In quel
momento arrivarono i suoi e si meravigliarono che parlasse con una donna.
Nessuno però gli chiese: che cerchi? O di che parli con lei? Ma la donna lasciò
la sua brocca e andò in città a dire a quella gente: Venite a vedere un uomo il quale mi ha
detto tutto quello che ho fatto: Che sia il Cristo? Uscirono pertanto dalla città e andarono da
Lui. In quel frattempo i discepoli lo pregavano: Maestro, mangia. Ma egli
rispose loro: Io mi nutro di un cibo che voi non conoscete». I discepoli si dicevano perciò gli uni
gli altri: Che qualcuno gli abbia portato da mangiare? Gesù disse loro: Mio nutrimento è fare
la volontà di Colui che mi ha mandato e portare a termine l'opera sua”. Gv 4 Vs 1-34 Sintesi
Titolo: Il dono e la fame.
Argomenti: La generazione del
Figlio dal Padre è continua. Tutto è opera
di Dio, ogni opera di Dio è una parola. La parola è
annuncio di un dono futuro. La parola forma
nell’uomo l’attesa, la fame. Il nome del
Padre. La fame di Dio. Non desiderare più Dio. Il Figlio fa
dipendere tutto dal Padre. La morale.
10/Luglio/1977
Pensieri
tratti dalla conversazione con Luigi Bracco:
Luigi:
C'è qualcosa su quello che abbiamo detto la volta scorsa?
Nino:
Una considerazione che mi viene in mente è questa: che Gesù è cibo per noi,
nello stesso tempo Lui si nutre della volontà del Padre. La volontà del Padre
non è una cosa che si esaurisce, non finisce mai perché il nutrimento deve
continuare.
Luigi:
Tu fai un'affermazione!
Nino:
Si, noto quello; è vita eterna anche per il Figlio.
Luigi: La
vita del Figlio sta nel poter glorificare il Padre. Noi siamo chiamati a diventare
figli e diventiamo figli nella misura in cui parliamo del Padre, pensiamo al
Padre, glorifichiamo il Padre. Meno pensiamo a noi...
Nino:
Non è una cosa che si esaurisca in questa vita terrena di Gesù: la volontà del
Padre è la sua vita.
Luigi:
Certo, Gesù parla per noi e in quanto parla per noi, tutte le cose che Lui
dice, le dice affinché noi assimilandole diventiamo partecipi della sua vita.
Lui rivela a noi la sua vita, per renderci partecipi; noi partecipiamo in
quanto assimiliamo (mangiamo) le sue parole. Le sue parole sono parole di
verità e quindi ci fanno entrare nella vita. Meno accogliamo le sue parole e
più decadiamo. La vita è comunione; la partecipazione, la comunione, si basa
sulla assimilazione, sul mangiare. Ma in quanto si mangia il cibo che Lui ci
offre. Quindi più noi assimiliamo il suo cibo e più entriamo nella sua vita,
partecipiamo quindi della vita eterna. La vita eterna che è poi conoscere Dio
come vero Dio.
Nino:
Gesù ci offre il cibo che Lui continua a ricevere dal Padre..
Luigi:
Si, infatti noi siamo chiamati a formare una cosa sola con Lui, nel Padre. Con
Lui... quindi siamo chiamati a diventare fratelli di Gesù; della stessa
famiglia; a essere partecipi della natura divina, fatti resi partecipi della
natura divina.
Nino: Il
pensiero che Gesù, oltre che ad essere vero uomo è vero Dio, fa pensare che
Gesù ha tutto da dare e niente da ricevere da nessuno. Invece Lui dice che
continua a ricevere cibo dal Padre.
Luigi:
“Il Padre è maggiore di me” dice Gesù; il Padre è generatore
del Figlio. Non generatore come possiamo intendere noi: padre e madre.
Cresciamo il figlio che poi ad un certo momento si stacca perché è generato,
acquista una sua individualità, una sua personalità. Invece nell'eternità le
cose diventano continue, perenni. Quindi la generazione non è un atto di un
attimo; altrimenti avremmo: il fatto, e poi abbiamo il prima e il dopo. Saremmo
nel tempo. Invece qui siamo fuori dal tempo, quindi la generazione è continua.
Per noi c'è il momento di transizione in quanto c'è una seconda nascita che ci
attende. Noi nasciamo dalla natura, siamo figli di uomo, di donna e siamo
chiamati a diventare figli di Dio. Quindi abbiamo una seconda nascita. Il
nostro io è chiamato a rinascere da Dio. Quindi per noi c'è una novità, c'è un salto
nel tempo; il salto è in questa scoperta della nascita da Dio. E abbiamo un io
nuovo. Mentre prima abbiamo un io naturale che è al centro di tutto un
orizzonte naturale, un orizzonte del mondo, che tutte le cose le riferisce a
sè. Invece la nascita nuova è la nascita da Dio e qui abbiamo una nascita
continua. Abbiamo un io che non nasce una volta per tutte, ma nasce in
continuazione in quanto tutte le cose le deriva tutte da Dio. Come pensiero,
come parlare, come vita, come azioni. Abbiamo un io nuovo che tutte le cose non
le riferisce più a sé ma le riferisce a Dio. E più le riferisce a Dio e più
vive. E più conosce Dio e più conosce la gioia, la felicità. Per cui
apparentemente abbiamo un assurdo perché io nostro io naturale, più pensa a sé,
più si fa accentratore, più vive. Infatti il nostro parlare comune è: “Se io
non penso a me, chi pensa a me?”, sono io che mi devo dar da fare, sono io che
devo curare i miei interessi. Quindi è il nostro io che diventa promotore di
tutte le azioni, accentratore perché usa tutto per tenersi in vita; e più
riesce a mettere mondo attorno a sé e più il nostro io è soddisfatto. In Dio
invece, abbiamo l'io che più è soddisfatto quanto più riesce a dimenticare sé,
per far grande Dio, per glorificare Dio. E tutta la sua gioia è nel glorificare
Dio, nel non pensare a sé. Per cui i dover pensare a sé, se qualcuno lo conduce
a pensare a sé, diventa una tristezza, una sofferenza, diventa una pena. Per
cui, mentre prima il nostro io naturale quando deve pensare a Dio deve fare un
sacrificio, deve farlo con una certa sofferenza perché deve faticare, deve
superare se stesso; invece in Dio, l'uomo deve faticare per pensare a sé perché
diventa motivo di molta gioia, pensare a Dio. Quando uno ha scoperto una
verità, gli resta molto difficile considerare l'errore, le cose che ha
sbagliato, perché tutta la sua gioia è nel poter pensare alla verità che ha
scoperto, conosciuto.
