Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti;
chi è della terra appartiene alla terra e parla della terra. Ma chi viene dal
cielo è superiore a tutti.Gv 3 Vs 31 Primo tema.
Titolo: Cielo e terra.
Argomenti: Giovanni Battista predica un modo
di essere, Gesù predica una verità - Il bidello e
il maestro - Cristo è morto in croce affinché il nostro delitto non diventasse eterno
– Tutti siamo colpevoli - Chi viene dal cielo è al
di sopra di tutto – Gli errori di
valutazione – San Tommaso – Il
superamento dell’io – Il mondo trascendente – Spiritualmente Dio, praticamente la terra – Tutti muoiono per noi – La forza
dell’abitudine – La vita essenziale è personale -
3/Aprile/1977
Luigi:
C'è qualcosa da chiedere su questa parte?
Nino: Devo
rileggerlo con calma….
Pinuccia: Riguardo a
questa contestazione che era sorta tra i discepoli, in che cosa consisteva?
Luigi:
Lo dice qui: “A proposito della purificazione …”.
Pinuccia: E cioè se
valeva di più il battesimo di Giovanni Battista o quello di Gesù?
Luigi:
Certo, ma battesimo inteso come purificazione.
Pinuccia: Come
rito?
Luigi:
No, purificazione. Già con la venuta di Giovanni Battista: “Fate penitenza
perché il regno di Dio è vicino”, quindi abbiamo questa purificazione.
Purificazione vuol dire
liberazione dell’uomo.
Quindi evidentemente qui si
presentavano due vie:
·
la via di Giovanni Battista;
·
e la via di Gesù.
Qui si parla di battesimo,
più avanti si dice che Gesù non battezzava. D’altronde il battesimo è simbolo
di una purificazione di vita; la purificazione di vita in cosa consiste?
Consiste proprio in quella giustizia a cui abbiamo accennato quando parlavamo
di Giovanni Battista; la giustizia che si forma nella nostra vita quando
mettiamo al centro dei nostri pensieri, delle nostre scelte, dei nostri interessi,
mettiamo il Pensiero di Dio. Quindi quando spostiamo, ci convinciamo, ci
decidiamo, altrimenti cadiamo sotto l’affermazione di Giovanni Battista: “Razza
di vipere!”. Per cui accettiamo il battesimo come rito e non accettiamo il
battesimo interiore. Ora, noi possiamo sottostare al battesimo – rito, cioè
possiamo accettare una forma esterna di vita, che abbia l’abito della
giustizia, e interiormente invece, essere dei sepolcri, interiormente avere
invece al centro l’egoismo. Allora, fintanto che noi non ci convinciamo che
dobbiamo spostare il centro dei nostri interessi, dal pensiero dell’io al
Pensiero di Dio, non si compie questa purificazione. Ora, quindi evidentemente,
cominciando Gesù la sua missione:
·
perché Gesù parla rivelando,
facendo conoscere le cose del Regno di Dio;
·
Giovanni Battista invece parla
invitando a compiere quella giustizia interiore per prepararci all’incontro con
il Regno di Dio. Hai capito?
Pinuccia: Ma tu
dici che Gesù non battezzava, ma qui c'è scritto che Gesù battezzava.
Luigi: Se
tu leggi al capitolo IV trovi: “Benché Gesù non battezzasse ma i suoi
discepoli”. Quindi come mai c'è questa contraddizione? Abbiamo già visto
che le contraddizioni che ci sono nel Vangelo sono sempre sollecitazioni per
passare al campo spirituale, per non farci fermare ai fatti apparenti, esterni,
allora ci sollecitano.
Per cui noi se notiamo
delle contraddizioni, queste ci impegnano ad approfondire l’argomento.
Quindi questo battesimo va
approfondito: come Gesù battezzava, e Gesù non battezzava. Quindi la cosa va
approfondita.
Noi vediamo che il
battesimo l’abbiamo approfondito molte volte è un’immersione in, orientamento
a.
Qui abbiamo Giovanni
Battista che predicava, che annunciava una certa via per purificare la vita; e
abbiamo Gesù, che anche Lui predicava una certa via per arrivare alla vita.
Quindi agli occhi degli uomini c'erano due purificazioni. Qual è quella giusta?
Ecco la contestazione. Ed è Gesù che presenta ai suoi discepoli questa
contraddizione, che li porta in questa contestazione; perché di fronte a questa
contraddizione il problema si purifica, viene chiaro, si evidenzia, fino a
poter mettere a fuoco quello che è il vero problema.
Sintetizzando, Giovanni
Battista predica un modo di essere, Gesù predica, rivela una verità: la
differenza sta li.
Gesù predica il Regno di
Dio, Giovanni Battista predica un modo di essere.
Abbiamo visto la funzione
del bidello e del maestro; abbiamo in un’aula il maestro che insegna, e il
bidello che invita a far attenzione al maestro. Di tanto in tanto abbiamo
qualche allievo che si distrae e abbiamo il bidello che fa l’opera del
richiamo.
C'è anche il maestro che
svolge l’opera di conversione a sé, però è un’opera diversa dal bidello che
invece predica un modo di essere: “Fate silenzio!”, quello è un modo di
essere. Quando si parla della verità è rivelazione, è luce, ed è conoscenza.
Quale vale? Questo o quell’altro?
Eligio: “…
Nessuno accetta la sua testimonianza”, ecco, perché si dà per scontato che
nessuno accetti la sua testimonianza?
Luigi:
Già nel capitolo primo, viene detto questo: “Venne nella sua casa e i suoi
non lo accolsero…”, “Era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di Lui ma il
mondo non lo conobbe”; “A tutti quelli che lo ricevettero diede il potere di
diventare figli di Dio”.
Eligio: Ma qui
dice: “Nessuno”, quindi…
Luigi:
Eh, ma vedi, tutti quanti noi dobbiamo convincerci che partecipiamo di quel
“nessuno”, cioè tutti quanti portiamo il carico di un rifiuto, perché nessun
uomo è senza peccato: “Se qualcuno dicesse che è senza peccato è menzognero”.
Siccome abbiamo partecipato tutti alla morte del Cristo, se tutti siamo
partecipi della morte del Cristo, è questo rifiuto che probabilmente poi ci
inserisce la possibilità di “uno”. Ecco per cui tutti hanno rifiutato, quindi
il rifiuto è per tutti, ma tutti siamo colpevoli di questa colpa; qualcuno poi
rinsavisce vedendo le conseguenze del suo delitto.
Il delitto avviene per
farci toccare con mano il male che portiamo dentro di noi, perché il male sta
sempre nel dimenticare Dio, nel non tener conto di Dio; non tenendo conto di
Dio noi già abbiamo fatto il male, anche se esteriormente siamo puri, siamo
santi. Allora Dio si presenta a noi sotto qualche forma, sollecitandoci a
rivelare quello che portiamo dentro; rivelando che noi lo uccidiamo.
Ma uccidendolo scopriamo
quello che portiamo dentro di noi: la morte che portiamo dentro di noi;
scoprendolo abbiamo la possibilità di rinsavire.
Perché ecco, il delitto non
resta eterno: Cristo è morto in croce affinché il nostro delitto non
diventasse eterno.
Allora, tutti quanti siamo
nel delitto, quindi tutti abbiamo rifiutato: “La luce splende nelle tenebre
ma le tenebre non l’hanno compresa”. Chiuso! Le tenebre non l’hanno
compresa. Però c'è un’azione di recupero, incomincia un’azione di recupero in
questo rifiuto. Perché altrimenti uno potrebbe dire: “Ah ma io non sono tra
coloro che lo hanno rifiutato …”. Siccome qui dice: “Qualcuno ha
rifiutato, ma non tutti”, uno potrebbe dire: “Io non sono fra coloro che lo
hanno rifiutato”, ci mettiamo da parte, e proprio dicendo quel “Io non sono
tra coloro che lo hanno rifiutato …”, ci mettiamo fuori. Invece la Parola di
Dio dice: “No, tutti! Tutti hanno rifiutato… “, quindi anche tu; quindi
anch’io, quindi tutti quanti hanno rifiutato, quindi tutti sono colpevoli. Allora:
“Uomo non vantarti se un giorno ti apri alla luce perché tutto è opera della
misericordia di Dio”. Infatti Dio ha incluso tutti, i vicini e i lontani
sotto la stessa colpa e sotto la stessa misericordia, usando misericordia per
tutti, affinché nessuno avesse a vantarsi. Ecco, affinché nessuno abbia a
vantarsi. Se io sono convinto della colpa che porto in me, anche se rinsavisco,
non mi vanto più, perché capisco quanto è costato questo rinsavimento, non a
me, ma a Dio. Per cui è stata tutta opera di Dio; quando uno è perdonato per
amore, per misericordia dell’altro, non può più vantarsi; si vanta in quanto
ritiene di essere diverso dagli altri. Quando Dio, attraverso le sue opere ci
convince che nessuno di noi è diverso dall’altro, per cui se c'è qualche
diversità è tutta misericordia di Dio. Io penso che quella totalità di peccato,
sia perché nessuno di noi abbia a ritenersi puro, non colpevole di questo, e
quindi non abbia a vantarsene. Perché nel regno di Dio uno non può entrare se
ha un minimo pensiero di vanto, di differenziazione dall’altro.
Eligio:
L’importante è che queste parole non siano dette con durezza; mi sembra dura
questa affermazione.
Luigi: Lo
so però teniamo presente che tutto quello che è detto, è detto sempre in
un’intenzione di misericordia, quindi è sempre detta per guarirci. Quindi anche
quando il Signore dice: “Guai a voi” o ci destina all’inferno eppure è
per salvarci. È una parola dura che Egli dice per curarci, per guarirci, perché
Dio opera per salvare. Allora, in quanto Dio opera per salvare, tutte le cose
che dice, anche quando dice a noi: “Razza di vipere”, lo dice per
salvarci. Quindi è in un disegno d’amore che Egli ce lo dice, in un disegno di
misericordia, non lo dice in un pensiero di odio o di separazione. Quindi in
quanto lo dice, lo dice per salvare. Anche se sentissimo Dio che ci dice: “Tu
sei destinato all’inferno” dobbiamo ritenere che questa parola Lui ce la
dice per portarci in Paradiso. Non so se sei convinto.
Eligio: Si,
preferirei non sentirla…
Luigi:
Beh! Siamo d’accordo! Però tu capisci che il Signore ci conosce più di quanto
ci conosciamo noi, Lui sa che soltanto se noi siamo scossi fino a quel punto: “Guarda
che tu sei destinato all’inferno”, “Guarda che il tuo posto è li”,
crea quello scuotimento tale per farci fare un passo e per liberarci. Però
l’intenzione è sempre quella: un’intenzione d’amore. Perché Dio è carità e “Dio
vuole che tutti si salvino” e in quanto Dio vuole che tutti si salvino,
sarebbe un guaio grosso se, sapendo che Lui opera in un’intenzione d’amore,
anche se Lui mi dicesse: “Sei destinato all’inferno” io me ne stessi
seduto in poltrona, perché penso: “Tanto Dio opera in un’intenzione d’amore,
quindi non mi impegno”.
Eligio: Resta per
me un motivo di perplessità la preghiera di Gesù al Padre di perdonare coloro
che lo mettono in croce. Siamo noi quelli che lo mettiamo in croce, ma
Gesù adduce tra i motivi del perdono e invoca il Padre di non sapere quello che
fanno. Resto sempre molto perplesso quando il fatto di un principio di
condanna, come possa essere attribuita la responsabilità di coloro che mandano
a morte Gesù, se non sono consapevoli di quello che fanno?
Luigi: Ma
la responsabilità non sta nella non conoscenza, ma sta nel rifiutare la
conoscenza..
Eligio: Ma il
Vangelo dice: “Non sanno quello che fanno”…
Nino: La
responsabilità sta nel fatto che non hanno cercato di capire. Il fatto che non
hanno cercato di capire, non è la responsabilità del rifiuto assoluto che non
ti dà più possibilità di recupero, che è poi il peccato contro lo Spirito
Santo. Il periodo di ignoranza l’abbiamo tutti, l’abbiamo ancora adesso, che
pur stiamo cercando di capire. Io penso di essere ancora tanto, tanto ignorante
anche se confronto al passato vedo tanti miei errori; però ogni tanto mi
accorgo dopo di essere ricaduto in uno di quegli errori e pian pianino lo
scopro. Forse perché man mano che si progredisce si va affinando sempre più, si
arriva a scoprire delle cose che ancora adesso mi trovo delle cose che fino ad
un anno fa non mi dicevano niente, infatti io credevo di essere perfettamente
nel giusto… e poi magari a distanza di un anno dico: “No, ma io qui non sono
mica a posto…”.
Angelo: Ma il
male che noi facciamo, non sappiamo a quali conseguenze ci porterà …
Nino: Non lo
valutiamo…
Angelo: Qualsiasi
cosa che noi facciamo ce ne accorgiamo dopo; tu puoi ammazzare, tu puoi fare
qualsiasi cosa, ma in quel momento lì non pensi …
Nino: Ma anche
senza arrivare ad ammazzare; il peccato dell’ammazzare è talmente evidente, è
grossolano; ma arriviamo alla stessa cosa ...
Luigi:
Ah, no, ma hai una ragione che ti giustifica.
Angelo: Ma nel
momento che tu ammazzi, perché non c'è nessuno che ammazza tanto per ammazzare;
è un esempio come prendere dei soldi in più, oppure non fare bene scuola, come
nel mio caso, non fare bene il mio dovere, tutte queste cose, dalla più piccola
alla più grande, quando fai qualcosa che non va, te ne rendi conto. Io non
credo che ci sia uno che dica: “Io ammazzo per fare un dispetto”.
Luigi:
Comunque c'è una motivazione che rende passabile per te, quell’atto di
uccidere.
Nino: Ci sono
delle volte, direi di più, che non hai nemmeno bisogno di giustificarti, perché
sei talmente ancora lontano; poi man mano arrivi a dire: “Ma guarda un po’!
Quella volta che mi sono comportato cosi era perché ero veramente poco
attento…”, ecco la poca attenzione che non ho giudicato nemmeno male quel
momento lì.
Luigi:
Allora, perché tutto questo accade? Tutto questo accade perché noi non
mettiamo prima di tutto la ricerca di Dio. Il tema di questa sera
dovrebbe essere questo: “Chi viene dal cielo è al di sopra di tutto”.
Noi siamo convinti che chi viene dal cielo è al di sopra di tutto? Per noi, nella
nostra vita? Siamo convinti che il cielo per noi è la cosa più importante?
Oppure è la terra la cosa più importante? Ogni giorno, quello che ci muove è il
cielo? Perché se è più importante, deve essere anche il mio movente. Ora, noi
ogni giorno siamo mossi dal cielo o siamo mossi dagli argomenti della terra?
Come spendiamo le nostre giornate, perché come spendiamo la nostra giornata,
spendiamo anche tutta la nostra vita. Quindi qual è il movente della nostra
giornata? La terra o il cielo? Ora qui dice che il cielo è al di sopra di
tutto, è più importante e che se noi mettiamo prima di tutto invece la terra,
capovolgiamo i termini; ecco l’ingiustizia di fondo, ecco per cui restiamo
nell’ignoranza. Perché in quanto si dice che chi viene dal cielo è al di sopra
di tutto, vuol dire che nel mio cuore, nella mia vita, nel mio interesse, chi
viene dal cielo, cioè chi mi parla delle cose del cielo, dovrebbe essere al di
sopra di tutto; deve essere al centro dei miei interessi. Ora, come può
accadere questa enormità di questo universo che è tutto ben fatto, questa
enormità in cui ad un certo momento l’uomo sceglie quel che vale meno al posto
di quello che vale di più? Cioè sceglie il valore della terra al posto del
valore del cielo? Cosa succede, cosa è che controbilancia? È il pensiero del
nostro io.
Eligio: Oppure è
il non sapere quello che facciamo?
Luigi: Il
pensiero del nostro io al centro ci porta poi a non sapere quello che facciamo;
perché certamente se io scelgo la terra, non so quello che faccio, certamente!
La responsabilità sta nel fatto che, (non nel fatto che faccio delle cose che
non so, perché quello è scontato!) se io non scelgo il cielo, non metto Dio
prima di tutto, certamente farò delle cose che non so; per cui nella nostra
vita, quante volte noi puntiamo su un valore e poi ci accorgiamo di aver
sbagliato tutto. Quante volte io ho sentito persone al tramonto della loro vita
dire: “La mia vita è servita a niente; ho speso tutta la mia vita per
niente”, quante volte si sente dire! Come mai? Perché hai scelto un valore
sbagliato, e come mai hai scelto un valore sbagliato? Perché non hai cercato
prima di tutto Dio; non hai messo Dio prima di tutto.
Nino: È un
pensiero quasi universale quello….
Luigi:
Certo; è ancora sempre l’opera di Dio che attraverso la nostra vita a poco per
volta ci convince della nullità dei valori per i quali noi viviamo e lo fa per
salvarci; per lo meno salva almeno l’anima. Perché quando uno all’ultimo dice: “Ho
sbagliato tutto”, vuol dire che ha presente quello che vale di più.
Angelo: Certo…
Luigi:
Altrimenti non potrebbe dirlo, perché la conoscenza è sempre un rapporto;
se io dico: “Questo per cui io sono vissuto è zero, è niente” vuol dire
che in questo momento qui io ho presente quello che è tutto, per cui avrei
dovuto vivere per un valore maggiore.
Ecco la grazia di Dio che
mi offre quello che vale più di tutto; lo capirò magari soltanto nell’agonia,
ma mi offre qualcosa di più di tutto. San Tommaso stesso dopo aver scritto tutta
la sua Somma, all’ultimo la considera “tutta paglia”, perché ha avuto
l’intuizione di una luce maggiore, per cui ha capito che tutta la sua opera era
paglia e avrebbe voluto distruggerla.
