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Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti; chi è della terra appartiene alla terra e parla della terra. Ma chi viene dal cielo è superiore a tutti.Gv 3 Vs 31 Primo tema.


Titolo: Cielo e terra.


Argomenti: Giovanni Battista predica un modo di essere, Gesù predica una verità - Il bidello e il maestro - Cristo è morto in croce affinché il nostro delitto non diventasse eterno – Tutti siamo colpevoli - Chi viene dal cielo è al di sopra di tutto – Gli errori di valutazione – San Tommaso – Il superamento dell’io – Il mondo trascendente – Spiritualmente Dio, praticamente la terra – Tutti muoiono per noi – La forza dell’abitudine – La vita essenziale è personale -


 

3/Aprile/1977


Luigi: C'è qualcosa da chiedere su questa parte?

Nino: Devo rileggerlo con calma….

Pinuccia: Riguardo a questa contestazione che era sorta tra i discepoli, in che cosa consisteva?

Luigi: Lo dice qui: “A proposito della purificazione …”.

Pinuccia: E cioè se valeva di più il battesimo di Giovanni Battista o quello di Gesù?

Luigi: Certo, ma battesimo inteso come purificazione.

Pinuccia: Come rito?

Luigi: No, purificazione. Già con la venuta di Giovanni Battista: “Fate penitenza perché il regno di Dio è vicino”, quindi abbiamo questa purificazione.

Purificazione vuol dire liberazione dell’uomo.

Quindi evidentemente qui si presentavano due vie:

·         la via di Giovanni Battista;

·         e la via di Gesù.

Qui si parla di battesimo, più avanti si dice che Gesù non battezzava. D’altronde il battesimo è simbolo di una purificazione di vita; la purificazione di vita in cosa consiste? Consiste proprio in quella giustizia a cui abbiamo accennato quando parlavamo di Giovanni Battista; la giustizia che si forma nella nostra vita quando mettiamo al centro dei nostri pensieri, delle nostre scelte, dei nostri interessi, mettiamo il Pensiero di Dio. Quindi quando spostiamo, ci convinciamo, ci decidiamo, altrimenti cadiamo sotto l’affermazione di Giovanni Battista: “Razza di vipere!”. Per cui accettiamo il battesimo come rito e non accettiamo il battesimo interiore. Ora, noi possiamo sottostare al battesimo – rito, cioè possiamo accettare una forma esterna di vita, che abbia l’abito della giustizia, e interiormente invece, essere dei sepolcri, interiormente avere invece al centro l’egoismo. Allora, fintanto che noi non ci convinciamo che dobbiamo spostare il centro dei nostri interessi, dal pensiero dell’io al Pensiero di Dio, non si compie questa purificazione. Ora, quindi evidentemente, cominciando Gesù la sua missione:

·         perché Gesù parla rivelando, facendo conoscere le cose del Regno di Dio;

·         Giovanni Battista invece parla invitando a compiere quella giustizia interiore per prepararci all’incontro con il Regno di Dio. Hai capito?

Pinuccia: Ma tu dici che Gesù non battezzava, ma qui c'è scritto che Gesù battezzava.

Luigi: Se tu leggi al capitolo IV trovi: “Benché Gesù non battezzasse ma i suoi discepoli”. Quindi come mai c'è questa contraddizione? Abbiamo già visto che le contraddizioni che ci sono nel Vangelo sono sempre sollecitazioni per passare al campo spirituale, per non farci fermare ai fatti apparenti, esterni, allora ci sollecitano.

Per cui noi se notiamo delle contraddizioni, queste ci impegnano ad approfondire l’argomento.

Quindi questo battesimo va approfondito: come Gesù battezzava, e Gesù non battezzava. Quindi la cosa va approfondita.

Noi vediamo che il battesimo l’abbiamo approfondito molte volte è un’immersione in, orientamento a.

Qui abbiamo Giovanni Battista che predicava, che annunciava una certa via per purificare la vita; e abbiamo Gesù, che anche Lui predicava una certa via per arrivare alla vita. Quindi agli occhi degli uomini c'erano due purificazioni. Qual è quella giusta? Ecco la contestazione. Ed è Gesù che presenta ai suoi discepoli questa contraddizione, che li porta in questa contestazione; perché di fronte a questa contraddizione il problema si purifica, viene chiaro, si evidenzia, fino a poter mettere a fuoco quello che è il vero problema.

Sintetizzando, Giovanni Battista predica un modo di essere, Gesù predica, rivela una verità: la differenza sta li.

Gesù predica il Regno di Dio, Giovanni Battista predica un modo di essere.

Abbiamo visto la funzione del bidello e del maestro; abbiamo in un’aula il maestro che insegna, e il bidello che invita a far attenzione al maestro. Di tanto in tanto abbiamo qualche allievo che si distrae e abbiamo il bidello che fa l’opera del richiamo.

C'è anche il maestro che svolge l’opera di conversione a sé, però è un’opera diversa dal bidello che invece predica un modo di essere: “Fate silenzio!”, quello è un modo di essere. Quando si parla della verità è rivelazione, è luce, ed è conoscenza. Quale vale? Questo o quell’altro?

Eligio: “… Nessuno accetta la sua testimonianza”, ecco, perché si dà per scontato che nessuno accetti la sua testimonianza?

Luigi: Già nel capitolo primo, viene detto questo: “Venne nella sua casa e i suoi non lo accolsero…”, “Era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di Lui ma il mondo non lo conobbe”; “A tutti quelli che lo ricevettero diede il potere di diventare figli di Dio”.

Eligio: Ma qui dice: “Nessuno”, quindi…

Luigi: Eh, ma vedi, tutti quanti noi dobbiamo convincerci che partecipiamo di quel “nessuno”, cioè tutti quanti portiamo il carico di un rifiuto, perché nessun uomo è senza peccato: “Se qualcuno dicesse che è senza peccato è menzognero”. Siccome abbiamo partecipato tutti alla morte del Cristo, se tutti siamo partecipi della morte del Cristo, è questo rifiuto che probabilmente poi ci inserisce la possibilità di “uno”. Ecco per cui tutti hanno rifiutato, quindi il rifiuto è per tutti, ma tutti siamo colpevoli di questa colpa; qualcuno poi rinsavisce vedendo le conseguenze del suo delitto.

Il delitto avviene per farci toccare con mano il male che portiamo dentro di noi, perché il male sta sempre nel dimenticare Dio, nel non tener conto di Dio; non tenendo conto di Dio noi già abbiamo fatto il male, anche se esteriormente siamo puri, siamo santi. Allora Dio si presenta a noi sotto qualche forma, sollecitandoci a rivelare quello che portiamo dentro; rivelando che noi lo uccidiamo.

Ma uccidendolo scopriamo quello che portiamo dentro di noi: la morte che portiamo dentro di noi; scoprendolo abbiamo la possibilità di rinsavire.

Perché ecco, il delitto non resta eterno: Cristo è morto in croce affinché il nostro delitto non diventasse eterno.

Allora, tutti quanti siamo nel delitto, quindi tutti abbiamo rifiutato: “La luce splende nelle tenebre ma le tenebre non l’hanno compresa”. Chiuso! Le tenebre non l’hanno compresa. Però c'è un’azione di recupero, incomincia un’azione di recupero in questo rifiuto. Perché altrimenti uno potrebbe dire: “Ah ma io non sono tra coloro che lo hanno rifiutato …”. Siccome qui dice: “Qualcuno ha rifiutato, ma non tutti”, uno potrebbe dire: “Io non sono fra coloro che lo hanno rifiutato”, ci mettiamo da parte, e proprio dicendo quel “Io non sono tra coloro che lo hanno rifiutato …”, ci mettiamo fuori. Invece la Parola di Dio dice: “No, tutti! Tutti hanno rifiutato… “, quindi anche tu; quindi anch’io, quindi tutti quanti hanno rifiutato, quindi tutti sono colpevoli. Allora: “Uomo non vantarti se un giorno ti apri alla luce perché tutto è opera della misericordia di Dio”. Infatti Dio ha incluso tutti, i vicini e i lontani sotto la stessa colpa e sotto la stessa misericordia, usando misericordia per tutti, affinché nessuno avesse a vantarsi. Ecco, affinché nessuno abbia a vantarsi. Se io sono convinto della colpa che porto in me, anche se rinsavisco, non mi vanto più, perché capisco quanto è costato questo rinsavimento, non a me, ma a Dio. Per cui è stata tutta opera di Dio; quando uno è perdonato per amore, per misericordia dell’altro, non può più vantarsi; si vanta in quanto ritiene di essere diverso dagli altri. Quando Dio, attraverso le sue opere ci convince che nessuno di noi è diverso dall’altro, per cui se c'è qualche diversità è tutta misericordia di Dio. Io penso che quella totalità di peccato, sia perché nessuno di noi abbia a ritenersi puro, non colpevole di questo, e quindi non abbia a vantarsene. Perché nel regno di Dio uno non può entrare se ha un minimo pensiero di vanto, di differenziazione dall’altro.

Eligio: L’importante è che queste parole non siano dette con durezza; mi sembra dura questa affermazione.

Luigi: Lo so però teniamo presente che tutto quello che è detto, è detto sempre in un’intenzione di misericordia, quindi è sempre detta per guarirci. Quindi anche quando il Signore dice: “Guai a voi” o ci destina all’inferno eppure è per salvarci. È una parola dura che Egli dice per curarci, per guarirci, perché Dio opera per salvare. Allora, in quanto Dio opera per salvare, tutte le cose che dice, anche quando dice a noi: “Razza di vipere”, lo dice per salvarci. Quindi è in un disegno d’amore che Egli ce lo dice, in un disegno di misericordia, non lo dice in un pensiero di odio o di separazione. Quindi in quanto lo dice, lo dice per salvare. Anche se sentissimo Dio che ci dice: “Tu sei destinato all’inferno” dobbiamo ritenere che questa parola Lui ce la dice per portarci in Paradiso. Non so se sei convinto.

Eligio: Si, preferirei non sentirla…

Luigi: Beh! Siamo d’accordo! Però tu capisci che il Signore ci conosce più di quanto ci conosciamo noi, Lui sa che soltanto se noi siamo scossi fino a quel punto: “Guarda che tu sei destinato all’inferno”, “Guarda che il tuo posto è li”, crea quello scuotimento tale per farci fare un passo e per liberarci. Però l’intenzione è sempre quella: un’intenzione d’amore. Perché Dio è carità e “Dio vuole che tutti si salvino” e in quanto Dio vuole che tutti si salvino, sarebbe un guaio grosso se, sapendo che Lui opera in un’intenzione d’amore, anche se Lui mi dicesse: “Sei destinato all’inferno” io me ne stessi seduto in poltrona, perché penso: “Tanto Dio opera in un’intenzione d’amore, quindi non mi impegno”.

Eligio: Resta per me un motivo di perplessità la preghiera di Gesù al Padre di perdonare coloro che lo mettono in croce. Siamo noi quelli che lo mettiamo in croce, ma Gesù adduce tra i motivi del perdono e invoca il Padre di non sapere quello che fanno. Resto sempre molto perplesso quando il fatto di un principio di condanna, come possa essere attribuita la responsabilità di coloro che mandano a morte Gesù, se non sono consapevoli di quello che fanno?

Luigi: Ma la responsabilità non sta nella non conoscenza, ma sta nel rifiutare la conoscenza..

Eligio: Ma il Vangelo dice: “Non sanno quello che fanno”…

Nino: La responsabilità sta nel fatto che non hanno cercato di capire. Il fatto che non hanno cercato di capire, non è la responsabilità del rifiuto assoluto che non ti dà più possibilità di recupero, che è poi il peccato contro lo Spirito Santo. Il periodo di ignoranza l’abbiamo tutti, l’abbiamo ancora adesso, che pur stiamo cercando di capire. Io penso di essere ancora tanto, tanto ignorante anche se confronto al passato vedo tanti miei errori; però ogni tanto mi accorgo dopo di essere ricaduto in uno di quegli errori e pian pianino lo scopro. Forse perché man mano che si progredisce si va affinando sempre più, si arriva a scoprire delle cose che ancora adesso mi trovo delle cose che fino ad un anno fa non mi dicevano niente, infatti io credevo di essere perfettamente nel giusto… e poi magari a distanza di un anno dico: “No, ma io qui non sono mica a posto…”.

Angelo: Ma il male che noi facciamo, non sappiamo a quali conseguenze ci porterà …

Nino: Non lo valutiamo…

Angelo: Qualsiasi cosa che noi facciamo ce ne accorgiamo dopo; tu puoi ammazzare, tu puoi fare qualsiasi cosa, ma in quel momento lì non pensi …

Nino: Ma anche senza arrivare ad ammazzare; il peccato dell’ammazzare è talmente evidente, è grossolano; ma arriviamo alla stessa cosa ...

Luigi: Ah, no, ma hai una ragione che ti giustifica.

Angelo: Ma nel momento che tu ammazzi, perché non c'è nessuno che ammazza tanto per ammazzare; è un esempio come prendere dei soldi in più, oppure non fare bene scuola, come nel mio caso, non fare bene il mio dovere, tutte queste cose, dalla più piccola alla più grande, quando fai qualcosa che non va, te ne rendi conto. Io non credo che ci sia uno che dica: “Io ammazzo per fare un dispetto”.

Luigi: Comunque c'è una motivazione che rende passabile per te, quell’atto di uccidere.

Nino: Ci sono delle volte, direi di più, che non hai nemmeno bisogno di giustificarti, perché sei talmente ancora lontano; poi man mano arrivi a dire: “Ma guarda un po’! Quella volta che mi sono comportato cosi era perché ero veramente poco attento…”, ecco la poca attenzione che non ho giudicato nemmeno male quel momento lì.

Luigi: Allora, perché tutto questo accade? Tutto questo accade perché noi non mettiamo prima di tutto la ricerca di Dio. Il tema di questa sera dovrebbe essere questo: “Chi viene dal cielo è al di sopra di tutto”. Noi siamo convinti che chi viene dal cielo è al di sopra di tutto? Per noi, nella nostra vita? Siamo convinti che il cielo per noi è la cosa più importante? Oppure è la terra la cosa più importante? Ogni giorno, quello che ci muove è il cielo? Perché se è più importante, deve essere anche il mio movente. Ora, noi ogni giorno siamo mossi dal cielo o siamo mossi dagli argomenti della terra? Come spendiamo le nostre giornate, perché come spendiamo la nostra giornata, spendiamo anche tutta la nostra vita. Quindi qual è il movente della nostra giornata? La terra o il cielo? Ora qui dice che il cielo è al di sopra di tutto, è più importante e che se noi mettiamo prima di tutto invece la terra, capovolgiamo i termini; ecco l’ingiustizia di fondo, ecco per cui restiamo nell’ignoranza. Perché in quanto si dice che chi viene dal cielo è al di sopra di tutto, vuol dire che nel mio cuore, nella mia vita, nel mio interesse, chi viene dal cielo, cioè chi mi parla delle cose del cielo, dovrebbe essere al di sopra di tutto; deve essere al centro dei miei interessi. Ora, come può accadere questa enormità di questo universo che è tutto ben fatto, questa enormità in cui ad un certo momento l’uomo sceglie quel che vale meno al posto di quello che vale di più? Cioè sceglie il valore della terra al posto del valore del cielo? Cosa succede, cosa è che controbilancia? È il pensiero del nostro io.

Eligio: Oppure è il non sapere quello che facciamo?

Luigi: Il pensiero del nostro io al centro ci porta poi a non sapere quello che facciamo; perché certamente se io scelgo la terra, non so quello che faccio, certamente! La responsabilità sta nel fatto che, (non nel fatto che faccio delle cose che non so, perché quello è scontato!) se io non scelgo il cielo, non metto Dio prima di tutto, certamente farò delle cose che non so; per cui nella nostra vita, quante volte noi puntiamo su un valore e poi ci accorgiamo di aver sbagliato tutto. Quante volte io ho sentito persone al tramonto della loro vita dire: “La mia vita è servita a niente; ho speso tutta la mia vita per niente”, quante volte si sente dire! Come mai? Perché hai scelto un valore sbagliato, e come mai hai scelto un valore sbagliato? Perché non hai cercato prima di tutto Dio; non hai messo Dio prima di tutto.

Nino: È un pensiero quasi universale quello….

Luigi: Certo; è ancora sempre l’opera di Dio che attraverso la nostra vita a poco per volta ci convince della nullità dei valori per i quali noi viviamo e lo fa per salvarci; per lo meno salva almeno l’anima. Perché quando uno all’ultimo dice: “Ho sbagliato tutto”, vuol dire che ha presente quello che vale di più.

Angelo: Certo…

Luigi: Altrimenti non potrebbe dirlo, perché la conoscenza è sempre un rapporto; se io dico: “Questo per cui io sono vissuto è zero, è niente” vuol dire che in questo momento qui io ho presente quello che è tutto, per cui avrei dovuto vivere per un valore maggiore.

Ecco la grazia di Dio che mi offre quello che vale più di tutto; lo capirò magari soltanto nell’agonia, ma mi offre qualcosa di più di tutto. San Tommaso stesso dopo aver scritto tutta la sua Somma, all’ultimo la considera “tutta paglia”, perché ha avuto l’intuizione di una luce maggiore, per cui ha capito che tutta la sua opera era paglia e avrebbe voluto distruggerla.

Angelo: Chi dice quello è già uno che è arrivato alla meta.

Nino: Però io volevo chiedere una cosa a proposito di quello. Noi quante volte la facciamo quella scelta..

Luigi: E poi ce la rimangiamo, praticamente …

Nino: Ce la rimangiamo direi il più delle volte …

Angelo: Inconsciamente…

Nino: Inconsciamente perché non siamo attenti; quel inconsciamente li noi lo diciamo quasi a toglierci ogni responsabilità, ma non ci toglie la colpa. Quell’uomo che sul punto di morire dice: “Ho sbagliato tutto”, non rimane…. Dio vede anche nel nostro futuro, anche se noi dovessimo morire o se noi dovessimo ancora vivere, vede anche gli errori che noi avremo ancora da compiere se vivessimo; penso che sia sempre grazia di Dio, ma che sia un po’ una conversione imperfetta, perché non ha più la possibilità di prova a posteriori.

Luigi: Però come dico, il Signore cerca di salvare l’anima, l’anima è un atto di adesione a quello che vale di più. Anche se non ha più la possibilità di fare delle scelte qui in terra, nella sua anima ci sono sempre il pensiero dell’io e il Pensiero di Dio. Quando io, come dico, anche se sono ormai morto a questa terra, porto con me, nella mia anima, il pensiero del mio io (e il pensiero del mio io me lo porto per l’eternità) e il pensiero del mio io si volta indietro, per cui se anche io penso a tutto quello che ho perso, anche se dico: “Quello valeva niente!”, nel pensiero del mio io, posso voltarmi indietro e magari maledire Dio che mi ha privato di tutte queste cose. Noi non è che automaticamente, in quanto diciamo, all’ultimo: “La mia vita è stata un niente”, ripeto, non è che automaticamente noi vediamo Dio, perché c'è il pensiero dell’io; noi possiamo anche maledire Dio perché mi ha annullato tutto quello per cui io vivevo.

Nino: Io guardo appunto di aderire a Dio, però non c'è la prova del nove…

Luigi: La prova del nove è il superamento dell’io; la prova del nove sta in questo: il superamento dell’io. Perché io posso non superare il mio io; il dilemma estremo è: o io o Dio.

Nino: Io questo voglio dire: che il mio io lo supero magari in questa azione, in quell’altra, ma poi c'è l’azione dove casco.

Luigi: Fintanto che sono in terra, fintanto che sono in terra…

Nino: Eppure la mia adesione è quella li; nel momento in cui me ne accorgo dico: “Ci sono di nuovo cascato!”; colpa mia di non attenzione, di non orientamento continuo. È una colpa che è anche legata alla mia debolezza, scarsa capacità di concentrazione. Non sempre sei cosi attento, ci sono delle cose che vengono e ci portano via, ci sono dei momenti che agisci di impeto. Rimane valido di fondo il desiderio di non comportarmi cosi e se mi comporto cosi è una cosa che mi fa soffrire. Se uno in punto di morire, fa il gran rifiuto del suo egoismo e aderisce a Dio, solo Dio potrà giudicare se poi quello li non sarebbe ricaduto non una ma mille volte e non sarebbe ritornato indietro…

Eligio: Ma io non credo, perché la morte sia una sanzione, e ad un certo momento Dio ci chiama ad un rendiconto finale in quanto noi saremo eternamente stabilizzati su quella scelta di valori che abbiamo maturato al momento di morire…

Luigi: Si, non faremo altre modifiche, non è che Dio ci sorprenda …

Eligio: Il senso della vita che qualcuno dà ai vent’anni, ai cinquanta, agli ottanta, ai cento anni serve per capire che Dio è l’unico vero valore da seguire, e arrivati a quel punto di comprensione, noi non andremo né più in su, né torneremo indietro… è difficile capire il senso della morte…

Luigi: Faccio un esempio: il professore esamina l’allievo all’esame e questo allievo da una risposta esatta alla prima domanda. Allora il professore pensa: “Ah, questo è uno in gamba!”. Allora approfondisce per cercare di spremerlo al massimo e dargli il massimo dei voti; ma man mano che approfondisce l’altro molla.

Ora, il Signore ci dà un certo capitale da spendere, per entrare al massimo nella sua conoscenza, nel suo amore; e ci mette tante prove. Naturalmente più noi rispondiamo positivamente e più penetriamo nella sua conoscenza. Ma occasionati, messi alla prova, cadiamo. È tutta l’opera di Dio per salvarci, perché è Dio che entra nella nostra vita ogni giorno attraverso ogni avvenimento.

E ogni avvenimento è un’occasione che Lui ci mette per spendere qualcosa di noi in un atto d’amore. E dove noi molliamo, cediamo, la prova fallisce.

L’orientamento di fondo c'è, il “diciotto”, il “sei” ce lo dà, però Dio ti dà la possibilità di ottenere il massimo dei voti. E per darti il massimo ti mette alla prova, ti mette in occasioni sempre più delicate, per vedere se spendi bene il capitale che Lui ti ha dato.

Dico: la prova assoluta è quella dell’io e all’ultimo noi restiamo (ed è l’ultima tentazione del Signore stesso), tra l’io e Dio; e noi prima del nostro io dobbiamo mettere il Pensiero di Dio, perché soltanto mettendo prima di tutto il Pensiero di Dio, noi entriamo nel Regno di Dio, diventiamo figli di Dio, siamo in Dio. Se invece noi mettessimo il Pensiero di Dio, ma in conseguenza del nostro io: qui abbiamo una dannazione eterna perché ci mettiamo nella impossibilità di conoscere Dio. Nel pensiero dell’io, noi non possiamo assolutamente conoscere Dio: ci rimane il dubbio eterno: “Sono io che penso Dio”.

Invece devo entrare in questo ordine: “Sono io pensato da Dio”, quindi è Dio che origina, che pensa a me.

Eligio: Risulta evidente dai due ladroni: uno è nel pensiero di sé, mentre l’altro è nel Pensiero di Dio: “Ricordati di me quando sarai in Paradiso”…

Luigi: Si, come anche la parabola dei due al Tempio: “Signore ti ringrazio perché sono giusto” mentre l’altro pregava: “Signore abbi pietà”; ecco, abbiamo uno che è dipendente da Dio.

L’importante è questo: Dio si manifesta; noi mettiamo al centro o il pensiero dell’io o il Pensiero di Dio. Poi Dio si manifesta e noi mettendo prima di tutto la conoscenza di Dio, Dio è un infinito che ci chiede di far entrare tutto.

È un cielo che ci chiede di espanderlo tanto fino ad includere tutta la nostra terra: far diventare tutta la nostra terra cielo…

Allora noi abbiamo il cielo e abbiamo la terra; siamo sulla terra e abbiamo il cielo che ci sovrasta.

Abbiamo detto diverse volte che il cielo rappresenta il nostro mondo superiore, e la terra il nostro mondo inferiore; andando più avanti ho detto che il mondo superiore a noi, è il mondo non esperimentabile da noi, che non possiamo sperimentare perché ci supera.

Il mondo inferiore a noi è il mondo esperimentabile da noi perché noi lo esperimentiamo; però succede questo: proprio perché noi lo esperimentiamo, tutto il mondo che dipende da noi, ha per centro il pensiero del nostro io, più diventa nostra vita, e più non fa altro che gonfiare il nostro io, appunto perché è sotto il nostro io.

Quindi più noi possediamo di questo mondo esperimentabile da noi, e più questo non fa altro che dire: “Tu sei importante; tu sei grande!”, perché esalta il nostro io, ha per centro il nostro io.

Quindi evidentemente la terra, il mondo esperimentabile da noi, il mondo che vediamo, che tocchiamo ogni giorno, questo non salva noi, anzi ci gonfia.

San Giovanni dice: “Tutto quello che è mondo è concupiscenza, è passione dei nostri sensi, del nostro pensiero, del nostro egoismo, della nostra ambizione”. Questo mondo certamente non ci salva. Il mondo superiore certamente non è sperimentabile da noi, però si fa sentire da noi. Per cui tutte le volte che noi abbiamo chiesto a Dio un segno, Dio si rifiuta di dare un segno perché Lui non si lascia sperimentare da noi perché è superiore. Se Lui si facesse sperimentare da noi non sarebbe superiore. È chiaro? Quindi Lui si rifiuta di dare i segni, però Lui dà i segni: tutto è segno di Dio, anche la nostra terra è segno di Dio. Però se noi prendiamo un segno, sottomettiamo il mondo non esperimentabile da noi al nostro io, non entriamo nel suo regno.

Nino: Lui dà dei segni a noi che noi desidereremmo chiedere, ma non oseremmo chiedere…

Luigi: Certo, ma l’iniziativa è sua, non deve essere nostra, perché quando l’iniziativa è nostra: “Signore dacci un segno!” nessun segno viene dato. Non si sottomette perché se si sottomettesse, ci creerebbe l’inferno…

Nino: Cioè noi anche quando facciamo una rinuncia a chiedere un segno, però è evidente che se lo avessimo ne saremmo felici perché è quello che desideriamo, però cerchiamo di riconoscere che non è giusto che noi lo chiediamo, il segno arriva …

Luigi: Certo, certamente, se noi mettiamo prima di tutto Dio, come dico: tutto l’universo è segno di Dio, quindi Lui ci ha creati, siamo tutti in un mondo di segni e ci dovremmo chiedere, proprio perché nella nostra vita c'è il cielo e c'è la terra, quanta significazione ci sia. Perché proprio nella nostra vita c'è un cielo e c'è una terra, come mai c'è un cielo e c'è una terra? Come mai? Ecco la significazione principale: un mondo superiore, un mondo che ci sovrasta e un mondo che dipende da noi. Però ho detto che il mondo che dipende da noi non ci salva, quello che ci salva è il mondo che ci obbliga a superare noi stessi, quindi il pensiero. Ecco perché il cielo è superiore a tutto, proprio perché dobbiamo metterlo al di sopra di tutto. Perché noi siamo salvati soltanto dal mondo superiore, mentre il mondo inferiore ci gonfia.

Ecco, allora, impegnandoci con il cielo, e dobbiamo sviluppare questo cielo, fino ad arrivare ad includere la nostra terra, e tutto il nostro mondo esperimentabile in cielo; cioè fino a vedere che tutto quello che credevamo fosse opera nostra, deve essere opera di Dio, perché tutto è opera di Dio. Allora questo mondo, questa terra che dipendeva da me, se io parto dal cielo, espando questo cielo perché: “È necessario che Lui cresca”, che il cielo cresca, e che la mia terra diminuisca, ma deve diminuire questa mia terra fino al punto tale da diventare cielo, da diventare tutto cielo. Effettivamente la nostra terra appartiene al cielo, però io scopro la mia terra su cui sto come corpo celeste, soltanto in quanto la proietto nel cielo; non in quanto proietto il cielo sulla terra. Allora quindi, soltanto in quanto parto dal cielo e cerco di vedere la mia terra in cielo, ad un certo momento scopro che anche la mia terra è un corpo celeste. Quindi cosa vuol dire questo? Che un giorno noi scopriamo, partendo da Dio, che anche tutto quello che dipende da noi, è tutto Dio che opera. Allora cosa succede qui? Questo è quanto Dio chiede a noi, se mettiamo prima di tutto Dio, ma Dio opera per portarci in cielo.

Quindi abbiamo tutta un’opera diciamo di sollecitazione da parte di Dio a fare questo; per cui anche se noi diciamo: “Io metto prima di tutto il cielo” però come io dico questo, Dio immediatamente muove degli argomenti intorno a me, per farmi correre in questa scelta, per farmi progredire, per farmi entrare, per spiritualizzare.

Soltanto che quando mi capita la sollecitazione, io mollo.

Allora succede che io spiritualmente eleggo Dio, e poi io praticamente eleggo la terra. Ecco allora si crea questa frattura in me, questa sofferenza, questo conflitto, questa infelicità. Perché l’infelicità è data da questo conflitto; la felicità sarebbe poter vivere per realizzare una vita secondo quello di cui noi siamo convinti.

Più noi riusciamo a vivere secondo quello di cui noi siamo convinti, e più si forma la gioia, la felicità; mentre invece fare delle cose di cui noi non siamo convinti idealmente, crea grande sofferenza, anche se fuori tutti ti battono le mani, non importa, perché la sofferenza è dentro di noi, in dialogo con Dio, attraverso tutte le cose.

L’importante è: “Che Lui cresca”, ecco, la testimonianza dell’uomo giusto, dell’uomo sulla terra, questa testimonianza: “È necessario che il cielo cresca”. Colui che viene dal cielo. Già il fatto stesso di dire: “Colui che viene dal cielo” ci fa subito immaginare che viene da altri cieli, da cieli spirituali perché dal centro della terra non viene nessuno. Quindi Colui che viene da questo cielo spirituale, che parla a noi di quel cielo spirituale, di quel mondo non sperimentabile. Colui che parla a me, quindi, questa rivelazione in questa conoscenza, che poco per volta io devo fare grandeggiare, fino ad occupare tutto il mio mondo.

Eligio: Scusa quando dici non esperimentabile da noi, intendi non esperimentabile dall’io.

Luigi: Certo, nel pensiero dell’io. Tutte quelle prove che diceva Nino, quelle prove a cui noi siamo giornalmente sollecitati, è Dio che entra in noi, è cielo che si propone a noi…

Nino: No, io dicevo che chi arriva all’ultimo momento a fare quella scelta li, a noi uomini, a me uomo, lascia il dubbio che se avesse vissuto ancora, come si sarebbe comportato?

Luigi: Io direi che il Signore in quanto ti porta all’ultimo atto, è la conclusione. Cioè è la conclusione di tutte le scelte che Lui già ci ha proposto, che noi abbiamo già fatto. Per cui se io vivessi fino a cento anni, ma anche se vivessi diecimila anni io non mi sposterei più di cosi, perché ormai ho fatto le scelte essenziali.

Pinuccia: Ma questo vale anche per i bambini, per i giovani ...

