« In quel
momento arrivarono i suoi e si meravigliarono che parlasse con una donna.
Nessuno però gli chiese: che cerchi? O di che parli con lei? Ma la donna lasciò
la sua brocca e andò in città a dire a quella gente: Venite a vedere un uomo il quale mi ha
detto tutto quello che ho fatto: Che sia il Cristo? Uscirono pertanto dalla città e andarono da
Lui. In quel frattempo i discepoli lo pregavano: Maestro, mangia. Ma egli
rispose loro: Io mi nutro di un cibo che voi non conoscete». ». Gv 4 Vs 27-34
Titolo: “Un cibo che voi
non conoscete”.
Argomenti: Il fraintendere di
discepoli e samaritana. La preoccupazione principale. La vita del corpo e la
vita dell’anima. La vita essenziale è quella dell’anima. Ascolto e visione. Il cibo è mezzo per arrivare
alla presenza. L’assimilazione spirituale. La veglia e il superamento dell’io. Il pane e la fame sono
opera di Dio. Conoscere il nome di Dio è possederlo. L’opera di Cristo: il
pane. L’opera del Padre: la fame. La funzione della chiesa. “Nessuno può venire
a Me se non è attratto dal Padre”. La differenza tra cibo materiale e
spirituale.
3/Luglio/1977
Dall'esposizione
di Luigi Bracco:
Siamo sempre
nell'episodio della samaritana e come abbiamo visto la volta scorsa, dopo che
Gesù disse: “Sono Io che parlo con te”, nel frattempo giunsero i
discepoli, la donna parte lasciando l'elemento caratteristico di tutta la
scena, dimenticando l'anfora al pozzo. Il Vangelo ce lo presenta così: «Nel
frattempo arrivarono i discepoli e si meravigliarono che parlasse con una
donna. Nessuno però gli domandò: che desideri? O perché parli con lei? Allora
la donna lasciò la sua anfora e corse alla città a dire alla gente: venite a
vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto: che sia il Cristo? Uscirono
dalla città e vennero da Lui. Nel frattempo i discepoli lo pregavano: Maestro,
mangia. Ma Egli rispose loro: Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete.
I discepoli si dicevano perciò gli uni gli altri: che qualcuno gli abbia
portato da mangiare? Gesù disse loro: Mio cibo è fare la volontà di Colui che
mi ha mandato e portare a termine l'opera sua ».
Nella prima
ora come spunto alla nostra meditazione suggerirei di accostare a questo: “Io
ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”, queste frasi della Bibbia:
-
nel Vangelo di San Giovanni, nel capitolo VI Gesù
rimproverando la gente che era venuto a cercarlo dopo la moltiplicazione dei
pani, dice loro: “Affaticatevi non per il pane che passa, ma per il pane che
non passa”, cioè preoccupatevi non di avere il pane che passa, ma
affaticatevi per avere il pane che non passa.
-
Nel discorso della montagna Gesù dice: “Non
preoccupatevi del mangiare e del vestire ma cercate prima di tutto il Regno di
Dio perché del mangiare e del vestire se ne preoccupano i pagani, voi cercate
il Regno di Dio”.
-
Nella Genesi c'è una frase dopo il peccato originale il
Signore dice ad Adamo: “d'ora in poi mangerai il tuo pane col sudore del
volto, della fronte”.
Silvana: Al cibo di
cui il corpo ha assolutamente bisogno per vivere Cristo contrappone un altro
cibo come soluzione per poter vivere veramente: l'importante è capire che cos'è
questo cibo che sostituisce l'altro ed è essenziale per la vita spirituale. Non
solo ma sarà un cibo che elimina il problema dell'altro cibo, infatti Gesù
rifiuta il cibo materiale perché dice di dover mangiare il
cibo spirituale.
Luigi: Però tutti e due i cibi
non li ha creati il Signore? Questo non ti pone un problema? Tu dici che il
cibo spirituale elimina il cibo materiale. Non ti è venuto in mente di fare il
parallelo tra le due acque e i due cibi? Gesù con la samaritana parla delle due
acque e qui presenta i due cibi. La volta scorsa abbiamo riflettuto sul fatto
che quando il Signore ci presenta il due, le due cose, ha uno scopo perché quando ci troviamo di fronte ad una cosa sola
siamo tranquilli, in pace, ma quando siamo messi di fronte a due cose siamo di
fronte ad una scelta per cui corriamo anche il rischio che se non scegliamo, di
morire di fame (esempio dell'asino di Buridano che davanti a due mucchi di
fieno, indeciso, muore di fame pur avendo due mucchi di fieno a disposizione
per mangiare). Ora, come mai qui il Signore sia con la samaritana, sia adesso
con i discepoli presenta il due.
Silvana: Ho pensato che il Signore
ci proponesse un problema di ricerca nel conoscere questo cibo.
Luigi: Certo, per metterci in
movimento verso qualcosa che ancora non conosciamo. Come per la samaritana ci
sono le due acque, per cui la samaritana si trova davanti ad un problema che
ancora non conosce. Però hai notato come sia i discepoli che la samaritana si
trovano in difficoltà. La samaritana fraintende l'acqua di cui parla il Signore
infatti dice: “Come puoi tu attingere l'acqua se il pozzo è profondo e non ha i
mezzi per attingere?”. E qui i discepoli lo stesso: “Che qualcuno gli abbia
portato da mangiare?”; vedi che fraintendono? Per cui non basta essere
discepoli per intendere veramente. C'è un parallelismo molto ristretto tra la
samaritana e i discepoli.
Emma:
Noi dobbiamo considerarci in tutto, sempre dipendenti da Dio e non
preoccuparci; siamo strumenti nelle mani di Dio. Gesù ha rimproverato la gente
che accorreva a Lui in seguito del miracolo della moltiplicazione dei pani
perché non aveva capito il significato del segno...
Luigi: Siccome tu dici che la gente per la quale il Signore ha
moltiplicato i pani non ha capito il segno, non hai pensato che il Signore ogni
giorno moltiplica per ognuno di noi il pane e che noi siamo tenuti a capire il
segno di quello che Lui fa, perché tutti i giorni noi mangiamo! Non possiamo
mica fare a meno di mangiare! A meno di un'eccezione perché noi siamo
essenzialmente bisogno. Quando il Signore moltiplica i pani dice che ha pietà
di quella folla “ perché se li rimando verranno meno per strada”. Il che vuol
dire che se noi ci stacchiamo dal Signore o se il Signore ci stacca da Sé, noi
veniamo meno per strada; il cibo è per sostenerci lungo la strada. Certo che se
siamo arrivati alla meta, non c'è più bisogno del cibo. Il cibo è lungo la
strada! Perché non siamo ancora arrivati e allora ne abbiamo ancora bisogno. Se
siamo ancora lungo la strada, se ci viene a mancare il cibo materiale, noi
moriamo perché è un sostegno momentaneo, transitorio di cui dobbiamo capire il
significato. Allora più che farne a meno, non dobbiamo preoccuparci di fare a
meno del mangiare, del vestire, quanto intendere il significato del mangiare e
del vestire; passare alla ricerca di quello che esso significa.
Emma:
La fiducia in Dio non ci fa preoccupare del mangiare e del vestire..
Luigi: Certo, i pagani si preoccupa di questo. Noi
possiamo non preoccuparci, solo se abbiamo una preoccupazione maggiore. Ma se
non abbiamo una preoccupazione maggiore, non possiamo farne a meno. È la
preoccupazione maggiore che supplisce; soltanto trovando una preoccupazione
maggiore allora si riesca a superare quella minore. In caso diverso no! Noi
siamo in balìa degli eventi. La stessa cosa succede nei pensieri. Se noi non
abbiamo un pensiero principale che assorbe la nostra mente, noi siamo in balìa
di tutte le stupidaggini, dei rumori della strada, e quelli ci portano via, noi
non possiamo mica resistere! Si riesce soltanto se uno ha una preoccupazione
principale, ma se uno non ha una preoccupazione principale, resta disturbato;
noi non siamo i padroni dei nostri pensieri come non siamo padroni nemmeno di
resistere agli stimoli della fame, o dei bisogni del corpo. Quando tu sei
malata, senti i dolori del corpo.
Nino:
Noi dobbiamo credere alla parola di Gesù: “Non preoccupatevi del mangiare e del
vestire”. Nel momento in cui gli crediamo, il bisogno corporale, viene
soddisfatto da Lui.
Luigi: Però non basta che il Signore ci dica di non preoccuparci, perché
se io sto lì, non faccio niente e aspetto che mi arrivi il pane, il pane non mi
arriva! Il pane ti arriva soltanto se tu ti preoccupi. Perché Gesù dice: “Non
preoccuparti del mangiare e del vestire ma datti da fare per cercare prima di
tutto il regno di Dio!”. C'è il negativo per metterti in evidenza il positivo.
Nino:
Quando Gesù dice: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” vuol dire che tutti i
giorni noi dobbiamo chiedere il pane..
Luigi: Lì si tratta di un pane spirituale perché questa frase mette in
crisi l'altra frase della Genesi che dice: “Ti guadagnerai il pane con il
sudore della tua fronte” mette in crisi una nostra concezione comune di
mangiare il pane con il sudore della nostra fronte. Gesù ci dice: “Non
affaticatevi per il pane che passa ma affaticatevi per il pane che non passa”.
Anche
quando parla di povertà Gesù intende non di essere povero ma di essere
disponibile per, perché se sei appassionato per una cosa, non puoi essere
disponibile per altro. Ma le parole di Cristo vanno sempre viste in un contesto
positivo anche quando dice: “Chiedete e vi sarà dato, domandate, bussate”, noi
diciamo: “Ma io ho bussato ma non ho ricevuto!”. Stai attento al positivo, che
cosa ti dice Gesù di chiedere, di cercare? “Cerca prima di tutto il regno di
Dio” e poi aggiunge: “Cercate e troverete” a colui che lo vuole. Ma se io cerco
altro evidentemente la mia preghiera non è soddisfatta. Di questo io non debbo
accusare il Signore ma è la mia stessa stoltezza che non è stata attente a quel
positivo.