Eligio:
La samaritana rappresenta un momento della nostra anima nell'incontro con il
Signore. In questo momento però la samaritana ha una rivelazione chiara,
indubbia che il Signore è il Messia, il Figlio di Dio. Volevo chiederti se
anche se noi, se ci trovassimo nella stessa situazione della samaritana,
possiamo avere una rivelazione di altrettanta chiarezza: “Sono Io che ti
parlo”.
Luigi:
Tutti i messaggi, tutti i fatti del Vangelo, sono messaggi per noi; non sono
informazioni di fatti avvenuti, non sono cultura. I fatti e le parole sono
messaggi personali per noi affinchè anche noi ci troviamo in quelle situazioni
e acquisiamo quello che Lui ha comunicato. Le comunicazioni di Gesù, sono per
ognuno di noi. Le parole, quindi le pagine di Vangelo, sono valide in quanto
noi le applichiamo personalmente ad ognuno di noi; cioè ci immedesimiamo in
quei personaggi lì! Perché sono fatti per noi; Dio parla personalmente per noi.
Quindi, se un bel giorno noi ci troviamo di fronte a questa bella pagina di
Vangelo, non dobbiamo dire: “Sono io che mi applico a questa bella pagina di
Vangelo”, ma: “E' Dio che mi ferma l'attenzione su questa pagina di Vangelo
perché mi vuole comunicare un suo messaggio. E qual è questo messaggio? “Vedi
come Io ho condotto questa donna alla scoperta di Me? Come ho condotto questa
donna alla scoperta di Me, Io voglio condurre la tua anima, oggi, alla scoperta
di Me”. “Come ho fatto a condurre questa donna alla scoperta di Me? E che cosa
ha fatto questa donna per rispondere a tutte le mie sollecitazioni, per
portarla a questa meta? Queste sono lezioni per te, affinché tu sappia la scala
che ti conduce a questa rivelazione: “Sono Io che parlo con te”.
Eligio:
Quindi se avessimo dei dubbi, possiamo sempre pensare di avere davanti Gesù che
ci dice: “Sono Io che ti parlo”.
Luigi:
Si, l'affermazione è quella! Però noi qui possiamo credere
per fede perché Lui ha detto: “Sono Io che parlo con te”; universalizzando, Dio
in tutte le cose dice a noi: “Sono Io che parlo con te”. Universalizzando nel
senso che... dobbiamo sempre ricollegarci con il primo punto: siamo convinti
che tutto è opera di Dio? Che Dio opera in tutto? Questo è il primo punto. Se
siamo convinti del primo punto, il secondo punto è questo: ogni opera di Dio
è una parola. Quindi: tutto è opera di Dio, ogni opera di Dio è una
parola; una parola rivolta a noi personalmente. Dio parla personalmente non
parla all'umanità, ma parla personalmente a ognuno di noi perché Lui ha
presente tutto di ognuno di noi. Quindi avendo presente tutto di ognuno di noi,
non parla come massa, ma nel suo operare, che è un parlare, parla personalmente
a ognuno di noi. Quindi ogni sua parola contiene un messaggio e in questo
messaggio c'è qualche cosa di eterno che si annuncia a noi. In tutte le parole
di Dio, Dio annuncia qualche cosa di Sé, quindi di eterno. Ora, nei messaggi di
Dio, nelle opere di Dio, abbiamo questo fatto. Gli antichi lo paragonavano al
frutto. Il frutto ha una scorza e una polpa. Ora, ogni messaggio di Dio, ogni
opera di Dio, ha una scorza attraverso la quale bisogna arrivare al frutto.
Bisogna superare, bisogna rompere. La scorza è l'apparenza con cui arriva a
noi; la polpa, il frutto, è quanto di eterno contiene il messaggio e bisogna
arrivare a questo “quanto di eterno” che Dio vuole comunicare personalmente a
noi. In ogni fatto, in ogni parola di Dio c'è qualche cosa di eterno. Non
dobbiamo quindi fermarci all'apparenza o al modo di essere; per cui: “In questa
parola Dio mi dice questo e quindi mi devo comportare così”. Questo è il modo
di essere; siamo sulla scorza. Ecco qui arriviamo a capire che quello che
veramente nutre, è la polpa; non è la scorza. La scorza si butta via. Alla
conoscenza tu arrivi nutrendoti della polpa. Quello che nutre veramente è
l'eterno. Noi abbiamo detto che nutre veramente quello che è assimilato; adesso
dobbiamo aggiungere: nutre veramente quello che è eterno. Noi abbiamo visto che
assimilare vuol dire capire, assimilare le parole di Dio vuol dire capirle. Ma
qui cominciamo a capire che capiamo le parole di Dio soltanto quando arriviamo
all'eterno delle parole di Dio, a quello che di eterno le parole di Dio ci
comunicano. Ora, tieni presente che questo è poi il dono: “Se tu sapessi il
dono di Dio”, il dono di Dio è poi la comunicazione della sua eternità della
sua verità, del suo spirito. Gesù dice: “Se tu sapessi” perché i doni possono
essere dati soltanto in quanto si ha la capacità di riceverli. I doni non
possono essere dati a chi non è capace. Abbiamo due tempi nell'operare di Dio:
il primo tempo in cui Dio opera su di noi per renderci capaci di ricevere il
suo dono. Secondo tempo (ecco quindi la samaritana). Nel primo tempo Lui entra
nella mia vita: “Dammi da bere”, incomincia a lavorare su quello fino a
renderla capace e non si rivela fintanto che lei non è capace.
