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Soggiunse allora Nicodemo: “Come mai può avvenire questo?”. Gesù rispose e gli disse: “Tu sei maestro in Israele e ignori queste cose?” Gv 3 Vs 9/10


Titolo: La cecità.


Argomenti: La vera preghiera è ascolto – Il pubblicano e il peccatore – Il silenzio della Madonna – Dio si rivela personalmente – Rinnegare se stessi – Meditazione e silenzio – La presenza di Dio e la presenza del mondo – La nascita continua – La stabilizzazione dell’amore – La crescita di Dio in noi – Pentecoste – Rivelazione di presenza – La paura ad amare Dio – Nicodemo – Confessare di non capire – Ritornare bambini – Irreversibilità -


 

9/Gennaio/1977


 

Eligio: Quando Gesù trova dinanzi a Sé qualcuno che gli conferma delle realtà che Lo riguardano, realtà che oggettivamente sono accettabili, ad esempio il giovane ricco dice: “Maestro buono”, Nicodemo dice: “Noi sappiamo che tu sei dottore perché non potresti operare i miracoli che fai se non fossi mandato da Dio”, Gesù non accetta. Per quale ragione? A Gesù possiamo dire che è un maestro buono, possiamo dire che è mandato da Dio. Come mai non accetta?

Luigi: Anche quando vogliono farlo re perché ha moltiplicato i pani, Lui fugge, non accetta.

Eligio: Sì, in quel caso vogliono farlo re in senso umano, quindi lo capisco. Ma qui è giusto quello che dicono.

Luigi: Però la motivazione è sbagliata; direi, il motivo per cui dicono quello è sbagliato. È sbagliato perché Gesù dice: “Se uno non rinasce da Dio non può vedere”. Nicodemo dice: “Noi sappiamo”. Il criterio di misura è sbagliato.

È come se volessimo giudicare: Dio esiste perché il mondo esiste. Il criterio è sbagliato: Dio esiste anche se il mondo non esiste, Dio non può esistere perché il mondo esiste.

Lui è venuto a portarci la conoscenza della Verità e a svelare il criterio con cui noi giudichiamo, anche se il giudizio è giusto, è retto. Il demonio diceva: “Tu sei il santo di Dio” e Lui lo schiacciava, non voleva che dicesse la Verità. Noi possiamo adottare un criterio sbagliato per riconoscere la Verità e credere quindi di vedere, ma siamo nelle tenebre. Non è il criterio di Dio. È il criterio ad esempio di un Nicodemo che giudica: “Nessuno può fare le cose che tu fai se Dio non è con lui”, in funzione della straordinarietà.

La straordinarietà non mi rivela il divino: anche il demonio può fare delle cose straordinarie, ma non è sufficiente. La vera conoscenza si ha solo da Dio; la Verità è trascendente; la Verità si conosce nella Verità e per mezzo della Verità. Ogni altro criterio ci può sostenere per un certo tempo, ma poi deve dar luogo al passaggio. È un salto di qualità, per cui noi partiamo dalla terra per conoscere il cielo, ma arriva un momento in cui dobbiamo fare il salto nel cielo per conoscere la terra, altrimenti costruiamo la Torre di Babele. Non si può arrivare al cielo partendo dalla terra: si può arrivare alla terra partendo dal cielo e allora la costruzione è giusta. Si può arrivare alla creatura partendo da Dio, allora la creazione è giusta, ma se si parte dalla creatura per arrivare a Dio la costruzione è sbagliata.

Anche la creatura è opera di Dio e in quanto è opera di Dio tende ad agganciare la nostra attenzione, la nostra anima; questo è vero, però fino ad un certo punto. Ad un certo momento ci deve essere il salto. Infatti noi vediamo che attraverso il colloquio con Nicodemo (“Lì soffia il vento dello Spirito, del Verbo”), abbiamo Nicodemo che dice: “Come è possibile questo?”. E lì siamo sulla spiaggia dell’uomo che invoca la luce. Lui, che è partito all’inizio dicendo: “Noi sappiamo”, qui esce di scena, perché questo è l’ultimo atto, dicendo: “Come è possibile?”; ecco la cecità! Quindi attraverso pochi argomenti il vento dello Spirito conduce la creatura ad invocare nella sua situazione di povertà.

Quando il giovane ricco dice a Gesù “Maestro buono”, glielo dice per entrare in simpatia, in modo da ottenere qualcosa; qui il criterio non è esatto. Come quando gli dicono: “C'è tua madre”, e Lui risponde: “Chi è mia madre?”, ed era sua madre: risponde così perché il criterio non è esatto, il criterio deve essere sempre Dio. Lui è venuto a portare questa nascita nuova da Dio. Abbiamo visto che ci sono due mondi, ci sono due vite, quindi ci sono due nascite.

Abbiamo la nascita nostra naturale e in base a questa abbiamo i figli della carne (siamo noi), quindi il nostro mondo. In base a questa nostra situazione vediamo e giudichiamo tutte le cose sotto un certo punto di vista che è relativo, che non ci porta alla Verità. Tutta questa situazione ci conduce alla cecità, cioè ci conduce ad invocare la luce, ci deve condurre a quella spiaggia; per cui tutte le posizioni che in questa situazione noi affermiamo sicure, sono sbagliate. Dobbiamo soltanto appoggiarci, ma come ci si appoggia sulla neve che si scioglie: ci si appoggia per andare avanti in fretta. Per cui le cose di questa terra ci sono date perché noi abbiamo ad andare avanti, non ad appoggiarci sopra; come noi ci appoggiamo queste si sfaldano: abbiamo il terremoto, la creatura cambia, il tempo passa, ecc..

Quindi c'è un mondo relativo che ha la funzione di introdurci al mondo assoluto, al mondo di Dio, alla nascita nuova, ma che non può darci questa nascita nuova. “I figli di Dio nascono da Dio, non nascono dalla carne, non nascono per volontà”; quindi nessun sforzo di volontà di uomo, di virtù o altro può creare i figli di Dio; non nascono per diritto di sangue, non nascono da uomo, i figli di Dio nascono da Dio. È un salto qualitativo. Evidentemente Dio non è nessuna delle cose create: non è la terra, non è l’uomo, non è il mondo, non è il caso, non è la natura, non è nessuna delle cose create. Allora fintanto che noi giudichiamo in base a questo criterio, non nasciamo da Dio; però tutto questo ci offre la premessa per nascere da Dio, ci fa sentire il bisogno, ci rende inquieti, insoddisfatti. Le cose della terra ci introducono, ci portano su quella spiaggia, su quell’orizzonte dalle quali noi non abbiamo altro da fare che ad invocare l’aiuto divino, la discesa del Verbo, perché Dio si può conoscere soltanto con Dio; quindi soltanto invocando: Abramo desiderò vedere il mio giorno..”, arrivò cioè sulla spiaggia della cecità. Nicodemo all’ultimo, ascoltando il Verbo, lui che era partito dicendo: “Noi sappiamo”, conclude dicendo: “Come è possibile?”, ecco la cecità che invoca, che diventa preghiera, che diventa povera. “Beati i poveri”. La parte successiva è solo grazia, opera di Dio: si nasce da Dio, e abbiamo la creatura nuova.