Cina:
È la parola di Dio che rinforza l'anima e ci orienta al fine per il quale siamo
stati creati.
Luigi: Si, tu hai fatto un parallelo tra come nel corpo,
così è nell'anima. Però tenendo presente quei tre punti in cui il Signore dice:
“Non preoccuparti del cibo che passa ma affaticati per il cibo che non passa” a
me sembra che il Signore deprezzi una certa vita, ad esempio la vita del corpo;
la declassi e dà per scontato che c'è la vita del corpo e c'è la vita
dell'anima. Quindi dobbiamo preoccuparci per mantenere il corpo e dobbiamo
preoccuparci di mantenere l'anima. Non lo vedo nello spirito del Signore
questo. Mi sembra che il Signore deprezzi, declassi la preoccupazione della
vita del corpo infatti dice: “Non preoccupatevi, il Padre vostro sa di quali
cose avete bisogno”. Cioè dovete sgombrare il terreno per poter essere
disponibili per Dio, tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù. Colui che ti ha
creato dal niente, può ancora benissimo mantenerti. È tutto disposto per
mantenerti. Quindi non darti pensiero per quello! Non vedi gli uccelli
dell'aria, i gigli dei campi? Forse si preoccupano dei magazzini o altro? No!
Eppure guardate, il Padre vostro provvede! Forse voi siete meno importanti di
loro? E come mai vi assillate per il problema del mangiare, del vestire ecc, e
dite: “Abbiamo il corpo e abbiamo anche
l'anima”, però mentre diciamo che abbiamo un corpo e che lo dobbiamo curare
intanto il tempo passa. Perché mentre mi curo del corpo, mi accorgo che la mia
vita è finita, non ho più tempo. Non possiamo contemporaneamente curare una
cosa e curare anche l'altra. Soltanto se siamo sicuri che il Signore provvede a
tutto il resto noi possiamo renderci disponibili per qualcos'altro, altrimenti
io dico: “Prima faccio questo e poi farò quell'altro ma questo qui mi preme”.
Solo che mentre uno dice: “Questo mi preme” la giornata è finita. E quando io
spero nell'aver sistemato tutto il resto per poter arrivare ad essere
disponibile per i veri valori dello spirito, il Signore ti toglie la
possibilità. Anche qui è una lezione da capire. Dio infatti non mi aveva detto:
“Sistema prima il tuo corpo e poi...”, no! Mi aveva detto: “Non preoccuparti”
perché in un modo o nell'altro la faccenda si risolve. Come quel tale che dice
a Gesù: “Lascia prima che vada a seppellire mio padre..” Gesù gli risponde:
“No, lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Tu va e annuncia il regno
di Dio. Perché chiunque mette mano all'aratro e poi si volge indietro non è
adatto al regno di Dio”. Anche qui abbiamo una nettezza! “Una cosa sola è
necessaria”. Il Signore poteva anche dire a Maria: “Dà un aiuto a Marta, poi
appena avrete terminato i vostri lavori, verrete qui e io parlerò a tutte e
due”, perché non dice questo, eppure bisogna anche mangiare. I corpi hanno
anche loro dei diritti. No, anzi rimprovera Marta. Tutte queste lezioni
dobbiamo tenere molto presente perché è parola di Dio. Anche gli stessi
discepoli si preoccupano dicendo: “Non è giusto che noi lasciamo la preghiera
per occuparci delle mense”. Quindi non dobbiamo mettere sullo stesso piano il
corpo e l'anima. C'è solo una vita ed è quella a cui dobbiamo tendere. L'uomo
vive in quanto si convince che una sola è la vita. Non c'è la vita del corpo e
quella dell'anima: una sola è la vita. Anche per la strada: una sola è la meta.
Se uno vuole arrivare ad un certo punto trova la strada e la percorre. Se
invece uno non sa la meta, si perde per strada. C'è una vita sola, bisogna
convincersene, solo così si riesce a vivere in caso diverso no.
Eligio: Ai discepoli che dicono a Gesù: “Mangia”, Lui risponde: “Io ho da
mangiare un cibo che voi non conoscete”; qui si vede chiaro il parallelismo con
la samaritana. Gesù contrappone al cibo che ci nutre fisicamente il cibo che ci
sostiene spiritualmente. Per il corpo scegliamo i cibi più appropriati a
maggior ragione dovremmo fare per l'anima...
Luigi: I pranzetti spirituali di cui parla S. Agostino.
Bisogna fare i pranzetti dello spirito. Comunque ritornando alla scena del
vangelo, troviamo gli apostoli e Gesù che avevano fatto tutto un cammino, erano
stanchi; anche Gesù era stanco per cui aveva bisogno di mangiare, per questo i
discepoli lo esortano a cibarsi. Tutto quello che avviene nei vangeli, negli
episodi, c'è sempre un riflesso personale per ognuno di noi, c'è una lezione
per ognuno di noi. In questa scena i discepoli si preoccupano di Gesù quindi
rispecchia il nostro atteggiamento quando ci preoccupiamo di quello che sta a
cuore a noi. Gesù risponde che ha da mangiare un altro cibo. È la stessa
risposta che dà ai farisei quando gli pongono la questione del pagamento delle
imposte: una problema di giustizia. “Dobbiamo pagare il tributo a Cesare?”, per
i farisei era un problema di giustizia ma Gesù dice: “Di chi è questa moneta
del tributo?”, “È di Cesare”, “Allora datela a Cesare, ma date a Dio quello che
è di Dio”. Cioè noi facciamo sempre delle questioni materiali e lui
continuamente ci riporta a Dio. Come abbiamo letto nell'ultima preghiera:
“Fintanto che ero con loro li custodivo nel tuo nome”, come il pastore che
custodisce il gregge che tende a disperdersi e il cane pastore continuamente va
a riprenderle: così è l'opera del Cristo. Noi continuamente tendiamo a
disperderci nei problemi materiali e facciamo dei problemi materiali la nostra
vita. Per cui viviamo per mangiare e Gesù ci riporta sul piano dello spirito.
Ma Lui lo fa con sua madre, con i suoi parenti, con i suoi discepoli, con i
farisei, lo fa sempre. Tutte le volte che gli pongono un problema di giustizia,
Gesù dice che la vita non sta lì. “Perché mi cercavate, non sapevate che io mi
trovo nelle cose del Padre mio?”, continuamente ci riporta al problema
essenziale. Quindi voi fare questione di giustizia terrena,ma guardate che vi
dovete preoccupare di ben altra giustizia. Vi preoccupate del mangiare? Vi
dovete preoccupare di ben altro cibo, cioè ci riporta sempre su un altro piano.
Quasi a dirci che la vita essenziale è quella spirituale, mentre quella
materiale in un modo o nell'altro si risolve sempre, la puoi risolvere con un
piatto di polenta o con un piatto succulento. È un problema di cammino, di strada,
di questo non ti devi preoccupare. Quello di cui essenzialmente ti devi
preoccupare, perché se non ti preoccupi certamente non arriva, mentre quello
del mangiare arriva, ma i problemi dello spirito certamente non arriva se tu
non ti dai da fare. È lì l'essenziale perché non c'è nessuno che lo può
risolvere per te. Il problema del mangiare materiale tutti lo possono risolvere
per te, quello dello spirito nessuno lo può risolvere se tu stesso non ti
preoccupi di quello. Per questo il richiamo è forte e chiaro: è necessario
l'impegno personale.
Eligio: Questo brano mi impegna ad approfondire di più il significato del
cibo spirituale.
Luigi: Parlando della samaritana abbiamo detto che noi
siamo sollecitati dalla parola che arriva a noi, che ascoltiamo, siamo
sollecitati ad ascoltare Colui che parla e quando ascoltiamo Colui che parla al
nostro orecchio e lo vediamo, noi siamo in pace. Il problema si dovrebbe
risolvere tutto tra l'orecchio e l'occhio. Cioè l'occhio tende a contemplare, a
vedere quello che giunge al nostro orecchio, infatti il problema della
samaritana si conclude tutto con il problema tra orecchio e occhio: “Sono io
che parlo con te”. Questo problema: “Sono io che parlo con te” è tutto
incentrato sulla presenza. Ora, tutto il discorso che Gesù ha fatto con la
samaritana, l'ha fatto partendo da una sollecitazione: “Dammi da bere”, per
portarla a vedere Colui che stava parlando con lei. Fintanto che noi non
vediamo Colui che parla con noi siamo inquieti. L'inquietudine del rumore che
giunge a noi per cui sentiamo parlare (l'orecchio) e subito andiamo alla
ricerca del chi è che parla. Quando finalmente vediamo colui che ha parlato
siamo in pace (l'occhio). Qui il problema è più approfondito in quanto
introduce la bocca, il mangiare. Come mai, non basta l'orecchio e l'occhio? Ci
vuole anche la bocca? Ci invita ad approfondire di più l'aspetto del mangiare,
spiritualmente parlando. In che cosa consiste questo mangiare? La vita è
essenzialmente partecipazione e quindi è comunione. Ora, per poter restare alla
presenza di, bisogna mangiare perché se io non mangio (ecco perché c'è “ut unum
sint” affinché siano tutti una cosa sola), è vero che il mio occhio si riposa
se vede colui che parla, ma Colui che parla con me, non resta con me, se io non
lo “mangio”, se non riesco a fare una cosa sola. Perché io vedo Colui che mi
parla, ma mentre mi parla, si allontana, sfuma; non riesco a mantenere l'unione
con Lui. Bisogna che si crei una situazione... (ne parleremo dopo).
Emma: “Se tu conoscessi il dono
di Dio” e il cibo di cui parla qui Gesù, sono la stessa cosa?