Angelo: Chi dice
quello è già uno che è arrivato alla meta.
Nino: Però io
volevo chiedere una cosa a proposito di quello. Noi quante volte la facciamo
quella scelta..
Luigi: E
poi ce la rimangiamo, praticamente …
Nino: Ce la
rimangiamo direi il più delle volte …
Angelo:
Inconsciamente…
Nino:
Inconsciamente perché non siamo attenti; quel inconsciamente li noi lo diciamo
quasi a toglierci ogni responsabilità, ma non ci toglie la colpa. Quell’uomo
che sul punto di morire dice: “Ho sbagliato tutto”, non rimane…. Dio
vede anche nel nostro futuro, anche se noi dovessimo morire o se noi dovessimo
ancora vivere, vede anche gli errori che noi avremo ancora da compiere se
vivessimo; penso che sia sempre grazia di Dio, ma che sia un po’ una
conversione imperfetta, perché non ha più la possibilità di prova a posteriori.
Luigi:
Però come dico, il Signore cerca di salvare l’anima, l’anima è un atto di
adesione a quello che vale di più. Anche se non ha più la possibilità di
fare delle scelte qui in terra, nella sua anima ci sono sempre il pensiero
dell’io e il Pensiero di Dio. Quando io, come dico, anche se sono ormai morto a
questa terra, porto con me, nella mia anima, il pensiero del mio io (e il
pensiero del mio io me lo porto per l’eternità) e il pensiero del mio io si
volta indietro, per cui se anche io penso a tutto quello che ho perso, anche se
dico: “Quello valeva niente!”, nel pensiero del mio io, posso voltarmi
indietro e magari maledire Dio che mi ha privato di tutte queste cose. Noi non
è che automaticamente, in quanto diciamo, all’ultimo: “La mia vita è stata
un niente”, ripeto, non è che automaticamente noi vediamo Dio,
perché c'è il pensiero dell’io; noi possiamo anche maledire Dio perché mi ha
annullato tutto quello per cui io vivevo.
Nino: Io guardo
appunto di aderire a Dio, però non c'è la prova del nove…
Luigi: La
prova del nove è il superamento dell’io; la prova del nove sta in questo: il
superamento dell’io. Perché io posso non superare il mio io; il dilemma estremo
è: o io o Dio.
Nino: Io questo
voglio dire: che il mio io lo supero magari in questa azione, in quell’altra,
ma poi c'è l’azione dove casco.
Luigi:
Fintanto che sono in terra, fintanto che sono in terra…
Nino: Eppure la
mia adesione è quella li; nel momento in cui me ne accorgo dico: “Ci sono di
nuovo cascato!”; colpa mia di non attenzione, di non orientamento continuo.
È una colpa che è anche legata alla mia debolezza, scarsa capacità di
concentrazione. Non sempre sei cosi attento, ci sono delle cose che vengono e
ci portano via, ci sono dei momenti che agisci di impeto. Rimane valido di
fondo il desiderio di non comportarmi cosi e se mi comporto cosi è una cosa che
mi fa soffrire. Se uno in punto di morire, fa il gran rifiuto del suo egoismo e
aderisce a Dio, solo Dio potrà giudicare se poi quello li non sarebbe ricaduto
non una ma mille volte e non sarebbe ritornato indietro…
Eligio: Ma io non
credo, perché la morte sia una sanzione, e ad un certo momento Dio ci chiama ad
un rendiconto finale in quanto noi saremo eternamente stabilizzati su quella
scelta di valori che abbiamo maturato al momento di morire…
Luigi:
Si, non faremo altre modifiche, non è che Dio ci sorprenda …
Eligio: Il senso
della vita che qualcuno dà ai vent’anni, ai cinquanta, agli ottanta, ai cento
anni serve per capire che Dio è l’unico vero valore da seguire, e arrivati a
quel punto di comprensione, noi non andremo né più in su, né torneremo
indietro… è difficile capire il senso della morte…
Luigi:
Faccio un esempio: il professore esamina l’allievo all’esame e questo allievo
da una risposta esatta alla prima domanda. Allora il professore pensa: “Ah,
questo è uno in gamba!”. Allora approfondisce per cercare di spremerlo al
massimo e dargli il massimo dei voti; ma man mano che approfondisce l’altro
molla.
Ora, il Signore ci dà un
certo capitale da spendere, per entrare al massimo nella sua conoscenza, nel
suo amore; e ci mette tante prove. Naturalmente più noi rispondiamo
positivamente e più penetriamo nella sua conoscenza. Ma occasionati, messi alla
prova, cadiamo. È tutta l’opera di Dio per salvarci, perché è Dio che entra
nella nostra vita ogni giorno attraverso ogni avvenimento.
E ogni avvenimento è
un’occasione che Lui ci mette per spendere qualcosa di noi in un atto d’amore.
E dove noi molliamo, cediamo, la prova fallisce.
L’orientamento di fondo
c'è, il “diciotto”, il “sei” ce lo dà, però Dio ti dà la possibilità di
ottenere il massimo dei voti. E per darti il massimo ti mette alla prova, ti
mette in occasioni sempre più delicate, per vedere se spendi bene il capitale
che Lui ti ha dato.
Dico: la prova assoluta è
quella dell’io e all’ultimo noi restiamo (ed è l’ultima tentazione del Signore
stesso), tra l’io e Dio; e noi prima del nostro io dobbiamo mettere il Pensiero
di Dio, perché soltanto mettendo prima di tutto il Pensiero di Dio, noi
entriamo nel Regno di Dio, diventiamo figli di Dio, siamo in Dio. Se invece noi
mettessimo il Pensiero di Dio, ma in conseguenza del nostro io: qui abbiamo una
dannazione eterna perché ci mettiamo nella impossibilità di conoscere Dio. Nel
pensiero dell’io, noi non possiamo assolutamente conoscere Dio: ci rimane il
dubbio eterno: “Sono io che penso Dio”.
Invece devo entrare in
questo ordine: “Sono io pensato da Dio”, quindi è Dio che origina, che
pensa a me.
Eligio: Risulta
evidente dai due ladroni: uno è nel pensiero di sé, mentre l’altro è nel Pensiero
di Dio: “Ricordati di me quando sarai in Paradiso”…
Luigi:
Si, come anche la parabola dei due al Tempio: “Signore ti ringrazio perché
sono giusto” mentre l’altro pregava: “Signore abbi pietà”; ecco,
abbiamo uno che è dipendente da Dio.
L’importante è questo: Dio
si manifesta; noi mettiamo al centro o il pensiero dell’io o il Pensiero di
Dio. Poi Dio si manifesta e noi mettendo prima di tutto la conoscenza di Dio,
Dio è un infinito che ci chiede di far entrare tutto.
È un cielo che ci chiede di
espanderlo tanto fino ad includere tutta la nostra terra: far diventare tutta
la nostra terra cielo…
Allora noi abbiamo il cielo
e abbiamo la terra; siamo sulla terra e abbiamo il cielo che ci sovrasta.
Abbiamo detto diverse volte
che il cielo rappresenta il nostro mondo superiore, e la terra il nostro mondo
inferiore; andando più avanti ho detto che il mondo superiore a noi, è il mondo
non esperimentabile da noi, che non possiamo sperimentare perché ci supera.
Il mondo inferiore a noi è il
mondo esperimentabile da noi perché noi lo esperimentiamo; però succede questo:
proprio perché noi lo esperimentiamo, tutto il mondo che dipende da noi, ha
per centro il pensiero del nostro io, più diventa nostra vita, e più non fa
altro che gonfiare il nostro io, appunto perché è sotto il nostro io.
Quindi più noi possediamo
di questo mondo esperimentabile da noi, e più questo non fa altro che dire: “Tu
sei importante; tu sei grande!”, perché esalta il nostro io, ha per centro
il nostro io.
Quindi evidentemente la
terra, il mondo esperimentabile da noi, il mondo che vediamo, che tocchiamo
ogni giorno, questo non salva noi, anzi ci gonfia.
San Giovanni dice: “Tutto
quello che è mondo è concupiscenza, è passione dei nostri sensi, del nostro
pensiero, del nostro egoismo, della nostra ambizione”. Questo mondo
certamente non ci salva. Il mondo superiore certamente non è sperimentabile da
noi, però si fa sentire da noi. Per cui tutte le volte che noi abbiamo chiesto
a Dio un segno, Dio si rifiuta di dare un segno perché Lui non si lascia
sperimentare da noi perché è superiore. Se Lui si facesse sperimentare da noi
non sarebbe superiore. È chiaro? Quindi Lui si rifiuta di dare i segni, però
Lui dà i segni: tutto è segno di Dio, anche la nostra terra è segno di Dio.
Però se noi prendiamo un segno, sottomettiamo il mondo non esperimentabile da
noi al nostro io, non entriamo nel suo regno.
Nino: Lui dà
dei segni a noi che noi desidereremmo chiedere, ma non oseremmo chiedere…
Luigi:
Certo, ma l’iniziativa è sua, non deve essere nostra, perché quando
l’iniziativa è nostra: “Signore dacci un segno!” nessun segno viene
dato. Non si sottomette perché se si sottomettesse, ci creerebbe l’inferno…
Nino: Cioè noi
anche quando facciamo una rinuncia a chiedere un segno, però è evidente che se
lo avessimo ne saremmo felici perché è quello che desideriamo, però cerchiamo
di riconoscere che non è giusto che noi lo chiediamo, il segno arriva …
Luigi:
Certo, certamente, se noi mettiamo prima di tutto Dio, come dico: tutto
l’universo è segno di Dio, quindi Lui ci ha creati, siamo tutti in un mondo di
segni e ci dovremmo chiedere, proprio perché nella nostra vita c'è il cielo e
c'è la terra, quanta significazione ci sia. Perché proprio nella nostra vita
c'è un cielo e c'è una terra, come mai c'è un cielo e c'è una terra? Come mai?
Ecco la significazione principale: un mondo superiore, un mondo che ci sovrasta
e un mondo che dipende da noi. Però ho detto che il mondo che dipende da noi
non ci salva, quello che ci salva è il mondo che ci obbliga a superare noi
stessi, quindi il pensiero. Ecco perché il cielo è superiore a tutto, proprio
perché dobbiamo metterlo al di sopra di tutto. Perché noi siamo salvati
soltanto dal mondo superiore, mentre il mondo inferiore ci gonfia.
Ecco, allora, impegnandoci
con il cielo, e dobbiamo sviluppare questo cielo, fino ad arrivare ad includere
la nostra terra, e tutto il nostro mondo esperimentabile in cielo; cioè fino a
vedere che tutto quello che credevamo fosse opera nostra, deve essere opera di
Dio, perché tutto è opera di Dio. Allora questo mondo, questa terra che
dipendeva da me, se io parto dal cielo, espando questo cielo perché: “È
necessario che Lui cresca”, che il cielo cresca, e che la mia terra
diminuisca, ma deve diminuire questa mia terra fino al punto tale da diventare
cielo, da diventare tutto cielo. Effettivamente la nostra terra appartiene al
cielo, però io scopro la mia terra su cui sto come corpo celeste, soltanto in
quanto la proietto nel cielo; non in quanto proietto il cielo sulla terra.
Allora quindi, soltanto in quanto parto dal cielo e cerco di vedere la mia
terra in cielo, ad un certo momento scopro che anche la mia terra è un corpo
celeste. Quindi cosa vuol dire questo? Che un giorno noi scopriamo, partendo da
Dio, che anche tutto quello che dipende da noi, è tutto Dio che opera. Allora
cosa succede qui? Questo è quanto Dio chiede a noi, se mettiamo prima di tutto
Dio, ma Dio opera per portarci in cielo.
Quindi abbiamo tutta
un’opera diciamo di sollecitazione da parte di Dio a fare questo; per cui anche
se noi diciamo: “Io metto prima di tutto il cielo” però come io dico
questo, Dio immediatamente muove degli argomenti intorno a me, per farmi
correre in questa scelta, per farmi progredire, per farmi entrare, per
spiritualizzare.
Soltanto che quando mi
capita la sollecitazione, io mollo.
Allora succede che io
spiritualmente eleggo Dio, e poi io praticamente eleggo la terra. Ecco
allora si crea questa frattura in me, questa sofferenza, questo conflitto,
questa infelicità. Perché l’infelicità è data da questo conflitto; la
felicità sarebbe poter vivere per realizzare una vita secondo quello di cui noi
siamo convinti.
Più noi riusciamo a vivere
secondo quello di cui noi siamo convinti, e più si forma la gioia, la felicità;
mentre invece fare delle cose di cui noi non siamo convinti idealmente, crea
grande sofferenza, anche se fuori tutti ti battono le mani, non importa, perché
la sofferenza è dentro di noi, in dialogo con Dio, attraverso tutte le cose.
L’importante è: “Che Lui
cresca”, ecco, la testimonianza dell’uomo giusto, dell’uomo sulla terra,
questa testimonianza: “È necessario che il cielo cresca”. Colui che
viene dal cielo. Già il fatto stesso di dire: “Colui che viene dal cielo” ci
fa subito immaginare che viene da altri cieli, da cieli spirituali perché dal
centro della terra non viene nessuno. Quindi Colui che viene da questo cielo
spirituale, che parla a noi di quel cielo spirituale, di quel mondo non
sperimentabile. Colui che parla a me, quindi, questa rivelazione in questa
conoscenza, che poco per volta io devo fare grandeggiare, fino ad occupare
tutto il mio mondo.
Eligio: Scusa
quando dici non esperimentabile da noi, intendi non esperimentabile dall’io.
Luigi:
Certo, nel pensiero dell’io. Tutte quelle prove che diceva Nino, quelle prove a
cui noi siamo giornalmente sollecitati, è Dio che entra in noi, è cielo che si
propone a noi…
Nino: No, io
dicevo che chi arriva all’ultimo momento a fare quella scelta li, a noi uomini,
a me uomo, lascia il dubbio che se avesse vissuto ancora, come si sarebbe
comportato?
Luigi:
Io direi che il Signore in quanto ti porta all’ultimo atto, è la conclusione.
Cioè è la conclusione di tutte le scelte che Lui già ci ha proposto, che noi abbiamo
già fatto. Per cui se io vivessi fino a cento anni, ma anche se vivessi
diecimila anni io non mi sposterei più di cosi, perché ormai ho fatto le scelte
essenziali.
Pinuccia: Ma questo
vale anche per i bambini, per i giovani ...
Luigi:
Ma vedi, tutto questo è tutta scena per noi, (ad esempio i bambini che
muoiono), perché è opera di Dio che opera per sollecitarci; perché Dio opera
attraverso tante creature per dirci: “Guarda che la morte ti può sorprendere
da un momento all’altro”. Non ce le presenta affinché noi abbiamo a
giudicare il bambino o giudicare il vecchio che muore di disgrazia o che muore
in un letto. No, ma affinché noi abbiamo a giudicare noi stessi, a sollecitarci
nel cercare Dio. Il Signore ci dirà: “Guarda che io ho fatto morire prima
del tempo quella creatura per te! Guarda che quel tale poteva essere
ricchissimo ed io l’ho messo in miseria, l’ho fatto soffrire, per te! E tu non
hai capito!”; non basta che noi diciamo: “Ah ma io credevo che tu
l’avessi punito”. No! Tutte le cose avvengono non perché noi abbiamo a
dire: “Quel tale, quel tal altro, chissà come sarà”; tutte le cose
avvengono perché sono lezioni di Dio da assumere su di noi, perché come ho
detto Dio ha dato i comandamenti, Dio ha dato la Legge, non perché noi avessimo
ad applicarla ad altri, a giudicare, a condannare; ma perché avessimo a
giudicare noi stessi, a misurare noi stessi. Questo rientra tutto nel disegno
di Dio, perché Dio è Uno solo. Quindi quello che Lui ha detto nei comandamenti,
lo dice ancora attraverso le opere che fa tutti i giorni, con tutti i quadri
che Lui ci presenta, con tutta la società, con tutto il mondo, con tutti gli
uomini, con tutte le diverse vicende, è sempre la stessa lezione che Lui ci dà,
per convertire noi, per cambiare noi e se già ci ha cambiati, per sollecitarci,
per ampliare questa spiritualità fino al massimo possibile. Perché Dio ci
chiede il massimo, perché Lui vorrebbe che noi lo conoscessimo come Lui conosce
noi, in modo da creare questa intima comunione eterna. Lui chiede a noi questo,
e dà a noi la possibilità di arrivare a quello. Il difetto è sempre da parte
nostra, per cui noi rispondiamo: Lui ci chiede il cento e noi rispondiamo uno,
due, tre, cinquanta, ecc… Il seme che cresce produce al cinquanta, al venti, al
trenta. Quindi non dobbiamo mai dire: “Chissà quello là come sarà andato a
finire!”; no, cerca prima di tutto di capire la lezione che Dio vuol dare a
te, in quel fatto. Noi non siamo mai nel giusto, siamo sempre in difetto
rispetto a Dio, siamo tutti peccatori.
Angelo: È
possibile credere in Dio e non voler bene a Dio?
Luigi:
Ma vedi, è possibile, cioè noi ci illudiamo, possiamo farlo ma fintanto che
quello avviene è perché c'è una scissione in quanto noi non capiamo cosa vuol
dire credere, non ci rendiamo conto; perché il credere è già un atto d’amore,
capisci? Il credere deve necessariamente sfociare in un amore; ad esempio se io
credo ma non ho speranza di arrivare, anche solo come fine non esiste più.
Perché il credere è già desiderio di arrivare a conoscere quindi è già un atto
d’amore, un atto di adesione che tende a concludere tutto in amore, a diventare
tutto carità, a diventare tutto amore, ad immergersi tutto li.
Angelo: Anche
quello che dice alla fine della vita di aver sbagliato tutto ...