Nino:
Lui la verità ce la dà solo se siamo attenti a Lui.
Eligio:
Non è sempre chiara la verità.
Nino: Ma
perché io non mi sono applicato come avrei dovuto.
Luigi:
Perché io non sono ancora capace di riceverla. Allora noi
vediamo la parola di Dio o l'opera di Dio, contiene una promessa di un dono che
Lui vuol farci, che noi non siamo ancora capaci di accogliere; c'è la promessa.
Tutte le cose di Dio che arrivano a noi, in quanto entrano nella nostra vita, e
toccano il nostro io, riguardano il nostro io, hanno una scorza. Quindi la
parola di per sé, non è rivelatrice, non è donatrice del dono. Annuncia un dono
futuro: la parola arriva a noi come annuncio di un dono futuro che Lui vuole
darci. È logico, è una caparra. Per questo che dico, se noi intendiamo la
parola di Dio, vuol dire che Dio vuol darci il suo dono. Lui vuol darci il suo
dono perché Lui ci promette la sua parola. Però San Paolo cosa dice? “Se oggi
giunge a te la parola, sforzati di entrare nella sua pace”. Ora Lui parla per
sei giorni, il settimo giorno si ritira nel suo riposo, nella sua pace, per
aspettare che noi entriamo nella sua pace. Perché la parola di Dio arriva a
noi, ci promette una cosa, ma non può darcela se in noi non si forma quella
condizione tale per accogliere il dono. Cioè noi abbiamo visto proprio la
samaritana, che la condizione per accogliere il dono: “Sono Io che parlo con te”,
fu quella di: “So che deve venire il Messia” ecco la maturazione, il desiderio
di -. quello che ci rende capaci di ricevere un dono, è il desiderio del dono
stesso. Quello che ci rende capaci di assimilare è la fame di-.
Rina:
Sant'Agostino ha desiderato per anni di conoscere la verità.
Nino:
Bisogna vedere fin dove era puro quel desiderio.
Luigi:
Agostino aveva quel desiderio e come mai non ha capito? Un
momento. Il Signore, i tempi è Lui che li misura, perché noi crediamo, ma non
basta desiderare: “Mi cercherete e non mi troverete”, perché? Perché altrimenti
noi restiamo con il dubbio: “Sono io che ho scoperto, sono io che ho trovato, è
il mio desiderio che ha fatto”. Fintanto che in noi non c'è questa maturazione
tale per cui tutto ciò che arriva a noi, anche i semplici pensieri, non li
vediamo come dono di Dio, non siamo maturi per accogliere i doni di Dio. Allora
Dio ci fa aspettare, magari ci fa aspettare anche tutta la vita perché è Lui
che misura il tempo; non siamo noi. Quindi Lui dice: “Mi cercherete e non mi
troverete” perché si arriva alla verità non con il nostro desiderio! Si arriva
alla verità con Lui. Lui parla; è Lui che forma in noi la fame. Ma la fame si
forma in quanto noi accogliamo il suo parlare. La sua parola, quando giunge a
noi, è una promessa di dono. Chi mi fa una promessa forma in me un'attesa. Ho
detto molte volte che con i malati, con i carcerati, quando si dice qualche
cosa, si forma una situazione di attesa. Per cui bisogna stare sempre molto
attenti con i malati, con i carcerati, a promettere qualche cosa perché in loro
si forma molto, essendo in una situazione di isolamento, la situazione di
attesa. Ecco qui abbiamo la parola che forma nell'uomo la fame. E perché forma
la fame? Ma perché è proprio la fame la condizione per -. Non solo, ma bisogna
ancora tener presente un'altra cosa: che la fame deve crescere fino a livello
del dono. Ad esempio, il dono assoluto di Dio, presuppone in noi una fame
assoluta. Fintanto che la nostra fame non è a livello di quell'infinito che vuole
donarsi a noi, noi siamo nella situazione di incapacità di assimilare il dono
di Dio. Per cui Dio non soltanto opera per formare in noi la fame, ma opera per
far crescere questa fame fino a livello in cui diventa capace di assimilare il
suo dono. Noi lo vediamo con il bambino che si nutre di latte, non gli si dà la
carne, dice San Paolo, non gli si danno i cibi solidi. Quando ci danno il cibo
non adeguato alla capacità di assimilazione, diciamo che la cosa non è
ragionata. Ogni cosa va proporzionata a -. Per cui al bambino bisogna dare un
cibo proporzionato alla sua capacità di assimilazione. Però proprio quel cibo
lì, dando il latte, si fa crescere in lui la capacità di assimilare cibi
maggiori. Così è se noi continuiamo a nutrirci di parole di Dio, la parola
stessa di Dio, non soltanto le parole ma anche tutti gli avvenimenti, anche le
opere sono parole, quindi la situazione è quella di accettare tutto dalle mani
di Dio, accettando e accogliendo, quindi credendo alle parole di Dio, queste ci
introducono nella fame e fanno crescere questa fame e la fanno crescere fino a
quei livelli tali da poter ricevere il dono di Dio. Per cui ecco la situazione
di attesa, che si può prolungare fintanto che non si forma la capacità. Chi
misura i tempi, il Signore dice: “Nemmeno il Figlio lo sa”; è molto importante
questo fatto. La grande rivelazione, dice, nemmeno il tempo, nemmeno il Figlio
la sa; nemmeno gli angeli, solo il Padre, per dire: “Dovete aspettarla dal
Padre”. La fame deve maturare nei riguardi del Padre, perché il dono, la
generazione, viene dal Padre.