Luigi: No, io
escluderei che siano la stessa cosa; si mangia per arrivare. Gesù stesso dice
quando moltiplica i pani “Affinché non vengano meno per strada” quindi il cibo
è un mezzo per arrivare alla presenza, al possesso. Perché fintanto che non
arriviamo lì abbiamo bisogno del cibo. Il cibo, dobbiamo tenere presente, è
cibo in quanto è proporzionato alle capacità di assimilazione di ognuno. Al
bambino si dà un certo cibo, all'adulto se ne dà un altro, dice San Paolo.
Quindi, il bambino si nutre di latte, l'uomo adulto si nutre di pane e carne.
Gesù stesso dice: “Non date le vostre perle ai cani”, perché “non dare”? Perché
il cibo va proporzionato. L'amore sta proprio in questo: proporzionare il cibo alla
fame di ognuno. Per cui se uno dà un cibo troppo forte a chi non ha la capacità
di assimilare, lo danneggia. Nutre soltanto quel cibo che può essere
assimilato; il cibo che non è assimilato, ingolfa, crea indigestione. Ci vuole
il cibo, ma bisogna che ci sia la fame adeguata; per cui il cibo va
proporzionato. Dio opera attraverso tutta la creazione, ogni giorno, un
abbassamento di tono a livello della capacità di assimilazione di ogni uomo. Ad
ognuno dà il pane secondo la sua fame. L'importante è che la fame cresca fino a
quell'infinito capace di assimilare l'infinito: “Ho tante cose da dirvi ma per
il momento non siete capaci di portarle”, quel portare che è mangiare, non
siete capaci di mangiarle. Perché qui il Signore presenta i due pani? Questo e
quell'altro? Per metterci in movimento verso quell'altro. Perché le parole del
Signore sono sempre una proposta; le dice per ognuno di noi. Quindi come parla
alla samaritana delle due acque, lo dice per sollecitarla a passare dall'acqua
naturale all'acqua dello spirito, così ci sono delle sollecitazioni a passare
da un certo cibo all'altro cibo. La parola del Signore prima di tutto formano
in noi la fame perché parlando ci fa desiderare il pane. E desidero il pane per
cui le sue parole sono fame e nutrimento, se l'uomo le ascolta.
Nino:
La samaritana quando è alla presenza di Gesù, dimentica il suo materiale, il
secchio dell'acqua. Così Gesù fa con i discepoli: usa il pane materiale per
parlare loro del cibo spirituale. Nel Padre nostro Gesù ci insegna a chiedere
il pane quotidiano.
Luigi: Nell'Antico Testamento è scritto: “Non dimenticarti di mangiare il
tuo pane” per cui il pane da parte del Signore ti viene dato, ma tu non
dimenticarti di mangiarlo: il pane dello spirito. Noi possiamo dimenticarci di
mangiare il pane. Noi possiamo materialmente parlando, dimenticarci di
mangiare, allora siamo sollecitati dai bisogni stessi del corpo e dagli altri
di mangiare; nello spirito no. Se siamo in ascolto di Dio, Dio ci sollecita
perché nel mangiare materiale c'è tutta l'organizzazione dell'universo che ci
porta lì, il corpo lo avverte. Nello spirito i nostri stessi bisogni richiedono
una nostra partecipazione cosciente, deve essere voluto espressamente. Quindi:
non dimenticare di mangiare il tuo pane, vallo a cercare! Ecco la
preoccupazione! Se non ti preoccupi, quel pane lì, certamente non lo mangi,
mentre l'altro lo mangi.
Nino:
Quando ti dimentichi di mangiare il pane spirituale ti viene l'ansia, c'è
qualcosa che non va.
Luigi: Certo, i mali dello spirito ci sono però il fare
la diagnosi, il poter dire: guarda che mi sono dimenticato di mangiare, devo
aver già mangiato qualcosa. Non riesci a fare la diagnosi. Magari ti senti
annoiato, dai un'altra motivazione, giustificazione. È molto importante
l'assimilazione perché il nostro corpo assimila a nostra insaputa; quando
stiamo bene, ad assimilare, ci pensa il nostro corpo. Invece spiritualmente non
assimiliamo niente a nostra insaputa. L'assimilazione avviene con la nostra
consapevolezza, per cui è tutta una tribolazione nostra. Ci vuole sempre una
partecipazione personale: seminare la parola di Dio in noi.
Nell'assimilazione
naturale, una volta che tu hai mangiato, l'assimilazione è automatica. Invece
qui nel campo dello spirito, non c'è niente di automatico! Il campo dello
spirito è caratterizzato dal fatto che richiede sempre una partecipazione
consapevole. C'è un desiderio di ricevere una certa luce, è una partecipazione
consapevole. Ci sono certe somiglianze e certe differenze, nessuno può mangiare
al posto nostro; quello che mangia un altro, non mi nutre. E qui abbiamo delle
similitudini efficaci tra il campo materiale e il campo spirituale per cui il
mangiare è sempre personale: qui vanno in parallelo. Mentre lo stesso parallelo
non vale in un altro campo.
Eligio: Se esiste l'automatismo, allora perché i pensieri malvagi ci
condizionano anche a nostra insaputa, mentre l'atto buono si esaurisce in sé?
Luigi: Non è che l'atto buono si esaurisce in sé e per
sé; c'è questo da dire, che l'atto buono non avviene a nostra insaputa, l'atto
malvagio arriva a nostra insaputa. Se l'uomo dorme, non veglia, arriva il
nemico che semina la zizzania (anche questo ha un valore di simbolo); cioè se
la nostra anima non veglia per questo il Signore continuamente insiste:
“Vegliate! Vegliate! Vegliate!”, perché ci esorta continuamente a vegliare? La
preoccupazione è vegliare, perché? Perché se la nostra anima è assopita, si
semina l'andazzo, la vita comune, l'imitazione. Qui abbiamo l'uomo malvagio che
opera, semina delle erbe cattive nel campo. Come mai c'è l'erba cattiva che
cresce nel mio campo? Non hai vegliato! Questo perché naturalmente noi andiamo
all'inferno perché per andare a Dio ci vuole il soprannaturale. Cioè ci vuole
il superamento dell'io. Naturalmente noi viviamo con il pensiero del nostro io
al centro e riferiamo tutto al nostro io. Quindi se non ci impegniamo a
superare il nostro io, tutto in noi diventa male, perché? Perché è deturpato
dal pensiero del nostro io. Siccome il superamento dell'io è un atto
essenzialmente personale, è l'atto di veglia, perché bisogna vegliare per
superarsi altrimenti non mi supero, e questo vegliare vuol dire essere presenti
alla luce divina. Quindi se io personalmente non mi ricordo di Dio, io non
mangio il mio pane spirituale, allora incomincia un processo di decadenza,
malattia che mi porta alla morte. Questo perché non ho mangiato. E perché non
ho mangiato? Non ho vegliato. Quindi abbiamo uno stato di veglia al quale il
Signore continuamente ci sollecita: “Ricordati che tu sei creatura e non sei
il Creatore, ricordati che tu non sei Dio, ricordati che tu non sei il centro,
quindi sposta il tuo io dal centro e riferisci le cose a Dio!” ecco lo
stato di veglia. Riferendo le cose a Dio in noi si forma il bisogno di vegliare
perché è Dio il principio di ogni cosa. Essendo il principio di ogni cosa ed
essendo un principio non inconsapevole, in quanto richiede la coscienza,
richiede la nostra partecipazione consapevole. Per cui tutto il bene richiede
da parte nostra la nostra partecipazione, non si ottiene per atto magico, non è
automatismo. Mentre invece tutto ciò che è automatismo ricade nel processo
dell'io, nel campo naturale per cui ci porta alla decadenza.
Eligio: Dipende quindi da ciò che pensiamo....
Luigi: Noi diventiamo figli dei nostri pensieri; per cui più noi pensiamo
a Dio e più siamo legati a Dio; anche se all'inizio è difficile, il Signore
infatti ci dice: “Sforzatevi”. Le strade del mondo sono apparentemente facili,
soprattutto all'inizio. Basta seguire, basta imitare, la moda, così fanno
tutti. Basta seguire il pensiero del nostro io all'inizio è tutto facile poi
finisce nell'angoscia, nei traumi. Nel campo dello spirito l'attacco è molto
difficile: “Sforzatevi perché la porta è stretta, perché molti cercheranno di
entrare e non potranno”; lo sforzo è un invito ad essere vigilanti. A poco per
volta, quando uno entra, la strada si fa larga, c'è la libertà, c'è la gioia,
si canta, perché il canto è proprio dell'uomo libero perché tutte le
cose confermano, comprovano, testimoniano la presenza di Dio sopra di tutto.
Allora abbiamo l'uomo che non è più assillato da paure, da bisogni, no perché
in tutto vede Dio. Ma per arrivare a vedere questo “tutto Dio” in cui c'è il
“pasto”, “il Signore è il mio pastore, ad acque tranquille mi conduce”, tutto
questo è l'anima che ormai ha trovato il suo Signore. Ma prima di arrivare lì
abbiamo tutta la fatica.
Nino:
Noi siamo abituati a pensare che il male su di noi pesi più del bene. Ma quando
ci pensiamo un po' Dio fa di tutto per recuperarci...
Luigi: D'accordo, però era per mettere in evidenza che l'opera va
accolta, cioè Dio opera per svegliarci.
Nino:
Mio figlio ieri era in galleria e la macchina dietro di lui, frenando, si è
girata su se stesso e si è schiantata nella parete; io ho pensato subito a un avvertimento
di Dio per fargli capire quanto la nostra vita è appesa ad un filo. Lui non ci
arriva ancora a pensare una cosa del genere..
