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Il vento soffia dove vuole e tu ne senti la voce, ma non sai né di dove viene, né dove va. Così è di chiunque è nato dallo Spirito Gv 3 Vs 8 Primo tema.


Titolo: Dalla brezza all’uragano.


Argomenti: La rinascita dell’uomo nuovo - L’operare del mondo superiore sul mondo inferiore - Dalla buona novella al calvario -  Le due vite e i due mondi - La vita è trasformare l’impersonale in personale - L’immenso peso del mondo materiale - La morte di Dio è per salvarci – La vita in cielo – Il dialogo con Dio – La Verità libera – Far grandeggiare Dio -


 

26/Dicembre/1976


Luigi: Hai risentito la cassetta della scorsa settimana?

Eligio: Sì, l’ho risentita.

Luigi: Hai qualche argomento da proporre?

Eligio: No, perché non sono arrivato a delle conclusioni particolari. Mi sono rimasti impressi dei punti della conversazione, senza però arrivare a delle conclusioni di traduzione pratica. Ciò che mi ha colpito è l’interferenza del piano spirituale con il piano naturale e poi la presenza di questo punto immacolato che abbiamo in noi. Ma non riesco ad applicarli nella vita quotidiana.

Luigi: Mi sembra che tu abbia affermato che anziché la vetta, attragga molto di più la base.

Eligio: Sì, diciamo pure la difficoltà del pendio.

Luigi: Dici che ti attrae di più.

Eligio: Non che mi attrae di più, ma che pesa di più.

Luigi: Pesa, quindi c'è il senso di gravità; quindi tu dici che pur vedendo bella la vetta, sei molto più portato a discendere anziché a salire.

Eligio: Volevo solo precisare che sento la difficoltà del pendio, soffro la pendenza di questa posizione e credo nella vetta più che vederla. Il problema è che la difficoltà è reale, la senti; mentre la vetta qualche volta la desideri e qualche volta la dimentichi, ed è questa la difficoltà di realizzare una salita, un’ascesa coerente a questa vetta a cui devi arrivare, per realizzare la fusione della tua volontà con la volontà di Dio.

Luigi: Riesci a renderti conto da che cosa sia determinato questo peso per cui la valle, la pianura attrae di più della vetta?

Eligio: Sì, dalle cattive abitudini di una vita di quarant’anni da cui non è facile sganciarsi.

Luigi: Gesù stesso dice che sono le nostre opere malvagie che ci rendono schiavi: diventiamo figli delle nostre opere.

Eligio: Il difficile è arrivare sulla vetta, dove la Verità la contempli, dove l’accettazione della Verità ti libera.

Luigi: Vedi che è la Verità che libera; quindi qui c'è proprio il problema della rinascita. Ecco la necessità di rinascere; per cui abbiamo l’uomo vecchio e la prospettiva dell’uomo nuovo. Però l’uomo nuovo rinasce da Dio, da questo punto immacolato che portiamo in noi, che è il Pensiero puro di Dio. Qui abbiamo una nascita nuova. Ora, tutte le nascite sono sempre difficoltose; l’uomo tribola a nascere e fa tribolare nella vita naturale. Tribola e fa tribolare anche la nascita nello Spirito. Infatti la rinascita nello Spirito Gesù la paragona proprio ad una gestazione, ad una nascita. Dopo, come l’uomo è nato, si dimentica la tribolazione, ma la tribolazione c'è. Infatti quando Gesù dice: “Vi vedrò di nuovo” lo paragona proprio alla gestazione della donna che prima soffre e piange mentre magari gli altri fanno festa, poi finalmente gioisce “Perché è nato al mondo un uomo”. Quindi Gesù ci fa capire che la rinascita dallo Spirito dà la possibilità di essere un uomo nuovo; il che vuol dire che fintanto che noi non siamo rinati siamo uomini vecchi, anche qui, in questo mondo. Uomini vecchi, cioè destinati alla vecchiaia, destinati alla fine, destinati al tramonto, alla morte; l’uomo giovane, anche se è giovane, sa che morirà: abbiamo un uomo che è destinato a terminare, a finire, a chiudere. Invece l’uomo nuovo, l’uomo che è eternamente nuovo, si apre sempre più alla novità. Però abbiamo il punto di passaggio: la Pasqua, la rinascita, che è tribolazione con i dolori del parto. C'è un parto spirituale di cui ognuno di noi è madre; è una gestazione che ognuno di noi porta avanti, che è annunciata: ecco il vento.

Qui Gesù dice che lo Spirito si fa sentire come il vento.

Qui abbiamo i due mondi, il mondo superiore e il mondo inferiore.

·         c'è il mondo superiore a noi, ed è logico che ci sia un mondo superiore a noi, perché non siamo noi Dio;

·         e il mondo inferiore a noi, che dipende da noi, sul quale noi possiamo lasciare una traccia.

Però una delle differenze sostanziali è questa:

·         il mondo superiore ci dà pace, ci dà sicurezza, ci libera;

·         il mondo inferiore invece non ci dà pace, non ci dà sicurezza.

Infatti tutte le cose che dipendono da noi sono sotto il sigillo del: “io passerò, io non resto”; allora siamo inquieti, tant’è vero che noi tendiamo ad allargare tutto il nostro mondo inferiore, ad allargarlo sempre di più, perché una cosa va sostenuta con un’altra e allarghiamo, allarghiamo, allarghiamo e non ci accorgiamo che ci accolliamo soltanto delle tribolazioni per cercare di tenere su un edificio che è destinato a sfasciarsi, che è sotto il segno del passare, sotto il segno del tempo.

Il segno del tempo è proprio il soffio dello Spirito, il segno del mondo superiore nel mondo inferiore. Infatti abbiamo visto che non sono indipendenti tra loro i due mondi.

I due mondi interferiscono tra loro soggettivamente, in questo senso: operando in questo mondo, siccome diventiamo figli delle nostre opere, noi ci creiamo dei pesi e questi pesi ci creano delle distanze, portano il mondo superiore sempre più lontano, lo rendono sempre più astratto, sempre meno pressante.

Se invece noi coltivassimo molto il mondo superiore, vedremmo sempre quello più vicino e il mondo materiale sempre più insignificante, sempre più labile, sempre più vano, peserebbe quasi niente.

Effettivamente dovrebbe pesare niente; nell’ordine ideale il mondo inferiore dovrebbe pesare niente, perché tutto è opera di Dio, tutto è segno di Dio, tutto è parola di Dio; la parola non pesa, è un aiuto.

Infatti qui Gesù paragona il rapporto tra i due mondi al vento che soffia dal mondo superiore al mondo inferiore: soffia, per cui ne odi il rumore, il suono, ma “non sai donde venga e dove vada”.

Quindi un’altra caratteristica del nostro mondo inferiore è questa: nel mondo inferiore noi vediamo le cose, ma non le capiamo, perché le creature sono soltanto rumori, segni.

Non le capiamo, o per lo meno le capiamo se le rapportiamo soltanto al nostro io; se il mio io è messo come assoluto, le cose e le creature le capisco per quello che le vedo e le tocco; ma se vado a cercare il perché, la ragione di queste cose, non le capisco più, perché anche il mio io ha la ragione di sé in un mondo superiore.

Per cui se io mi ritengo assoluto, cioè non mi pongo il problema dell’esistenza, del perché esisto, del perché della vita, o del perché degli esistenti, allora le cose sono comprensibili al pensiero del mio io e le rapporto al mio io.

Per cui se devo spaccare un pezzo di legna, prendo un’accetta e capisco come devo fare; è intelligibile questo fatto. Se però vado alla ricerca del come mai esiste la legna, come mai esiste l’albero, come mai esiste questa terra, mi è incomprensibile.

Nel mondo superiore invece abbiamo le posizioni rovesciate: il mondo superiore non lo possiamo vedere perché non è sperimentabile, non è soggetto al nostro io, però è intelligibile: Dio è intelligenza, Dio è Spirito.

Quindi, se noi ci applichiamo nel mondo superiore intendiamo le cose, cioè intendiamo la ragione delle cose in Dio; quindi abbiamo l’intelligenza, abbiamo la luce. Però non la vediamo, perché non è sperimentabile, non è soggetta al nostro io.

Allora abbiamo questo vento, dato dal mondo superiore, che lascia il segno di sé nel nostro mondo inferiore, odiamo il rumore però non sappiamo; quindi non intendiamo, cioè non ne intendiamo la ragione. Per intendere la ragione delle cose dobbiamo cercarla nel mondo superiore; ma fintanto che noi le vediamo nel mondo inferiore, non capiamo perché ci siamo, non capiamo perché ci sono le cose, perché il mondo sia fatto così e non sia fatto in modo diverso. Ne odiamo soltanto il rumore. Osserva questo: le opere di Dio sono fatte molto bene, quindi noi abbiamo diversi tipi di vento:

·         c’è la brezza, che è sollievo, quasi a dire che all’inizio il vento non da fastidio; il vento ci solleva: è l’annuncio del Natale, la buona novella che incanta l’uomo umile, l’uomo povero, dà sollievo, dà gioia. Quindi il vento del mondo superiore, il vento dello Spirito se arriva all’anima semplice, al povero, dà sollievo perché è buona novella;

·         ma abbiamo un altro tipo di vento; abbiamo il vento rumoroso, un vento che si impone, che propone qualche cosa che ci impegna;

·         e poi abbiamo l’uragano, che è il vento che distrugge, il vento che porta via.

Abbiamo delle fasi crescenti; per cui se noi ubbidissimo alla brezza, se noi ubbidissimo al vento iniziale quando ci annuncia il mondo superiore, il passaggio dovrebbe essere molto semplice; per Adamo doveva essere una cosa molto semplice, direi quasi naturale.

Ma se invece noi non ubbidiamo a questo annuncio, come il mondo superiore si impone, come la Verità si impone, arriva l’uragano, il vento impetuoso che porta via, e ci costringe a lasciare. Qui subiamo la tragicità della vita, subiamo la perdita delle cose; per cui quelle cose che pesano su di noi, ad un certo momento, vengono portate via da questo vento che non capiamo ma che opera.

È il vento della vecchiaia, ad esempio, che lascia la traccia, scava il solco; man mano che il tempo passa, ogni giorno che passa lascia il solco: è il vento dello Spirito, cioè è il mondo superiore che opera in questo mondo inferiore.

E arriviamo proprio alla fase finale, tragica: l’uragano che distrugge, che porta via, che annulla; ma questa, diciamo così, è la fase finale, la morte conclusiva di tutto un cammino che si sarebbe dovuto fare alla brezza.

Infatti Elia, quando volle sperimentare il Signore, il Signore si fece sperimentare come brezza, come un vento soave, leggero. Infatti all’inizio l’opera dello Spirito è sollievo per l’anima, è aiuto, è un invito, è apertura, è una liberazione. Il Natale è un’apertura.

L’annuncio della Presenza di Dio tra noi è sollievo; all’ultimo però noi troviamo che questo stesso annuncio della Presenza di Dio, diventa un Calvario, diventa una morte, diventa una croce: è sempre lo stesso vento dello Spirito che soffia tra noi, nel nostro mondo, per farci fare il passaggio.

Ho detto l’altra volta che dati due mondi, necessariamente ci sono due vite, perché vivere è partecipare a-; allora se noi percepiamo l’esistenza di un altro mondo, il mondo spirituale, questo ci richiama ad una vita, perché la vita è partecipazione, comunione.

Ecco perché il vento tra noi diventa proposta: è l’annuncio dell’esistenza del mondo superiore a noi, a partecipare a questo mondo interiore. Altrimenti il Signore non ci avrebbe nemmeno avvertiti dell’esistenza di un altro mondo. Ma in quanto ci ha avvertiti, ci ha invitato. È un invito ad entrare nel mondo spirituale, quindi è una vita nuova.

Per cui abbiamo

·         la vita qui in terra, che è relativa al nostro io

·         e la vita nel mondo dello Spirito che ci è soltanto proposta, alla quale noi siamo chiamati a partecipare, ma per partecipare dobbiamo superare il pensiero del nostro io.

Ora il punto centrale è questo, se noi vogliamo approfondire un poco il concetto stesso di vita:

·         la vita è tendere ad un fine; ma se vogliamo approfondire un po’ di più

·         la vita è comunione e ancora più in profondità (sempre in rapporto all’uomo),

·         la vita è trasformare tutto quello che è impersonale in personale.

Noi vivendo assimiliamo intellettualmente, spiritualmente e anche naturalmente.

Cosa vuol dire assimilare?

Assimilare vuol dire rendere personale quello che non è personale; per cui, ad esempio, un concetto che ci viene annunciato, se vogliamo farlo nostro, lo dobbiamo assimilare e ad un certo momento diventa personale, diventa nostro. Il cibo che noi assumiamo, che mangiamo, ad un certo momento diventa persona nostra, fa parte del nostro corpo: diventa tutto un processo di personalizzazione.

Il mondo superiore, il mondo dello Spirito, è proprio un mondo di persone, mentre invece qui, il nostro mondo terreno, umano, è un mondo soltanto di interessi.

Sono due mondi molto diversi:

·         noi qui abbiamo il nostro io al centro e tutte le cose le strumentalizziamo in funzione del nostro io, anche le persone;

·         nel mondo superiore invece, tutto quanto viene assimilato soltanto in “persona”.

