessi tanto denaro sarei sicuro!”;
immediatamente Dio stabilisce un contatto: “No, il denaro un domani non ti
sosterrà in ciò di cui avrai veramente bisogno”; cioè mi fa vedere il volto
della fragilità di quella sicurezza che io ha posto. Stabilito quello e quindi
invitandomi a superarmi, è lì che io salto da un sentiero all’altro perché già
mi chiede qualche cosa che non mi fa più comodo. Se io accetto e continuo,
quello mi pone il problema di capire qual è la mia vera sicurezza, dove bisogna
andare per trovarla. Vedi che mi pone in movimento? Se ubbidisco a questo
messaggio che Dio mi fa giungere, nel mio errore, continuo, arrivo a Dio;
arrivo a stabilire Dio come centro. Di conseguenza posso affermare: “La mia
sicurezza è Dio”. Ma mettendo Dio come sicurezza scatta il problema di come
fare per arrivare a Dio, per conoscere Dio. Ad un certo momento comincio a
sentire Cristo come amico perché porto in me il problema al quale solo Lui
risponde. Quando gli dicono: “Soli tu hai parole di vita eterna”, lo dicono
perché avevano il problema della vita eterna. Chi non ha in sé il problema
della vita eterna non può dire: “Tu solo hai parole di vita eterna”; in Cristo
vedono un bestemmiatore. Come mai alcuni dicono a Cristo: “Tu sei un
bestemmiatore” ed altri gli dicono: “Tu solo hai parole di vita eterna”? Coloro
che hanno in sé stessi il problema della vita eterna, vedono in Cristo colui
che ha parole di vita eterna. Ma chi è che ha il problema della vita eterna? La
vita eterna è conoscere Dio, quindi è colui che ha desiderio di conoscere Dio.
Ma come si è formato in lui questo desiderio di conoscere Dio? Dio ha stabilito
il contatto e lui ha accettato il sentiero per cui ha capito che la vera vita
sta nel conoscere Dio; soltanto conoscendo Dio si permane, si acquista
sicurezza, si resta con Dio. Allora, avendo accettato quel contatto, cioè
camminando su quel sentiero, si arriva a dire al Cristo: “Tu solo hai parole di
vita eterna”, cioè sei Tu che rispondi al mio problema. Ma bisogna che il
problema si sia formato. Quando Pietro dice: “Tu solo hai parole di vita
eterna”, sente l’amico, lo sente. “Perché volete andarvene anche voi?”. “Da chi
andremo?” vedi che lo sente amico? Ma come lo sente? Lo sente perchè aveva il
problema dentro.
Pinuccia: Per
restare con Dio bisogna assimilare Dio.
Luigi: Sei convinta che ciò che
non è assimilato non può essere trattenuto? Una cosa che non conosciamo non
possiamo trattenerla; cerchiamo di ricordarla con la memoria, facciamo il
disco, ma poi la perdiamo. Soltanto una cosa che noi conosciamo, cioè che
abbiamo assimilata, la tratteniamo.
Pinuccia: C’è
comprensione e comprensione, quella vera è quella che ci mette in contatto con
Dio.
Luigi: Si tratta di assimilare la
verità di Dio; fintanto che non abbiamo assimilato la verità di Dio, non
possiamo restare. Non potendo restare con Dio si verifica la lontananza,
cadiamo nella molteplicità, cioè in questa volubilità.
Pinuccia: Si vive
per assimilare Dio?