Luigi: Ritorniamo lì vedi? Tu che tieni presente l'opera di Dio vedi
l'avvertimento, l'altro non coglie l'avvertimento e non lo può cogliere. Vedi
che qui abbiamo un cibo, Dio, per cui quando un giorno uno si sveglierà capirà:
“Guarda, Dio già da allora mi nutriva, mi vegliava!”, però la creatura si deve
rendere conto di questo: ad un certo momento si deve svegliare. Fintanto che
non si sveglia, Dio opera per svegliarti, ma tu non puoi intendere perché sei
addormentato. Cioè soltanto quando l'anima comincia ad essere sveglia, a
preoccuparsi di Dio, allora comincia ad intendere, prima no. Mentre da parte di
Dio c'è tutta l'opera, massiccia, che ti conduce fino alla morte, però è
un'opera che non è automatismo; Dio non ti converte automaticamente, Dio non ti
salva senza di te, richiede la tua partecipazione. Tu pensa che cosa deve avere
uno assimilato precedentemente per poter dire: “Guarda Dio che segno mi ha dato!”, tu guarda che cosa devi avere
dietro alle spalle. Quanti incidenti capitano ogni giorno e nessuno dice: “Guarda Dio che segno che mi ha dato!”. Per
poter dire solo quella paroletta lì, guarda Dio che opera massiccia deve aver
fatto dietro di te!! devi essere convinto che è Dio che opera in tutto. Non è
mica poco!! È tutto frutto di un lavoro personale, niente va perduto! Deve
essere tutto lavoro personale, non posso dire: “Io me ne sto lì a far niente e Dio mi convince!”. No! Tutto va
partecipato personalmente. Ogni minimo lavoro personale, immediatamente, mi
porta, mi apre ad un passo successivo. Ma guardati alle spalle cosa ci vuole
per poter dire: “È Dio che mi manda
questo!”. La massa è atea, è la persona che è religiosa. La quantità, la
massa, non accetta la cosa perché il lavoro con Dio è personale.
Eligio: I discepoli esortando Gesù a mangiare, rivelano un fondo di
ateismo. Anche noi siamo atei...
Nino:
Noi siamo favoriti rispetto ai discepoli. Io credo fermamente che per caso non
succede niente..
Luigi: Si, ma per dire che per caso non succede niente, tu presupponi
tali convinzioni dentro di te, che l'altro nemmeno lontanamente può sopportare.
Quella frasetta lì, ha avuto un sottofondo profondissimo.
Nino:
Dicevo che siamo fortunati rispetto ai discepoli perché dopo tutte le scoperte
scientifiche che confermano che non succede niente per caso, siamo facilitati a
credere in Dio.
Luigi: Quando tu metti il principio giusto al punto esatto, poi dopo
tutto ti conferma, come se lo metti al posto sbagliato, tutto ti contraddice.
Nino:
La verità testimonia se stessa, un'altra cosa di cui mi sto convincendo..
Luigi: Però questa verità esige da noi uno stato di veglia; se noi
viviamo naturalmente addormentati, non percepiamo la verità.
Pinuccia: La samaritana aveva il problema del bere e i discepoli del
mangiare e noi abbiamo questi problemi e altri.. Gesù opera per portare loro e
noi alla liberazione da questi problemi. Gesù ci porta a fare il passaggio dal
mondo materiale al mondo spirituale.
Luigi: Questa dichiarazione: “Io ho da mangiare un
altro cibo”, diventa sorgente in noi di desiderio, di fame, è Lui che
semina in noi la fame se l'uomo ascolta. Abbiamo detto che la samaritana giunse
alla rivelazione ascoltando, avrebbe anche potuto non ascoltare; così anche i
discepoli avrebbero potuto non ascoltare. Quindi tutte le parole del Signore
sono proposte, in quanto sono proposte seminano in noi una fame se noi
permaniamo. E se noi permaniamo allora le sue parole diventano cibo per la fame
che Lui ha seminato. Per cui Gesù non fa altro che dare il cibo per la fame che
Lui stesso ha seminato. Prende le sue opere stesse nella misura in cui noi le riceviamo.
Pinuccia: Gesù dice prima di tutto che abbiamo bisogno di un cibo, ma che
noi questo cibo non lo conosciamo.
Luigi: Anche alla samaritana dice che non conosce l'acqua: “Se tu
sapessi chi è colui... tu gli avresti chiesto l'acqua”, un'acqua che non conosci.
Con queste parole Gesù ci invita ad accettare la sua proposta perché è Lui che
ci propone il cibo. In caso diverso noi non intendiamo nemmeno perché se noi
parliamo a chi non ha Dio dentro di sé, quindi non ha già ascoltato Dio, se gli
parliamo di questo argomento, che risposta sentiamo? Sono cose astratte, noi
abbiamo un altro mondo. Gesù dice: “Perché le mie parole non entrano in voi?
Perché avete un altro padre”. C'è un'altra vita di cui dobbiamo
preoccuparci, che è la vera vita! È sufficiente fare attenzione a cosa Dio ci
fa giungere perché chi ci convince è Dio, nella misura in cui noi ascoltiamo le
parole che Egli ci dice o i fatti che ci fa arrivare perché Lui parla a noi
attraverso delle parole. Tutto è parola sua, quindi tutti i fatti, anche i
fatti più comuni, di tutti i giorni, della nostra giornata, sono parole di Dio.
È sufficiente che noi li accogliamo dalla sua mano, perché “l'uomo vive di
ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. I fatti sono parole di Dio ma se
noi anziché accoglierli dalla sua bocca li accogliamo dalla bocca degli uomini,
questi non ci nutrono già più, ci portano via. Ecco dobbiamo avere già
dall'inizio questa attenzione a Dio; ora, siccome il pensiero di Dio non è
presente a noi se noi non siamo presenti a Lui, perché noi naturalmente siamo
presenti a noi stessi e non a Dio, questo richiede uno stato di veglia. Per cui
questo fatto è Dio che me lo manda; se io lo ricevo dalle mani di Dio, questa è
già una lezione, una lezione che mi sollecita alla vita vera, ad uscire. Mentre
se non penso a Dio dico: “Se non mi do da fare non mangio e se non mangio
non vivo. E chi mi dà da mangiare se non me ne preoccupo. Queste sono tutte
storie!”. Dio parla ma l'intelligenza delle sue parole è presso di Lui non
è presso di noi. Per cui noi per intendere le parole di Dio, dobbiamo guardare
a Lui e le intendiamo nella misura in cui guardiamo Lui. Lui è l'intelligenza
di quello che dice, Lui è l'intelligenza di quello che Lui fa. Non basta che il
fatto giunga a noi perché per quanto noi ci ripieghiamo sul fatto e cerchiamo
di capirlo le cose diventano sempre più complicate e ci precipitano
nell'infinito e tutto ci sfugge, perché? Perché non lo raccogliamo presso Dio
per vederlo da Dio. Per cui più tutte le cose le raccogliamo per intenderle nel
pensiero dell'uomo e più queste si confondono, si moltiplicano, ci allontanano.
Più cerchiamo di intenderle nel Pensiero di Dio e più si semplificano, si
raccolgono, si unificano, e ci testimoniano la sua presenza. Per cui presso Dio
abbiamo sempre la vita personale, un amore intimo. Dio dà ad ognuno un nome
segreto che solo colui che lo riceve lo intende, personale. La vita presso Dio
è personale, d'altronde tutto presso Dio è persona. Tutti i rapporti sono
personali, non sono di massa. C'è altro?
Pinuccia: Si, che se uno non intende nel Pensiero di Dio le parole di Gesù,
le fraintende fa come gli apostoli che rimangono su un piano materiale come
rimaneva la samaritana: “Come puoi tu
darmi di quell'acqua se non hai con che attingere?”, e i discepoli
rispondono: “Che qualcuno gli abbia
portato da mangiare?”, pensano che già sia risolto, il problema.
Luigi: Passiamo al secondo argomento.
Cerchiamo
adesso le differenze tra il cibo materiale e il cibo dello spirito. Prima
abbiamo cercato le somiglianze tra il cibo materiale e il cibo spirituale; ora
cerchiamo le differenze perché ci sono delle differenze sostanziali per la
nostra vita personale tra il cibo naturale e il cibo spirituale. Teniamo
presente che il Signore dice che: “L'uomo vive non di pane materiale, -
- tentazione di satana - ma vive di ogni parola che procede dalla bocca di
Dio”. E poi cercate di approfondire questo: nutre soltanto quello che è
assimilato perché anche se il pane arriva a noi ma noi non lo assimiliamo, crea
ingorgo, indigestione.
Pinuccia: Cosa vuol dire assimilare?
Luigi: È quello che andiamo ad approfondire: assimilare solo il pane
dello spirito.
Pinuccia: Ci vogliono tanti organi per assimilare il cibo materiale, che nel
piano spirituale avranno un significato.
Luigi: Adesso non so se dobbiamo “perderci” negli organi oppure cercare
con semplicità il significato dell'assimilazione.
Nino:
Nel versetto 17 viene riportato quattro volte “il nome di
Dio”. Vorrei che tu anticipassi, chiarissi il significato del “nel tuo nome”.
Vuole parlare di tutto quello che racchiude “il nome di Padre” di spirito
infinito.
Luigi: Silvana cosa significa il nome di una persona?
Silvana: L'interesse, ciò che sta a cuore a quella persona.
Nino:
Si ma qui si parla di Dio. Ricordo che abbiamo detto che chi conosce la verità
la possiede.
Luigi: Se andassimo proprio a fondo, conoscere il nome di Dio è
possederlo. Conoscere è possedere. E noi non possediamo in quanto giriamo
sempre attorno ai nomi e non li cogliamo in Dio; non cogliendoli in Dio non
cogliamo nemmeno i nome stessi, quindi non li possediamo. Perché soltanto in
Dio, noi possediamo Dio e possediamo anche tutte le cose, tutti gli esseri
perché quando Dio creò Adamo, poi ad Adamo presenta tutte le sue opere, tutte
le creature; e Adamo, alla presenza di Dio, diede il nome alle opere di Dio e,
dice la Genesi, “era il vero loro nome”. Perché era il vero loro nome? Perché
Adamo era alla presenza di Dio. Noi i nomi invece, non li diamo alla presenza
di Dio, li diamo alla presenza del pensiero del nostro io. Cioè tutti i nomi
che noi diamo alle creature, sono per le impressioni che lasciano in noi, per i
sentimenti che creano in noi, le paure, e questo è tutto effetto del nostro io.