Luigi: Ma vedi, tutto questo è tutta scena per noi, (ad esempio i bambini che muoiono), perché è opera di Dio che opera per sollecitarci; perché Dio opera attraverso tante creature per dirci: “Guarda che la morte ti può sorprendere da un momento all’altro”. Non ce le presenta affinché noi abbiamo a giudicare il bambino o giudicare il vecchio che muore di disgrazia o che muore in un letto. No, ma affinché noi abbiamo a giudicare noi stessi, a sollecitarci nel cercare Dio. Il Signore ci dirà: “Guarda che io ho fatto morire prima del tempo quella creatura per te! Guarda che quel tale poteva essere ricchissimo ed io l’ho messo in miseria, l’ho fatto soffrire, per te! E tu non hai capito!”; non basta che noi diciamo: “Ah ma io credevo che tu l’avessi punito”. No! Tutte le cose avvengono non perché noi abbiamo a dire: “Quel tale, quel tal altro, chissà come sarà”; tutte le cose avvengono perché sono lezioni di Dio da assumere su di noi, perché come ho detto Dio ha dato i comandamenti, Dio ha dato la Legge, non perché noi avessimo ad applicarla ad altri, a giudicare, a condannare; ma perché avessimo a giudicare noi stessi, a misurare noi stessi. Questo rientra tutto nel disegno di Dio, perché Dio è Uno solo. Quindi quello che Lui ha detto nei comandamenti, lo dice ancora attraverso le opere che fa tutti i giorni, con tutti i quadri che Lui ci presenta, con tutta la società, con tutto il mondo, con tutti gli uomini, con tutte le diverse vicende, è sempre la stessa lezione che Lui ci dà, per convertire noi, per cambiare noi e se già ci ha cambiati, per sollecitarci, per ampliare questa spiritualità fino al massimo possibile. Perché Dio ci chiede il massimo, perché Lui vorrebbe che noi lo conoscessimo come Lui conosce noi, in modo da creare questa intima comunione eterna. Lui chiede a noi questo, e dà a noi la possibilità di arrivare a quello. Il difetto è sempre da parte nostra, per cui noi rispondiamo: Lui ci chiede il cento e noi rispondiamo uno, due, tre, cinquanta, ecc… Il seme che cresce produce al cinquanta, al venti, al trenta. Quindi non dobbiamo mai dire: “Chissà quello là come sarà andato a finire!”; no, cerca prima di tutto di capire la lezione che Dio vuol dare a te, in quel fatto. Noi non siamo mai nel giusto, siamo sempre in difetto rispetto a Dio, siamo tutti peccatori.

Angelo: È possibile credere in Dio e non voler bene a Dio?

Luigi: Ma vedi, è possibile, cioè noi ci illudiamo, possiamo farlo ma fintanto che quello avviene è perché c'è una scissione in quanto noi non capiamo cosa vuol dire credere, non ci rendiamo conto; perché il credere è già un atto d’amore, capisci? Il credere deve necessariamente sfociare in un amore; ad esempio se io credo ma non ho speranza di arrivare, anche solo come fine non esiste più. Perché il credere è già desiderio di arrivare a conoscere quindi è già un atto d’amore, un atto di adesione che tende a concludere tutto in amore, a diventare tutto carità, a diventare tutto amore, ad immergersi tutto li.

Angelo: Anche quello che dice alla fine della vita di aver sbagliato tutto ...

Luigi: È nel pensiero dell’io che lui dice questo; se fosse in Dio capirebbe che tutto è stato misericordia di Dio, anche tutti gli sbagli, anche tutti i mali che ha fatto. Perché Dio ha questa immensa possibilità, ed è la nostra speranza: di cambiare il male in bene. Per cui tutti i nostri mali, se Dio ci converte a Sé, diventano motivo di maggior unione. Il peccato perdonato, è motivo di maggior amore, quindi è un legame più stretto, avvince di più. Mentre invece se la colpa non ci porta a Dio, allora capisci che diventa motivo di distrazione. È una cosa personale, in quanto concludiamo in Dio, per cui non c'è nulla di cui dobbiamo lamentarci, non c'è da piangere per niente; anzi, dobbiamo dire: “Signore ti ringrazio, anche per tutti quei mali che mi hai lasciato commettere, perché tutto questo mi ha legato di più a te!”.

Angelo: Nella giornata non ho la percezione di fare la volontà di Dio o la mia…

Luigi: Se ho il Pensiero di Dio, il Pensiero di Dio prima di tutto mi illumina, poi mi rimprovera e poi mi fa correggere. L’importante è il Pensiero di Dio, è ricordarmi di Lui. Ora, l’ideale sarebbe essere sempre motivati da Lui, essere mossi da Lui. Noi dobbiamo essere attenti soprattutto là dove è più facile sbagliare: ora una delle cose con cui sbagliamo con più facilità è il parlare. Noi parliamo con una facilità enorme senza tener conto di Dio, non motivati da Dio…

Nino: Se noi siamo invece fossimo ispirati dall’amore di Dio, praticamente non esisterebbe più il peccato, scomparirebbe…

Luigi: Ah, è logico se noi siamo guidati da Dio non possiamo peccare; il peccato è stare lontani da Dio…

Nino: Noi certe volte siamo talmente piccoli che andiamo a vedere i peccati mentre il nostro è un peccato di meschinità…

Luigi: Certo, in quanto c'è stata una motivazione centrale egoistica…

Nino: Anche gli africani me lo hanno detto: “Vai in un posto in cui non c'è niente ma ti porti dietro tutto quello che hai dentro!”; l’unica cosa in cui mi sono trovato vantaggiato in missione è nella semplicità della vita: non avere la preoccupazione di guadagnarmi i soldi. Avendo avuto una certa libertà da qualcosa, essendo andato con l’idea di vedere, di arrivare a un pochino più di conoscenza, qualcosa mi ha aiutato.

Luigi: Il fatto è che noi siamo sempre condizionati dagli avvenimenti che ci capitano, per cui noi viviamo di abitudini: è lì la penitenza! Per cui noi facciamo la scelta e diciamo di essere convinti e poi, occasionato, salta fuori la mia abitudine, la mia parola facile, il mio scherzo, e tutto quello mi porta via, enormemente via. E quando cerco di recuperare di nuovo quella scelta là, mi trovo lontanissimo e dico: “Come mai la scelta che avevo fatto me la sento lontana, astratta?”. Ecco per cui Dio diventa cielo lontanissimo ed io sono qui nella mia meschinità perché la mia terra è formata da tutte quelle cose che hanno determinato il mio modo di vivere, che mi condizionano, che mi assoggettano. È vero che c'è tutto un mondo esperimentabile, quindi che dipende da me, ma come questo mondo qui lo faccio dipendere da me, quello mi incatena, non mi molla mica più. Per cui se non interviene il cielo a liberarmi, resto schiavo. È la piovra che ti afferra. Appena uno fa un cenno o altro, sei già immerso nell’altro e allora questo ti crea un gran distacco da Dio. Anche se lo hai scelto, lo senti che non fa più presa, lo senti lontano e ti domandi: “Come mai?” e qui è il lavoro di penitenza; è il recupero. San Paolo dice: “Recuperate il tempo”, recuperare tutto quello che abbiamo perso nel pensiero del nostro io, perché le nostre azioni noi non le perdiamo mai; le nostre azioni ci seguono e ci precedono e ci determinano.

Angelo: Magari ti perseguita il pensiero di una cosa che hai fatto cinquant’anni fa..

Luigi: Ah, non c'è niente che si perda, è solo in Dio che può essere trasformato; quello diventa tuo cielo; per cui tu vivi sotto quella volta, e l’altro cielo è sparito, è lontanissimo. Per cui noi senza accorgercene ci chiudiamo proprio come il baco da seta che si chiude nel bozzolo, e viviamo tutto in questo cielo qui.

Emma: Allora come dobbiamo vedere il nostro passato, come misericordia?

Luigi: Ma tutto viene recuperato in Dio. Bisogna vederlo con la luce di Dio, perché se noi mettiamo prima di tutto Dio, se noi cerchiamo prima di tutto Dio, allora possiamo dire: “Come Dio è stato buono, ad esempio, nel non farci morire immerso in quella palude! mi ha dato la possibilità di uscire, la possibilità di scoprire questo!”. Allora, sapendo però che nel pensiero del nostro io siamo immersi in una palude, adesso, avendo scoperto questo, facciamo ben attenzione a non fare più niente mossi dal pensiero dell’io o dal pensiero del mondo perché sappiamo quali conseguenze questo reca a noi. Ora, quando uno ha scoperto l’importanza di Dio, l’importanza di essere mosso da Dio, allora poi sto ben attento e dico: “Potrei dire questa parolina qui, ma non la dico mica più, anche se questa mi mette in vetrina, fa ridere l’altro, ma non la dico più perché so poi quali conseguenze ne derivano…”, ha esperimentato, lo sa, ecco che ha la possibilità di non rimanere intrappolato dalle sue stesse parole.

Emma: Quindi intenderlo cosi come misericordia di Dio…

Luigi: Tutto! Comunque il mio pensiero era quello di parlare del cielo e della terra e il pensiero centrale è stato sviluppato.

Angelo: Non potremmo trovarci a leggere insieme la Passione visto che siamo nella settimana santa?

Luigi: Si quello è un rafforzamento ma può anche essere un indebolimento perché uno può pensare: “Non mi impegno tanto vado poi al gruppo…”. Guarda che la vita essenziale è personale e se non c'è questo tu puoi fare tutte le preghiere di questo mondo, in gruppi e non gruppi, ma se noi hai questa ricerca intima personale non puoi iniziare il cammino.

Nino: Adesso abbiamo acquisito un concetto diverso di preghiera: la preghiera è cercare di capire Dio.


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Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti; chi è della terra appartiene alla terra e parla della terra. Ma chi viene dal cielo è superiore a tutti.Gv 3 Vs 31 Secondo tema.


Titolo: Appartenere alla terra.


Argomenti: Il cristianesimo e il senso della vita - È Dio stesso che si fa conoscere – La sensibilità alla Verità – L’ascolto del Maestro – Permanere nell’ascolto – Le distrazioni – Menzogna e verità – La menzogna è in noi – La vanità di tutto – La corrente che ci spinge in cielo – La Verità è Persona – La persona ha in sé la regione di sè – Nascere dal cielo – Essere/appartenere/parlare – Il motivo della vita – Trasformare la terra in cielo – Sottometterci a Dio, non viceversa – Il mondo invisibile – La spiritualizzazione dell’uomo – La fede fuori dal cristianesimo -


17/Aprile/1977


 

Introduzione:

Eligio: “Perché Dio non gli dà lo spirito con misura” che cosa può significare? Che sovrabbonda?

Luigi: Si, perché Gesù dice: “Io sono venuto perché abbiano la vita e la vita in sovrabbondanza”, per cui lo spirito non è soltanto limitato a qualche cosa, lo spirito sovrabbonda quando arriva.

Questa sera dovremmo fermarci su questo pensiero: “Chi è della terra appartiene alla terra e parla della terra. Ma chi viene dal cielo è superiore a tutti”.

Ho letto in questi giorni un articolo su Civiltà Cattolica che mi sembra che fa bene di sfondo a questa meditazione, a questo argomento.

Se Pinuccia può leggercelo, forse è un po’ lungo, ma piuttosto ci fermiamo a metà. Comincia pure….

Precede la lettura di un articolo su “Civiltà Cattolica”:

Titolo: il cristianesimo e il senso della vita.

Alcuni non si sono mai posti con un minimo di attenzione e di serietà il problema religioso; sia perché immersi nella vita non hanno mai avuto il tempo e l’agio di riflettere su di esso, sia perché nessun avvenimento della vita li ha posti dinanzi a tali problemi; sia perché nessuno è mai riuscito a porlo alla loro coscienza.

Si tratta di persone che vivono perennemente al di fuori di se stesse, in preda al ritmo implacabile e frenetico della vita moderna, ma in fondo contente che tale ritmo non le obblighi ad entrare in se stesse, a trovarsi sole con la propria coscienza.

Oppure si tratta di persone spiritualmente vuote e quindi bisognose di riempire la propria vita di cose che sembrano soddisfarle; di persone perciò che non hanno o non sembrano avere altri interessi che non siano quelli immediati del denaro che non basta mai, di una bella casa da riempire di mille cose inutili, della carriera insediata da troppi nemici, della famiglia da condurre avanti con decoro e dignità, dei vestiti che la moda tiranna obbliga a cambiare continuamente, e via dicendo.

Per tutte queste persone il problema religioso è qualcosa di estraneo al loro mondo, non viene loro neppure in mente perché semplicemente per esse non esiste; anzi, non è neppure un problema, cioè un interrogativo che esige una risposta.

Altri si sono posti o si pongono il problema religioso, sia pure solo qualche volta e senza neppur molto impegno, ma non lo hanno ritenuto o non lo ritengono un problema che vada preso sul serio, perché a loro parere la religione è un cumulo di superstizioni e di favole; oppure è contraria alla ragione ed alla scienza; oppure è una cosa vecchia e sorpassata.

Perciò un uomo che voglia essere maturo, ragionevole e moderno, non può prenderlo sul serio.

Vi è infatti chi per ignoranza o per un inveterato pregiudizio illuministico, inoculato attraverso la cultura corrente, pensa che la religione cristiana sia un coacerbo di miti e superstizioni che una persona intelligente non potrebbe accettare senza far torto alla propria intelligenza.

Non importa poi se proprio queste persone credono negli oroscopi, nei portafortuna ed evitano con cura il “13” e il “17”.

Altri, per i quali tutto il cristianesimo si riduce a qualche fatto loro narrato quando si preparavano alla prima comunione, credono che il cristianesimo sia una bella favola, adatta per i bambini e per le persone ignoranti e di scarsa cultura, perché capaci di suscitare in loro dei sentimenti buoni, ma non certo per le persone mature e per gli uomini di cultura.

Altri, invece che si ritengono di essere dotati di spirito scientifico, che in realtà è il vecchio scientismo del XIX secolo, pensano che la religione faccia parte di una realtà non scientifica o prescientifica .

Il progresso della scienza, avvenuto in questi ultimi secoli, a loro parere, ha messo in crisi e distrutto miti e credenze religiose, mostrandone la falsità e la contraddizione con i dati della scienza.

Tutt’al più concedono al cristianesimo un valore estetico e sentimentale ed anche una capacità di apportare consolazione e conforto a chi soffre.

Certo sarebbe tanto bello e degno dell’uomo accettare con fortezza stoica la sofferenza e la morte, ma non tutti ne sono capaci.

Ben venga allora la religione che dà coraggio ed impedisce di disperare a colui che ha paura della sofferenza e della morte, dando la speranza purtroppo illusoria di una vita nell’al di là.

È chiaro che per tutti costoro, il problema religioso o non esiste o è senza valore: per conseguenza non va preso sul serio.

Ma è proprio vero che il problema religioso non sia un vero problema e perciò non vada preso sul serio? Noi non lo crediamo; pensiamo anzi che il problema religioso sia quello del senso della vita umana e che perciò chiunque si interroga sul senso della propria vita, e che uomo è chi non si pone questo interrogativo? Non può non porselo con estrema serietà.

Infatti nella sua vita l’uomo deve affrontare molti problemi: anzitutto quello della sua sussistenza, per vivere ha bisogno di cibo, di sonno, di cure mediche.

Ma per procurarsi il cibo ha bisogno di lavorare, per dormire ha bisogno di una casa, per guarire dalle malattie ha bisogno di medici e di ospedali.

Sorgono cosi i problemi del lavoro, della casa, della sanità. Risolti questi, almeno inizialmente, altri non meno importanti sorgono; quelli dell’educazione, della scuola, della cultura.

Ma l’uomo non è un essere puramente individuale; egli vive in una famiglia, fa parte di una comunità politica, è cittadino di uno stato, insomma vive in una rete di relazioni interpersonali che sono di natura affettiva, ma anche di natura sociale, politica ed economica.

Di qui un’altra serie di grosse questioni che egli deve affrontare.

C'è tuttavia un problema radicale che fa da sfondo a tutti gli altri; potremmo chiamarlo il problema dell’uomo, perché tocca il suo essere profondo, tocca il senso di tutto quello che egli fa.

Infatti l’uomo esiste, vive, lavora, costruisce, ma perché? e a quale scopo? Che senso hanno la sua esistenza, il suo lavoro, il suo affanno per migliorare la propria condizione di vita e quella degli altri? Insomma, perché egli vive?

Più profondamente ancora: chi è l’uomo? Donde viene? Dove va? Ci sono poi i terribili interrogativi del dolore e della morte; se l’uomo è soggetto alla sofferenza che senso ha la sua corsa alla felicità? Se tutto finisce con la morte, che senso ha la vita? a che cosa vale vivere, affaticarsi, lottare, se la morte annulla tutto quello che si è fatto e si è creato con tanta fatica e angoscia? Che senso ha fare il bene se la morte porta via tutto?

Ecco le domande ultime che l’uomo non può non porsi.

Certo, molti non se le pongono ma; essi cioè vivono senza chiedersi il perché vivono.

Si può domandare se queste persone vivono e basta siano veramente uomini?

Abbiano cioè raggiunto quel tanto di maturità umana, intellettuale, morale, quel tanto di capacità di riflessione, che permette di parlare di essi come di uomini?

Infatti, per essere uomo non basta vivere; anche l’albero, l’animale vivono, ma non sanno di vivere. Non sono in grado di interrogarsi sul senso della propria vita, non sono capaci di dare un senso alla propria esistenza.

Invece, ciò che distingue l’uomo da ogni altro vivente, è la capacità di autocomprendersi, di interrogarsi sul senso della propria vita, anzi, di dare a questa un senso.

L’uomo perciò che non si pone le domande ultime, non è veramente uomo o non lo è ancora. Che senso ha dunque la vita umana? Perché l’uomo vive? Qual è il suo destino.

Alcuni pensano che a questi interrogativi, possa dare una risposta la scienza, ma si ingannano perché la scienza, per sua natura, non si interroga, né può interrogarsi sulle domande ultime dell’uomo; se lo facesse diventerebbe scietismo, cioè filosofia, uscendo cosi dai propri limiti e parlando di cose che non può sapere.

Infatti la scienza studia i fenomeni accessibili all’osservazione nella loro origine, nel loro sviluppo, nelle loro leggi, ma non si interroga sulle cause ultime e sul senso ultimo di tali fenomeni.

D’altra parte tutto ciò che non è osservabile, verificabile con metodi e gli strumenti della scienza, non può essere oggetto di quella.

Cosi la scienza biologica, studiando il fenomeno della vita, cerca di comprendere come essa ha origine e secondo quali leggi si sviluppa.

Ma non si chiede perché c'è la vita e qual è il senso di questo fenomeno, sono problemi che non sono di competenza della biologia.

Cosi ancora, la biologia si interessa di eventi che sono scientificamente osservabili, cioè dei corpi viventi, ma non può dire nulla dei viventi non corporei, come Dio e lo spirito.

Non solo non può dire nulla sulla natura di questi esseri, ma non può pure dire che esistano o che non esistano.

Quando però per provare che l’anima non esiste, si afferma che nessun biologo medico, ha mai trovato un punto a che fare con l’anima, ma ha trovato sempre solo il corpo, si dice una cosa senza senso. Nessun medico e nessun biologo può mai scoprire nell’uomo lo spirito, perché questo non è accessibile da nessuna osservazione scientifica, neppure a quella fatta da quegli strumenti più perfezionati.

L’anima, lo spirito, appartengono ad un altro ordine, radicalmente diverso da quello della materia; esso non è una materia più sottile, ma semplicemente non è materia.

In realtà, i problemi che riguardano il destino dell’uomo, cioè le domande ultime, appartengono ad un mondo che non è quello dei fenomeni sensibili, scientificamente osservabili, perciò di fronte ad essi la scienza, se vuole rimanere scienza, e non pretendere di divenire filosofia, deve arrestarsi.

È chiaro che lo scienziato, in quanto è uomo, può e deve porsi tali problemi e cercarne la soluzione, non può quindi chiudersi nel guscio della scienza, credendo di avere già, in quanto scienziato, le chiavi di tutta la realtà, ma deve aprirsi ad altri apporti per risolvere i suoi problemi di uomo.

Se la scienza è incapace di rispondere alle domande ultime dell’uomo; può farlo la filosofia, la quale è appunto la disciplina che indaga nel mondo dello spirito e va alla ricerca delle cause ultime della vita?

La risposta è francamente negativa; osserviamo innanzitutto che non si può parlare di filosofia, bensì di filosofie. Per una dolorosa fatalità, l’unità degli spiriti non si è fatta proprio nel campo in cui sarebbe stata più utile e necessaria, nella ricerca filosofica.

Ogni pensatore ha seguito la sua strada con il risultato che spesso i sistemi filosofici si sono distrutti a vicenda o sono approdati a conclusioni contraddittorie a vantaggio di due tentazioni costanti nello spirito umano: lo scetticismo e il relativismo.

Sarebbe certo ingiusto negare i progressi e le conquiste fatte dallo spirito umano nel campo filosofico, ma non si può non rilevare lo scandalo della filosofia dinanzi al quale l’uomo della strada resta sconcertato e interdetto seppure non cede alla tentazione di pensare che la verità non esiste o se esiste è impossibile raggiungerla.

Ciò vale soprattutto per le risposte che le filosofie danno alle domande ultime dell’uomo; la delusione che se ne ricava è grande.

Alcuni filosofi, i materialisti, diranno che esiste solo ciò che è materiale; perciò Dio, lo spirito in quanto distinto dalla materia e non riducibile ad essa, non esistono; ed è vano parlare di spiritualità, di immortalità, di una vita oltre l’al di là.

Diranno che la vita umana non ha un senso che sia radicalmente diverso da quello della vita di altri viventi, perché l’uomo vive e muore come gli altri viventi e come essi sparisce nel nulla.

Perciò il senso della vita è cercare di essere felici il più possibile su questa terra.

Altri, i positivisti, i neopositivisti, i sensisti, gli agnostici, risponderanno che ignorano quale sia il senso della vita e che, ad ogni modo, simili domande, sono senza senso, vuote di contenuto reale, perché non si può parlare se non di ciò che si può sperimentare e verificare scientificamente; non ha dunque senso parlare di Dio, dello spirito, della vita oltre la morte, di un destino dell’uomo.

I filosofi idealisti, diranno che l’uomo non ha nulla da cercare al di là e al di fuori di se stesso; egli crea i suoi valori e realizza in assoluta libertà il destino che egli stesso, liberamente, si è proposto, egli è dio a se stesso, e il suo destino sta nel prenderne coscienza.

Gli storicisti diranno che il destino dell’uomo si compie nella storia, che è sempre positiva, perché il male non è che un momento dialettico del bene che vince sempre.

I panteisti diranno che il male e la morte sono falsi problemi; Spinosa ad esempio diceva che la cecità per un cieco non è un male, ma un bene.

I pessimisti come Schopenauer diranno invece che il male è il fondo della realtà e perciò all’uomo non resta che la rassegnazione fatalistica o il suicidio.

È chiaro che tutte queste risposte lasciano amaramente insoddisfatto l’uomo che si interroga sul senso della vita, sul male, sulla morte; non basta infatti che questi problemi si dichiarino falsi o inesistenti perché essi non esistano veramente e non angustino chi vi riflette seriamente.

Non basta negare il male perché esso scompaia dall’esistenza umana, non basta dire che il male, la morte sono il fondo della realtà perché essi cessino di essere assurdi e di togliere ogni senso accettabile alla storia ed alla vita dell’uomo; sarebbe veramente desolante se per sfuggire all’assurdo del male e della morte, non ci fossero che due strade: quella dell’accettazione fatalistica o quella del suicidio.

C'è tuttavia una grande corrente filosofica, quella ateista, che ha cercato di dare una risposta alle domande ultime; essa ha certamente compiuto grandi passi in avanti, ma alla fine anch’essa ha dovuto arrestarsi dinanzi al mistero dell’uomo e del senso ultimo della vita.

Gli unici che hanno potuto procedere oltre e penetrare in qualche misura il mistero di Dio e dell’uomo, sono stati i filosofi cristiani.

Ma essi hanno potuto fare questo in virtù di una luce più alta, quella della venerazione cristiana, che ha illuminato e ha dato vigore nuovo alla loro ragione.

Già Platone aveva visto che per decifrare il destino dell’uomo (il suo problema era se l’anima è o non è mortale), ci si può affidare al ragionamento umano; ma questa non è che una povera zattera con cui si attraversa, a proprio rischio, il mare della vita.

Sarebbe assai meglio se uno potesse fare il tragitto più sicuramente e meno pericolosamente su una più solida barca, affidandosi ad una divina rivelazione (Fedone cap. 35 e seg.).

È proprio questa barca che i filosofi cristiani hanno avuto a disposizione per penetrare nel mistero dell’uomo.

Sorge allora il problema: se né la scienza, né la filosofia riescono a rispondere alle domande ultime dell’uomo, non potrebbe farlo una divina rivelazione quale il cristianesimo?

Il problema religioso si pone in tal modo come il problema del senso della vita; di qui la sua serietà, anzi la sua ineluttabilità.

Chi, in altre parole, vuole interrogarsi sul senso della vita, non può non affrontare seriamente il problema religioso.

In realtà, il cristianesimo afferma di poter svelare non solo il mistero di Dio, ma anche il mistero dell’uomo, rivelando chi è l’uomo: donde viene, dove va, qual è il suo destino, perché egli vive, perché soffre e muore.

Di fronte a questa posizione l’uomo non può restare indifferente, non può cioè sottoporre ad un esame serio e rigoroso la pretesa del cristianesimo di poter risolvere i fondamentali problemi che pone l’uomo, la sua esistenza sulla terra.

Potrebbe anche darsi che la risposta che esso dà alle domande ultime non sia convincente; prima però di operare un giudizio di accettazione e di rifiuto, bisogna esaminare quello che dice, con la serietà e l’impegno che esigono questioni in cui è implicato il destino dell’uomo.

Ecco perché il problema religioso supera per importanza tutti gli altri.

Non vogliamo dire con questo che esso sia l’unico di cui ci si debba preoccupare; altri, quello del pane quotidiano, della casa, del lavoro, della professione, della salute, possono essere più urgenti ed immediati; ma non bisogna confondere l’urgenza e l’immediatezza di un problema con la sua importanza.

Cosi il problema religioso non è l’unico dell’esistenza umana, ma è certamente il più importante e decisivo.

Certo, come già si è detto, molti uomini di oggi non ne avvertono l’importanza; Dio non entra nell’orizzonte della loro vita.

Del resto il “prima” spirituale, impregnato di edonismo e di materialismo, di ricerca affannosa del benessere e di chiusura a tutto ciò che oltrepassa il regno del sensibile e dell’utile, nel quale l’uomo di oggi vive, non favorisce l’emergere dell’esistenza religiosa, ma piuttosto soffoca ogni senso di Dio.

Ci sono però dei momenti, noi siamo soliti qualificarli come le ore tristi e nere della vita, mentre forse sono le decisive e le più preziose, in cui ognuno di noi si toglie la maschera che porta abitualmente e solleva il velo che nasconde la propria anima, quello che ognuno veramente è. Le cose allora, almeno per un momento, perdono il loro fascino abituale e si mostrano meschine, mutevoli, ingannatrici, mentre noi ci troviamo poveri e soli di fronte a noi stessi.

Sono i momenti di delusione, le ore di incertezza, quando ci attanaglia il dubbio o il dolore ci penetra come una lama nella carne; quando un’angoscia sorda e senza volto ci rode implacabile l’anima. Chi di noi allora non sente il bisogno di Dio o almeno il desiderio di qualche altra cosa che non sia l’effimero piacere che questo mondo ci può dare?

Chi non prova il bisogno di uscire dal gorgo limaccioso e soffocante di un’esistenza umana che si sperimenta inutile e vuote per ancorarsi a qualcosa che sia solido, che duri, che non sia come noi e le cose che ci circondano e ci opprimono, fragili e mutevoli?

Che cos’è questo desiderio che ogni tanto sorge in noi che abitualmente navighiamo nel peccato, di essere buoni, di fare del bene, di liberarci dal male che da ogni parte ci soffoca e ci distrugge, se non un desiderio inconsapevole di Dio, se non il desiderio di aggrapparci ad una mano salvatrice?

E nei momenti di oscurità, quando non vediamo più la nostra speranza e nel buio inciampiamo e cadiamo, il nostro cuore stanco e ferito, non anela forse alla verità e alla luce?

Ma anche quando tutto va bene, quando ci sentiamo felici e con il vento in poppa, la nostra gioia non è mai piena; sentiamo che qualche cosa ci manca, anche se non sappiamo dire che cosa. Sentiamo che un verme, implacabilmente ci rode dentro, come se volesse tagliare alla radice la nostra felicità.

Oppure è la noia, questa terribile compagna delle nostre povere gioie, che ci visita proprio nei momenti in cui dovremmo essere più felici?

Sperimentiamo allora che al fondo delle cose c'è il vuoto, che in ogni gioia c'è amarezza, che le più grandi soddisfazioni hanno una splendore falso e sinistro, come se tutto fosse un gioco fatto alle nostre spalle e finito in una crudele risata.

Amara è la condizione dell’uomo. Ma questa inquietudine, questa insoddisfazione, questa incapacità dell’uomo ad essere veramente infelice su questa terra, sono forse il segno che egli ha un destino più alto, che è fatto per Dio.

Forse ha ragione Sant’Agostino, quando al principio delle sue confessioni acclama: “Signore, tu ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non si riposa in Te” (Confessioni cap. I ).

Tutte le religioni rispondono all’interrogativo che l’uomo si impone, ma si può dire che nessuna di esse abbia svelato il mistero dell’uomo, ed abbia risposto alle domande ultime in maniere cosi profonda e completa quanto il cristianesimo.

Ciò si spiega col fatto che, mentre tutte le altre religioni rappresentano lo sforzo, spesso nobilissimo ed altamente meritorio, fatto da uomini di grande valore spirituale e morale, per mettersi in contatto con Dio o con il divino (non in tutte le religioni Dio è un essere personale), nel cristianesimo è Dio stesso che si rivela agli uomini, si mette in contatto con essi; anzi, nella persona storica di Gesù di Nazareth, pur restando Dio, si fa uomo.

In altre parole, nella religione cristiana, non è l’uomo che cerca di scrutare il mistero di Dio, ma è Dio stesso che nella sua bontà e nel suo amore, fa conoscere all’uomo il mistero della propria vita umana.

Non è l’uomo che cerca di rispondere alle domande sul senso della propria esistenza, sul proprio destino, ma è Dio che fa conoscere all’uomo chi egli è, donde viene, dove va, a quale destino è chiamato.

Né potrebbe essere altrimenti; l’uomo, con le sole sue forze non può conoscere Dio che è il mistero insondabile ed inaccessibile e neppure può conoscere se stesso.

Con la sua intelligenza può certo dimostrare che Dio esiste, ma non può dire chi sia Dio nel suo profondo mistero; può solo averne qualche pallida idea e dire chi e che cosa Dio non è.

Può scrutare il proprio essere ed il proprio destino, ma restano sempre alcuni interrogativi utili ai quali non può rispondere.

Ma come ha risposto Dio alle domande ultime dell’uomo?