Allora questo vivere nel mondo superiore vuol dire… ora il principio di assimilazione nel mondo superiore è Dio, mentre qui in terra il principio di assimilazione è il nostro io, per cui tendiamo a sottomettere tutto al nostro io, le cose materiali e le cose intellettuali, cioè tendiamo a farle nostre, nel mondo superiore noi non possiamo fare “nostro”: noi dobbiamo “fare di Dio”, poiché il mondo superiore ha per centro Dio: si tratta cioè di allargare il “punto immacolato” che portiamo in noi, cioè il Pensiero di Dio: è questo “far vivere Dio”.

A volte dico: “bisogna fare Dio”, far vivere Dio. Ma se vivere vuol dire trasformare in persona, cioè assimilare tutto in persona, cosa vuol dire “far vivere Dio”?

Dio ponendosi nelle nostre mani ci dà la possibilità di “farlo vivere”.

Che Lui si ponga nelle nostre mani ce lo ha evidenziato col Natale e anche questo è soffio del vento di Dio, perché è segno: il Natale ci indica un’operazione di Dio nei nostri riguardi; col Natale Dio ci annuncia che si affida a noi.

Tutto quello che avviene attorno a noi nel mondo esterno è segno di quello che avviene tra la nostra anima e Dio.

Quindi se Dio ci significa la sua presenza tra noi come un essere debole, come un essere tutto affidato a noi per cui noi lo possiamo trascurare, lo possiamo lasciar morire, lo possiamo curare vuol dire che Dio, la nostra vita, quindi questo punto immacolato in noi, si affida a noi, è dato a noi. Per cui noi lo possiamo far crescere, lo possiamo trascurare, lo possiamo lasciar morire.

Se noi lo curiamo e lo facciamo crescere, farlo crescere è farlo vivere, vuol dire assimilare tutta la sua persona.

Allora se noi unifichiamo tutto in Lui, raccogliamo in Lui, cioè facciamo vivere Lui, Lui fa vivere noi e Lui ci libera, perché “facendolo” noi diventiamo figli delle nostre opere.

Se noi facciamo grandeggiare Dio “L’anima mia magnifica il Signore, dice la Madonna, questo punto immacolato che portiamo in noi, quindi se noi facciamo grandeggiare Dio in noi, e per farlo grandeggiare dobbiamo assimilare tutto nella sua Persona, come noi assimiliamo a noi, al nostro io facendoci grandeggiare nel mondo.

Facendo grandeggiare Lui, più Lui si amplia e più ci attrae, più pesa e più riduce la sfera del nostro io e del nostro mondo.

Per cui ad un certo momento tutto il nostro mondo che attualmente sembra tanto pesante, tanto materiale, diventa tutto spirituale, perché anche la nostra terra è cielo, diventa cielo e diventando cielo, diventa Parola di Dio e diventando Parola di Dio, diventa personificato: il nostro mondo è personificato.

Noi siamo chiamati a passare proprio in questo mondo personificato che è il mondo superiore, il mondo di Dio, che è un mondo di persone, di rapporto d’amore perché mentre qui in terra abbiamo un rapporto d’affari, un mondo di interessi anche nei riguardi delle persone, laggiù abbiamo soltanto un rapporto d’amore perché il punto centrale, la persona viva è Dio.

Il problema nostro è questo: far vivere Dio perché Dio si è affidato a noi, nelle nostre mani; è logico che se noi lo trascuriamo e quindi in noi muore, è come un bimbo che affidato alle nostre mani che viene trascurato, non alimentato muore, la morte sua cosa apporta in noi?

Apporta in noi un’esistenza senza Dio; ma qui abbiamo la tragedia perché esistere senza Dio vuol dire essere schiavi, in balia di tutti gli elementi del mondo: “Vivevate un tempo senza Dio ed eravate schiavi di tutti gli elementi del mondo” dice San Paolo.

Noi non siamo mai liberi dalle cose, ma solo con Dio siamo liberi dalle cose; però se lasciamo morire Dio in noi, cadiamo sotto la gravità delle cose, non possiamo farne a meno. Allora queste acquistano un peso che dovrebbe avere Dio, cioè un peso immenso per noi; le cose nell’ordine divino sono leggerissime, è la brezza della sera, anzi ti dà conforto, è Parola di Dio che giunge, è novità che ti invita ad ampliare il punto immacolato perché la Parola di Dio è cibo di vita.

Allora questa parola che arriva a noi è già sollievo perché ci porta qualcosa di nuovo, è un annuncio, è un invito ad occuparti di qualche cosa di nuovo che parte da Lui.

Ma questa brezza così leggera, può diventare un uragano se in noi lasciamo morire Dio, cioè acquista un peso enorme e ci schiaccia senza perdere la relatività stessa perché acquistano il peso di Dio su di noi però con questo non è che diventino Dio e che quindi provvedano come provvede per noi Dio; perché Dio per noi è sorgente di vita in quanto è novità continua che ci supera sempre mentre le cose non sono sorgente di novità continua, ad un certo momento rivelano il loro niente, la loro miseria, la loro povertà, la loro infedeltà, la loro incostanza, la loro instabilità e tutto questo crea in noi uno stato di morte: è la tristezza dell’uomo.

Per cui noi dobbiamo moltiplicare tanti amori perché un amore non ci tiene più allora io ho bisogno di tanti, tanti amori ma più ho moltiplicato gli amori e più questi diventano labili e non ci teniamo più.

Questo perché noi abbiamo lasciato morire Dio, abbiamo bisogno di creare tanti idoli, tanti dei e non possiamo liberarci di quello per cui diventa un peso che non possiamo più sopportare e ci schiaccia.

Allora c'è la possibilità di una liberazione, ho detto l’altra volta, anche se fossimo in un pozzo, è questo che Dio è sempre presente anche se noi lo lasciamo morire, anche morto, anche morto sia ben chiaro, Lui è ancora presente in noi.

Dio essendo Dio non muore in Sé, muore in noi, per noi, ma anche morto, diventa motivo di salvezza, infatti Cristo morto è ancora motivo di salvezza per coloro che l’hanno ucciso; l’importante è che noi, anche se Lui è morto, ci fermiamo su di Lui per considerare ad esempio che il nostro io è delitto, che curando il nostro io uccidiamo Dio. Allora se noi rinsaviamo, meditando sul Dio morto che portiamo in noi, Dio risuscita.

Dio muore per salvarci; ma se muore per salvarci, se attraverso la sua morte noi abbiamo capito la lezione, Lui non è che resti morto, Lui si fa ritrovare: allora la sua morte diventa risurrezione e la colpa di prima diventa motivo di unione, diventa liberazione. Per cui non dovrebbe mai esserci la disperazione in me, anche se ormai ho constatato che Dio per me è morto, cioè che io vivo nell’assenza di Dio: non lo tocco, non lo sento, non sento il suo richiamo o per lo meno non mi dice niente o è astratto.

Io mi sento immerso nelle cose del mondo che pesa su di me, per cui porto questa sensazione dell’assenza di Dio, della morte di Dio, però se io mi fermo a meditare come mai per me Dio è lontano, Dio è morto, Dio è muto, Dio non mi dice più niente, se io mi fermo qui, io ritrovo il Cristo che risorge, ritrovo la liberazione, la redenzione.

Ad un certo momento mi accorgo che Dio ritorna presente con qualche piccolo accenno qui, qualche accenno là: mi ritrovo in sintonia, di nuovo collegato.

Se ho capito la lezione, non faccio più l’errore di prima, anzi! Perché il peccato è qui.

Il vento arrivando a noi è proposta; se io non aderisco alla proposta, ecco il peccato, il mio peccato, che è non aderire, non raccogliere la proposta, l’autonomia nostra, il rifiuto, se io ho capito adesso la lezione, meditando su questa morte che porto con me, perché la sua morte è poi la mia morte, la morte di Dio è la mia morte, se io mi fermo a meditare su questa morte di Dio che porto in me, ritrovando la sua risurrezione, avendo capito la lezione del mio io che è delitto, non ricado più: sto ben attento alle proposte di Dio.

Per cui se Dio risorto mi manda di nuovo qualche vento, qualche brezza, qualche accenno, adesso capisco come si fa a morire e allora non lo mollo più, aderisco immediatamente, perché più aderisco, più lo trovo vicino, più lo trovo risorto fino a ricostruire tutta la vita, la vita nuova, la creatura nuova che parte da Dio, che amplia questo divino che portiamo in noi.

Ma è Dio che libera, non siamo noi che ci liberiamo; non è che io devo prima liberarmi da questi pesi i poi troverò Dio. No!

Eligio: Io devo incontrare la Verità, perché dice Gesù, la Verità mi libera.

Luigi: La Verità mi libererà! Come si arriva alla Verità? Attraverso la sua parola: “Sarete veri miei discepoli se ascolterete le mie parole; allora giungerete a conoscere la Verità”; è la sua Parola.

È la sua parola che ci purifica: “Voi siete puri a motivo delle parole che Io vi ho detto”. Quindi se noi accettiamo, se aderiamo alle sue parole, e se Lui parla vuol dire che è vivo, per cui una delle sue parole è Lui morto; Lui morto è ancora una sua parola, è chiaro? Cristo morto in croce è ancora Parola di Dio per la nostra salvezza.

Il Cristo morto in croce è ancora Parola di Dio per la nostra salvezza.

Quindi Lui non muore per la nostra dannazione, perché se io sapessi che Lui muore per la mia dannazione, constatando che per me Dio è assente, io mi dispero (finito, chiuso, suicidio); ma se invece, ed è logico, Lui morto è parola di Dio e tutto ciò che esiste è Verbo di Dio, Parola di Dio; quindi se esiste il Cristo morto in croce, questa è Parola di Dio. E come tutte le parole di Dio sono per la nostra salvezza, “Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità”, quindi anche questa Parola di Dio “Cristo morto in croce per colpa mia”, è Parola di Dio per salvare me: quindi c'è un’apertura alla salvezza, alla vita.

Bisogna però che io riceva questa lezione, cioè riceva questa lezione attraverso questa Parola e allora Lui mi riporta ad ascoltare le altre parole, cioè mi fa risentire la sua presenza che parla, ed è la risurrezione, e questa mi porta poi alla conoscenza della Verità che mi libererà.

Se mi libererà la conoscenza della Verità, io non devo oggi lamentarmi del peso del mondo materiale su di me.

È logico che ci sia questo peso, perché non sono libero, sono schiavo di tutte le mie opere: ma Dio mi libererà.

Quindi se io aderisco, sto attento, se già avverto la presenza di Dio e quindi avverto le parole di Dio che mi arrivano, sto attento e aderisco, queste mi condurranno a conoscere la Verità e nella Verità troverò la liberazione, diciamo una liberazione progressiva.

Se Cristo è morto in me ed io mi fermo a constatare questo disastro che si è verificato in me, questo silenzio di Dio, questa è ancora una parola di Dio, attraverso questa adesione, attraverso questo afferrarsi al raggio di una stella che magari è lontanissima, ma che mi arriva; se io mi afferro a questo raggio di stella, la stella mi porterà fuori del pozzo. L’importante è che io aderisca a questo, cioè che io non sia più autonomo, che non agisca più nel pensiero del mio io, perché è questo che ha portato alla morte di Dio in me.

Allora se io aderisco a ciò che non è più mio io ma è l’Altro, fosse anche morto, questo mi porta la salvezza.

Eligio: La mia vita quindi si svolge tra due poli senza alcuna altra possibilità di scelta: o la Verità che mi libera, oppure chi fa il male è schiavo del male; se non guardo la Verità sono nel male.

Luigi: Sì, non c'è niente da fare.

Eligio: Non c'è uno stato di apatia, di indifferenza. Quindi se non guardo Dio ho la certezza matematica di essere in questa autonomia che è male.

Luigi: Certo non esiste un mondo neutro, capisci? Non c'è una linea neutra.

Eligio: Sì, ricordo che avevi già detto che non c'è nulla di indifferente; non è lo stesso fumare una sigaretta o non fumarla.

Luigi: Tutto, perché tutto è opera di Dio. Quindi in quanto tutto è opera di Dio, tutto è finalizzato, anche la formichina, anche il filo d’erba, anche la pietruzza, tutto è finalizzato. Anche la cosa che dura soltanto un istante, un milionesimo di secondo.

Tutto è finalizzato perché tutto è opera di Dio:

·         ed essendo Opera di Dio è Parola di Dio

·         e se è Parola è Rivelazione

·         e se è Rivelazione ti conduce alla Verità e così alla nostra Liberazione.

Eligio: E se non opero nel pensiero della Verità, sono nel male.

Luigi: Si, non posso farne a meno perché c'è il mio io. Se io non aderisco a Dio, naturalmente c'è io mio io e quindi resto schiavo del male. Non può essere diverso.

Eligio: Se mi fermo cado sotto il dominio del male. Quindi l’essere vigilanti è un consiglio a cui non dobbiamo derogare.