E i nostri nomi sono sbagliati, i veri nomi sono soltanto in Dio. Ora, conoscere
il vero nome di Dio è veramente possederlo; quindi il nome di Dio è presenza
del Padre, rivelazione del Padre, rivelazione della presenza del Padre.
Nino:
“Ho manifestato il tuo nome agli uomini”..
Luigi: Ecco, bisogna chiederci: come ha manifestato il suo nome agli
uomini?
Nino:
“Li conservavo nel tuo nome”..
Luigi: Quando prima ho parlato della funzione del cane
del pastore che raccoglie il gregge, che lo custodisce, in che cosa consiste
l'opera del Cristo, l'opera del Figlio? Perché la creatura, continuamente tende
a deviare e lo vediamo qui nell'episodio della samaritana, con i discepoli nel
problema del mangiare, dell'acqua, dei bisogni materiali. Continuamente noi
cadiamo, ci allontaniamo dal nome del Padre. In che cosa consiste questo scivolare?
Ci dimentichiamo. Il Signore continuamente richiama, richiama il nome: “Ti
dimentichi che Dio è il Padre tuo? Ti dimentichi che tutto è opera di Dio? Ecco
perché ti ingolfi”. L'opera del Figlio è quella di riportarci dalla nostra
dispersione, infatti Gesù dice: “Io sono venuto per raccogliere ciò che si
disperdeva”, e come si disperdeva? In quanto noi, pensando a noi stessi, ci
dimentichiamo di Dio e allora corriamo dietro alle cose, anziché rapportarle a
Dio. Rispetto a noi, il nome è l'amore, è l'interesse perché il vero nome di
una persona presso Dio, è l'amore che quella persona lì ha, è l'interesse che
quella persona lì ha: per cui se io vivo per il denaro, sostanzialmente il mio
nome è il denaro; se io vivo per la carriera, il nome è la carriera perché
ognuno di noi è testimone di ciò per cui vive, dell'interesse che ha. Gesù
dice: “Dove è il tuo tesoro, ivi è il tuo cuore, ivi è il tuo nome” per cui
ognuno sarà conosciuto per quello che avrà amato nella sua vita, per ciò cui si
sarà dedicato nella sua vita, sarà conosciuto presso Dio. Perché ognuno di noi
doveva dedicarsi a Dio perché quello è l'interesse principale. Il Cristo
venendo tra noi, ci riporta continuamente nel nome del Padre, cioè ci riporta
continuamente al nostro interesse principale. Allora, se noi abbiamo come
interesse principale di vita Dio, il nostro nome è Dio, il nostro nome è figlio
di Dio perché il nostro nome si caratterizza in questo perché ha tutti i suoi
pensieri presso il Padre, il suo amore è lì, il suo cuore è lì: il cuore del
Cristo è il Padre: “Affinchè il mondo sappia che Io amo il Padre”. Il nostro
nome è ciò che noi portiamo nel nostro cuore come tesoro, come scopo di vita.
“Il nome che Tu hai dato a Me”, cioè l'interesse che Tu hai dato a Me,
l'interesse di Te. Per cui se noi diamo tutto di noi a Lui, il nostro nome è
Lui, se noi diamo poco di noi.... capisci? Il nome è graduato rispetto
all'interesse che abbiamo per Dio. La gloria di noi presso Dio è graduata
rispetto a questo interesse, per cui noi avremmo soltanto per ciò che avremo
donato di noi a Lui. Ora, donare vuol dire dedicarci a -; ciò che invece noi
avremo trattenuto per non perderlo, quello lo perderemo veramente; perderemo
tutto, perderemo anche le creature in nome delle quali, per il loro nome, noi
abbiamo trascurato il nome di Dio. Noi crediamo che per non perdere le
creature, possiamo trascurare Dio; invece è proprio trascurando Dio che noi
perdiamo le creature. Perché tutto quello che cerchiamo di trattenere ci sarà
tolto. Invece quello per cui avremmo avuto il coraggio di donare, quello
veramente lo avremo: e quello sarà il nostro nome. Quindi nei nostri riguardi
il nostro nome è amore per -, e interesse per -.
Nino:
Ho l'impressione che tutto questo capitolo 17 che dobbiamo fare adesso...
Luigi: Il capitolo 17 non lo facciamo mica adesso. Adesso facciamo: “Mio
cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e portare a termine l'opera
sua”.
Cina:
Dobbiamo essere protesi verso il Signore con la preghiera affinchè il Signore
porti a termine il suo disegno in noi...
Luigi: Qual è questo disegno? Lo puoi precisare? Non pensi che il fine
sia unico per tutti? Si, Dio ci prende personalmente. Perché qui dice Gesù che
deve portare a termine l'opera sua... hai approfondito cosa può significare
questa “opera sua”? L'opera del Padre? In che cosa consiste questa opera? Forse
che l'opera non è compiuta? Perché dice “portare a compimento”? In che cosa
consiste questo “portare a compimento”?
Cina:
L'opera in noi non è compiuta, dobbiamo ancora andare avanti..
Luigi: Si, però qui Gesù dice di nutrirsi, come cibo, di portare a
compimento l'opera del Padre; questo già ci preannuncia che l'opera del Padre
non è compiuta senza il Figlio. Allora, in che cosa consiste quel complemento
che il Figlio mi reca per portare a compimento l'opera del Padre.
Emma:
Nutre soltanto quello che viene assimilato spiritualmente. Se noi lo
desideriamo con tutto noi stessi, Dio ce lo dona e ce lo rende assimilabile
perché sentiamo una certa disponibilità interiore.
Luigi: Hai approfondito cosa vuol dire assimilare? Quand'è che
assimiliamo? Perché il cibo può anche non essere assimilato; il cibo di Dio può
giungere a noi, noi lo possiamo mangiare, ma lo possiamo non assimilare.
Emma: Quando
uno ha assimilato il cibo, lo può anche donare, quindi se uno lo desidera Dio
ce lo fa assimilare..
Silvana: Ho pensato alla parabola del seminatore cioè se il tipo di terreno
è capace di recepire la parola, assimilare vuol dire fare la parola, fare
propria la parola, allora si assimila in questo caso. “Mio cibo è fare la
volontà”, fare la volontà presuppone un ascolto della parola di Dio.
Luigi: Si, e portare a compimento l'opera del Padre? In che cosa consiste
l'opera del Padre non compiuta? In che cosa consiste l'opera del Padre
compiuta? E perché sia necessaria l'opera del Figlio per portare a compimento.
Silvana: Io ho guardato alle differenze; il cibo materiale non esclude la
morte del corpo che nutre mentre il cibo spirituale assicura una vita eterna.
La ricerca del cibo materiale è un ritorno su noi stessi.
Nino:
Mi sono fermato su cosa c'è di incompiuto nell'opera del Padre. Dio crea noi,
il mondo che ci circonda e poi dà a noi l'attrazione a Sé. Ma noi non siamo
compiuti, siamo compiuti quando arriviamo alla conoscenza di Dio.
Luigi: L'opera incompiuta del Padre e il perché non è compiuta in che
cosa l'hai fatta consistere?
Nino:
Nella adesione da parte nostra all'attrazione per Dio, o alla nostra non
adesione..
Luigi: Cosa manca in noi perché si compia l'opera di Dio?
Nino:
Noi dobbiamo avere una fame continua...
Luigi: Un momento, possiamo dire che tutta l'opera del
Padre si conclude verso di noi, ma non è compiuta nel portarci nella fame? Noi
dobbiamo imparare a distinguere l'opera del Padre e l'opera del Figlio. L'opera
del Padre è quella di portarci, attraverso tutta la sua creazione, la creazione
di noi stessi, alla fame. Il Figlio è il pane che risponde alla fame. Possiamo
dire che l'opera del Padre si conclude nella fame dell'uomo? Conclude ma non è
compiuta. Il cibo è il Figlio; Gesù dice: “Io sono il pane”. Il Cristo è
il pane disceso dal cielo che corrisponde alla fame che il Padre crea
nell'uomo. Ma come mai non tutti gli uomini hanno fame di Dio? Non tutti gli
uomini hanno fame di Dio perché la fame è un atto di partecipazione cosciente all'ascolto
del Padre. Noi ascoltiamo Dio nella misura in cui (Antico Testamento, battesimo
di giustizia, Giovanni Battista), nella misura in cui noi mettiamo Dio al
centro della nostra vita. Mettendo Dio al centro della nostra vita in noi si
forma la fame e questa è opera di Dio Padre in noi. Quindi si forma la fame in
noi, l'interesse e questo ci porta ad individuare il pane (molte volte abbiamo
detto che la condizione per scoprire il pane è di avere la fame; altrimenti noi
possiamo incontrare il pane ma se non abbiamo la fame, se siamo costretti a
mangiare, diventa un supplizio). Il Cristo è il pane vivo disceso dal cielo per
rispondere alla fame degli uomini, se e nella misura in cui gli uomini,
ascoltano il Padre. “Chi ha ascoltato il Padre viene a Me”, “Nessuno può venire
a Me se non è attratto dal Padre”. Quindi il Padre conclude la sua opera (e non
è il compimento dell'opera), con la formazione della fame. Man mano che nella
nostra vita si forma la fame di Dio noi ci prepariamo all'incontro col Cristo,
cioè ad individuare il pane. Però questa fame si forma in noi nella misura in
cui noi, attraverso tutte le lezioni della vita, ci convinciamo che dobbiamo
mettere il pensiero di Dio al centro della nostra vita, come punto fisso di
riferimento. Allora lì si crea il bisogno di vedere tutta la nostra vita
secondo il pensiero di Dio. E lì abbiamo bisogno del Maestro, del Cristo, il
quale, solo il quale porterà a compimento questa fame poiché Lui dice: “Nessuno
può venire al Padre se non per mezzo di Me”: ecco il compimento. Ora, “Nessuno
può salire al cielo se non colui che discende dal cielo”, quindi il Cristo
viene a portare a compimento l'opera del Padre, cioè la fame, in quanto viene
ad offrire la conoscenza del Padre, nella misura in cui noi ascoltiamo. E noi
ascoltiamo nella misura in cui abbiamo ascoltato il Padre, quindi si è formato
questo desiderio. Quindi fino a che non abbiamo maturato in noi il desiderio di
conoscere Dio, la fame di conoscere Dio, vuol dire che non abbiamo scoperto il
Padre, vuol dire che non siamo convinti della centralità di Dio, della
giustizia di Dio, della verità di Dio. Dobbiamo convincerci di questo
altrimenti il Cristo lo fraintendiamo perché Gesù dice: “Nessuno può venire
a me..” è solo questione di mettere bene a fuoco i valori perché se noi
andiamo al Cristo prima di avere fame di Dio, andiamo al Cristo umanamente cioè
andiamo al Cristo per altri motivi; e questi motivi ci fanno deviare perché non
andiamo al Cristo per conoscere il Padre.