La volta scorsa abbiamo visto che uno dei criteri con cui si distingue la creatura dal Creatore, e quindi i nati dalla carne con i nati dallo Spirito, è quello dell’interiorità. I nati dalla carne sono motivati dall’esterno, hanno la motivazione del loro operare fuori di sé; e anche se è in sé, è sempre una conseguenza di una risonanza. Invece i nati dallo Spirito, hanno la motivazione del loro operare in Dio (che è in noi), hanno in se stessi la motivazione del loro operare e del loro esistere, e hanno la ragione di quello che fanno in sé. Mentre i figli della carne hanno la ragione del loro operare fuori di sé. Tutto quello che è creato, tutto quello che distingue la creatura dal Creatore sta nella motivazione. Tutto quello che è creato è motivato da fuori di sé, ha la causa fuori di sé: la materia, la natura, le creature, sono tutte motivate da qualcosa di ambientale fuori di sé. Dio solo ha in Se stesso la ragione di Sé e del suo operare. Tutti coloro che nascono da Dio, che sono in comunione con Dio, che vivono in Dio, hanno in se stessi (cioè l’hanno in Dio) la motivazione del loro esistere, la ragione del loro operare.

Una seconda caratteristica che ritengo abbastanza importante è che nel mondo creato, e quindi nei figli della carne, c'è l’irreversibilità.

Mi spiego, perché adesso non so trovare un altro termine: ad esempio il tempo passa in modo irreversibile: si nasce, non si può rinascere. Nicodemo dice: “Può forse un uomo quando è vecchio ritornare nel seno di sua madre?”, non si può ritornare indietro, si va sempre avanti, cioè nel mondo creato si va a senso unico. Il tempo passa, ma non possiamo recuperare il tempo che è passato. La parola detta non può essere ripresa.

 

In Dio invece abbiamo la reversibilità; si rinasce, ma è una rinascita speciale, è una rinascita continua.

Ecco per cui qui Gesù qui parla di due mondi:

·         il mondo di cui parla Nicodemo, ed in cui non si può rinascere evidentemente è soltanto significazione dell’altro mondo; essendo significazione, ha delle caratteristiche che nell’altro mondo non si trovano, per cui in questo mondo abbiamo un cammino che ci porta sull’orizzonte in cui noi invochiamo l’altro mondo, e non possiamo tornare indietro, perché ci deve condurre, ci deve introdurre al mondo di Dio.

·         Il mondo di cui parla Gesù è il mondo di Dio, per accedervi è necessaria una nascita nuova, soltanto qualitativa; ed è una nascita continua e quindi la reversibilità è continua. È la nascita che Gesù è venuto a portarci.

Gesù è venuto a portare la salvezza, quindi la nascita a tutti gli uomini, i quali nel mondo sono soggetti all’irreversibilità, sono soggetti ad una situazione di costrizione per cui non possono rinascere nella carne.

Con il Cristo possiamo rinascere da Dio. Quindi c’è questo salto qualitativo. Ma se c'è questa possibilità di nascita qualitativa, noi ci troviamo davanti a questa verità: non c'è nessuna condizione ambientale che possa impedire all’uomo di rinascere secondo lo Spirito. Per cui con Cristo l’uomo, in qualunque situazione si trovi, può ricuperare, può quindi trovare la vera vita.

In un primo tempo l’ambiente ci confortava in questo cammino (in principio era il Verbo e il Verbo parlava in tutto), quindi anche la situazione ambientale dell’uomo era tutta opera di Dio; l’uomo riceveva l’opera di Dio, era in dialogo con Dio, quindi tutto lo convogliava a questa rinascita continua da Dio. Adamo all’inizio era in una rinascita continua con Dio, poi l’ambiente si è guastato. Perché Dio nell’ambiente scrive quello che è il rapporto intimo che c'è tra la nostra anima e Lui, il nostro rapporto interiore. Per cui se ad esempio la nostra anima è lontana da Lui, Dio scrive nell’ambiente attorno a noi, scrive la nostra lontananza da Lui; e cosa vuol dire questa lontananza?

Presso Dio c'è felicità, c'è libertà, c'è luce, e se la nostra anima è lontana da Dio, Dio ci fa trovare in un ambiente in cui non c'è gioia, non c'è felicità, non c'è libertà; perché l’ambiente, cioè l’habitat in cui veniamo a trovarci, deve dimostrare la situazione in cui noi ci troviamo nei riguardi di Dio: è la dimostrazione del nostro rapporto con Dio. L’unica condizione per modificare l’ambiente non è quella di modificare l’ambiente, ma è quella di modificare il rapporto con Dio, perché l’ambiente esterno è una conseguenza, in quanto è Dio che scrive, che parla personalmente. E parlando personalmente a noi, cosa fa? Scrive attorno a noi la situazione in cui ci troviamo con Lui, per farci prendere coscienza del posto, del luogo in cui ci troviamo, della distanza da cui ci troviamo da Lui, affinché noi l’abbiamo a modificare. È la lezione nell’aula di Dio: Dio attraverso tutte le cose, nell’universo, scrive; e siccome parla personalmente con ognuno di noi, scrive il rapporto tra la nostra anima e Lui, quindi ci invita.

Quindi se noi vogliamo modificare l’ambiente in cui ci troviamo, c'è una soluzione sola: modificare il rapporto interiore tra la nostra anima e Lui.

Come se io volessi modificare il panorama in cui mi trovo ai piedi del monte, c'è una condizione sola per modificarlo, salire sulla montagna, più salgo e più il panorama si modifica, si ampia. Non posso mettermi lì a modificare il panorama stando giù, perché modifico uno, modifico l’altro, ma le cose restano invariate. Quindi dobbiamo solo modificare il nostro interno: “Cercate prima di tutto il Regno di Dio”.

 

Pinuccia: In questo caso perché si modifica solo la visione soggettiva; nell’esempio del panorama, cambia soltanto la visione soggettiva…

Luigi: Sì, certo, perché io vedo in modo diverso.

Pinuccia: Però il cambiamento oggettivo non avviene nell’esempio che hai portato, ma nella realtà con Dio la visione si modifica anche oggettivamente.

Luigi: Ma certo! perché è Dio che opera.

Pinuccia: Sì, quindi l’esempio che hai portato non è appropriato….

Luigi: Sì, certo…

Eligio: Ma la visione oggettiva non si modifica necessariamente; perché quante persone, che sono nel giusto rapporto con Dio, sono in situazione di ambiente infelice.

Luigi: Sì, però l’ambiente non è più soffocante.

Eligio: Ah, questo sì, la creatura non ne risente più.

Luigi: Anzi, diventa un aiuto, diventa una grazia; cioè si ritorna, anche se non si realizza, alla situazione iniziale in cui tutto era grazia, in cui tutto era Verbo perché tutto è in mano a Dio, tutto è opera di Dio. Quindi quando noi vediamo tutto come opera di Dio, tutto coopera per questo dialogo, per questa comunione: in tutto troviamo motivo di comunione con Dio, di grazie a Dio, di dialogo con Dio e quindi di vita intima con Dio. Se la nascita della creatura è opera di Dio, più noi abbiamo la possibilità di questa comunione con Dio, di questo riferimento a Dio, di questo dialogo con Dio e più abbiamo la possibilità di questa rinascita continua. Perché in questa rinascita con Dio abbiamo la caratteristica della reversibilità; per cui c'è continuità: possiamo rinascere continuamente con Dio.

Eligio: La modifica è praticamente questa rinascita interiore, più che la modifica dell’ambiente esteriore.

Luigi: Ah, sì.

Pinuccia: Però può anche modificarsi l’ambiente esteriore.