Luigi: È
nel pensiero dell’io che lui dice questo; se fosse in Dio capirebbe che tutto è
stato misericordia di Dio, anche tutti gli sbagli, anche tutti i mali che ha
fatto. Perché Dio ha questa immensa possibilità, ed è la nostra speranza: di
cambiare il male in bene. Per cui tutti i nostri mali, se Dio ci
converte a Sé, diventano motivo di maggior unione. Il peccato perdonato,
è motivo di maggior amore, quindi è un legame più stretto, avvince di più.
Mentre invece se la colpa non ci porta a Dio, allora capisci che diventa motivo
di distrazione. È una cosa personale, in quanto concludiamo in Dio, per cui non
c'è nulla di cui dobbiamo lamentarci, non c'è da piangere per niente; anzi,
dobbiamo dire: “Signore ti ringrazio, anche per tutti quei mali che mi hai
lasciato commettere, perché tutto questo mi ha legato di più a te!”.
Angelo: Nella
giornata non ho la percezione di fare la volontà di Dio o la mia…
Luigi:
Se ho il Pensiero di Dio, il Pensiero di Dio prima di tutto mi illumina, poi
mi rimprovera e poi mi fa correggere. L’importante è il Pensiero di Dio, è
ricordarmi di Lui. Ora, l’ideale sarebbe essere sempre motivati da Lui, essere
mossi da Lui. Noi dobbiamo essere attenti soprattutto là dove è più facile
sbagliare: ora una delle cose con cui sbagliamo con più facilità è il parlare.
Noi parliamo con una facilità enorme senza tener conto di Dio, non motivati da
Dio…
Nino: Se noi
siamo invece fossimo ispirati dall’amore di Dio, praticamente non esisterebbe
più il peccato, scomparirebbe…
Luigi:
Ah, è logico se noi siamo guidati da Dio non possiamo peccare; il peccato è
stare lontani da Dio…
Nino: Noi certe
volte siamo talmente piccoli che andiamo a vedere i peccati mentre il nostro è
un peccato di meschinità…
Luigi:
Certo, in quanto c'è stata una motivazione centrale egoistica…
Nino: Anche gli
africani me lo hanno detto: “Vai in un posto in cui non c'è niente ma ti
porti dietro tutto quello che hai dentro!”; l’unica cosa in cui mi sono
trovato vantaggiato in missione è nella semplicità della vita: non avere la
preoccupazione di guadagnarmi i soldi. Avendo avuto una certa libertà da
qualcosa, essendo andato con l’idea di vedere, di arrivare a un pochino più di
conoscenza, qualcosa mi ha aiutato.
Luigi:
Il fatto è che noi siamo sempre condizionati dagli avvenimenti che ci capitano,
per cui noi viviamo di abitudini: è lì la penitenza! Per cui noi
facciamo la scelta e diciamo di essere convinti e poi, occasionato, salta fuori
la mia abitudine, la mia parola facile, il mio scherzo, e tutto quello mi porta
via, enormemente via. E quando cerco di recuperare di nuovo quella scelta là,
mi trovo lontanissimo e dico: “Come mai la scelta che avevo fatto me la
sento lontana, astratta?”. Ecco per cui Dio diventa cielo lontanissimo ed
io sono qui nella mia meschinità perché la mia terra è formata da tutte quelle
cose che hanno determinato il mio modo di vivere, che mi condizionano, che mi
assoggettano. È vero che c'è tutto un mondo esperimentabile, quindi che dipende
da me, ma come questo mondo qui lo faccio dipendere da me, quello mi incatena,
non mi molla mica più. Per cui se non interviene il cielo a liberarmi, resto
schiavo. È la piovra che ti afferra. Appena uno fa un cenno o altro, sei già
immerso nell’altro e allora questo ti crea un gran distacco da Dio. Anche se lo
hai scelto, lo senti che non fa più presa, lo senti lontano e ti domandi: “Come
mai?” e qui è il lavoro di penitenza; è il recupero. San Paolo dice: “Recuperate
il tempo”, recuperare tutto quello che abbiamo perso nel pensiero del
nostro io, perché le nostre azioni noi non le perdiamo mai; le nostre azioni ci
seguono e ci precedono e ci determinano.
Angelo: Magari ti
perseguita il pensiero di una cosa che hai fatto cinquant’anni fa..
Luigi:
Ah, non c'è niente che si perda, è solo in Dio che può essere trasformato;
quello diventa tuo cielo; per cui tu vivi sotto quella volta, e l’altro cielo è
sparito, è lontanissimo. Per cui noi senza accorgercene ci chiudiamo proprio
come il baco da seta che si chiude nel bozzolo, e viviamo tutto in questo cielo
qui.
Emma:
Allora come dobbiamo vedere il nostro passato, come misericordia?
Luigi:
Ma tutto viene recuperato in Dio. Bisogna vederlo con la luce di Dio,
perché se noi mettiamo prima di tutto Dio, se noi cerchiamo prima di tutto Dio,
allora possiamo dire: “Come Dio è stato buono, ad esempio, nel non farci morire
immerso in quella palude! mi ha dato la possibilità di uscire, la possibilità
di scoprire questo!”. Allora, sapendo però che nel pensiero del nostro io siamo
immersi in una palude, adesso, avendo scoperto questo, facciamo ben
attenzione a non fare più niente mossi dal pensiero dell’io o dal pensiero del
mondo perché sappiamo quali conseguenze questo reca a noi. Ora, quando uno
ha scoperto l’importanza di Dio, l’importanza di essere mosso da Dio, allora
poi sto ben attento e dico: “Potrei dire questa parolina qui, ma non la dico
mica più, anche se questa mi mette in vetrina, fa ridere l’altro, ma non la
dico più perché so poi quali conseguenze ne derivano…”, ha esperimentato,
lo sa, ecco che ha la possibilità di non rimanere intrappolato dalle sue stesse
parole.
Emma:
Quindi intenderlo cosi come misericordia di Dio…
Luigi:
Tutto! Comunque il mio pensiero era quello di parlare del cielo e della terra e
il pensiero centrale è stato sviluppato.
Angelo: Non
potremmo trovarci a leggere insieme la Passione visto che siamo nella settimana
santa?
Luigi:
Si quello è un rafforzamento ma può anche essere un indebolimento perché uno
può pensare: “Non mi impegno tanto vado poi al gruppo…”. Guarda che la
vita essenziale è personale e se non c'è questo tu puoi fare tutte le preghiere
di questo mondo, in gruppi e non gruppi, ma se noi hai questa ricerca intima
personale non puoi iniziare il cammino.
Nino: Adesso
abbiamo acquisito un concetto diverso di preghiera: la preghiera è cercare
di capire Dio.
Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti;
chi è della terra appartiene alla terra e parla della terra. Ma chi viene dal
cielo è superiore a tutti.Gv 3 Vs 31 Secondo
tema.
Titolo: Appartenere alla
terra.
Argomenti: Il cristianesimo e il senso della vita - È Dio stesso che si fa conoscere – La sensibilità alla Verità – L’ascolto del Maestro –
Permanere nell’ascolto –
Le distrazioni –
Menzogna e verità –
La menzogna è in noi –
La vanità di tutto –
La corrente che ci spinge in cielo – La Verità è Persona –
La persona ha in sé la regione di sè – Nascere dal cielo –
Essere/appartenere/parlare –
Il motivo della vita –
Trasformare la terra in cielo – Sottometterci a Dio, non viceversa – Il mondo invisibile –
La spiritualizzazione dell’uomo – La fede fuori dal cristianesimo -
17/Aprile/1977
Introduzione:
Eligio: “Perché Dio non gli dà lo spirito con misura” che
cosa può significare? Che sovrabbonda?
Luigi: Si,
perché Gesù dice: “Io sono venuto perché abbiano la vita e la vita in
sovrabbondanza”, per cui lo spirito non è soltanto limitato a qualche cosa,
lo spirito sovrabbonda quando arriva.
Questa
sera dovremmo fermarci su questo pensiero: “Chi è della terra appartiene
alla terra e parla della terra. Ma chi viene dal cielo è superiore a tutti”.
Ho
letto in questi giorni un articolo su Civiltà Cattolica che mi sembra che fa
bene di sfondo a questa meditazione, a questo argomento.
Se
Pinuccia può leggercelo, forse è un po’ lungo, ma piuttosto ci fermiamo a metà.
Comincia pure….
Precede la lettura di un articolo su
“Civiltà Cattolica”:
Titolo: il cristianesimo e il senso della
vita.
Alcuni
non si sono mai posti con un minimo di attenzione e di serietà il problema religioso;
sia perché immersi nella vita non hanno mai avuto il tempo e l’agio di
riflettere su di esso, sia perché nessun avvenimento della vita li ha posti
dinanzi a tali problemi; sia perché nessuno è mai riuscito a porlo alla loro
coscienza.
Si
tratta di persone che vivono perennemente al di fuori di se stesse, in preda al
ritmo implacabile e frenetico della vita moderna, ma in fondo contente che tale
ritmo non le obblighi ad entrare in se stesse, a trovarsi sole con la propria
coscienza.
Oppure
si tratta di persone spiritualmente vuote e quindi bisognose di riempire la
propria vita di cose che sembrano soddisfarle; di persone perciò che non hanno
o non sembrano avere altri interessi che non siano quelli immediati del denaro
che non basta mai, di una bella casa da riempire di mille cose inutili, della
carriera insediata da troppi nemici, della famiglia da condurre avanti con
decoro e dignità, dei vestiti che la moda tiranna obbliga a cambiare
continuamente, e via dicendo.
Per
tutte queste persone il problema religioso è qualcosa di estraneo al loro
mondo, non viene loro neppure in mente perché semplicemente per esse non
esiste; anzi, non è neppure un problema, cioè un interrogativo che esige una
risposta.
Altri
si sono posti o si pongono il problema religioso, sia pure solo qualche volta e
senza neppur molto impegno, ma non lo hanno ritenuto o non lo ritengono un
problema che vada preso sul serio, perché a loro parere la religione è un
cumulo di superstizioni e di favole; oppure è contraria alla ragione ed alla
scienza; oppure è una cosa vecchia e sorpassata.
Perciò
un uomo che voglia essere maturo, ragionevole e moderno, non può prenderlo sul
serio.
Vi
è infatti chi per ignoranza o per un inveterato pregiudizio illuministico,
inoculato attraverso la cultura corrente, pensa che la religione cristiana sia
un coacerbo di miti e superstizioni che una persona intelligente non potrebbe
accettare senza far torto alla propria intelligenza.
Non
importa poi se proprio queste persone credono negli oroscopi, nei portafortuna
ed evitano con cura il “13” e il “17”.
Altri,
per i quali tutto il cristianesimo si riduce a qualche fatto loro narrato
quando si preparavano alla prima comunione, credono che il cristianesimo sia
una bella favola, adatta per i bambini e per le persone ignoranti e di scarsa
cultura, perché capaci di suscitare in loro dei sentimenti buoni, ma non certo
per le persone mature e per gli uomini di cultura.
Altri,
invece che si ritengono di essere dotati di spirito scientifico, che in realtà
è il vecchio scientismo del XIX secolo, pensano che la religione faccia parte
di una realtà non scientifica o prescientifica .
Il
progresso della scienza, avvenuto in questi ultimi secoli, a loro parere, ha
messo in crisi e distrutto miti e credenze religiose, mostrandone la falsità e
la contraddizione con i dati della scienza.
Tutt’al
più concedono al cristianesimo un valore estetico e sentimentale ed anche una
capacità di apportare consolazione e conforto a chi soffre.
Certo
sarebbe tanto bello e degno dell’uomo accettare con fortezza stoica la
sofferenza e la morte, ma non tutti ne sono capaci.
Ben
venga allora la religione che dà coraggio ed impedisce di disperare a colui che
ha paura della sofferenza e della morte, dando la speranza purtroppo illusoria
di una vita nell’al di là.
È
chiaro che per tutti costoro, il problema religioso o non esiste o è senza
valore: per conseguenza non va preso sul serio.
Ma
è proprio vero che il problema religioso non sia un vero problema e perciò non
vada preso sul serio? Noi non lo crediamo; pensiamo anzi che il problema
religioso sia quello del senso della vita umana e che perciò chiunque si
interroga sul senso della propria vita, e che uomo è chi non si pone questo
interrogativo? Non può non porselo con estrema serietà.
Infatti
nella sua vita l’uomo deve affrontare molti problemi: anzitutto quello della
sua sussistenza, per vivere ha bisogno di cibo, di sonno, di cure mediche.
Ma
per procurarsi il cibo ha bisogno di lavorare, per dormire ha bisogno di una casa,
per guarire dalle malattie ha bisogno di medici e di ospedali.
Sorgono
cosi i problemi del lavoro, della casa, della sanità. Risolti questi, almeno
inizialmente, altri non meno importanti sorgono; quelli dell’educazione, della
scuola, della cultura.
Ma
l’uomo non è un essere puramente individuale; egli vive in una famiglia, fa
parte di una comunità politica, è cittadino di uno stato, insomma vive in una
rete di relazioni interpersonali che sono di natura affettiva, ma anche di
natura sociale, politica ed economica.
Di
qui un’altra serie di grosse questioni che egli deve affrontare.
C'è
tuttavia un problema radicale che fa da sfondo a tutti gli altri; potremmo
chiamarlo il problema dell’uomo, perché tocca il suo essere profondo,
tocca il senso di tutto quello che egli fa.
Infatti
l’uomo esiste, vive, lavora, costruisce, ma perché? e a quale scopo? Che senso
hanno la sua esistenza, il suo lavoro, il suo affanno per migliorare la propria
condizione di vita e quella degli altri? Insomma, perché egli vive?
Più
profondamente ancora: chi è l’uomo? Donde viene? Dove va? Ci sono poi i
terribili interrogativi del dolore e della morte; se l’uomo è soggetto alla
sofferenza che senso ha la sua corsa alla felicità? Se tutto finisce con la
morte, che senso ha la vita? a che cosa vale vivere, affaticarsi, lottare, se
la morte annulla tutto quello che si è fatto e si è creato con tanta fatica e
angoscia? Che senso ha fare il bene se la morte porta via tutto?
Ecco
le domande ultime che l’uomo non può non porsi.
Certo,
molti non se le pongono ma; essi cioè vivono senza chiedersi il perché vivono.
Si
può domandare se queste persone vivono e basta siano veramente uomini?
Abbiano
cioè raggiunto quel tanto di maturità umana, intellettuale, morale, quel tanto
di capacità di riflessione, che permette di parlare di essi come di uomini?
Infatti,
per essere uomo non basta vivere; anche l’albero, l’animale vivono, ma non
sanno di vivere. Non sono in grado di interrogarsi sul senso della propria
vita, non sono capaci di dare un senso alla propria esistenza.
Invece,
ciò che distingue l’uomo da ogni altro vivente, è la capacità di
autocomprendersi, di interrogarsi sul senso della propria vita, anzi, di dare a
questa un senso.
L’uomo
perciò che non si pone le domande ultime, non è veramente uomo o non lo è
ancora. Che senso ha dunque la vita umana? Perché l’uomo vive? Qual è il suo
destino.
Alcuni
pensano che a questi interrogativi, possa dare una risposta la scienza, ma si
ingannano perché la scienza, per sua natura, non si interroga, né può
interrogarsi sulle domande ultime dell’uomo; se lo facesse diventerebbe
scietismo, cioè filosofia, uscendo cosi dai propri limiti e parlando di cose
che non può sapere.
Infatti
la scienza studia i fenomeni accessibili all’osservazione nella loro origine,
nel loro sviluppo, nelle loro leggi, ma non si interroga sulle cause ultime e
sul senso ultimo di tali fenomeni.
D’altra
parte tutto ciò che non è osservabile, verificabile con metodi e gli strumenti
della scienza, non può essere oggetto di quella.
Cosi
la scienza biologica, studiando il fenomeno della vita, cerca di comprendere
come essa ha origine e secondo quali leggi si sviluppa.
Ma
non si chiede perché c'è la vita e qual è il senso di questo fenomeno, sono
problemi che non sono di competenza della biologia.
Cosi
ancora, la biologia si interessa di eventi che sono scientificamente
osservabili, cioè dei corpi viventi, ma non può dire nulla dei viventi non
corporei, come Dio e lo spirito.
Non
solo non può dire nulla sulla natura di questi esseri, ma non può pure dire che
esistano o che non esistano.
Quando
però per provare che l’anima non esiste, si afferma che nessun biologo medico,
ha mai trovato un punto a che fare con l’anima, ma ha trovato sempre solo il corpo,
si dice una cosa senza senso. Nessun medico e nessun biologo può mai scoprire
nell’uomo lo spirito, perché questo non è accessibile da nessuna osservazione
scientifica, neppure a quella fatta da quegli strumenti più perfezionati.
L’anima,
lo spirito, appartengono ad un altro ordine, radicalmente diverso da quello
della materia; esso non è una materia più sottile, ma semplicemente non è
materia.
In
realtà, i problemi che riguardano il destino dell’uomo, cioè le domande ultime,
appartengono ad un mondo che non è quello dei fenomeni sensibili,
scientificamente osservabili, perciò di fronte ad essi la scienza, se vuole
rimanere scienza, e non pretendere di divenire filosofia, deve arrestarsi.
È
chiaro che lo scienziato, in quanto è uomo, può e deve porsi tali problemi e
cercarne la soluzione, non può quindi chiudersi nel guscio della scienza,
credendo di avere già, in quanto scienziato, le chiavi di tutta la realtà, ma
deve aprirsi ad altri apporti per risolvere i suoi problemi di uomo.
Se
la scienza è incapace di rispondere alle domande ultime dell’uomo; può farlo la
filosofia, la quale è appunto la disciplina che indaga nel mondo dello spirito
e va alla ricerca delle cause ultime della vita?