Emma:
Ma conoscere il Cristo è già tanto...
Luigi: No, sbagliamo! Se noi mettiamo come meta della nostra vita il
Cristo è perché (problemi di ambiente, sociali, figura) ci sono tanti motivi
che ci muovono a seguire il Cristo, a imitare il Cristo ma il motivo non è
esatto. Perché Gesù dice: “Nessuno può venire a me se non è attratto da Padre”,
attratto cioè se non desidera conoscere il Padre. Allora soltanto se noi
andiamo al Cristo interrogandolo circa il desiderio che abbiamo noi di
conoscere il Padre, se noi non andiamo al Cristo per questo motivo, lo
incontriamo male. Soltanto se noi andiamo al Cristo con questo motivo, andiamo
bene. Altrimenti noi ci fermiamo al Cristo per certe sue lezioni, o per certa
simpatia, per certa sua giustizia, per certa sua sincerità, per qualche aspetto
e quindi non cogliamo, trascuriamo le lezioni essenziali del Cristo, perché
quando Cristo ci parlerà del Padre o dei suoi rapporti con il Padre, noi
sorvoleremo su questi argomenti. Ci fermeremo molto sui problemi di giustizia,
su problemi di parabole, su problemi di umiltà, su problemi di imitazione
perché lo vediamo come una certa sapienza. Ma a noi sfugge il fine di tutto
questo argomentare. È come quando noi osservando i comandamenti ci fermiamo a
quella che è la lettera del comandamento: non rubare, non fornicare, non
desiderare. Per cui dico: “Io non desidero, non rubo, non uccido: sono a
posto”, non cogliamo l'anima della legge. Così anche non cogliamo l'anima
del Cristo. E cos'è che ci impedisce di cogliere l'anima del Cristo? Noi
diciamo: “Guarda Gesù come è buono con i bambini! Quindi anch'io cerco di
essere buono. Guarda come è paziente! Anche io devo essere paziente!”, non
è questa l'anima del Cristo!
Nino:
Lo sbaglia che facciamo è che seguiamo il Cristo per vivere meglio questa
vita..
Rina:
Ma Cristo è Dio, perché limitate la sua amicizia?
Luigi: Ma non è un limitare l'amicizia con Dio!
Pinuccia: Si può anche arrivare malamente al Cristo per cui il Cristo
esercita su di noi la funzione del profeta, dell'Antico Testamento. Noi
arriviamo al Cristo ancora con l'io al centro poi il Cristo con i suoi
insegnamenti ci aiuta.
Luigi: Quando Gesù stesso ci fa trovare nel suo Vangelo
queste parole: “Nessuno può venire a me se non è attratto dal Padre”, ci fa
toccare con mano che se noi lo seguiamo e non attratti dal Padre, ci fa toccare
con mano che non siamo a posto; ci fa scoprire che noi andiamo a Lui ma non è
che ci interessa poi molto il Padre, ci interessa Lui. Allora Lui corregge,
ecco che ci mette in crisi. Ora, se noi seguiamo il Cristo, è il Cristo stesso
che ci corregge perché è Lui il Maestro degli allievi. E come ci corregge?
Dicendoci: “Guardate che se venite a me per altri motivi, venite male perché il
motivo vero è la conoscenza del Padre”. Sentendo questo noi riflettiamo: “Ma io
non sono mica attratto dal Padre!”: vedi la crisi! È mio il difetto per cui non
sono attratto dal Padre. Ora facciamo una revisione di vita perché la
centralità del nostro interesse principale deve essere spostata dal Cristo al
Padre. Ma è il Cristo che la sposta!! se noi avessimo ascoltato l'Antico
Testamento c'era questa direzione perché l'Antico Testamento sfocia in questo
battesimo di giustizia, in questa centralità sul Padre per cui qui si arriva al
Cristo, come Colui che risponde alla nostra fame. Lui stesso aveva detto: “Io
sono il pane disceso dal cielo”, prima avevamo detto che il pane non è il
dono, il pane è il mezzo, è l'alimentazione. Ora Gesù qui precisa dicendo che
la vita vale più del cibo, ed è sbagliato allora vivere per il cibo. Non si
vive per mangiare ma ci si nutre per vivere. Allora, io mangio, ma quando ho
mangiato non ho ancora vissuto, il mangiare è soltanto la premessa. Allora vivo
per che cosa? La vita è altro!! quindi non dobbiamo vivere per mangiare. Quindi
se io vivo solo per il pane, a livello spirituale. Gesù non dice il pane
materiale, dice genericamente: “La vita vale più del pane”. Quindi Gesù
mette sempre questi valori assoluti a posto: la vita vale più del cibo. Allora
se io vivo per il cibo, vivo per una cosa inferiore. Piego la mia vita al
mangiare, vivo per mangiare, in qualunque campo. No! Tu mangi per arrivare a -.
volevo precisare la differenza tra il cibo materiale e il cibo spirituale. Il
cibo spirituale è un mezzo per arrivare a -.
Nino:
La Chiesa parla solo di Gesù mentre trascura di parlare del Padre.
Luigi: Qui bisogna precisare; la funzione della Chiesa
è quella di darci il Cristo. In parole povere di darci questo libro in mano e
di dirci: “Mangialo!”. Se noi veramente ci impegniamo col Cristo, Cristo
corregge tutti i tiri. Bisogna capire bene qual è la funzione della Chiesa. La
funzione della Chiesa non è quella di portarti alla salvezza. La funzione della
Chiesa è quella di portarci a contatto col Cristo. La Chiesa è un
prolungamento: è una strada che arriva fino a noi per tenere i fili annodati
con Cristo. È un prolungamento dell'incarnazione. Non è che la Chiesa ci salvi,
la Chiesa ci mette a contatto con Colui che ci salva; poi il contatto è
personale. Abbiamo visto nella Chiesa un Sant’Agostino, un San Paolo cosa hanno
fatto? Mica sono stati deviati! A contatto con il Cristo, poi hanno mangiato.
Abbiamo visto prima che il mangiare è sempre personale. Per la Chiesa mi mette
a contatto con ciò che devo mangiare. Stai tranquillo che se io mangio, poi
provvede Cristo a salvarmi, a correggermi. Quindi non c'è niente dall'esterno
che ci possa deviare. E noi non possiamo giustificarci: “Eh ma tu mi hai
messo in una Chiesa che mi ha deviato” oppure “Tu mi hai messo in un
mondo che mi ha portato via”. Niente è giustificabile: “Signore tu mi
hai messo in una famiglia di delinquenti e io sono diventato un delinquente”,
no! Il Signore ci risponderà: “Tu non dovevi diventare un delinquente perché
Io parlavo con te”.
Rina:
Che differenza c'è tra il pane materiale e il pane spirituale?
Cina:
Il pane materiale va masticato adagio perché se no, non si digerisce!
Eligio: “Mio cibo è fare la volontà del Padre mio”,
quindi la volontà di Dio è cibo all'anima. Mentre il cibo materiale si disperde
nell'organismo, e resta materia trasformata. Il cibo spirituale, cioè la
volontà di Dio, resta sempre se stesso, diventando mano a mano, un centro
personalizzante di sintesi portando la creatura al superamento dell'io, e
all'incontro con il suo Creatore.
Luigi: Si, la differenza tra i due cibi la sintetizzerei così:
-
il cibo materiale, il cibo naturale, viene trasformato
in noi, in vita nostra; mangiando il cibo naturale, lo trasformiamo in noi
-
mangiando il cibo spirituale, lui trasforma noi a Sé, la
differenza sta lì.
Perché
il cibo naturale, lo trasformiamo in noi, se mangiamo il cibo spirituale, esso
ci trasforma in lui. Parlando di cibo, noi lo assimiliamo alla persona.
Mangiando resta la persona; noi mangiando le cose di Dio, il nostro io scompare
e si afferma Dio, è Dio che viene glorificato. Quindi più ci nutriamo di Dio e
più Dio cresce: è la differenza più grande. Già Sant’Agostino diceva che noi
mangiando il cibo materiale, il nostro io cresce e concludiamo che più la
nostra terra è unita a noi e più ci gonfia, perché fa essere il nostro io.