Pinuccia:
Quando dice: “Nemmeno il Figlio lo sa”, lo dice come uomo o anche come Verbo..
Luigi:
Come Verbo, perché in Lui parla il Figlio. Il suo parlare è
parlare per noi; Lui lo dice “affinché” quella parola lì, formi in noi una
situazione di attesa verso un certo fine, il fine è il Padre. Per cui dicendo:
“Guarda che la cosa dipende da quello”, orienta me all'attesa di quello. Per
cui io non aspetto altre persone, aspetto quello, perché l'attesa mi è stata rivolta
a quell'incontro con quella persona. Quindi il Figlio parla a noi glorificando
il Padre. Siamo sempre nell'argomento di prima: tutta la gioia del Figlio sta
nel poter rivelare il Nome del Padre. Il Nome del Padre vuol dire creare la
situazione in noi dell'attesa del Padre perché la nostra vera nascita avviene
dal Padre. Quindi non aspettare altro, non attendere altro ma rivolgiti lì. È
chiaro?
Ora, tutte le opere di Dio
e tutto il suo parlare, è per suscitare in noi la fame. Però ogni opera attende
da noi un atto di adesione. Perché la parola giunge a noi e noi possiamo anche
non crederla, non aderire ad essa, cioè interessarci di altro, ritenerla non
parola di Dio ma parola di uomo. Allora cosa succede? Non aderendo alla parola
di Dio, noi non ci formiamo nella fame di quello di cui ci parla quella parola.
La parola di Dio ci parla di Dio; la caratteristica della parola di Dio è che
ci parla di Dio. In quanto ci parla di Dio, ci fa desiderare, ecco la fame,
suscita in noi la fame perché ci presenta un dono che ancora non riceviamo.
Ecco la bellezza della parola di Dio: ci fa desiderare una cosa che ancora non
abbiamo. Se noi non crediamo alla parola, allora noi consideriamo quella parola
non più perché ci parla di Dio ma per altro, allora non entriamo nella fame di
Dio. Se noi aderiamo a quella fame, invece, allora la parola
successiva, e Dio parla ogni giorno, ogni giorno ci dà il pane: “Dacci oggi il
nostro pane quotidiano”, ci orienta a quello che è l'essenziale, Dio parla in
continuità per far crescere la fame. Lui parla per far crescere la fame, non è
detto che noi siamo sempre disponibili a crescere nella fame o ad accogliere la
fame. Perché in quanto la parola di Dio arriva a noi in continuità, se questa
parola non è creduta, fa diminuire in noi la fame, porta via a noi la fame di
Dio, se non è creduta, se non è accolta. Se è accolta, fa crescere la fame. Per
cui noi il giorno seguente, se noi abbiamo rifiutato l'attenzione alla parola
di Dio, siamo meno disponibili ad accettare la parola successiva. Per cui la
parola di Dio, non è che ci renda stabili, anche se noi la
rifiutiamo, se non siamo sempre disponibili. Le opere di Dio scendono in noi
progressivamente per cui aumentano in noi la fame o la diminuiscono, la
spengono. Per cui arriva un certo momento in cui non sentiamo più interesse per
Dio, non sentiamo più il desiderio di Dio e diventa tragica la cosa! Ma questa
è tutta una conseguenza del pane non assimilato. Per cui ci si sente ingolfati,
non si sente più il desiderio di Dio. Per cui Dio non mi interessa più perché
ho altri interessi, tante altre cose che mi divertono o che mi danno vita. La
mia vita io l'aspetto dalle creature, l'aspetto dal mangiare, dal vestire, dal
denaro, dalla carriera nel mondo. Dio per me diventa una cosa astratta, lontana,
sempre più lontana. Ecco questo è il tanto parlare di Dio che è arrivato a me
ma che non è stato mangiato, non è stato assimilato. Per cui quello che da
parte di Dio giungeva per formare in me la fame e farmi crescere fino a quel
livello tale da poter ricevere il dono, è diventato per me negativo. Perché i
doni sono continui, non è che Dio aspetti e dica: “Beh, siccome ieri non hai
accolto la mia parola, adesso Io sospendo la mia comunicazione e aspetto...”.