Luigi: No, è l’assimilazione di
Dio che ci fa vivere. La vita è permanere con -; non si può restare se non si
assimila. L’assimilazione è il cibo; cibo è tutto ciò che ci dà la possibilità
di vita. Vita è possibilità di comunione con-; noi non abbiamo in noi la
possibilità di comunione per cui soltanto nutrendoci abbiamo la possibilità di
vivere. Quindi soltanto assimilando quello che ti dà Dio, ho la possibilità di
restare con Dio; se non assimilo perdo l’unione con Dio, non resto con Dio,
cado nella molteplicità. Quindi inauguriamo una discesa, una fuga da Dio che
Dio cerca, in tutta la nostra vita, di arrestare cercando di sorprenderci, di
arrestare la nostra fuga. Direi che la nostra vita è un precipitare dal cielo
nella dispersione: la morte è dispersione. La morte di per sé non esiste, è
dispersione, è una molteplicità. Per cui non siamo nemmeno capaci a restare in
un pensiero; come ci fermiamo in un pensiero, ne arriva subito un altro che ci
contraddice; e poi ne arriva un altro: siamo immensamente instabili, è una fuga
continua. La grande pace invece, sta nel potersi fermare per sempre in un unico
pensiero: e questo Pensiero è Dio. Soltanto con Dio noi abbiamo la possibilità
di vedere tutte le cose, tutte le opere di Dio in un unico Spirito. Mentre
nella molteplicità noi passiamo di contraddizione in contraddizione. Ma nella
contraddizione c’è la sofferenza. Ecco che noi assistiamo al frantumarsi della
nostra anima, della nostra coscienza. Un’anima frantumata diventa incapace di
ogni sensibilità, incapace di ogni amicizia, ed è la morte spirituale che è
effetto di questa lontananza. Anche in questa lontananza Dio stabilisce sempre
dei contatti; il cibo che Lui ci dà, ce lo dà adeguato alla nostra capacità di
assimilare. Ma se la nostra capacità di assimilare è pari ad un secondo, Dio ci
dà il cibo per un secondo. Se noi in quel secondo diventiamo capaci di
nutrirci, siamo fedeli nel poco, Dio ci darà il cibo per due secondi. Se siamo
fedeli per due secondi, diventiamo capaci di nutrirci per quattro secondi. E
così abbiamo una progressione di recupero da parte di Dio. Tutte le volte che
invece noi pensiamo al nostro io, manchiamo di fedeltà, anche soltanto per un
secondo, ci disperdiamo in una molteplicità maggiore.
Eligio: Perché il
cibo è assimilazione? Non è una trasformazione?
Luigi: Perché il massimo di
degradazione della vita, è dove l’assimilazione distrugge ciò che assimila.
Mangiando distruggiamo, trasformiamo in noi; il nostro io permane. L’ultima
degradazione dell’assimilazione della vita, siccome la vita è possibilità di
comunione, è la possibilità di comunione senza distruggere l’altro. Lì abbiamo
il massimo della comunione perché abbiamo la permanenza dell’essere. Il grado
infimo di vita di comunione è là dove uno distrugge ciò che assimila. In Dio
non distruggiamo ciò che assimiliamo, in Dio permane. Nel mangiare cosa faccio?
Nell’assimilazione materiale, mangiando distruggiamo; la mela mangiata non c’è
più, restano gli elementi. Nell’ultimo gradino della significazione della vita
la mela è distrutta e il nostro io è affermato. È distrutta proprio perché c’è
l’affermazione dell’io. Invece in Dio l’assimilazione è comunione con Colui che
rimane, non è distrutto: ma richiede il superamento del nostro io. È un
capovolgimento.
Eligio: Allora in
che senso parliamo di assimilazione?
Luigi: Nel pensiero dell’io noi
assimiliamo noi stessi, nel Pensiero di Dio assimiliamo in Dio, siamo assimilati
a Dio: è Dio che ci assimila a Sé. Però l’assimilazione in Dio è molto diversa
dal nostro mangiare naturale. Dio assimilando a Sé ci fa essere, mentre noi
assimilandoci a noi distruggiamo: è lì che vediamo che il nostro io non è vero.
Se io strumentalizzo le creature a me, le distruggo. Se io affermo me stesso,
l’orgoglio, io stesso creo la fuga da coloro che si lasciano strumentalizzare.
Ritorniamo al problema dell’amicizia. Là dove l’ambizione, l’orgoglio, il
denaro, cercano di affermarsi, perdi l’amico. Tu avrai il dipendente, il
lustrascarpe, il violino, ma non hai l’amico. L’io quando assimila distrugge;
Dio quando assimila fa essere. Allora per entrare in questa assimilazione con
Dio: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, si richiede il superamento
dell’io. Dobbiamo lasciarci assimilare da Dio, perché Dio è vita. Per questo
dico che è Dio che chiede a noi il superamento di noi stessi. Perché non
possiamo conoscere Dio se non superiamo noi stessi e il superamento avviene
anche là dove noi siamo molto dispersi, dove Dio stabilisce un contatto con la
nostra lontananza. Ci chiederà la fedeltà soltanto in un istante, in cinque
minuti, o in cinque secondi ma ci chiede il superamento dell’io. Tutto ciò che
riguarda Dio per essere ricevuto, richiede sempre il superamento dell’io.