Luigi: Ma il vigilare è sempre questo riferire tutto a Dio, sapendo che tutto mi viene da Dio e che tutto devo riportare a Dio. Il vento dello Spirito viene da Dio, quindi si annuncia a me, si annuncia in qualunque stato io sia; si annuncia, perché Dio si fa sentire ma la creatura può avvertire, ricevere l’annuncio cioè il messaggio e non aderire ad esso, non seguirlo dicendo: “Ah, ma io ho altri impegni!”. Oppure può aderire: se aderisce al messaggio, cosa fa? Riporta a Dio quello che viene da Dio. Ma riportando a Dio fa vivere Dio, cioè assimila, personalizza tutto ciò che non è Dio, lo personalizza in Dio. Però siccome questo non è avvenuto senza di noi, perché è proposta, quindi richiede la partecipazione nostra, allora, non essendo avvenuto senza di noi, diventa opera nostra. Siccome noi diventiamo figli delle nostre opere, ecco che Dio, diventando opera nostra, ci fa figli suoi cioè ci porta nella libertà, ci spiritualizza; ci rende cioè partecipi del Regno dello Spirito, cioè di quel mondo superiore al cui centro c'è Lui.

Ma come dico, tutto questo è una conseguenza dell’aver aderito agli annunci che Lui ci fa arrivare: aver aderito, e aver riportato, quindi assimilato. Anziché assimilare nel nostro io, come facciamo noi naturalmente, per cui noi, in questo mondo qui, noi magnifichiamo noi stessi.

La Madonna dice: “L’anima mia magnifica il Signore”, noi naturalmente invece diciamo: “Io cerco di magnificare me stesso”, per cui mi do da fare per…

Ora, magnificando me stesso cosa faccio? Strumentalizzo, schiaccio gli altri, rendo piccoli gli altri e ad un certo momento, addirittura, strumentalizzo Dio, diminuisco Dio perché magnifico me stesso. Ecco, bisogna capovolgere la cosa: bisogna imparare a magnificare Dio, a far grandeggiare Dio, cioè assimilare tutto in Dio e quindi mai accontentarci di prendere le cose staccate da Dio o considerare le cose staccate da Dio. Per cui ad esempio, una parola giunge a noi: “La salute è tutto”, è una parola, è un messaggio che mi arriva; ecco, se io tengo presente Dio in me, non lascio entrare questo messaggio qui perché Dio me lo capovolge: “No, la salute non è tutto! Dio è tutto!”. “Il denaro è tutto!”, “No, Dio è tutto!”. Allora se io considero la cosa staccata in sé, dico: “Ah certo, la salute è più importante! La salute è tutto!”, resto schiavo; questo già mi condiziona, io domani dovrò correre dietro la salute, oramai l’ho detto, l’ho accettato così: e questo è già peccato, è staccato da Dio.

Per cui tutte le cose arrivando a noi, vanno da noi portate, unificate, raccolte nel Pensiero di Dio; ma, raccolte nel Pensiero di Dio, vengono viste in un’altra luce, perché Dio è un centro che assorbe ed ecco che viene personalizzata la cosa.

Quindi i valori vengono visti sotto un aspetto molto diverso da come li presenta il mondo e allora diventa liberante; mentre se io questi li accetto secondo soltanto quello che mi arriva dal mondo (nota che sono proposte di Dio perché in quanto mi arrivano sono proposte di Dio), ma Dio mi chiede di portarle a Lui, di riportarle là, nella sua luce, per rivederle nella sua luce, mentre quello è solo rumore.

Se io lo accetto così, staccato da Dio, questo mi rende schiavo, perché mi fa vedere dei valori diversi da quelli che io vedrei se portassi questo annuncio, questo messaggio che mi arrivato, in Dio.

Allora lo vedo in modo diverso ed io comincio a correre dietro a questo perché lo ritengo molto importante e questo mi rende schiavo; ad un certo momento sono schiavo di tutti gli avvenimenti del mondo; siamo nel peccato, per cui ad un certo momento per me Dio è morto, è assente.

Un essere che non parla più con me o quando io parlo non risponde è un essere morto: è la constatazione che noi facciamo, no?

Eligio: Dio è un centro personalizzante. Come mai è così difficile stabilire un rapporto di comunicazione con Dio mentre ci è molto facile stabilirlo con le creature?

Luigi: Perché con Dio, siccome Dio è superiore a noi, essendo superiore a noi richiede da noi il superamento del nostro io; mentre le creature, noi le vediamo facili, almeno con le creature con le quali noi stabiliamo un rapporto, perché non ci impegnano nel superamento del nostro io, ma in quanto vediamo la proiezione del nostro io in esse, direi che è una proiezione naturale.

Eligio: Questo succede proprio sempre e necessariamente?

Luigi: Guarda, anche nei rapporti di amicizia ad un certo momento devono sempre essere rapportati a Dio, in Dio, allora in caso diverso, noi siamo amici in quanto c'è stato magari un “prima”, perché noi viviamo voltati indietro, l’io vive di ricordi, di passato, il nostro io è vecchiaia, Dio è novità.

Allora, se noi ci portiamo in Dio, Dio essendo novità ci impegna sempre in qualcosa di nuovo, invece il nostro io, essendo ricordo, ci fa sedere su una poltrona, noi viviamo di ricordi; al vecchio, alla persona anziana, è molto difficile vivere di cose nuove, cercare di applicarsi a cose nuove, ma è molto facile pensare alle cose passate. Come mai all’uomo vecchio è molto difficile assimilare o ascoltare parole nuove e gli è invece molto facile parlare di cose vecchie, di cose antiche? Come mai succede questo? Perché il nostro io naturale si volge indietro ed è fatto di ricordi, di pensieri. Naturalmente la ripetizione di queste cose, di un incontro con persone, fatti, ricordi che riguardano quelle cose in cui c'è stato il suo io, diventa naturale, sollievo; mentre le cose nuove che mi impegnano, mi richiedono un superamento dell’io, uno sforzo.

Il rapporto tra la nostra anima e Dio richiede sempre il superamento di noi stessi, sempre, perché è sempre novità, Dio essendo superiore mi impegna sempre in qualche cosa di nuovo, quindi è sempre uno sforzo. E c'è difficoltà, c'è difficoltà perché mi parla sempre di qualcosa che non è naturale a me.

Eligio: Molte volte noi abbiamo anche l’impressione di un’assenza di Dio, anche se Dio non è mai assente……

Luigi: Sì, ma per noi può essere assenza

Eligio: Ad esempio tra uomini è possibile la presenza, magari anche con uomini di una intelligenza superiore si stabilisce un dialogo, ho una comunione e questo appare impossibile con Dio.

Luigi: Ad esempio l’incontro tra una persona superiore e una persona inferiore, cosa suscita? Ad esempio tra maestro e allievo, da parte dell’allievo suscita un impegno. È logico che se l’allievo si è impegnato a seguire il maestro, si è impegnato quindi ha fatto fatica, si è personalizzato, quindi si verifica un’unione tra il maestro e l’allievo. Ma l’unione è una conseguenza di quella fatica che c'è stata. C'è stata una fatica perché c'è un dislivello; tra il mondo superiore e il nostro mondo, c'è un dislivello. Ci sono i vasi comunicanti: abbiamo il vaso più pieno che lascia scorrere il liquido nel vaso inferiore. Così è lo stesso, il mondo superiore è pieno di Spirito, il nostro mondo inferiore è niente ma è un vaso vuoto che sta ricevendo il vento che è dato dai dislivelli. Da cosa nasce il vento? Dal dislivello di pressione: abbiamo bassa pressione, alta pressione, zona ciclonica e passaggio del vento; il vento passa fintanto che siamo arrivati allo stesso livello. Ora, qui abbiamo un passaggio naturale, nel campo delle persone abbiamo la persona che riceve dal vaso superiore e c'è la fatica dell’applicazione perché riceve qualche cosa che non intende, rumore; se si applica ad ascoltare, a seguire, a personalizzarlo in Colui che gli ha fatto giungere quel rumore, quel segno, allora si arriva a quel livello e si stabilisce l’amicizia che è data da quella fatica per cui c'è stata una comunione. Con Dio abbiamo lo stesso! Perché ricordiamoci sempre che tutto è significazione; quindi quello che avviene per noi, molte volte faccio l’esempio dell’amore, perché è un rapporto molto evidente, è segno, è segno di quello che deve avvenire tra la nostra anima e Dio. Così come si crea tra le persone, tra il superiore e l’inferiore, tra il maestro e l’allievo, così si crea tra Dio, siccome Dio è superiore richiede la fatica nostra, e la creatura. Naturalmente noi siamo, nelle cose che riguardano il nostro io, naturale, dove noi ci siamo applicati per un poco si è stabilita un’unione, oppure abbiamo proiettato il nostro io su un altro e si è stabilita un’unione; con Dio, siccome Dio è infinitamente superiore, direi che eternamente sarà superiore, quindi è un centro di vita, perché anche il maestro, ad un certo momento essendo creatura si esaurisce nei riguardi dell’allievo, l’allievo arriva a livello del maestro e quindi essendo arrivato al livello del maestro, il maestro non ha più niente da dargli: con Dio no! Perché tutto quello che è creato ad un certo momento si esaurisce, ed è logico che faccia questo. Guai a quel maestro che dicesse: “Io voglio sempre essere al centro del mio allievo”; infatti Gesù stesso ci conduce alla Sorgente e poi dice: “Adesso io me ne vado e voi dovete attingere da lì: quella è la Sorgente, bevete direttamente perché il Padre vi ama”. Cosa vuol dire “Vi ama”? Vuol dire che vuole stabilire con voi un rapporto diretto come l'ha con Me, Figlio; è Lui prega affinché siamo tutti una cosa sola. Ecco l’opera del vero Maestro, Lui è il Vero Maestro: è quella di condurci alla Sorgente e poi dire: “Adesso attingi tu direttamente”. Allora essendo Dio Sorgente di vita, e una vita eterna, richiede sempre da noi questo superamento. Ma ad un certo momento questo superamento diventa una gioia di partecipazione perché quanto più uno Lo conosce, e tanto più direi che non sia una fatica; è tanta fatica quando io ho tanto peso relativo al mio io, cioè ho stabilito tanti rapporti sbagliati, allora questi sono tanto pesanti. Per cui la tribolazione quando mi trovo con un Dio morto, l’umiliazione, la vergogna di averlo ucciso, di aver partecipato a questo delitto, naturalmente è una fatica enorme per fare il passaggio del superamento del mio io. Ma ad un certo momento diventa gioia; Gesù parla: “Affinché la vostra gioia sia completa, la vostra gioia sia piena”, parla di pienezza di gioia, “Una gioia che nessuna creatura al mondo vi potrà portare via”. Quindi non è che il superamento del nostro io sia sempre fatica, no! Ad un certo momento il superamento dell’io non è più fatica ma è gioia, è vita perché vivere vuol dire personificare, assimilare in una Persona. Ora noi abbiamo su questa terra l’impressione di vivere perché assimiliamo nel pensiero del nostro io, nella nostra persona, ma ad un certo momento tutto crolla; perché è come se io attaccassi tanti panni, tanti vestiti ad un piolo: attacco, attacco, ad un certo punto il piolo va giù e crolla tutto. Noi attacchiamo tutto al nostro io, abbiamo l’impressione di vivere, di far stare su le cose, poi il piolo si stacca e mi accorgo che sono vissuto per niente. Invece noi dobbiamo imparare ad attaccare tutto a Dio, Dio sta su; quindi dobbiamo imparare a personificare tutto in Dio cioè vedere in tutto Dio, tutto segno di Dio, tutto parola di Dio; allora, come mi trovo con creature che ormai vedo come significazione di Dio, le creature non pesano più.

Ad un certo momento, ritornando al concetto della morte, la morte sparisce; l’Apocalisse stessa dice che all’ultimo la morte sarà distrutta perché diventa essa stessa segno, parola di Dio; una volta che la morte è personificata, cioè come parola di Dio, la morte scompare, come tragicità.

Ma questa è la conseguenza di aver personificato, fatto vivere Dio, ma tenendo presente che vivere vuol dire personificare; noi ci troviamo attualmente con tanto mondo che non è personificato perché abbiamo oggetti, cose, anche persone che per noi sono degli strumenti, degli oggetti che noi costruiamo nel pensiero del nostro io mentre dobbiamo tutti quanti personificare in Dio, cioè fare tutto parola di Dio.

Eligio: L’unico mezzo di personificazione resta per noi il dialogo…

Luigi: Però il dialogo con Dio non è il dialogo come lo intendiamo noi. Tra noi facciamo un certo dialogo, parliamo e sentiamo gli altri parlare; con Dio no! È una cosa diversa. Il dialogo con Dio è unificazione in Dio. Dio parla con noi dicendo Se Stesso; dice una parola sola: “Io sono in te”, si fa pensare; questa è l’unica parola di Dio. Il dialogo che si fa con Lui è unificare in Lui, quindi non è più un usare parole perché io parlare con Dio da mattina a sera con le labbra e sostanzialmente sentirmi a dire da Lui: “Tu non hai mai parlato con me, come mai?”, “Ma io ho sempre parlato con te!”, “Ma il tuo pensiero dov’era?”. Ora quello che unifica è il pensiero, non è la bocca.