Luigi: Certo, perché cambia la lezione di Dio. Prima di tutto va detto che Dio non si diverte a creare degli ambienti infelici; se fa degli ambienti infelici è perché è necessario per la nostra salvezza. Per cui se la nostra anima capisce la lezione, Dio ha infinite possibilità di cambiare tutta la situazione ambientale; ma non ha infinite possibilità di cambiare la nostra anima, se noi ci rifiutiamo. Lui ha infinite possibilità di cambiare l’ambiente, Lui può creare mille universi.

Pinuccia: È sempre Dio che lo cambia…

Luigi: È sempre Dio, è tutta opera di Dio. Il problema essenziale è quello della nostra anima. “Dio vuole che tutti si salvino”. Ora, la resistenza è soltanto nella nostra anima, perché certamente noi non possiamo essere dannati per le condizioni ambientali; ad esempio, per ciò che non dipende da noi. Noi possiamo essere dannati soltanto per quello che dipende da noi, quindi la responsabilità è personale, quindi interiore. Succede che tutto quello che non dipende da noi è tutto opera di Dio per farci rinsavire, per convertirci, per aiutarci. Se Lui vede che stiamo scivolando sulla strada che porta in un abisso, Lui ci lancia una pietra, magari ci fa male con quella pietra, però ci ferma. La lezione sta lì. Lui, attraverso l’ambiente, ci mette in una situazione da farci meditare, da farci dire: “Ma come mai mi trovo in questi pasticci? Mi trovo in questa prigione?”. Lui dialoga per aprire la nostra anima a questo interesse, a dire: “Ma io forse sono sulla strada sbagliata”. Ad un certo momento noi ci apriamo proprio attraverso queste sofferenze. Siccome noi siamo estroversi, presi soltanto dal pensiero del nostro io, diventiamo schiavi soltanto dell’ambiente, perché il nostro io ci rende schiavi dell’ambiente. Nel pensiero dell’io noi operiamo per avere; perché il problema è poi quello dell’avere, del prestigio, della figura. In questa condizione Dio dialoga con noi attraverso l’ambiente; non può dialogare con il nostro intimo, perché il nostro intimo non è in ascolto di Lui. Però attraverso l’ambiente dialoga per riportare il nostro intimo nell’ascolto diretto; se il nostro intimo si apre all’ascolto diretto, è fatta: l’ambiente scade, ha compiuto la sua funzione, non abbiamo più bisogno di ricevere lezioni, perché ormai le lezioni le riceviamo direttamente dal Padre, in questo dialogo intimo con Lui. E l’ambiente diventa espressione di questa comunione, di questo amore, di questa figliolanza divina, e si muove sotto tutto un altro aspetto.

Cristo muore in croce non perché portasse il delitto dentro di Sé; eppure ha una situazione ambientale tragica attorno a sé, di nemici. Però Lui lo vede tutto come opera di Dio, del Padre, per salvare.

Quindi abbiamo una situazione ambientale che è in funzione di altri, in funzione di amore. Abbiamo il Figlio del Padre che opera, che ripete quello che il Signore fa continuamente: l’incarnazione, la sottomissione di Dio alla creatura, per farla rinsavire, per riportare la creatura, nel dialogo con Dio.

 

Eligio: Il giudizio sull’ambiente è la proiezione di un nostro stato d’animo, e lo stato d’animo riflette il nostro rapporto con Dio.

Luigi: Sì, però l’ambiente non siamo noi che lo facciamo, è Dio che lo fa.

Eligio: È una proiezione, cioè noi sentiamo l’opera di Dio solo se abbiamo Dio in noi.

Luigi: Sì, però vorrei dire questo: l’ambiente non è opera nostra, e Dio ce lo fa constatare; ad esempio il filo d’erba fa parte dell’ambiente, è fuori di noi, però certamente non siamo noi che facciamo il filo d’erba.

Eligio: Io parlavo del giudizio sull’ambiente…

Luigi: Lì abbiamo Dio che opera, Dio che lavora attorno a noi, per farci toccare con mano la situazione disastrosa in cui noi ci troviamo nei riguardi di Lui.

Ci serve molto la parabola del figliol prodigo. In conseguenza della lontananza dalla casa del Padre, ecco l’ambiente che si modifica, ad un certo momento si trova con i porci. I porci sono il suo ambiente, l’ambiente in cui lui è venuto a trovarsi avendo abbandonato la casa del padre. Ma proprio la situazione ambientale: porci, ghiande, la sua fame, gli fanno sentire la nostalgia; ecco che si risveglia il rapporto. Questo ci fa toccare con mano la lontananza dal Padre, “perché se io fossi nella casa del padre, anche l’infimo dei suoi servi è trattato meglio di me: ritornerò nella casa del padre”. È bellissimo questa parabola, perché ci fa vedere la modificazione ambientale.

Questa è l’opera del Padre: il padre se ne sta in casa, laggiù; però opera l’ambiente in cui il figlio, avendo abbandonato la casa del padre, viene a trovarsi. Il figlio viene a trovarsi in un ambiente di infelicità, di tormento, di fame e questo gli fa scoprire la lontananza. Prima, nella casa del padre, desiderava la lontananza e voleva andarsene lontano; lontano scopre la situazione in cui si trova, scopre cosa vuol dire essere lontano e desidera tornare.

Qui è significata tutta l’opera che Dio fa con noi per presentarci la situazione in cui ci troviamo: ambiente, porci, fame, impossibilità, nessuno che ci dà da mangiare. Non avremmo che da prenderlo. Anche il figliol prodigo poteva prendere le ghiande, nessuno glielo impediva, però non c'era nessuno che gliene dava, quindi mancava l’amore. Tutto questo gli fa sentire la lontananza e quindi il desiderio di ristabilire un rapporto diretto, magari umiliandosi, pur di riavere qualcuno che pensi a lui.

In tutta quest’opera, come anche in queste poche battute con Nicodemo, troviamo sempre il Verbo che parla per ricondurre l’uomo che crede di essere, che crede di vedere alla casa del Padre. Perché, credendo di essere e credendo di vedere, se resta in questa convinzione, continuerebbe a stare molto lontano da Dio.

Infatti Nicodemo giudica dicendo: “Noi sappiamo che tu sei mandato da Dio perché fai queste cose”. Invece Gesù fa queste cose proprio per far capire all’uomo la lontananza in cui egli si trova, per cui si renda conto che “io sono cieco, non capisco niente, ho bisogno che qualcuno mi illumini”. Il principio della sapienza, già nel Libro antico, si dice che è proprio questa invocazione della luce, è questo desiderio di capire. Ma la luce ci viene da Dio, non ci viene da un lavoro nostro. Allora il Verbo di Dio opera affinché noi abbiamo ad entrare in questo rapporto diretto con Dio, sapendo che la Verità, la luce, ci viene da Dio. Egli opera per questo, perché altrimenti si direbbe che la luce potrebbe darcela direttamente. La luce presuppone da parte nostra un rapporto diretto con Lui, quindi un’attenzione a Lui e fintanto che noi non siamo attenti a Lui e siamo attenti ad altro, anche se in quest’altro noi pensiamo Dio, riferiamo a Dio, preghiamo Dio, siamo molto lontani da Dio, perché la nostra motivazione, il nostro punto d’appoggio è altro.

Qui il punto di appoggio era il mondo materiale, quello che Gesù faceva nel mondo materiale. Gesù fa una differenza enorme (c'è un salto qualitativo) tra il mondo della carne e il mondo dello Spirito, tra la terra e il cielo; per cui non possiamo giudicare il cielo partendo dalla terra: dobbiamo portarci nel cielo.