Mentre invece il cielo ci fa crescere Dio e diminuisce il nostro io; per cui
noi diventiamo tutta espressione di Dio, mangiando Dio: “Chi mangia di Me,
vivrà di Me”. Noi mangiando il pane, non facciamo vivere il pane, il pane
scompare; invece mangiando Dio, mangiando il Cristo, scompariamo noi e il
Cristo si afferma. “Vivrà di Me”, allora se noi vogliamo vivere di Lui,
dobbiamo nutrirci molto di Lui. Non dobbiamo dire mai: “Ho mangiato
abbastanza”, ma “Voglio mangiare all'infinito”. Tutto è offerto a noi, il Regno
di Dio è offerto a noi: più mangi e più vivi. Per cui mangio poco, vivo poco;
mangio niente, muoio; mangio tanto, vivo tanto. Il Signore non dà il suo dono
in misura limitata, per cui più noi mangiamo, ci dedichiamo e più quello ci
trasforma. Sant’Agostino lo dice: “Più tu cresci e più mangerai”, ma per
crescere bisogna alimentarsi ed è Lui che ci fa crescere. Ma noi ci alimentiamo
nella misura in cui Lui cresce in noi, non in quanto cresciamo noi. Questa è la
differenza tra i due cibi.
Eligio: Nutrendomi del cibo spirituale,
Luigi: Noi facciamo male quando identifichiamo la volontà di Dio con un
nostro modo di essere; “Vorrei sapere cosa Dio vuole da me”, identifichiamo la
volontà di Dio con un essere qui o un essere là. La volontà di Dio è Lui stesso
che si vuole comunicare per cui se tu vuoi fare la volontà di Dio, cerca Dio!
Non preoccuparti di dire: “La volontà di Dio è che io vada qui, o è che io vada
là”, no! La volontà di Dio è che tu lo conosca. Più cercherai Lui e più tu
farai la volontà di Dio.
Eligio: L'unica cosa è conoscere quello che devo fare...
Luigi: No! Quello che tu devi fare è conoscere Lui. Non è che Lui voglia
che tu conosca Lui perché tu possa conoscere quello che devi fare! Così scindi
l'Essere dalla sua volontà. No! La sua volontà è Lui!! Il precesso di
assimilazione è un processo di unificazione, cioè fare del due, uno. Qui c'è
una gradualità interessante tra Nicodemo e la samaritana e i discepoli.
L'episodio di Nicodemo si conclude con l'aver riportato Nicodemo alla cecità: “Come
può accadere questo?”. Nicodemo parte con un atto di sapienza umana: “Noi
sappiamo” e esce di scena dicendo: “Non possiamo capire”. L'episodio
della samaritana si conclude con l'aver rivelato la Sua presenza, l'aver
rivelato chi è Colui che parla a noi. La
samaritana esce di scena con: “Io sono Colui che parlo con te”, viene
rivelata la presenza di Colui che parla con te. Cioè: “Colui che parla con
te è il Signore, è il Messia”. E poi con i discepoli abbiamo un successivo
avanzamento per quanto riguarda la rivelazione, perché qui il Signore insegna
ai discepoli, come fare per restare con Colui che parla con loro. Per restare.
Mangiare. Per cui Lui presenta il suo cibo. Cioè Gesù non dice alla samaritana
di che cosa si nutre. Lui dicendo ciò di cui Egli si nutre, offre ai discepoli
di nutrirsi per restare con Lui perché noi possiamo restare con una persona
soltanto nella misura in cui mangiamo quello che mangia quella persona lì. Come
Lui viene a donarci la sua vita, la sua vita è ciò di cui Lui si nutre. Quindi
noi possiamo restare uniti ad una persona non soltanto in quanto l'abbiamo
presente, ma in quanto viviamo della stessa vita di quella persona, cioè ci
nutriamo nello stesso modo in cui si nutre quella persona lì. E quindi qui
abbiamo un passaggio successivo nei riguardi dei discepoli, quindi sono portati
ad assimilare lo stesso cibo che assimila il Figlio.
Nino:
Il cibo materiale è quello che ci serve per sostenere un corpo, ma è
transitorio, ha una funzione transitoria. Il cibo spirituale, siccome siamo
persone destinate a diventare uomini, è quello che ci porta a diventare uomini.
Luigi: Per cui diventando uomini, non c'è più bisogno del cibo materiale,
perché il cibo spirituale assorbe.... perché il cibo materiale ha soltanto una
funzione transitoria in quanto non siamo ancora formati. Fintanto che siamo in
cammino ne abbiamo bisogno per non venir meno per strada. Allora il Signore ci
fa trovare per strada quell'alimento relativo. Il fatto è che non dobbiamo mai
ritenere assoluto quello che è transitorio, ma farne un supporto per poter
avanzare in quello che è il cibo spirituale.
Pinuccia: Rispetto a Gesù questa frase significa che il Figlio porta a
compimento l'opera del Padre, il quale attrae, forma la fame e il Figlio è il
pane che risponde alla fame. Quindi queste due espressioni: “fare la volontà
del Padre” e “portare a
compimento l'opera del Padre”
coincidono? La seconda è la spiegazione della prima?
Luigi: Si, certo!
Pinuccia: Invece rispetto a me, cosa significa “fare la volontà del
Padre” e cosa significa per me “portare a compimento l'opera sua”?
Se per il Figlio significa essere pane, per me significa mangiare il pane,
assimilare il pane
Luigi: Si. Si assimila quando si capisce. E quand'è che si capisce?
Pinuccia: Si capisce quando la parola mi porta alla presenza di Dio. Io vedo
l'opera iniziata dal Padre e la porto a compimento nella misura in cui
raccolgo..
Luigi: Nella misura in cui io ho fame! È la fame che mi porta poi ad
assimilare, quindi a raccogliere.
Pinuccia: Il pensare, parlare, agire, mossi dal Padre, è una conseguenza.
Però prima è necessaria tutta questa opera di raccolta, di unificazione, di
comprensione della parola.
Luigi: Si, ma tu raccogli nella misura in cui sei interessata a -. e sei
interessata nella misura in cui hai fame per -. L'opera del Padre sta lì, nel
suscitare in noi la fame e perché questa fame si formi, è necessario che noi
ascoltiamo il Padre, ascoltiamo Dio nella nostra vita. Fintanto che noi mettiamo
fuori Dio dalla nostra vita, questa fame non si forma. Si forma la fame di
denaro, la fame di mondo, la fame di ambizione, la fame di figura, la fame di
gloria: “come potete credere voi che elemosinate gloria gli uni dagli altri”.
Quindi non entriamo nel cammino della fede; quindi non entriamo nel cammino di
Dio. Per entrare nel cammino di Dio, bisogna fermarsi ad ascoltare il Padre.
Avendo in noi questa fame, incomincia tutto il processo di interesse, di
raccolta, uno va a raccogliere in quanto è interessato a -, altrimenti se uno
non è interessato a -, non va a raccogliere, lascia perdere; quindi uno fa la
raccolta in quanto è già mosso, in quanto ha questo interesse. Ha questo
interesse in quanto ha ascoltato il Padre. Più si raccoglie, e siamo già nell'opera
del Figlio, perché noi non raccoglieremo se il Figlio non ci giungesse ad
offrirci il materiale da raccogliere; sono tutte le parole di Dio: quindi,
opera del Figlio che viene a rispondere a questa fame. Raccogliendole, queste
ci conducono a conoscere il Padre, che era il proposito che avevamo
dall'inizio: conoscere il Padre nostro. Per cui non ci sentiamo più orfani, non
ci sentiamo più figli del mondo; incominciamo a scoprirci figli di Dio, quindi
pensati da Dio, amati da Dio, guidati da Dio, ispirati da Dio. Qui è Dio vive,
nel la misura in cui siamo giunti, attraverso l'opera del Figlio, ecco il
compimento, al Padre. Infatti il compimento sarebbe l'”ut unum sint” in
cui il Cristo consegna, affida al Padre, tutti coloro che il Padre gli ha affidato. “Erano tuoi e Tu li
hai dati a me e ora Io li consegno a Te”, ma che gioco è questo? Erano già
del Padre, il Padre li dà al Figlio e adesso il Figlio li riporta al Padre? C'è
tutta una lezione profonda per cui: “erano tuoi” erano già del Padre,
erano attratti, avevano già ascoltato. Noi siamo di -, in quanto siamo in
ascolto, ascoltare è già amare; siamo interessati per -. Questo interesse ci
porta al Figlio, ecco allora il Padre che ci consegna al Figlio che ci
riconsegna al Padre affinché possiamo attingere direttamente al Padre ciò che è
effettivamente la meta. È nel Padre che poi scopriamo di essere figli, quindi
di formare una cosa sola con il Cristo; ma è solo dal Padre e nel Padre, non è
il Cristo che forma una cosa sola con noi. Il Cristo può fare una cosa sola col
Padre: “affinché loro siano come noi che siamo uno”. Quindi il Cristo fa
una cosa sola col Padre; se noi andiamo al Padre, attraverso il Figlio, dal
Padre e nel Padre, noi formeremo una cosa sola con il Cristo e quindi parleremo
lo stesso linguaggio del Cristo e ci sentiremo una cosa sola con Lui, figli
tutti dello stesso Padre. Ma l'opera è del Padre. Tutto questo è un processo di
nutrizione, di assimilazione, nel mangiare la parola. Nel terzo capitolo di
Ezechiele si dice: “Figlio dell'uomo mangia ciò che hai davanti”. E che
cos'abbiamo noi davanti? “Sono Io che parlo con te”, noi abbiamo davanti
il Figlio. Ecco per cui dico che abbiamo una progressione rispetto alla
samaritana. Perché di fronte alla samaritana, noi abbiamo il Cristo che dice: “Sono
Io che parlo con te”. Qui abbiamo: “Figlio dell'uomo mangia ciò che hai
davanti”. Alla samaritana non dice: “Mangia ciò che hai davanti”; ai
discepoli dice: “Mangia ciò che hai davanti”, qui abbiamo già un
progresso. Teniamo presente che in quanto il Cristo sta parlando di qualche
cosa, ci propone quel qualche cosa; perché Lui parla personalmente, non parla
per esporci la cosa. Parla per proporci la cosa; e se ce la propone, ce la
offre, quindi: “Mangia!”. “Io ho da offrirvi un cibo che voi non conoscete”,
dice a noi: “Mangia ciò che hai davanti, ciò che Io ti presento”. Ora,
alla samaritana presenta Se stesso, non dice di mangiarlo. Qui dice di
mangiarlo! Abbiamo il compimento della profezia di Ezechiele quando dice: “Figlio
dell'uomo, mangia ciò che hai davanti, mangia questo rotolo e va e parla!”.