Eligio: Sì, devo pur intendere la parola di Dio, perché Dio parla, nell’arco della mia esistenza Dio parla…

Luigi: Dio parla non parole nostre, Dio parla parole sue, ma la sua parola è una sola: il Verbo che dice: “Io sono”. Questa è l’unica parola che Lui dice. Lui in questo mondo qui arriva con l’incarnazione “Il Verbo si fa carne”, quindi parla con linguaggi diversi, ma parla per portarci a quell’unico Verbo, per raccoglierci dalla nostra dispersione perché essendo noi schiavi del corporeo, possiamo essere salvati soltanto dal corporeo. Ad esempio se io sono schiavo di quello che rimbomba, posso essere salvato soltanto attraverso quello che rimbomba, ma quello che rimbomba non lo fa soltanto per soddisfare il mio orecchio, lo fa per portarmi ad udire quell’unica parola perché è in quella parola che si stabilirà il dialogo per portarmi al Padre; Padre che poi mi dirà quell’Unico Verbo, quell’Unica Parola in cui si stabilisce poi quel dialogo non più a parole, ma a pensieri, per cui non si parla più, ma si pensa. Il dialogo non è quindi: “Adesso mi metto alla presenza di Dio e dialogo: Signore come stai?”, sì può anche essere bello però non è quello l’essenziale perché abbiamo detto che il vero dialogo è questo personificare, questo ampliare Dio, questo far vivere Dio, vivere vuol dire personificare Dio cioè portare le cose, raccogliere le cose che Lui ci fa arrivare, raccoglierle in Lui: questo vuol dire dialogare, raccogliere in Lui, unificare in Lui.

Eligio: Con dialogare io intendevo proprio questo eliminare gradualmente tutti questi elementi di dispersione in cui ci troviamo perché non possiamo capire solo l’unica parola di Dio: “Io sono”.

Luigi: Certo, no. Ma quello è il punto, per cui Dio mi dice: “Dialoga in questo punto se vuoi veramente dialogare. Allora cosa succede? Che le cose che arrivano a noi, opere sue, parole sue nel mio mondo, incarnazione del suo Verbo nel mio mondo, deve essere raccolto da me, portato in questo unico Verbo che Lui dice. Allora se io la cosa non la porto in Lui, la considero staccata, anche se parlassi da mattina a sera, non dialogo con Lui; se non dico nessuna parola ma porto la cosa in Dio, e quello che porto resta raccolto e si trasforma in vita infatti il Signore dice: “Chi con Me raccoglie riceve mercede di vita eterna”. Approfondiamo bene questa parola, “Chi raccoglie con Me”, ecco il verbo raccogliere, se noi siamo con Lui noi raccogliamo, questo è il vero dialogare con Dio; “Chi raccoglie con Me” nel Padre perché il Verbo ci fa pensare il Padre, “..riceve mercede di vita eterna”, comunione, conoscenza di Dio, questa facilità. Per cui quello che io ho raccolto mi raccoglie, quello che io non raccolgo in Dio mi disperde e allora pesa, è peccato, perché non l’ho raccolto l’ho tenuto staccato. Ora, siccome tutto è di Dio, tutto va riportato a Dio, però niente è riportato a Dio senza di me, in me. Allora se io riporto a Dio ricevo mercede di vita eterna quindi facilità di vita eterna, facilità di conoscenza di Dio, di amicizia con Dio, capacità; se io non raccolgo in Dio tutto diventa per me motivo di dispersione, peccato, peso, distacco da Dio. Per cui quello che mi doveva facilitare l’unione con Dio diventa per me motivo di lontananza, di peso, di separazione da Dio. Se vogliamo ridurre alle estreme conseguenze, qual è la via essenziale per questo? Incominciare a portare qualche cosa in Dio: quello che abbiamo portato diventa per noi vita eterna. Ho portato poco? Poco vita eterna. Ho portato molto: molto vita eterna. “Ad ognuno sarà dato secondo il suo lavoro. A questo punto possiamo capire un po’ più a fondo la parabola dei talenti; per cui ognuno è premiato per l’interesse che ha fatto fruttificare con i talenti: i talenti sono quello che ci arriva da Dio, ma non basta! Quello può essere motivo di dannazione, se io lo tengo sotto terra, non lo porto in cielo, quello diventa motivo di rovina; “Toglieteglielo e portatelo via”, non avrò nemmeno quello! Ognuno entra nella gioia del suo Signore in rapporto a che cosa? In rapporto a quanto hai fatto fruttificare il talento: farlo fruttificare vuol dire portarlo in Dio. Perché il talento mi è arrivato da Dio e io dovevo farlo fruttificare per Dio, cioè portarlo nella conoscenza di Dio, portarlo in Dio; raccolto, allora hai trovato molto raccoglimento, gioia. Quindi la gioia è la conseguenza di questo raccoglimento “Nella gioia del tuo Signore”. Il lavoro essenziale che Dio chiede a noi, il dialogo, perché poi quello ci faciliterà, perché naturalmente più uno ha raccolto e più è facilitato a raccogliere; perché più uno ha conosciuto e più quella conoscenza lo facilita nella conoscenza, mentre invece se uno è stato molto lontano ogni cosa lo ostacola nella conoscenza: è la preparazione. Se uno non è preparato all’esame, all’interrogazione, è vero che io potrei pensare di non essere interrogato, ma sotto la pressione della richiesta, non sono preparato a rispondere. Se invece sono molto preparato, immediatamente di fronte alla richiesta ho la risposta; se mi dicono: “Guarda che l’esame è molto difficile, quindi preparati molto e vedrai che l’esame diventa molto facile”.

Eligio: Sì, diciamo che hai risposto alla mia domanda di domenica scorsa sull’orientamento pratico….

Luigi: Sì, se noi capissimo questo: quando leggo una parola o mi arriva un fatto, un giudizio, devo sempre chiedermi questo: “Un momento, lo raccolgo in Dio”, ecco se faccio questo lavoro, cerco di vederlo secondo Dio, cerco di personificare, convivere col significato di Dio, ma quello per me diventa motivo di unione, di gioia.

Eligio: La spiritualizzazione del nostro piano naturale

Luigi: Sì, perché il piano naturale non è in opposizione a Dio, il piano naturale è anche opera di Dio, che ci viene presentata affinché noi la raccogliamo in Dio. Raccogliendola in Dio veniamo raccolti in Dio ed è così che si stabilisce l’unione.

Eligio: Ho presente la dilatazione di quel punto verginale che si deve allargare nella nostra anima.

Luigi: Certo.

Signora:

Luigi: Ma vedi noi Dio si annuncia e ci dice: “Io sono presente” e questo noi non possiamo ignorarlo: se Dio esiste, esiste dappertutto, e se esiste dappertutto è presente anche in me. Se è presente è presente qui: allora io cosa devo fare, se mi accorgo della sua presenza, non ho il dubbio, io credo di essere presente ma Lui dov’è?

Eligio: Ma noi esperimentiamo la sua presenza: se Lui è con noi non vuol dire che noi siamo con Lui..

Luigi: Ah, beh certo! Tra persone create la cosa è diversa, perché se io penso te ma tu sei lontano in via San Michele, non basta che io pensi te per trovarti. Io devo partire, devo arrivare là, devo suonare il campanello e se ci sei ti trovo. Con Dio no! Con Dio basta pensarlo perché Lui c'è. Cioè tu non sei in via San Michele, tu sei qui e se sei qui, io posso essere assente anche se tu sei qui, (posso pensare ad altro quindi sono assente, fisicamente sono presente ma se penso ad altro sono assente), ma non è sufficiente che io ti pensi se tu ci sei: ecco, è stabilita l’unione. Ora, Dio non è mai lontano per cui io devo partire, Lui è sempre presente dappertutto, questo è poco ma sicuro, quindi se è presente dappertutto il difetto è soltanto mio, sono io che dovevo pensarlo. San Paolo dice: “Chi pensa Dio fa una cosa sola con Dio”; quindi se Lui è presente basta che noi Lo pensiamo e immediatamente il contatto c'è. Adesso però in questa presenza si tratta di stabilire il dialogo che è questo raccoglimento, questo raccogliere, perché io posso stare davanti ad un muro, e allora non opero quello che Lui mi propone. Perché Lui mi propone, l’iniziativa è sua, Lui mi manda un mondo, se io sto solo nella sua iniziativa, senza raccogliere in Lui, le opere sue mi portano lontano, per cui ad un certo momento mi portano lontano ed io resto disturbato. “Perché tu devi raccogliere in me, dialogare, parlare” perché Lui mi fa arrivare delle cose che io debbo riportare in Lui; Lui è il centro di vita. Per un certo senso vediamo il senso trinitario nel quale veniamo poi inseriti perché Dio, il Padre, da cui ha origine un’opera che si offre a noi per essere riportata in Lui per stabilire un rapporto d’amore, di unione e tutto diventa personale perché presso Dio tutto è persona.

Emma: Allora è più facile dialogare con Dio che con le creature….

Luigi: Certo, è più facile dialogare con Dio che con le creature; apparentemente sembra una novità perché sembra più facile parlare con le creature, invece le creature ci sfuggono sempre. Infatti nella vita vera, nella vita eterna noi dialogheremo con le creature ma sempre attraverso Dio perché Dio è il punto luce; noi crediamo di dialogare con le creature ma noi non capiamo mica cosa c'è nelle creature perché noi vediamo il corpo delle creature ma l’intimo delle creature ci sfugge; noi certe volte stiamo trent’anni, cinquant’anni con una creatura e non la conosciamo ancora, ci sfugge l’intimo. Ma perché ci sfugge? Ma perché per conoscere l’io dobbiamo arrivare presso Dio, è solo in Dio che noi capiamo veramente le creature, solo in Dio, presso Dio. Ma lontano da Dio, noi non capiamo né noi stessi, né gli altri e quando crediamo di dialogare, facciamo dei bei soliloqui con le creature e gli altri ci ignorano tranquillamente e noi crediamo di aver comunicato all’altro e invece non abbiamo comunicato niente perché solo attraverso Dio si comunica. Allora è giusto quello che hai detto che è molto più facile dialogare con Dio che dialogare che non con le creature. Perché dialogando con le creature dobbiamo passare presso Dio per cui ci vuole già……. Per dare un vero dono alle creature, ed è molto difficile dare i veri doni alle creature, bisogna già possedere Dio perché ogni creatura è vuota di Dio, ha bisogno di Dio quindi è soltanto possedendo Dio che si può dare Dio. Per cui fare un dono alle creature è molto difficile perché bisogna già avere conosciuto Dio, posseduto Dio per dare Dio all’altro altrimenti non si può dare; per questo dico che è molto difficile parlare secondo Dio perché bisogna già aver conosciuto Dio altrimenti non si comunica. Con Dio invece il rapporto diventa più facile per è diretto, quindi anche se io sono stolto, ignorante, non capisco niente, posso pensare Dio, Dio mi dà la possibilità di pensarlo direttamente, con la creatura no. Perché siccome la creatura ha bisogno di Dio, io non posso comunicare niente di Dio senza essere entrato prima in rapporto con Dio.

Eligio: Quindi noi abbiamo una responsabilità tremenda quando parliamo o portiamo Dio o portiamo il male: è una responsabilità terribile!

Luigi: Sì, certo.

Eligio: Come non c'è una terza via di indifferenza nel rapporto con Dio, così non c'è una terza via di indifferenza rispetto al prossimo: o noi li avviciniamo a Dio o li avviciniamo al male.

Luigi: Noi li confermiamo nelle ambizioni, esaltiamo sempre dei valori: o esaltiamo Dio, o esaltiamo altri valori; c'è questo da tenere presente, che Dio nonostante tutte le deviazioni che noi operiamo verso gli altri, interviene con la sovrabbondanza della sua grazia; in questo senso, perchè tutto quello che non è colpa mia. Per cui Dio ci dirà: ”Io sono dovuto intervenire per le enormità di sbagli che tu hai fatto, per aiutare quella creatura che tu hai dannato in quel modo, la quale non era responsabile; intervengo io direttamente”.

Emma:

Luigi: Cioè Lui tira fuori…..

Emma:

Eligio: No, ma io le do ragione; quello che è molto più rattristante per me è che quando mi fermo a pensare Dio, mi vengono in mente i pensieri più strani possibili…

Luigi: Guarda che anche in quel caso è Dio che dialoga con te! Facendoti toccare con mano che il mio tempo interiore è invaso da rospi, è invaso da idoli. “Tu vuoi costruire una casa a Me? Guarda la tua casa in che stato è” è Dio che ci dice questo! Teniamo presente che tutte le lezioni di Dio sono sempre per salvarci, quindi anche queste lezioni che possono essere magari terribili o angoscianti, Dio le opera, le fa per liberarci.

Eligio: Sì, adesso mentre dici quello, è un motivo anche per accettare con umiltà ad esempio questo fatto: mi metto a leggere il Vangelo, cerco qualche bel pensiero, addirittura lo rileggo due, tre, quattro volte lo stesso pensiero, capisco di non essere capace e chiudo il libro.