No! L'opera di Dio continua, tant'è vero che la morte arriva! Anche se noi
diciamo: “No, no, io non la voglio!”. Il tempo scorre anche se noi fermiamo
tutti gli orologi, non possiamo fermarlo! Perché la creazione è di Dio, l'opera
è di Dio, l'Autore è Dio, non siamo noi che possiamo dire: “Aspetta Signore,
quando mi farà comodo io mi interesserò di te”. Per cui Dio non dipende, né
dai nostri desideri, e Dio non dipende nemmeno dai tempi che noi vogliamo
disporre. Noi dobbiamo come creature essere attenti. “Vegliate!” e
questo il Signore lo dice a tutti: “Lo dico a tutti: Vegliate!”. Questa
disponibilità all'ascolto perché il tuo Signore ti sta parlando. Dio parla! E
non è che parla ogni tanto! Dio parla ogni giorno. Perché col suo parlare entra
nella nostra vita ogni giorno. Abbiamo visto con la samaritana il primo atto: “Dammi
da bere” perché Lui entra nella nostra vita, nelle nostre preoccupazioni,
nei nostri affari di ogni giorno. Lui entra, se noi ascoltiamo la sua entrata
nella nostra vita, Lui ci propone già un cibo diverso, un'acqua diversa: “Tu ti
affatichi per questo? Non affaticarti tanto per questo. C'è qualcos'altro che
preoccupa di più!”, dice Gesù nell'episodio di Marta e Maria. Se noi cresciamo
in questo ascolto qui, Lui a poco per volta, ecco tutta la trafila, come ha
condotto a maturare l'anima della samaritana, fa maturare la nostra anima; se
noi restiamo in ascolto. Lui fa crescere questa fame, questo desiderio fino
all'individuazione. Perché man mano che cresce questa fame in noi, cosa succede
quando uno incomincia ad avere un desierio, una fame? Diventa selettivo,
diventa volontà orientata. Prima noi eravamo creature con tante volontà
sbandierate, in balìa di tanti, come riceviamo questa parola di Dio, la parola
di Dio, formandoci una certa volontà orientata verso -, crea una luce polarizzata
di modo che noi incominciamo a desiderare fermamente una certa cosa. Questo
crea un campo di scelta: la nostra vita diventa personalizzata, incominciamo ad
acquistare un nome. È Dio che forma il nome. Più noi ascoltiamo Dio, e più si
forma in noi un nome ben chiaro, ben preciso, cioè si forma una personalità. Si
vuole in modo ben definito una cosa. Quindi è tutto un campo di scelta. Più noi
aderiamo alle sue parole, e più questo orientamento, questa personalità, questa
volontà decisa, ferma verso un certo fine, cresce, cresce, cresce, fino ad un
certo momento in cui uno vuole solo più Lui. Noi ci accorgiamo che assistendo
delle persone in agonia, persone orientate, è Dio stesso che lavora per
eliminare ogni altra cosa: si vuole solo più Lui. “Vieni Signore Gesù” e tutta
la Bibbia si conclude con il Libro dell'Apocalisse, l'ultima parola dice:
“Vieni Signore Gesù”. Se tutta la Bibbia significa la nostra vita, noi ci
accorgiamo che nell'agonia, l'ultimo sospiro dice: “Vieni Signore Gesù”. Anche
se non si dice a parole, ma l'attesa è quella: “Vieni Signore Gesù”. Ora, ecco
la fame. Dio, poco per volta, forma in noi il desiderio di Lui. Ci prende
mentre abbiamo tanti interessi e a poco per volta seleziona, fino a formare un
desiderio unico. Si diventa capaci di ricevere un dono soltanto in quanto in
noi si è formata quella fame a livello di quel dono lì e se il dono è assoluto,
bisogna che in noi ci sia una fame assoluta. Una fame esclusiva che scarta
tutto il resto: ecco la scelta. Per cui si vuole solo più “quello”, perché si
sa che tutto dipende solo più da “quello”. In quanto la cosa dipende solo più
da “quello” siamo entrati nel campo assoluto: tutto Dio – Dio tutto. Lì è il
momento in cui siamo disposti alla presenza, siamo fatti per quella presenza,
prima no! Per cui prima c'erano dei dubbi, delle incertezze perché desideriamo
Dio! Però Dio non può comunicarci la sua presenza. Per comunicarci la presenza
bisogna che in noi ci sia il desiderio unico, totale di Lui. Ormai siamo maturi
per la rivelazione.
Nino:
L'ora della rivelazione neanche il Figlio la sa, solo il
Padre. Perché il Figlio fa dipendere tutto dal Padre. Sembra che il Figlio si
limiti ad una imitazione. Sembra una limitazione della sua divinità...
Luigi:
Guarda, le grandi limitazioni sai quando succedono? Le grandi limitazioni siamo
noi che le facciamo in quanto diciamo: “Io sono perfetto”, allora sprofondo giù
e sono tutto limitato. “La cosa dipende da me”, “Io so”: finito! Ma se io
faccio dipendere tutte le cose dall'Altro, ecco la vera liberazione! La grande
liberazione del Figlio è quella di dire: “Tutto dipende da Dio! Io non so
niente”. Noi dobbiamo dire: “Io sono niente! Tutto è opera di Dio!” qui noi
tocchiamo i limiti dell'infinito! Noi ci impoveriamo quanto più noi diciamo:
“Io so qualche cosa!”.
Nino:
Ma un Dio che dice: “Io non sono nulla. È il Padre che è tutto”...
Luigi:
La grandezza del Figlio, il quale forma una cosa sola col Padre... (qui
dovremmo approfondire l'Unità dell'Essere nelle Tre Persone Divine), la vera
grandezza del Figlio, è quella di poter glorificare il Padre, parlare del
Padre, far dipendere tutto dal Padre. Per cui, alle estreme conseguenze, il
Figlio, non parla di Sé. Il Figlio è il Pensiero del Padre e in quanto è il
Pensiero del Padre...
Nino:
Si, il Figlio parla di Sé ma sempre come espressione del Padre: “Io sono la
via, la verità e la vita”...
Luigi:
Il raggio di luce di una stella, proviene dalla stella e ti fa vedere solo la
stella. Il raggio di luce arriva a te e ti dirà: “Io sono la via per arrivare
alla stella”. Evidentemente è la via per arrivare alla stella, perché se non segui quel raggio di luce, non arrivi
alla stella. Però il raggio di luce ti parla della stella e soltanto della
stella perché è generato dalla stella. Tutto proviene dalla stella. Noi siamo
portati sempre a fare la nostra individualità e contiamo che il Figlio con
questa individualità come se fosse il nostro io che parla; ma il nostro io è
staccato. Mentre invece il Figlio di Dio è una cosa molto, molto diversa.