La
risposta è francamente negativa; osserviamo innanzitutto che non si può parlare
di filosofia, bensì di filosofie. Per una dolorosa fatalità, l’unità degli
spiriti non si è fatta proprio nel campo in cui sarebbe stata più utile e
necessaria, nella ricerca filosofica.
Ogni
pensatore ha seguito la sua strada con il risultato che spesso i sistemi
filosofici si sono distrutti a vicenda o sono approdati a conclusioni
contraddittorie a vantaggio di due tentazioni costanti nello spirito umano: lo
scetticismo e il relativismo.
Sarebbe
certo ingiusto negare i progressi e le conquiste fatte dallo spirito umano nel
campo filosofico, ma non si può non rilevare lo scandalo della filosofia
dinanzi al quale l’uomo della strada resta sconcertato e interdetto seppure non
cede alla tentazione di pensare che la verità non esiste o se esiste è
impossibile raggiungerla.
Ciò
vale soprattutto per le risposte che le filosofie danno alle domande ultime
dell’uomo; la delusione che se ne ricava è grande.
Alcuni
filosofi, i materialisti, diranno che esiste solo ciò che è materiale; perciò
Dio, lo spirito in quanto distinto dalla materia e non riducibile ad essa, non
esistono; ed è vano parlare di spiritualità, di immortalità, di una vita oltre
l’al di là.
Diranno
che la vita umana non ha un senso che sia radicalmente diverso da quello della
vita di altri viventi, perché l’uomo vive e muore come gli altri viventi e come
essi sparisce nel nulla.
Perciò
il senso della vita è cercare di essere felici il più possibile su questa
terra.
Altri,
i positivisti, i neopositivisti, i sensisti, gli agnostici, risponderanno che
ignorano quale sia il senso della vita e che, ad ogni modo, simili domande,
sono senza senso, vuote di contenuto reale, perché non si può parlare se non di
ciò che si può sperimentare e verificare scientificamente; non ha dunque senso
parlare di Dio, dello spirito, della vita oltre la morte, di un destino
dell’uomo.
I
filosofi idealisti, diranno che l’uomo non ha nulla da cercare al di là e al di
fuori di se stesso; egli crea i suoi valori e realizza in assoluta libertà il
destino che egli stesso, liberamente, si è proposto, egli è dio a se stesso, e
il suo destino sta nel prenderne coscienza.
Gli
storicisti diranno che il destino dell’uomo si compie nella storia, che è
sempre positiva, perché il male non è che un momento dialettico del bene che
vince sempre.
I
panteisti diranno che il male e la morte sono falsi problemi; Spinosa ad
esempio diceva che la cecità per un cieco non è un male, ma un bene.
I
pessimisti come Schopenauer diranno invece che il male è il fondo della realtà
e perciò all’uomo non resta che la rassegnazione fatalistica o il suicidio.
È
chiaro che tutte queste risposte lasciano amaramente insoddisfatto l’uomo che
si interroga sul senso della vita, sul male, sulla morte; non basta infatti che
questi problemi si dichiarino falsi o inesistenti perché essi non esistano
veramente e non angustino chi vi riflette seriamente.
Non
basta negare il male perché esso scompaia dall’esistenza umana, non basta dire
che il male, la morte sono il fondo della realtà perché essi cessino di essere
assurdi e di togliere ogni senso accettabile alla storia ed alla vita
dell’uomo; sarebbe veramente desolante se per sfuggire all’assurdo del male e
della morte, non ci fossero che due strade: quella dell’accettazione
fatalistica o quella del suicidio.
C'è
tuttavia una grande corrente filosofica, quella ateista, che ha cercato di dare
una risposta alle domande ultime; essa ha certamente compiuto grandi passi in
avanti, ma alla fine anch’essa ha dovuto arrestarsi dinanzi al mistero
dell’uomo e del senso ultimo della vita.
Gli
unici che hanno potuto procedere oltre e penetrare in qualche misura il mistero
di Dio e dell’uomo, sono stati i filosofi cristiani.
Ma
essi hanno potuto fare questo in virtù di una luce più alta, quella della
venerazione cristiana, che ha illuminato e ha dato vigore nuovo alla loro
ragione.
Già
Platone aveva visto che per decifrare il destino dell’uomo (il suo problema era
se l’anima è o non è mortale), ci si può affidare al ragionamento umano; ma
questa non è che una povera zattera con cui si attraversa, a proprio rischio,
il mare della vita.
Sarebbe
assai meglio se uno potesse fare il tragitto più sicuramente e meno
pericolosamente su una più solida barca, affidandosi ad una divina rivelazione
(Fedone cap. 35 e seg.).
È
proprio questa barca che i filosofi cristiani hanno avuto a disposizione per
penetrare nel mistero dell’uomo.
Sorge
allora il problema: se né la scienza, né la filosofia riescono a rispondere
alle domande ultime dell’uomo, non potrebbe farlo una divina rivelazione quale
il cristianesimo?
Il
problema religioso si pone in tal modo come il problema del senso della vita;
di qui la sua serietà, anzi la sua ineluttabilità.
Chi,
in altre parole, vuole interrogarsi sul senso della vita, non può non
affrontare seriamente il problema religioso.
In
realtà, il cristianesimo afferma di poter svelare non solo il mistero di Dio,
ma anche il mistero dell’uomo, rivelando chi è l’uomo: donde viene, dove va,
qual è il suo destino, perché egli vive, perché soffre e muore.
Di
fronte a questa posizione l’uomo non può restare indifferente, non può cioè
sottoporre ad un esame serio e rigoroso la pretesa del cristianesimo di poter
risolvere i fondamentali problemi che pone l’uomo, la sua esistenza sulla terra.
Potrebbe
anche darsi che la risposta che esso dà alle domande ultime non sia
convincente; prima però di operare un giudizio di accettazione e di rifiuto,
bisogna esaminare quello che dice, con la serietà e l’impegno che esigono
questioni in cui è implicato il destino dell’uomo.
Ecco
perché il problema religioso supera per importanza tutti gli altri.
Non
vogliamo dire con questo che esso sia l’unico di cui ci si debba preoccupare;
altri, quello del pane quotidiano, della casa, del lavoro, della professione,
della salute, possono essere più urgenti ed immediati; ma non bisogna
confondere l’urgenza e l’immediatezza di un problema con la sua importanza.
Cosi
il problema religioso non è l’unico dell’esistenza umana, ma è certamente il
più importante e decisivo.
Certo,
come già si è detto, molti uomini di oggi non ne avvertono l’importanza; Dio
non entra nell’orizzonte della loro vita.
Del
resto il “prima” spirituale, impregnato di edonismo e di materialismo, di ricerca
affannosa del benessere e di chiusura a tutto ciò che oltrepassa il regno del
sensibile e dell’utile, nel quale l’uomo di oggi vive, non favorisce l’emergere
dell’esistenza religiosa, ma piuttosto soffoca ogni senso di Dio.
Ci
sono però dei momenti, noi siamo soliti qualificarli come le ore tristi e nere
della vita, mentre forse sono le decisive e le più preziose, in cui ognuno di
noi si toglie la maschera che porta abitualmente e solleva il velo che nasconde
la propria anima, quello che ognuno veramente è. Le cose allora, almeno per un
momento, perdono il loro fascino abituale e si mostrano meschine, mutevoli,
ingannatrici, mentre noi ci troviamo poveri e soli di fronte a noi stessi.
Sono
i momenti di delusione, le ore di incertezza, quando ci attanaglia il dubbio o
il dolore ci penetra come una lama nella carne; quando un’angoscia sorda e
senza volto ci rode implacabile l’anima. Chi di noi allora non sente il bisogno
di Dio o almeno il desiderio di qualche altra cosa che non sia l’effimero
piacere che questo mondo ci può dare?
Chi
non prova il bisogno di uscire dal gorgo limaccioso e soffocante di
un’esistenza umana che si sperimenta inutile e vuote per ancorarsi a qualcosa
che sia solido, che duri, che non sia come noi e le cose che ci circondano e ci
opprimono, fragili e mutevoli?
Che
cos’è questo desiderio che ogni tanto sorge in noi che abitualmente navighiamo
nel peccato, di essere buoni, di fare del bene, di liberarci dal male che da
ogni parte ci soffoca e ci distrugge, se non un desiderio inconsapevole di Dio,
se non il desiderio di aggrapparci ad una mano salvatrice?
E
nei momenti di oscurità, quando non vediamo più la nostra speranza e nel buio
inciampiamo e cadiamo, il nostro cuore stanco e ferito, non anela forse alla
verità e alla luce?
Ma
anche quando tutto va bene, quando ci sentiamo felici e con il vento in poppa,
la nostra gioia non è mai piena; sentiamo che qualche cosa ci manca, anche se
non sappiamo dire che cosa. Sentiamo che un verme, implacabilmente ci rode
dentro, come se volesse tagliare alla radice la nostra felicità.
Oppure
è la noia, questa terribile compagna delle nostre povere gioie, che ci visita
proprio nei momenti in cui dovremmo essere più felici?
Sperimentiamo
allora che al fondo delle cose c'è il vuoto, che in ogni gioia c'è amarezza,
che le più grandi soddisfazioni hanno una splendore falso e sinistro, come se
tutto fosse un gioco fatto alle nostre spalle e finito in una crudele risata.
Amara
è la condizione dell’uomo. Ma questa inquietudine, questa insoddisfazione, questa
incapacità dell’uomo ad essere veramente infelice su questa terra, sono forse
il segno che egli ha un destino più alto, che è fatto per Dio.
Forse
ha ragione Sant’Agostino, quando al principio delle sue confessioni acclama:
“Signore, tu ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non si
riposa in Te” (Confessioni cap. I ).
Tutte
le religioni rispondono all’interrogativo che l’uomo si impone, ma si può dire
che nessuna di esse abbia svelato il mistero dell’uomo, ed abbia risposto alle
domande ultime in maniere cosi profonda e completa quanto il cristianesimo.
Ciò
si spiega col fatto che, mentre tutte le altre religioni rappresentano lo
sforzo, spesso nobilissimo ed altamente meritorio, fatto da uomini di grande
valore spirituale e morale, per mettersi in contatto con Dio o con il divino
(non in tutte le religioni Dio è un essere personale), nel cristianesimo è Dio
stesso che si rivela agli uomini, si mette in contatto con essi; anzi, nella
persona storica di Gesù di Nazareth, pur restando Dio, si fa uomo.
In
altre parole, nella religione cristiana, non è l’uomo che cerca di scrutare il
mistero di Dio, ma è Dio stesso che nella sua bontà e nel suo amore, fa
conoscere all’uomo il mistero della propria vita umana.
Non
è l’uomo che cerca di rispondere alle domande sul senso della propria
esistenza, sul proprio destino, ma è Dio che fa conoscere all’uomo chi egli è,
donde viene, dove va, a quale destino è chiamato.
Né
potrebbe essere altrimenti; l’uomo, con le sole sue forze non può conoscere Dio
che è il mistero insondabile ed inaccessibile e neppure può conoscere se
stesso.
Con
la sua intelligenza può certo dimostrare che Dio esiste, ma non può dire chi
sia Dio nel suo profondo mistero; può solo averne qualche pallida idea e dire
chi e che cosa Dio non è.
Può
scrutare il proprio essere ed il proprio destino, ma restano sempre alcuni
interrogativi utili ai quali non può rispondere.
Ma
come ha risposto Dio alle domande ultime dell’uomo?
Il
cristianesimo dice che Dio dopo aver parlato agli uomini per mezzo dei suoi
inviati, Abramo, Mosé, i Profeti e i saggi dell’Antico Testamento, ha detto con
Gesù di Nazareth la sua parola ultima e definitiva: cioè Gesù nella sua vita,
nel suo messaggio, nella sua morte e resurrezione, è la rivelazione totale,
definitiva di Dio.
Questo
a differenza perché negli inviati dell’Antico Testamento, che erano uomini e
servi di Dio, Gesù non è un semplice uomo, sia pure di altissimo livello
intellettuale e morale, ma è Dio! O meglio, è uomo – Dio, non è un servo di
Dio, ma è il Figlio di Dio.
Gesù
perciò, essendo Dio, può parlare di Dio e del suo mistero, come nessun uomo
potrebbe fare; ma essendo anche uomo, può parlare dell’uomo per esperienza
diretta, un’esperienza illuminata dalla luce che su di essa proietta la sua
divinità.
Cosicchè
Gesù può parlare dell’uomo e del suo mistero, con la conoscenza che ne ha Dio
stesso; e di fatti se sfogliamo i vangeli, vediamo che Gesù, mentre svela il
mistero di Dio, svela anche il mistero dell’uomo, insegnando che egli è creato
da Dio per essere suo figlio, ed erede della sua stessa eterna felicità nel suo
regno.
Insegna
che l’uomo è povero e peccatore, ma che Dio nel suo amore l’ha salvato e
perdonato; che per l’uomo Dio è padre amoroso e provvidente; che il suo destino
non si conclude su questa terra con la morte, perché è chiamato a vivere nella
vita eterna con Dio a condizione che egli ami Dio e il prossimo. Che il dolore
e la morte sono prove passeggere, che la bontà di Dio tramuterà per coloro che
le accettano con adesione alla sua volontà nella felicità eterna.
Ha
ragione perciò San Paolo quando scrive al suo discepolo Timoteo: “Il nostro
Salvatore Gesù Cristo ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e
l’immortalità per mezzo del Vangelo” (II Lettera a Timoteo I,10).
Ma
le risposte che il cristianesimo dà alle domande ultime dell’uomo sono
accettabili? Lo sono nella misura in cui il cristianesimo è vero; poiché è
sulla verità e non sull’errore e sull’illusione che si deve costruire la
propria vita, e giocare il proprio destino.
Ora,
il cristianesimo è vero. Cristo è la Verità, è la luce del mondo e chi lo segue
non cammina nelle tenebre, ma ha nelle sue mani la luce della vita che gli
illumina la strada.
Questa
affermazione della verità cristiana, poggia su argomenti seri, che vanno
affrontati e vagliati con uno studio lungo e paziente; ma anche col desiderio
sincero di conoscere la verità e con l’umile disposizione ad accettarla, quale
che possa essere.
Non
trova infatti la verità se non chi vuole trovarla, se non che è disposto ad
accettarla; anzi, non riesce a vedere se non chi vuole vedere con purezza e
sincerità di cuore, poiché le radici profonde dell’intelligenza stanno nel
cuore.
Abbiamo
già accennato ai numerosi, gravi pregiudizi che in molti esistono nei confronti
della religione e che impediscono di prenderla sul serio.
Diciamo
ora che se non ci si libera coraggiosamente da essi (ma quant’è difficile
riconoscere che talune verità che noi crediamo più certe ed assodate, sono in
realtà dei pregiudizi). Non è possibile affrontare lo studio del cristianesimo
con la serietà che esso richiede; ma se Cristo è la Verità, le risposte
cristiane alle domande ultime dell’esistenza umana, possono, anzi devono essere
prese sul serio ed accolte con gioia e riconoscenza. Esse soltanto infatti
danno un senso veramente pieno alla vita dell’uomo.
Pensieri tratti dalla conversazione:
Nino: Questo si ricollega alla verità che si testimonia da
sola, la conclusione è questa.
Luigi: Si.
Cioè noi non potremmo conoscere Dio se Dio stesso non si facesse conoscere,
è Dio stesso che si fa conoscere.
Nino: Perché quando uno si avvicina alla religione si avvicina
con mille dubbi, con la sua incapacità di avere fede; poi man mano che la vede
si accorge che è vera, da quello che gli deriva dall’accettare….
Luigi: Cioè più
uno è lontano e più è immerso nei dubbi, nelle incertezze; più la cerca, più ci
si avvicina e più la verità conferma se stessa, ma richiede la nostra
partecipazione.
Nino: Se non fosse verità tutti i nostri dubbi dovrebbero
essere moltiplicati man mano che si va avanti.
Luigi: Infatti
Dio opera confermando, in quanto uno ascolta ….
Nino: A meno che uno pensi di essere pazzo; se io rifiuto di
accettare di essere un pazzo, devo ragionare cosi: è una pazzia collettiva.
Luigi: Il
problema del senso della vita lo sentono tutti, anche se non rispondono.
Perché non bastano le risposte degli uomini per annullare il problema, se
l’uomo è scettico, non bastano le decisioni degli uomini per annullare il
problema: il problema si impone.
Nino: Se tu non avessi il problema del senso della vita non
avresti neanche il problema di Dio.
Eligio: Scusa però non è contrario alla verità accostarsi
criticamente ad una rivelazione religiosa, perché altrimenti qualunque
rivelazione di carattere religioso dovrebbe trovarci aperti. Noi dobbiamo
quindi vagliare perché abbiamo molti profeti buoni e molti falsi profeti.
Nino: Ci avviciniamo tutti da critici, chi è che non si
avvicina da critico?
Eligio: È doveroso, la verità lo esige; chiedere con umiltà di
vagliare un messaggio che mi arriva.
Luigi: Si, poi
la verità non è una massa di cose; la verità è semplice: è Uno solo. Quindi più
tu la cerchi, più tu ti avvicini e più lei ti crea una selezione. Ora in che
cosa consiste questa selezione? Che ti mette in continuazione in confronto con
-, devi fare delle scelte. Ora, mettendoti a confronto, tu devi dire: “Questo
vale di meno, questo vali di più”, “Questo è vero, questo è falso”. Per cui
tu impari che 2 + 2 = 4, ma imparando che 2 + 2 = 4 assumi quello spirito di
dire che è sbagliato dire che 2 + 2 = 5; e quello lo scarti.