Nessuno può salire al cielo se non Colui che discende dal cielo”, per cui noi dalla terra non possiamo salire al cielo. Attraverso Colui che discende dal cielo, il Figlio di Dio, noi dobbiamo portarci in cielo; dal cielo poi noi discenderemo verso la terra, e allora conosceremo le cose della terra, valuteremo le cose della terra. Ma bisogna portarci in cielo. Ecco perché Gesù dice che è necessario scavalcare tutto.

Per cui Gesù non viene a giudicare, non viene a dirci: “Guarda che lavativo che sei..”, viene a portarci la salvezza.

E in che consiste la salvezza?

In questo rapporto diretto con Dio.

Anche se siamo delinquenti, anche se siamo miseri, anche se siamo ladri, furfanti e prostitute, Lui ci porta direttamente a Dio, perché Dio c'è; anche nella nostra prostituzione Dio è presente; guarda Lui, e da qualunque situazione in cui ti trovi, ecco la salvezza. Lui non giudica, non fa toccare con mano la nostra miseria. Guardando Lui, Lui ti guarisce, ti salva. “Cerca prima di tutto il Regno di Dio”, non preoccuparti della situazione in cui ti trovi. Cerca prima di tutto il Regno di Dio”, cercando prima di tutto il Regno di Dio, noi modifichiamo il rapporto tra la nostra anima e Dio. Modificando il rapporto tra la nostra anima e Dio, Dio modifica tutta la situazione ambientale; per cui quella prigione in cui prima ci trovavamo, poco per volta si apre e noi ci troviamo liberi senza rendercene conto, ma proprio perché si è stabilita questa unione con Dio. Avviene una trasformazione enorme dentro di noi, senza che ce ne rendiamo conto, in quanto ci mettiamo in rapporto diretto con Dio; perché ad esempio, mettendoci in diretto rapporto con Dio, incominciamo a pensare solo a ciò che piace a Dio, a dire solo le cose secondo Dio, non ci permettiamo l’autonomia, perché l’autonomia rompe.

Avviene una trasformazione enorme, quasi senza che ce ne rendiamo conto, ma il fatto di portare in noi questo rapporto diretto con Dio, questo pensare Dio, questo riferire a Dio, questo riportare continuamente a Dio, ci impegna a non più pensare a tante cose, a non più dire tante cose, a non più operare per altri motivi, per altre finalità: avviene un cambiamento enorme. Ed è proprio questo cambiamento enorme che ci motiva tutto l’ambiente, ed è Dio. È evidente che è Dio, perché è proprio la comunione con Dio che opera tutto questo.

Per cui trovi dei santi che ad un certo momento hanno fatto delle cose strabilianti, e quasi senza accorgersene, perché c'era Dio in loro e Dio in loro mutava tutto.

Se il Cottolengo avesse detto: “Adesso io voglio fare il Cottolengo, questa grande costruzione per malati”, sarebbe stato un beato sogno; cerca Dio, mantieni l’unione con Dio e Dio farà. E Dio ad un certo momento fa tutto; ma è logico, perché Dio non ha difficoltà a creare gli universi.

Dio ha difficoltà (se possiamo dirlo in questi termini) a salvare la nostra anima: qui si richiede la partecipazione da parte nostra. Partecipazione che significa attenzione a Dio: distrazione dal mondo per fare attenzione a Dio. Mentre noi nel mondo siamo distratti da Dio e facciamo attenzione al mondo: deve avvenire l’opera di conversione.

 

Eligio: Gesù è terribilmente drastico verso le cose che noi riteniamo più che legittime: i sentimenti. C'è un capovolgimento sul piano naturale e anche sul piano relativo che lascia sconcertati.

Luigi: È lì la meraviglia.

Eligio: Dio mi condannerebbe di meno se rubassi e se pensassi un po’ di più a Lui.

Luigi: Ah, senz’altro! Invece Dio mi condanna molto se io costruisco la mia vita su lavoro e casa, cose “onestissime”: “Non assaggeranno la mia cena”. Chi? Chi si giustifica dicendo: “Ma io ho i buoi, la campagna, ecc.; devo lavorare, non posso venire; io ho la moglie, ho la casa”; “Non assaggeranno la mia cena”.

È nettissimo, ed è qui che si rivela il divino, è questa drasticità. Addirittura dice: “Ma chi è mia madre? Che cosa c'è tra me e te?”. Questa nettezza non concede niente a quello che è il rapporto naturale. Invece noi giustifichiamo tutto. “Puoi venire domani?”, “Ah no, domani devo andare a lavorare”, e sei più che giustificato! “Ho il lavoro, non ho tempo!”, oppure “Ho mio padre, mia madre, i parenti, i miei figli! “Ma io per che cosa vivo? Io vivo per i miei figli! È più che giustificato, cosa c'è di più sacrosanto?”. Ma per Dio questo è niente; lì è nettissimo, ed è lì che si rivela il divino; è proprio questo taglio, questo superamento completo. Ma perché? perché il punto d’appoggio è un altro: il perno su cui dobbiamo sostenere la nostra vita deve essere Dio.

Si tratta di fare un salto di qualità, perché qualunque uomo, anche ispirato da Dio, sentendosi dire da Nicodemo: “Noi sappiamo che tu sei stato mandato da Dio”, avrebbe risposto: “Hai visto bene”; oppure quando vennero per farlo re, avrebbe detto: “Sono venuto per questo”; o quando gli dicono: “Maestro buono”, sarebbe stato al gioco.

Invece Gesù no, e rivela quella nettezza, quello Spirito immenso, perché soltanto questa Presenza della Verità gli fa prendere queste posizioni così nette, e quindi gli fa giudicare in quel modo così netto e reca la salvezza proprio così, perché se si concedesse al sentimento, ai rapporti familiari, tutti quanti ci giustificheremmo: “Purché io non rubo, purché io non faccio niente di male e sono a posto”. Invece no! Grazie alla nettezza di Gesù, tu vedi qual è il problema principale che Lui ha recato, ed è lì che mette in evidenza quell’essenzialità, quell’unica cosa necessaria.

Ad esempio, una Marta che sta lavorando e sta preparando il pranzo per Lui, dovrebbe essere approvata. Invece si sente dire: “Una cosa sola è necessaria!”.

Attraverso tutto questo ti mette in evidenza quell’essenzialità, quella nettezza, quell’unica cosa necessaria, per cui noi ad un certo momento ci rendiamo conto che la salvezza sta lì; non fosse così noi potremmo illuderci.

Se Gesù avesse detto a Nicodemo: “Ma bravo, hai visto bene, ringrazia il Signore che ti ha fatto vedere bene”, lui si sarebbe illuso, sarebbe rimasto tranquillo: “Sono sulla via giusta”. Invece no, lo mette in crisi. Il giovane ricco dice: “Maestro buono”, e Lui lo mette in crisi; ed è così con tutti.

Eligio: Anche suo padre e sua madre.

Luigi: È lì che si rivela il divino.

Emma: Ci vuole santi.

Luigi: Lui ci vuole rendere partecipi del nostro destino, della vita eterna. Il problema è quello della vita eterna, non è il problema di quaggiù. Noi siamo in una situazione relativa; il nostro giudizio attualmente è tutto relativo, tant’è vero che noi siamo contornati da tenebre e siamo destinati per la luce, e Lui ci vuole portare alla luce; purché ci lasciamo portare.