Il cristianesimo dice che Dio dopo aver parlato agli uomini per mezzo dei suoi inviati, Abramo, Mosé, i Profeti e i saggi dell’Antico Testamento, ha detto con Gesù di Nazareth la sua parola ultima e definitiva: cioè Gesù nella sua vita, nel suo messaggio, nella sua morte e resurrezione, è la rivelazione totale, definitiva di Dio.

Questo a differenza perché negli inviati dell’Antico Testamento, che erano uomini e servi di Dio, Gesù non è un semplice uomo, sia pure di altissimo livello intellettuale e morale, ma è Dio! O meglio, è uomo – Dio, non è un servo di Dio, ma è il Figlio di Dio.

Gesù perciò, essendo Dio, può parlare di Dio e del suo mistero, come nessun uomo potrebbe fare; ma essendo anche uomo, può parlare dell’uomo per esperienza diretta, un’esperienza illuminata dalla luce che su di essa proietta la sua divinità.

Cosicchè Gesù può parlare dell’uomo e del suo mistero, con la conoscenza che ne ha Dio stesso; e di fatti se sfogliamo i vangeli, vediamo che Gesù, mentre svela il mistero di Dio, svela anche il mistero dell’uomo, insegnando che egli è creato da Dio per essere suo figlio, ed erede della sua stessa eterna felicità nel suo regno.

Insegna che l’uomo è povero e peccatore, ma che Dio nel suo amore l’ha salvato e perdonato; che per l’uomo Dio è padre amoroso e provvidente; che il suo destino non si conclude su questa terra con la morte, perché è chiamato a vivere nella vita eterna con Dio a condizione che egli ami Dio e il prossimo. Che il dolore e la morte sono prove passeggere, che la bontà di Dio tramuterà per coloro che le accettano con adesione alla sua volontà nella felicità eterna.

Ha ragione perciò San Paolo quando scrive al suo discepolo Timoteo: “Il nostro Salvatore Gesù Cristo ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del Vangelo” (II Lettera a Timoteo I,10).

Ma le risposte che il cristianesimo dà alle domande ultime dell’uomo sono accettabili? Lo sono nella misura in cui il cristianesimo è vero; poiché è sulla verità e non sull’errore e sull’illusione che si deve costruire la propria vita, e giocare il proprio destino.

Ora, il cristianesimo è vero. Cristo è la Verità, è la luce del mondo e chi lo segue non cammina nelle tenebre, ma ha nelle sue mani la luce della vita che gli illumina la strada.

Questa affermazione della verità cristiana, poggia su argomenti seri, che vanno affrontati e vagliati con uno studio lungo e paziente; ma anche col desiderio sincero di conoscere la verità e con l’umile disposizione ad accettarla, quale che possa essere.

Non trova infatti la verità se non chi vuole trovarla, se non che è disposto ad accettarla; anzi, non riesce a vedere se non chi vuole vedere con purezza e sincerità di cuore, poiché le radici profonde dell’intelligenza stanno nel cuore.

Abbiamo già accennato ai numerosi, gravi pregiudizi che in molti esistono nei confronti della religione e che impediscono di prenderla sul serio.

Diciamo ora che se non ci si libera coraggiosamente da essi (ma quant’è difficile riconoscere che talune verità che noi crediamo più certe ed assodate, sono in realtà dei pregiudizi). Non è possibile affrontare lo studio del cristianesimo con la serietà che esso richiede; ma se Cristo è la Verità, le risposte cristiane alle domande ultime dell’esistenza umana, possono, anzi devono essere prese sul serio ed accolte con gioia e riconoscenza. Esse soltanto infatti danno un senso veramente pieno alla vita dell’uomo.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Nino: Questo si ricollega alla verità che si testimonia da sola, la conclusione è questa.

Luigi: Si. Cioè noi non potremmo conoscere Dio se Dio stesso non si facesse conoscere, è Dio stesso che si fa conoscere.

Nino: Perché quando uno si avvicina alla religione si avvicina con mille dubbi, con la sua incapacità di avere fede; poi man mano che la vede si accorge che è vera, da quello che gli deriva dall’accettare….

Luigi: Cioè più uno è lontano e più è immerso nei dubbi, nelle incertezze; più la cerca, più ci si avvicina e più la verità conferma se stessa, ma richiede la nostra partecipazione.

Nino: Se non fosse verità tutti i nostri dubbi dovrebbero essere moltiplicati man mano che si va avanti.

Luigi: Infatti Dio opera confermando, in quanto uno ascolta ….

Nino: A meno che uno pensi di essere pazzo; se io rifiuto di accettare di essere un pazzo, devo ragionare cosi: è una pazzia collettiva.

Luigi: Il problema del senso della vita lo sentono tutti, anche se non rispondono. Perché non bastano le risposte degli uomini per annullare il problema, se l’uomo è scettico, non bastano le decisioni degli uomini per annullare il problema: il problema si impone.

Nino: Se tu non avessi il problema del senso della vita non avresti neanche il problema di Dio.

Eligio: Scusa però non è contrario alla verità accostarsi criticamente ad una rivelazione religiosa, perché altrimenti qualunque rivelazione di carattere religioso dovrebbe trovarci aperti. Noi dobbiamo quindi vagliare perché abbiamo molti profeti buoni e molti falsi profeti.

Nino: Ci avviciniamo tutti da critici, chi è che non si avvicina da critico?

Eligio: È doveroso, la verità lo esige; chiedere con umiltà di vagliare un messaggio che mi arriva.

Luigi: Si, poi la verità non è una massa di cose; la verità è semplice: è Uno solo. Quindi più tu la cerchi, più tu ti avvicini e più lei ti crea una selezione. Ora in che cosa consiste questa selezione? Che ti mette in continuazione in confronto con -, devi fare delle scelte. Ora, mettendoti a confronto, tu devi dire: “Questo vale di meno, questo vali di più”, “Questo è vero, questo è falso”. Per cui tu impari che 2 + 2 = 4, ma imparando che 2 + 2 = 4 assumi quello spirito di dire che è sbagliato dire che 2 + 2 = 5; e quello lo scarti.

Quindi più ti avvicini alla verità e più acquisisci la sensibilità per riconoscere la verità. Più uno è lontano e più diventa grossolano, e meno avverte, per cui resta molto dubbioso. Lontano da Dio si è molto dubbiosi, per cui si è molto incerti: “Vale questo o vale quell’altro?” Quindi più uno è vicino alla luce, più uno vede la luce e la luce rende molto sensibili e dà molto la capacità di distinguere, di selezionare. Lontano uno fa massa, ecco, abbiamo la quantità che prevale; vicino a Dio abbiamo la persona, con Dio si diventa veramente persone; qualità, lontano da Dio si diventa numeri.

Pinuccia: Si parla di ricerca di verità, che siamo lontani dalla verità, come se fosse una cosa astratta, un modo di vedere le cose; quando in realtà la verità è una Persona, è Dio stesso. Questa scoperta che la verità è Persona e che la risposta a tutti questi interrogativi che noi ci poniamo è solo una Persona che ce la può dare, e che si identifica con la verità stessa, è solo il cristianesimo che ce la dà, è dono di Dio o com’è?

Luigi: La verità è dono di Dio..

Pinuccia: Attraverso il cristianesimo..

Luigi: Si, Gesù dice: “Se resterete nelle mie parole conoscerete la verità…” quindi parla di verità..

Pinuccia: Cioè conoscerete il Padre; vuol dire cosi?

Luigi: Gesù dice: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” quindi parla di verità. Evidentemente si parla di verità in quanto ci si trova in situazione di menzogna, di apparenze, di valori relativi, di valori non veri.

Allora, avendo esperienza di questi valori non veri, di questi valori falsi o di valori apparenti per cui l’animo è inquieto, (Sant’Agostino: “È inquieto il nostro cuore fintanto che non si riposa in Te”), allora Gesù dice: “Conoscerete la verità”.

La via per arrivare a conoscere la verità è la parola del Maestro.

Cioè non siamo noi che arriviamo alla verità, è il Maestro che parlando a noi, rivela la verità, cioè ci conduce alla verità.

Allora, si arriva alla conoscenza della verità, nella misura in cui si resta in ascolto della Parola; per cui la Parola del Maestro diventa via alla verità stessa, e il Maestro è la verità stessa che parla. Per cui è la verità che si svela, non siamo noi che scopriamo; noi arriviamo alla verità in quanto ascoltiamo, in quanto seguiamo Cristo.

Allora per seguire, per ascoltare ci vuole tutto quel superamento di noi stessi, il superamento del mondo apparente e l’andare dietro alla parola.

La parola si fa strada, si fa cammino nella misura in cui noi le andiamo dietro.

Il guaio è che noi ascoltiamo per un tratto e poi ci distraiamo; l’allievo a scuola segue l’insegnante per cinque minuti e poi incomincia a galoppare dietro alle sue fantasie e allora non si arriva.

Ora, tutto il dramma della nostra vita è questo: che noi non siamo capaci a permanere nell’ascolto, non diventiamo discepoli. “Sarete veri miei discepoli se resterete”.

Restare è permanere, “Se resterete nelle mie parole”; quindi Lui ci insegna che sono le sue parole che ci conducono per mano fino a vedere: “Affinché dove sono Io siate anche voi e possiate vedere la mia gloria”.

Quindi noi partiamo dal problema della verità perché il problema della verità è il problema della menzogna. Perché abbiamo tutti questi interrogativi? Perché noi subiamo la menzogna; le cose che passano ci deludono, ecco la menzogna: “Io credevo che …e invece…” ecco! Per cui io mi fido, io ritengo che …, noi partiamo da un assoluto; il bambino parte: l’assoluto è il padre, l’assoluto è la madre, il mondo è assoluto, tutto è assoluto, e man mano che vive constata la delusione, l’inganno, la relatività, il passare delle cose….

È quello che ci sospinge; quindi noi nasciamo come figli della terra, nel problema della terra, ma poi è la terra stessa che ci sospinge; perché la terra, le cose stesse, denunciano, non sono menzognere le cose.

La menzogna si forma dentro di noi in quanto noi riteniamo assoluto quello che in verità è relativo.

Le cose stesse passando, tutte le creature passando dicono: “Noi non siamo Dio”; e tutti gli uomini passando, noi li riteniamo Dio, perché noi li facciamo motivo di vita, se io vivo per quella persona, quella persona diventa il mio motivo di vita; se io vivo per il denaro, il denaro diventa per me motivo di vita, quindi è un idolo, quella persona diventa un idolo, per me un dio: è l’assurdo perché diventa un mio motivo di vita.

Il Signore dice: “Non avrai altro motivo di vita al di fuori che Me, perché non avrai altro Dio”. Allora cosa succede? Che tutte le cose, poco per volta svelano il loro vero volto, muoiono, ci deludono, ci ingannano. Perché succede questo?

Ma perché siamo noi che ci siamo troppo appoggiati ad esse, e allora loro devono dirlo.

Ecco perché dicevo che il Signore prende su di Sé le nostre colpe, perché fa morire degli uomini che non dovrebbero morire. Ma perché li fa morire? Perché noi li abbiamo trasformati in idoli.

Per cui tutte le cose sono soggette, dice Sant’Agostino, al passare, alla vera finità, alla nullità, alla vanità, ma per salvare noi; non perché siano state create cosi da Dio. Dio non ha creato all’inizio la morte con lo spazio. Dio ha creato la morte perché ad un certo momento l’uomo ha creato gli idoli, che non sono altro che la proiezione del suo io.

Allora è necessario questo: misericordia di Dio; per cui Dio annulla tutto, annulla il nostro corpo perché noi viviamo per il nostro corpo, perché viviamo per la salute e l’annulla. Annulla le creature e la fa passare, crea delle creature che magari sono degli angeli e li crea dei mendicanti, degli ubriaconi, dei pazzi, e li crea per me, per farmi toccare con mano la relatività, l’inutilità, la vanità di quello che io stimo molto.

E quindi per sospingermi a quello che vale di più; ecco che quindi abbiamo tutta una corrente a noi che siamo di questa terra, che ci sospinge a farci diventare figli del cielo; perché l’uomo è fatto per nascere due volte: deve diventare figli del cielo “Ma nessuno sale al cielo se non Colui che discende dal Cielo”, ecco il Maestro.

Per cui noi sentiamo il problema, noi sentiamo l’ansietà, noi sentiamo la vanità del tutto, però non possiamo agganciarci al cielo se non incontriamo Colui che scende a noi dal Cielo e ci prende per mano e ci dice: “Io ti dico ciò di cui tu hai bisogno; Io vengo a rispondere alla tua fame” però aspetta che si formi in noi questa fame qui.

Quindi si parte dal problema della menzogna e quindi della verità; Gesù viene a noi per dirci: “Io ti darò la verità se tu mi segui” questa verità ad un certo momento svela il suo volto che è il Padre.

Pinuccia: E quand’è che noi arriviamo a questa scoperta che la verità è una Persona?

Luigi: Ma noi partiamo già da persone, il Cristo è già Persona; e poi, seguendo il Cristo, si arriva a quella famosa Pentecoste di cui parliamo sempre in cui si comprende che Dio è spirito e non può essere confuso con la materia mentre invece noi, all’inizio, confondiamo con…. Perché quando riteniamo assoluto un qualche cosa di relativo, cominciamo a ritenere che Dio sia il denaro, o che Dio sia l’uomo, oppure che Dio sia il sole.

A poco per volta si seleziona in noi che Dio è spirito, non può essere materia, Dio è immutabile; a poco per volta si forma in noi la convinzione che Dio è Persona, un Essere personale: un Essere che è cosciente di Sé, che conosce Se stesso, per cui è Principio di Se stesso e di tutto ciò che esiste. Allora abbiamo la Persona perché la persona è l’essere che ha in se stesso il motivo di sé, la ragione di sé; la ragione del suo essere, della sua esistenza. Allora ecco che diventa principio di tutto perché tutto ciò che è relativo, non ha in sé la ragione di sé; noi stessi non abbiamo in noi stessi la ragione di noi, siamo fatti per avere in noi la ragione: ma noi avremo in noi la ragione della nostra esistenza, del nostro pensare, del nostro agire, quando troveremo Dio.

Trovando Dio, troviamo Dio in noi stessi e allora avremo in noi la ragione… Siamo stati fatti per questo, però nessuna creatura ha in sé la ragione di sé. Ecco perché la creazione ci sospinge, ecco perché tutte le cose ci sospingono ad una causa diversa. Conoscendo Dio troviamo l’Essere che ha in Sé la ragione di Sé e la ragione di tutto ciò che esiste. Ecco che abbiamo la nostra nuova nascita, noi in questo punto nasciamo dal cielo, nasciamo da Dio. Prima siamo nati dalla terra; cioè prima eravamo sospinti dal basso verso l’alto; trovando Dio noi incominciamo una nuova nascita in cui si parte da Dio per giustificare tutte le cose in Dio.

Qui c'è la distinzione: “Chi è della terra appartiene alla terra e parla della terra”; abbiamo tre concetti:

·         l’essere della terra

·         appartenere alla terra

·         parlare della terra.

Ora, questo essere della terra; noi possiamo essere nella terra e non essere della terra; noi possiamo essere nel mondo ma non essere del mondo, e questo è il Signore che ce lo dice. Ma noi possiamo anche essere nel mondo ed essere del mondo.

Ora Gesù quando parla dei suoi discepoli dice: “Voi sarete odiati dal mondo perché non siete del mondo” eppure erano nel mondo.

Quando Gesù prega il Padre non prega affinché il Padre li tolga dal mondo ma “Che tu li preserva dal male”.

Quindi non si tratta di lasciare tutto, di partire, anche perché non si può lasciare il mondo in quanto ci si trova sempre in un mondo; invece noi possiamo essere del mondo, della terra, e possiamo anche non essere del mondo, non essere della terra.

Ora, quand’è che noi siamo di -, o non siamo; quando siamo nel mondo ma non siamo più del mondo; noi siamo in quanto ne facciamo motivo di vita; noi apparteniamo a ciò di cui noi facciamo motivo di vita.

Quando io sento una parola, sentendo questa parola non è che io appartenga a questa parola; ma se faccio di questa parola un mio motivo di vita, allora incomincio ad appartenere a questa parola.

Allora se noi ascoltiamo la parola di Dio che scende dal cielo, dall’alto, fintanto che l’ascoltiamo non siamo ancora di quella parola; ma se noi facciamo quella parola nostra vita, allora noi liberamente diventiamo di quella parola li.

Nino: Finché non abbiamo incontrato Dio come Persona… cioè fintanto che noi lo cerchiamo siamo ancora in passaggio, il giorno in cui l’abbiamo trovato è finito il passaggio perché allora vediamo tutto nella prospettiva di Dio.

Luigi: Si, certo! Acquistiamo la capacità di trasformare anche la nostra terra in cielo, perché effettivamente la nostra terra diventa cielo. Allora noi dobbiamo prima di tutto evitare, essendo figli della terra, di trasformare il cielo in terra; come tanti che ritengono che la divinità, la religione come astrazione dell’uomo, opera dell’uomo: ecco, allora noi facciamo il cielo figlio della terra. Noi abbiamo questa terribile possibilità, quella di ridurre tutto a terra, di ridurre tutto a materia, anche lo spirito è materia, è espressione di materia, perché chiusi nel pensiero dell’io.

Ora qui evidentemente noi facciamo l’errore di ritenere noi assoluto, essendo io assoluto metto il mio io al centro e tutto è opera mia, tutto è creazione mia, anche Dio è opera mia, è pensiero mio. Ma qui, come dico, abbiamo un errore fondamentale di ritenerci noi assoluto, è il punto fisso di riferimento, il mio io è il punto fisso di riferimento.

Per cui l’errore di Tommaso: “Se non vedo e non tocco non credo” e Gesù che dice: “Beati coloro che crederanno senza aver visto”; perché abbiamo la situazione completamente capovolta.

Nessuno di noi può sottomettere Dio a sé, o la verità a sé; siamo noi che dobbiamo sottometterci a Dio, non Dio a noi.

Dico ancora di più: siamo noi che dobbiamo sottomettere noi a tutto, perché tutto è opera di Dio e non pretendere e dire: “Esiste solo quello che io tocco”, “Esiste solo quello che io vedo”. No! Esiste quello che io vedo e che io tocco perché è relativo a me, ed abbiamo la terra, abbiamo cioè il mondo esperimentabile da noi, che è soggetto a noi, ed è necessario questo altrimenti non potremmo nemmeno prendere coscienza di essere, per cui ho la possibilità di avere un mondo che dipende da me che io possa toccare e possa vedere, ma non è questo, perché io non sono il Creatore di questo mondo qui.

Quindi esiste un mondo che dipende da me ed esiste un mondo che supera me e che non è esperimentabile da me di cui io non posso dire: “Non esiste perché io non lo vedo”. Allora questo mondo che non è esperimentabile da me ma che si fa esperimentare da me in quanto mi mette in crisi tutto il resto, mi pone il problema che io non sono Dio per cui io debbo anche accogliere, anche aderire e credere anche a ciò che si annuncia e che non capisco, o che non intendo, o che non vedo, o che non tocco.

Allora proprio superando proprio quello che dipende da me e cercando quello che mi supera, ad un certo momento ecco che arriva la trasformazione, la spiritualizzazione dell’uomo, si va in cielo, seguendo l’evolversi del cielo. È chiaro?

Nino: Si, ammettendo che siamo convinti che il cristianesimo è superiore ad ogni altra religione; perché le persone che cercano Dio fuori del cristianesimo non hanno quel grande vantaggio che abbiamo noi di aver incontrato la rivelazione di Dio? Nei confronti di un religioso musulmano, perché io ho questa grande possibilità e lui no?

Luigi: Non è che lui no! Lui è un’opera di Dio per te, per dire: “Guarda che fortuna hai! Stai attento!”

Nino: E io sono un’opera di Dio per lui..

Luigi: Tu sei un’opera di Dio per lui e tu non puoi giudicare Lui; Dio lo giudicherà se lui non lo cercherà con i mezzi che Dio gli ha dato. Quando i discepoli chiedono a Gesù: “Sono molti quelli che si salvano?”, il Signore cosa risponde? “Sforzatevi voi di entrare per la porta stretta”. Perché? Perché tutto è opera di Dio per ognuno di noi personalmente. Per cui noi non possiamo giudicare l’altro: “Ma l’altro?”. Quando Pietro (dopo che Gesù è risorto), va dietro a Gesù perché Gesù gli ha detto: “Seguimi” e Pietro si volge e vede Giovanni che stava fermo, dice: “E l’altro, cosa fa? Perché lui sta fermo?”. “Non preoccuparti perché se Io voglio che lui rimanga fino alla fine dei tempi…”

Nino: Io volevo sapere perché Dio non si rivela agli altri uomini….

Luigi: Ma tu tieni presente che tutto è lezione di Dio. Ora, cosa vuol dire lezione di Dio? Può darsi che siano tutti angeli; e come mai Dio mi mette sulla mia strada un angelo storpio, un angelo cieco, un angelo che chiede la carità, un mendicante, un altro che si ubriaca, perché mi mette tanti angeli? Come mai? È tutto perché deve servire per ognuno di noi a correre, a camminare, a tener molto preziose le lezioni di Dio.

Cioè, il Signore parte dalla pietra e poi mi crea il vegetale e poi mi crea l’animale e poi mi crea tante figure che sono tutte lezioni di Dio, cioè sono tratti di vita personali per ognuno di noi.

Nino: Siccome gli altri sono tutti angeli magari posso essere un angelo anch’io…

Luigi: No, nei riguardi degli altri il Signore sa…. perché noi siamo spettatori e attori; ora nei riguardi degli altri noi siamo attori e li dobbiamo essere molto preoccupati recitare la nostra parte secondo lo spirito di Dio; ma noi non possiamo sapere quale lezione Dio vuol dare attraverso noi all’altro, lo sa Dio! per cui Dio magari adopera me ubriacone per dare una lezione all’altro; ma io non posso giudicare l’altro! Io devo molto stare attento a alla parte che io recito e che questa parte sia secondo lo spirito di Dio; quindi ognuno di noi è responsabile di quello che fa partire da sé.

Quello che invece riceve, la parte di spettatore, perché noi siamo anche spettatori, siamo soprattutto spettatori davanti a tutte le opere di Dio, quindi come spettatori non dobbiamo assolutamente mai giudicare gli altri; dire: “Ma l’altro?”, no! È lezione di Dio per te, personalmente per te.

Quindi stai attento che Dio ti sta parlando, accogli la lezione, cerca il significato.

Ora, il fatto molto importante è questo: che sulla nostra terra noi siamo spettatori in quanto tutto è segno di Dio, ma il significato di questi segni sono solo presso Dio, sono solo in cielo.

Per cui, noi dobbiamo accogliere tutto dalle mani di Dio, ma poi se vogliamo passare ad intendere il significato, dobbiamo cercarlo in cielo; fintanto che noi non lo cerchiamo in cielo, noi restiamo nei segni e non intendiamo il significato.

Ora, siccome è Dio che parla, Dio che parla a noi le sue parole è anche il Dio che ci fa intendere il significato delle sue parole.

Per cui non basta che noi riceviamo tutto da Dio, ma dobbiamo anche tutto riferire a Dio e tutto cercare in Dio per intendere quello che Lui dice; perché Dio è anche il Maestro delle sue stesse parole, quindi Colui che rivela le sue stesse parole.

Per cui noi dobbiamo sempre, continuamente, sempre tutto riferire a Dio, tutto riportare a Dio perché la meta deve essere: intendere il significato di quello che Dio fa.

Signora: Insomma Dio non ci fa dormire..

Luigi: No! E ringraziamo il Signore che non ci faccia dormire, perché siamo noi che creiamo la noia nel pensiero del nostro io. Perché noi nel pensiero del nostro io pianifichiamo tutto, nel pensiero del nostro io..

Pinuccia: Per usare lo stesso esempio che hai fatto tu, Dio mi fa recitare la parte di ubriacone e devo preoccuparmi di recitarla secondo il suo?

Luigi: Si, secondo lo spirito di Dio…..

Pinuccia: Ma la parte di ubriacone?

Eligio: Con i talenti dell’ubriacone….

Pinuccia: Secondo lo spirito di Dio io non devo più essere ubriacone.

Luigi: Ci sono dei santi che anche se ubriaconi, si sono santificati perché? perché il Signore li ha fatti cosi…; l’importante è che il loro spirito, continuamente cadevano e a forza di cadere sono arrivati in cielo…

Eligio: Come ad esempio il buon ladrone…

Nino: Se ad esempio il Signore ti fa capire che devi ubriacarti due volte di più di quello che ti ubriachi adesso…

Luigi: Dio può aver dato a me una natura cosi debole, cosi infelice; per cui c'è l’anima che cerca tanto Dio e continuamente si ubriaca, continuamente cade.

Però anche questa debolezza, questa povertà è spettacolo, testimonia qualche cosa e mi fa umile e nello stesso tempo fa grandeggiare l’anima. Per cui c'è l’anima che cerca Dio e poi continuamente cade. San Paolo, l’ho già detto tante volte, supplica: “Signore, liberami da questo tormento!”, aveva qualche cosa dalla quale non riusciva a liberarsene, e il Signore dice: “No, ti basti la mia grazia! Perché la grazia si perfeziona attraverso la debolezza, attraverso la povertà, attraverso l’umiltà della creatura”. ammettiamo che lui fosse un ubriacone, che lui cercasse di liberarsi da questa schiavitù, ma non riusciva e supplicava il Signore e il Signore gli risponde: “No, ti basti la mia grazia; il resto serve per renderti umile!”. È uno spettacolo, non è detto che…

Perché molte volte noi recitiamo la parte: “Ah, ma io sono un virtuoso!” e saliamo sul piedistallo. Ma quella è tutta soltanto figura! E il Signore ci conosce in un modo molto, molto diverso. Quindi non è detto, perché un ubriacone può essere eccelso nella santità perché il Signore guarda… intanto sa la natura che ha dato a quel tale, sa lo sforzo che sta facendo e sa anche la grazia…

Comunque noi non dobbiamo assolutamente giudicare; l’importante è questo: ricevere tutte le lezioni sempre dalle mani di Dio perché noi siamo spettatori di lezioni di Dio; e riportare a Dio per cercare il significato.

Appendice:

Eligio: Quando tu hai posto la domanda, l’hai posta come se la difficoltà consistesse proprio nel percepire la verità come qualcosa di esterno, cosa che non è assolutamente possibile..

Luigi: La verità non può essere fuori di noi..

Eligio: Dio noi lo percepiamo come l’Essere al di sopra di noi…

Luigi: Ma nemmeno in Paradiso lo vedremo fuori di noi ….

Eligio: La costruzione dell’esistenza sia sull’errore, sia sulla verità, resta un fatto sempre ed unicamente interiore….

Luigi: Certo, perché Dio è spirito. Infatti il Signore dice: “Non aspettatevi di vedere il regno fuori di voi”….

Eligio: Poi tu hai detto che la nostra vita cambia dopo l’incontro col Cristo, io penso che cambia in un certo senso, perché noi incominciamo a dialogare con questa verità, più che altro la verità deve diventare vita nostra..

Nino: Cambia in quanto incominciamo a vedere tutto sotto la luce di Dio…

Eligio: Questo succede quando siamo molto avanzati nel dialogo con Cristo, col Maestro…

Nino: Quando ad un certo punto ti sei convinto che tutto il resto, quello che dice lui, perché noi diciamo di essere convinti che ogni cosa viene da Dio, che noi la dobbiamo riportare a Dio, ma è tutto un esercizio molto imperfetto. Anch’io prima quando ho fatto la domanda sul musulmano non lo consideravo come opera di Dio.

Eligio: Non è un fatto cosi semplice…

Luigi: È semplice, siamo noi che siamo complicati…

Eligio: Guarda quanti hanno incontrato il Cristo e quanti non hanno costruito la loro esistenza sulla verità..

Nino: Ma quali hanno incontrato il Cristo, dicono di averlo incontrato… ma noi non l’abbiamo incontrato, noi tutti che siamo qui, se non l’avessimo incontrato non saremmo qui; però siamo ancora molto imperfetti nel nostro rapporto con Lui, non siamo ancora arrivati a concedergli tutto e a perdere tutto per Lui.

Eligio: Ma deve diventare questo: più che un rapporto esteriore, deve diventare una realtà interiore per cui deve crescere Lui e diminuire noi..

Luigi: Certo, però Gesù dice: “Noi verremo e faremo abitazione”; ora, Lui già quando è con i suoi discepoli, dopo che da tanti anni è con i suoi discepoli, dice: “Verremo e faremo abitazione”. “Come può succedere che noi ti vedremo e il mondo non ti vedrà?” domandano a Gesù; Lui risponde: “A chi mi ama, e ascolta le mie parole, Noi verremo e faremo abitazione”. Ma come faremo abitazione? Loro mica si spostano, fanno già abitazione: è la nostra coscienza che è portata a prendere consapevolezza della loro Presenza. Quindi vedi che c'è un maturare? Un maturare che arriva seguendo Cristo. Perché io posso seguire Cristo fino ad un tratto e poi smettere…

Nino: Io ad esempio in questo momento ho le idee chiarissime poi tra un minuto posso ricadere…

Eligio: “Noi verremo..” guarda come il linguaggio è imperfetto nei riguardi dello spirito, perché “noi verremo” ti fa pensare ad una realtà esterna, invece no, Dio è in noi, il Maestro interiore è in noi, deve crescere e noi dobbiamo diminuire.

Luigi: Infatti la parola non può mai darti il vero spirito, se il cuore non risponde. La parola resta segno..

Signora le è rimasto un pensiero?

Emma: Ma riguardo alla lettura sono tutti pensieri che vanno meditati…

Luigi: Comunque è convinta?

Emma: La cosa è semplice da parte di Dio, anche noi ne siamo convinti ma poi è difficile il viverle… è un cammino…

Luigi: È una meta. Appunto il Signore ci sveglia segnalandoci la meta: “Alzati!”, l’orientamento. “Devi arrivare fin là, sul Monviso” adesso che ci è stata segnalata la meta, c'è tutto il cammino da fare, però uno ha sempre l’occhio, ormai ha l’occhio orientato, orami guarda verso. È quello che mantiene in vita; perché noi incominciamo a perdere la vita, proprio in quanto incominciamo a perdere l’orientamento, non sappiamo più per che cosa siamo stati creati: “Tu sei stato creato per quello: guarda là”. E allora c'è tutta la problematica è poter arrivare li….

Tu pensa che da bambini ci è stato detto: “Sei stato creato per conoscere Dio!” e noi cosa facciamo ogni giorno per conoscere Dio? Cina cosa dici?

Cina: “Ti darò la verità se mi segui”, sapendo questo si dovrebbe seguire il Signore con decisione con nettezza, come assoluto: perché non si fa? Un po’ si va e un po’ ci si ferma e poi si riparte, ci si accorge di essere sempre molto a valle…

Luigi: Certo, teniamo presente che i discepoli, quante volte, ed erano con Gesù, a tu per tu, eppure Gesù magari parlava della Passione e loro pensavano a se stessi, di chi tra loro fosse il primo e non capivano niente. Lui parlava del lievito dei farisei, della superbia, e loro pensavano al pane che avevano dimenticato; ed erano con Lui, mentre Lui parlava. Quindi pensa un po’….