Luigi: Sì, ma anche questo guarda che è una lezione di Dio. Tu hai fatto un piccolo passo verso il Signore: “Voglio pensare Lui” e Dio immediatamente ti compensa. Tu puoi dire: “Bella compensa!”, no! Questo è un aiuto perché ti riporta nella povertà, facendoti subire un’umiliazione. Perché ogni piccolo passo, immediatamente il Signore lo potenzia. Molte volte restiamo sgomenti: “Io cercavo di avvicinarmi e Lui mi fa esperimentare altri pensieri”, ma proprio quella è stata una grazia perché ti ha aiutato, magari a smontare la superbia, l’ambizione e a mettere quelle condizioni per stabilire la vera unione, il vero dialogo, per aiutarti ad entrare nel Pensiero di Dio. È grazia, perché è già sufficiente un piccolo pensiero verso di Lui che immediatamente Lui ci compensa. Molte volte, come dicevo, noi ci stupiamo delle risposte di Dio: ma è lezione di Dio, quindi è aiuto.

Signora: Dobbiamo imparare ad accettare la lezione come è..

Luigi: Certo, in quanto siamo, comunque sia, colpevoli o non colpevoli, ma se io oggi sono così, è Dio che mi ha messo qui ed è a questo punto però che bisogna partire, incominciare cioè a raccogliere in Dio, instaurare un dialogo con Dio.

Cina: Raccogliere per imparare a raccogliere perché se io non faccio niente….

Luigi: Mi disperdo, tutto mi disperde…

Eligio: Se non faccio niente faccio il male..

Luigi: A certo, non è che faccio niente, è un errore dire che si fa niente..

Eligio: Non esiste un’inerzia spirituale, la stasi;

Luigi: Teniamo presente che il Signore ha condannato quel tale che ha sotterrato il talento per custodirlo, ha fatto niente: ha fatto il male, invece, gliel’ha portato via e lo ha condannato. E lui ha cercato di custodirlo per Lui, di custodirlo; noi molte volte diciamo. “A ma io non ho fatto niente”, “No, stai attento perché non esiste il niente”.

Emma: Dobbiamo operare però nel nostro pensiero..

Luigi: Ah, senz’altro, chiarissimo.

Cina: E poi non raccogliendo si disimpara a raccogliere per cui diventa sempre più difficile.

Luigi: Sì, più raccogliamo e più restiamo raccolti e siamo facilitati nel raccoglierci. Cioè Dio si presenta sempre di più, Dio si fa ricordare sempre di più, per cui ad un certo momento diventa molto facile ricordare.

Pinuccia: Mi è sfuggita la relazione tra il raccogliere e la S.S. Trinità, non sono riuscita a coglierla, potrebbe dirci qualcosa?

Luigi: E no, adesso non c'è più tempo perché è un pensiero lungo; risenti con calma la registrazione.


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Il vento soffia dove vuole e tu ne senti la voce, ma non sai né di dove viene, né dove va. Così è di chiunque è nato dallo Spirito. Gv 3 Vs 8 Secondo tema.


Titolo: Avere in sè la ragione.


Argomenti: I figli della carne e i figli dello Spirito – La ragione in noi o fuori di noi - Mossi dal sentimento -  Reazione a stimoli -  Tutto finalizzato al corpo – L’arte e la musica – Possedere e conoscere in Dio – Il significato delle cose - L’uomo spirituale e l’uomo materiale -  L’illusione della libertà -


2/Gennaio/1977


 

Dall’esposizione di Luigi Bracco.

Questa sera ci fermiamo sulla seconda parte del versetto 8: “Così è di chiunque è nato dallo Spirito”. Quel “Così è” si riferisce alla frase precedente, che abbiamo commentato domenica scorsa: “Il vento soffia dove vuole e tu ne senti la voce, ma non sai donde viene, né dove vada. Così è di chiunque è nato dallo Spirito”.

Sembrerebbe apparentemente che quel “così è di chiunque è nato dallo Spirito” debba riferirsi a quel vento “di cui odi il rumore, ma non sai donde venga e dove vada” e cioè che chi è nato dallo Spirito operi sotto il soffio del vento dello Spirito, per cui lui parli, operi, pensi per intuizione, per sentimento, ma non abbia in sé la ragione di ciò che fa o di ciò che opera. Ma non è così, perché Gesù, dicendo: “Il vento soffia dove vuole”, si riferisce allo Spirito: è lo Spirito che soffia dove vuole; per cui nel mondo si sente il soffio dello Spirito, ma nel mondo non si sa donde venga e dove vada, perché non si comprende. Mentre invece coloro che sono i figli dello Spirito hanno in se stessi la ragione; per questo nel loro operare o nel loro agire, essendo mossi dallo Spirito, hanno in se stessi la ragione di ciò che dicono e di ciò che fanno: sono come il vento. Nel mondo ciò che essi dicono e ciò che essi fanno invece è come il vento, cioè non è capito.

Si crea una differenza tra i figli del mondo, cioè i figli della carne e i figli dello Spirito. Non è che i nati dallo Spirito, i figli dello Spirito siano sottratti dal mondo. Gesù nell’ultima preghiera dirà al Padre: “Non ti chiedo che Tu li tolga dal mondo, ma che li preservi dal male”. Non è quindi che siano tolti dal mondo, perché anche il mondo è opera dello Spirito, è segno dello Spirito:

·         sono nel mondo, però non sono schiavi del mondo, non dipendono dal mondo, per cui operano nel mondo, ma appartengono allo Spirito,

·         mentre invece quelli che sono nel mondo, ma non dello Spirito, coloro che seguono la carne, sono nel mondo e appartengono al mondo.

La differenza quindi sta qui: sono tutti e due nel mondo, sia i figli della carne, quelli che vivono secondo la carne, sia quelli che vivono secondo lo Spirito. Gli uni e gli altri sono nel mondo, ma gli uni appartengono al mondo, gli altri invece appartengono allo Spirito e quindi non sono del mondo.

La differenza, ancora approfondendo, a me sembra di trovarla in questo fatto: nel mondo si opera, si agisce, come in tutte le cose materiali, motivati da cose fuori di noi. Se volessimo distinguere il mondo materiale e il mondo spirituale, io li distinguerei così:

·         tutto ciò che appartiene alla materia, al mondo, alla carne, alla nostra vita naturale, ha la ragione di sé fuori di sé, cioè è motivato da altro;

·         mentre invece il mondo dello Spirito è caratterizzato da questo: ogni azione, ogni opera ha in sé stessa la ragione, il motivo di ciò che fa.

Allora i figli dello Spirito hanno in sé la ragione del loro operare; i figli del mondo, i figli della carne invece, sono motivati da altro, sono mossi da altro fuori di sé e quindi, naturalmente, sono schiavi di-.

Ecco perché il Signore parla di liberazione; liberazione da una schiavitù. Perché vivendo secondo la carne si resta schiavi di fatti esterni a noi, che determinano la nostra vita; per cui si agisce per la figura o per la gloria o per la bellezza, ma sempre per dei motivi al di fuori di noi, motivati da-: perché tutti fanno così, perché si opera così; oppure perché si è sospinti da bisogni del corpo: mangiare, dormire, la casa, ecc., sempre in funzione del corpo, quindi sempre motivati da qualcosa al di fuori di noi. Mentre invece lo Spirito, Dio, ha in Se stesso la ragione di ciò che Egli è. Tutto ciò che non è Dio, quindi la creatura, ha fuori di sé la ragione di ciò che essa è, è motivata da altro; e da qui nasce tutta l’inquietudine del mondo, l’incapacità del mondo a restare in pace, perché non si ha in sé la ragione, il motivo di se stesso.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Eligio: I figli del mondo hanno al di fuori la ragione delle cose che compiono. Alle volte la gloria stessa o il piacere di una compagnia, ma non cercata o voluta per lo Spirito, ha la ragione in me stesso, non fuori di me. Ad esempio: io non sono amante del ballo, però se mi piacesse ballare, penso che ricercherei la possibilità di realizzare questa soddisfazione per una cosa mia personale. Non è al di fuori di me la ragione di questa ricerca.

Luigi: Al di fuori di noi è anche un corpo, anche la carne, anche un sentimento. Ad esempio quando si è mossi dal sentimento, la ragione del nostro agire è fuori di noi, cioè non la possediamo in noi stessi. I figli dello Spirito hanno in se stessi la ragione di ciò che operano, perché hanno la Verità. Lo Spirito ha in se stesso la ragione di ciò che fa, per cui se gli chiedi: “Perché parli?”; ti risponde: “Parlo perché Dio è così”, cioè ha in se stesso la ragione di ciò che fa, è motivato da-. Mentre invece quando uno agisce per sentimento, dice: “io opero così perché sento così”, ma il sentire non giustifica. Alla domanda: “Perché mangi?”, se rispondi “mangio perché ho fame”; oppure “Perché fai quello?”, “Perché mi piace”, tutto questo non è giustificato, non ha una giustificazione. Il fatto di dire: “Mi piace, sento così, sono portato così, tutti fanno così” è una giustificazione che la Bibbia chiama “tenebrosa”, perché sorge dal nostro abisso, in quanto non sai perché provi quella sensazione; per cui ti alzi al mattino e sei felice o sei triste, ma il “perché” non lo sai. Sei mosso da sentimenti, da pensieri, da tristezze, ma non sai perché. Mentre invece i figli dello Spirito sanno il perché.

La caratteristica è che il figlio dello Spirito opera dominando i suoi sentimenti, non lasciandosi portare dai suoi sentimenti. Chi vive secondo la carne se si sveglia triste e tutta la giornata è triste, è portato da un sentimento che grava su di lui, ma non sa perché.

Eligio: Se sono figlio della luce, come giustifico questa tristezza?

Luigi: Posso anche sentire tristezza, gioia, ecc., però non mi lascio portare da-, la domino con lo Spirito, in quanto può essere tentazione o richiamo di Dio e cerco di intendere il significato di quello che sento. Non è che il figlio dello Spirito sia fuori del mondo; è nel mondo, quindi sente, partecipa, dal mondo gli arrivano le cose. Ritorniamo all’esempio del piede pestato: il figlio dello Spirito sente la sofferenza, sente l’offesa, però cerca la ragione presso Dio, non si lascia portare da-. Invece il figlio del mondo, sentendo l’offesa, si lascia portare da-, e ha la reazione. La vita di colui che appartiene al mondo è tutta fondata sulla reazione a stimoli che gravano su di lui, stimoli che noi diciamo anche sentimento; però il sentimento non è proprietà sua, a volte è provocato dall’atmosfera, da avvenimenti che ad un certo punto sfuggono, che però gravano su di lui. Può essere un dolore, anche una malattia: sono fatti che arrivano, ma di cui non sa la ragione; allora pesano, allora “indossa” un vivere.

San Paolo dice che i figli dello Spirito, i figli di Dio si caratterizzano in questo: in tutto si lasciano guidare dallo Spirito di Dio, mentre invece i figli del mondo si lasciano guidare dagli elementi del mondo: “Vivevate schiavi degli elementi di questo mondo, schiavi degli elementi della carne”. Quindi uno agisce perché ha fame, perché ha sete, perché è stanco, perché è malato. E se andiamo a fondo, ci accorgiamo che tutto il nostro vivere è finalizzato al nostro corpo. Il problema della casa è finalizzato al corpo, il problema della famiglia il più delle volte è finalizzato al corpo, il problema della salute è finalizzato al corpo, il problema della figura è finalizzato al corpo: tutto è finalizzato al corpo. Ma questo corpo non è motivato, non ha una ragione in sé, perché ad un certo momento sfugge, diventa polvere, diventa niente. Invece le vere ragioni le dobbiamo cercare in Dio, da Dio. E soltanto quando il nostro vivere avviene come conseguenza dello Spirito di Dio, siamo figli di Dio; perché i figli di Dio in tutto si comportano lasciandosi guidare da Dio.

È una ricostruzione lenta, infatti San Giovanni parla di rinascita. È una cosa nuova, perché non possiamo rattoppare il nostro abito vecchio con la pezza nuova dello Spirito: in tal caso vivremmo motivati dall’esterno. Invece nello Spirito del Regno di Dio si vive in quanto uno ha in se stesso la ragione del proprio vivere, della propria mozione, è motivato da-. Il figlio di Dio ha in se stesso il motivo di ciò che fa, invece i figli del mondo l’hanno fuori di sé; ma fuori di sé in quanto lo ignorano.

Eligio: Non sono tanto d’accordo; tu parli a livello di emozioni. Si tratta di vedere quello che è esterno contro la volontà di Dio o derivante dalla volontà di Dio o quello che è esterno secondo la volontà di Dio. Si tratta di vedere quello che è interno a livello di emozioni secondo la volontà di Dio e quello che è interno contro la volontà di Dio.

Luigi: La fonte è fuori, Dio è dentro di noi. Ciò che è veramente intimo è solo Dio, quello che è veramente nostro è solo Dio, tutto ciò che non è Dio non è posseduto da noi.

Eligio: Tu pensa a Bach, a certe composizioni: che cosa poteva attingere dall’esterno? Niente! Soltanto una visione religiosa non sempre chiara a livello di pensiero, com’era chiara a livello di arte musicale che portava dentro di lui, poteva dargli la possibilità di venire fuori con delle composizioni del genere.