Emma: Non riesco a capire ad esempio una famiglia senza sentimenti verso i figli…

Luigi: Ma guarda che con Dio non è senza sentimento; anche lì: è un criterio sbagliato! Il sentimento non deve essere l’elemento portante, ma non è che uno con Dio non abbia sentimento. Gesù piange, Gesù è stanco, Gesù sente la fatica, Gesù sente la tristezza. Questo non è sentimento?

Il sentimento è la proiezione di una situazione; il sentimento non deve essere l'elemento portante. L’elemento portante è Dio, è lo Spirito di Dio. Con lo Spirito di Dio tutto consegue, perché il sentimento è rapporto con-. Ora, in noi i rapporti sono sempre determinati da due termini: un termine fisso e un altro con cui noi rapportiamo. Se il termine fisso è Dio, tutti i sentimenti che ne procedono sono buoni, ma l’elemento portante è il termine fisso, lo Spirito di Dio.

Lo Spirito di Dio ad esempio ci porta ad amare il nemico; il sentimento non ci porta ad amare il nemico. Se faccio leva sul sentimento, il nemico lo odio; quello che mi pesta un piede crea in me una reazione negativa. Il sentimento, quando è l’elemento portante e che procede dall’io, va superato. Quindi anche tutti i nostri rapporti familiari, parenti, ecc., sono tutti rapportati al nostro io; in quanto sono in rapporto con il nostro io, in essi ritroviamo noi stessi. Così per la nostra casa: è il luogo in cui si fa l’esperienza di una presenza, l’esperienza della nostra presenza; la casa è il luogo in cui noi esprimiamo noi stessi, e chi entra in casa nostra vede la nostra presenza nelle cose.

Tutto quello che procede dal nostro io va superato, e qui abbiamo questa nettezza del Cristo in tutto: sentimenti, rapporti di natura, parenti famiglia, padre, madre, tutto, problema del mangiare, problema del vestire, tutto.

Stabilito il rapporto con Dio, quindi il termine fisso, non più l’io ma Dio, abbiamo tutta una vita nuova, una vita che si espande su tutte le creature: “Laudato sii, mio Signore per tutte le cose”, forse che San Francesco era senza sentimento? Aveva un sentimento immenso che abbracciava tutto, anche “sorella nostra morte corporale”, perché vede Dio in tutte le cose. Qui abbiamo il sentimento come conseguenza del rapporto in cui il termine fisso di riferimento è diverso da quello di prima, cioè Dio. L’importante è non lasciarsi guidare dal sentimento, quello non deve essere l’elemento portante; altrimenti restiamo giocati dal relativo, dall’apparenza, e allora diciamo: “Maestro buono”, e crediamo di pregare bene e invece il Signore ci dice: “Non sei giustificato”.

Giovanni: Non ho capito bene perché Gesù non accetta che gli si dica: “Maestro buono”.

Luigi: Perché vuole stabilire un rapporto diretto tra la nostra anima e Dio. Quel giovane ricco non poteva sapere che Gesù era Dio, però gli dice: “Maestro buono”; allora Lui non accetta quella bontà, perché è un bontà che procede dal sentimento; ecco, il giovane ricco dice “buono”, mosso dal sentimento. Quindi che cosa è che determina quel giovane ricco a dire: “Maestro buono”? Evidentemente è un atto di sottomissione per creare un rapporto di accondiscendenza e trovare una simpatia, trovare accoglimento. È un rapporto basato sul sentimento come, ad esempio, quando gli dicono: “Tua madre ti aspetta”. È uno di quei rapporti di sentimento che Gesù rifiuta, perché Lui è venuto a portare un rapporto diretto tra la nostra anima e Dio. Quando invece si accorge che l’anima parla secondo lo Spirito di Dio, allora dice: “Tu non sei lontano dal Regno di Dio”, perché vede che c'è lo Spirito di Dio e non c'è più sentimento.

Ci sono dei demoni che gli dicono: “Noi sappiamo chi tu sei: sei il Santo di Dio” e Lui li sgrida e non li lascia parlare e dice che sono dei demoni. Non accetta quindi quelle testimonianze che sono motivate da qualcosa di diverso da Dio, le rifiuta; per cui noi possiamo anche pregare e credere di pregare Dio e non preghiamo, perché la nostra preghiera non è motivata, non procede da Dio.

Infatti all’ultimo Lui dirà ai suoi discepoli dopo tre anni che sono con Lui: “Non avete mai chiesto niente in nome mio”, quindi non avete mai pregato. Quindi se noi preghiamo per strumentalizzare Dio in funzione del nostro io, dei nostri interessi, del nostro mondo, ciò che Egli non vuole, questo non è pregare, perché pregare vuol dire elevare la nostra anima a Dio per volere ciò che Egli vuole, perché è lì il principio della comunione.

Gesù dice: “Il Padre non mi lascia mai solo perché Io faccio sempre ciò che piace a Lui”. Quindi soltanto facendo ciò che piace a Lui noi restiamo in comunione con Lui, non soli. Ma se noi facciamo qualcosa di diverso dalla sua volontà, ecco l’autonomia, questo crea la solitudine, eleva il muro, si crea una distanza tra noi e Dio, e incominciamo a trovarci in un ambiente di solitudine; solitudine che non c'è nessuna creatura al mondo che la possa compensare o la possa riempire. Ecco per cui Gesù non accetta quelle testimonianze che procedono da qualche cosa di diverso; perché le creature devono essere motivate solo dal Padre, solo da ciò che Egli è; e qualunque creatura che arrivi a Lui mandata dal Padre (ad esempio la Samaritana) Lui la accoglie; fosse anche una prostituta, Lui la accoglie, Lui accoglie chiunque. Infatti all’ultimo dirà: “Io non ho rifiutato nessuno di coloro che Tu mi hai dato” perché “Il Figlio da solo non fa niente, ma accetta tutto dalle mani del Padre”. Mentre invece noi il più delle volte prendiamo a calci quello che il Padre ci manda e accogliamo quello che il Padre non ci manda, quello che procede soltanto da interesse nostro o dalla nostra ambizione o dal nostro orgoglio: trova le porte spalancate. Per cui se il Signore dice: “Se qualcuno viene in nome suo voi lo accogliete, se qualcuno viene mandato da Dio voi lo rifiutate”. Vedi l’errore che facciamo? E allora ci agitiamo a destra e a sinistra per fare tante cose, e non concludiamo niente. Invece noi dovremmo solo imparare a stare fermi e ad accogliere quello che il Padre ci manda; perché se noi accogliamo quello che il Padre ci manda, è il Padre che costruisce la casa, è il Padre che costruisce la strada, la scala che ci fa salire, che ci mette in rapporto con Lui e ci fa diventare figli di Dio, cioè crea quella nascita nuova.

Eligio: Hai detto che il più delle volte noi crediamo di pregare, ma in realtà noi non preghiamo. Mi premerebbe sapere quando il mio atteggiamento di fronte a Dio è realmente preghiera.

Luigi: La preghiera è vera non in quanto diciamo parole o in quanto chiediamo; la preghiera è vera quando noi cerchiamo di capire la Sua volontà, ciò che Egli vuole. Se vogliamo definire la preghiera: noi siamo in preghiera quando veramente cerchiamo presso di Lui ciò che Egli vuole, qual è la Sua volontà, perché vuol dire che siamo disponibili.