Perché l'Io di Dio, l'Io del Figlio, è il Pensiero del Padre. In quanto è
Pensiero del Padre, non è l'io come lo consideriamo noi per cui a noi sembra
che l'Io del Figlio, se dice che tutto dipende dal Padre noi lo vediamo
diminuire. No! Facendo dipendere tutto dal Padre, il Figlio si sente
infinitamente onnipotente. Proprio nel confermare la sua totale dipendenza dal
Padre.
Nino:
Intuisco però non sono ancora in grado di portare questo pensiero..
Luigi:
Si, però siccome tutte le cose sono segno, noi possiamo trovare perché Dio
significa se stesso in tutto, quindi significa il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo. Per cui abbiamo la creazione, l'esistente al piano del pensiero e
abbiamo anche l'amore che opera in ogni creatura. E questi sono i segni di. Noi
possiamo constatare questo: il nostro io più si gonfia, tanto più si
impoverisce; quanto più invece si dimentica nell'oggetto d'amore, tanto più si
amplia. E se il suo oggetto d'amore diventa infinito, noi diventiamo infiniti
ma diventiamo infiniti proprio nella misura in cui noi amiamo. Se io amo
infinitamente un essere, cosa vuol dire amare infinitamente un essere? Vuol
dire che non mi passa minimamente un pensiero che si sia scostato da
quell'essere lì e poi non mi ripiego su me stesso, non posso ripiegarmi su me
stesso. Allora se questo essere è infinito, guardando questo essere infinito
entro in una dimensione infinita. Ma questa dimensione infinita del nostro
pensiero, del nostro cuore, del nostro amore, è riflesso, è dono dell'Altro.
Tutto è dono dell'Altro!!
Pinuccia:
Non ho mai pensato che questo fosse un segno della grande Realtà!
Luigi:
Si, ma tutto, perché Dio non fa altro che significare se stesso. Quindi tutti i
segni sono abbassati a livello della nostra capacità di assimilazione, Dio scende
a giocare a birille con il bambino, scende a livello di. Se noi assimiliamo
allora Lui ci fa crescere, “Io sono il cibo degli uomini adulti” dice
Sant'Agostino: “Cresci e mi mangerai! Non sono Io che mi devo mutare in te, sei
tu che ti devi mutare in Me”; ma chi mi muta in Dio è Dio, non sono io! Perché
se fossi io, sarei io che muterei Dio in me. L'errore grande è quello, che noi
il più delle volte crediamo di dover trasformare Dio in noi. Ma chi ci
trasforma non siamo noi, è Dio che trasforma noi nella misura in cui
ascoltiamo, nella misura in cui lo lasciamo entrare, nella misura in cui noi
accogliamo e crediamo. Credere a Dio, credere alle opere di Dio, alle parole di
Dio, non vuol dire semplicemente dire: “Credo”. Perché abbiamo visto che Dio opera
per portarci nella sua fame; quindi credere vuol dire desiderare ciò di cui
Egli ci parla. Vuol dire aver fame di.
Più cresce questa fame e più si forma la capacità di ricevere i suoi
doni; più riceviamo i suoi doni e più... perché ogni dono suo è promessa di
qualche cosa di superiore. E quindi è significazione di Sé. Quindi arriva a noi
sempre come segno, come segno di qualche cosa di successivo. Per cui potremmo
dire che abbiamo tre tempi nell'opera di Dio:
-
primo tempo abbiamo la promessa,
la parola che arriva;
-
secondo
tempo abbiamo la fame
-
terzo tempo abbiamo il dono
proporzionato a questa fame.
Se noi accogliamo il dono proporzionato a
questa fame, perché ogni opera di Dio è condizionata dal terreno. Abbiamo il
seme che posto nel terreno, è condizionato dal terreno; il terreno può essere
di sassi, può essere una strada, un cespuglio di rovi, il terreno può essere
profondo, può essere buono, può accogliere il seme. Ogni dono di Dio è un seme;
se il terreno risponde allora il seme comincia a crescere. Ma crescendo cosa
vuol dire? La crescita nostra, è una crescita di fame. La condizione per
passare dal guscio alla polpa del frutto, per passare alla polpa, a quello che
nutre, che è eterno, si richiede il superamento dell'io. Perché fintanto che
noi riferiamo al nostro io le opere di Dio, i doni di Dio, noi restiamo sempre
alla superficie, alla scorza, non penetriamo alla polpa. Per arrivare
all'eterno, al dono promesso di Dio, si richiede il superamento dell'io perché
bisogna riceverlo da Dio, non bisogna riferirlo al nostro io o al mondo,
restiamo in superficie.