Infatti Gesù non dice: “Io ero ricco” ma dice: “Io ero povero, malato” perché?
Perché nel povero, nel malato c’è sempre il superamento. “Quando fai un pranzo,
non invitare gli amici, i parenti, invita i poveri, i ciechi, i malati perché
non ti possono dare la ricompensa. Allora grande sarà la tua ricompensa presso
Dio”. Andiamo a fondo: c’è il superamento dell’io, del pensiero di me stesso.
Qual è la ricompensa di cui parla Gesù? L’attrazione: dando un bicchiere
d’acqua per Dio, ricevi attrazione per Dio. L’hai fatto per gli uomini? Hai già
ricevuto la tua ricompensa, non sei più attratto da Dio. Tutt’al più
reclamerai: “Ho invitato il tale e non è stato riconoscente”, ti offendi. In
questo caso non è scattata in te l’attrazione per Dio. Mentre se fai qualche
cosa per Dio, non ricevi la ricompensa umana, ma resti attratto da Dio per
quello che hai fatto. Questa attrazione per Dio, che è azione di recupero, ci
avvia sul sentiero. Quando Gesù dice: “Nemmeno
un bicchiere d’acqua andrà perduto” vuol dire che un semplice bicchiere
d’acqua dato senza pensare a noi stessi, dato nel Pensiero di Dio, già quello
ci avvia sul sentiero del recupero del suo Pensiero. Ora, Dio in continuazione
ci pone questi argomenti, questa fedeltà nel poco perché chi è fedele nel poco
arriverà ad essere fedele nel molto. Se non sei capace ad essere fedele nel
poco come potrai sperare di ottenere il molto?
Pinuccia: Il cibo è
assimilare le parole che Dio ci manda, se lo raccolgo in Dio mi nutro; questo nutrimento
mi porta pian piano alla conoscenza di Dio. oppure il raccogliere è già vivere?
Luigi: Vivere è contemplare in
Dio, è restare in Dio. Assimilare in realtà è un essere assimilati; non siamo
noi che assimiliamo Dio in noi. Sant’Agostino ha un’espressione molto bella;
Dio gli dice: “Cresci e mi mangerai perché non sei tu che devi trasformare Me
in te, ma sono Io che devo trasformare te in Me”. Quindi l’assimilazione in Dio
è Dio che ci trasforma in Sé. Faremo tutti una cosa sola. Per cui Dio ci trasforma
in Sé. In termini umani quando diciamo assimilazione intendiamo nel pensiero
del nostro io: mangiamo per vivere (abbiamo il pensiero del nostro io al
centro). Questo mangiare ci mantiene nella possibilità perché se Dio non si
facesse cibo per noi, prendendo anche la forma di mela, siccome noi da soli non
stiamo su, Dio solo ha la vita in Sé, se la vita è comunione, la vita si
mantiene in noi nella misura in cui comunichiamo. Ma se io sono egoista, se Dio
non mi offrisse qualche cosa da mangiare, per entrare in comunione con me, io
muoio. Dio vive da solo, noi no! O noi impariamo a fare comunione, superando il
pensiero del nostro io, viviamo in Dio; o non impariamo e Dio non si abbassa a
farsi cibo per noi, e noi moriamo immediatamente. Ci disperdiamo perché la
morte non esiste come annullamento. Ciò che Dio ha voluto, l’ha voluto
eternamente. Noi esistiamo non per un atto nostro ma per volontà di Dio che è
eterna. Non che Dio voglia e poi non voglia più, Dio non è nel tempo. Allora in
quanto Dio ci ha voluti, non ci ha voluti nel tempo, non esiste il tempo in
Lui, quindi la sua creazione è eterna, noi saremo sempre. Però possiamo essere
nell’unione con Dio oppure possiamo essere dispersi nella molteplicità, che è
morte. Infatti se ti suicidi non ti annulli, resti disperso perché hai commesso
un atto personale; non è che non soffrirai più, anzi, soffrirai di più perché
la meta, la conclusione è la massima unità. Unificando tutto in Dio troviamo la
nostra pace.