Eligio: Quando facevo la comunione tanti anni fa, mi pareva di dialogare con Dio; mentre adesso quando faccio la comunione penso che sono un incoerente, non vado oltre; probabilmente in intensità può avere più valore, dinanzi a Dio come richiesta di aiuto che una lunga preghiera…

Luigi: Sì, d’accordo…

Eligio: La domanda che faccio è questa: questa è vera preghiera?

Luigi: Ma guarda, che sia vera preghiera… Teniamo presente la parabola di Gesù del fariseo e del pubblicano che sono nel Tempio a pregare, e Gesù dice che la preghiera del pubblicano è stata esaudita. Cosa ha detto lui? “Signore, abbi pietà di me, perché sono un povero peccatore” e Gesù dice che quello è andato a casa giustificato; mentre l’altro che dialogava dicendo “Signore, io ti ringrazio perché non sono come gli altri” non è stato giustificato. Come preghiera però è sempre l’uomo che parla.

Indubbiamente dicendo: “Abbi pietà di me peccatore”, è preghiera nel senso che chiediamo aiuto al Signore che veda la nostra miseria. Però la vera preghiera è l’ascolto di Lui; non è parlare noi (Lui sa perfettamente quello che noi siamo e quello di cui abbiamo bisogno) ma è ascoltare quello che Lui dice.

La vera preghiera sta nel far tacere il nostro io, tutto il nostro mondo, per raccoglierci soltanto alla sua presenza, sapendo che Lui è presente. Abbiamo bisogno di poterlo individuare, di poter capire, di poter conoscere quello che Lui vuole; perché se veramente dopo una preghiera io ho capito qualche cosa di più di quello che Lui vuole, questa preghiera mi aiuta molto, mi fatto entrare in comunione. L’essenza della preghiera è l’ascolto.

Eligio: Come mai a volte, quando uno invoca, il Signore non si fa sentire?

Luigi: È perché siamo noi che parliamo. La vera preghiera è silenzio. Quando noi facciamo, ad esempio, quindici minuti di silenzio prima di iniziare la conversazione, è un allontanare tutto il nostro mondo per avere soltanto il Pensiero di Dio, è un incominciare soltanto con il Pensiero di Dio. Dovrebbe essere Dio a farci parlare e non più altre cose, per cui, quando entriamo in preghiera, ci dovrebbe essere il silenzio, anche nella nostra miseria, della nostra povertà, tanto il Signore sa quello che noi siamo, sa di tutti i nostri delitti e dei nostri peccati. Noi abbiamo bisogno di sentir parlare di Lui, ma per sentir parlare di Lui, dobbiamo mettere noi in silenzio.

La Madonna, la figura esemplare, è silenzio, concepisce attraverso il silenzio; ecco, il Verbo parla, la creatura ascolta. Noi siamo creature, siamo fatte per ascoltare. Chi parla è il Verbo di Dio. Dio è presente in noi, noi non siamo presenti a Lui. Noi abbiamo bisogno di essere presenti a Lui per ricevere la comunicazione, la rivelazione.

Siccome Lui si rivela personalmente, per rivelarsi richiede da parte nostra questo silenzio che è un dono intimo, riservato, incomunicabile.

Ma proprio perché richiede questo silenzio di tutto: “per arrivare al tutto - diceva San Giovanni della Croce - devi rinnegare il tutto”. Soltanto rinnegando tutto tu arrivi al tutto, cioè soltanto facendo tacere tutto, tutto quello che è il nostro mondo, noi ci portiamo nell’ascolto, nella vera preghiera e riceviamo il tutto. È ricevendo questo tutto che si nasce veramente, personalmente.

La vera persona si forma con Dio. Prima siamo un po’ burattini, siamo delle creature in balìa degli avvenimenti; noi crediamo di vivere, ma non viviamo. Noi reagiamo a degli stimoli: stimolo della fame, stimolo della fatica, stimolo del lavoro, stimolo della figura, stimolo del giudizio. Reagire a degli stimoli non è il vero vivere. Il vero vivere è quando siamo motivati dall’interiorità, cioè quando abbiamo in noi stessi il motivo del nostro esistere, del nostro parlare, del nostro vivere; cioè quando siamo motivati da Dio che è dentro di noi. Ma questo presuppone la nascita da Dio, e questa nascita da Dio presuppone il silenzio di tutto ciò che non è Dio. Tutto ciò che non è Dio, tutto il nostro mondo, che è ambiente, ci porta su quell’orizzonte su cui noi facciamo silenzio, per invitarci al superamento di tutto per metterci soltanto in questa situazione di silenzio e di attenzione a Dio: qui si scopre la presenza di Dio e si scopre ciò che Lui vuole. Cercare di capire ciò che Dio vuole, qual è veramente la sua volontà, è vera preghiera; perché si entra in comunione con Dio, e si resta guidati dallo Spirito di Dio, il quale Spirito però, come ho detto prima, non è vento, non è un impulso (per cui si arriva a dire: “io faccio così perché sento così, è lo Spirito di Dio che mi fa sentire così!”). No, perché lo Spirito di Dio dimostra ciò che fa, fa vedere ciò che fa, per cui uno ha in sé la ragione dell’operare secondo Dio. Comunque io non so dirti altro che questo: la vera preghiera è tacere noi e tutto il nostro mondo, per cercare di ascoltare Dio. Sarà difficile, è logico, lo capisco, però per avere la vera preghiera bisogna puntare lì. Perché fintanto che noi parliamo, anche se siamo umili, anche se chiediamo perdono. Il Signore ci conosce, dunque la vera ascoltare Lui dimenticando noi stessi.

Pinuccia: Qual è la volontà di Dio? Di solito noi intendiamo la volontà di Dio come una situazione concreta.

Luigi: E no, perché la situazione concreta siamo noi che la facciamo, siamo noi che parliamo. Si dimentica tutto, si deve dimenticare tutto.

Pinuccia: Quando devo fare una piccola scelta o una grande scelta: le scelte di tutti i giorni. Per saper cos’è che Dio vuole mi metto in preghiera, per conoscere la sua volontà.

Luigi: E no, perché lì sei tu che parli. Invece bisogna imparare a nascere da Dio.

Pinuccia: Conoscere la sua volontà sarebbe conoscere Lui; perché Lui vuole che lo conosciamo.

Luigi: Sì, però questa conoscenza di Dio è la conoscenza della presenza di Dio in noi. Noi sappiamo che è presente, però non Lo vediamo, non Lo tocchiamo, non sappiamo come è presente. Bisogna arrivare a scoprire questa presenza per cui Lo possiamo pensare. Avendo scoperto la Sua Presenza, si crea la comunione, ma è Lui che si rivela; questa è la vera volontà sua, è la vera parola Sua. È una Parola Unica. La Parola Unica è l’“Io sono”, è la sua presenza da cui continuamente noi scappiamo, perché ci mettiamo le nostre parole di mezzo, impedendoci di arrivare.

L’Apocalisse dice che la rivelazione della presenza di Dio è circondata da un mare di silenzio, e soltanto attraversando questo mare di silenzio si arriva a questa presenza. Ed è qui la vera preghiera, è qui che si stabilisce la comunione. La preghiera serve per stabilire la comunione, ma la comunione è Lui che la stabilisce se noi ascoltiamo Lui, perché Lui in quel silenzio genera il Figlio in noi. Il Figlio è generato dal Padre in noi. È proprio questa generazione del Figlio che crea l’unione, che crea la comunione; per cui uno deve vivere in ascolto.