Cina: Questo ci dice quanto è difficile…

Luigi: Si, perché è il superamento di noi stessi, del pensiero del nostro io. Tu pensa quanto noi abbiamo costruito nella nostra vita attorno al pensiero del nostro io: “Va, lascia tutto quello che hai accumulato” e il Signore già aveva ammonito: “Non accumulate tesori in terra, ma accumula tesori in cielo”. Cosa vuol dire accumulare tesori in cielo? Cerca di conoscere Dio, la tua vita deve essere li; la tua vita deve essere li per accumulare tesori là, nella conoscenza di Dio, perché sei stato creato per quello. Invece noi abbiamo tutto questo bagaglio, quindi abbiamo tutta una vita perché tutte le nostre azioni e tutto quello che abbiamo fatto ci condiziona, ci determina, ce lo portiamo dietro, ci precedono. Ora, la fatica, la penitenza che dobbiamo fare per sgombrare il terreno da tutte queste cose qui che hanno creato, che ci hanno condizionato, che ci hanno chiuso, ci hanno incatenato. Quindi è come il prigioniero nel carcere che sente il richiamo della libertà, ma ha le sbarre, per cui noi riceviamo il richiamo della libertà, ma ci troviamo con le sbarre da tutte le parti, e quindi la grande fatica per…

Cina: Abbiamo il bisogno di verità e si sente il peso di tutte le cose eppure…

Luigi: Ma la tristezza della vita sta proprio li: che uno tocca con mano che vive per niente e deve vivere per niente, è li la tristezza della vita…

Nino: È una tragedia…

Cina: Sembra impossibile eppure è quello…

Luigi: Pensiamo al giovane ricco che pur desiderava: “Cosa debbo fare per conoscere il Signore, per entrare…?”, “Va, vendi tutto quello che hai poi vieni e seguimi”; ce l’ha fatta? Il Signore dice: “Guarda, è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago…” perché il problema c'è ….


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Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti; chi è della terra appartiene alla terra e parla della terra. Ma chi viene dal cielo è superiore a tutti.Gv 3 Vs 31 Terzo tema.


Titolo: Imparare a camminare con Dio


Argomenti: L’invito al pranzo di nozze – Il distacco spirituale dal mondo – L’abito delle nozze – La responsabilità della scelta – Tobia capitolo 13 – Molteplicità di amori e amore per Dio – Tempo e pensiero sono capitali da spendere per comprare l’assoluto – San Paolo ai Corinti – Il Regno di Dio e le tenebre esteriori – Amore e conoscenza – Verità e menzogna – La bontà della creazione – Il pensiero dell’io al centro – La povertà dell’uomo – L’abitudine a convivere con Dio – La vita eterna è adesso – Vivere in funzione del mondo – Le fami materiali – Sapere quello che vogliamo – La volontà spirituale – Essere con Dio come Dio è con noi – La schiavitù del pensiero – Il peso delle creature – Essere con il mondo o essere con Dio -


 

25/Aprile/1977 Vigna


Il tema su cui dobbiamo soffermarci è questo: imparare a camminare “con” Dio e “in” Dio. Ognuno cerchi di soffermarsi in questa ora, per cercare di approfondire come si può fare, secondo le lezioni che troviamo nel Vangelo, per tracciare un sentiero verso questa che è la meta.

Io ho scelto dal capitolo 22 del Vangelo di San Matteo la parabola dell’invito a nozze; mi sembra che aiuti la meditazione di questo argomento. Adesso la leggo.

Rispondendo ai loro pensieri Gesù parlò loro in parabole dicendo:

Il regno dei cieli è simile ad un re che fece le nozze del suo figliolo, e mandò i suoi servi a chiamare gli invitati al festino; ma quelli non vollero venire.

Mandò ancora altri servi con questi termini: “Dite agli invitati: ecco che io ho preparato il mio banchetto, sono stati ammazzati i miei buoi, gli animali sono stati ingrassati e tutto è pronto, venite alle nozze!”.

Ma quelli non se ne curarono, e se ne andarono chi alla propria campagna, chi ai propri affari, mentre altri sequestrarono gli inviati e dopo averli oltraggiati li uccisero.

Il re informato di tutto ciò si sdegnò e per mezzo delle sue truppe sterminò quegli omicidi e mise alle fiamme le loro città.

Poi disse ai servi: “Le nozze sono pronte, ma gli invitati non ne erano degni. Andate dunque ai crocicchi delle vie e chiamate alle nozze quanti incontrate”.

E usciti quei servi nelle vie, raccolsero tutti quanti trovarono, cattivi e buoni, e la sala nuziale si riempì di commensali.

Ora il re, entrato per vedere i convitati, ne osservò uno che non era vestito dell’abito nuziale e gli disse: “Amico, come sei entrato qua, senza indossare l’abito prescritto per le nozze?”.

Ma quegli ammutoli. Allora il re disse ai suoi servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti; perché molti sono i chiamati ma pochi gli eletti”.

Teniamo sempre presente che le nozze sono questo proposito qui che abbiamo posto cioè:

imparare a camminare con Dio e in Dio.

(Ripresa dell’incontro dopo il silenzio)

Luigi: …Allora tu poco fa hai detto che Dio parla in tutto, opera in tutto per invitarci a questa nozze qui..

Luigi: Ricordiamo di nuovo il tema: imparare a camminare con Dio e in Dio. Avete potuto fermarvi?

Emma: Non ho pensato ad altro! Ho letto e ho sentito la registrazione e ora dico quello che ho capito sul brano di Vangelo di San Matteo. Qui Gesù invita tutti e c'è chi per una ragione, chi per un’altra non lo ascolta perché non fa comodo, ognuno è preso dai suoi interessi come se Dio non esistesse, lo si manda a morte perché non turbi la nostra coscienza. Poi ci sono i semplici che aderiscono all’invito. Poi c'è quello che viene gettato fuori perché non ha il vestito ed io ho pensato al cuore perché Gesù guarda il cuore non il vestito.

Poi sul salmo che abbiamo letto ho pensato che Dio ci fa nascere ed ha un suo disegno su ognuno di noi e ci fa nascere per farci compiere le sue opere in terra, il nostro pranzo, però noi dobbiamo sforzarci a conoscere la sua volontà e morire ai nostri interessi terreni. In sostanza bisogna che noi facciamo attenzione….

Luigi: Si, ma il tema era: imparare ad essere con Dio; cosa può fare, cosa può vedere…

Emma: La strada è la fede, una grande fede; innanzitutto credere che Dio c'è e poi camminare li …

Luigi: Camminare li cosa vuol dire?

Emma: Camminare con Dio, pensare che Dio ci ha creati e secondo Dio noi dobbiamo comportarci, dobbiamo imparare a conoscerlo e conoscere qual è la sua volontà. E questo è il mio grande problema perché io ho sempre dei dubbi.

Luigi: I dubbi su che cosa?

Emma: Il dubbio di non capire, di non capire la sua volontà, di non fare la sua volontà.

Luigi: Ma qui ci pensa Lui a chiarire…

Emma: Si, infatti perché noi da soli non possiamo fare niente e ci arriva tutto da Lui, quindi io spero che mi faccia crescere in questa fede. Perché c'è Dio lo credo, anche perché se solo per un attimo pensassi che Dio non esiste mi sembrerebbe di sprofondare…Chi veramente crede, dev’essere trasparente questo credo, dovrebbe riuscire a comunicarlo..

Luigi: L’interesse?

Emma: Io penso di si, ad esempio uno che crede veramente col cuore, che è sincero, deve testimoniare con la vita, vivere il Vangelo…

Luigi: Quindi non c'è da preoccuparci perché in qualsiasi modo uno viva, se effettivamente vive secondo una fede, secondo quello spirito, è lo spirito che si comunica, non è lui che si deve preoccupare di comunicare.

Emma: Ecco io sento di non avere ancora quella fede da comunicare…

Luigi: Allora non si deve preoccupare di comunicare perché altrimenti reciterebbe..

Emma: Desidero rinforzare la mia fede…

Nino: Cosa intendiamo per camminare con Dio e in Dio. Noi partiamo che siamo tutto egoismo, camminiamo solo con noi, piano, piano, noi incominciamo a vedere i nostri diversi idoli che cadono, finché arriviamo a capire che si può anche camminare con Dio, mettendo indietro tutto quello che è il nostro egoismo (Giovanni Battista), noi arriviamo in vista di Dio. Poi di li c'è un altro passaggio: dobbiamo arrivare a capire che Dio è sempre stato in noi, e noi siamo sempre stati in Dio, solo che possiamo non arrivare a capire, quello è il problema. Io mi sono scritto qualcosa…. Perché ho buttato giù i pensieri come mi venivano..

Luigi: Leggi pure…

Nino: Aprirsi a Dio mettendolo prima di tutto, accettandolo come Alfa e Omega di tutto. Ogni cosa è creatura sua, ogni uomo è creatura sua, ogni avvenimento è creatura sua per ognuno di noi. Invito suo alle nozze per camminare con Lui e in Lui. Tutto è grazia sua, il nostro cammino non può essere che con Lui e in Lui. Solo può accadere che noi possiamo non arrivare a capire questa verità. La nostra vita in questo mondo non è altro che un cammino che deve portarci a lasciare gli idoli e a camminare coscientemente nella gioia con Lui e in Lui. Si parte dal tutto – io per arrivare al tutto – Dio. Liberazione: si incomincia pregando: “Dammi salute, ricchezza, riconoscimenti, vita lunga”, si passa al: “Fa di me quello che vuoi, solo sostienimi perché non abbia mai a dimenticare che Tu, essendo Creatore, motore, io non potrò essere mai essere confuso. Qualunque sia la mia sorte e quello che mi potrà accadere, se avrò saputo, potuto, con il tuo sostegno camminare con Te, costantemente nel tuo pensiero, io in Te e consapevole del Tuo su di me, nulla di male mi potrà accadere…”.

Luigi: Ti spiace ripetere questo ultimo pensiero?

Nino: Si incomincia pregando: “Dammi salute, ricchezza, riconoscimenti…”

Luigi: Cioè il mezzo per camminare con …

Nino: Cioè all’inizio si crede: “Se tu mi dai questo…” poi si arriva a superare questa fase perché si capisce che né la ricchezza, né i nostri meriti (che non esistono), ma si prega: “Fa di me quello che vuoi perché non abbia mai a dimenticare che Tu essendo Creatore – motore (ho sintetizzato: essendo io convinto che Tu sei Creatore motore), io non potrò mai essere confuso, se ho sempre presente questo. Qualunque sia la mia sorte, quello che mi può capitare, essere ricco, essere povero, essere sano, essere malato, se avrò saputo e potuto, ma con il Tuo sostegno, camminare con Te e in Te in questo mondo, cioè sempre nel tuo pensiero (nel Tuo pensiero cioè convinto sempre che io cammino nel pensiero Tuo e so che il Tuo pensiero su di me non mi abbandona mai) allora nulla di male mi può venire…

Luigi: Sentiamo Silvana.

Silvana: Io mi sono fermata abbastanza su questa veste che bisogna avere..

Luigi: Hai tenuto presente qual è il tema? Imparare ad essere con Dio e in Dio.

Silvana: Si può anche accettare di andare alle nozze, desiderare di stare con Dio, però si può rischiare di non avere questo abito quindi essere impediti a conoscerlo, ad andare alle nozze. Quale può essere questo abito che è essenziale per poter rimanere alle nozze. Io ho pensato che potesse essere la disponibilità totale a cercare soltanto Lui, cioè il cuore libero…

Luigi: Cuore, disponibilità non intende distacco dalle cose del mondo..

Silvana: Si, anche, come libertà, come superamento per.., come ricerca di Lui

Luigi: Una ricerca che deve essere fatta spiritualmente, cioè non è il caso di andare qui o di andare là, si intende un distacco dalle cose come distacco spirituale..

Silvana: Si, come distacco spirituale…

Luigi: Quindi l’abito sarebbe il distacco…

Silvana: Si, pensavo cosi… però non ho capito bene quei due inviti..

Luigi: Non ha tenuto presente l’essere con Dio e l’essere in Dio? la differenza tra l’essere con Dio, camminare con Dio e camminare in Dio? Perché forse nella parabola c'è la distinzione…

Angelo: Essere invitati è camminare con Dio, mentre avere l’abito è camminare in Dio. Quando ci sentiamo invitati, noi siamo chiamati ad andare con Lui alle nozze…

Luigi: Secondo te in cosa consiste questo invito?

Angelo: Quello che facciamo adesso: darsi da fare, approfondire, essere alla ricerca; invece quando avremo l’abito resteremo con Lui, non avremo altre preoccupazioni, basterà fare la Sua volontà, faremo una cosa sola con Lui.

Luigi: Il fatto è che l’abito ce lo dà Lui… è Lui che ce lo dà l’abito; ora ci dobbiamo domandare come mai quel tale non aveva l’abito. L’abito era dato. Non è che se lo dovessero portare…quando si facevano le nozze, era dato. È Dio che dà l’abito all’uomo quando però l’uomo è alla ricerca; a queste condizioni è Lui che dà l’abito.

Pinuccia: Ho pensato a queste due categorie di persone che si identificano con la stessa persona, cioè con ciascuno di noi; solo che sono due tempi diversi nella stessa anima. Non so se si può intendere cosi?

Luigi: Si, perché non abbiamo differenti uomini; tutto il parlare del Signore, anche prima, quando abbiamo letto dei nemici, il parlare di Dio, va sempre inteso spiritualmente: i nemici sono sempre dentro di noi, è il nostro io, sono i pensieri del mondo uniti al nostro io perché quando noi abbiamo il nostro io al centro, poi allora il mondo incomincia a prendere piede su di noi, allora diventa nemico, perché il mondo di per sé è buono ma in quanto è visto da Dio, è visto con Dio. Allora se noi siamo con Dio tutte le creature diventano buone, ma se invece siamo nel pensiero del nostro io allora il mondo incomincia a pesare su di noi, incomincia a renderci schiavi, a ossessionarci.

Pinuccia: Allora pensando cosi, che si riferisca alla stessa persona, mi ha colpito questa insistenza dell’invito, più volte si ripete questo invito. In modo che mi sono fermata a pensare che la vita è essenzialmente un invito, un invito alle nozze, un invito a convivere con Dio: camminare con è camminare in, prima si cammina con per poi arrivare all’in, alla convivenza. Sono tappe diverse nella stessa anima; la prima tappa (come ha detto il dottore prima) non sentiamo l’invito del Signore perché siamo immersi nelle nostre cose, nei nostri interessi, i buoi, la moglie, i campi, in un’altra parabola lo dice chiaro.

Luigi: Si, però qual è la causa di questa immersione.

Pinuccia: È sempre che ci mettiamo noi al centro, è la dimenticanza di Dio.

Luigi: Si, proprio perché noi abbiamo il pensiero del nostro io al centro allora si incomincia a riferire le cose al nostro io…

Pinuccia: Si dimentica Dio, perché non c'è più posto per Dio; è più importante quello che si riferisce a noi.

Luigi: Per arrivare a questo essere con..

Pinuccia: Allora c'è questa tappa della povertà, è Dio che interviene, che ci fa diventare ciechi, zoppi, paralitici, che ci fa prendere coscienza perché siamo cosi nei crocicchi delle strade, in questa povertà; non sappiamo dove andare. Ecco, qui abbiamo di nuovo l’invito che si fa più pressante e non si resiste, allora si va, perché non sappiamo dove andare, allora si va… tutti rispondono, questi. Poi ho diverse cose da chiedere rispetto a questo ma adesso finisco questo…

Succede che non basta andare, come diceva Silvana, ma ci vuole l’abito. Io mi sono fermata a pensare l’abito come abitudine, come un’abitudine a convivere con Dio. Lui ci dà la possibilità attraverso tutto quello che fa a stare con Lui perché in ogni cosa ci dice che Dio esiste, ed è un invito di Dio. solamente che noi chiusi in noi stessi, non ci apriamo a Lui, e se non ci abituiamo a vivere con Lui, a riconoscere la sua presenza in ogni cosa, non saremmo capaci a sopportarla quando arriveremo a ..

Luigi: Solo se siamo con Lui…

Pinuccia: Già in questa vita… si perché l’incontro definitivo…

Luigi: Qui il Signore non sta parlando mica per gente dell’altro mondo, cioè mica per la vita eterna..

Pinuccia: Non parla dell’incontro finale?

Luigi: No, qui il Signore sta parlando per noi, oggi perché tutte le lezioni di Dio sono lezione su questa terra, per questa terra. Dio sta facendo adesso delle lezioni a noi che siamo sulla scena di questo mondo, per dirci…. È per adesso…

Pinuccia: Adesso è più chiaro…

Luigi: Qual è il proposito di tutto il parlare di Dio? è quello di infondere in noi una certa volontà, farci volere una certa cosa. Evidentemente noi partiamo da una certa situazione, centralità del nostro io, in cui sostanzialmente noi non sappiamo quello che vogliamo nella nostra vita; perché noi viviamo soltanto in funzione del mondo. il nostro io da solo non fa mica quello che vuole. Il nostro io tende soltanto ad accumulare le cose del mondo, perché da solo è nudo, da solo non sta su, quindi ha bisogno di farsi centro. E allora in questa tendenza a farsi centro, tende soltanto ad adeguarsi al mondo. Ma noi sappiamo realmente che cosa vogliamo? Ne siamo veramente convinti? Perché se noi ne fossimo veramente convinti di quello che vogliamo. Noi il più delle volte abbiamo dei pii desideri, ma sostanzialmente noi vogliamo solo le cose del mondo, fintanto che noi abbiamo il nostro io al centro. La nostra vita è soltanto una reazione a degli stimoli esterni, lo stimolo della fame, lo stimolo della figura, lo stimolo del giudizio degli altri, lo stimolo dell’ambizione, noi reagiamo a questi stimoli qui che premono su di noi in quanto il nostro io è al centro, sollecitato dalle cose del mondo che sono voci di Dio.

Il Signore opera nel mondo per farci toccare con mano la nostra morte; San Paolo dice che tutte le opere che sono sotto la legge ci sono state date unicamente per farci toccare con mano la nostra morte, il nostro io da solo è morto; allora Dio opera premendo su di noi e allora noi tendiamo.. ma è tutta una reazione. Come ho detto tutto nel mondo è reazione ad uno stimolo della fame: abbiamo la fame della figura, abbiamo la fame materiale, abbiamo la fame del sesso, abbiamo tante fami, che premono su di noi: allora questo non è vivere, questo è soltanto reagire. La vera vita incomincia soltanto quando incominciamo a sapere quello che dobbiamo volere in senso eterno, in senso spirituale; siamo veramente convinti? sappiamo veramente quello che vogliamo? Lo sappiamo veramente quello che vogliamo? Tu lo sai quello che vuoi? Tu lo sai quello che vuoi?

Pinuccia: Mi pare…

Luigi: Ti pare solo…. Quando hai fame ti pare solo di sapere quello che vuoi? Quando hai fame sai no quello che vuoi? Ma spiritualmente lo sai quello che vuoi? In modo molto netto..

Pinuccia: Dico che penso e mi pare perché c'è una incoerenza rispetto a quello che vivo; mi pare di averlo chiaro quello che voglio solo che nella vita c'è l’incoerenza. Se io ho fame, mangio..

Luigi: Non c'è incoerenza, li..

Pinuccia: Nel fisico, no; quando ho fame, mangio, se sono stanca vado al riposo..

Luigi: E come mai c'è incoerenza nello spirito?

Pinuccia: Ecco, me lo chiedo tante volte, perché sinceramente so quello che voglio, lo desidero, e perché non lo realizzo? Mi pare di mettercela tutta…

Ad esempio mi sono fermata a quel con e quel in e ho pensato: il camminare con è il camminare con le parole di Gesù, con, che ci introducono poi alla presenza di Dio e che ci fanno scoprire la presenza…

Luigi: Non hai pensato che noi non possiamo essere con Uno se quell’Uno li non è prima con noi?

Pinuccia: Ma Lui è già con noi…

Luigi: Lui è già con noi…

Pinuccia: Noi dobbiamo solo prendere coscienza che Lui è presente…

Luigi: Ma ne siamo veramente convinti? Ma un momento, Lui è con noi. Lui è con noi in qualunque situazione noi siamo, nel peccato, nel mondo, sempre.

Pinuccia: Il fatto che noi esistiamo è Lui che ci mantiene in vita…

Luigi: Lui è sempre con noi. Perché altrimenti non sorgerebbe nemmeno in noi il problema di essere con Lui, se Lui non fosse con noi prima di noi. Prima che noi ci svegliamo al problema, è già Lui con noi, e Lui essendo con noi, opera tutto affinché noi siamo con Lui, come Lui è con noi: la meta è li. Quando noi diciamo: “Sia fatta la tua volontà come in cielo cosi in terra” vedi che tendiamo a fare un’uguaglianza tra quello che è lassù, che noi diciamo cielo, e il cielo non è altro che Lui, la terra siamo noi. Abbiamo già detto molte volte che noi intendiamo per terra, tutto quello che si riferisce al nostro io, e per cielo quello che è al di sopra del pensiero del nostro io: ed è Dio. Ora, Dio è con noi, ed essendo con noi, opera tutto, tutto, tutto quello che accade intorno a noi, affinché noi impariamo ad essere con Lui come Lui è con noi. Fintanto che noi non siamo con Lui come Lui è con noi, perché la sua presenza, perché Lui è con noi, è indipendentemente da noi e quindi in un modo o nell’altro si fa sentire. Ora, fintanto che noi non ci adeguiamo a questa sua compagnia, a questa sua presenza, si forma in noi una situazione di infelicità, c'è un dislivello tra la sua presenza e la nostra presenza. Ed è questo dislivello che ci fa soffrire; è come essere in una stanza con uno che noi magari ignoriamo, e allora questa copresenza : Lui è con me ma io non sono con Lui, crea questa frattura, questo crea infelicità, questo crea un trauma, ecc.

E noi quindi risentiamo di questa infelicità, del disagio della vita, dello scontento, della tristezza, il problema sta li.

Ma il problema è li in quanto Lui è con me, Lui è con noi, quindi è la sua Presenza. Ora, dico, noi non avremmo questo problema, non ce lo immagineremmo nemmeno questo problema, non potremmo nemmeno immaginarcelo, perché è Lui che lo fa, se Lui non fosse già….

Pinuccia: Ecco ma è sufficiente che uno dica, sia convinto che Lui c'è, Lui è con me, io voglio stare con Lui…

Luigi: Allora, qui si forma un problema, e penso che questo sia il problema principale di questa prima parte, perché la seconda parte la faremo magari dopo…

Il problema principale di questa prima parte è imparare a staccarci con il pensiero, non è un problema di distacco materiale o di luogo o di ambiente, e lo ritengo uno dei problemi essenziali della nostra vita, una delle maggiori difficoltà, è di imparare a distaccarci con il pensiero dalle cose che si presentano, dalle cose del mondo, dai problemi del mondo, dai fatti che incontriamo perché si forma un’aderenza nel nostro pensiero; anzi non soltanto un’aderenza, ma una schiavitù.

Ora, fintanto che noi siamo nel pensiero del nostro io, per cui noi siamo legati alle cose, cioè noi siamo legati col pensiero. Il problema è quello di imparare a staccarci col pensiero dalle cose per pensare a Colui che è con me, per pensare a Colui che è con noi, staccarci…

Pinuccia: Ecco, però il primo gradino per pensare a Colui che è con me non è quello, appunto, di servirmi delle cose, che è una parola sua, non pensarla nel pensiero del mio io, ma riferirla a Lui; e per riferirla a Lui io debbo avere presente il Pensiero di Dio…

Luigi: Lo so, ma dico che la difficoltà, e dico che è una difficoltà molto grande, confermatemelo voi, è quella di distaccarci dalla pressione che le cose fanno su di noi; incontro una persona, incontro un argomento, incontro un problema, c'è una vischiosità che si forma in noi tra la cosa incontrata e il mio pensiero. Per cui noi incominciamo a fermarci con pensiero a quella cosa, magari vorremmo risolverla, è un problema che si presenta. Ma mentre noi ci preoccupiamo di risolverla, Dio se ne va..

Pinuccia: Ma se uno lo trova in quel problema li, perché se è Dio che me lo presenta, non è un invito suo a trovarlo li? È inutile che io vada a trovarlo in un altro posto se io sono in quella bagna li…

Luigi: Ecco, vedi che tu stessa mi confermi quella difficoltà li? Lo vedi che dici: “…io sono nella bagna”? ora io dico una cosa…

Pinuccia: Non è Lui che mi mette nella bagna?

Luigi: Si, certo…

Pinuccia: Ma perché io riferisca questa situazione, questo incontro, questa persona, questa difficoltà a Lui, prendendola da Lui, cercare di capire quello che Lui mi vuol dire..

Luigi: Si, però ti dico questo: tu sei nella “bagna”. Ora, tu non uscirai certamente dalla “bagna”, se cerchi di risolvere il tuo problema di uscirne dalla “bagna”…

Pinuccia: Ma è Lui che mi tira fuori…

Luigi: Il problema si risolve in Dio. Cioè tu esci dalla “bagna” soltanto in quanto cerchi Dio, conosci Dio. ma se tu cerchi di risolvere il tuo problema, certamente non ne uscirai…. Diciamo: nessun problema del mondo è senza soluzione, ma tutti i problemi del mondo sono senza soluzione fintanto che non troviamo Dio perché la soluzione è solo in Dio. Allora dico: c'è questa vischiosità tra le cose che si presentano e in quanto si presentano a noi, formano in noi il problema; tutte le cose formano in noi il problema perché non sono Dio; Dio è luce che illumina, che risolve “Niente è impossibile presso Dio”. Per cui più andiamo verso Dio e più andiamo verso la soluzione delle cose. Ma più noi cerchiamo di risolvere i problemi, e diciamo: “Prima cerco di risolvere questo problema e poi andrò verso Dio”, io non risolverò mai questo problema, perché questo mi ingarbuglierà sempre di più.

Pinuccia: Ma io dicevo di pensare in Dio quello stesso problema, perché diventi uno scalino per poter dialogare con Dio..

Luigi: Eligio tu hai potuto pensare qualcosa….

Eligio: Si, io l’ho inteso però con le proporzioni capovolte, la meditazione che tu hai proposto, cioè: imparare a camminare in Dio e con Dio…

E l’ho pensato in questo senso, camminare in Dio intendendo quell’in la preposizione dello stato in luogo: camminare nel regno di Dio, nel pensato di Dio, dove naturalmente devo, come primo atto di giustizia essenziale, collegandomi qui con l’atteggiamento del Battista per poter incontrare poi successivamente la Parola di Dio, devo fare questa giustizia di vedere tutto, tutto come operato da Dio. Però il camminare in Dio e il camminare con Dio, mi sembrano due inviti, i due aspetti di un consiglio che può restare incompiuto, in quanto il camminare in Dio, e se sbaglio correggetemi, non è ancora necessariamente camminare con Dio, in quanto il camminare con Dio è sempre un rapporto esteriore fra me e Dio. Il riconoscere che attorno a me è tutto opera di Dio, non vuol dire che necessariamente io porti dentro di me Dio, e che io sia in Dio; cioè compio un atto di giustizia. Ecco come io ho collegato questa meditazione alla parabola delle nozze del figlio del re; ad un certo punto, operando questa giustizia essenziale, quindi camminando in questo pensato di Dio, questo pensato di Dio sono delle parole di Dio che mi richiamano a Dio, però non sono il Verbo, la Parola di Dio. Ecco come, per operare questo passaggio dal camminare in Dio al camminare con Dio, devo collegarmi alla Parola per eccellenza, al Verbo di Dio. Il Verbo di Dio che si manifesta attraverso le nozze che intenderei come l’apoteosi, la glorificazione del Figlio di Dio, in termine liturgico come l’epifania, la manifestazione al mondo, all’umanità da parte di Dio e di suo Figlio. Qui a questo punto, collegandomi a queste nozze, alla manifestazione del Figlio di Dio, avrei la possibilità di salire, e quindi di camminare con Dio e compiere questo secondo passaggio molto più impegnativo, essenziale, per completare questo consiglio di camminare in Dio e del camminare con Dio.

Luigi: Ma sostanzialmente a me sembra che anche se tu dici che hai capovolto gli argomenti, poi alla fine ti riporti nella situazione iniziale che è: bisogna arrivare al Padre.

Stabiliamo chiaramente qual è la meta: la meta è sempre arrivare a conoscere il Padre. Questo conoscere il Padre è meta, è conoscenza in, è un camminare “in” Dio; camminare “in” Dio è approfondire la conoscenza di Dio, perché tu hai parlato di “moto in luogo” e il luogo è Dio…

Eligio: No, ho parlato di “stato in luogo” cioè tutto è casa di Dio, è regno di Dio, tutto è manifestazione di Dio, cioè mi muovo in un pensato di Dio, sono io stesso un pensato di Dio. Ciò non vuol dire che io stabilisca con Dio un contatto personale che stabilirò soltanto successivamente quando avrò imparato a camminare “con” Dio.

Luigi: Ma noi non camminiamo in Dio fintanto che non siamo trasferiti dalle cose, perché prima dobbiamo scoprire il passaggio dalle cose a Dio; poi arrivati a Dio, allora camminiamo “in” Dio per conoscere Dio, perché la meta è quella di conoscere Dio.

Eligio: Pensavo anche all’insegnamento del Battista dove tu stesso ci hai detto che prima di conoscere Dio noi dobbiamo fare un atto di giustizia essenziale di riconoscere che tutto quello che non dipende da noi è opera di Dio, dipende da Dio: ecco come io cammino in Dio senza ancora conoscere Dio…

Luigi: Si, ma quello sostanzialmente è un camminare con Dio, imparare a camminare con Dio; cioè si tratta di passare da…

Eligio: Ma il rapporto lo vedo ancora come un fatto esterno…

Luigi: Ma è proprio perché è ancora un fatto esterno siamo ancora “con” mentre l“in” è dentro; ma ad ogni modo è solo un problema di intenderci.

Prima noi camminiamo con il mondo, nel pensiero del nostro io, noi camminiamo con il mondo. allora qui abbiamo un passaggio da fare ed è questo: fintanto che noi camminiamo con il mondo diciamo che siamo massa, siamo numero, siamo gruppo, non siamo persone vive, siamo in gestazione, siamo in attesa di nascere alla vera vita, perché la vera vita è personale; ma fintanto che noi camminiamo con il mondo è tutta una vita di reazione soltanto agli stimoli del fame, del benessere, del mangiare, del desiderio, della figura, comunque è incentrato sull’io, un io che reagisce alle pressioni di un mondo che tende magari a sgretolare questo io e l’io tende e fa la guerra: un io contro un altro io. Allora c'è questo primo passaggio, ecco qui la grazia di Dio, sapendo che anche se noi siamo nel mondo, Dio ci invita. Cos’è questo invito? Ci manda ad invitare; sostanzialmente questo invito consiste in questo: “IO sono con te anche quando tu sei con il mondo”, Lui è sempre con noi, Lui è “con”.