Luigi: Io non conosco Bach, ma può darsi benissimo che l’artista sia ispirato da Dio, perché Dio fa musica, Dio è un grande artista. Tu osserva tutto l’universo: se c'è qualcosa che lo caratterizza è proprio l’armonia e l’armonia è musica. Direi che tutto l’universo è fondato sulla musica, è armonia; è anche matematica, ma la matematica è poi una cosa ritmica. Dio è fonte di armonia, non è detto che colui che è figlio dello Spirito non faccia armonia, anzi direi che il figlio dello Spirito è il vero fattore di armonia, perché Dio è il principio dell’armonia. Non è che c’è l’opera dello Spirito e non più l’armonia. La vera armonia procede dallo Spirito. Lo Spirito ha in se stesso la fonte dell’armonia. C'è anche l’artista che sente l’intuizione: è ispirato ma non possiede lo Spirito; allora si lascia portare e fa anche l’opera d’arte, ma è sentimento. Vedi ad esempio l’arte moderna, che è fondata tutta sul sentimento. Infatti se chiedi ad un artista: “Perché hai fatto quello?” ti risponde: “Ah, non lo so, sento così!”. I figli di Dio non sono il vento che si fa sentire tanto così per farsi sentire, per cui sono portati da-, senza avere la ragione di quello che dicono, di quello che fanno (e dicono: “Ah, ma io sento così!”), no! I figli dello Spirito hanno in se stessi la ragione del loro operare, per cui operano e sanno la ragione per cui operano. E questo è possibile per la presenza di Dio, perché Dio è dentro di noi, Dio non è fuori di noi. Dire che l’unico essere che è veramente dentro di noi è Dio, tutto il resto no. Ecco perché dico che Dio veramente può essere posseduto, mentre tutto il resto non possiamo possederlo. O meglio, tutto il resto lo possiamo possedere in quanto lo riportiamo in Dio; le creature possiamo conoscerle soltanto in quanto le conosciamo in Dio. Se noi non conosciamo Dio, tutte le creature a maggior ragione, non le conosciamo. A noi pare che sia più facile conoscere le creature che Dio, ma è soltanto apparenza. Infatti se ti chiedo: “Ti è facile conoscere la sedia?”, mi dici: “Sì, mi è facile!”, ma credi di conoscerla, in realtà non conosci niente. Soltanto in Dio potrai veramente conoscere cos’è una sedia, perché arrivi in Dio ad intendere il significato, quello che Lui ha voluto significarti presentandoti quell’esistente. Quindi solo in Dio noi abbiamo la ragione delle cose. Perché la caratteristica di chi sta con Dio è che va alla ricerca del significato. E cosa vuol dire “significato”? Il significato è la ragione presso Dio di un’opera creatrice. Perché nel nostro mondo c'è la natura, ci sono le stelle, c'è il sole, c'è l’acqua, ci sono tanti uomini? Perché? Chi ha presente il Pensiero di Dio cerca presso Dio la ragione, che cosa Dio gli ha voluto dire personalmente. Perché Dio parla personalmente ad ognuno di noi attraverso questa esistenza fatta così, questa vita fatta così, questa natura fatta così. Si va alla ricerca delle parole di Dio, del significato, quindi della ragione, perché noi intuiamo che soltanto in Dio possiamo capire; poi comprendendo ci comportiamo di conseguenza ed abbiamo in noi stessi la ragione. Fintanto che non conosciamo Dio, tutte le creature lasciano una certa impressione su di noi, ma le riceviamo come il vento. Infatti quando sento il vento, esso lascia in me una certa impressione e può essere la brezza, può essere il vento impetuoso, può essere l’uragano, può essere un tifone: sento, però non capisco donde venga e dove vada. “Così, dice Gesù, è di tutto ciò che è opera dello Spirito”.

Nel mondo naturale, l’uomo materiale sente le opere dello Spirito, ma non le comprende, non può capire. Mentre l’uomo spirituale, anche se non può assolutamente essere capito, avendo in se stesso la ragione del suo operare (perché ce l’ha in Dio e Dio è dentro di noi), può capire l’uomo materiale. Il cielo non è lontano, Dio è “dentro”, il suo cielo è la nostra anima.

Colui che opera secondo lo Spirito è figlio dello Spirito, ha in se stesso la ragione; per cui, non può essere capito dal mondo, ma può capire il mondo. Abbiamo una differenza forte tra il mondo naturale e il mondo spirituale. Il mondo spirituale comprende il mondo naturale, il mondo naturale sente il mondo spirituale, ma non lo può comprendere, perché sente il vento, ma non lo può capire. Ecco perché Gesù paragona l’opera dello Spirito ai figli dello Spirito, perché dice: non soltanto lo Spirito, ma anche tutti i nati da Dio operano nel mondo come il vento.

Dio opera nel mondo, per cui tu senti il soffio, senti parlare di Dio, senti il problema di Dio, senti l’esigenza, l’insoddisfazione, ma senti anche il senso del mistero in cui ti trovi, la relatività che provi nel tuo vivere: tutto questo è il soffio del vento di Dio, è il bisogno dell’Assoluto.

Giovanni: L’uomo materiale realizza qualcosa anche senza la presenza di Dio.

Luigi: Tutte queste realizzazioni, l’abbiamo letto questa mattina nel Vangelo di San Giovanni: “Senza di Lui tutto quello ciò che facciamo è niente”; per cui tutto quello che noi crediamo di aver realizzato (magari il mondo ci batte le mani e dice: “Guarda che cose grandi che hai fatto!”), all’ultimo noi tocchiamo con mano che è niente, che abbiamo fatto niente: è Dio che ci fa toccare con mano che è niente. Magari abbiamo accumulato tanta ricchezza, ma all’ultimo Dio ci farà toccare con mano che sorgerà un certo problema, un certo bisogno che non potremo assolutamente risolvere con la ricchezza, anzi che forse la ricchezza ci è di ostacolo per poterlo risolvere. Allora cosa succede? Constatiamo di aver lavorato tutta la vita per niente: perché senza di Lui tutto ciò che noi facciamo diventa niente.

Eligio: Come può l’uomo materiale realizzare anche fuori di Dio?

Luigi: È necessario che l’uomo possa fare qualcosa, perché se non potesse fare niente, non potrebbe entrare in dialogo con Dio; perché noi diventiamo figli delle nostre opere. Quindi noi possiamo, ad un certo momento, essere presi per i capelli da Dio proprio in quanto abbiamo fatto qualche cosa e siamo diventati schiavi di quel qualche cosa, siamo diventati dipendenti, perché Dio incomincia a ragionare con noi su quello che abbiamo fatto. Se noi fossimo immobilizzati (e certamente nella vita eterna se noi non saremo secondo lo Spirito saremmo immobilizzati), non potremo fare assolutamente niente, non potremo comunicare assolutamente niente, perché per comunicare o per fare bisogna sempre passare attraverso Dio, perché Dio è il Fattore. Il Regno è di Dio.

Giovanni: L’uomo cerca di realizzare senza Dio.

Luigi: Certo, perché staccato da Dio l’uomo si mette al posto di Dio: abbiamo il peccato di autonomia. L’uomo autonomo crede di essere l’iniziatore di qualcosa, ma in fondo in fondo, è soltanto dominato da fattori esterni ambientali: crede di essere libero, ma è tutt’altro che libero, perché veramente libero è soltanto colui che conosce la Verità, che ha in sé Dio. L’uomo che tu dici, che fa anche senza Dio è un essere dominato da cose esterne che cerca la sua gloria, è dominato dalla gente che ha attorno. In Dio c’è l’uomo nuovo, un uomo stabile, un uomo spirituale, un uomo che ha in sé stesso la ragione di ciò che fa; mentre non in Dio c’è sempre l’uomo con una motivazione esterna, c’è l’uomo crede di essere lui a fare. Un giorno, quando capirà, quando vedrà la luce dirà: “Come sono stato stolto! Perché ero soltanto schiavo dell’ambiente, della mentalità del mondo; credevo di essere io, invece non ero io, ero condotto per il naso da tanti fattori che ad un certo momento sono crollati e mi hanno lasciato nel vuoto”. Non è l’uomo che fa, perché chi veramente regna è soltanto Dio, anche qui in terra. È sempre Dio che opera, per cui l’uomo che veramente fa è l’uomo che si lascia guidare da Dio e può dire: “Questa azione non sono io che l’ho fatta, ma è Dio che la fa; questo pensiero non sono io che l’ho pensato ma è Dio che me lo ha ispirato; questa parola non sono io che la dico, ma è Dio che la dice”. Qui abbiamo l’ordine, abbiamo l’armonia della creatura con Dio. Siccome è sempre Dio che opera, soltanto quando la creatura è in sintonia con Dio l’opera di Dio non è turbata. Quando invece la creatura non è in sintonia con Dio, Dio opera, ma opera rendendo schiava la creatura dei fattori esterni; in tal caso l’opera di Dio è per dimostrargli l’errore che compie facendo conto su altro e non su Dio.

Siccome soltanto presso Dio io sono libero, quando non opero secondo Dio, Dio mi fa toccare con mano la schiavitù. Siccome lontano da Dio non vedo la Verità: succede che lontano da Dio credo di essere io ad operare, perché per vedere Dio dovrei essere con Dio. Lontano da Dio ognuno di noi crede di essere lui ad operare. Non siamo noi ad operare, ma noi siamo operati da-; per cui agiamo per piacere, per la gloria, ma siamo operati, non operanti. Per essere operanti dovremmo avere in noi stessi la ragione, dovremmo avere Dio. Ma se dimentichiamo Dio e crediamo di essere noi a fare, non siamo più noi, ma sono gli elementi esterni che ci dominano e ci fanno correre e ci fanno agire in un certo modo; e tutto il nostro comportamento è soltanto determinato dall’ambiente in cui ci troviamo, condizionato da esso. Allora, siccome non abbiamo in noi la Verità, la ragione di quello che facciamo, arriva il giorno in cui lo scopriamo e diciamo: “Se avessi capito……, se avessi saputo….”. Questo vuol dire che agivamo senza sapere. Quando uno agisce senza sapere, agisce perché è dominato da impressioni, ma le impressioni sono esterne; è vero: queste impressioni creano in noi dei sentimenti, ed è logico, perché noi siamo un organismo risonante (anche se batto un colpo su una campana questa risuona), però arrivano dall’esterno e risuona il mio sentimento. In base a questo sentimento io agisco, magari agisco tutta la vita in base a quel colpo di campana che ho ricevuto; …ma l’ho ricevuto dall’esterno. Magari ricevo un colpo, per cui ho l’impressione che se mi esalto mi battono le mani, e per la gioia di essere grande, per tutta la vita io resto dominato da quel fatto; ma un giorno capirò che ero motivato da un fattore esterno e che ho sbagliato, perché per poter avere in noi stessi la ragione di ciò che si fa, bisogna conoscere Dio, bisogna avere Dio, bisogna essere nati di nuovo.

Nel mondo noi agiamo per istinto, per sentimento, per piacere; oppure per imitazione (perché tutti fanno così), per cui imitiamo la stella del cinema, o la tradizione. Lo Spirito non è tradizione, non è abitudine, non è sentimento, non è piacere, non è “così fan tutti”. Lo Spirito non è regola, lo Spirito è novità, quindi lo Spirito è verità, quindi ha in se stesso, come Dio ha in Se stesso, la ragione di tutto ciò che esiste. Tutto ciò che esiste è Dio che lo fa, quindi in Lui è la ragione di tutto. Questa è la ragione per cui noi siamo inquieti fintanto che non troviamo Dio: ci troviamo in mezzo a tutte ragioni che non capiamo. Siccome siamo fatti per conoscere Dio, abbiamo bisogno di trovare delle risposte ai nostri perché: perché si nasce, perché si soffre, perché si muore. Come nascono questi perché? Perché in noi c'è questo agganciamento con Dio, in noi c'è la presenza di Colui che ha in Sé la ragione di tutto, ma siamo di fronte alle cose che non hanno in sé questa ragione. Emerge così il bisogno di cercarla. Fintanto che non troviamo Dio, l’inquietudine ci sospinge; per cui tutte le cose diventano vocazione, tutte le cose ci chiamano a Dio. Ecco, se noi non ci preoccupiamo di cercare Dio prima di tutto, finiamo di sprecare la nostra vita, perché finiamo di correre dietro a tutte le cose che non hanno in se stesse la ragione; per cui amiamo una creatura, ma ad un certo momento quella creatura è una nube che sfuma, “io credevo che fosse ed invece non lo è”. Invece Dio è, non è una nube. Noi, tutti noi, possiamo dire che siamo delle nubi, oggi siamo e domani non siamo più. Tu fai conto su di una creature e quella sfuma, non c'è più; come mai? Fai conto sulla casa e quella non c'è più; come mai?

Le cose mutano. Ma perché? Perché tutte le cose ci chiamano, sono vocazione: è il vento che soffia, è il vento dello Spirito. Quindi il vento ci muove, così anche quelli nati dallo Spirito operano nel mondo per suscitare vocazione. il Signore stesso dice che il Figlio opera come opera il Padre: il Padre suscita vita, così anche il Figlio suscita vita; ma perché? Perché è il vento che soffia, e il vento che soffia scuote, muove, richiama a-.