Ma c'è un punto critico per passare a questo ascolto, che è il silenzio; per cui il silenzio è pieno della presenza di Dio. Mentre a noi sembra che restando in silenzio facciamo niente. Invece bisogna avere la pazienza di restare in questo silenzio, perché è l’opera essenziale che Dio richiede a noi per rivelarci la sua presenza. È il massimo ostacolo da parte nostra; per cui Lui non può comunicarci la sua presenza. E fintanto che Lui non ci comunica la sua Presenza, per quanto noi siamo inondati di doni di Dio, siamo sempre ad una certa distanza, cioè non entriamo mai nell’anima. È come quando vogliamo parlare con una persona, ma giriamo sempre a vuoto, perché non riusciamo a cogliere il problema essenziale di quella persona; allora gli giriamo attorno ma non c'è la vera comunione, perché non si coglie l’anima, il problema essenziale.

Pinuccia: Una volta raggiunta la presenza di Dio, nelle scelte sarà poi Lui che guida.

Luigi: Allora non è più la creatura che fa, ma è Dio che fa, è Dio che ispira, ma dimostra; per cui la creatura ha in se stessa il motivo delle sue scelte. Non è più un sentire: “io sento che devo scegliere così..”, non c'è più quel modo di ragionare; ma c'è il Padre che dimostra che la sua volontà sta lì, che la sua parola è questa, che il suo pensiero è questo, per cui si parla in un determinato modo. E diventa la preghiera continua. La preghiera continua è la conseguenza di una comunione stabilita. Allora pregare diventa facile. La difficoltà c’è in un primo tempo, quando siamo sempre abituati a parlare noi. Difficile è togliere l’abitudine di parlare sempre noi, anche quando preghiamo.

Emma: Sarà la preghiera di ringraziamento.

Luigi: Sì, certo è lode e gloria di Dio, ma non c'è più la creatura che parla; è il Figlio di Dio che opera. Non è meditare: meditare è ancora un parlare nostro. C'è uno stadio ulteriore al di là della meditazione. La meditazione può essere un’introduzione alla preghiera, ma non è ancora preghiera. Quando meditiamo siamo ancora noi che parliamo, capisci? Certo, la meditazione è necessaria, ma è una premessa, poi c'è il momento di silenzio con questo Essere che è presente, sapendo che è presente. Ma il sapere che è presente è ancora informazione di Dio: questo è un dato. Dal momento che Dio esiste, sappiamo che è Dio presente dappertutto, e sapendo che è presente, siamo noi che dobbiamo entrare in questa Sua presenza, dobbiamo prendere contatto; ed è lì che si presuppone questo silenzio di tutto ciò che non è Dio.

Pinuccia: Allora quando tu dici che la preghiera diventerà continua…?

Luigi: Dopo sarà continua, adesso non può essere continua.

Pinuccia: Quando la preghiera diventa continua?

Luigi: Quando c'è la nascita nuova, quando Dio gli ha rivelato questa presenza, la sua presenza, quando uno sa. Prima sappiamo che Dio è presente, ma non vediamo questa presenza, non possiamo pensare questa presenza, per cui noi sappiamo che Dio è presente, ma continuamente siamo sviati da tutte le altre presenze. Sono le altre presenze che ci dominano; allora la presenza di Dio non è efficace su di noi. Noi sappiamo che c'è, sappiamo che è presente, ma è un’informazione che abbiamo. Tutte le altre presenze sono più “presenti” di Dio, più pesanti di Dio, per cui ci attraggono di più e per noi diventa una fatica il pensare Dio, perché richiede una distrazione dalle altre presenze per portarci a questa presenza che però è notte, è tenebra. Non la cogliamo, quindi non diventa efficace, perché per diventare efficace, deve diventare pensabile, deve diventare attraente, ma attraente è la presenza.

Pinuccia: Raggiunta questa consapevolezza, anche la meditazione diventa preghiera?

Luigi: Ah, sì allora è Dio che svolge in Suo pensiero, è Dio che pensa in noi, è Dio che dimostra, è lo Spirito di Dio che condurrà a vedere tutta la Verità, la sua intenzione in tutto. Dimostra il significato delle sue opere, però non è più una meditazione: è Dio che conduce a-, non c'è più la fatica; la meditazione è ancora una fatica. Là invece è Dio che conduce.

Pinuccia: La difficoltà enorme è di fare silenzio.

Luigi: Come introduzione al silenzio possiamo fermarci con la Parola di Dio come punto d’appoggio, ma è sempre come introduzione, sapendo che è in questo silenzio che c'è una rivelazione, una scoperta da fare. Altrimenti siamo sempre ad una certa distanza, cioè ci accorgiamo di girare attorno, ma non cogliamo mai.

Questa difficoltà ad entrare nel silenzio è il Signore stesso che ce la fa toccare con mano, perché deve creare una purificazione. Non c'è nessuna condizione ambientale che ci possa condizionare al punto da impedirci di rinascere, perché, se nel nostro mondo naturale questo è impossibile, con Dio la rinascita è sempre possibile, cioè il superamento delle condizioni ambientali.

Gesù qui parla di rinascita da Dio e la rinascita non è un atto unico, ma un atto continuo, perché c'è reversibilità continua. Questo è bellissimo perché si rinasce continuamente. Il nostro mondo ha un punto solo di contatto con l’eternità e in questo punto la nascita è reversibile.

Pinuccia: Reversibilità vuol dire che posso ricominciare dall’inizio?

Luigi: Bisogna sempre ricominciare dall’inizio. Con Dio si ricomincia sempre: la nascita è continua. Siccome Dio ci trascende, richiede sempre a noi questa nascita, altrimenti cederemmo nel nostro io e quindi, siccome Dio parla, ogni sua parola va sempre riportata a Dio e lì ci fa rinascere. C'è un momento in cui la creatura è solo figlia della carne, quindi Gesù fa la distinzione tra figli della carne e figli dello Spirito. Quindi abbiamo la creatura che è solo figlia della carne: “Vivevate un tempo senza Dio, soltanto schiavi degli elementi del mondo”. Noi siamo schiavi degli elementi del mondo, guidati, motivati da fatti ambientali.

Poi c'è il punto in cui abbiamo una nascita, siamo a Pentecoste. Questa diventa una nascita continua: in questo senso è reversibile.

Pinuccia: Anche in Paradiso sarà una nascita continua?

Luigi: È eterna, è una nascita eterna.

Pinuccia: Pensavo che la morte ci fermasse in quel grado di capacità di conoscere Dio a cui siamo arrivati.

Luigi: C'è una stabilizzazione, però in quella stabilizzazione, siccome Dio si comunica in continuazione perché è eterno, c'è una nascita continua, ma sempre a quel livello; per cui la stessa parola di Dio, eternamente, viene penetrata a livelli diversi da coloro che sono con Lui a seconda della quantità d’amore su cui si sono stabilizzati. Prima della morte noi abbiamo la possibilità di mancare, quindi abbiamo la possibilità di dimostrare l’amore verso Dio; dopo non possiamo più, perché dopo entriamo in un tutto di Dio. Quando entriamo in questo tutto di Dio noi non possiamo più modificare l’amore. Fintanto che io mi trovo in un “non tutto di Dio”, posso amare tanto Dio, perché ho tanto da spendere. Ma posso spendere malamente; qui ho la possibilità di adorare la creatura o di adorare Dio, qui ho la possibilità di testimoniare l’amore. Ho la possibilità di crescere in un amore soltanto fintanto che ho la possibilità di essere fedele. Quando non posso più tradire l’amore, non posso più amare l’amore; cioè ho la possibilità di crescere in un amore soltanto fintanto che ho la possibilità di essere fedele. Quando non posso più tradire l’amore, non posso più amare l’amore; io posso aumentare l’amore fintanto che posso tradirlo. Quando non posso più tradirlo, non posso più aumentarlo e allora sono stabilizzato e allora conosco l’amore soltanto per quel tanto in cui ho dimostrato fedeltà.