Lui è con noi anche quando noi non siamo con Lui. Allora, il fatto che Lui sia con noi, si deve manifestare in qualche modo questo suo essere con noi, perché non è che Lui sia con noi a nostra insaputa! Allora tanto varrebbe: il cielo non è indipendente dalla terra, il cielo interferisce con la terra, si fa sentire sulla terra. Quindi la presenza di Dio che è tra noi ancor prima che noi ci svegliamo al problema, prima ancora che noi intuiamo o capiamo la sua presenza pone, ci manda gli inviti; questa richiesta: “IO sono con te, tu con chi sei?”.

Allora abbiamo il primo passaggio:

·         passaggio dall’essere con il mondo ad essere con Colui che è con me; perché il mondo non è con me, Dio è con me. Allora, la presenza sua con me mi pone il problema, quello di essere con Lui, ma per essere con Lui io debbo vincere la resistenza, soprattutto di pensiero, la resistenza che provo nell’essere con le cose, perché le cose pesano su di me, mi pongono dei problemi (problemi economici, della società). Sono dei problemi che si pongono e creano quindi una resistenza su di noi. Per cui noi tendiamo sempre a risolvere questi problemi prima di tutto per cui il Signore ci ammonisce: “Non preoccupatevi del mangiare, non preoccupatevi del vestire, non preoccupatevi di accumulare…” ci impone un certo salto, ma è un salto che si impone prima di risolvere i problemi, perché Lui dice: “IO sono con te”. Allora il problema si risolve in questi termini qui, il problema del “con”; perché Lui è con me indipendentemente da me, quindi pone a me il problema di essere con Lui. La richiesta sua è quella: “Sii con me come IO sono con te”, la meta diventa questa.

Ma con Lui, che cosa si fa con Lui? Lui ci fa conoscere il Padre, Lui ci porta.

Allora abbiamo il secondo tempo dell’in.

·         Nel primo tempo noi siamo con il mondo;

·         poi dobbiamo passare ad essere con Dio;

·         poi con Dio penetriamo lo spirito di verità che essendo spirito d’amore, desidera conoscere tutte le cose di Dio e penetra (ecco l’in) e penetra nelle cose di Dio perché vuole conoscere tutte le cose di Dio; è spirito d’amore e l’amore è conoscenza.

Ora qui abbiamo la creatura staccata dal mondo, libera dal mondo, disponibile dalle cose del mondo, adesso si può impegnare con il cielo a penetrare in Dio.

Perché non è soltanto il fatto di essere con Dio; Dio è un infinito molto più infinito di tutto quanto è infinito il nostro mondo in cui ci troviamo noi e che ci pone tanti problemi. Dio ci pone dei problemi immensamente maggiori dei problemi che ci pone questo nostro mondo che ha per centro il nostro io. E quindi è tutto un cammino da fare in Dio, è una passione, è una ricerca. Ora qui però noi non possiamo penetrare se non “con”, se non siamo con Lui, da soli assolutamente no perché: “Dove IO sono voi non potete venire”.

Quindi abbiamo bisogno del Maestro; ma non soltanto del Maestro che mi dice: “Staccati dalle cose…” cioè che mi faccia sapiente e saggio sulla terra, ma di un Maestro che mi insegni a camminare in Dio, a penetrare in Dio, fino ad arrivare alla conoscenza del Padre, alla vita eterna perché la vita eterna è conoscere, conoscenza è penetrazione dentro in questo… non so se ho reso l’idea. Allora, per penetrare in questo infinito abbiamo bisogno di Uno che scende dal cielo, di Uno che sia Dio, perché senza Dio noi non possiamo, non possiamo sollevarci con le stringhe delle scarpe e andare in cielo tirandoci su, e allora abbiamo bisogno di un altro che ci porti. Allora per essere con un Altro che mi porta prima si pone il problema di essere con Lui e per essere con Lui si pone il problema del passaggio dall’essere con il mondo ad essere con Lui.

All’atto pratico questo primo passaggio si concretizza in questa fatica di distaccarci, di separarci, di superare le cose del mondo, la pressione delle cose del mondo. Questo come primo tempo.

Eligio: Il tema che hai proposto è: “Camminare con …”

Luigi: “Imparare a camminare con Dio e in Dio”

Eligio: Io avevo inteso: “Camminare con il Padre e nel Padre…”

Luigi: Guarda che sostanzialmente vuol dire la stessa cosa, se approfondisci, mi sembra di capire che ad un certo momento hai detto: nel Padre, penetrare nel Padre, arrivare al Padre è un camminare in Dio. Cioè nel primo momento si tratta di arrivare a Torino e in un secondo momento si tratta di camminare in Torino, perché a Torino c'è qualcosa da scoprire, da conoscere. Allora il nostro problema è che noi siamo qui e che dobbiamo trasferirci a Torino quindi abbiamo il passaggio dal mondo a arrivare a Torino, poi in Torino abbiamo bisogno di una guida che ci accompagna nella città a noi sconosciuta; abbiamo bisogno di una guida che ci porti a conoscere l’anima di tutto Torino (trasferito nel cielo Torino è il Padre).

Allora noi innanzitutto dobbiamo imparare che: “Senza di Me fate niente”, niente! Quindi mi pone i problema dell’essere con; perché dice: “Senza di Me…”, allora come faccio ad essere con? Ora Lui certamente non è il mondo; tutto il mondo è opera sua, ma tutto il mondo si sostanzia per noi in questi inviti alle nozze. Tutto il mondo è un invito alle nozze, è Dio che manda nel nostro mondo, nel pensiero del nostro io, ci manda tutte queste sollecitazioni, i richiami, le voci, opere sue, ma non Lui. Lui non l’albero, l’albero però è un invito, è una voce di Dio, è una parola di Dio che mi chiama ad alzare lo sguardo verso di Lui. Perché nessuna creatura è soddisfatta in sé, si esaurisce in sé, tutto mi rimanda a; quindi vedi che è una voce? È la voce di Dio. Quindi attraverso tutto questo mondo, Dio mi chiama alle nozze. Ma questo mondo non inteso nel pensiero del mio io, inteso come anima, come significato.

Per cui (come avevamo letto) noi ci preoccupiamo del significato delle cose, e per preoccuparci del significato delle cose è necessario tener presente il Pensiero di Dio, e il Pensiero di Dio è Lui che si presenta, (infatti non possiamo prendere a calci Dio senza prendere a calci noi stessi), tenendo presente il Pensiero di Dio noi sentiamo la pressione, il bisogno di cercare il significato: “Ma cosa ci sto a fare qui, a vivere; a cosa serve la mia vita? si nasce, si muore, a cosa vale tutto questo? A che cosa vale questo correre, questo guadagnare?”: ecco il bisogno di cercare il significato. E li si rivela la nostra vocazione, perché se noi non fossimo chiamati alla vita eterna, non avremmo questa pressione su di noi del bisogno di conoscere il significato delle cose; il significato soprattutto del nostro vivere, del nostro morire, del nostro soffrire. Allora qui abbiamo la vocazione: i servi che giungono e che richiamano. Allora qui abbiamo la prima fatica, la prima penitenza da parte nostra, perché per superare (abbiamo detto che non si tratta di un distacco materiale) ma si tratta di un occupazione spirituale che richiede soprattutto il pensiero. È li il problema perché ognuno di noi è capace a fare immensi sacrifici (di denaro, ecc.) ma non di pensiero; perché noi sappiamo che tutto dipende dal nostro pensiero, altrimenti noi non ci distacchiamo mica dai nostri problemi. Noi vorremmo prima risolvere i nostri problemi, poi occuparci se abbiamo tempo e disponibilità ( perché sappiamo che tutto dipende da questo). Perché il pensiero del nostro io è molto legato alla soluzione dei nostri problemi nel mondo, per cui se io risolvo questo problema faccio bella figura, ecc.; invece il Signore ci chiede (proprio perché si tratta di camminare con Lui verso una meta che non è di questo mondo) soprattutto questa penitenza, come pensiero, di piantare li (anche se non ho risolto), occuparmi di quello che mi propone. E quello che mi propone Lui non è la soluzione di tutti questi problemi qui. Se un certo momento io parto, sollecitato da Dio, da un certo mondo, e mi occupo di un altro mondo che mi presenta Lui, in quell’altro mondo, in quell’altro mondo, senza rendermene conto, io trovo risolto questo problema qui; in questo mondo qui io lo trovo risolto. Ecco perché Lui diventa liberatore.

Quindi più mi occupo di Lui, trovo il Lui la soluzione; noi possiamo notare che riguardo a certi problemi, è soltanto questione di aver pazienza di aspettare e poi si risolvono, perché il tempo è ancora opera di Dio; essendo opera di Dio è regno di Dio che viene a noi e man mano che viene ci risolve i problemi è soltanto il fatto di saper aspettare. Noi però difficilmente sappiamo aspettare, perché subentra sempre il pensiero del nostro io e allora noi vogliamo accelerare i tempi e le cose si complicano.

Ma dico: i veri problemi si risolvono soltanto in quanto uno non vuole risolverli ma capisce il senso, il significato, la direzione che questi problemi qui pongono e in quanto pongono una direzione, sono come delle frecce che mi invocano, mi sollecitano a cercare Dio; cercando Dio in Dio, trovo la soluzione, perché è in Dio la soluzione del problema.

Eligio: Per camminare con Dio intendi già la vita in Dio o intendi l’incontro, il seguire Gesù come maestro di vita per arrivare a Dio?

Luigi: Tutto! Con -, questo essere con, questo essere assieme, è Lui che me lo pone in quanto Lui è assieme a me, Lui è con me: Lui è con noi prima di noi. Essendo con noi ci pone il problema di essere con Lui; allora, per essere con Lui si pone il problema che sapendo che c'è Uno che cammina con te, il problema per te è quello di saper camminare con Lui, di essere in compagnia sua.

Eligio: Deve essere un fatto esterno come lo era per gli apostoli, ma le cose sono cambiate sostanzialmente con lo Spirito Santo. Prima erano anche con Gesù, poi era Dio che era entrato in loro con il suo Spirito. Quindi è possibile camminare in modo sia che nell’altro?

Luigi: Si, perché è un camminare progressivo; ad esempio gli apostoli erano con Lui, però c'era sempre una differenza: “Da tanto tempo che sono con voi eppure non mi avete ancora conosciuto!”; all’ultimo fa capire che non sono stati mai con Lui. Però tu capisci che il Signore si abbassa al nostro livello, per cui noi incominciamo ad essere con Lui per un certo tratto perché siamo ancora per tanto a contatto con il mondo e poi a poco per volta, l’importante per essere con Lui, è incominciare ad ascoltare Lui, perché se lo ascolto, come dico, è Lui che mi fa essere. Come? In quanto Lui è con me. E cosa vuol dire questo essere con me? Parla a me. Ma io sono con Colui che parla a me nella misura in cui ascolto Lui e i suoi argomenti; e se voglio ascoltare i suoi argomenti devo accantonare i miei. Ma se io non accantono i miei anche se sono con Lui, non sono con Lui: Lui è con me ma io non sono con Lui. I suoi argomenti però sono progressivi, diventano infiniti, ad un certo punto diventano conoscenza del Padre. Allora Lui non è Uno che sta, è Uno che cammina in continuazione, i suoi argomenti progrediscono; allora io comincio magari ad essere con Lui e credo di essere con Lui per un certo tratto, e poi Lui va più avanti ed io non sono già più con Lui e mi accorgo che si crea una distanza tra noi. Ed è una sollecitazione continua, ma Lui è sempre davanti a noi; e cosa vuol dire questo: ci precede? Cosa vuol dire questo essere che ci precede? Vuol dire che crea sempre una distanza per mezzo della quale noi ci sentiamo sempre sollecitati da; e quindi siamo continuamente invitati a prestare più attenzione, a prestare più ascolto a, e superarci in continuazione; è un superamento continuo. Perché? perché la sua sapienza, ciò che Lui ha da comunicarci è un infinito.

Eligio: Dopo la Pentecoste i discepoli sentivano ancora questo distacco?

Luigi: No, no, con la Pentecoste non siamo più noi, ma è Lui che è con noi, è Lui che opera in noi. “Non sono più io che vivo, ma è Dio che vive in me”. La creatura diventa operata da Dio; ora è Dio che operando nella creatura fa vivere la creatura, è Dio; ma la creatura è operata da.

Eligio: Il vero camminare con Dio è questo! Dopo la Pentecoste, quello che tutti noi vorremmo vedere.

Luigi: Certo, logico.

Eligio: Non è più un camminare con Dio che dipende da noi ma è un camminare con Dio che dipende da Dio…

Luigi: Per arrivare però a questo, che è un camminare con, c'è la fase precedente del in. Con la resurrezione del Cristo, incominciamo ad entrare nel cielo: “Se siete risorti con Cristo non occupatevi più delle cose della terra ma occupatevi delle cose del cielo dove Cristo è alla destra del Padre”. Qui incominciamo ad entrare in cielo, qui abbiamo un “in”, qui si entra “in” cielo. Quindi prima della resurrezione, morte, passione, prima di tutto questo tempo, noi siamo con Cristo, il Cristo ci sollecita fino a condurci a morire con Lui, a noi stessi, al nostro mondo; “commorire con” per poter risorgere, perché soltanto morendo a questo mondo noi incominciamo a diventare vivi nel cielo.

Ma vivi nel cielo, quando si è vivi nel cielo?

Quando si ha la passione di conoscere Dio, di penetrare la verità di Dio come attualmente si ha la passione per le cose di questo mondo o per i nostri interessi.

Ecco, allora uno è preso da; dal cielo; non appartiene più; è ancora nel mondo ma non è più del mondo, non appartiene più al mondo.

Ora, che cos’è che crea in noi l’appartenenza?

È l’amore per, è la passione per. Se io sono appassionato per il cielo, appartengo al cielo anche se sono in terra; ma se io sono appassionato per le cose della terra, fossi anche in cielo, io precipito in terra perché appartengo alla terra.

È questo amore per, è questo interesse per, che ci fa appartenere a; noi diventiamo pecore di Dio soltanto in quanto abbiamo interesse per Dio.

Ma allora questo interesse in come si risolve? Non si risolve mica nel risolvere i problemi qui del mondo! diciamo secondo lo spirito: non qui! Questo interesse è proprio desiderio di penetrare nella verità di Dio, è occupazione di Dio; allora si resta occupati da Dio, nella misura in cui noi sentiamo il bisogno di occuparci di Dio. Realmente è Dio che occupa.

Eligio: Nella parabola come mai nella parabola solo i primi sono invitati, quelli che poi rinunciano; come mai non sono tutti invitati?

Luigi: Ma qui non si tratta di persone diverse, sono momenti diversi della nostra anima. Come in un’altra parte del Vangelo si dice: “Nessuno lo accolse ..” e poi: “Qualcuno lo accolse…”; se non c'è nessuno non ci può essere qualcuno..

È per significare che tutti quanti noi siamo responsabili di un rifiuto, per cui tutti quanti noi abbiamo peccato, allora: “Nessuno lo accolse…”.

Tutti quanti siamo colpevoli, altrimenti uno potrebbe dire: “Ah, ma io perlomeno l’ho accolto!”. No, guarda che c'è un periodo nella tua vita che tu non hai accolto quello che dovevi accogliere e quindi sei in una situazione di peccato.

Per cui abbiamo bisogno tutti della stessa misericordia, tutti dello stesso perdono, non possiamo ritenerci diversi dagli altri. Ecco perché dobbiamo ritenerci tutti compartecipi della stessa Passione, dello stesso Sangue del Cristo.

Ecco però, nonostante questo, Dio, perché il suo regno viene nonostante noi, e quindi ci fa entrare, nonostante noi; possiamo anche noi ritrovarci dentro: certamente ci troveremo dentro al regno di Dio anche se non abbiamo l’abito, perché il regno di Dio viene.

Prima di venire ci chiama, perché soltanto nella misura in cui ci chiama, ci dà la possibilità personalmente di partecipare; e più noi personalmente partecipiamo, e partecipare vuol dire: spendere tutto ciò che noi abbiamo per comperare quel tesoro.

Quindi noi abbiamo un certo capitale che è tutto il nostro mondo, il nostro tempo, la nostra vita, i nostri pensieri da spendere; per che cosa li spendi?

Perché noi in un modo o nell’altro li spendiamo; ma per che cosa spendi il tuo pensiero ad esempio?

Allora noi possiamo spenderlo per comperare il mondo e il Signore rimprovera: “Cosa vale possedere anche tutto il mondo se poi perdi l’anima?”.

Oppure possiamo spendere tutto questo, soprattutto il pensiero, il tempo della nostra vita per conoscere Dio.

Naturalmente spendendo il pensiero per Dio si perde il resto, si perde il mondo.

Ecco, in un primo tempo il Signore ci sollecita a spendere, ecco gli inviti, è li che noi siamo in difetto, per cui diventiamo terribilmente debitori……..

Pinuccia: Però è anche vero che ognuno di noi risponde nella misura in cui capisce……..

Luigi: Bisogna approfondire bene che cosa vuol dire questo capire. Perché Dio in quanto ci chiama ci fa capire, perché è logico, se noi non capiamo i termini del problema, non siamo responsabili.

Però al momento della chiamata non è che io debba conoscere Dio, non è che la responsabilità scatta quando conosco la verità: la responsabilità scatta quando io rifiuto di interessarmi di.

Chi mi rende responsabile, non è la conoscenza della verità, ma è la parola che mi chiama a conoscere la verità, che mi annuncia la verità: è li che mi rende responsabile; è la parola che giunge a me.

Quindi la parola che giunge a me e dice: “Cerca prima di tutto Dio”, questa mi rende responsabile. Perché?

Perché in un modo o nell’altro io debbo rispondere. Tutto è proposta e di fronte alle proposte noi in un modo o nell’altro rispondiamo e siamo responsabili.

Responsabili deriva da “respondeo” che vuol dire rispondere: rispondiamo, in un modo o nell’altro noi rispondiamo.

Per cui se io dico: “Non mi interessa!”, ho risposto, e li è la mia responsabilità.

Perché dicendo: “Non mi interessa!”, noi diciamo: “Io rifiuto Dio”. “Non mi interessa la Verità!”, “Io rifiuto la Verità!”; ecco, la responsabilità scatta li.

Dio ci dirà: “Hai rifiutato Me prima di conoscermi ancora!”, e la responsabilità scatta nel momento in cui io mi rifiuto di interessarmi di- , resto responsabile della mia risposta (l’invito a nozze). Tutto è preparato, il bue è ammazzato, tutto è pronto, noi non possiamo dire…, il problema non si può rinviare, non è rinviabile: tutto è già preparato!

Noi possiamo dire: “Ma non è ancora il mio tempo!”, no! Tutto è già preparato perché tu ti abbia ad occupare di Dio; quindi non rinviare il problema.

In quanto il problema si presenta a te, tutto è già disposto per, tutto.

Quindi non preoccuparti di: “Vado prima a salutare mio padre, vado a seppellire quell’altro, vado a risolvere prima questi problemi, vado prima a vendere questo”. No!

In quanto Dio ci presenta l’invito tutto è già risolto: parti!

Perché ciò vuol dire che il problema è già risolto nel cielo: tu parti e vedrai che tutto si risolve.

Perché di fronte alla richiesta di Dio noi non dobbiamo avere altro motivo che -.

Per questo il Signore dice: “Chi non odia (dove il termine odiare vuol dire mettere sotto, essere disposti a mettere sotto) suo padre e sua madre più di Me, non è degno di Me!”.

Perché questa dignità è data proprio da questa disponibilità.

Pinuccia: Poi subentra il secondo momento in cui si prende consapevolezza della propria povertà, che è la conseguenza del rifiuto.

Luigi: Si, è il rifiuto stesso che ci fa sentire la povertà. Perché noi rifiutando, incominciamo a scoprire la nostra morte, il nostro niente, la nostra miseria…

Pinuccia: Però non capisco questo: “… buoni e cattivi…”..

Luigi: Si, perché nel regno di Dio entrano tutti; è la parabola del Signore della rete in mare dei pescatori che arriva in spiaggia con pesci buoni e cattivi. Poi sulla spiaggia si fa la scelta..

Pinuccia: Però c'è uno solo che non ha l’abito, vuol dire che i cattivi sono diventati buoni? Applicato a noi personalmente cosa vuol dire?

Luigi: Che c'è il rischio, anche se siamo dentro, di non avere l’abito. Cioè noi possiamo ritenerci già, ciascuno di noi nelle sue applicazioni, può già ritenersi nel regno di Dio allora: “Guarda che, anche se tu già ti ritieni nel regno di Dio, puoi essere gettato fuori”. Perché non c'è nessuna garanzia, non c'è nessuno che mi garantisca la salvezza. Perché l’abito è disponibilità di, è amore per, è interesse per. Per cui se io dicessi: “Ah ma io sono a posto”, immediatamente sono buttato via, poiché non c'è nessuna sicurezza di regole, o di appartenenza a, per cui ad un certo momento ti siedi su una poltrona e tutto è risolto. Il problema, siccome Dio è spirito, chiede continuamente da parte nostra questo superamento, questo impegno, e la strada è infinita. Diventa sempre più facile perché più ci impegniamo nello spirito, e più si crea la facilità nel risolvere i problemi: all’inizio il cammino è difficile e poi la strada diventa facile, il rovescio di quello che succede nel mondo. C'è qualcosa da aggiungere a quello che abbiamo detto?

Pinuccia: Perché parla delle nozze del suo figliolo e invece siamo noi chiamati alle nozze; come va inteso?

Luigi: Ah, non so!

Pinuccia: Dobbiamo arrivare ad essere una cosa sola con Gesù?

Luigi: Ma perché noi non siamo chiamati a diventare figli di Dio?

Pinuccia: Allora questo figliolo siamo noi.

Luigi: Siamo chiamati a -.

Emma: Allora siamo chiamati personalmente ad essere una cosa sola con Dio.

Luigi: La vocazione è questa: essendo destinati a, già ti parla delle nozze del figlio.

Emma: Se siamo in una certa situazione, dobbiamo accettarla perché è Dio che ci ha messi in questa situazione ed è Dio che ce la risolve questa situazione, se noi abbiamo questa fiducia in Lui…

Luigi: Dio ci mette nelle situazioni, certo, è Lui che ci mette, però non ci fa stare. Altrimenti uno potrebbe dire: “Beh il Signore mi ha messo nella scuola e io resto nella scuola; il Signore mi ha messo nei campi e io resto nei campi”; e allora il Signore quando viene dice: “Lascia i campi!” tu gli rispondi: “Eh, no Signore tu mi hai messo nei campi e io resto nei campi!”, no!

È necessaria la disponibilità, perché il Signore ci mette in e poi ci chiama ad uscirne.

La vita è costituita da passaggi; il passaggio (pasqua) avviene quando si lascia qualcosa per andare verso altro.

Allora: “Senti ma Dio mi ha dato questo; Dio mi ha fatto ricco, perché devo dare via! È Dio che me l’ha dato!”. “Dio mi ha fatto imperatore, perché devo lasciare, se è Dio che mi ha fatto imperatore!”, quindi ognuno si giustifica. No! Dio ti ha dato questo e ora te lo richiede. Perché tutto è capitale che ci ha dato a nostra disposizione, da spendere per, se noi lo teniamo non arriviamo all’altro.

Tutto quello che abbiamo, e tutte le situazioni in cui ci troviamo, è capitale, è somma di denaro, data a noi, affinché noi la spendiamo per comperare qualcos’altro.

Se tu entri in un negozio con una somma di denaro e vuoi comprare un capo, ad un certo momento si forma il problema: “Voglio tenermi i l denaro o voglio comprare il capo?” invece noi possiamo essere nella situazione in cui vogliamo tenerci il denaro e avere il capo; non spendere il denaro e avere il capo. Tutto quello che il Signore ci ha dato, ce l’ha dato affinché non comperiamo quel capo; ma per comperare devo spendere e li succede la tragedia: che noi non vogliamo spendere, noi vogliamo avere quell’altro ma tenerci quello che abbiamo e non capiamo che la condizione per avere quell’abito è proprio quella! Per cui io non avrò mai quell’abito se non spendo questo! Perché il Signore il capitale me l’ha dato proprio perché io comperassi quell’altro e se non lo spendo non lo avrò mai.

Emma: E le situazioni in cui ci pone sono per farci capire che…

Luigi: Sono situazioni da spendere per avere quell’altro: da spendere. Per cui ognuno si trova in una certa situazione. Per cui non si può scambiare la propria situazione con quella di un altro, ognuno ha una sua situazione che è un capitale che personalmente deve spendere e soltanto se lo spende può entrare nello spirito, altrimenti non entra. E allora il Signore continuerà a sollecitarci. E noi, la maggior parte della nostra vita, la spendiamo nella consumazione di queste sollecitazioni senza intendere quello che dobbiamo dare via; e arriviamo all’agonia che non abbiamo ancora capito.

Allora il Signore ci porta via quello che noi credevamo che fosse nostro, quello che noi non abbiamo voluto spendere, Lui ce lo toglie perché: “Vi verrà tolto anche quello che voi credevate di avere!” e ciò per cui abbiamo rinunciato ad avere l’altro.

Emma: Per principio non dobbiamo ritenerci padroni di niente assolutamente.

Luigi: Non basta questo!

Nino: Non solo per principio; è facile dire che è per principio.

Emma: Ma già ritenere che non siamo padroni di niente..

Luigi: Tieni presente che se pensi di andare a casa e di dare via tutto, non è che il problema sia risolto, perché il problema non si risolve in senso materiale. Come non si risolve il problema spostandosi da un luogo all’altro, no, perché il problema è spirituale. È li anche la difficoltà, tant’è vero che Dio è difficoltà perché è infinitamente superiore a noi per cui è difficoltà.

Pinuccia: Ecco io cercavo di mettere insieme il mio pensiero con il suo.

Luigi: Cerca di mettere il tuo pensiero con il Pensiero di Dio perché noi siamo creature…

Pinuccia: Se il Signore mi mette in una situazione, il devo dialogare con Lui questa situazione per cercare di capire cosa il Signore mi vuole dire con quella situazione?

Luigi: Si, devi cercare di intendere il significato. Il significato delle opere di Dio è una chiamata. Magari Dio ci mette in un pasticcio, per dirmi: “Vedi a dimenticare Me in quale pasticcio vai a finire?”; non perché io abbia a risolvere questo pasticcio ma a capire il significato di quel pasticcio.

Pinuccia: Non per restare in quel pasticcio.

Luigi: Non per restare in quel pasticcio; Dio mi mette nel pasticcio in quanto io mi sono preoccupato di Lui. Tutte le volte che ci dimentichiamo di Lui il semaforo scatta e ci troviamo su una strada sbagliata. Ma se sono su una strada sbagliata, non devo preoccuparmi di risolvere la strada sbagliata, debbo tornare indietro, semplicemente. È Lui che mi fa segno, quindi io debbo capire il significato di quello che Lui mi fa incontrare, della situazione in cui mi fa essere.

Nino: Direi che in ogni “bagna” c'è una soluzione che implica una nostra perdita, ma il problema è che noi non vogliamo perdere ed è li il conflitto perché se noi sappiamo perdere per Dio, guadagniamo. Ne sono convinto, poi magari razzolo male: è il saper perdere.


Il tema di questa seconda parte è camminare “in” Dio.

Lettura della Lettera di San Paolo ai Corinti cap. II:

Tuttavia tra i perfetti noi predichiamo la sapienza, non la sapienza di questo mondo, né dei principi di questo mondo che saranno ridotti a nulla, ma predichiamo la sapienza di Dio, misteriosa e nascosta. Quella sapienza che Dio, prima ancora che fossero i secoli, aveva già destinata per la nostra gloria; sapienza che nessuno dei principi di questo mondo ha mai conosciuta. Se infatti l’avessero conosciuta, non avrebbero mai crocifisso il Signore della gloria. Ma come sta scritto: “Quel che occhio mai non vide, né orecchio mai udì, né mai cuore di uomo ha mai potuto gustare, questo Dio ha preparato a coloro che lo amano”. Ma Dio lo ha rivelato a noi per mezzo dello Spirito, perché lo spirito scruta tutto, anche le profondità di Dio. Chi tra gli uomini infatti conosce l’intimo dell’uomo se non lo Spirito che è in lui? Cosi nessuno ha conosciuto le cose di Dio se non lo Spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, affinché conosciamo le cose che Dio ci ha gratuitamente donato e di queste noi parliamo, non come cose suggerite da sapienza umana, ma come quelle insegnate dallo Spirito adattando ad uomini spirituali dottrine spirituali. Ma l’uomo del mondo non accetta lo Spirito di Dio, difatti per lui sono una follia e non le può comprendere perché sono esaminate spiritualmente. L’uomo spirituale invece giudica tutto e non è giudicato da nessuno. Infatti chi ha conosciuto il pensiero del Signore da potergli fare da maestro? Noi invece possediamo il Pensiero di Cristo”.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Pinuccia: Che lettura è questa?

Luigi: Prima ai Corinti, capitolo secondo. Sentiamo la signora se ha qualche cosa da dirci…

Emma: Posso dire che ho aperto il Vangelo a caso e ho trovato il capitolo: “Perseveranza nella preghiera” e quindi ho pensato che devo essere più perseverante nella preghiera, cioè con prontezza fare la giustizia.

Luigi: In che cosa consiste la preghiera?

Emma: Nell’ascolto e nel silenzio

Luigi: Nell’ascolto. Gesù dice: “È necessario pregare sempre”. Come crede di poter attuare questo?

Emma: Non so, è Dio che mi farà camminare, perché io ho molte debolezze..

Luigi: No, ma come proposito, a parte il fatto di poterlo realizzare o meno. Ma se lo pone come proposito questo che il Signore dice: “È necessario imparare a pregare sempre”? In quanto tu dice che pregare è ascoltare…

Emma: Si, col pensiero io prego Dio che mi renda perseverante in questo, per portarmi a conoscerlo meglio, io ho questa fiducia, perché Dio non inganna; non so come esprimermi diversamente.

Luigi: In che cosa consiste questo: camminare in Dio? Puoi dire qualcosa?

Emma: No, non saprei… dico solo che non dipende da me…

Luigi: Logico.

Emma: Che non dipende da me e siccome è il mio problema più grosso, quello di conoscere la Verità, penso che Dio mi aiuterà a raggiungerla, ho fiducia.

Nino: Io penso che consiste nell’avere il pensiero costantemente rivolto a Dio. Quindi è un po’ quello che chiedo io a Dio: di non dimenticarmi mai di Lui in nessun momento, anche quando sono con la mente al lavoro.

Luigi: Non pensi che questo: non dimenticarmi mai di Lui, sia un essere con Lui?

Nino: Si, è un essere con Lui.

Luigi: Si è un essere con Lui, ma dopo c'è un altro passo perché il problema non si risolve nell’essere con Lui…

Nino: Nel momento in cui io sono con Lui, ogni cosa che mi arriva, io la interpreto, faccio risolvere il problema da Lui; cerco di vivere in Gesù, in Cristo, perché è Lui che mi deve portare al Padre, non sono io che posso arrivare al Padre, se Lui non mi porta. Io penso che quella sia la strada, essere continuamente rivolto a Lui, accettando ogni cosa da Lui; ogni cosa in cui sarei magari indotto a pensare male o bene, rinunciando a considerarla o male o bene, riportandola a Lui, ecc. cioè questo è un abbandono totale a Dio. Io penso che quella sia la strada, e poi il resto lo farà Lui.