Pinuccia: Dio mi
propone tanti cibi…
Luigi: Si, ma Dio non si
sottomette a noi per l’eternità. Vedi che c’è un processo di esaurimento della
sottomissione? Cristo ci rivela proprio questa concessione; Cristo essendo Dio,
non poteva essere uomo, quindi è una concessione da parte di Dio il fatto che il
Verbo si sia fatto uomo e ci rivela tutto il Pensiero di Dio nella creazione, è
Dio che si concede. Ecco perché dico che il Cristo è rivelazione di quello che
avviene nella nostra vita tutti i giorni perché ogni uomo è problema con Dio.
Anche tutti i problemi psicologici si risolvono solo con Dio; l’anima di tutti
i problemi è il rapporto con Dio. Il Cristo ci rivela questa concessione; ma il
Cristo non resta. Dio si concede per salvarci, stabilisce i contatti, si fa
cibo ma bisogna camminare in fretta per capire. Il pane che oggi Cristo mi
moltiplica non me lo moltiplicherà più domani. Se oggi andassi a chiedere a
Gesù che mi moltiplicasse il pane come ha fatto ieri, Lui mi rimprovererebbe.
“Te l’ho dato affinché tu capissi il segno, quello che dovevi cercare prima di
tutto”. Dio opera nel nostro mondo dandoci il pane, ecco il cibo, ma dobbiamo
affrettarci perché se il giorno dopo noi gli chiediamo di nuovo quel pane lì,
Lui ci rimprovera, ci ammonisce perché la vita non sta lì, c’è un altro pane.
Quindi Io ti ho dato questo pane affinché tu capissi qual è il pane che devi
cercare: quello che rimane per la vita eterna. Vedi che la concessione è
transitoria? Per darci la possibilità di arrivare al dono eterno. La parola è
transitoria per condurci al pensiero. Ma se non arriviamo al pensiero e
chiediamo continuamente: “Mi ripeti quella parola?”, Lui non te la ripete più
perché dovevi passare al pensiero. La parola era mezzo per arrivare al
pensiero, a quel possesso, a quella contemplazione.
Cina: Dio mi offre la sua
amicizia. Però non deve solo essere un’offerta….
Luigi: Perché non resti solo
un’offerta di amicizia. Guarda che Dio ci offre la sua amicizia anche nel male;
in tutti i mali in cui ci troviamo Dio stabilisce un contatto, un sentiero con
noi. L’importante è che noi accettiamo la sua offerta: “Vuoi essere mio
amico?”, noi possiamo accettare o rifiutare. L’importante è che accettiamo. Lui
l’amicizia ce la offre anche se siamo nel massimo del peccato, nel massimo
delle colpe, Lui viene ad offrirci la sua amicizia.
Cina: Dio mi offre la sua
amicizia in mille modi se io resto nel suo ascolto ..
Luigi: Da parte di Dio l’offerta
rimane, per cui mi rimane il ricordo: “Dio mi aveva offerto la sua amicizia,
sempre ma sono io che non l’ho accettata”. In tutte le cose, anche nel male,
nel peccato, Dio ci offre sempre la sua amicizia, l’offerta c’è, arriva, può
darsi che accettiamo o può darsi che non accettiamo questa amicizia.
Pinuccia:
L’importante è ricordarci che è Dio che si fa strada, per poter camminare su questa
strada e poi che tutto è dono suo.
Luigi: Si, l’importante è
ricordarcelo perché se non lo sappiamo, vediamo solo l’avvenimento, le
creature, gli sbagli. Magari ci fidiamo dei nostri sbagli, non vediamo
l’apertura a Dio che c’è nel mio sbaglio. Anche nel male, non vediamo ciò che
il male ci apre di amicizia verso Dio. Ci vediamo soltanto il nostro male;
vediamo l’avvenimento nel pensiero del nostro io, è solo impressione nostra.
Invece dobbiamo vedere l’apertura perché in tutte le cose ci sono sempre questi
due aspetti: l’aspetto riguardante il nostro io e l’apertura verso, l’interesse
verso. Però dobbiamo ricordarci di non vedere solo l’avvenimento, l’io con quel
fatto lì; l’io con quella creatura, l’io con quell’avvenimento. No, dobbiamo
sempre vedere nella cosa la parola di Dio, l’apertura a Dio, il richiamo di
Dio, quello che ci sollecita.