In quanto il vento soffia per chi non capisce, però fa capire di non capire; far capire di non capire è suscitare il richiamo alla vita, la vocazione. Per cui i figli di Dio operano nel mondo suscitando vocazione, suscitando richiamo a Dio: il mondo non può capire, però capisce di non capire. Chi riceve il messaggio può dire: “è matto; tutti agiscono per star bene qui, l’altro invece agisce per non star bene, per cui è matto”; oppure può dire: “Se agisce così ci sarà un motivo. Come mai?”, e poco per volta è portato a cercare una ragione superiore.

La prima impressione che si ha entrando in una trappa è: “Questi sono matti”, perché c'è una differenza enorme tra il loro modo di vivere e il modo di vivere degli altri nel mondo; poi il secondo giorno dici: “No, i matti non sono loro; i matti siamo noi!”. Vedi? Ad un certo momento c'è il capovolgimento. La loro presenza cos’è? È il soffio dello Spirito, è lo Spirito che arriva, è un annuncio, è vento. Passa dietro a qualcuno e non capisce; se fa il superbo dice: “Sono matti”; se non è superbo, se è umile, va alla ricerca: “Come mai?”. Se va alla ricerca del “come mai?”, segue il richiamo dello Spirito. E questa è l’opera di tutti coloro che sono nati dallo Spirito. Per questo dico che man mano che lo Spirito soffia, facendo l’esempio dei vasi comunicanti, assorbe tutto a sé, anche tutto il mondo. Per cui tutto il mondo è destinato a diventare spirituale, perché Dio operando, spiritualizza tutto. Noi tendiamo ad avere tutto materiale, ma ad un certo momento il nostro io sparisce e tutta la nostra materialità sfuma. Il mondo spirituale è infinitamente superiore perché assorbe a sé. Il mondo spirituale giustifica il mondo materiale mentre il mondo materiale non può giustificare il mondo spirituale: il più comprende il meno, il meno non può comprendere il più. Per cui, sapendo che tutto viene spiritualizzato, noi dobbiamo prepararci a questa spiritualizzazione. E non dobbiamo aumentare il peso della materia, ma anzi dobbiamo cercare di alleggerire il peso della materia e di fare aumentare in noi il peso dello Spirito. Perché più aumenta in noi il peso dello Spirito e più noi ci prepariamo al futuro, perché il futuro certamente sarà questo: lo Spirito che regna in tutto.

Giovanni: Ci richiama alla figura biblica di Davide con la fionda contro Golia: la materia davanti allo Spirito è sconfitta.

Luigi: Anche tutto l’universo ha dei limiti; infatti nessun uomo arriverà mai nelle stelle (e questo è comprensibilissimo), però nelle stelle ci possiamo arrivare col pensiero. Di fronte a qualunque problema, se noi agiamo senza pensare, sbagliamo. Invece se operiamo con il pensiero, vediamo la soluzione. Evidentemente il pensiero è superiore; tutte le cose materiali ad un certo punto hanno i loro limiti, a causa dei quali noi non possiamo andare oltre: sia nell’infinitesimo, nel mondo piccolo, sia nel mondo vasto, ci sono dei limiti. Questo ci fa intendere che dobbiamo applicare il pensiero, che non possiamo più andare avanti materialmente, fisicamente. Le cose ci richiamano sempre allo Spirito, ci dicono: “Applica lo Spirito, fermati, non accumulare, non andare oltre nel mondo materiale”. Ecco perché ad un certo momento arrivano i muri. Per cui non andare oltre, opera con lo Spirito, perché tutte le cose diventano comprensibili solo con lo Spirito.

Ad un certo momento nel mondo noi dobbiamo fermarci con l’azione. Stiamo scoprendo che, a forza di agire, stiamo distruggendo il mondo. Se invece di agire, noi ci fermiamo e incominciamo a valorizzare lo Spirito, il pensiero ci accorgiamo che tutto il mondo viene rivalutato dallo Spirito: lo Spirito salva il mondo, mentre invece la nostra azione distrugge il mondo. Tutti questi sono segni per richiamarci, per metterci in evidenza che il nostro fine è sempre spirituale; per cui noi, trascurando il pensiero, roviniamo; quando facciamo una cosa senza pensare, roviniamo. Noi nel mondo, senza tenere presente Dio, siamo sempre degli esseri che agiscono senza pensare; per cui roviniamo, cioè mettiamo le mani in un motore che non conosciamo, e più lo tocchiamo, più lo roviniamo.

Allora non mettere le mani, pensa: quando avrai capito come Dio opera, come Dio fa muovere il motore, allora metterai le mani, ma allora agirai secondo lo Spirito. Allora avremo un figlio di Dio che agisce secondo lo Spirito, secondo l’Autore e quindi che non rovina.

Giovanni: Dio fa conoscere la macchina; prima di aggiustarla la fa già conoscere all’uomo internamente.

Luigi: Certo, perché è Lui che fa: per cui tutto ci richiama a ricercare presso Dio il significato e la ragione del vivere, dell’esistere; quindi non mettere le tue mani, non voler agire, fare, senza prima aver interrogato Dio, senza aver prima conosciuto Dio, lo Spirito di Dio, senza essere prima nato da Dio, perché altrimenti tutto quello che fai, tutto quello che agisci, rovina, guasta. Noi, quando agiamo senza Dio, mentre crediamo di fare bene, roviniamo, e alla fine della vita diciamo: “ho sbagliato tutto!”. E questo perché non abbiamo interrogato Dio, perché non abbiamo cercato presso Dio. Mentre il Signore dice: “Non preoccuparti del mangiare, nemmeno del vestire, cerca prima di tutto il Regno di Dio, allora poi dopo vedrai! Non preoccuparti nemmeno di togliere la pagliuzza che vedi nell’occhio del fratello…”. Molte volte noi ci confondiamo e crediamo che quello sia amore al prossimo, quello di cambiare gli altri, modificare gli altri, fare apostolato agli altri, e il Signore ci dice: “Non togliere! Anzi guarda la trave che è nel tuo occhio…”. Quindi dobbiamo avere sempre la preoccupazione di purificare il nostro occhio per vedere bene; perché un cieco che guida un altro cieco, cadono tutti e due in una fossa.

Cerca prima di tutto la luce, e la luce è Dio; conoscendo Dio potrai anche guidare l’altro se è cieco. Ma allora sarà Dio, non più tu. Ecco l’essenza sta in questo bisogno di smettere un poco di muoverci nel mondo, di agire, di voler fare e di fermarci, per ingrandire il nostro Spirito, la nostra attività spirituale, perché è attraverso questa che si salva il mondo.

Giovanni: Facciamo un esempio: noi due facciamo entrambi un’opera di carità. Tu la fai perché è Dio che ti propone quest’opera, io la faccio per estetica. L’opera è buona anche per me, se l’ho compiuta per la figura.

Luigi: Teniamo presente che Gesù dice che quando saremo giudicati, saremo giudicati in quanto: “Ero malato, povero, ecc.” e noi non lo sapevamo, però l’abbiamo aiutato senza saperlo. In tutto quello che facciamo superando il pensiero del nostro io, implicitamente c'è già il rispetto di Dio, c'è l’atto di fede, per cui aiuto un mio fratello in quanto c'è il rispetto dell’esistente, il rispetto dell’altro. Mentre invece quando si dimentica Dio, quando si dimentica veramente Dio, si tende a fare del nostro io il centro; c'è l’egoismo, c'è l’orgoglio e il nostro io diventa un accentratore. Allora c'è chi fa l’opera buona, ma la fa per la figura; qui, il giudizio di Dio, a chi gli dirà: “Eri sempre con noi, ti ascoltavamo nelle nostre piazze, mangiavamo con Te”, risponderà: “Via da me ipocriti, Io non vi ho mai conosciuto!”.

Invece tutte le volte che noi superiamo il nostro io, il nostro interesse, le nostre ambizioni, la nostra figura per aiutare il fratello, entriamo nell’amore, in quanto l’amore è il superamento del nostro io. Amare vuol dire pensare all’altro; amando si entra già in una dimensione che ci porta nell’ordine, perché è superamento dell’io.

Tutto quello che invece noi facciamo nel pensiero dell’io va verso la costruzione della città di Satana, perché al centro della città di Satana c'è il pensiero dell’io, l’amore di noi stessi.

Al centro della città di Dio c'è il Pensiero di Dio: tutto quello che noi facciamo nel superamento dell’io ci fa entrare. Quando Gesù dice: “Venite a Me, voi tutti benedetti dal Padre mio perché ero povero, ero malato, ecc.”, vuol dire che tutto quello che noi facciamo nel superamento del pensiero del nostro io ci apre le porte alla simpatia col Cristo. Per cui Cristo non ci è più di ostacolo, ma diventa un amico, diventa Uno che ci accoglie e ci fa andare avanti. Quindi non abbiamo più il problema della ricerca di Dio, anzi la ricerca di Dio è quella cosa che completa, perché si dirà: “io agivo già sempre così”. Troviamo pertanto gli argomenti del Cristo come il completamento di quello che noi già facevamo in abbozzo.

Cina: Senza di Lui tutto quello che facciamo è niente. Questo, se ci pensiamo, ci obbliga a cambiare rotta, se non vogliamo che tutta la vita sia niente.

Eligio: L’inganno è che noi non abbiamo questa percezione così esatta quando crediamo. Noi pensiamo che sia qualche cosa che valga quello che facciamo e di li viene l’inganno.

Luigi: Tenendo presente quello che dice Cina, lontano da Dio, dobbiamo ricordarci che siamo lontani dalla Verità; e lontani dalla Verità succede questo: confondiamo, per cui scambiamo, per cui siamo convinti di fare il bene e facciamo male, siamo convinti di fare una cosa molto importante e invece è una cosa che vale niente. Perché per vedere le cose veramente nel loro giusto valore, noi dobbiamo essere con Dio, dobbiamo essere nella luce. Perché soltanto nella luce noi possiamo dire: “Questo vale e questo non vale”. Invece più siamo lontani da Dio e più le cose si capovolgono. Infatti la Bibbia stessa dice: “C'è una strada agli occhi degli uomini che sembra giusta e che invece porta alla rovina”. Quindi il Principio è sempre Dio: cerca prima di tutto Dio, perché se tu ti fermi soltanto al “mi sembra buono”, siccome non sei con Dio non conosci la Verità di Dio, e quel “mi sembra…” ti porta molto lontano.

Perché noi ci lasciamo guidare dal sentimento, dalle impressioni: e questo è esterno. Le impressioni, i sentimenti che arrivano a noi (siccome noi siamo una campana risonante), ci fanno risonare in quel modo, per cui crediamo che siano la verità. Siccome noi non abbiamo presente la luce di Dio, i valori sono capovolti o per lo meno sono confusi e allora siamo nell’incertezza o prendiamo degli abbagli. Per cui arriva un certo momento in cui diciamo: “Ah! Se avessi saputo! Ah! Se avessi conosciuto!”. E se diciamo: “Ah! Se avessi conosciuto!”, vuol dire che abbiamo toccato con mano che seguendo quella strada abbiamo sbagliato. E quante volte abbiamo dovuto constatare: “Credevamo di far bene con quella persona e invece…; se avessimo saputo!”. Come mai? Perché manchiamo, difettiamo della luce di Dio, difettiamo della conoscenza di Dio; allora ci lasciamo guidare anche da sentimenti buoni! La conclusione sta qui: noi siamo creati per essere guidati dallo Spirito. Ma lo Spirito di Dio non è sentimento, non è il vento che soffia, “Faccio così perché sono ispirato!”. No! Lo Spirito di Dio porta in Se stesso la Luce. “Dio è Luce e chi è con Dio non cammina nelle tenebre”. Cosa vuole dire? Vuol dire che chi cammina con Dio ha in se stesso la ragione di ciò che fa. “Dio è questo allora io faccio questo!”: chi può dire così è uno motivato da Dio.

Giovanni: Ecco perché il valore di Maria è il silenzio…

Luigi: Ah, è logico, perché chi parla è solo Dio. La creatura perfetta lascia solo parlare Dio.

Giovanni: Maria ha generato Cristo attraverso il silenzio.

Luigi: Certo.

Emma: Anche se un’azione mi pare buona, prima di agire devo riflettere.

Luigi: Dobbiamo sempre portare tutte le cose alla luce di Dio; per questo dico che è molto importante tenere sempre presente le parole del Vangelo. E quando non vediamo secondo il vangelo dobbiamo stare fermi: “Alt! Nel dubbio non muoverti”.

Quando ti trovi di fronte ad un bivio, non andare a casaccio, perché certamente la strada sarà sbagliata, perché Dio è luce; quindi cerca presso Dio. E se non capisci, vuol dire che Dio ti invita a fermarsi, a far silenzio fintanto che la luce non ti investe dall’alto: “Fermati in Gerusalemme fintanto che tu non sia investito dall’alto”, fintanto che non arrivi lo Spirito.

Eligio: Chi ci garantisce che l’interpretazione che noi diamo al Vangelo sia giusta; come facciamo a cogliere la Verità?

Luigi: Teniamo presente che non siamo noi, ma che è lo Spirito che guida. Adesso mi collego a quella meditazione che abbiamo fatto la scorsa settimana: noi ci troviamo in mezzo a proposte di Dio, è Dio che propone, sempre! Noi siamo sempre e solo in difetto. Quindi la luce non siamo noi che la facciamo; non possiamo dire: “io sono la luce!”.