Luigi: Lo fa Lui, sempre però chiedendo a noi qualcosa. Cioè io penso che quello che tu dici è giusto, è vero, ma corrisponde all’imparare a camminare “con” Dio. poi c'è un secondo momento, e lo vedremo in questa parabola; perché imparare a camminare “con” Dio equivale al rispondere all’invito alle nozze, se rispondiamo all’invito alle nozze…

Nino: Tu hai detto molte volte: noi prima impariamo a vedere le cose dal punto di vista del mondo verso, quando siamo a quel punto li ci viene insegnato a vedere le cose del mondo dal punto di vista di Dio; in quel modo li, piano piano, si verrà a conoscere il Padre. Nel momento in cui tu sei arrivato alla conoscenza del Padre..

Luigi: Si, ma non pensi che per arrivare alla conoscenza del Padre non si debba soltanto accettare l’invito al pranzo di nozze, ma partecipare al pranzo di nozze?

Cioè farei una differenza tra:

·         l’accogliere o non accogliere l’invito al pranzo di nozze,

·         e partecipare al pranzo di nozze.

Nino: Cosa intendi per partecipare?

Pinuccia: Avere l’abito?

Nino: Beh, lasciamo stare le definizioni, cerchiamo di spiegare.

Luigi: Tu dici: io riferisco, cerco di riferire i miei problemi, i problemi del mondo, quello che mi capita a Dio.

Nino: E poi ascolto quello che Dio ha da dirmi…

Luigi: Non riferendosi a questi problemi del mondo, perché Dio ha da riferire qualcosa che non si riferisce ai problemi del mondo, ma a qualcosa che si riferisca a Se stesso.

Nino: Ma quello fa parte della conoscenza di Dio.

Luigi: Certo, in un secondo tempo; che è essenziale perché richiede da parte mia una messa in parentesi di tutti i problemi e argomenti del mondo, anche di buoni, per occuparmi solo di Dio.

Silvana: La vita in Dio ci è data con lo Spirito Santo..

Luigi: Si, l’abbiamo letto adesso: “Noi abbiamo ricevuto lo Spirito”, per che cosa? Perché lo Spirito penetra i segreti di Dio. poi ad un certo momento dice: “Nessuno può conoscere i misteri di Dio se non lo Spirito di Dio”, “Ma noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio” per che cosa? Per penetrare i segreti di Dio. Noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio non per conoscere la sapienza del mondo, come comportarci nel mondo, ma per conoscere i segreti di Dio.

Silvana: Ma questo Spirito che ci viene dato, quand’è che ci viene dato?

Luigi: È rappresentato dalla Pentecoste lo Spirito Santo. È il cammino che si svolge in tutta la partecipazione alla vita del Cristo fino alla morte al nostro io con Lui, commorire con Lui perché questo è il passaggio obbligato; commorire con Lui per risorgere con Lui; risorgendo in Lui cosa succede in noi? Da questo ci accorgiamo che siamo risorti con Lui, se ci interessiamo delle cose del cielo, se ci interessiamo delle cose di Dio. Perché con la morte al mondo, al nostro io, incomincia in noi la morte all’interesse per le cose del mondo. non alla morte al mondo nel senso che usciamo al mondo, non si esce mica dal mondo. Ma incomincia a morire in noi l’interesse per le cose del mondo e incomincia a crescere in noi l’interesse per le cose del cielo. Non diciamo cose di Dio perché tutto è cosa di Dio, ma le cose del cielo, che si differenziano dalle cose del mondo, cioè i segreti di Dio.

Allora in questo cammino che va dalla risurrezione, all’ascensione, fino all’incontro col Padre a Pentecoste “Noi verremo a lui a prenderemo abitazione presso di lui” noi prenderemo coscienza della presenza in noi del Padre e del Figlio. Ed è li che riceveremo lo Spirito, perché lo Spirito Santo è Spirito di Presenza; diciamo che sia coscienza della presenza del Padre e del Figlio in noi, allora questo Spirito qui che è Spirito d’amore, l’amore che fa conoscere tutto, che ci fa penetrare tutto questo mondo finito, “Vi condurrà a vedere la verità completa, la verità totale”.

Angelo: Ascolto…

Luigi: Tutti dobbiamo ascoltare, anche quando parliamo se non ascolti sono guai…

Pinuccia: Nella prima fase della nostra vita, quando noi camminiamo nel mondo, quindi non accettiamo l’invito, non ci interessa l’invito; quando poi siamo ridotti ad una situazione di povertà, accettiamo l’invito, incominciamo a camminare con Dio..

Luigi: Ecco, io vorrei precisare: è la seconda volta che dici accettiamo l’invito. Nella parabola, nella seconda parte, non c'è l’accettazione all’invito, c'è una costrizione, si trovano dentro, perché uno si trova dentro anche se non ha l’abito.

Pinuccia: Quindi quand’è che noi camminiamo, quando abbiamo l’abito, quando abbiamo questa disponibilità (se intendiamo l’avere l’abito, la disponibilità); allora quando abbiamo la disponibilità camminiamo con Dio, perché se non abbiamo l’abito non camminiamo con Dio.

Luigi: Certo.

Pinuccia: Però io non ho trovato nella parabola questo camminare “in”.

Luigi: La differenza sta nell’invito a partecipare alle nozze, e partecipare alle nozze; cioè l’invito a salire nell’appartamento, è la differenza tra l’entrare nell’appartamento, e prendere possesso dell’appartamento.

Pinuccia: Ma chi ha l’abito è già li, partecipa alle nozze.

Luigi: Si può, ad un certo momento, anzi tutti quanti ad un certo momento, siamo nell’appartamento di Dio anche se non abbiamo l’abito di nozze. Perché il regno di Dio viene a noi, tutto è già regno di Dio, noi siamo già nel Regno di Dio, si tratta di prendere coscienza di questo regno di Dio. Noi non ne prendiamo coscienza perché: “Io ho i buoi, i campi, la moglie, abbimi per giustificato, non posso!” quindi non c'è questo…

Arriva ad un certo momento in cui, nonostante l’uomo Dio si afferma; la Verità non dipende mica dall’uomo! Non è perché dico: “Signore, io non mi interesso di Te..” che la Verità di Dio stia lontano da me! La Verità di Dio si afferma indipendentemente da me, è superiore all’uomo, non basta che l’uomo dica: “Dio non esiste” che Dio non esista. Dio esiste anche se l’uomo dice: “Dio non esiste”. Come non succede che l’uomo dica: “Io non voglio morire” che l’uomo non muoia; l’uomo dice: “Io non voglio morire” eppure l’uomo muore.

La volontà diversa si afferma su di noi anche se noi continuiamo a resistere e a dire: “Io non voglio”; anche se dici: “Non voglio!” ad un certo momento lo subisci; subisci anche se non vuoi.

Pinuccia: Ma dov’è che nella parabola si vede la partecipazione?

Luigi: “Andate nei crocicchi e nelle vie e chiamate alle nozze quanti incontrate (“quanti”); e raccolsero cattivi e buoni, e la stanza nuziale si riempì di commensali”; “si riempì”.

Ho detto che questo “raccolsero cattivi e buoni”, va riferito alla parabola di Gesù che dice: “Il Regno di Dio è simile al pescatore che lancia la sua rete in mare e tira a riva la rete piena di pesci, buoni e cattivi…” quindi sono tutti nella rete del Regno di Dio. Quindi ad un certo momento abbiamo i pesci nel mare, arriva la rete (il Regno di Dio) che pesca, che porta a riva e a riva c'è la selezione e i cattivi sono ributtati a mare (il mondo).

Quindi allora abbiamo questo: che il Regno di Dio avvolge, penetra, anche l’uomo che rifiuta il Regno di Dio, si trova dentro.

Questi sono stati d’animo, tappe della nostra vita.

In questa parabola noto sette tempi che sono abbastanza interessanti:

·         il primo tempo è quello dell’invito, “Manda i servi…” (tutto l’universo è servo di Dio che ci invita);

·         dopo l’invito abbiamo il secondo tempo, il rifiuto: “Ma loro non se ne curarono perché avevano altro, se ne andarono che ai propri affari, chi alla campagna; mentre altri sequestrarono addirittura quegli inviati e dopo averli oltraggiati li uccisero”: secondo tempo.

·         Terzo tempo: Dio che cosa fa? Dice che: “Stermina quegli omicidi e mette alle fiamme le loro città”. Cosa vuol dire questo? Che Dio distrugge tutti quei motivi per cui noi ci siamo rifiutati di accogliere l’invito.

Quindi siccome Dio opera tutto per salvarci, abbiamo questo terzo tempo in cui Dio dice: “Tu non accetti l’invito perché hai la campagna? Io ti metto a fuoco la campagna. Tu non accetti l’invito perché hai la città? Io ti metto a fuoco la città!”.

E uccide tutti quei motivi per cui noi…

Cosa succede? Che noi non avendo più motivi, noi ci troviamo necessariamente nel Regno di Dio perché non abbiamo più altri motivi per esistere; ma non basta questo! Per cui abbiamo…

·         il quarto tempo: tutti dentro!

·         quinto tempo: noi possiamo essere dentro ma senza l’abito; cioè se noi non abbiamo interesse; ecco imparare a camminare in Dio, qui abbiamo il camminare in Dio.

Pinuccia: Camminare con Dio dov’è?

Luigi: Il con è già prima! Il con è quando siamo chiamati a partecipare alle nozze…

Pinuccia: Ma rifiutando noi non camminiamo con Dio, camminiamo con il mondo..

Luigi: Tutta questa lezione perché ci viene data? Ci viene data perché noi impariamo ad accogliere la partecipazione. Il Signore parla non per dirci le cose fatte, per dirci le cose come debbono essere fatte! Quindi se ci presenta delle situazioni di rifiuto di partecipazione alle nozze, è perché noi non rifiutiamo di partecipare alle nozze!

Se ci presente un Giuda, è perché noi non abbiamo a diventare un Giuda; o un Pilato, o un Erode; quindi le situazioni sono scene, come le parabole sono scene, sono pedagogia per ognuno di noi; se ci fa vedere un delitto affinché noi non abbiamo ad essere delitto. Perché il Signore ci dice: “Io ti ho fatto vedere la via” e noi dovremmo rispondere: “Signore, io sapevo! Tu mi hai invitato a camminare con te; tu mi hai detto che senza Te io non posso arrivare al Padre”. Lo sapevi! E questo anche se noi rifiutiamo, ci fa sentire la nostra povertà, la nostra miseria, la nostra colpa. Tutto questo però non ci impedisce di entrare nel Regno di Dio se c'è l’abito, cioè se c'è l’anima, se c'è il desiderio di conoscere Dio. Perché noi possiamo anche essere nel Regno di Dio e non avere interesse di conoscere Dio, di penetrare le cose di Dio: ecco allora manca l’abito. “Che cosa ci stai a fare qui se non ti interessa conoscere il Signore?” ecco allora: “Fuori nelle tenebre!”. La situazione ultima, grave, è questa: “Sono molti i chiamati (molti=tutti), ma pochi gli eletti”, quel poco rappresenta sempre la partecipazione personale che richiede quest’anima, cioè questo interesse per conoscere Dio.

Per cui noi possiamo peccare, possiamo bestemmiare tutti i servi (e tra questi servi c'è anche il Cristo) di Dio che giungono a noi per invitarci a partecipare alle nozze e questo ci viene perdonato; ma se noi non abbiamo l’abito, questo non ci viene perdonato, “viene buttato fuori!”. Per cui i motivi della campagna, ecc., possono essere perdonati in quanto Dio dice: “Ah, tu non viene alle nozze perché hai questi impegni qui. Te li tolgo io!” ecco, interviene Lui. Siccome noi non ne eravamo capaci, adesso siamo con Lui; Lui è con noi e ad un certo momento ci fa trovare con Sé, ma a questo punto non è ancora detto che noi abbiamo amore, abbiamo desiderio di conoscere Lui, possiamo voltarci indietro, allora li c'è l’io puro che rifiuta Dio, non ha più altri motivi, altre giustificazioni. È il peccato contro lo Spirito.

Pinuccia: A Dio basta l’interesse, poi il resto lo fa Lui.

Luigi: Certo, però noi abbiamo questa terribile possibilità di pensare a noi stessi.

Angelo: Come possiamo avere l’interesse e rifiutare Dio?

Luigi: È l’io, è il nostro io. non è che noi rifiutiamo così, per niente, è il pensiero dell’io. Perché di fronte a Dio noi dobbiamo mettere Dio prima del mio io e lì arriva il dilEmma: “Sono io che creo Dio o è Dio che crea me?”, cioè “Sono io che penso Dio o è Dio che pensa a me?”. L’io ha questa terribile possibilità perché è un essere cosciente. E siccome è un essere cosciente ha la possibilità di dire: “Io sono”; è questa la tremenda possibilità per cui noi uccidiamo Dio in noi stessi perché possiamo dire: “Io sono” invece di dire: “Dio è”. Noi siamo una conseguenza, ma Colui che è, è Lui non sono io; io non sono niente, Lui è. Lui mi fa essere: ma prima Lui. Noi dovremmo sempre partire da: io non sono il principio, il principio è Lui. Non dobbiamo dire: “Sono io che penso Lui” perché dal momento che dico questo, mi faccio, e all’ultimo credo di essere io il Creatore di Lui. Perché all’ultimo, quando tutto diventa pensiero dico: “Sono io che ho fatto Lui”. Allora bisogna partire da Dio che dice: “IO sono il Principio” e in quanto ti dice: “IO sono il Principio” tu mi devi mettere come Principio. Tutte le parole di Dio sono pedagogia, sono lezioni per ognuno di noi, quindi se Dio mi dice: “Io sono il Principio, perché non mi metti come Principio?”. “Io sono il fine, perché non mi metti come fine al quale tu devi tendere?”. E il peccato dove sta? “Perché tu sapevi, te l’avevo detto. Io sono il Maestro, perché non mi hai ascoltato?”

Nino: Io ho sempre pensato che il peccato contro lo Spirito fosse un atto di superbia, mentre ora penso che sia un peccato di dubbio: “Sono forse io che creo l’illusione dell’esistenza di Dio?”. Per il fatto che è un dubbio io lo assolverei…”

Luigi: Non ne esce più…

Eligio: Può essere un momento della ricerca, ma chi crede non è mai sfiorato dal dubbio..

Luigi: C'è un dubbio che diventa eterno.

Pinuccia: Ma perché non ne esce? Perché rimane un dubbio eterno?

Luigi: Perché è impossibile nel pensiero del nostro io comprendere Dio. Nel pensiero del nostro io noi non possiamo conoscere Dio; non Lo possiamo però annullare, cioè noi non possiamo comprendere Dio nel pensiero del nostro io ma nello stesso tempo non possiamo convincerci che Dio non esiste. Non possiamo distruggerlo perché Dio c'è anche nell’inferno; li c'è il rifiuto, perché dubbio vuol dire copresenza di due, invece nel Regno di Dio si entra con la dipendenza non con la copresenza, non è coesistenza, è dipendenza. Lui prima io dopo, Lui è il Creatore, noi la creatura.

Nino: Il peccato è quando pur avendo il dubbio rifiuti di conoscere Dio.

Luigi: Ma tu capisci che come posso io ritenermi Creatore di me stesso quando non sono capace di creare nemmeno una fogliolina, è assurdo! Ed è proprio questo tutto che mi confonde che mi rende convinto che io sono creatura e non sono Creatore. Se non posso fare una fogliolina, come posso creare Dio?

Nino: Se io fossi Dio non avrei incertezze!

Luigi: Lo stesso fatto che abbiamo dei problemi, proprio quello ci fa toccare con mano che siamo creature, perché non capiamo niente. Se effettivamente noi siamo creature la prima conseguenza è questa: metti sempre prima di tutto Dio, tu sei dipendente da Dio, non devi sottoporre Dio a te, ma tu devi sottoporti a Dio. L’errore fatale di Tommaso è questo: “Se io non tocco, non vedo, non credo!” invece bisogna credere per arrivare a vedere; soltanto credendo, credere che vuol dire mettere prima Lui. Quindi è ascoltando che si arriva a vedere, ascoltando, perché chi mi conduce a vedere è Lui, è il Maestro. Quindi sempre prima Lui, in tutte le cose, e questo è il cielo; perché noi qui in terra abbiamo tante cose che dipendono da noi, per cui noi tocchiamo, esperimentiamo qui in terra, dico: “Questo esiste perché se lo butto per terra si spacca” quindi esperimento quello che voglio; quindi abbiamo tutto un mondo che dipende da noi e questo Dio lo fa per darci la coscienza che ci siamo. E poi abbiamo tutto un mondo che è superiore a noi. Io so perfettamente che tutto ciò che dipende da me, tutto ciò su cui io posso operare, posso tracciare il mio segno, non l’ho fatto io, non so che cosa sia, e non capisco il significato di quello, la ragione della sua esistenza. Per cui il problema è l’altro che me lo mette a disposizione, io scarabocchio, rompo, ma sono io.

Nino: Tutto quello che dipende da noi ad un certo punto ci sfugge di mano..

Luigi: Ad un certo punto Dio ci toglierà tutto, tutto… infatti tutto il mondo che noi attualmente possiamo esperimentare, domani noi non lo potremo più esperimentare, perché Dio ce lo toglierà, e ci confonderà. Tutti quei motivi per cui noi abbiamo trascurato Dio, domani ci rimprovereranno, tutte le creature che noi abbiamo creduto di preferire, di amare al posto di Dio, un giorno ci rimprovereranno, perché ci diranno: “Noi ti avevamo detto che noi non siamo Dio, ma tu ci hai messe al posto di Dio” perché tutto l’universo di Dio, ad un certo momento, rende gloria a Dio e noi saremo confusi dagli idoli che noi avremo adorato. “Ognuno di voi sarà tormentato da quegli idoli che avrà adorato”, dalle nostre colpe. Ecco perché noi abbiamo delle catene che non riusciamo a togliere e che un giorno noi le abbiamo adorate, e poi quando si tratta di toglierle non riusciamo più a toglierle.

Pinuccia: “Legatelo e gettatelo fuori” sarebbero queste le catene?

Luigi: Si, c'è un primo tempo in cui Dio distrugge per salvare l’abito, per salvare l’anima..

Pinuccia: Quello è il settimo momento? Conclude un po’ male…

Luigi: No, il settimo è “Molti sono chiamati ma pochi gli eletti!”, cioè è la partecipazione della vita personale, camminare in Dio; quel “pochi” rappresenta sempre la partecipazione personale. Prima si è massa, la massa è tutta chiamata. Faccio l’esempio del mare, l’acqua del mare è tutta chiamata a vaporizzarsi, solo poche molecole si vaporizzano perché arrivano soltanto a contatto col sole. Quindi abbiamo tutta la massa che è chiamata a partecipare. Ora noi abbiamo tutta la massa uomini, chiamata a diventare uomini, però diventano uomini soltanto quei pochi che… non in quanto siano pochi come numero, ma pochi nel senso come persona. Possono essere anche tutti, però richiede la partecipazione personale, quindi si è sempre soli, la pochezza è questa solitudine; cioè non si può arrivare in massa con Dio.

Il famoso “resto” di Israele, concetto che viene ripetuto nell’Antico Testamento, citato dai Profeti, soltanto un “resto” viene lasciato per essere salvato.

Si parte sempre da una massa da cui si trae qualche cosa di speciale, di qualificato nel Regno di Dio, che viene riservato per il Regno di Dio.

Ma questo qualitativamente diverso è proprio la personalità che partecipa perché: “Ad ognuno sarà dato ciò che avrà voluto avere” personalmente; per cui non basta sentir dire o non basta partecipare; bisogna che personalmente noi ci raccogliamo e ci interessiamo di Dio, perché noi possiamo anche ascoltare: “Tu hai predicato nelle nostre piazze, ti abbiamo sentito, abbiamo mangiato con Te”, “Andate via da Me” dice Gesù.

Noi possiamo anche ascoltare tutta la vita, sentir parlare di Dio, ma poi intimamente non preoccuparci di cercare Dio, non abbiamo l’abito; per cui possiamo anche essere nel Regno di Dio, non avere l’abito perché personalmente a noi fa comodo essere in gruppo, anche se si parla di Dio, ma poi personalmente ci occupiamo di altro o amiamo altro: e allora non c'è l’abito.

Pinuccia: Dato che questa parabola rivela i diversi momenti in cui si trova la nostra anima, perché intendere la finale come “tutti” e “pochi”? Non si può intendere che tutto di noi è chiamato a conoscere Dio, ma solo una parte di noi arriva a conoscere Dio?

Luigi: Certo, è la nostra anima. Perché c'è la morte? Morire cos’è? È perdere tutta la massa per salvare almeno l’anima, il desiderio di Dio.

Pinuccia: Ma intanto è l’anima che si deve salvare, cos’è il resto che si deve salvare?

Luigi: Dio non ha creato niente per la morte, quindi si dovrebbe salvare tutto; anche il corpo perché tutto si recupererà in Dio, tutto; perché in Dio niente è morto, niente si annulla, niente si annulla, in Dio tutto ha la sua funzione, tutto si ritrova, tutto si ricostruisce. Non esiste niente da annullare perché se si annullasse, se si perdesse qualcosa, Dio avrebbe voluto qualcosa per poi distruggerlo? È assurdo! Dio quello che vuole, vuole. San Paolo dice: “Presso Dio non c'è il si e il no; c'è soltanto il si”. Mettiamoci in una situazione di tutto si, cosa troviamo? Niente distrutto. Tutto è ritrovato. Allora perché abbiamo detto che non esiste la morte nemmeno per un istante; non ci sono che due vite? Perché la morte è soltanto un passaggio per salvare il salvabile (massa e pochi gli eletti).

Eligio: Il problema di camminare con Dio essenzialmente coincide con il problema di camminare con la Verità; però non dipende da noi fare la Verità. Quando Dio farà cadere questo diaframma che ci divide da Lui e farà diventare vita in noi questa Verità. Ad un certo punto il rivelarsi di Dio a noi non dipende più da noi, quindi mi viene il dubbio di non riuscire ad arrivare alla meta.

Luigi: Lui si comunica! Lui si comunica! Anche in questo momento si comunica, Lui si comunica sempre! Si comunica ancora prima che noi riusciamo a capirlo, inconsciamente. Perché Lui è con noi anche quando noi non siamo con Lui; ora come può Lui essere con noi ancor prima che noi siamo con Lui? Vuol dire che Lui fa sentire la sua presenza, il suo richiamo però c'è un divario tra Lui con noi e noi con Lui. Per cui ho detto che tutto il nostro travaglio è quello di poter essere con Lui come Lui è con noi. Quindi Lui è con noi con una certa sovrabbondanza, noi siamo sempre in difetto: è li il travaglio. Questo travaglio da cosa dipende? Dipende dal nostro io che pesa, dipende da tutte le cose alle quali noi ci siamo legati, e con le quali abbiamo tradito precedentemente e naturalmente tutte le nostre opere ci dominano, ci condizionano, ci precedono addirittura nei passi della vita. Tutte le cose che noi abbiamo detto senza di Lui o fatte senza di Lui, non le perdiamo mica, sono poi convertite ad un certo momento con Lui, perché facendoci toccare con mano il nostro fallimento, la nostra povertà, la nostra miseria, ci legano molto in amore a Lui perché ci fanno capire quanto senza di Lui noi siamo deboli, noi manchiamo, noi tradiamo. Allora capito questo, quando ho capito che senza di Lui io mi distruggo, sono la mia stessa rovina, non mollo più Lui. Quindi cosa succede? Che i miei tradimenti, i miei peccati, le mie colpe precedenti, diventano motivo di maggior legame, mi uniscono di più.

Nino: Quello che hai detto adesso non è in contraddizione con il fatto che noi diventiamo figli delle nostre opere?

Luigi: Certo, è Gesù che lo dice: “Chi fa il male resta schiavo di esso”; per cui se noi non sfociamo in Dio, noi restiamo solo soggetti al nostro male, chiusi nel nostro male e questo ci isola e può durare eternamente; se noi invece sfociamo in Dio, anche il nostro male diventa motivo di maggior amore perché tutto viene convertito in amore e viene annullato il peccato. Sant’Agostino ringraziava il Signore per tutte le colpe commesse e anche per quelle non commesse perché tutto quanto era servito per aiutarlo. Però dico che questo è Dio che ha la potenza di trasformare il male in bene, però è Dio non noi. Se noi troviamo Dio, Dio trasforma anche i nostri mali in motivo di maggior amore, in motivo di ben; se noi non troviamo Dio restano solo i mali, perché noi non possiamo uscire dalle nostre colpe. Nella casa che abbiamo edificato, in quella abiteremo.

Eligio: Tutte le volte che noi desideriamo ardentemente cercare la Verità, noi troviamo anche un altro abito..

Luigi: Ecco questo è un argomento che potremmo approfondire in un altro incontro che è molto interessante: molte volte noi diciamo: “Desideriamo…” ma sappiamo veramente quello che vogliamo? Molte volte noi crediamo di desiderare, ma sono soltanto pii desideri perché abbiamo desiderio di avere quello, ma senza spendere il denaro per comprare quello. “Ah come mi piacerebbe avere quello!”, lo sogno; “Mi piacerebbe andare alle Hawaii” ma vuoi pagare il prezzo per andarci? Se effettivamente voglio una cosa, allora sono disposto a fare il sacrificio per averla. Ci sono delle figure nel Vangelo molto interessanti riguardo a questo argomento:

·         prima di tutto abbiamo l’esempio del paralitico nella piscina di Betesda al quale il Signore dice: “Vuoi essere guarito?” e lui risponde: “Ma io non ho nessuno che mi immerga quando l’acqua si agita!”; quindi noi possiamo non sapere quello che vogliamo; possiamo volere la guarigione ma far conto sugli uomini sui mezzi umani “..non ho qualcuno che …”.

·         La figura del giovane ricco: lui sa quello che vuole, la vita eterna, la chiede e Gesù gli dice: “Va, vendi tutto quello che hai. Poi vieni e seguimi!”. Qui abbiamo un desiderio, ha un desiderio, però posto di fronte, molla. Quindi vedi che noi possiamo avere dei desideri?

·         Poi abbiamo la figura più sublime che è il cieco di Gerico: sa quello che vuole, resiste alla pressione della folla che vuole che taccia, quindi resiste alla pressione del mondo, ed è tutto disponibile appena il Signore lo chiama: “Lascia il tuo mantello…”. “Signore che io veda!”; “Cosa vuoi?”, “Signore che io veda”: luce.

Quindi vedi che abbiamo situazioni molto diverse: noi possiamo far conto di arrivare con i mezzi umani, possiamo far conto su Cristo, sulla conoscenza di Dio, ma non vogliamo perdere quello, possiamo volere questo ed essere disposti a superare tutto il mondo e allora otteniamo: “Guarda, la tua fede ti ha salvato!”.

Abbiamo diversi gradi di desiderio di volontà in noi, partiamo dal pio desiderio, poi passiamo al volere facendo conto su altro e poi vogliamo facendo conto su Dio e otteniamo.

É come entrare in un negozio, voler comprare un abito ma non voler pagare il prezzo per aver quell’abito li. E non ci rendiamo conto che non pagando, ci impediamo, non è che Dio non ce lo dia, Dio ce lo darà, ma noi ci impediamo di gustarlo perché non l’abbiamo pagato.

Pinuccia: L’abito ci è dato, il prezzo sarebbe l’interesse per averlo, quindi dobbiamo lasciare gli altri interessi: il prezzo è quello!

Luigi: Si, perché nella misura in cui lasciamo… e non si tratta di lasciare materialmente, si tratta di lasciare spiritualmente perché ho tanto interesse. Io vado a casa, non ho niente da fare, in questo preciso istante scelgo qualche cosa: è li che rivelo dove è il mio interesse. Io posso prendere una rivista pornografica, posso accendere la radio, posso prendere il Vangelo. Dov’è il tuo interesse? É li che lo rivelo, in quanto metto prima.

Nino: Può essere ancora un sogno, perché puoi avere l’interesse, però poi non rinunci, non paghi.

Luigi: No, perché in tanto che io mi dedico a questo ho già pagato una parte del mio tempo, perché in questo tempo io potevo leggere la rivista pornografica, o leggere il Vangelo, quindi ho consacrato un po’ di tempo e un po’ di pensiero. Più leggo il Vangelo, più quello mi impegna e mi dà però anche la grazia per altre scelte più impegnative; ad un certo momento magari dedico tutta la mia vita, tutto il mio mondo. Non è che uno dica: “Ah, ma io aspetterò ad aprire il Vangelo quando avrò cambiato…”, sogno.

Siamo sempre nell’argomento della fedeltà nel minimo, quel minimo in cui noi attualmente noi possiamo essere fedeli. Per cui noi possiamo essere fedeli magari per cinque minuti o per ventiquattr’ore; se noi dimostriamo questa fedeltà in questi cinque minuti qui, allora il Signore ci darà la grazia per essere fedeli per dieci minuti, e poi un quarto d’ora, e poi mezz’ora, e poi tutta la giornata. Ma se io dico: “Ah mi occuperò di Dio quando avrò tutta la giornata disponibile per Lui” questo è sogno, non arriverai mai, perché ,………… il Signore ti osserva, perché tu attualmente sei impegnato per i tuoi doveri, per tante cose, non puoi sganciarti, per ventitre ore e cinquantacinque minuti: Dio ti osserva nei cinque minuti; in quei cinque minuti in cui tu puoi disporre di te. E come li disponi? Ognuno di noi, nel tempo che ha disponibile, rivela il suo amore, rivela ciò che ha messo prima di tutto nella sua vita. Tutto il resto non ce l’ha disponibile, glielo hanno portato via gli altri: glielo ha portato via il mondo, glielo ha portato via le nostre debolezze, non è disponibile, ma in quei cinque minuti in cui è disponibile: “Ah mi occupo di questo…”, vado subito li, allora si.

Chi è fedele nel poco, poi Dio lo chiama ad essere fedele nel molto, gli amplia gli spazi, lo libera: la liberazione avviene cosi. Ma è Dio che libera, mica noi. Se siamo fedeli nel poco.

Emma: Dobbiamo sempre dire: “Siamo servi inutili”….

Nino: Siamo fedeli nel molto poco…

Eligio: Vorrei esporre un problema sull’escluso dal banchetto per l’abito.

Luigi: “Amico come sei entrato senza indossare l’abito per le nozze? E quegli ammutolì…”, non ha niente da dire, non ha giustificazioni…

Nino: Perché tutto quello che ha fatto l’ha fatto Dio per lui, lui non ha fatto niente…

Luigi: Certo; cos’è che non hai capito?

Eligio: Mi fa strano la partecipazione, l’entrata alle nozze senza avere l’interesse…; perché si trova li?

Luigi: Ecco è appunto quel fatto li; perché noi ci troviamo nel Regno di Dio? Noi possiamo essere nel Regno di Dio o crediamo di essere nel Regno di Dio, perché il Regno di Dio esiste indipendentemente da noi e si impone su di noi, non siamo noi che lo facciamo…

Eligio: Ma il Regno di Dio pensiamolo come realmente è: come realtà interiore..