Baggia: Per me
l’amicizia intesa in questo modo è un concetto nuovo; avevo capito che dovevo
cercare la conoscenza di Dio.
Luigi: Certo, ma cercando la
conoscenza si instaura un rapporto di amicizia che è una coseguenza. Tu come
diventi amico di un altro? prima lo incontri, poi scopri che avete degli
interessi in comune; che quell’amico è generoso, è interessante, dal desiderio
nasce la comunione. La vita è comunione dalla quale scaturisce l’amicizia.
Baggia: C’è una
contraddizione tra il fatto che Dio si fa cibo e che Dio è Colui che ci
assimila.
Luigi: Nel pensiero del nostro io
c’è un’assimilazione e una dissoluzione. Il cibo è Dio in quanto è Dio che si
fa cibo per noi per darci la possibilità di superarci e di entrare in comunione
con Lui: abbiamo una circolarità. Abbiamo detto che Cristo stesso è
concessione, è Dio che si concede, che si fa cibo per mantenerci la possibilità
di superarci altrimenti non avremmo questa possibilità. Noi muoriamo in
continuazione se Dio non ci mantiene. Ma come ci mantiene? Attraverso questa
concessione. Ce la mantiene per un po’ di tempo, se noi impariamo la lezione.
La lezione grande è quella di superare noi stessi per entrare nella vita con
Dio. In caso diverso, abbiamo Dio che ci offre continuamente questa amicizia
per mantenerci nella possibilità di superarci ma non è detto che noi mangiando
viviamo: possiamo anche non imparare a vivere. La vita inizia soltanto nel
momento in cui noi cominciamo a superare noi stessi per mettere Dio prima di
tutto.
Eligio: Come è
possibile che mangiando Dio non impariamo ad assimilare tenendo presente che
nessuno ci costringe a farlo.
Luigi: Proprio perché nessuno ci
costringe, nemmeno Dio ci costringe, noi possiamo mangiare il cibo di Dio
sfruttando la terra. “Perché questo
albero sfrutta la terra e non produce frutti?”.
Eligio: Si ma
nutrirci spiritualmente dello Spirito di Dio e non assimilarlo?
Luigi: Teniamo presente che il
cibo che Dio ci offre, anche spiritualmente, per mantenerci in vita, è sempre
relativo al nostro Dio, è Dio che parla nel pensiero del nostro io. Abbiamo un
duplice aspetto da parte del cibo; per cui possiamo leggere il Vangelo,
interessarci delle cose di Dio, ma fermarci a certi modi di essere, a gustare
certe espressioni e non fare il superamento dell’io per cui ho ascoltato la
parola ma poi non ho cominciato a vivere.
Eligio: Quello
non è il cibo spirituale che fa crescere l’anima.
Luigi: Il cibo è quello che ci dà
la possibilità, non ci fa vivere. Non posso arrivare a Dio se non supero me
stesso; ma se non supero me stesso, muoio; muoio se Dio non si concede. Dio si
concede per mantenere me stesso nella possibilità di superarmi. Che io mangi la
mela o che mangi la parola di Dio, è la stessa cosa perché anche la mela è una
parola di Dio, ho soltanto la possibilità di cominciare a vivere, non posso
vivere. Nella vera vita, non nasciamo se non vogliamo nascere. In questa vita
nasciamo anche se non lo vogliamo, ci troviamo vivi e nessuno ci ha chiesto se
volevamo nascere. Ma con Dio, Dio ce lo chiede in continuazione: “Vuoi
nascere?”. Ma come ci chiederebbe se vogliamo nascere se non ci facesse essere?
E come ci fa essere? Sottomettendosi, dandoci cibo suo ci interroga: “Io ti ho
messo nella possibilità di vivere, adesso vuoi vivere?”. Quindi dandoci da
mangiare ci mette nella possibilità di essere interrogati se vogliamo vivere.
Se vogliamo vivere ci impegna a superare noi stessi e lì cominciamo a vivere.
Ma fintanto che non superiamo noi stessi ci nutriamo di Dio ma non entriamo
nella vita.
Eligio: Adesso è
chiaro.