Quindi
più ti avvicini alla verità e più acquisisci la sensibilità per riconoscere la
verità. Più uno è lontano e più
diventa grossolano, e meno avverte, per cui resta molto dubbioso. Lontano da
Dio si è molto dubbiosi, per cui si è molto incerti: “Vale questo o vale
quell’altro?” Quindi più uno è vicino alla luce, più uno vede la luce e la
luce rende molto sensibili e dà molto la capacità di distinguere, di
selezionare. Lontano uno fa massa, ecco, abbiamo la quantità che prevale;
vicino a Dio abbiamo la persona, con Dio si diventa veramente persone; qualità,
lontano da Dio si diventa numeri.
Pinuccia: Si parla di ricerca di verità, che siamo lontani dalla
verità, come se fosse una cosa astratta, un modo di vedere le cose; quando in
realtà la verità è una Persona, è Dio stesso. Questa scoperta che la verità è
Persona e che la risposta a tutti questi interrogativi che noi ci poniamo è
solo una Persona che ce la può dare, e che si identifica con la verità stessa,
è solo il cristianesimo che ce la dà, è dono di Dio o com’è?
Luigi: La
verità è dono di Dio..
Pinuccia: Attraverso il cristianesimo..
Luigi: Si,
Gesù dice: “Se resterete nelle mie parole conoscerete la verità…” quindi
parla di verità..
Pinuccia: Cioè conoscerete il Padre; vuol dire cosi?
Luigi: Gesù
dice: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” quindi
parla di verità. Evidentemente si parla di verità in quanto ci si trova in
situazione di menzogna, di apparenze, di valori relativi, di valori non veri.
Allora,
avendo esperienza di questi valori non veri, di questi valori falsi o di valori
apparenti per cui l’animo è inquieto, (Sant’Agostino: “È inquieto il nostro
cuore fintanto che non si riposa in Te”), allora Gesù dice: “Conoscerete
la verità”.
La
via per arrivare a conoscere la verità è la parola del Maestro.
Cioè
non siamo noi che arriviamo alla verità, è il Maestro che parlando a noi,
rivela la verità, cioè ci conduce alla verità.
Allora,
si arriva alla conoscenza della verità, nella misura in cui si resta in ascolto
della Parola; per cui la Parola del Maestro diventa via alla verità stessa, e il
Maestro è la verità stessa che parla. Per cui è la verità che si svela, non
siamo noi che scopriamo; noi arriviamo
alla verità in quanto ascoltiamo, in quanto seguiamo Cristo.
Allora
per seguire, per ascoltare ci vuole tutto quel superamento di noi stessi,
il superamento del mondo apparente e l’andare dietro alla parola.
La
parola si fa strada, si fa cammino nella misura in cui noi le andiamo dietro.
Il
guaio è che noi ascoltiamo per un tratto e poi ci distraiamo; l’allievo a
scuola segue l’insegnante per cinque minuti e poi incomincia a galoppare dietro
alle sue fantasie e allora non si arriva.
Ora,
tutto il dramma della nostra vita è questo: che noi non siamo capaci a
permanere nell’ascolto, non diventiamo discepoli. “Sarete veri miei
discepoli se resterete”.
Restare
è permanere, “Se resterete nelle mie parole”; quindi Lui ci insegna che sono le sue parole che ci
conducono per mano fino a vedere: “Affinché dove sono Io siate anche voi e
possiate vedere la mia gloria”.
Quindi
noi partiamo dal problema della verità perché il problema della verità è il
problema della menzogna. Perché abbiamo tutti questi interrogativi? Perché noi
subiamo la menzogna; le cose che passano ci deludono, ecco la menzogna: “Io
credevo che …e invece…” ecco! Per cui io mi fido, io ritengo che …, noi
partiamo da un assoluto; il bambino parte: l’assoluto è il padre, l’assoluto è
la madre, il mondo è assoluto, tutto è assoluto, e man mano che vive constata
la delusione, l’inganno, la relatività, il passare delle cose….
È
quello che ci sospinge; quindi noi nasciamo come figli della terra, nel
problema della terra, ma poi è la terra stessa che ci sospinge; perché
la terra, le cose stesse, denunciano, non sono menzognere le cose.
La
menzogna si forma dentro di noi in quanto noi riteniamo assoluto quello che in
verità è relativo.
Le
cose stesse passando, tutte le creature passando dicono: “Noi non siamo Dio”;
e tutti gli uomini passando, noi li riteniamo Dio, perché noi li facciamo
motivo di vita, se io vivo per quella persona, quella persona diventa il mio
motivo di vita; se io vivo per il denaro, il denaro diventa per me motivo di
vita, quindi è un idolo, quella persona diventa un idolo, per me un dio: è
l’assurdo perché diventa un mio motivo di vita.
Il
Signore dice: “Non avrai altro motivo di vita al di fuori che Me, perché non
avrai altro Dio”. Allora cosa succede? Che tutte le cose, poco per volta
svelano il loro vero volto, muoiono, ci deludono, ci ingannano. Perché succede
questo?
Ma
perché siamo noi che ci siamo troppo appoggiati ad esse, e allora loro devono
dirlo.
Ecco
perché dicevo che il Signore prende su di Sé le nostre colpe, perché fa
morire degli uomini che non dovrebbero morire. Ma perché li fa morire?
Perché noi li abbiamo trasformati in idoli.
Per
cui tutte le cose sono soggette, dice Sant’Agostino, al passare, alla vera
finità, alla nullità, alla vanità, ma per salvare noi; non perché siano
state create cosi da Dio. Dio non ha creato all’inizio la morte con lo spazio.
Dio ha creato la morte perché ad un certo momento l’uomo ha creato gli idoli,
che non sono altro che la proiezione del suo io.
Allora
è necessario questo: misericordia di Dio; per cui Dio annulla tutto,
annulla il nostro corpo perché noi viviamo per il nostro corpo, perché viviamo
per la salute e l’annulla. Annulla le creature e la fa passare, crea delle
creature che magari sono degli angeli e li crea dei mendicanti, degli
ubriaconi, dei pazzi, e li crea per me, per farmi toccare con mano la
relatività, l’inutilità, la vanità di quello che io stimo molto.
E
quindi per sospingermi a quello che vale di più; ecco che quindi abbiamo tutta
una corrente a noi che siamo di questa terra, che ci sospinge a farci diventare
figli del cielo; perché l’uomo è fatto per nascere due volte: deve diventare
figli del cielo “Ma nessuno sale al cielo se non Colui che discende dal
Cielo”, ecco il Maestro.
Per
cui noi sentiamo il problema, noi sentiamo l’ansietà, noi sentiamo la vanità
del tutto, però non possiamo agganciarci al cielo se non incontriamo Colui che
scende a noi dal Cielo e ci prende per mano e ci dice: “Io ti dico ciò di
cui tu hai bisogno; Io vengo a rispondere alla tua fame” però aspetta che
si formi in noi questa fame qui.
Quindi
si parte dal problema della menzogna e quindi della verità; Gesù viene a noi
per dirci: “Io ti darò la verità se tu mi segui” questa verità ad un
certo momento svela il suo volto che è il Padre.
Pinuccia: E quand’è che noi arriviamo a questa scoperta che la
verità è una Persona?
Luigi: Ma noi
partiamo già da persone, il Cristo è già Persona; e poi, seguendo il Cristo, si
arriva a quella famosa Pentecoste di cui parliamo sempre in cui si comprende
che Dio è spirito e non può essere confuso con la materia mentre invece noi,
all’inizio, confondiamo con…. Perché quando riteniamo assoluto un qualche cosa
di relativo, cominciamo a ritenere che Dio sia il denaro, o che Dio sia l’uomo,
oppure che Dio sia il sole.
A
poco per volta si seleziona in noi che Dio è spirito, non può essere materia,
Dio è immutabile; a poco per volta si forma in noi la convinzione che Dio è
Persona, un Essere personale: un Essere che è cosciente di Sé, che conosce Se
stesso, per cui è Principio di Se stesso e di tutto ciò che esiste. Allora
abbiamo la Persona perché la persona è l’essere che ha in se stesso il motivo
di sé, la ragione di sé; la ragione del suo essere, della sua esistenza. Allora
ecco che diventa principio di tutto perché tutto ciò che è relativo, non ha in
sé la ragione di sé; noi stessi non abbiamo in noi stessi la ragione di noi,
siamo fatti per avere in noi la ragione: ma noi avremo in noi la ragione della
nostra esistenza, del nostro pensare, del nostro agire, quando troveremo Dio.
Trovando
Dio, troviamo Dio in noi stessi e allora avremo in noi la ragione… Siamo stati
fatti per questo, però nessuna creatura ha in sé la ragione di sé. Ecco perché
la creazione ci sospinge, ecco perché tutte le cose ci sospingono ad una causa
diversa. Conoscendo Dio troviamo l’Essere che ha in Sé la ragione di Sé e la
ragione di tutto ciò che esiste. Ecco che abbiamo la nostra nuova nascita, noi
in questo punto nasciamo dal cielo, nasciamo da Dio. Prima siamo nati dalla
terra; cioè prima eravamo sospinti dal basso verso l’alto; trovando Dio noi
incominciamo una nuova nascita in cui si parte da Dio per giustificare tutte le
cose in Dio.
Qui
c'è la distinzione: “Chi è della terra appartiene alla terra e parla della
terra”; abbiamo tre concetti:
·
l’essere
della terra
·
appartenere
alla terra
·
parlare
della terra.
Ora,
questo essere della terra; noi possiamo essere nella terra e non essere della
terra; noi possiamo essere nel mondo ma non essere del mondo, e questo è il
Signore che ce lo dice. Ma noi possiamo anche essere nel mondo ed essere del
mondo.
Ora
Gesù quando parla dei suoi discepoli dice: “Voi sarete odiati dal mondo
perché non siete del mondo” eppure erano nel mondo.
Quando
Gesù prega il Padre non prega affinché il Padre li tolga dal mondo ma “Che
tu li preserva dal male”.
Quindi
non si tratta di lasciare tutto, di partire, anche perché non si può lasciare
il mondo in quanto ci si trova sempre in un mondo; invece noi possiamo essere
del mondo, della terra, e possiamo anche non essere del mondo, non essere della
terra.
Ora,
quand’è che noi siamo di -, o non siamo; quando siamo nel mondo ma non siamo
più del mondo; noi siamo in quanto ne facciamo motivo di vita; noi apparteniamo
a ciò di cui noi facciamo motivo di vita.
Quando
io sento una parola, sentendo questa parola non è che io appartenga a questa
parola; ma se faccio di questa parola un mio motivo di vita, allora incomincio
ad appartenere a questa parola.
Allora
se noi ascoltiamo la parola di Dio che scende dal cielo, dall’alto, fintanto
che l’ascoltiamo non siamo ancora di quella parola; ma se noi facciamo quella
parola nostra vita, allora noi liberamente diventiamo di quella parola li.
Nino: Finché non abbiamo incontrato Dio come Persona… cioè
fintanto che noi lo cerchiamo siamo ancora in passaggio, il giorno in cui
l’abbiamo trovato è finito il passaggio perché allora vediamo tutto nella
prospettiva di Dio.
Luigi: Si,
certo! Acquistiamo la capacità di trasformare anche la nostra terra in
cielo, perché effettivamente la nostra terra diventa cielo. Allora noi
dobbiamo prima di tutto evitare, essendo figli della terra, di trasformare il
cielo in terra; come tanti che ritengono che la divinità, la religione come
astrazione dell’uomo, opera dell’uomo: ecco, allora noi facciamo il cielo
figlio della terra. Noi abbiamo questa terribile possibilità, quella di ridurre
tutto a terra, di ridurre tutto a materia, anche lo spirito è materia, è
espressione di materia, perché chiusi nel pensiero dell’io.
Ora
qui evidentemente noi facciamo l’errore di ritenere noi assoluto, essendo io
assoluto metto il mio io al centro e tutto è opera mia, tutto è creazione mia,
anche Dio è opera mia, è pensiero mio. Ma qui, come dico, abbiamo un errore
fondamentale di ritenerci noi assoluto, è il punto fisso di riferimento, il mio
io è il punto fisso di riferimento.
Per
cui l’errore di Tommaso: “Se non vedo e non tocco non credo” e Gesù che
dice: “Beati coloro che crederanno senza aver visto”; perché abbiamo la
situazione completamente capovolta.
Nessuno
di noi può sottomettere Dio a sé, o la verità a sé; siamo noi che dobbiamo sottometterci
a Dio, non Dio a noi.
Dico
ancora di più: siamo noi che dobbiamo sottomettere noi a tutto, perché tutto è
opera di Dio e non pretendere e dire: “Esiste solo quello che io tocco”,
“Esiste solo quello che io vedo”. No! Esiste quello che io vedo e che io
tocco perché è relativo a me, ed abbiamo la terra, abbiamo cioè il mondo
esperimentabile da noi, che è soggetto a noi, ed è necessario questo altrimenti
non potremmo nemmeno prendere coscienza di essere, per cui ho la possibilità di
avere un mondo che dipende da me che io possa toccare e possa vedere, ma non è
questo, perché io non sono il Creatore di questo mondo qui.
Quindi
esiste un mondo che dipende da me ed esiste un mondo che supera me e che non è
esperimentabile da me di cui io non posso dire: “Non esiste perché io non lo
vedo”. Allora questo mondo che non è esperimentabile da me ma che si fa
esperimentare da me in quanto mi mette in crisi tutto il resto, mi pone il
problema che io non sono Dio per cui io debbo anche accogliere, anche aderire e
credere anche a ciò che si annuncia e che non capisco, o che non intendo, o che
non vedo, o che non tocco.
Allora
proprio superando proprio quello che dipende da me e cercando quello che mi
supera, ad un certo momento ecco che arriva la trasformazione, la
spiritualizzazione dell’uomo, si va in cielo, seguendo l’evolversi del cielo. È
chiaro?
Nino: Si, ammettendo che siamo convinti che il cristianesimo è
superiore ad ogni altra religione; perché le persone che cercano Dio fuori del
cristianesimo non hanno quel grande vantaggio che abbiamo noi di aver
incontrato la rivelazione di Dio? Nei confronti di un religioso musulmano,
perché io ho questa grande possibilità e lui no?
Luigi: Non è
che lui no! Lui è un’opera di Dio per te, per dire: “Guarda che fortuna hai!
Stai attento!”
Nino: E io sono un’opera di Dio per lui..
Luigi: Tu sei
un’opera di Dio per lui e tu non puoi giudicare Lui; Dio lo giudicherà se lui
non lo cercherà con i mezzi che Dio gli ha dato. Quando i discepoli chiedono a
Gesù: “Sono molti quelli che si salvano?”, il Signore cosa risponde? “Sforzatevi
voi di entrare per la porta stretta”. Perché? Perché tutto è opera di Dio
per ognuno di noi personalmente. Per cui noi non possiamo giudicare l’altro: “Ma
l’altro?”. Quando Pietro (dopo che Gesù è risorto), va dietro a Gesù perché
Gesù gli ha detto: “Seguimi” e Pietro si volge e vede Giovanni che stava
fermo, dice: “E l’altro, cosa fa? Perché lui sta fermo?”. “Non preoccuparti
perché se Io voglio che lui rimanga fino alla fine dei tempi…”
Nino: Io volevo sapere perché Dio non si rivela agli altri
uomini….
Luigi: Ma tu
tieni presente che tutto è lezione di Dio. Ora, cosa vuol dire lezione di Dio?
Può darsi che siano tutti angeli; e come mai Dio mi mette sulla mia strada un
angelo storpio, un angelo cieco, un angelo che chiede la carità, un mendicante,
un altro che si ubriaca, perché mi mette tanti angeli? Come mai? È tutto
perché deve servire per ognuno di noi a correre, a camminare, a tener molto
preziose le lezioni di Dio.
Cioè,
il Signore parte dalla pietra e poi mi crea il vegetale e poi mi crea l’animale
e poi mi crea tante figure che sono tutte lezioni di Dio, cioè sono tratti di
vita personali per ognuno di noi.
Nino: Siccome gli altri sono tutti angeli magari posso essere
un angelo anch’io…
Luigi: No, nei
riguardi degli altri il Signore sa…. perché noi siamo spettatori e attori; ora
nei riguardi degli altri noi siamo attori e li dobbiamo essere molto
preoccupati recitare la nostra parte secondo lo spirito di Dio; ma noi non
possiamo sapere quale lezione Dio vuol dare attraverso noi all’altro, lo sa
Dio! per cui Dio magari adopera me ubriacone per dare una lezione all’altro; ma
io non posso giudicare l’altro! Io devo molto stare attento a alla parte che io
recito e che questa parte sia secondo lo spirito di Dio; quindi ognuno di noi è
responsabile di quello che fa partire da sé.
Quello
che invece riceve, la parte di spettatore, perché noi siamo anche spettatori,
siamo soprattutto spettatori davanti a tutte le opere di Dio, quindi come
spettatori non dobbiamo assolutamente mai giudicare gli altri; dire: “Ma
l’altro?”, no! È lezione di Dio per te, personalmente per te.
Quindi
stai attento che Dio ti sta parlando, accogli la lezione, cerca il significato.
Ora,
il fatto molto importante è questo: che sulla nostra terra noi siamo spettatori
in quanto tutto è segno di Dio, ma il significato di questi segni sono solo
presso Dio, sono solo in cielo.
Per
cui, noi dobbiamo accogliere tutto dalle mani di Dio, ma poi se vogliamo
passare ad intendere il significato, dobbiamo cercarlo in cielo; fintanto che
noi non lo cerchiamo in cielo, noi restiamo nei segni e non intendiamo il
significato.
Ora,
siccome è Dio che parla, Dio che parla a noi le sue parole è anche il Dio che
ci fa intendere il significato delle sue parole.
Per
cui non basta che noi riceviamo tutto da Dio, ma dobbiamo anche tutto
riferire a Dio e tutto cercare in Dio per intendere quello che Lui dice; perché
Dio è anche il Maestro delle sue stesse parole, quindi Colui che rivela le sue
stesse parole.