Eligio: L’argomento della settimana scorsa era la proposta. Io invece di accettare la proposta, sono passato all’azione, per cui ho fatto un sacco di pasticci!

Luigi: E sì, perché l’iniziatore è sempre di Dio! Noi siamo allievi, uno solo è il Maestro! L’Iniziatore è Dio, noi viviamo immersi nelle proposte di Dio, è Dio che parla a noi! Quindi è Lui che fa luce, noi siamo soltanto in difetto in quanto non stiamo in ascolto.

Eligio: Se avessi tenuto presente questa parola, avrei fatto meno asinate!

Luigi: L’essenza del nostro lavoro è quella di raccogliere, è questo ritornare sempre, sempre allo Spirito. Per cui, magari noi riceviamo una luce, poi però ci lasciamo guidare dall’impressione, e perdiamo l’aggancio con lo Spirito. Quindi bisogna sempre fare la fatica di ritornare, di ricollegarci. Per cui nel nostro vivere, magari ci accorgiamo che in un primo tempo siamo in sintonia con Dio (perché la luce è Dio), poi per qualche nostro pensiero sbagliato, o per qualche parola detta senza pensare, ecco che la sintonia non c'è più, e ci accorgiamo che siamo fratturati, che non sentiamo più la sua presenza. È l’episodio di Giuseppe e di Maria che vanno avanti per una giornata e poi si accorgono che Gesù non è con loro. E quante volte noi nella giornata andiamo avanti e poi ci accorgiamo che Gesù non è con noi. Noi crediamo che Lui sia nella nostra comitiva, nella nostra carovana, che sia nel nostro gruppo, nella nostra associazione e poi scopriamo che Lui non è con noi. La prospettiva migliore è sempre il ritorno: rimettiti in silenzio, raccogliti, ristabilisci la sintonia, chiedi perdono in modo che quando ritorni in sintonia con Dio, ti accorgi che lo Spirito è di nuovo presente, questa luce c'è. Altrimenti uno fa tre o quattro passi e poi ritorna.

L’iniziatore di tutto è sempre Dio. L’importante è che noi ci manteniamo in ascolto, ci manteniamo in sintonia con questo Spirito che opera in tutto. L’iniziatore è sempre Lui, noi dobbiamo sempre restare in questo quadro; quindi tutte le cose dobbiamo sempre riceverle da Lui, perché è Lui che parla. Non sono io che parlo, non è la creatura che parla, è Lui che parla, quindi tutto il nostro difetto è non ascoltare, è interrompere, andare per i fatti nostri o ascoltare altri e dimenticare il Principio. Ecco, “chi con me raccoglie”, c'è sempre questo raccoglierci; il Verbo principale della vita è raccogliere; raccogliere con Lui, riferire sempre a Lui.

Eligio: Nel concetto di proposta di Dio, da parte di Dio c'è attività.

Luigi: Sì, però più uno e in sintonia con Dio, più la sua risposta è luminosa, è confacente alla proposta. Tu ora parli di musica, ma consideriamo semplicemente il parlare: parlare è anche musica, sotto un certo aspetto; più un’anima è in sintonia con Dio e più la parola diventa secondo Dio; mentre più dimentichiamo Dio e più il nostro parlare diventa secondo il mondo, diciamo delle cavolate, perché in noi risuona il mondo.

Eligio: Si, si tratta di una distonia, anzi di una psicodistonia.

Emma: Ho sentito la cassetta della settimana scorsa dove si diceva che Dio dice una parola sola: “Io sono”.

Luigi: Certo, è il suo silenzio. Noi crediamo che il suo silenzio sia un’assenza, mentre il suo silenzio è una presenza, perché Lui dice: “Io sono”. Generalmente, noi siamo abituati a considerare una presenze quando fa rumore, per cui se una persona parla diciamo che è presente, se sta in silenzio crediamo che sia assente: è un errore.

Il silenzio è presenza, è manifestazione di presenza; anzi, Dio, il vero rivelatore di presenza è il massimo essere silenzioso. Guarda che silenzio fa Dio: lascia parlare tutti e sembra che Lui non parli. Eppure, cosa succede? Succede che nell’arco di cinquanta, sessant’anni, attraverso il suo silenzio ci conduce alla sua presenza, e ci troviamo tutti davanti a Lui. Tutti gli altri parlano forte, dicono grandi paroloni, si dicono parole difficili come stasera, ma tutto scade e Lui fa silenzio, non dice niente. Però Lui certamente, nello spazio di pochi anni, ci conduce alla sua presenza, tutti davanti a Lui, da una parte o dall’altra, ma tutti davanti a Lui, e tutto il resto scade. Vai a parlare ad un ammalato in agonia dei problemi di politica…; i paroloni nel mondo, cosa servono? Niente! Il problema unico è uno solo. Cosa succede nell’animo dell’uomo, quando ad un certo momento si ritrova bloccato? É il silenzio di Dio. Per questo dico che il silenzio di Dio è presenza. Lui con una parola sola convoca tutti alla sua presenza. Saremo convocati tutti alla sua presenza da questa sua parola: “io sono”.

Eligio: Sì, il suo è un silenzio parlante.

Luigi: Sì, il Verbo che si incarna, cioè che si abbassa a livello nostro, ci prende; è Lui che ci manda a dire: “Non fare delle cavolate!”; ma questa è opera angelica, è attraverso i suoi angeli che ci arriva l’ammonimento. Però, quando entriamo nel silenzio, Lui ha una parola sola, ed è proprio attraverso questa parola, attraverso il silenzio che Lui rivela la sua Presenza. Noi captiamo la sua presenza (siccome Lui è presente in tutto), ma quando è che noi arriveremo a scoprire la sua presenza in noi? Proprio quando entriamo in questo suo silenzio in cui Lui dice l’unica parola, che è rivelatrice di presenza.

Però, quando siamo pieni di rumore, Lui per farsi sentire, deve entrare in questo nostro rumore: ecco l’incarnazione! Si abbassa a livello del corporeo perché siamo pieni di rumore, abbiamo soltanto orecchi per il rumore e fuggiamo dal silenzio. Allora possiamo essere salvati soltanto per mezzo del rumore. Ma questo suo rumore ci deve portare al silenzio. Se non ci raccoglie nel silenzio, non abbiamo capito la lezione del suo abbassamento, della sua incarnazione; per cui viene frustrata anche l’incarnazione.

Cina: Dio ci guida in tutto.

Luigi: Sì, dovremmo sempre lasciarci guidare in tutto: “Faccio questo perché Dio è questo. Perché Dio vuole questo!”; allora c'è l’onda dello Spirito che conduce e mantiene liberi. Per cui uno, anche nei riguardi del prossimo si mantiene libero, perché opera secondo Dio. Dobbiamo sempre domandarci che cos’è che ci muove, perché se si è figli di Dio si è mossi da Dio. Anche semplicemente nel pensare, non soltanto nell’agire, anche quando si pensa; alla domanda: “Perché pensi questo?”, dobbiamo poter rispondere: “Perché Dio vuole così allora penso a questo”. Potremmo pensare a tante cose, possiamo pensare alla politica, possiamo pensare al gioco, possiamo pensare al cinema e possiamo pensare agli argomenti che ci propone nel vangelo il Signore.

Perché ti fermi a pensare a questo?”, “Perché Dio mi ha detto questo, perché Dio vuole così”. Quindi non soltanto nell’agire materiale: “Perché agisci?”, anche quando parli: “Perché dici questo?”.

Se noi tenessimo presente lo Spirito di Dio, e se dicessimo soltanto le parole che ci suggerisce Dio, quante cose eviteremmo di dire, …non so se mi spiego! Anche nel parlare noi dovremmo sempre soltanto lasciarci guidare dallo Spirito di Dio; …quanto silenzio noi avremmo nella nostra vita. Infatti noi abbiamo poco silenzio dentro di noi perché diciamo tante parole; sono le parole che abbiamo detto o che diciamo che risuonano. Ora, tutte le parole che noi diciamo autonomamente, cioè senza tenere presente Dio (siccome diventiamo figli delle nostre parole), poi dopo risuonano dentro e ci impediscono il silenzio, l’ascolto di Dio.

Eligio: Volevo chiedere questo: “il vento soffia dove vuole e tu ne senti la voce”; sentiamo sempre la voce dello Spirito?

Luigi: Sì, noi sentiamo la voce; non la sentiamo attivamente in quanto la vogliamo sentire, ma la sentiamo in quanto Dio opera in tutto. Tutto è sempre parola di Dio, tutto è proposta di Dio. Noi non cogliamo la voce di Dio, però il rumore della voce di Dio giunge a noi; il problema è che noi non attribuiamo a Dio quello che arriva. Quando tu dimentichi che tutto è proposta di Dio, non è che le proposte di Dio non ti arrivino più; senti che il rumore arriva, però non lo riferisci a Dio, quindi non hai presente Dio. Non avendo presente Dio, non ti ricordi che quella è proposta di Dio; non considerandola proposta di Dio, cosa succede? Che la attribuisci all’uomo, agli eventi, alla natura, al caso, e prendi tutte le decisioni sbagliate. Il neutro non esiste, noi viviamo, siamo nel Regno di Dio come i pesci sono tutti immersi nell’acqua; tutto è parola di Dio, noi siamo immersi nella parola di Dio. Però per accorgercene dobbiamo tenere presente Dio. Se invece non teniamo presente Dio, immediatamente le cose si confondono, perché lontano da Dio sbagliamo. E allora succede che attribuiamo l’avvenimento, anziché a Dio, alla creatura; e attribuendolo alla creatura, la nostra reazione, immediatamente, è sbagliata; la risposta è risposta non più a Dio, ma alla creatura, o al caso, o alla fortuna o a qualcos’altro.

Eligio: Ma dicendo che il vento soffia dove vuole sembra che dica che qualcuno è meno pesce di altri.

Luigi: Il vento soffia dove vuole perché l’iniziativa è di Dio.

Eligio: Ma Dio soffia dovunque, perché dice che soffia dove vuole?

Luigi: Sì, ma non nel senso limitativo come intendiamo noi, ma perché ha solo in Se stesso la ragione. Non va inteso così: Dio fa quello che vuole, il vento soffia dove vuole Dio. Essendo pura intelligenza Dio non agisce a capriccio, ma ha in Se stesso la ragione del Suo operare. Il capriccio è nell’essere non intelligente. Infatti all’estremo della materia, degli atomi, abbiamo l’imponderabilità, la non casualità, abbiamo il principio di indeterminazione. Mentre presso Dio tutto è frutto di intelligenza. Ora l’intelligenza è sempre motivata, ha in se stessa la ragione di tutto; però, noi non capendo il motivo, per noi resta il “dove vuole”. Per capire il motivo noi dobbiamo essere con Dio. In Dio certamente capiremo; un giorno diremo: “Guarda quella cosa che mi era capitata, era per questo motivo!”, vedremo il mosaico con tutti i suoi tasselli al loro posto.

Eligio: Allora il “dove” è relativo alla nostra instabilità.

Luigi: In questo senso sì. Perché Gesù dice: “I figli di Dio ascoltano sempre la parola di Dio, mentre i figli di questo mondo no”; cosa vuol dire? Che Dio parla solo ai suoi figli e agli altri no? No! Vuol dire che Dio parla a tutti in tutto, ma solo coloro che sono le pecore di Dio, ascoltano la voce di Dio in tutto.

Eligio: Allora Lui soffia là dove c'è la disponibilità.

Luigi: Dio soffia anche là dove c'è il nemico, soffia anche nell’inferno, perché Dio opera in tutto. “Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità”, quindi Dio opera su tutti, perché Dio è cattolicità, è universalità. Quindi Dio fa sentire la sua voce su tutti, però solo coloro che sono in sintonia con Dio ascoltano le sue parole; coloro che non sono in sintonia con Dio non ascoltano le sue parole, ma ascoltano le parole di creature, che però è sempre parola di Dio. Per cui, in un primo tempo diciamo: “io credevo che fosse l’uomo”, con la Verità diremo: “Ah, non era l’uomo! Se avessi saputo che era Dio che parlava con me…!”. Questo rivela che non eravamo in sintonia con Dio, per cui attribuivamo ad uno e all’altro senza sapere che era Dio a parlare. Per cui si può non ascoltare la parola di Dio, però la parola di Dio c'è. E se attribuiamo alle creature, ci comportiamo in modo sbagliato, non secondo Dio e diamo una risposta sbagliata.

Emma: Bisogna unificare tutto in Dio.

Luigi: Sempre, bisogna cioè accogliere tutto da Dio e riferire tutto a Dio; per cui dobbiamo stare attenti che nulla parta da noi, ma da Dio, perché se parte da noi sbagliamo. Invece partendo da Dio, lo Spirito ci libera, ci mantiene nell’amore, nell’unione, non ci fa fare delle cavolate. Perché possiamo fare delle cose che poi ci pentiamo di aver fatto, e quando ce ne accorgiamo è troppo tardi; perché siamo ormai schiavi delle cose, e non possiamo più liberarcene. Ma la colpa è nostra. E alla domanda: “come mai ti sei chiuso in quella botte?”, risponderemo: “unicamente perché non ho tenuto presente Dio, credevo che…, e invece mi sono chiuso in una botte”.