Prima mangia. “Io aprii la bocca ed Egli mi fece mangiare”. Sta dicendo:
“Figlio dell'uomo, nutri il ventre, riempiti le viscere con questo rotolo che
ti porto”. Quindi mangiare il libro vuol dire capire, assimilare, vuol
dire farlo nostra vita. Ecco l'assimilazione! Noi l'abbiamo assimilato
nella misura in cui l'abbiamo fatto nostra vita. Perché fintanto che la
cosa è davanti a noi e non l'abbiamo fatta nostra vita, la cosa è lì, può
ingolfarci ma non diventa vita. Per cui abbiamo l'assimilazione naturale che
avviene senza di noi (perché la terra è fatta così: una volta che abbiamo fatto
entrare il cibo in noi, la nostra terra è fatta in modo che assimila quello che
uno mangia e lo trasforma in vita); ma questo è solo un segno e dobbiamo capire
il segno di questo cibo, perché se non lo capiamo il Signore ci rimprovera: “Io
per tutta la vita ti ho dato un pane da mangiare e tu hai soltanto goduto come
corpo e non hai capito il segno e non sei passato al cibo spirituale!”. Il
cibo spirituale non si assimila automaticamente. Perché non facciamo nostra
vita, se non capiamo.... vedi l'importanza del capire! Perché capire da parte
nostra questa partecipazione consapevole. E allora c'è tutta la fatica! Per cui
la parola di Dio ci mette in crisi. Qui Gesù dicendo: “Io ho un cibo che voi
non conoscete” e poi dice: “Preoccupatevi di mangiare questo cibo, il
cibo dello spirito e non preoccupatevi dell'altro” ci mette in crisi
rispetto quella convinzione con la quale diciamo: “Mangerai il tuo pane con
il sudore della fronte”. Per cui se io fatico, sudo per mangiare il mio
pane materiale, io credo di fare la volontà di Dio perché Dio ha detto: “Mangerai
il tuo pane con il sudore della tua fronte”. Ma il pane di cui Dio parlava
è ben altro! Quella fatica che bisogna fare, sarebbe in conflitto con quello
che Gesù, il Figlio che è la volontà di Dio, dice! Perché il Padre mi dice: “Mangerai
il tuo pane con il sudore della tua fronte”. Il Figlio mi dice: “Non
affaticarti, non sudare per procurarti il pane che passa”; il Figlio non fa
altro che illuminarmi sulla parola del Padre! Per cui quel pane che bisogna
mangiare con il sudore della fronte è ben altro che il pane materiale! Dice
Gesù: “Ma quello i pagani lo fanno!”, “Guardate il Padre. Il Padre sa ciò di
cui avete bisogno. Non preoccupatevi di quello! Non sudate! Non affaticatevi
per quello! Ma sudate per il pane spirituale, perché nessuno ve lo può dare, ve
lo può far mangiare se voi stessi non vi applicate!”. Quindi l'applicazione
è personale! Ecco allora qui bisogna sudare, bisogna faticare perché è un'opera
fatta consapevolmente perché richiede il superamento, l'applicazione personale
del nostro io e nessuno può farlo al mio posto. Questo principio è valido:
quello che mangia uno non serve all'altro; possiamo essere vicinissimi: uno
mangia un pollo, l'altro mangia polenta; quello che mangia il pollo non è che
supplisca all'altro.
Pinuccia: Il procurarci il pane con la fatica, tutti possiamo farlo, in
tutte le condizioni..
Luigi: Tutti possiamo farlo perché il cibo di Dio è graduato alla fame di
ognuno. Alla vecchietta, al bambino, non si richiede cultura, non si richiede
intelligenza. È Dio stesso che nella sua creazione distribuisce il suo pane a
seconda della capacità di assimilazione; per cui al bambino dà il latte,
all'adulto il cibo sostanzioso, fino al vero cibo. Ma è Dio che lo gradua! E
non potremo giustificarci dicendo: “Signore, tu mi hai messo in un ambiente
difficile”!. “No, l'ambiente in cui ti avevo messo era il cibo per la tua fame!
A seconda della tua fame Io ti offrivo ogni giorno un cibo. Ma tu ti sei
dimenticato di me e del cibo che ti mandavo!”. E la colpa dell'uomo sta lì!
Che Dio offre il cibo, Dio presenta il cibo: sarà l'avvenimento, sarà la
lezione, sarà l'incontro; Dio offre il cibo graduato. Per cui nessuno deve
dire: “E' troppo difficile per me!”, perché il Signore arriva ai livelli
nostri, alle nostre capacità, ce le offre. Stiamo attenti a non dimenticarci di
mangiare quello che il Signore ci offre. Non dimenticarci di mangiare! Perché
la nostra anima non è che urli come urla lo stomaco. Se noi siamo molto attenti
al nostro io, sentiamo molto l'urlo dello stomaco; come sentiamo molto l'urlo
dell'offesa alle nostre ambizioni, alla nostra figura, al nostro nome, è tutto
frutto del pensiero del nostro io. L'anima non urla in questi termini qui
perché per sentire l'urlo dell'anima (e
l'urlo dell'anima è molto più potente dell'urlo dello stomaco), per avvertire
questo urlo, dobbiamo essere molto vicini a Dio. Se uno è molto vicino a Dio,
avverte la vera fame, il vero bisogno di mangiare che portiamo dentro di noi.
Ma questa sensibilità è presso Dio, lontano da Dio diventiamo sempre più
animali e quindi siamo sempre più guidati dagli urli animali e non da quelle
che sono le parole di Dio.
Pinuccia: Le parole di Gesù, formano la fame e sono cibo; quindi l'opera
della fame è opera del Padre e del Figlio.
Luigi: Si, il Figlio corregge. Se noi ascoltiamo o giungiamo al Cristo malamente,
per altri motivi, ma se restiamo nell'ascolto, Lui ci corregge.
Pinuccia: Ma la fame si attribuisce al Padre..
Luigi: La fame è opera del Padre.
Pinuccia: La parola stessa suscita la fame..
Luigi: Certo, ma è la parola stessa che è opera del Padre. Se io sento la
parola di Dio, per sentire la parola di Dio, io devo mettere il Pensiero di Dio
come centro dei miei interessi. Altrimenti la parola di Dio giunge a me, ma non
forma la fame. Cioè noi diciamo una parola, ma chi effettivamente forma la fame
è il Pensiero di Dio. Noi diciamo: “Io ascolto la parola di Dio”; tu,
prima di tutto hai ricevuto il pensiero di Dio, perché io non posso ascoltare
la parola di uno se non ho presente quel uno. Soltanto la presenza del uno che
parla mi rende accettabile la sua parola; ma è la presenza dell'uno. Se io mi
rifiuto di essere presente a quel uno, anche se sento tante sue parole, io
rifiuto le parole. Ma perché rifiuto le parole? Perché rifiuto l'uno. Cioè
rifiutando la persona, rifiuto automaticamente tutto ciò che dipende dalla
persona stessa. Soltanto accogliendo la persona io creo la condizione in me per
accettare tutto quello che riguarda quella persona. Per cui se quella persona
ha il gusto di mangiare crudo, se io accetto la persona, accetto anche, entro nell'idea,
considero tutto quanto è conseguente a quella persona lì. Ma se io rifiuto la
persona, rifiuto in blocco anche tutte le conseguenze della persona stessa, per
cui non accetto più niente. Precisiamo: è la parola di Dio che forma in noi la
fame. E dicendo “Parola di Dio” teniamo presente la persona Dio; quindi
la persona Dio e la sua parola. Perché se noi escludiamo la persona, cade la
parola. Anche se la parola giunge a noi, giunge malamente e viene respinta. “Voi
non potete sopportare le mie parole perché non avete in voi amore per Dio”;
vedi che distingue! “Voi non potete sopportare... perché non avete presente
il Padre! Avete un altro Padre: non sopportate più le mie parole”.
Pinuccia: Quindi la volontà di Dio per noi è portare a compimento la sua
opera.
Luigi: Si, portare a compimento la sua opera. Abbiamo visto che
assimilare vuol dire capire, vuol dire cioè giungere a conoscere il Padre. “Cerca
prima di tutto il regno di Dio”, per giungere a conoscere questo, la
condizione per poter restare con qualcuno è quella di nutrirci e di fare nostra
vita quello che è la vita di quel qualcuno. Fintanto che non abbiamo fatto
nostra vita una certa parola di Dio, quella parola non l'abbiamo assimilata. È
quello di fare dell'altro una cosa sola; fintanto che l'altro è là ed io sono
qui, abbiamo una presenza che è destinata a sciogliersi; abbiamo un'unione che
è destinata a sciogliersi. Fintanto che l'altro non è spiritualmente mangiato,
in modo da formare una cosa sola con me, ed io con lui: “Io sto alla porta e
busso, chi mi apre io entrerò e cenerò con lui e lui cenerà con me” cioè
mangerà lo stesso cibo, si nutrirà. Mangiando lo stesso cibo, forma una cosa
sola. Qual è il cibo di cui si nutre il Figlio? Il Padre. Soltanto se noi
faremo nostra vita, nostro cibo, nostro nutrimento il Padre, allora formeremo
una cosa sola con il Figlio, perché nutriti dallo stesso pane. Ora, siccome
Gesù dice: “Io ho un cibo che voi non conoscete: fare la volontà del Padre”,
la volontà del Padre che è poi la rivelazione della presenza del Padre. Quindi
mangiando lo stesso cibo, facciamo una cosa sola, ritorniamo al “ut unum
sint”, all'inizio.