Per cui tutti i doni di Dio sono fatti da
un'apparenza e da una sostanza; l'apparenza è quella che si riferisce a noi, al
nostro mondo, (Dio che gioca a birille, “Dammi dell'acqua”) ecco l'apparenza. E
questa è la nostra vita. La nostra vita è la situazione che combacia con la
nostra vitalità: abbiamo l'apparenza del dono. E poi abbiamo la sostanza, ma
per arrivare alla sostanza del dono dobbiamo rompere il guscio: il superamento
dell'io per riferirlo a Dio, non più al nostro io. Gli apostoli dicono:
“Qualcuno gli ha portato da mangiare”, ecco il riferire a se stessi. Quando
Gesù dice: “Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”, gli apostoli
dicono: “Qualcuno gli ha portato da mangiare” ecco l'interpretazione materiale,
lo riferirono a se stessi. Siccome il Figlio parla nel Pensiero del Padre,
tutte le parole di Dio sono cariche di Spirito; per cui il segno è umano, lo
Spirito è divino. È l'incarnazione: chi parla è un uomo; apparentemente è un
uomo che parla a noi, il suo Pensiero è di Dio. Per cui non dobbiamo fermarci
all'interpretazione materiale, umana dei fatti. Lui mi chiede l'acqua? Ma
quando Lui mi chiede l'acqua, pensa a una ben altra acqua, perché Lui pensa al
Padre. Perché tutte le parole che Lui dice, tutti i fatti che Cristo fa, li
dice e li fa nel Pensiero del Padre. Per cui noi li intendiamo, ecco che
arriviamo all'interno, noi li intendiamo soltanto quando li vedremo nel Padre.
Per cui anche tutte le opere che Gesù faceva, li stessi suoi discepoli, non le
capivano! Le interpretavano materialmente, perché le riferivano al pensiero di
sé. Quando verrà lo Spirito di verità, che Gesù manderà loro dal Padre, allora
capiranno tutto quello che Gesù aveva fatto. Infatti “Lo Spirito di verità vi
condurrà a capire tutto quello che Io vi ho detto”. Per cui le cose Lui le
dice, gli altri le accolgono, perché sono i suoi discepoli, le custodiscono,
come la Madonna, le custodiscono nel cuore, ma non capiscono. Però siccome sono
parole del Maestro, le tengono.: “Quando verrà lo Spirito di verità vi farà
capire”, “Vi condurrà a vedere tutta la verità”. Come vi condurrà: ve lo farà
vedere il Padre, perché lo Spirito di verità procede dal Padre.
Eligio:
Ora ci riesce difficile capire questo pensiero però penso che quando saremo
risorti...
Luigi:
Tutta l'opera di Dio di formazione dell'uomo, noi la ritroviamo già nella
creazione; le tappe della creazione sono le tappe della formazione dell'uomo.
All'inizio noi abbiamo il caos: Dio parla e comincia a formarsi l'ordine; Dio
parla e comincia a formarsi la vita; Dio parla e comincia a formarsi l'uomo. È
la parola di Dio. Noi partiamo da una situazione di caos: l'uomo è un abisso.
Se l'uomo non sta ad ascoltare la parola di Dio, se Dio non parla, l'abisso
resta abisso, il caos resta caos. Infatti la nostra morte è un ritorno
all'abisso, è un ritorno nella molteplicità, nella dispersione, in cui noi non
sappiamo più. Siamo tutta una contraddizione. Noi crediamo che qui sia la luce,
e come ci avviciniamo c'è la contraddizione, siamo contraddetti da un'altra
cosa. Bisogna lasciar parlare Dio! Come Dio parla, incomincia a creare ordine;
come Dio parla incomincia a creare vita,; come Dio parla incomincia a creare
l'uomo; incomincia a creare desiderio di Sé. È sempre la parola di Dio. Perché
nel Paradiso, nel Cielo, diremo: “Signore, sei tu che mi hai fatto!”; e la
grande gioia per noi sarà poter dire: “Signore, sei tu che mi hai fatto!”.
Mentre la nostra grande tristezza sarà poter dire, dover portare qualche cosa
in noi non fatto da Dio. È la grande gioia di essere amati. Perché essere amati
vuol dire essere pensati. Ma io posso essere pensato da un Altro, soltanto in
quanto sono tutto nell'Altro, sono tutto secondo l'Altro. Ma se io sono deforme
dall'Altro, in quello che sono deforme dall'Altro, non sono pensato dall'Altro.
Anche se l'Altro mi pensa, sia chiaro, ma io non sono spiritualmente secondo
l'Altro, io mi sento staccato. Lui mi è vicinissimo ma io sono lontanissimo.
Nello Spirito non ci sono gli stessi rapporti che ci sono nel nostro mondo; per
cui nel mondo, uno lontano dall'altro, crea la stessa lontananza dell'altro da
questo. Nel mondo dello Spirito no! Dio può essere vicinissimo a noi e noi
essere immensamente lontani da Lui. Per cui l'inferno può essere in Paradiso.
Per cui Dio è vicinissimo e l'anima può portare con sé qualcosa di deforme da
Dio da essere lontanissima, perché non può, non è in sintonia, non si sente
pensata. È logico, perché porto con me qualche cosa che non è pensato e non è
pensabile da Dio. Dio dice: “Io non vi conosco”. Quando scaccia le vergini
stolte, dice: “Non vi conosco”. Furono fuori nel sentirsi dire: “Non vi
conosco” perché portavano in sé qualche cosa che non è secondo Dio., che non è
generato da Dio. L'universo stesso, più lo si analizza, nel campo fisico, più
si va a fondo e più si trova tutta la dispersione (molecole, atomi, elettroni)
fino ad arrivare al caos. Principio di indeterminazione per cui non c'è più
ordine. Quello che è strano è questo: che da un mondo tutto disordinato (da cui
procede il principio di indeterminazione) nasce un mondo ordinatissimo,
stupendo, bellissimo. La massa, in fondo, è tutto disordine; e poi c'è Qualcuno
che ordina, ed è il principio dell'assimilazione. Così è per l'uomo: noi
partiamo da una situazione di caos ma se ascoltiamo le parole di Dio, e tutto
questo è segno, educazione, pedagogia, se noi ci fermiamo ad ascoltare Dio, più
noi ci fermiamo ad ascoltare Dio, e più in noi, a poco per volta, si forma
l'ordine. “Un esercito meraviglioso di ossa sparse. Forse che le ossa
possono vivere? Parla – dice Ezechiele – e man mano che parlavo queste
ossa si radunano, cominciano i nervi a legare le ossa, poi i muscoli, poi un
esercito meraviglioso”, tutto in ordine. Chi ha fatto questo? La parola di
Dio. Sono tutte lezioni di Dio. Più noi ci fermiamo ad ascoltare Dio, Dio
parlando a noi forma questo “universo”. Ognuno di noi è un “universo”, dal caos
forma questo universo. Universo che vuol dire: rivolto verso l'unità; questa
fame, questo desiderio di Dio. Ad un certo momento diventiamo tutto desiderio
di Dio. Ma come diventiamo tutto desiderio di Dio, siamo alla presenza di Dio
perché “Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato”. Ma il fatto
è che dobbiamo diventare tutto desiderio di Dio. Ora, Chi forma in noi questo
tutto desiderio di Dio, per cui noi diciamo: “Mio Signore, mio tutto”,
Chi forma in noi questo desiderio di Dio è il suo parlare, è la sua parola.