Per
cui noi dobbiamo sempre, continuamente, sempre tutto riferire a Dio, tutto
riportare a Dio perché la meta deve essere: intendere il significato di quello
che Dio fa.
Signora: Insomma
Dio non ci fa dormire..
Luigi: No! E
ringraziamo il Signore che non ci faccia dormire, perché siamo noi che creiamo
la noia nel pensiero del nostro io. Perché noi nel pensiero del nostro io
pianifichiamo tutto, nel pensiero del nostro io..
Pinuccia: Per usare lo stesso esempio che hai fatto tu, Dio mi fa
recitare la parte di ubriacone e devo preoccuparmi di recitarla secondo il suo?
Luigi: Si,
secondo lo spirito di Dio…..
Pinuccia: Ma la parte di ubriacone?
Eligio: Con i talenti dell’ubriacone….
Pinuccia: Secondo lo spirito di Dio io non devo più essere
ubriacone.
Luigi: Ci sono
dei santi che anche se ubriaconi, si sono santificati perché? perché il Signore
li ha fatti cosi…; l’importante è che il loro spirito, continuamente cadevano e
a forza di cadere sono arrivati in cielo…
Eligio: Come ad esempio il buon ladrone…
Nino: Se ad esempio il Signore ti fa capire che devi
ubriacarti due volte di più di quello che ti ubriachi adesso…
Luigi: Dio può
aver dato a me una natura cosi debole, cosi infelice; per cui c'è l’anima che
cerca tanto Dio e continuamente si ubriaca, continuamente cade.
Però
anche questa debolezza, questa povertà è spettacolo, testimonia qualche cosa e
mi fa umile e nello stesso tempo fa grandeggiare l’anima. Per cui c'è l’anima
che cerca Dio e poi continuamente cade. San Paolo, l’ho già detto tante volte,
supplica: “Signore, liberami da questo tormento!”, aveva qualche cosa dalla
quale non riusciva a liberarsene, e il Signore dice: “No, ti basti la mia
grazia! Perché la grazia si perfeziona attraverso la debolezza, attraverso la
povertà, attraverso l’umiltà della creatura”. ammettiamo che lui fosse un
ubriacone, che lui cercasse di liberarsi da questa schiavitù, ma non riusciva e
supplicava il Signore e il Signore gli risponde: “No, ti basti la mia grazia;
il resto serve per renderti umile!”. È uno spettacolo, non è detto che…
Perché
molte volte noi recitiamo la parte: “Ah, ma io sono un virtuoso!” e
saliamo sul piedistallo. Ma quella è tutta soltanto figura! E il Signore ci
conosce in un modo molto, molto diverso. Quindi non è detto, perché un
ubriacone può essere eccelso nella santità perché il Signore guarda… intanto sa
la natura che ha dato a quel tale, sa lo sforzo che sta facendo e sa anche la
grazia…
Comunque
noi non dobbiamo assolutamente giudicare; l’importante è questo: ricevere tutte
le lezioni sempre dalle mani di Dio perché noi siamo spettatori di lezioni di
Dio; e riportare a Dio per cercare il significato.
Appendice:
Eligio: Quando tu hai posto la domanda, l’hai posta come se la
difficoltà consistesse proprio nel percepire la verità come qualcosa di
esterno, cosa che non è assolutamente possibile..
Luigi: La
verità non può essere fuori di noi..
Eligio: Dio noi lo percepiamo come l’Essere al di sopra di noi…
Luigi: Ma
nemmeno in Paradiso lo vedremo fuori di noi ….
Eligio: La costruzione dell’esistenza sia sull’errore, sia sulla
verità, resta un fatto sempre ed unicamente interiore….
Luigi: Certo,
perché Dio è spirito. Infatti il Signore dice: “Non aspettatevi di vedere il
regno fuori di voi”….
Eligio: Poi tu hai detto che la nostra vita cambia dopo
l’incontro col Cristo, io penso che cambia in un certo senso, perché noi
incominciamo a dialogare con questa verità, più che altro la verità deve
diventare vita nostra..
Nino: Cambia in quanto incominciamo a vedere tutto sotto la
luce di Dio…
Eligio: Questo succede quando siamo molto avanzati nel dialogo
con Cristo, col Maestro…
Nino: Quando ad un certo punto ti sei convinto che tutto il
resto, quello che dice lui, perché noi diciamo di essere convinti che ogni cosa
viene da Dio, che noi la dobbiamo riportare a Dio, ma è tutto un esercizio
molto imperfetto. Anch’io prima quando ho fatto la domanda sul musulmano non lo
consideravo come opera di Dio.
Eligio: Non è un fatto cosi semplice…
Luigi: È semplice,
siamo noi che siamo complicati…
Eligio: Guarda quanti hanno incontrato il Cristo e quanti non
hanno costruito la loro esistenza sulla verità..
Nino: Ma quali hanno incontrato il Cristo, dicono di averlo
incontrato… ma noi non l’abbiamo incontrato, noi tutti che siamo qui, se non
l’avessimo incontrato non saremmo qui; però siamo ancora molto imperfetti nel
nostro rapporto con Lui, non siamo ancora arrivati a concedergli tutto e a
perdere tutto per Lui.
Eligio: Ma deve diventare questo: più che un rapporto esteriore,
deve diventare una realtà interiore per cui deve crescere Lui e diminuire noi..
Luigi: Certo,
però Gesù dice: “Noi verremo e faremo abitazione”; ora, Lui già quando è con i
suoi discepoli, dopo che da tanti anni è con i suoi discepoli, dice: “Verremo e
faremo abitazione”. “Come può succedere che noi ti vedremo e il mondo non ti
vedrà?” domandano a Gesù; Lui risponde: “A chi mi ama, e ascolta le mie parole,
Noi verremo e faremo abitazione”. Ma come faremo abitazione? Loro mica si
spostano, fanno già abitazione: è la nostra coscienza che è portata a prendere
consapevolezza della loro Presenza. Quindi vedi che c'è un maturare? Un
maturare che arriva seguendo Cristo. Perché io posso seguire Cristo fino ad un
tratto e poi smettere…
Nino: Io ad esempio in questo momento ho le idee chiarissime
poi tra un minuto posso ricadere…
Eligio: “Noi verremo..” guarda come il linguaggio è
imperfetto nei riguardi dello spirito, perché “noi verremo” ti fa
pensare ad una realtà esterna, invece no, Dio è in noi, il Maestro interiore è
in noi, deve crescere e noi dobbiamo diminuire.
Luigi: Infatti
la parola non può mai darti il vero spirito, se il cuore non risponde. La
parola resta segno..
Signora
le è rimasto un pensiero?
Emma: Ma
riguardo alla lettura sono tutti pensieri che vanno meditati…
Luigi:
Comunque è convinta?
Emma: La cosa
è semplice da parte di Dio, anche noi ne siamo convinti ma poi è difficile il
viverle… è un cammino…
Luigi: È una
meta. Appunto il Signore ci sveglia segnalandoci la meta: “Alzati!”,
l’orientamento. “Devi arrivare fin là, sul Monviso” adesso che ci è
stata segnalata la meta, c'è tutto il cammino da fare, però uno ha sempre
l’occhio, ormai ha l’occhio orientato, orami guarda verso. È quello che
mantiene in vita; perché noi incominciamo a perdere la vita, proprio in quanto
incominciamo a perdere l’orientamento, non sappiamo più per che cosa siamo
stati creati: “Tu sei stato creato per quello: guarda là”. E allora c'è
tutta la problematica è poter arrivare li….
Tu
pensa che da bambini ci è stato detto: “Sei stato creato per conoscere Dio!”
e noi cosa facciamo ogni giorno per conoscere Dio? Cina cosa dici?
Cina: “Ti
darò la verità se mi segui”, sapendo questo si dovrebbe seguire il Signore
con decisione con nettezza, come assoluto: perché non si fa? Un po’ si va e un
po’ ci si ferma e poi si riparte, ci si accorge di essere sempre molto a valle…
Luigi: Certo,
teniamo presente che i discepoli, quante volte, ed erano con Gesù, a tu per tu,
eppure Gesù magari parlava della Passione e loro pensavano a se stessi, di chi
tra loro fosse il primo e non capivano niente. Lui parlava del lievito dei
farisei, della superbia, e loro pensavano al pane che avevano dimenticato; ed
erano con Lui, mentre Lui parlava. Quindi pensa un po’….
Cina: Questo
ci dice quanto è difficile…
Luigi: Si,
perché è il superamento di noi stessi, del pensiero del nostro io. Tu pensa
quanto noi abbiamo costruito nella nostra vita attorno al pensiero del nostro
io: “Va, lascia tutto quello che hai accumulato” e il Signore già aveva
ammonito: “Non accumulate tesori in terra, ma accumula tesori in cielo”.
Cosa vuol dire accumulare tesori in cielo? Cerca di conoscere Dio, la tua vita
deve essere li; la tua vita deve essere li per accumulare tesori là, nella
conoscenza di Dio, perché sei stato creato per quello. Invece noi abbiamo tutto
questo bagaglio, quindi abbiamo tutta una vita perché tutte le nostre azioni e
tutto quello che abbiamo fatto ci condiziona, ci determina, ce lo portiamo
dietro, ci precedono. Ora, la fatica, la penitenza che dobbiamo fare per
sgombrare il terreno da tutte queste cose qui che hanno creato, che ci hanno
condizionato, che ci hanno chiuso, ci hanno incatenato. Quindi è come il
prigioniero nel carcere che sente il richiamo della libertà, ma ha le sbarre,
per cui noi riceviamo il richiamo della libertà, ma ci troviamo con le sbarre
da tutte le parti, e quindi la grande fatica per…
Cina: Abbiamo
il bisogno di verità e si sente il peso di tutte le cose eppure…
Luigi: Ma la
tristezza della vita sta proprio li: che uno tocca con mano che vive per niente
e deve vivere per niente, è li la tristezza della vita…
Nino: È una tragedia…
Cina: Sembra
impossibile eppure è quello…
Luigi:
Pensiamo al giovane ricco che pur desiderava: “Cosa debbo fare per conoscere
il Signore, per entrare…?”, “Va, vendi tutto quello che hai poi vieni e
seguimi”; ce l’ha fatta? Il Signore dice: “Guarda, è più facile che un
cammello passi per la cruna di un ago…” perché il problema c'è ….
Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti;
chi è della terra appartiene alla terra e parla della terra. Ma chi viene dal
cielo è superiore a tutti.Gv 3 Vs 31 Terzo
tema.
Titolo: Imparare a camminare
con Dio
Argomenti: L’invito al pranzo di
nozze – Il distacco spirituale dal mondo – L’abito delle nozze – La responsabilità
della scelta – Tobia capitolo 13 – Molteplicità di amori e amore per Dio – Tempo e pensiero
sono capitali da spendere per comprare l’assoluto – San Paolo ai Corinti – Il Regno di Dio e le
tenebre esteriori – Amore e conoscenza – Verità e menzogna – La bontà della creazione – Il pensiero dell’io al centro – La povertà dell’uomo – L’abitudine a
convivere con Dio – La vita eterna è adesso – Vivere in funzione del mondo – Le fami materiali – Sapere quello che
vogliamo – La volontà spirituale – Essere con Dio come Dio è con noi – La schiavitù del
pensiero – Il peso delle creature – Essere con il mondo o essere con Dio -
25/Aprile/1977 Vigna
Il tema su cui dobbiamo soffermarci è questo: imparare a camminare “con” Dio e
“in” Dio. Ognuno cerchi di soffermarsi in questa ora, per cercare di
approfondire come si può fare, secondo le lezioni che troviamo nel Vangelo, per
tracciare un sentiero verso questa che è la meta.
Io
ho scelto dal capitolo 22 del Vangelo di San Matteo la parabola dell’invito a
nozze; mi sembra che aiuti la meditazione di questo argomento. Adesso la leggo.
Rispondendo
ai loro pensieri Gesù parlò loro in parabole dicendo:
“Il regno dei cieli è simile ad un re che fece le nozze
del suo figliolo, e mandò i suoi servi a chiamare gli invitati al festino; ma
quelli non vollero venire.
Mandò
ancora altri servi con questi termini: “Dite agli invitati: ecco che io ho
preparato il mio banchetto, sono stati ammazzati i miei buoi, gli animali sono
stati ingrassati e tutto è pronto, venite alle nozze!”.
Ma
quelli non se ne curarono, e se ne andarono chi alla propria campagna, chi ai
propri affari, mentre altri sequestrarono gli inviati e dopo averli oltraggiati
li uccisero.
Il
re informato di tutto ciò si sdegnò e per mezzo delle sue truppe sterminò
quegli omicidi e mise alle fiamme le loro città.
Poi
disse ai servi: “Le nozze sono pronte, ma gli invitati non ne erano degni.
Andate dunque ai crocicchi delle vie e chiamate alle nozze quanti incontrate”.
E
usciti quei servi nelle vie, raccolsero tutti quanti trovarono, cattivi e buoni,
e la sala nuziale si riempì di commensali.
Ora
il re, entrato per vedere i convitati, ne osservò uno che non era vestito
dell’abito nuziale e gli disse: “Amico, come sei entrato qua, senza indossare
l’abito prescritto per le nozze?”.
Ma
quegli ammutoli. Allora il re disse ai suoi servi: “Legatelo mani e piedi e
gettatelo fuori nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti; perché
molti sono i chiamati ma pochi gli eletti”.
Teniamo
sempre presente che le nozze sono questo proposito qui che abbiamo posto cioè:
imparare
a camminare con Dio e in Dio.
(Ripresa
dell’incontro dopo il silenzio)
Luigi: …Allora
tu poco fa hai detto che Dio parla in tutto, opera in tutto per invitarci a
questa nozze qui..
Luigi: Ricordiamo
di nuovo il tema: imparare a camminare con Dio e in Dio. Avete potuto fermarvi?
Emma: Non ho
pensato ad altro! Ho letto e ho sentito la registrazione e ora dico quello che ho
capito sul brano di Vangelo di San Matteo. Qui Gesù invita tutti e c'è chi per
una ragione, chi per un’altra non lo ascolta perché non fa comodo, ognuno è
preso dai suoi interessi come se Dio non esistesse, lo si manda a morte perché
non turbi la nostra coscienza. Poi ci sono i semplici che aderiscono
all’invito. Poi c'è quello che viene gettato fuori perché non ha il vestito ed
io ho pensato al cuore perché Gesù guarda il cuore non il vestito.
Poi
sul salmo che abbiamo letto ho pensato che Dio ci fa nascere ed ha un suo
disegno su ognuno di noi e ci fa nascere per farci compiere le sue opere in
terra, il nostro pranzo, però noi dobbiamo sforzarci a conoscere la sua volontà
e morire ai nostri interessi terreni. In sostanza bisogna che noi facciamo
attenzione….
Luigi: Si, ma
il tema era: imparare ad essere con Dio; cosa può fare, cosa può vedere…
Emma: La
strada è la fede, una grande fede; innanzitutto credere che Dio c'è e poi
camminare li …
Luigi:
Camminare li cosa vuol dire?
Emma:
Camminare con Dio, pensare che Dio ci ha creati e secondo Dio noi dobbiamo
comportarci, dobbiamo imparare a conoscerlo e conoscere qual è la sua volontà.
E questo è il mio grande problema perché io ho sempre dei dubbi.
Luigi: I dubbi
su che cosa?
Emma: Il
dubbio di non capire, di non capire la sua volontà, di non fare la sua volontà.
Luigi: Ma qui
ci pensa Lui a chiarire…
Emma: Si,
infatti perché noi da soli non possiamo fare niente e ci arriva tutto da Lui,
quindi io spero che mi faccia crescere in questa fede. Perché c'è Dio lo credo,
anche perché se solo per un attimo pensassi che Dio non esiste mi sembrerebbe
di sprofondare…Chi veramente crede, dev’essere trasparente questo credo,
dovrebbe riuscire a comunicarlo..
Luigi:
L’interesse?
Emma: Io
penso di si, ad esempio uno che crede veramente col cuore, che è sincero, deve
testimoniare con la vita, vivere il Vangelo…
Luigi: Quindi
non c'è da preoccuparci perché in qualsiasi modo uno viva, se effettivamente
vive secondo una fede, secondo quello spirito, è lo spirito che si comunica,
non è lui che si deve preoccupare di comunicare.
Emma: Ecco io
sento di non avere ancora quella fede da comunicare…
Luigi: Allora
non si deve preoccupare di comunicare perché altrimenti reciterebbe..
Emma:
Desidero rinforzare la mia fede…
Nino: Cosa intendiamo per camminare con Dio e in Dio. Noi
partiamo che siamo tutto egoismo, camminiamo solo con noi, piano, piano, noi
incominciamo a vedere i nostri diversi idoli che cadono, finché arriviamo a
capire che si può anche camminare con Dio, mettendo indietro tutto quello che è
il nostro egoismo (Giovanni Battista), noi arriviamo in vista di Dio. Poi di li
c'è un altro passaggio: dobbiamo arrivare a capire che Dio è sempre stato in
noi, e noi siamo sempre stati in Dio, solo che possiamo non arrivare a capire, quello
è il problema. Io mi sono scritto qualcosa…. Perché ho buttato giù i pensieri
come mi venivano..
Luigi: Leggi
pure…
Nino: Aprirsi a Dio mettendolo prima di tutto, accettandolo
come Alfa e Omega di tutto. Ogni cosa è creatura sua, ogni uomo è creatura sua,
ogni avvenimento è creatura sua per ognuno di noi. Invito suo alle nozze per
camminare con Lui e in Lui. Tutto è grazia sua, il nostro cammino non può
essere che con Lui e in Lui. Solo può accadere che noi possiamo non arrivare a
capire questa verità. La nostra vita in questo mondo non è altro che un cammino
che deve portarci a lasciare gli idoli e a camminare coscientemente nella gioia
con Lui e in Lui. Si parte dal tutto – io per arrivare al tutto – Dio.