Luigi: Infatti lui è cacciato nella realtà esteriore, non lo può portare…; è stato costretto ad entrare nel Regno di Dio, ma non può sopportarlo. In tutte quelle tenebre esteriori, c'è tutto il Regno di Dio, ma il Regno di Dio non capito, perché noi capiamo sempre in relazione al nostro interno. Quindi se il mio interno è vuoto, sono nell’impossibilità di assimilare, di capire il mondo esterno e allora sono gettato nel mondo esterno. E questo cosa vuol dire? Che anche il mondo esterno mi penetra dentro, mi domina, ma io non lo comprendo. Tenebre esteriori vuol dire che non c'è luce interiore, perché chi ha la luce interiore, anche le tenebre esteriori diventano tutte illuminate, diventa tutto luce, diventa tutto Regno di Dio, ma chi ha la notte dentro, anche tutto il mondo esteriore diventa tenebroso.

C'è un racconto tratto dalla sapienza indiana che dice che appena l’uomo muore, la sua anima viene portata di fronte alla luce di Dio, che è una luce fortissima che l’uomo non riesce a sopportare e allora si allontana, si allontana, si allontana, e si ferma soltanto a quella distanza in cui riesce a sopportare la luce; questo per spiegare la capacità di assorbire la luce.

Infatti il Signore dice: “Ho tante cose da dirvi ma per ora non le potete portare”.

Quindi cos’è che ci rende capaci di portare, come si forma in noi questa capacità di portare?

È questa apertura per cui il nostro io siccome da solo è assolutamente incapace di portare, per cui deve scappare, deve fuggire nelle tenebre esteriori; non sta. Non è che Dio lo butti fuori. Ci sono pecore di Dio e pecore del mondo, noi siamo tutti pecore, o in un modo o in un altro: o siamo pecore di Dio o siamo pecore del mondo. Le pecore del mondo si trovano bene nel mondo, ma se tu porti una pecora del mondo nel Regno di Dio, scappa, non può sopportare il Regno di Dio. In un primo tempo scappa, si ribella ma poi deve scappare, non può sopportare. Tu prendi le pecore di Dio, invece nel Regno di Dio ci stanno molto volentieri e si trovano bene, invece nel mondo si trovano smarrite. Per cui Dio arriva a raccogliere le sue pecore che sono smarrite, non è che arriva per tutti, non arriva per le pecore del mondo perché non sono mica smarrite nel mondo, sono smarrite nel Regno di Dio.

Pinuccia: Basta l’apertura a questo interesse, poi fa tutto Lui…

Luigi: Si, però guarda che anche l’interesse è tutta opera Sua, noi non possiamo avere interesse se non ascoltiamo Lui, Lui in un modo o nell’altro ci fa giungere il Suo richiamo, la sua grazia, il suo interesse. Con Lui, se io penso Dio, immediatamente si forma in me il desiderio di Dio, il problema di Dio: mi smuove la acque. Se non penso Dio le mie acque stagnano e allora incomincia a venir meno il desiderio di Dio. I medici dicono che quando uno è esaurito, e non sente più il bisogno di mangiare la situazione è molto grave. Ora, noi arriviamo al punto in cui non sentiamo più il bisogno di mangiare le cose di Dio, non desideriamo più; ecco l’anima che muore, perché l’anima è desiderio di Dio. Ma arriva al punto in cui l’anima non desidera più: l’anima è morta. Noi diciamo molte volte: “L’anima morta!” cosa vuol dire anima morta? É il desiderio che si spegne. Questa è una cosa da chiarire: l’anima è essenzialmente desiderio di Dio, e tutti noi abbiamo desiderio della Verità. “Niente l’uomo desidera – dice Sant’Agostino – quanto la Verità, e niente maggiormente l’offende quanto la menzogna”. Come mai l’uomo è offeso dalla menzogna? Appunto perché niente lo interessa di più quanto la Verità; però questo desiderio di Verità, l’uomo lo può perdere, moltiplicando i suoi amori, cioè ad un certo punto non sente più attrattiva per Dio. È talmente sollecitato dai problemi del mondo, dagli affanni, dalle preoccupazioni, per cui Dio diventa lontano, diventa una cosa astratta, che non prende più. Ecco allora diciamo: “L’anima morta!”, morta perché è desiderio spento; prima si allontana, poi diventa fievole e poi si spegne. Ed è la tragedia dell’uomo! Per cui l’importante non è moltiplicare gli amori, ma è potenziare un amore unico. Quanto più uno potenzia un amore unico, tanto più in quell’amore unico li ritroverà tutto. Ma se uno moltiplica gli amori credendo, moltiplicando gli amori, di avere tante cose, perde anche la capacità di amare. E la tragedia è li; infatti il Signore dice: “Cosa vale conquistare tutto il mondo se poi perdi l’anima?”. Tu puoi conquistare il mondo e perdere il desiderio, perdere il desiderio di amare, di conoscere Dio, e conoscere la Verità. Ecco la molteplicità di amori, che non è una somma, non è una potenza, ma è una dimensione. Per cui la nostra preoccupazione deve essere quella di potenziare un unico amore, e l’amore si potenzia conoscendolo. Quanto più noi cerchiamo Dio, conosciamo Dio, tanto più questo ci convince; perché il mondo delude: “Ah, se avessi capito!”, “Ah, se avessi conosciuto!”, ecco deluso. “Credevo questo.. e invece!”, per cui troviamo la delusione, ed è opera di Dio. Invece quanto più noi cerchiamo Dio, tanto più Dio conferma, perché Dio opera confermando. Più uno è confermato, e più cresce nell’amore, perché è un amore che convince, cioè che lega sempre di più. Lo fa crescere fino a quella potenzialità tale da poter portare l’infinito Suo.

Eligio: I cattivi che rimangono al banchetto sono coloro che, pur avendo molte debolezze hanno mantenuto l’interesse, quindi hanno l’abito?

Luigi: Si, certo.

Pinuccia: Le nozze sono con il Figliolo; fino ad un certo punto sembra che noi partecipiamo alle nozze di altri, poi il camminare in Dio ci trasforma in sposi della verità come dice Giovanni Battista: “Lo sposo è colui che ha la sposa”, che siamo chiamati tutti a diventare sposi della verità. Sarebbe questo? Cioè le nozze è la chiamata a diventare figli?

Luigi: Si.

Pinuccia: Allora questo camminare in vuol dire essere mossi da Dio, motivati da Dio?

Luigi: No, camminare in è desiderare conoscere Dio, cioè penetrare nelle cose di Dio. È quello che ho letto nella prima lettera ai Corinzi: “Lo Spirito di Dio penetra tutti i segreti di Dio perché è Spirito d’amore” e lo Spirito d’amore desidera conoscere. Allora noi camminiamo in Dio quando mettiamo in parentesi tutti gli altri argomenti, tutti gli altri problemi, li accantoniamo, non ci pensiamo, e ci isoliamo nel Pensiero di Dio per cercare di capire qualcosa di Dio, per conoscere qualcosa di Dio, soli con Dio; allora li siamo in Dio, si cammina in Dio.

Quand’è che si cammina in Dio? quando a tu per tu con Dio, per cui uno non ha più nessun altro problema; non è che cerchi altri problemi in Dio, o i problemi del mondo in Dio o il problema del nostro io in Dio; no! Si cerca soltanto di capire che cosa è Dio, di conoscere Dio, naturalmente con Lui, è logico!

Nino: Ma non ha mica detto una cosa sbagliata, perché ha detto che a quel punto è Dio che ci porta a conoscere, noi abbiamo fatto tutto quello che abbiamo potuto…

Pinuccia: È una fase successiva quella di essere mossi da Dio, è un ritorno al mondo...

Luigi: Si, li poi si giunge a conoscere il Padre in noi, “Il Padre vi ama” Gesù dice, vuol dire che il Padre vuole concedersi, il Padre vuole: “Non c'è niente di nascosto che non debba essere conosciuto!”. Quindi il Padre vuole manifestarsi. Sant’Agostino dice nei discorsi accademici: “Non dobbiamo dire che la Verità è inconoscibile, ma che la Verità è accessibile, perché Dio vuole essere conosciuto”. È accessibile con Dio, è logico, altrimenti Gesù non avrebbe detto: “Dove Io sono voi non potete venire”, quindi l’uomo da solo no! Nel pensiero del suo io l’uomo non può conoscere Dio, ed è assurdo che l’uomo lo potesse conoscere, altrimenti Dio dipenderebbe dal nostro io. ecco, Dio è trascendente, è sempre trascendente, in quanto è trascendente fa giungere al pensiero del nostro io il richiamo a superarsi per fermarsi con Lui. Per cui è necessario rimanere con Lui per arrivare a camminare in Lui, a penetrare Lui.

L’appartamento: è necessario salire le scale per arrivare all’appartamento, poi una volta dentro, è necessario camminare nell’appartamento, cioè conoscere tutto l’appartamento…

Pinuccia: E poi c'è un’ottava fase che è il ritorno al mondo…

Luigi: Allora poi abbiamo la fase in cui con Dio ci, perché ho detto che niente va perso, allora abbiamo il punto discendente, arrivati sulla cima della vetta, si guarda tutto il sentiero percorso, tutte le diverse fasi, per capire tutto quello che si è fatto. Allora si vede in Dio la giustificazione di tutte le cose, per cui si ringrazia, si loda Dio: ecco la lode di gloria a Dio! Per tutto quello che è avvenuto nella nostra vita, per tutte le cose che ha fatto, perché tutte le cose le ha fatte per farci arrivare a quel punto.

Dal Libro di Tobia capitolo 13

Allora Tobia scrisse questa preghiera di esultanza e disse:

Benedetto Dio che vive in eterno

il suo regno dura per tutti i secoli;

Egli castiga e usa misericordia,

fa scendere negli abissi della terra, fa risalire dalla grande Perdizione

e nulla sfugge alla sua mano.

Lodatelo, figli di Israele, davanti alle genti;

Egli vi ha disperso in mezzo ad esse

Per proclamare la sua grandezza.

Esaltatelo davanti ad ogni vivente;

è Lui il Signore, il nostro Dio,

lui il nostro Padre, il Dio per tutti i secoli.

Vi castiga per le vostre ingiustizie,

ma userà misericordia a tutti voi.

Vi raduna da tutte le genti, fra le quali siete stati dispersi.

Convertitevi a Lui con tutto il cuore e con tutta l’anima,

per fare la giustizia davanti a Lui,

allora Egli si convertirà a voi

e non vi nasconderà il suo volto.

Ora contemplate ciò che ha operato con voi

E ringraziatelo con tutta la voce;

benedite il Signore della giustizia

ed esaltate il re dei secoli.

Io gli do lode nel paese del mio esilio

E manifesto la sua forza e grandezza a un popolo di peccatori.

Convertitevi, o peccatori, e operate la giustizia davanti a Lui;

chi sa che non torni ad amarvi e vi usi misericordia?

Io esalto il mio Dio e celebro il re del cielo

Ed esulto per la sua grandezza.

Tutti ne parlino

E diano lode a Lui in Gerusalemme.

Gerusalemme, città santa,

ti ha castigata per le opere dei tuoi figli,

e avrà ancora pietà per i figli dei giusti.

Dà lodo degnamente al Signore

E benedici il re dei secoli;

Egli ricostruirà in te il suo Tempio con gioia,

per allietare in te tutti i deportati,

per far contenti in te tutti gli sventurati,

per tutte le generazioni dei secoli.

Come luce splendida brillerai sino ai confini della terra;

nazioni numerose verranno a te da lontano;

gli abitanti di tutti i confini della terra

verranno verso la dimora del tuo santo nome,

portando in mano i doni per il re del cielo.

Generazioni e generazioni esprimeranno in te l’esultanza,

e il nome della città eletta durerà nei secoli.

Maledetti coloro che ti malediranno,

maledetti saranno quanti ti distruggono,

demoliscono le tue mura,

rovinano le tue torri

e incendiano le tue abitazioni!

Me benedetti sempre quelli che ti ricostruiranno.

Sorgi ed esulta per i figli dei giusti,

tutti presso di te si raduneranno

e benediranno il Signore dei secoli.

Beati coloro che ti amano

Beati coloro che gioiscono per la tua pace.

Beati coloro che avranno pianto per le tue sventure;

gioiranno per te e vedranno tutta la tua gioia per sempre.

Anima mia, benedici il Signore, il gran re,

Gerusalemme sarà ricostruita

Come città della sua residenza per sempre.

Beato sarò io, se rimarrà un resto della mia discendenza

Per vedere la tua gloria e dar lode al re del cielo.

Le porte di Gerusalemme

Saranno ricostruite di zaffiro e di smeraldo

E tutte le sue mura di pietre preziose.

Le torri di Gerusalemme si costruiranno con l’oro

E i loro baluardi con oro finissimo.

Le strade di Gerusalemme saranno lastricate

Con turchese e pietra di Ofir.

Le porte di Gerusalemme risuoneranno di canti di esultanza,

e in tutte le sue case canteranno: “Alleluia!”

benedetto il Dio d’Israele

e benedetti coloro che benedicono il suo santo nome

per sempre nei secoli!”



Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti. Chi è della terra appartiene alla terra e parla della terra. Ma chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Gv 3 Vs 31 Quarto tema


Titolo: La nostra salvezza è nel Verbo Incarnato.


Argomenti: Superare le nostre conoscenze – Si desidera ciò che non si ha – La novità continua di Dio – La soddisfazione di ciò che si ha – Afferrarci alla Parola – Parole di uomini e Parole di Dio – Riconoscere la Parola di Dio – La parola ci conduce a una presenza – Essere sempre con Dio – Tutto è vangelo – Il sì eterno di Dio – La salvezza in Cristo – Dedicarsi a una cosa sola – L’isolamento dal mondo – L’accessibilità di Cristo – La conclusione dell’opera di Dio – Cristo vertice dell’universo – Tutti arrivano a Cristo – Il prezzo da pagare – La distruzione di Gerusalemme -


 

1/Maggio/1977


Lettura del riassunto dell’incontro della Domenica 27 marzo:

 

In quella domenica si sono letti i riassunti del Capitolo 3 di San Giovanni dal versetto 18 al versetto 30 e ci siamo fermati su alcuni concetti.

Abbiamo precisato il concetto di: fare la Verità; Gv.3,21.

Fare la verità al nostro livello, poiché non la conosciamo, significa cercarla, avvicinarci ad essa; essere mossi da essa, attratti da essa, è un ubbidire alla volontà di Dio.

In quanto ci muoviamo verso Colui che ci chiama, e che ci dice: “Cerca prima di tutto Dio”, noi già facciamo la sua volontà.

Se invece siamo mossi dall’io, questo controbilancia l’attrazione della verità e ci fermiamo alla superficialità, cioè operiamo malamente.

Per questo, pur essendo attratti da Dio, è necessaria la penitenza, perché portiamo il peso delle nostre opere.

Penitenza vuol dire far violenza su noi stessi, vendere tutto per poter essere disponibili all’essenziale; è un problema di scelta: un lasciare per partire, per cercare la verità.

“Chi fa la verità si mette in luce”, dice Gesù e giunge alla luce.

Cercare la verità non vuole ancora dire possedere la verità; chi cerca la verità ha incominciato a fare la verità, ma ogni passo che facciamo verso di essa, è Dio che l’ha fatto in noi, quindi la verità è fatta.

È un cammino, più progrediamo, più questa verità si fa in noi, “E’ necessario che Lui cresca e che io diminuisca”.

Noi siamo immersi nelle proposte di Dio, il male è sempre un non rispondere ad esse, un dimenticarle e questo succede quando siamo nel pensiero dell’io.

Il male sono io che lo faccio in quanto non cerco Dio, mi rifiuto, esco dall’attrazione.

Invece in una minima adesione alle proposte di Dio, non sono io che opero ma la grazia di Dio.

Se noi fossimo capaci a restare in questa grazia, essa è talmente operante che ci porterebbe nel possesso della verità infinita, ma noi non dobbiamo voltarci indietro, né ripiegarci, né chiuderci, né pretendere, ma essere aperti, perché la verità esige sempre superamento perché Dio è novità continua.

Gli altri argomenti trattati nel discorso di Giovanni Battista sono una ripetizione degli argomenti che Gesù già trattò con Nicodemo.

 

Il concetto chiave è quello del crescere, del far crescere.

Vivere è sempre un far crescere qualcosa; la vera vita sta nel far crescere Dio.

Ma finché siamo nel pensiero dell’io corriamo il rischio di far crescere cose che passano. La grande saggezza terrena, quella di Giovanni Battista è capire quello che bisogna far crescere in noi.

Dato che in noi portiamo tutto un mondo che deve diminuire, dobbiamo accettare da Dio le lezioni della vita che ce lo diminuiscono; perché bisogna che sia Lui a crescere: è questione di giustizia e di verità; è solo una premessa per entrare.

La vita ci è data per far crescere Dio: “L’anima mia magnifica il Signore”, lo dovremmo ripetere sempre per fare la verità, per essere sul cammino della verità.

L’amore è desiderio di far crescere l’Altro. Cristo quando dice: “Rinnega te stesso” ti impegna a potenziare un unico desiderio; Budda invece, soffocando ogni desiderio, soffoca la vita, l’uomo. Gesù ci impegna cioè a mettere in alto il Pensiero di Dio, dedicandoci a Dio. E’ solo volendolo prima di tutto che a poco a poco mi avvicino a Lui e Lo faccio crescere in me.

Solo subordinando tutto a Dio, entriamo nella Casa di Dio, nel Tempio di Dio e facciamo l’esperienza della sua Presenza.

 

Riassunto dell’incontro della Domenica 3 Aprile:

 

Pinuccia: Ci siamo fermati sul versetto 31 del capitolo III: “Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti”.

Si è iniziato con alcune domande.

 

Domanda: Sorge una contestazione a proposito del battesimo di Giovanni Battista e quello di Gesù; che differenza c'è tra questi due battesimi?

Luigi: Battesimo significa immersione in, orientamento a, quindi purificazione di vita, giustizia essenziale, Dio al centro. Il rito è simbolo di tutto questo. Il battesimo di Giovanni Battista è ancora un invito ad un modo di essere, a compiere la giustizia essenziale (cioè la funzione del bidello che invita all’attenzione). Il battesimo di Gesù è rivelazione, dà la conoscenza.

 

Domanda: Perché al versetto 31 dice: “Nessuno accetta la sua testimonianza” e poi al versetto 32 dice: “Chi accetta la sua testimonianza”?

Luigi: Già nel Prologo leggiamo: “I suoi non lo ricevettero” e poi “… chi lo ricevette”. Nel frasario di Giovanni c'è sempre prima l’esclusione perché dobbiamo convincerci che tutti quanti partecipiamo di questo rifiuto e uccisione del Cristo; ma ci presenta subito dopo l’azione di recupero da parte di Dio e la possibilità di ravvedimento della creatura. In questa colpa che è di tutti, qualcuno rinsavisce, accetta, accoglie la luce. Questo perché nessuno abbia a vantarsi o a credersi differente dagli altri o giusto.

 

Domanda: Uccidiamo il Cristo senza saperlo, infatti Gesù dice: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” e allora dove sta la nostra responsabilità?

Luigi: La nostra responsabilità sta a monte, nel rifiuto di conoscere, nel mettere prima di tutto la ricerca di Dio perché, e qui si entra nell’argomento di questo incontro, “Chi viene dal cielo è al di sopra di tutto”. Ma siamo convinti noi che chi viene dal cielo e mi parla delle cose del cielo è superiore a tutto? È superiore chi ha maggiore autorità e ha maggiore autorità chi risponde alle vere esigenze di luce e amore della creatura, cioè chi ci salva.

Allora, chi viene dal cielo e parla delle cose del cielo, dovrebbe essere al centro dei nostri interessi, dovrebbe essere il movente di tutto e dovremmo farlo grandeggiare talmente fino ad includervi la nostra terra. Ma come mai allora scegliamo quello che vale di meno, cioè la terra? È il pensiero dell’io che capovolge i valori e ciò che ci fa restare nell’ignoranza è questa ingiustizia di fondo. È scontato che se non metto il cielo prima di tutto, farò cose che non so e uccido il Cristo senza saperlo.

Solo mettendo il Pensiero di Dio prima di tutto e non in conseguenza dell’io, Lui si manifesta, si diventa figli di Dio; si entra nel regno di Dio e si fa entrare tutta la nostra terra nel cielo. La prova definitiva sta nel superamento dell’io, perché posso non superarlo nemmeno in punto di morte, quando constato che tutto è niente.

Nel cielo e nella terra abbiamo una grande significazione: il cielo rappresenta il nostro mondo superiore non sperimentabile, la terra rappresenta il nostro mondo inferiore sperimentabile da noi perché dipende da noi e ha quindi per centro il nostro io.

Il mondo che ci salva è quello superiore, perché ci obbliga al superamento dell’io; invece quello inferiore gonfia l’io.

Per questo il mondo superiore è più importante di tutto e va messo prima di tutto, perché è il mondo che ci salva; dobbiamo però svilupparlo tanto fino ad includerlo nel mondo inferiore, cioè fino a scoprire che, partendo da Dio, anche ciò che crediamo sia opera nostra, e che dipende da noi, è opera di Dio: cioè sono io pensato da Dio.

È necessario che il cielo cresca e che la terra diminuisca: la terra deve diminuire tanto da diventare tutta cielo.

DIO opera e ci sollecita attraverso le prove, le lezioni della vita, per farci progredire in questa scelta di Dio prima di tutto e nella conoscenza, perché vuole portarci a conoscerLo come Lui ci conosce. Ma ci vuole la penitenza perché siamo condizionati dagli sbagli precedenti, i quali però in Dio, si possono trasformare in bene, per cui diventano motivo di maggior amore e unione a Lui.

Infatti, dopo aver sperimentato le conseguenze delle azioni motivate dall’io, e dopo aver scoperto l’importanza di essere mossi da Dio, si sta bene attenti ad avere come unico movente il cielo, perché “Chi viene dal cielo è superiore a tutto”.

 

Domenica di Pasqua 10 Aprile:

 

C'è un secondo gruppo di discepoli di Giovanni Battista che facendo consistere la vita in una regola, un rito, ed essendo legati alla persona di Giovanni Battista, suscitano una contestazione per il fatto che tutti vanno da Colui a cui il Battista aveva reso testimonianza.

Giovanni Battista li mette in posizione di giustizia rispondendo: “L’uomo nulla può prendere se non ciò che gli è stato dato dal cielo”. Cioè tutto viene da Dio, quindi è Dio che manda tutti da Lui.

E poi dice: “Riconoscete che io ho detto: Io non sono il Cristo, ma sono stato mandato dinanzi a Lui” e questo è quanto ci dicono le creature; quindi non dobbiamo trasformare né noi, né esse in luce.

Inoltre, dato che i suoi discepoli hanno portato Giovanni Battista e Gesù sul piano della rivalità come se si trattasse di due sposi, di due messia, Giovanni Battista aggiunge una breve parabola per distinguere lo sposo dall’amico dello sposo; sposo è colui che ha la sposa e resta con la sposa.

Sposa dell’anima è lo Spirito, quindi il Messia è Colui che ha lo Spirito di Dio, la permanenza dello Spirito. Giovanni Battista battezzando Gesù ha visto lo Spirito scendere e restare su di Lui, invece in noi creature lo Spirito va e viene, siamo instabili, non siamo ancora sposi della Verità, ma siamo chiamati a diventare sposi in, permanenti nella Verità.

Ciò che caratterizza lo sposo, il Messia dagli uomini, è il fatto che avendo in Sé lo Spirito, cioè la sposa, ci parla delle cose di Dio; per questo, come dirà dopo: “Chi viene dal cielo è superiore a tutti”, perché solo chi è nel cielo può portarci nel cielo. Solo Colui che resta nello Spirito può darci lo Spirito, renderci stabili, annunziandoci quello che ha visto e udito, dandoci cioè la conoscenza del Padre. “L’amico dello sposo, - aggiunge – che gli sta vicino e che lo ascolta, prova la gioia più viva per la gioia dello sposo. Questa è la mia gioia, ed è completa”.

Giovanni Battista non invidia, perché non pensa a sé, anzi, si rallegra per l’opera di Dio; tanto più che la sua missione, era appunto quella di convogliare tutti al Cristo, per cui non desidera che far crescere Lui: “Bisogna che egli cresca e che io diminuisca; perché Lui che viene dal cielo, è al di sopra di tutti”.

Perché solo Lui che è nello spirito può darci lo Spirito. Chi ascolta la sua testimonianza con ciò suggella che Dio è verace. Cioè solo riconoscendo l’opera di Dio, aderendo all’opera di Dio in tutto, si rende testimonianza a sé e agli altri della Verità di Dio. la testimonianza a Dio la si rende sempre quando si lascia fare a Dio.

 

         (Seguono alcune domande e riflessioni).

 

Domanda: Come si può fare per evitare l’invidia?

Luigi: Per evitare l’invidia, il principio è questo: tutto è opera di Dio, tutto è dono di Dio in noi e negli altri; è il superamento dell’io, per questo fintanto che non si supera l’io non si potrà mai risolvere i problemi sociali e di giustizia; perché se non si fa la vera giustizia, Dio al centro, non si fa altro che suscitare dei problemi sempre più grossi perché l’io è accentratore e strumentalizza. L’unica via è quella del superamento dell’io e di mettere Dio al centro (Antico Testamento), poiché esasperando i problemi umani che sono espressione dell’io, si distoglie l’uomo dal vero problema e dalla vera via della liberazione. La vita non sta nei beni che si possiedono.

 

Domanda: Che significato dare alla permanenza di Giovanni Battista vicino a Gesù in Giudea, dal momento che la funzione del Battista era quello di segnalarlo?

Luigi: E’ un fatto transitorio, perché Giovanni Battista non permane; ma se noi non passiamo al Cristo, perdiamo entrambi, tutto. Cosi seguendo il Cristo dovremo passare dal Cristo al Padre. Tutto è segnalazione, quindi in quanto tale è invito a fare Pasqua, a passare con Cristo alle cose del cielo. Le due figure, Giovanni Battista e Gesù, coesistono transitoriamente in quanto l’Antico Testamento ci segnala il Messia, dopo aver formato in noi la fame di Dio, ma finché fraintendiamo il messaggio del Cristo e riteniamo che la salvezza stia nelle regole, rimaniamo legati a Giovanni Battista, il quale però troverà il modo di convogliarci al Cristo: “Va a mio nome”. L’opera del Battista è di convogliare al Cristo, è la terra che fa crescere il cielo. Quando la sua missione è finita, allora Dio muove tutto e avviene il delitto. È Dio che determina i tempi, anche il tempo della nostra morte; cioè quando abbiamo risposto tutto quanto potevamo.

 

Domanda: Come mai una ricompensa cosi terribile per Giovanni Battista, che significato ha come segno?

Luigi: Quanti santi sono stati uccisi! “E’ necessario che il seme muoia”. Ciascuno ha una sua lezione da dare; Dio ci dà tante lezioni diverse, perché se ce le desse tutte uguali, per esempio se facesse stare bene tutti i buoni, noi che tendiamo a scivolare nelle regole, potremmo seguire Dio per i suoi doni, e ci danneremmo perché non usciremmo dal pensiero dell’io. Attraverso lezioni diverse Lui ci fa capire che non dobbiamo vivere per i suoi doni, ma dobbiamo capirli nel loro significato, cioè quello di farci superare il nostro io e imparare a fare la verità, a fare, generare Dio, a partecipare della sua vita. Dio opera non per farci soffrire, ma per salvarci; ma la salvezza passa attraverso il punto chiave, che è la morte all’io. Infatti perché Gesù è morto in croce? È una lezione da capire e assimilare, e attraverso cui passare; cioè devo morire anch’io per far vivere Dio in me. Questa è la grande lezione, l’anima di tutte le lezioni, perché noi siamo chiamati a generare Dio, a fare una cosa sola con Lui, a partecipare della sua vita. Partecipare della sua vita vuol dire fare quello che Lui fa, generare ciò che genera Lui, operare nelle sue intenzioni, lasciarci guidare dal suo spirito. Ci vuole quindi una completa dimenticanza di noi, perché siamo chiamati a diventare tutto pensiero di Dio, cioè figli di Dio; e allora non abbiamo più il pensiero dell’io, esso è scomparso perché è diventato tutto pensiero di Dio, contemplazione di Dio. Ciò che vale è contemplare, è intendere il significato dell’opera di Dio; più operiamo noi, invece, e più inquiniamo la terra. Quindi: “Non muoverti e cerca di capire le lezioni di Dio”. L’uomo è essenzialmente pensiero, per cui l’importante è capire; comprendendo, l’uomo diventa contemplazione di, pensiero di, e allora chi opera è Dio. Siamo chiamati a diventare dei contemplatori dell’opera di Dio, e contemplando l’opera di Dio, facciamo, generiamo il Verbo, diventiamo pensiero di Dio, parliamo di Dio e glorifichiamo Dio. Quanto più glorifichiamo Dio, tanto più il nostro io scompare, perché tutto è opera di Dio, anche la nostra terra, le nostre opere sono sue, i nostri pensieri, parole, azioni, sono sue. Per entrare qui, la condizione essenziale è la morte a noi stessi, e fintanto che noi non capiamo questo, abbiamo bisogno delle lezioni di croce, di passaggio, di morte, altrimenti noi tendiamo sempre a confondere, a trasformare in regola, “Do e ottengo!”; invece si tratta di entrare in un amore personale, di conoscere. Ma nel pensiero dell’io ci fermiamo alle virtù, regole, programmi e non abbiamo la preoccupazione di conoscere Colui che è tra noi, presente o operante. Le opere di Dio sono segnalazioni, richiami a dove dobbiamo arrivare; ma ci indicano anche la via: la morte a noi stessi. Dio svolge questa opera di convinzione con ciascuno di noi, affinché la smettiamo di pensare a noi, di parlare di noi. Siamo cosi immersi nell’io perché riferiamo tutto a noi; dobbiamo invece diventare dei contemplatori di Dio come attualmente lo siamo di noi stessi, del nostro io operatore. Dovremmo solo osservare Lui che opera, descrivere ciò che fa, parlare di Lui cosi come facciamo di una persona che amiamo molto e quindi cessare di parlare degli uomini, se siamo convinti che è Lui che opera anche negli uomini e attraverso gli uomini. Noi non sappiamo parlare di Dio perché non siamo contemplatori di Dio, ma delle cause seconde e delle apparenze, riferendo e sottomettendo tutto al nostro io, all’uomo e quindi gonfiando l’io: ma questo non ci salva. Se siamo convinti che Dio non è solo il Creatore ma anche l’Operatore di tutto, e che opera per salvarci, dobbiamo contemplare questo. Dio ci richiama da tutte le nostre deviazioni e interviene quando interpretiamo male i suoi richiami con una pazienza infinita. È più facile per Lui trarci dal nulla che salvarci per fare cioè una sinfonia nuova sulle nostre note sbagliate. Non dobbiamo trasformare in regola nulla, tanto meno l’amore, ma imparare ad abbandonarci a Dio. Chi ama non si accorge di amare, come chi prega non si accorge di pregare; all’inizio la nostra preghiera sarà un esaminarci in rapporto a Dio (è il momento transitorio della copresenza di Giovanni Battista con Gesù), ma il fine è di diventare tutto pensiero di Dio, dimenticandoci totalmente.