Parola che è condizionata dall'altro tempo: il terreno, il seme. Cioè la parola
di Dio va ricevuta, va ascoltata, va trattenuta, va meditata, approfondita. Non
basta soltanto la parola di Dio parlata. Dio ha parlato e, tu? Dio ha parlato,
e tu? Per cui Dio parla: semina. Se il terreno è profondo: il seme cresce. Se
il seme cresce: porta frutto. Il frutto diventa poi guscio e polpa. Arriva alla
polpa! Per arrivare alla polpa devi superare il pensiero del tuo io. È tutto
Dio che ti educa a tutto questo! Fino ad arrivare alla morte in croce, alla
resurrezione.
Nino:
Il nostro corpo è fatto di enzimi, coenzimi, paralizzanti, come fai a capirci
qualcosa? Eppure Chi l'ha fatto doveva avere tutto in mano..
Eligio:
Eppure queste cose ci condizionano..
Luigi:
Ma come ci condiziona il caos; quando noi troviamo le tenebre, siamo
condizionati. La più grande tristezza è proprio la nostra notte, è il non
capire più niente. Tutto è condizionante.
Eligio:
Contemporaneamente attingiamo a Dio nella nostra intelligenza.
Luigi:
Dio parla anche nel caos. Anche se noi fossimo nell'abisso più nero, non
dobbiamo mai disperare perché Dio è talmente onnipotente da far arrivare il suo
raggio di luce, la sua voce, il suo annuncio anche nelle tombe. La tomba è poi
il nostro io che si è chiuso in se stesso. Dio interviene sempre anche in
coloro che sono chiusi nelle tombe “ascolteranno la mia parola”. Quindi la
parola di Dio può arrivare dappertutto. Non posso dire: “Sono chiuso nelle
profondità della terra e la parola di Dio non mi arriva”; anche se tu ti
sprofondassi nell'inferno, Dio è lì. Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo.
Cosa vuol dire? Che Dio ti arriva. Ma allora se Dio fa arrivare a te la sua
parola, anche se tu sei nell'abisso più nero, nella disperazione più grave, tu
non disperare perché Dio fa arrivare la sua parola, ti dà la possibilità di
agganciarti al suo raggio di luce e se tu ti agganci, Lui ti tira fuori perché
Lui è onnipotente. Nessuna situazione è disperante perché il raggio di Dio
arriva dappertutto; però bisogna agganciarsi; però in quanto ti arriva ti dà la
possibilità di agganciarti perché “Dio vuole che tutti si salvino” (Dio
non fa la massa di dannati) “e giungano a vedere la sua verità”. Se
vuole che “tutti”, quel tutti è in qualunque situazione. La meta è unica per
tutti, ma Lui è la scala misurata per ognuno, in qualunque situazione in cui si
trovi. Ma la scala Lui la fa giungere. Quindi il suo pensiero arriva
dappertutto, anche se uno è nell'abisso più nero, tu hai il Pensiero di Dio; se
ti agganci...
Eligio:
Gesù non parla mai di morale...
Luigi:
Ma no perché la morale è una conseguenza.
Pinuccia:
Ma nel discorso della montagna (le beatitudini) Gesù parla di modi di essere.
Luigi:
Si ma guai se noi interpretiamo soltanto come modi di essere. Come nella Legge
va sempre vista l'anima della Legge. L'anima è sempre: “Cerca prima di tutto
il regno di Dio”. L'anima di tutto il discorso della montagna è: “Cerca!
Non affaticarti, non preoccuparti.. per cui beati i poveri. Cerca prima di
tutto il regno di Dio”, l'anima è quello. Cerca il regno di Dio cosa vuol
dire? Conoscimi. Tutta la morale è poi una conseguenza.
Eligio:
Noi non riusciamo a districarci da questo caos perché ci fermiamo alla morale.
Luigi:
Certo, Dio non dice: “Prima sii puro e poi viene da me”, Dio non dice
quello. Dio si lascia avvicinare dall'adultera, dalla peccatrice, dalla
prostituta. Dio si lascia avvicinare da chiunque chiede, cerca. Questo cosa
vuol dire? Che è Lui che fa l'uomo puro. Lui non ti fa fare “anticamera”.
Perché Lui sa che è soltanto parlando con Lui che Lui ti purifica. Infatti alla
fine dice ai suoi discepoli: “Voi siete puri a motivo delle parole che io vi ho
detto”. Quindi sono le sue parole che ci purificano, che ci formano, che ci
liberano. Se io dico: “Prima devo fare ascesi, penitenza, devo purificarmi
dal peccato poi mi avvicino al Signore”, stai fresco: non arriverai mai.