Liberazione: si incomincia pregando: “Dammi salute, ricchezza,
riconoscimenti, vita lunga”, si passa al: “Fa di me quello che vuoi,
solo sostienimi perché non abbia mai a dimenticare che Tu, essendo Creatore,
motore, io non potrò essere mai essere confuso. Qualunque sia la mia sorte e
quello che mi potrà accadere, se avrò saputo, potuto, con il tuo sostegno
camminare con Te, costantemente nel tuo pensiero, io in Te e consapevole del
Tuo su di me, nulla di male mi potrà accadere…”.
Luigi: Ti
spiace ripetere questo ultimo pensiero?
Nino: Si incomincia pregando: “Dammi salute, ricchezza,
riconoscimenti…”
Luigi: Cioè il
mezzo per camminare con …
Nino: Cioè all’inizio si crede: “Se tu mi dai questo…”
poi si arriva a superare questa fase perché si capisce che né la ricchezza, né
i nostri meriti (che non esistono), ma si prega: “Fa di me quello che vuoi
perché non abbia mai a dimenticare che Tu essendo Creatore – motore (ho
sintetizzato: essendo io convinto che Tu sei Creatore motore), io non potrò mai
essere confuso, se ho sempre presente questo. Qualunque sia la mia sorte,
quello che mi può capitare, essere ricco, essere povero, essere sano, essere
malato, se avrò saputo e potuto, ma con il Tuo sostegno, camminare con Te e in
Te in questo mondo, cioè sempre nel tuo pensiero (nel Tuo pensiero cioè
convinto sempre che io cammino nel pensiero Tuo e so che il Tuo pensiero su di
me non mi abbandona mai) allora nulla di male mi può venire…
Luigi:
Sentiamo Silvana.
Silvana:
Io mi sono fermata abbastanza su questa veste che bisogna avere..
Luigi: Hai tenuto
presente qual è il tema? Imparare ad essere con Dio e in Dio.
Silvana:
Si può anche accettare di andare alle nozze, desiderare di stare con Dio, però
si può rischiare di non avere questo abito quindi essere impediti a conoscerlo,
ad andare alle nozze. Quale può essere questo abito che è essenziale per poter
rimanere alle nozze. Io ho pensato che potesse essere la disponibilità totale a
cercare soltanto Lui, cioè il cuore libero…
Luigi: Cuore,
disponibilità non intende distacco dalle cose del mondo..
Silvana:
Si, anche, come libertà, come superamento per.., come ricerca di Lui
Luigi: Una
ricerca che deve essere fatta spiritualmente, cioè non è il caso di andare qui
o di andare là, si intende un distacco dalle cose come distacco spirituale..
Silvana:
Si, come distacco spirituale…
Luigi: Quindi
l’abito sarebbe il distacco…
Silvana:
Si, pensavo cosi… però non ho capito bene quei due inviti..
Luigi: Non ha
tenuto presente l’essere con Dio e l’essere in Dio? la differenza tra l’essere
con Dio, camminare con Dio e camminare in Dio? Perché forse nella parabola c'è
la distinzione…
Angelo: Essere invitati è camminare con Dio, mentre avere
l’abito è camminare in Dio. Quando ci sentiamo invitati, noi siamo chiamati ad
andare con Lui alle nozze…
Luigi: Secondo
te in cosa consiste questo invito?
Angelo: Quello che facciamo adesso: darsi da fare, approfondire,
essere alla ricerca; invece quando avremo l’abito resteremo con Lui, non avremo
altre preoccupazioni, basterà fare la Sua volontà, faremo una cosa sola con
Lui.
Luigi: Il
fatto è che l’abito ce lo dà Lui… è Lui che ce lo dà l’abito; ora ci dobbiamo
domandare come mai quel tale non aveva l’abito. L’abito era dato. Non è che se
lo dovessero portare…quando si facevano le nozze, era dato. È Dio che dà
l’abito all’uomo quando però l’uomo è alla ricerca; a queste condizioni è Lui
che dà l’abito.
Pinuccia: Ho pensato a queste due categorie di persone che si
identificano con la stessa persona, cioè con ciascuno di noi; solo che sono due
tempi diversi nella stessa anima. Non so se si può intendere cosi?
Luigi: Si,
perché non abbiamo differenti uomini; tutto il parlare del Signore, anche
prima, quando abbiamo letto dei nemici, il parlare di Dio, va sempre inteso
spiritualmente: i nemici sono sempre dentro di noi, è il nostro io, sono i
pensieri del mondo uniti al nostro io perché quando noi abbiamo il nostro io al
centro, poi allora il mondo incomincia a prendere piede su di noi, allora
diventa nemico, perché il mondo di per sé è buono ma in quanto è visto da Dio,
è visto con Dio. Allora se noi siamo con Dio tutte le creature diventano buone,
ma se invece siamo nel pensiero del nostro io allora il mondo incomincia a
pesare su di noi, incomincia a renderci schiavi, a ossessionarci.
Pinuccia: Allora pensando cosi, che si riferisca alla stessa
persona, mi ha colpito questa insistenza dell’invito, più volte si ripete
questo invito. In modo che mi sono fermata a pensare che la vita è
essenzialmente un invito, un invito alle nozze, un invito a convivere con Dio:
camminare con è camminare in, prima si cammina con per poi arrivare all’in,
alla convivenza. Sono tappe diverse nella stessa anima; la prima tappa (come ha
detto il dottore prima) non sentiamo l’invito del Signore perché siamo immersi
nelle nostre cose, nei nostri interessi, i buoi, la moglie, i campi, in
un’altra parabola lo dice chiaro.
Luigi: Si,
però qual è la causa di questa immersione.
Pinuccia: È sempre che ci mettiamo noi al centro, è la
dimenticanza di Dio.
Luigi: Si,
proprio perché noi abbiamo il pensiero del nostro io al centro allora si
incomincia a riferire le cose al nostro io…
Pinuccia: Si dimentica Dio, perché non c'è più posto per Dio; è
più importante quello che si riferisce a noi.
Luigi: Per
arrivare a questo essere con..
Pinuccia: Allora c'è questa tappa della povertà, è Dio che
interviene, che ci fa diventare ciechi, zoppi, paralitici, che ci fa prendere
coscienza perché siamo cosi nei crocicchi delle strade, in questa povertà; non
sappiamo dove andare. Ecco, qui abbiamo di nuovo l’invito che si fa più pressante
e non si resiste, allora si va, perché non sappiamo dove andare, allora si va…
tutti rispondono, questi. Poi ho diverse cose da chiedere rispetto a questo ma
adesso finisco questo…
Succede
che non basta andare, come diceva Silvana, ma ci vuole l’abito. Io mi sono
fermata a pensare l’abito come abitudine, come un’abitudine a convivere con
Dio. Lui ci dà la possibilità attraverso tutto quello che fa a stare con Lui
perché in ogni cosa ci dice che Dio esiste, ed è un invito di Dio. solamente
che noi chiusi in noi stessi, non ci apriamo a Lui, e se non ci abituiamo a
vivere con Lui, a riconoscere la sua presenza in ogni cosa, non saremmo capaci
a sopportarla quando arriveremo a ..
Luigi: Solo se
siamo con Lui…
Pinuccia: Già in questa vita… si perché l’incontro definitivo…
Luigi: Qui il
Signore non sta parlando mica per gente dell’altro mondo, cioè mica per la vita
eterna..
Pinuccia: Non parla dell’incontro finale?
Luigi: No, qui
il Signore sta parlando per noi, oggi perché tutte le lezioni di Dio sono
lezione su questa terra, per questa terra. Dio sta facendo adesso delle lezioni
a noi che siamo sulla scena di questo mondo, per dirci…. È per adesso…
Pinuccia: Adesso è più chiaro…
Luigi: Qual è il
proposito di tutto il parlare di Dio? è quello di infondere in noi una certa
volontà, farci volere una certa cosa. Evidentemente noi partiamo da una certa
situazione, centralità del nostro io, in cui sostanzialmente noi non sappiamo
quello che vogliamo nella nostra vita; perché noi viviamo soltanto in funzione
del mondo. il nostro io da solo non fa mica quello che vuole. Il nostro io
tende soltanto ad accumulare le cose del mondo, perché da solo è nudo, da solo
non sta su, quindi ha bisogno di farsi centro. E allora in questa tendenza a
farsi centro, tende soltanto ad adeguarsi al mondo. Ma noi sappiamo realmente
che cosa vogliamo? Ne siamo veramente convinti? Perché se noi ne fossimo
veramente convinti di quello che vogliamo. Noi il più delle volte abbiamo dei
pii desideri, ma sostanzialmente noi vogliamo solo le cose del mondo, fintanto
che noi abbiamo il nostro io al centro. La nostra vita è soltanto una reazione
a degli stimoli esterni, lo stimolo della fame, lo stimolo della figura, lo
stimolo del giudizio degli altri, lo stimolo dell’ambizione, noi reagiamo a
questi stimoli qui che premono su di noi in quanto il nostro io è al centro,
sollecitato dalle cose del mondo che sono voci di Dio.
Il
Signore opera nel mondo per farci toccare con mano la nostra morte; San Paolo
dice che tutte le opere che sono sotto la legge ci sono state date unicamente
per farci toccare con mano la nostra morte, il nostro io da solo è morto;
allora Dio opera premendo su di noi e allora noi tendiamo.. ma è tutta una
reazione. Come ho detto tutto nel mondo è reazione ad uno stimolo della fame:
abbiamo la fame della figura, abbiamo la fame materiale, abbiamo la fame del
sesso, abbiamo tante fami, che premono su di noi: allora questo non è vivere,
questo è soltanto reagire. La vera vita incomincia soltanto quando incominciamo
a sapere quello che dobbiamo volere in senso eterno, in senso spirituale; siamo
veramente convinti? sappiamo veramente quello che vogliamo? Lo sappiamo
veramente quello che vogliamo? Tu lo sai quello che vuoi? Tu lo sai quello che
vuoi?
Pinuccia: Mi pare…
Luigi: Ti pare
solo…. Quando hai fame ti pare solo di sapere quello che vuoi? Quando hai fame
sai no quello che vuoi? Ma spiritualmente lo sai quello che vuoi? In modo molto
netto..
Pinuccia: Dico che penso e mi pare perché c'è una incoerenza
rispetto a quello che vivo; mi pare di averlo chiaro quello che voglio solo che
nella vita c'è l’incoerenza. Se io ho fame, mangio..
Luigi: Non c'è
incoerenza, li..
Pinuccia: Nel fisico, no; quando ho fame, mangio, se sono stanca
vado al riposo..
Luigi: E come
mai c'è incoerenza nello spirito?
Pinuccia: Ecco, me lo chiedo tante volte, perché sinceramente so
quello che voglio, lo desidero, e perché non lo realizzo? Mi pare di mettercela
tutta…
Ad
esempio mi sono fermata a quel con e quel in e ho pensato: il camminare con è
il camminare con le parole di Gesù, con, che ci introducono poi alla presenza
di Dio e che ci fanno scoprire la presenza…
Luigi: Non hai
pensato che noi non possiamo essere con Uno se quell’Uno li non è prima con
noi?
Pinuccia: Ma Lui è già con noi…
Luigi: Lui è
già con noi…
Pinuccia: Noi dobbiamo solo prendere coscienza che Lui è presente…
Luigi: Ma ne
siamo veramente convinti? Ma un momento, Lui è con noi. Lui è con noi in
qualunque situazione noi siamo, nel peccato, nel mondo, sempre.
Pinuccia: Il fatto che noi esistiamo è Lui che ci mantiene in
vita…
Luigi: Lui è
sempre con noi. Perché altrimenti non sorgerebbe nemmeno in noi il problema di
essere con Lui, se Lui non fosse con noi prima di noi. Prima che noi ci
svegliamo al problema, è già Lui con noi, e Lui essendo con noi, opera tutto
affinché noi siamo con Lui, come Lui è con noi: la meta è li. Quando noi
diciamo: “Sia fatta la tua volontà come in cielo cosi in terra” vedi che
tendiamo a fare un’uguaglianza tra quello che è lassù, che noi diciamo cielo, e
il cielo non è altro che Lui, la terra siamo noi. Abbiamo già detto molte volte
che noi intendiamo per terra, tutto quello che si riferisce al nostro io, e per
cielo quello che è al di sopra del pensiero del nostro io: ed è Dio. Ora, Dio è
con noi, ed essendo con noi, opera tutto, tutto, tutto quello che accade
intorno a noi, affinché noi impariamo ad essere con Lui come Lui è con noi.
Fintanto che noi non siamo con Lui come Lui è con noi, perché la sua presenza,
perché Lui è con noi, è indipendentemente da noi e quindi in un modo o
nell’altro si fa sentire. Ora, fintanto che noi non ci adeguiamo a questa sua
compagnia, a questa sua presenza, si forma in noi una situazione di infelicità,
c'è un dislivello tra la sua presenza e la nostra presenza. Ed è questo
dislivello che ci fa soffrire; è come essere in una stanza con uno che noi
magari ignoriamo, e allora questa copresenza : Lui è con me ma io non sono con
Lui, crea questa frattura, questo crea infelicità, questo crea un trauma, ecc.
E
noi quindi risentiamo di questa infelicità, del disagio della vita, dello
scontento, della tristezza, il problema sta li.
Ma
il problema è li in quanto Lui è con me, Lui è con noi, quindi è la sua
Presenza. Ora, dico, noi non avremmo questo problema, non ce lo immagineremmo
nemmeno questo problema, non potremmo nemmeno immaginarcelo, perché è Lui che
lo fa, se Lui non fosse già….
Pinuccia: Ecco ma è sufficiente che uno dica, sia convinto che Lui
c'è, Lui è con me, io voglio stare con Lui…
Luigi: Allora,
qui si forma un problema, e penso che questo sia il problema principale di
questa prima parte, perché la seconda parte la faremo magari dopo…
Il
problema principale di questa prima parte è imparare a staccarci con il
pensiero, non è un problema di distacco materiale o di luogo o di ambiente, e
lo ritengo uno dei problemi essenziali della nostra vita, una delle maggiori
difficoltà, è di imparare a distaccarci con il pensiero dalle cose che si
presentano, dalle cose del mondo, dai problemi del mondo, dai fatti che
incontriamo perché si forma un’aderenza nel nostro pensiero; anzi non soltanto
un’aderenza, ma una schiavitù.
Ora,
fintanto che noi siamo nel pensiero del nostro io, per cui noi siamo legati
alle cose, cioè noi siamo legati col pensiero. Il problema è quello di imparare
a staccarci col pensiero dalle cose per pensare a Colui che è con me, per
pensare a Colui che è con noi, staccarci…
Pinuccia: Ecco, però il primo gradino per pensare a Colui che è
con me non è quello, appunto, di servirmi delle cose, che è una parola sua, non
pensarla nel pensiero del mio io, ma riferirla a Lui; e per riferirla a Lui io
debbo avere presente il Pensiero di Dio…
Luigi: Lo so,
ma dico che la difficoltà, e dico che è una difficoltà molto grande,
confermatemelo voi, è quella di distaccarci dalla pressione che le cose fanno
su di noi; incontro una persona, incontro un argomento, incontro un problema,
c'è una vischiosità che si forma in noi tra la cosa incontrata e il mio
pensiero. Per cui noi incominciamo a fermarci con pensiero a quella cosa,
magari vorremmo risolverla, è un problema che si presenta. Ma mentre noi ci
preoccupiamo di risolverla, Dio se ne va..
Pinuccia: Ma se uno lo trova in quel problema li, perché se è Dio
che me lo presenta, non è un invito suo a trovarlo li? È inutile che io vada a
trovarlo in un altro posto se io sono in quella bagna li…
Luigi: Ecco, vedi
che tu stessa mi confermi quella difficoltà li? Lo vedi che dici: “…io sono
nella bagna”? ora io dico una cosa…
Pinuccia: Non è Lui che mi mette nella bagna?
Luigi: Si,
certo…
Pinuccia: Ma perché io riferisca questa situazione, questo
incontro, questa persona, questa difficoltà a Lui, prendendola da Lui, cercare
di capire quello che Lui mi vuol dire..
Luigi: Si,
però ti dico questo: tu sei nella “bagna”. Ora, tu non uscirai certamente dalla
“bagna”, se cerchi di risolvere il tuo problema di uscirne dalla “bagna”…
Pinuccia: Ma è Lui che mi tira fuori…
Luigi: Il
problema si risolve in Dio. Cioè tu esci dalla “bagna” soltanto in quanto
cerchi Dio, conosci Dio. ma se tu cerchi di risolvere il tuo problema,
certamente non ne uscirai…. Diciamo: nessun problema del mondo è senza
soluzione, ma tutti i problemi del mondo sono senza soluzione fintanto che non
troviamo Dio perché la soluzione è solo in Dio. Allora dico: c'è questa
vischiosità tra le cose che si presentano e in quanto si presentano a noi,
formano in noi il problema; tutte le cose formano in noi il problema perché non
sono Dio; Dio è luce che illumina, che risolve “Niente è impossibile presso
Dio”. Per cui più andiamo verso Dio e più andiamo verso la soluzione delle
cose. Ma più noi cerchiamo di risolvere i problemi, e diciamo: “Prima cerco di
risolvere questo problema e poi andrò verso Dio”, io non risolverò mai questo
problema, perché questo mi ingarbuglierà sempre di più.
Pinuccia: Ma io dicevo di pensare in Dio quello stesso problema,
perché diventi uno scalino per poter dialogare con Dio..
Luigi: Eligio
tu hai potuto pensare qualcosa….