Pinuccia: Ma come
nutriri di Dio non ci fa entrare nella vita? Allora non è un vero nutrimento.
Luigi: Allora se parliamo del
nutrimento si richiede il superamento: il nutrimento richiede il superamento.
Emma: Accumuliamo solo nozioni.
Ines: L’interesse per Dio è più
importante di tutto.
Luigi: Certo, perché se uno non
ha capito che nella sua vita deve avere interesse per Dio, manca l’anima.
Ines: Infatti sperimentiamo che
se viviamo per altro da Dio andiamo di delusione in delusione.
Luigi: Questa delusione è
sentiero che Dio traccia per prendere contatto con noi; perché nella delusione
c’è il richiamo.
Ines: Affinché ci sia l’amicizia
con Dio ci deve essere questa lotta.
Luigi: Il superamento del
pensiero di noi stessi.
Ines: Del cibo non ho capito
niente perché parlate troppo difficile.
Pinuccia: Gesù dice
di cercare il cibo che non passa.
Luigi: Sai cosa vuol dire
mangiare? E per che cosa mangi? Per vivere. Non vivi per mangiare, non si può
vivere per mangiare; è sbagliato vivere per mangiare. Ma certamente mangi per
vivere. Dio ci concede il cibo per darci la possibilità di vivere; ma la
condizione per vivere è quella di superare noi stessi. Soltanto superando noi
stessi perché nel pensiero del nostro io muoriamo. Se una persona vive per
mangiare, non resta sempre allo stesso livello! Perde sempre di più perché
certamente arriverà un giorno che non potrà più mangiare, imparare a vivere non
ha imparato ed è finita! Il Signore ci dà da mangiare perché impariamo a vivere
ma dobbiamo affrettarci perché se invece pensiamo solo a mangiare, certamente
arriva un giorno in cui mangiamo sempre di meno, sempre di meno fino a che non
potremo più mangiare. Ed è finito tutto perché non abbiamo imparato la lezione
che dovevamo imparare fintanto che Dio, dandoci da mangiare, ci manteneva in
vita. Vedi che c’è un problema di passaggio? La Pasqua: passaggio dalle cose
materiali alle cose dello Spirito, passaggio dal pensiero del nostro io al
Pensiero di Dio; però è richiesto questo superamento. Per cui abbiamo un cibo
che serve soltanto a mantenerci nella possibilità di capire che dobbiamo
superarci per qualcosaltro.
Baggia: Il
problema nostro è che saltiamo da un sentiero all’altro. Speriamo che Dio ci
dia sempre il cibo.
Luigi: Dio dice: “Ci vuole tanta
pazienza, nel regno di Dio si entra con pazienza”. Per entrare nel regno di Dio
non si schiaccia un bottone, è solo qui che si entra schiacciando un bottone.
Quindi non dobbiamo dire: “Come faccio?!”. Tu oggi capirai la lezione di una
persona che ti parla di Dio, capisci la lezione del villano, a poco per volta,
se tu hai pazienza, arrivi a capire tutto del regno di Dio perché anche gli
uccelli parlano a noi di Dio, dice il Signore, perché si ricovereranno anche
loro su questo albero del regno di Dio che è cresciuto tanto. Si parte da un
granello di senapa e si arriva ad un albero grandioso.
Emma: A me danno fastidio ste
persone che vivono per il denaro, perché il tempo è denaro.
Luigi: Ma perché ti deve
disturbare? Dio le sopporta queste creature? E se le sopporta Dio perché tu non
le dovresti sopportare? Pensa quanta pazienza Dio ha con noi, quanto ci
sopporta. E perché non dobbiamo sopportare gli altri? Il Signore ci dice: “Guarda che Io ti sopporto nella misura in
cui tu sopporti gli altri”. “Perdona a noi come noi perdoniamo agli altri”
ci fa dire Gesù nel Padre nostro. “Con la misura con cui misurate sarete misurati”,
quindi in tutto ci conviene essere molto generosi, molto pazienti perché Dio
sarà anche molto generoso, molto paziente con noi. Certamente Dio ci sopporta;
se Dio sopporta noi e noi sappiamo di che pasta siamo, a maggior ragione noi
dobbiamo sopportare gli altri. Non dobbiamo sopportare solo quello che ci
accarezza, ma anche chi ci dà una pedata.