 

         (Poi c'è ancora il riassunto della domenica 17 Aprile)

 

Luigi: Su questo c'è qualcosa?

Cina: La vita non sta nei beni che si posseggono…; volevo che restasse questo pensiero.

Luigi: In cosa consiste la vita?

Cina: Nell’impegno in questa conoscenza, perché senza la conoscenza, uccidiamo Cristo.

Luigi: Perché la vita non sta nelle cose che si hanno, ma nelle cose che non si hanno; cioè sta nel desiderio, nell’amore, nella ricerca di Dio. Perché noi Dio non lo possediamo mai, cioè lo possediamo in quanto lo desideriamo, in quanto lo cerchiamo. Ma se noi cerchiamo di possederlo proprio credendo di possederlo, lo perdiamo. Perché Dio abita nei cieli, quindi è superiore; ciò che è superiore a noi non è posseduto da noi, noi possediamo quello che è inferiore. Quello che è superiore lo possediamo nel senso che lo cerchiamo, tendiamo, ci superiamo, e superiamo tutto quello che conosciamo; dobbiamo operare il distacco da tutte le altre cose. Quindi sta essenzialmente in questo desiderio di Dio che matura in conoscenza; ma se anche noi credessimo di possedere la conoscenza, come noi riteniamo di possedere la conoscenza, noi la perdiamo perché anche tutto quello che noi conosciamo, dobbiamo sempre superarlo, perché Dio supera anche quello che ha fatto conoscere di Sé a noi e continuamente ci invita, quando parla a noi, dona a noi cose nuove, eternamente e quindi ci invita continuamente al superamento.

Pinuccia: Cosa vuol dire superare quello che conosciamo? Cioè desiderare di conoscere di più?

Luigi: No, in quanto Lui non è che esaurisca il suo parlare con noi, il suo parlare è continuo…

Nino: Lui è illimitato, per cui quello che noi riusciamo a comprendere è sempre una cosa limitata, è sempre una parte di Lui…

Pinuccia: Ci vuole sempre un’apertura…

Luigi: Ci vuole sempre un’apertura al parlare suo che è novità, la novità viene da Lui. Lui è fonte di novità continua perché ci supererà sempre. Quando ci troviamo con una persona che ci supera, in quale modo ci supera? In quanto è fonte di novità per noi in continuazione. Il giorno in cui per noi non è più fonte di novità, non ci supera più, è esaurita; quindi è sorgente di vita per questo in quanto ci invita continuamente al superamento.

Angelo: Quindi noi non potremo mai conoscere completamente…

Luigi: No, completamente no! Perché la conoscenza avviene in quanto c'è questa unione con Dio continua per cui uno ha questa apertura continua alle cose di Dio. Perché tutti i giorni Dio ci presenta argomenti nuovi da raccogliere. Per cui noi tutti i giorni ci fossilizziamo in quello che ho conosciuto per cui rifiuto un argomento nuovo; l’argomento nuovo che Dio mi propone è un invito a superare quello che già ho conosciuto. Siccome Dio è un infinito che si trasfonde in noi, continuamente ci invita a questo superamento; non è un rinnegamento di quello che conosciamo, anzi, perché Dio opera confermando, per cui l’invito successivo è un invito a superare quello che uno ha già avuto, ma è conferma di quello che ha avuto. Ammettiamo: il numero cinque è superamento del quattro, è qualche cosa di più però è conferma anche del quattro; ti conferma l’uno, il due, il tre, il quattro, però è cinque: c'è qualche cosa di nuovo che si è aggiunto. Abbiamo la numerazione che va verso l’infinito, che è una significazione del mondo quantitativo, del mondo materiale; noi abbiamo la significazione (perché tutto è significazione) della crescita della vita nel mondo dello spirito. Allora ogni numero successivo ti conferma tutti i precedenti, ma ti aggiunge qualcosa di più. Ora, se noi diciamo: “Il quattro per me è conoscenza completa”, io non mi apro più al cinque, capisci? Perché c'è qualche cosa di più che si aggiunge alla mia conoscenza e allora corro sempre il rischio di dire: “Ah, ma io ormai ho conosciuto!”, mi fermo al quattro e non arrivo più al cinque, capisci?

Angelo: Si matematicamente, però uno non ha mai l’idea chiara che Dio si fa conoscere, a volte non si avverte questo stimolo…

Luigi: Ma quante volte noi sentiamo dire: “Ah ma questo non può essere..” cioè noi ci trinceriamo nel conosciuto e rifiutiamo la novità. Ad esempio diciamo: “Ah, ma quello li è un delinquente, per cui non può dire nessuna parola di verità”. Si tratta poi di una apertura d’amore. Se noi crediamo che in tutto parla Dio, noi siamo aperti perché: “Chissà Dio che cosa mi vuole significare attraverso questa notizia, attraverso questa parola, attraverso questo incontro”; allora se uno è aperto a Dio, in tutte le cose cerca il significato, non dà un calcio: “Ah, non mi interessa, tanto io ho il mio mondo”, no! Guarda che il Signore ti sta istruendo attraverso questa lezione, magari attraverso l’incontro con un bambino. Attraverso tutte le cose, il Maestro è uno solo, però l’universo con i tutti i suoi fatti, con tutta la sua storia, la cronaca di ogni giorno, è la scuola di Dio per ognuno di noi e in quanto scuola richiede da parte nostra questa apertura. L’apertura sta in questo: “Che cosa Dio mi vuole significare!”. Possiamo anche non intendere, però l’importante è accogliere, sapere che c'è una lezione per me in tutte le cose perché Dio sta parlando: è Dio il Creatore, quindi essendo Lui il Creatore ha una lezione personale per ognuno di noi. Però la lezione personale richiede un’apertura; l’apertura è il superamento.

Chi ormai è contento di quello che ha conosciuto: “Guai a voi che siete soddisfatti”, rifiuta perché dice: “Ah io sto comodo”. “Guai a voi ricchi”, la ricchezza in che cosa consiste?

La ricchezza consiste in questo: uno è soddisfatto di quello che ha per cui prende a calci gli argomenti nuovi che gli giungono perché non gli interessa.

Nell’uomo si può formare questa chiusura qui; per cui ci vuole sempre questa apertura. San Giovanni della Croce dice che bisogna anche superare continuamente quello che conosciamo.

        

(Continuazione della lettura dei riassunti)

 

Domenica 17 Aprile ci siamo fermati sul versetto 31: “Chi è della terra appartiene alla terra e parla della terra ma chi viene dal cielo è superiore a tutti”.

 

Abbiamo iniziato con la lettura dell’articolo di Civiltà Cattolica, “Cristianesimo e senso della vita”. Leggo un breve riassunto di questa lettura.

 

C'è chi non si è mai posto il problema religioso e del senso della vita, o perché vive fuori di sé o perché preso da interessi immediati; altri se lo pongono qualche volta ma non ritengono che debba essere preso sul serio, per vari motivi, per ignoranza o pregiudizio.

Invece il problema religioso è un vero problema e va preso sul serio.

È il problema del senso della vita ed è quello che fa da sfondo a tutti gli altri problemi immediati, sociali, economici, familiari, politici.

Perché l’uomo vive? Chi è l’uomo? Da dove viene e dove va? Che senso ha la vita se si muore?

Sono domande ultime, che l’uomo non può non porsi; chi non se le pone, non è maturato come uomo; la scienza non può rispondere a queste domande perché esse appartengono al mondo non scientificamente osservabile e la scienza studia solo i fenomeni verificabili.

Ma neppure la filosofia che indaga il mondo dello spirito e cerca le cause ultime della vita, può rispondere a queste domande; perché le varie correnti filosofiche sono in contraddizione fra di loro a vantaggio dello scetticismo e del relativismo.

Quindi sono ben deludenti le risposte che ci danno i materialisti, gli scientisti, gli idealisti, gli storicisti, i panteisti e i pessimisti, i quali considerano questi problemi, falsi o inesistenti.

Ma non basta negare il male o l’angoscia perché essi scompaiano.

Anche la corrente teista che ha fatto almeno un passo nella risposta a queste domande, ha dovuto arrestarsi di fronte al mistero di Dio e dell’uomo; chi ha potuto andare oltre sono i filosofi cristiani, perché ricevono la luce che la rivelazione di Dio dà su Dio stesso e l’uomo.

La risposta che Cristo, Dio fatto uomo ci dà, va presa sul serio, perché Cristo è la Verità che ci svela il mistero di Dio, il mistero dell’uomo e del senso della sua vita.

Solo Lui ci dà una risposta soddisfacente alle domande ultime dell’esistenza umana, rivelandoci il vero senso della vita.

 

Commento alla lettura.

 

Più ci avviciniamo alla Verità, più ne siamo confermati (se non fosse Verità aumenterebbero i dubbi). È necessario si l’atteggiamento critico, ma dato che la Verità è semplice, è Uno, ci crea una selezione, mettendoci davanti a scelte continue.

Per cui, più ci avviciniamo ad Essa, e più acquisiamo la sensibilità a riconoscere la Verità, per distinguere ciò che vale di più da ciò che vale di meno; invece più si è lontani, più si è incerti.

La Verità è una Persona; ma Gesù stesso parla di conoscenza della Verità: “Se resterete nelle mie parole, conoscerete la Verità”.

In quanto sperimentiamo il problema della menzogna, perché ci troviamo in un mondo di apparenza, di valori relativi, non veri, di cose che passano e che ci deludono, perché nascendo come figli della terra, siamo portati ad assolutizzare tutto, a fare motivo di vita ciò che è relativo.

È appunto perché ci appoggiamo troppo sulle cose che il Signore prende su di sé questa nostra colpa, le fa passare, le assoggetta alla vanità e alla morte, per salvare noi.

Dio creò la morte solo perché l’uomo creò gli idoli; magari creature che sono angeli, Dio li crea ubriaconi o mendicanti per farci toccare la vanità di ciò che stimo molto, cioè per sospingermi a ciò che vale di più.

L’uomo è fatto per nascere una seconda volta, per diventare figlio del cielo; ma lo può diventare solo se trova Colui che viene dal cielo e che viene a rispondere alla fame di Verità che si è formata in noi in questo mondo di menzogna.

La via per conoscere la Verità è la sua Parola; non siamo noi che arriviamo alla Verità, ma è il Maestro che parlando a noi ci rivela la Verità, cioè ci conduce alla Verità che è Lui stesso.

Ma la condizione è restare nell’ascolto e l’ascolto esige il superamento di noi stessi, del mondo apparente, per andare dietro alla parola che ci conduce a vedere la Verità: “Affinché dove sono io siate anche voi e possiate vedere la mia gloria”.

Questa Verità, ad un certo momento, svela il suo volto, è il Padre: e siamo a Pentecoste.

Questa scoperta, che la Verità è Persona, è progressiva ed è tutto dono di Dio.

Si parte dalla confusione del relativo con l’Assoluto, fino a comprendere che Dio è Spirito, Immutabile, Essere Personale, Cosciente di Sé, Principio di Sé e di tutto e che ha in Sé il motivo, la ragione di Sé.

Ciò che è relativo non ha in sé il motivo di sé, ma noi siamo fatti per averlo in noi; noi avremo in noi stessi il motivo del nostro esistere, passare, ecc., quando troveremo Dio, perché Dio lo troviamo in noi.

Ecco perché tutte le cose ci sospingono dal basso verso l’alto, sempre una causa diversa, fino a trovare Dio che ha in Sé la causa di Sé e di tutto ciò che esiste; e abbiamo qui la nuova nascita dal cielo.

E allora trovando Dio, si parte da Dio per giustificare tutte le cose: dall’alto verso il basso.

Ma prima siamo nati dalla terra e siamo chiamati a trasformarla in cielo.

 

Nel versetto 32 abbiamo tre concetti: “Chi è della terra appartiene alla terra e parla della terra”; essere, appartenere e parlare.

Possiamo essere nel mondo ma non del mondo: “Sarete odiati perché non siete del mondo”; non si tratta di uscire dal mondo.

Gesù prega il Padre che non li tolga dal mondo ma li difenda dal mondo, ma ciò che conta è non essere del mondo.

Siamo di una cosa quando ne facciamo motivo di vita, allora apparteniamo ad essa; se facciamo la parola che discende dall’alto, nostra vita, diventiamo di quella parola e possiamo trasformare la nostra terra in cielo.

Innanzitutto bisogna evitare di trasformare il cielo in terra, considerando lo spirito come espressione della materia.

In secondo luogo evitare di ritenerci noi assoluti, considerando Dio come creazione mia, pensiero mio, (“Se non tocco non credo”); siamo noi che ci dobbiamo sottomettere a Dio, non viceversa.

Esiste si un mondo che dipende da me di cui però non sono il Creatore, ma esiste anche un mondo non esperimentabile da me, ma che si annuncia e si fa esperimentare da me in quanto mi mette in crisi tutto il resto.

Per cui superando le apparenze e aderendo al mondo che ci supera e ci è annunciato, avviene la trasformazione, la spiritualizzazione della terra in cielo.

 

Domanda: Perché ci sono tanti che non hanno ricevuto la rivelazione, ad esempio i musulmani?

Luigi: Tutto è lezione  di Dio per ognuno di noi (es. per farci apprezzare di più il dono ricevuto); come spettatori non dobbiamo mai giudicare, ma capire le lezioni di Dio, come attori dobbiamo preoccuparci di recitare la nostra parte secondo lo spirito di Dio senza preoccuparci quale lezione di voglia dare all’altro per mezzo nostro. “Ti basta la mia grazia”, ci dice; ciascuno è responsabile di quello che fa partire da sé, ciò che riceve è sempre segno, lezione di Dio. La meta è intendere il significato di ciò che Dio fa, perché siamo creati per conoscere Dio.

 

Luigi: Cina c'è qualcosa?

Cina: Mi sembra che sia un grande aiuto che abbiamo sotto mano.

Luigi: Bisogna afferrarci, afferrarci ad essa: solo alla sua parola. Perché la parola arriva a noi ma noi possiamo lasciarla passare.

Nino: Per parola tu intendi sia il Vangelo, sia la parola che può venirci giorno per giorno…

Luigi: Si, in quanto ci parla di Dio; perché noi giorno per giorno riceviamo tante parole, ma sono anche parole di uomini. Anche nelle parole di uomini c'è la parola di Dio, se però noi siamo in collegamento con Dio, abbiamo presente il pensiero di Dio, allora in tutte le cose e dappertutto udiamo le sue parole. Perché Gesù dice: “Le mie pecore ascoltano e riconoscono le mie parole in tutto”; ma se noi non abbiamo presente il pensiero di Dio, la parola di Dio ci giunge soltanto in certi luoghi privilegiati, cioè se apro il Vangelo, ma altrimenti mi giungono parole di uomini proprio perché io ho presente me stesso e allora mi fermo alla relatività, alle cause seconde, non mi parlano più di Dio. Direi che la parola di Uno è quella  che mi fa presente quest’Uno, che me Lo rende presente: mi rivela il suo Pensiero, il suo Spirito, mi parla di Lui; quella è la parola di, segno di Uno. Allora, se a me giungono parole che mi presentano cose diverse da Dio, quelle non sono parole di Dio, la parola di Dio è quella che mi fa pensare Dio, che mi fa conoscere Dio.

Nino: Se io le interpreto nel Pensiero di Dio sono parole di Dio.

Luigi: Ecco, se io ho presente il pensiero di Dio e vedo in tutto la sua opera, allora tutto diventa parola di Dio. Allora: “Affinché dove sono Io siate anche voi”; cioè noi possiamo essere sempre con Lui. La condizione per essere sempre con Lui è quella di essere sempre in ascolto delle sue parole e solo delle sue parole. Per cui allora non si ascoltano più le creature, le parole degli uomini, ma anche nelle parole degli uomini si vede la parola di Dio. Allora tutto è parola di Dio, allora tutto è Vangelo; anche la nostra vita diventa storia sacra, non c'è più bisogno di andare a leggere la Bibbia, l’Antico Testamento per capire l’opera di Dio, perché l’Antico Testamento e tutta la Storia Sacra è ogni giorno della nostra vita perché è sempre Dio che opera. Ma questo presuppone in noi sempre la presenza di questo Dio che è l’unico Operatore in tutto, allora tutto mi diventa parola sua. Ma fintanto che tutto non diventa parola sua, abbiamo un luogo privilegiato: “Questo è mio”, Dio occupa un punto, un punto solo, tutto l’altro universo ce lo lascia in mano nostra, al nostro io; però in quel punto li Lui dice: “Questo è mio”. Detto Lui: “Questo è mio”, noi non possiamo avvicinarci a questa parola senza vedere questa sua affermazione: “Questo è il mio corpo”, “Questo sono io”, noi non lo possiamo più invadere, noi possiamo invadere tutti gli altri corpi e dire: “Tutti sono uomini”, li non possiamo più, li è Dio che ha detto: “Questo è mio”. Quindi Lui ha occupato un punto solo, ma se noi ci fermiamo a quel punto li, quel punto li ci abbraccia tutto l’universo, (perché avendo occupato un punto, ha occupato tutto l’universo; come ha occupato un punto della storia, ha occupato tutta la storia). Però quel punto li è un punto privilegiato, per cui Gesù dice: “Chi viene dietro di Me”, richiede un isolamento. Quindi ad un certo momento c'è questo processo di distacco; è vero che tutto il mondo è opera di Dio, però siccome noi siamo schiavi del mondo materiale allora ad un certo momento si rende necessario questo distacco, questa separazione, questo isolamento con Lui, per andare dietro a Cristo, in cui noi non possiamo disgiungere l’uomo da Dio; in tutti gli altri uomini noi possiamo disgiungere l’uomo da Dio, in Lui non possiamo disgiungerlo: è li la salvezza. Allora qui abbiamo una parola privilegiata che ha la funzione di portarci ad intendere tutte le altre parole, se noi continuiamo con Lui: “Arriverà lo spirito di Verità che vi farà condurrà a vedere la Verità completa”. Quindi è tutto un processo di ricostruzione dell’uomo come era all’inizio, attraverso il Cristo, per riportarlo a contatto con Dio che parla e che opera in tutto.

 

Angelo: E’ difficile stare sempre con Dio, riferire tutto a Dio, continuamente, momento per momento…

Luigi: Il problema umano è tutto li, il problema umano è tutto li…

Nino: Io credo che si possa arrivare li solo pregando.

Luigi: Si, vuoi dire che è una preghiera continua, non è possibile arrivarci dicendo: “Io voglio arrivarci cosi”. Tu ti accorgi che tutte le volte che vuoi fare un ragionamento del genere poi scappi dall’argomento, devii; se preghi in quel senso li allora ti accorgi che il Pensiero di Dio si rende presente.

Luigi: Cioè bisogna imparare sempre ad avere questo pensiero presso Dio: è Dio che fa. È Dio che ci fa intendere la sua presenza, il suo parlare in tutto; altrimenti noi ci dimentichiamo. Quando ce ne ricordiamo è già passato, ce ne accorgiamo a cose fatte: “Ho sbagliato..”, invece col Pensiero di Dio ci arrivo da Lui, già in anticipo noi sappiamo: “Mi capiterà questo, ma è Dio che parla, è Dio che opera” quindi le cose si ragionano con Dio. ragionando le cose con Dio: quella è preghiera. “E’ necessario pregare sempre”; pregare sempre non significa dire delle preghiere, ma sempre questo elevare l’anima a Dio, mantenere la nostra anima presso Dio, in attenzione a Dio, timor di Dio questa attenzione a Dio, che sostanzialmente è timor di Dio che è attenzione a Dio; esempio del cane che è timoroso del padrone, è attendo a quello che gli dice il padrone. La creatura dovrebbe fare cosi sapendo che Uno solo è il Signore deve avere quella attenzione: è Dio che passa, è Dio che parla, è Dio che opera in tutto. La chiave di volta è sempre questa: sapendo che è Lui (e prima bisogna essere convinti che è Lui che opera in tutto, che tutto è opera sua, perché se non siamo convinti di questo tutto salta perché: “Ah, ma Dio non può fare questo!”, allora è finita! Perché noi accettiamo solo quello che riteniamo bene e scartiamo quello che riteniamo male invece Dio le lezioni principali ce le manda proprio attraverso quelle cose che ci danno fastidio, quelle cose che noi riteniamo male. E sono delle lezioni essenziali perché ci obbligano ad una revisione, ad una purificazione, ad un superamento se noi accogliamo; se noi rifiutiamo restiamo tali e quali e in più ci carichiamo di un rifiuto. Perché l’opera Lui la fa per formare in noi una creatura perfetta, ma è necessario che la creatura accolga la sua opera, perché Dio non opera mica su di noi opprimendo la nostra coscienza; Dio opera su di noi e lavora, però rispettando ciò che Lui ha fatto. Abbiamo detto che Dio opera sempre confermando, Lui è un si eterno, un si continuo; non fa si e no. Non crea la coscienza e poi il giorno dopo dice: “No” la sopprime. No! Lui lavora su di noi rispettando la nostra coscienza, rispettando la nostra coscienza presuppone in noi l’adesione. Allora se noi aderiamo a Dio allora Lui lavora su di noi e forma in noi l’uomo perfetto, l’uomo nuovo, l’uomo che è unito a Lui, che vede tutte le cose unite a Lui. Noi corriamo questo rischio, essendo nel pensiero del nostro io, di accogliere da Dio e di essere magari molto contenti se ci dà la caramella, e invece quando ci manda la sofferenza e il dolore dire: “Ah no, qui sono gli uomini; qui è un delinquente; qui è un furto!”. Non accogliamo più. Invece il Signore dice: “Ero proprio io! E proprio attraverso a quello che ti faceva dispiacere, Io operavo il meglio per te, che tu hai rifiutato”.

 

Pinuccia: Hai parlato di questa necessità di isolarci col Cristo in un determinato momento della vita, va inteso come un momento che va ripetuto continuamente nella vita; cioè nella vita c'è un continuo isolarci con Cristo nel distacco dal mondo, e un continuo ritorno al mondo con Cristo oppure è un determinato periodo della vita?

Luigi: Tu capisci che non è una ripetizione; quando si incomincia con Cristo, Cristo è uno che cammina verso mete ben precise. Quindi è come iscriverci ad una scuola; quando ci si iscrive ad una scuole si inizia un cammino, non è che uno ripeta e di tanto in tanto vada via, torna, esce, va via: cosi non acquisisce niente. È un cammino progressivo, fino ad una meta ben precisa. Quindi direi che è una continuazione progressiva, un incremento continuo con Cristo. È una fase successiva rispetto alla nostra vita comune, alla vita nel mondo.

         Per cui abbiamo:

-                            il punto in cui noi scopriamo che Lui è la nostra salvezza; mentre noi in un primo tempo riteniamo che la nostra salvezza stia nel lavoro, nel denaro, nella posizione, nella carriera, nelle cose del mondo;

-                            poi abbiamo la fase successiva, delusioni di queste, critiche, autocritiche e ci troviamo ad un punto in cui: “Dove è il mio punto di salvezza?”. Se il Signore ci dà la grazia, noi dobbiamo individuare la nostra salvezza nel Cristo.

-                            Quindi abbiamo la fase successiva. Col Cristo si inizia tutto un cammino che tende a questa preghiera continua, a questa Pentecoste, in cui si scopre la presenza del Padre, la presenza del Figlio in noi, che operano in tutto e che dialogano in noi in tutte le cose; per cui noi ci sentiamo pensati, amati, conosciuti da Lui, attraverso tutte le cose, perché tutto è opera sua. Quindi non è che col Cristo noi di tanto in tanto scendiamo nel mondo, poi ritorniamo a Lui. No, Cristo è un inizio di una scuola nuova che deve concludere ad una meta ben precisa: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. “Noi verremo a lui e faremo abitazione presso di lui”.

 

Pinuccia: Questa fase di maggior distacco..

Luigi: Ora, quando si arriva al Cristo, siccome è Lui il punto privilegiato tra tutti gli altri punti, quando si scopre quello, è necessario lasciare tutti gli altri punti per fermaci con Lui. Se tu ti iscrivi ad una scuola di matematica, lasci tutte le altre scuole e frequenti questa scuola, non può contemporaneamente seguire un’ora questa scuola e un’ora in un’altra scuola. Quindi c'è una scelta; ora, con Cristo se è un punto privilegiato, questo richiede questo isolamento con Lui..

Pinuccia: E questo è possibile a tutti, in qualsiasi situazione..

Luigi: Certo, perché Lui è venuto a salvare tutti, non è venuto mica a salvare qualcuno, è venuto per salvare tutti; soprattutto i peccatori, soprattutto coloro che piangono. Perché se non fosse accessibile, non ci sarebbe più il problema della salvezza, saremmo in una situazione di privilegio. La situazione di privilegio c'era già nell’Antico Testamento perché Dio chiamava i suoi profeti, avevano una situazione particolare, per cui avevano una situazione di privilegio. No! Con il Cristo abbiamo questa che è la conclusione di tutta l’opera di Dio. Noi il Cristo lo vediamo dietro le spalle perché è vissuto duemila anni fa; il Cristo è davanti a noi! Il Cristo è il vertice. La storia è storia per noi, lineare, perché noi la riferiamo al nostro io. Noi siamo nati venti, trenta, cinquant’anni fa, ma nella verità la storia è molto diversa, nella verità la storia è una piramide, con al vertice il Cristo, punto di passaggio alla vita eterna. Punto obbligato, al quale tendono tutti quanti, attraverso questa montagna, verso questo vertice. Attraverso problematiche diverse, ma tutti quanti tendono verso questo. Per cui Cristo è la sintesi di tutte le opere di Dio; Dio continuamente opera, anche a nostra insaputa, per convertirci verso questa meta. E man mano che ci converte cosa succede? Succede il distacco da tutte le altre cose; per cui ad un certo momento siamo li a tu per tu con Lui, con i suoi pensieri, con le sue parole, con i suoi problemi; magari litigando con Lui, ma siamo li a tu per tu con Lui. Come mai? È Dio che ci conduce a questo incontro. Come dico anche a nostra insaputa noi arriviamo li. Però arrivando li, ad un certo momento, noi dobbiamo fare questa scelta; perché se noi lo riteniamo valido, se noi riteniamo valida una cosa, (l’esempio del prezzo), noi spendiamo tutto, lasciamo il resto per avere quello che ci interessa: “Ah, finalmente ho trovato quello che mi occorreva”. La perla, vendo tutte le altre cose per acquistare quel tesoro. Se invece noi non scegliamo Lui, la scuola non diventa più efficace, però resta in noi l’amarezza del rifiuto, perché un giorno di fronte alla verità scopriremo che Dio ci ha portato a contatto con la nostra salvezza, ma noi non l’abbiamo conosciuto: “Gerusalemme, Gerusalemme, non hai riconosciuto il momento in cui sei stata visitata”. Allora poi incomincia l’epoca in cui i nemici circondano Gerusalemme, il periodo della distruzione, il disfacimento perché è arrivato il momento in cui io ti ho messo dinanzi la tua salvezza e tu non hai visto: “Sei stata visitata ma non lo hai riconosciuto”. Qualcuno può dire: “Ma come mai non l’hai conosciuto?”. Se Dio ci ha condotti dinanzi la nostra salvezza e noi non l’abbiamo conosciuta c'è evidentemente in noi una colpa che ci ha impedito di conoscere.

 

Cina: Cosa volevi dire quando hai detto che magari stiamo litigando con Dio?

Luigi: Non hai mai litigato tu con il Signore?

Cina: Quand’è che litighiamo, quando non vogliamo accettare?

Luigi: O quando qualche cosa non quadra e noi siamo convinti che dovrebbe quadrare. Questa mattina avete sentito Don Dolce che diceva che bisogna anche imparare a giocare col Signore; andando più avanti diciamo anche litigare. Il Signore anche nell’Antico Testamento dice: “Purificatevi e poi venite e discutiamo! Discutete con Me!”. Sotto un certo aspetto Dio vuole che noi discutiamo con Lui, che noi presentiamo a Lui i nostri problemi, quindi sotto un certo aspetto che litighiamo. Penso che il Signore voglia questo confronto perché i problemi ce li fa sentire Lui.

 

Nino: Tutta la nostra vita è un confronto con Lui..

Luigi: Non è che uno voglia tirare in senso egoistico, ma in quanto i problemi ce li fa sentire Lui: “I problemi me li fai sentire Tu, e come mai sono in conflitto con Te?”.

Nino: Tutte le volte che ci capita qualcosa e noi non la accettiamo in Lui, in fin dei conti risulta una tirata di orecchi da parte sua nei nostri confronti…

Luigi: Si, ma non è neanche il fatto di accettare o di non accettare, ma il fatto è di comprendere quale sia il significato. Sapendo che Dio vuole salvare tutti…

Nino: Quando noi non accettiamo nel suo pensiero, diciamo che Dio ci ha castigati. Più lite di cosi… ed è effettivamente un castigo in quello volte…

Luigi: Dio non castiga mai; tutte l’opera sua è opera di misericordia.

Nino: Se noi non lo comprendiamo, se noi non lo accettiamo, diventa un castigo.

Luigi: Si, certo, logico, se noi non accettiamo… per noi, dal nostro punto di vista è un castigo; ma da parte di Dio no, perché Dio opera sempre per recuperarci, quindi è sempre azione di misericordia.

Nino: Però fintanto che non arriviamo a capirlo è un castigo, e non solo dal nostro punto di vista: è un castigo.

 

Pinuccia: Quindi non è che l’atteggiamento più giusto sia quello di accettare passivamente tutto quello che il Signore ci manda..

Luigi: No, dobbiamo accettare tutto perché il principio fondamentale è accettare per cercare di intendere il significato..

Pinuccia: Allora non è un litigare, è una prova di amore. È questione di intenderci…

Luigi: Quando la Madonna appare vede quali opere di conversioni crea nelle anime, perché non appare a tutti quanti? Se quella è una via, è cosi facile, appaia a tutti. Eppure se non appare a tutti, ci sarà pure un disegno. Basta che la Madonna compia un miracolo strepitoso e tutti quanti restano li: eppure perché non lo fa? Ci sarà una ragione. Però da parte nostra noi avvertiamo questo; siccome Dio opera tutto per salvarci e Dio è onnipotente per cui ha tutte le meraviglie nelle mani, potrebbe scrivere nel cielo: “Guardate che io ci sono” li scritto grosso. Come ha fatto a scriverlo? L’ha scritto. Se non lo fa ha una sua ragione, certamente; però questi problemi ce li fa sentire. Se Lui opera per salvare tutti, allora come mai se ne sta muto, silenzioso, assente addirittura.

Il bisogno è quello di collimare il suo proposito che è quello di salvare tutti, con il suo metodo per salvare, che può essere un’assenza, magari, una lontananza. Quello diventa un confronto tra la sua volontà intesa da noi, e la sua volontà come Lui la opera, vedi che c'è sempre questo superamento? È la necessità di superare continuamente anche tutto ciò che conosciamo.