Emma: Quando si parla di far crescere l’amore in noi e di nascita continua, si tratta della stessa cosa?

Luigi: Abbiamo Dio che si incarna e quindi si mette nelle nostre mani: questo è il significato del Natale; è Dio che si annuncia, che si mette nelle nostre mani. È qui che noi Lo dobbiamo far crescere; e far crescere cosa vuol dire? Una mamma come fa crescere il suo bambino si prodiga tutta per il bambino, tutta la sua attenzione è lì, e quindi si distrae da tutto il resto. Il Verbo che si annuncia, che si dà a noi, si offre a noi, e noi possiamo trascurarlo e quindi lasciarlo morire; possiamo curarlo, ma curarlo poco, con distrazione, allora deperisce, si ammala; possiamo invece rivolgergli tutta la nostra attenzione, ma per questo dobbiamo sacrificargli tutto il resto. La madre che sacrifica tutto il resto per il figlio, subordina tutto a lui.

Allora se noi subordiniamo tutto al Verbo di Dio, Lui cresce, cresce fino a diventare tutta la nostra vita; ma questa è soltanto l’introduzione alla vera vita, perché il Verbo di Dio si dà nelle nostre mani per portarci a Pentecoste, in cui ci sarà la nostra nascita come figli di Dio.

Pinuccia: Però anche dopo Pentecoste ci sarà sempre questo giganteggiare di Dio in noi.

Luigi: Certo: “L’anima mia magnifica il Signore”. È una cosa diversa perché ognuno nasce e rinasce sempre a quel livello d’amore con cui si è prodigato. Il punto determinante è Pentecoste. Abbiamo tutto il tempo prima di Pentecoste in cui noi possiamo “passeggiare”, disperderci e lì possiamo tradire; è lì che possiamo far crescere l’amore, perché abbiamo la possibilità di essere infedeli. Quando l’amore ci ha presi, non possiamo più tradire, non c'è più occasione di tradire.

Pinuccia: La scoperta della presenza di Dio in noi è uguale per tutti?

Luigi: Sì, è uguale per tutti. È un punto di partenza comune a tutti quelli che ricevono la Pentecoste; poi dopo, Gesù dice: “Lo Spirito di Dio vi condurrà a vedere tutta la Verità”. Anche dopo Pentecoste uno può distrarsi, però è già preso da un amore, è già preso da una presenza. Con la Pentecoste c'è la rivelazione di una presenza e quindi si resta presi da una presenza. Invece prima c'è tutta la fatica per arrivare alla presenza, c'è la croce di mezzo, c'è il Calvario, c'è la morte del nostro io, la morte del mondo, che è tutta una testimonianza d’amore.

Alla morte c'è la sottrazione di tutto, però c'è una morte che può verificarsi anche prima che noi moriamo fisicamente; perché non penso che la morte fisica determini (non è che tutto quello che è fisico), sanzioni la nostra fedeltà o la nostra infedeltà; penso che il punto critico sia diverso. Più si cerca Dio, meno si sbaglia. C'è chi trascura tutto per Dio, e noi siamo autorizzati a stare su un pilastro, a stare fermi, immobili; lì non sbagliamo. Non ci deve essere paura ad amare Dio, la paura deve essere del contrario. Non devo avere paura a donarmi tanto, perché l’amore presso Dio è senza limiti. Bisogna soltanto aver paura dei limiti che noi poniamo, non dell’infinito a cui ci dedichiamo.

Pinuccia: “Come può avvenire questo?”. Non è la stessa domanda della Madonna o di Zaccaria? La Madonna chiedeva un’informazione; Zaccaria aveva un dubbio.

Luigi: Questo è l’ultima parola che dice Nicodemo: confessa una cecità, confessa di non capire. Quello che dice poi va rapportato alla sua presentazione. Lui entra in scena dicendo: “So”, esce di scena dicendo: “Non so”. Gloria a Dio! Tutta l’opera di Dio sta lì. il Signore dice: “È necessario rinascere, tornare bambini”. Quello non deve essere come una nostalgia, un volgerci al passato, allo stato di infanzia. È invece un salto di qualità, un salto in avanti. Nella nostra vita naturale abbiamo l’irreversibilità, quindi è inutile che ci volgiamo indietro per ricuperare uno stato d’infanzia.

Prima di tutto, quello stato d’infanzia non è quello di cui parla il Signore. Quello di cui parla il Signore è la rinascita, è: “Se non ritornate bambini, non potete entrare nel Regno dei cieli”. È un’infanzia ben diversa, è la povertà a cui Dio ci conduce. Questo ci fa capire che il Verbo di Dio parlando nel nostro mondo, ci prende dalla nostra esaltazione, “io so”, ci tira giù e ci porta a questa infanzia “Come può succedere questo?. Ecco il bambino che è a contatto con la luce e invoca perché non capisce.

Qui abbiamo Nicodemo che è portato all’inizio della Sapienza, al punto in cui inizia il sentiero che conduce alla Sapienza.

Pinuccia: Gesù voleva condurlo alla cecità, e come mai gli dice: “Proprio tu che sei maestro in Israele non sai queste cose?”.

Luigi:: Proprio perché lui era maestro, Gesù lo riconduce a non essere più maestro, ma ad essere discepolo, perché nessuno è maestro, Uno solo deve essere il Maestro; cioè, lui stesso deve riconoscere che il Maestro è l’Altro. Lui è arrivato come maestro e viene portato ad essere discepolo, ad invocare. Gesù lo toglie dal piedistallo anche come maestro, per cui gli dice: “Vedi che nessuno è maestro?”.

Pinuccia: Più ci avviciniamo e più prendiamo coscienza dell’abisso che ci separa, ed è la coscienza di questo abisso che poi probabilmente ci darà la possibilità alla fine di immergerci a tuffo, e di partecipare a questa vita nuova.

Luigi: Più siamo lontani, più scappiamo. C'è una legge nell’universo che dice che le galassie più sono lontane, più si allontanano ad una velocità crescente, cioè fuggono rasentando addirittura la velocità della luce e in espansione. Questo avviene relativamente a noi, però in espansione cioè sfuggono da tutto. C'è una fuga generale nell’universo, la chiamano “il mondo in espansione”, per cui misurano la velocità di allontanamento dei corpi in funzione della distanza: più un corpo è lontano e più aumenta la velocità di fuga. Questo è molto grave come segno: più noi siamo lontani, più aumenta in noi la fuga, la velocità di fuga, mentre invece più ci avviciniamo e più la forza di gravità, la forza di attrazione, ci attrae e ci mantiene uniti.

Dio è tanto più interessante quanto più uno Lo conosce. Dio, in quanto ci chiama, ci dà la possibilità di recupero da qualunque situazione, fossimo anche nell’abisso più nero. Più noi conosciamo il Signore e più ci avviciniamo al Signore; più si è vicini e più Lo si vede interessante, per cui non ci si occupa più di altre cose, perché si scopre immensamente interessante pensare Dio e occuparsi di Dio.