Eligio: Si, io l’ho inteso però con le proporzioni capovolte, la
meditazione che tu hai proposto, cioè: imparare a camminare in Dio e con Dio…
E
l’ho pensato in questo senso, camminare in Dio intendendo quell’in la
preposizione dello stato in luogo: camminare nel regno di Dio, nel pensato di
Dio, dove naturalmente devo, come primo atto di giustizia essenziale,
collegandomi qui con l’atteggiamento del Battista per poter incontrare poi
successivamente la Parola di Dio, devo fare questa giustizia di vedere tutto,
tutto come operato da Dio. Però il camminare in Dio e il camminare con Dio, mi
sembrano due inviti, i due aspetti di un consiglio che può restare incompiuto,
in quanto il camminare in Dio, e se sbaglio correggetemi, non è ancora
necessariamente camminare con Dio, in quanto il camminare con Dio è sempre un
rapporto esteriore fra me e Dio. Il riconoscere che attorno a me è tutto opera
di Dio, non vuol dire che necessariamente io porti dentro di me Dio, e che io
sia in Dio; cioè compio un atto di giustizia. Ecco come io ho collegato questa
meditazione alla parabola delle nozze del figlio del re; ad un certo punto,
operando questa giustizia essenziale, quindi camminando in questo pensato di
Dio, questo pensato di Dio sono delle parole di Dio che mi richiamano a Dio,
però non sono il Verbo, la Parola di Dio. Ecco come, per operare questo
passaggio dal camminare in Dio al camminare con Dio, devo collegarmi alla
Parola per eccellenza, al Verbo di Dio. Il Verbo di Dio che si manifesta
attraverso le nozze che intenderei come l’apoteosi, la glorificazione del
Figlio di Dio, in termine liturgico come l’epifania, la manifestazione al
mondo, all’umanità da parte di Dio e di suo Figlio. Qui a questo punto,
collegandomi a queste nozze, alla manifestazione del Figlio di Dio, avrei la
possibilità di salire, e quindi di camminare con Dio e compiere questo secondo
passaggio molto più impegnativo, essenziale, per completare questo consiglio di
camminare in Dio e del camminare con Dio.
Luigi: Ma
sostanzialmente a me sembra che anche se tu dici che hai capovolto gli
argomenti, poi alla fine ti riporti nella situazione iniziale che è: bisogna
arrivare al Padre.
Stabiliamo
chiaramente qual è la meta: la meta è sempre arrivare a conoscere il Padre.
Questo conoscere il Padre è meta, è conoscenza in, è un camminare “in” Dio;
camminare “in” Dio è approfondire la conoscenza di Dio, perché tu hai parlato
di “moto in luogo” e il luogo è Dio…
Eligio: No, ho parlato di “stato in luogo” cioè tutto è casa di
Dio, è regno di Dio, tutto è manifestazione di Dio, cioè mi muovo in un pensato
di Dio, sono io stesso un pensato di Dio. Ciò non vuol dire che io stabilisca
con Dio un contatto personale che stabilirò soltanto successivamente quando
avrò imparato a camminare “con” Dio.
Luigi: Ma noi
non camminiamo in Dio fintanto che non siamo trasferiti dalle cose, perché
prima dobbiamo scoprire il passaggio dalle cose a Dio; poi arrivati a Dio,
allora camminiamo “in” Dio per conoscere Dio, perché la meta è quella di
conoscere Dio.
Eligio: Pensavo anche all’insegnamento del Battista dove tu
stesso ci hai detto che prima di conoscere Dio noi dobbiamo fare un atto di
giustizia essenziale di riconoscere che tutto quello che non dipende da noi è
opera di Dio, dipende da Dio: ecco come io cammino in Dio senza ancora
conoscere Dio…
Luigi: Si, ma
quello sostanzialmente è un camminare con Dio, imparare a camminare con Dio;
cioè si tratta di passare da…
Eligio: Ma il rapporto lo vedo ancora come un fatto esterno…
Luigi: Ma è
proprio perché è ancora un fatto esterno siamo ancora “con” mentre l“in” è
dentro; ma ad ogni modo è solo un problema di intenderci.
Prima
noi camminiamo con il mondo, nel pensiero del nostro io, noi camminiamo con il
mondo. allora qui abbiamo un passaggio da fare ed è questo: fintanto che noi
camminiamo con il mondo diciamo che siamo massa, siamo numero, siamo gruppo,
non siamo persone vive, siamo in gestazione, siamo in attesa di nascere alla
vera vita, perché la vera vita è personale; ma fintanto che noi camminiamo con
il mondo è tutta una vita di reazione soltanto agli stimoli del fame, del
benessere, del mangiare, del desiderio, della figura, comunque è incentrato
sull’io, un io che reagisce alle pressioni di un mondo che tende magari a
sgretolare questo io e l’io tende e fa la guerra: un io contro un altro io.
Allora c'è questo primo passaggio, ecco qui la grazia di Dio, sapendo che anche
se noi siamo nel mondo, Dio ci invita. Cos’è questo invito? Ci manda ad
invitare; sostanzialmente questo invito consiste in questo: “IO sono con te
anche quando tu sei con il mondo”, Lui è sempre con noi, Lui è “con”.
Lui
è con noi anche quando noi non siamo con Lui. Allora, il fatto che Lui sia con noi, si deve
manifestare in qualche modo questo suo essere con noi, perché non è che Lui sia
con noi a nostra insaputa! Allora tanto varrebbe: il cielo non è indipendente
dalla terra, il cielo interferisce con la terra, si fa sentire sulla terra.
Quindi la presenza di Dio che è tra noi ancor prima che noi ci svegliamo al
problema, prima ancora che noi intuiamo o capiamo la sua presenza pone, ci
manda gli inviti; questa richiesta: “IO sono con te, tu con chi sei?”.
Allora
abbiamo il primo passaggio:
·
passaggio
dall’essere con il mondo ad essere con Colui che è con me; perché il mondo non è con me, Dio è con me. Allora, la
presenza sua con me mi pone il problema, quello di essere con Lui, ma per
essere con Lui io debbo vincere la resistenza, soprattutto di pensiero, la
resistenza che provo nell’essere con le cose, perché le cose pesano su di
me, mi pongono dei problemi (problemi economici, della società). Sono dei problemi
che si pongono e creano quindi una resistenza su di noi. Per cui noi
tendiamo sempre a risolvere questi problemi prima di tutto per cui il
Signore ci ammonisce: “Non preoccupatevi del mangiare, non preoccupatevi del
vestire, non preoccupatevi di accumulare…” ci impone un certo salto, ma è un
salto che si impone prima di risolvere i problemi, perché Lui dice: “IO
sono con te”. Allora il problema si risolve in questi termini qui, il
problema del “con”; perché Lui è con me indipendentemente da me, quindi
pone a me il problema di essere con Lui. La richiesta sua è quella: “Sii
con me come IO sono con te”, la meta diventa questa.
Ma
con Lui, che cosa si fa con Lui? Lui ci fa conoscere il Padre, Lui ci porta.
Allora
abbiamo il secondo tempo dell’in.
·
Nel
primo tempo noi siamo con il mondo;
·
poi
dobbiamo passare ad essere con Dio;
·
poi con
Dio penetriamo lo spirito di verità che essendo spirito d’amore, desidera
conoscere tutte le cose di Dio e penetra (ecco l’in) e penetra nelle cose di
Dio perché vuole conoscere tutte le cose di Dio; è spirito d’amore e l’amore è
conoscenza.
Ora
qui abbiamo la creatura staccata dal mondo, libera dal mondo, disponibile dalle
cose del mondo, adesso si può impegnare con il cielo a penetrare in Dio.
Perché
non è soltanto il fatto di essere con Dio; Dio è un infinito molto più infinito
di tutto quanto è infinito il nostro mondo in cui ci troviamo noi e che ci pone
tanti problemi. Dio ci pone dei problemi immensamente maggiori dei problemi che
ci pone questo nostro mondo che ha per centro il nostro io. E quindi è tutto un
cammino da fare in Dio, è una passione, è una ricerca. Ora qui però noi non
possiamo penetrare se non “con”, se non siamo con Lui, da soli assolutamente no
perché: “Dove IO sono voi non potete venire”.
Quindi
abbiamo bisogno del Maestro; ma non soltanto del Maestro che mi dice: “Staccati
dalle cose…” cioè che mi faccia sapiente e saggio sulla terra, ma di un
Maestro che mi insegni a camminare in Dio, a penetrare in Dio, fino ad
arrivare alla conoscenza del Padre, alla vita eterna perché la vita eterna
è conoscere, conoscenza è penetrazione dentro in questo… non so se ho reso
l’idea. Allora, per penetrare in questo infinito abbiamo bisogno di Uno che
scende dal cielo, di Uno che sia Dio, perché senza Dio noi non possiamo,
non possiamo sollevarci con le stringhe delle scarpe e andare in cielo
tirandoci su, e allora abbiamo bisogno di un altro che ci porti. Allora per
essere con un Altro che mi porta prima si pone il problema di essere con Lui e
per essere con Lui si pone il problema del passaggio dall’essere con il mondo
ad essere con Lui.
All’atto
pratico questo primo passaggio si concretizza in questa fatica di
distaccarci, di separarci, di superare le cose del mondo, la pressione delle
cose del mondo. Questo come primo tempo.
Eligio: Il tema che hai proposto è: “Camminare con …”
Luigi: “Imparare
a camminare con Dio e in Dio”
Eligio: Io avevo inteso: “Camminare con il Padre e nel
Padre…”
Luigi: Guarda
che sostanzialmente vuol dire la stessa cosa, se approfondisci, mi sembra di
capire che ad un certo momento hai detto: nel Padre, penetrare nel Padre,
arrivare al Padre è un camminare in Dio. Cioè nel primo momento si tratta di
arrivare a Torino e in un secondo momento si tratta di camminare in Torino,
perché a Torino c'è qualcosa da scoprire, da conoscere. Allora il nostro
problema è che noi siamo qui e che dobbiamo trasferirci a Torino quindi abbiamo
il passaggio dal mondo a arrivare a Torino, poi in Torino abbiamo bisogno di
una guida che ci accompagna nella città a noi sconosciuta; abbiamo bisogno di
una guida che ci porti a conoscere l’anima di tutto Torino (trasferito nel
cielo Torino è il Padre).
Allora
noi innanzitutto dobbiamo imparare che: “Senza di Me fate niente”,
niente! Quindi mi pone i problema dell’essere con; perché dice: “Senza di
Me…”, allora come faccio ad essere con? Ora Lui certamente non è il
mondo; tutto il mondo è opera sua, ma tutto il mondo si sostanzia per noi in
questi inviti alle nozze. Tutto il mondo è un invito alle nozze, è Dio che
manda nel nostro mondo, nel pensiero del nostro io, ci manda tutte queste
sollecitazioni, i richiami, le voci, opere sue, ma non Lui. Lui non l’albero,
l’albero però è un invito, è una voce di Dio, è una parola di Dio che mi chiama
ad alzare lo sguardo verso di Lui. Perché nessuna creatura è soddisfatta in sé,
si esaurisce in sé, tutto mi rimanda a; quindi vedi che è una voce? È la voce
di Dio. Quindi attraverso tutto questo mondo, Dio mi chiama alle nozze. Ma
questo mondo non inteso nel pensiero del mio io, inteso come anima, come
significato.
Per
cui (come avevamo letto) noi ci preoccupiamo del significato delle cose, e per
preoccuparci del significato delle cose è necessario tener presente il Pensiero
di Dio, e il Pensiero di Dio è Lui che si presenta, (infatti non possiamo
prendere a calci Dio senza prendere a calci noi stessi), tenendo presente il
Pensiero di Dio noi sentiamo la pressione, il bisogno di cercare il
significato: “Ma cosa ci sto a fare qui, a vivere; a cosa serve la mia vita?
si nasce, si muore, a cosa vale tutto questo? A che cosa vale questo correre,
questo guadagnare?”: ecco il bisogno di cercare il significato. E li si
rivela la nostra vocazione, perché se noi non fossimo chiamati alla vita
eterna, non avremmo questa pressione su di noi del bisogno di conoscere il
significato delle cose; il significato soprattutto del nostro vivere, del
nostro morire, del nostro soffrire. Allora qui abbiamo la vocazione: i servi
che giungono e che richiamano. Allora qui abbiamo la prima fatica, la prima
penitenza da parte nostra, perché per superare (abbiamo detto che non si tratta
di un distacco materiale) ma si tratta di un occupazione spirituale che
richiede soprattutto il pensiero. È li il problema perché ognuno di noi è
capace a fare immensi sacrifici (di denaro, ecc.) ma non di pensiero; perché
noi sappiamo che tutto dipende dal nostro pensiero, altrimenti noi non ci
distacchiamo mica dai nostri problemi. Noi vorremmo prima risolvere i nostri
problemi, poi occuparci se abbiamo tempo e disponibilità ( perché sappiamo che
tutto dipende da questo). Perché il pensiero del nostro io è molto legato alla
soluzione dei nostri problemi nel mondo, per cui se io risolvo questo problema
faccio bella figura, ecc.; invece il Signore ci chiede (proprio perché
si tratta di camminare con Lui verso una meta che non è di questo mondo) soprattutto
questa penitenza, come pensiero, di piantare li (anche se non ho risolto), occuparmi
di quello che mi propone. E quello che mi propone Lui non è la soluzione
di tutti questi problemi qui. Se un certo momento io parto, sollecitato da
Dio, da un certo mondo, e mi occupo di un altro mondo che mi presenta Lui, in
quell’altro mondo, in quell’altro mondo, senza rendermene conto, io trovo
risolto questo problema qui; in questo mondo qui io lo trovo risolto. Ecco
perché Lui diventa liberatore.
Quindi
più mi occupo di Lui, trovo il Lui la soluzione; noi possiamo notare che riguardo a certi problemi, è
soltanto questione di aver pazienza di aspettare e poi si risolvono, perché il
tempo è ancora opera di Dio; essendo opera di Dio è regno di Dio che viene a
noi e man mano che viene ci risolve i problemi è soltanto il fatto di saper
aspettare. Noi però difficilmente sappiamo aspettare, perché subentra sempre il
pensiero del nostro io e allora noi vogliamo accelerare i tempi e le cose si
complicano.
Ma
dico: i veri problemi si risolvono soltanto in quanto uno non vuole
risolverli ma capisce il senso, il significato, la direzione che questi
problemi qui pongono e in quanto pongono una direzione, sono come delle frecce
che mi invocano, mi sollecitano a cercare Dio; cercando Dio in Dio, trovo la
soluzione, perché è in Dio la soluzione del problema.
Eligio: Per camminare con Dio intendi già la vita in Dio o
intendi l’incontro, il seguire Gesù come maestro di vita per arrivare a Dio?
Luigi: Tutto!
Con -, questo essere con, questo essere assieme, è Lui che me lo pone in quanto
Lui è assieme a me, Lui è con me: Lui è con noi prima di noi. Essendo con noi
ci pone il problema di essere con Lui; allora, per essere con Lui si pone il
problema che sapendo che c'è Uno che cammina con te, il problema per te è
quello di saper camminare con Lui, di essere in compagnia sua.
Eligio: Deve essere un fatto esterno come lo era per gli apostoli,
ma le cose sono cambiate sostanzialmente con lo Spirito Santo. Prima erano
anche con Gesù, poi era Dio che era entrato in loro con il suo Spirito. Quindi
è possibile camminare in modo sia che nell’altro?
Luigi: Si,
perché è un camminare progressivo; ad esempio gli apostoli erano con
Lui, però c'era sempre una differenza: “Da tanto tempo che sono con voi
eppure non mi avete ancora conosciuto!”; all’ultimo fa capire che non sono
stati mai con Lui. Però tu capisci che il Signore si abbassa al nostro livello,
per cui noi incominciamo ad essere con Lui per un certo tratto perché siamo
ancora per tanto a contatto con il mondo e poi a poco per volta, l’importante
per essere con Lui, è incominciare ad ascoltare Lui, perché se lo ascolto, come
dico, è Lui che mi fa essere. Come? In quanto Lui è con me. E cosa vuol dire
questo essere con me? Parla a me. Ma io sono con Colui che parla a me nella
misura in cui ascolto Lui e i suoi argomenti; e se voglio ascoltare i suoi
argomenti devo accantonare i miei. Ma se io non accantono i miei anche se sono
con Lui, non sono con Lui: Lui è con me ma io non sono con Lui. I suoi
argomenti però sono progressivi, diventano infiniti, ad un certo punto
diventano conoscenza del Padre. Allora Lui non è Uno che sta, è Uno che cammina
in continuazione, i suoi argomenti progrediscono; allora io comincio magari ad
essere con Lui e credo di essere con Lui per un certo tratto, e poi Lui va più
avanti ed io non sono già più con Lui e mi accorgo che si crea una distanza tra
noi. Ed è una sollecitazione continua, ma Lui è sempre davanti a noi; e cosa
vuol dire questo: ci precede? Cosa vuol dire questo essere che ci precede? Vuol
dire che crea sempre una distanza per mezzo della quale noi ci sentiamo sempre
sollecitati da; e quindi siamo continuamente invitati a prestare più
attenzione, a prestare più ascolto a, e superarci in continuazione; è un
superamento continuo. Perché? perché la sua sapienza, ciò che Lui ha da
comunicarci è un infinito.
Eligio: Dopo la Pentecoste i discepoli sentivano ancora questo
distacco?
Luigi: No, no,
con la Pentecoste non siamo più noi, ma è Lui che è con noi, è Lui che opera in
noi. “Non sono più io che vivo, ma è Dio che vive in me”. La creatura
diventa operata da Dio; ora è Dio che operando nella creatura fa vivere la
creatura, è Dio; ma la creatura è operata da.
Eligio: Il vero camminare con Dio è questo! Dopo la Pentecoste,
quello che tutti noi vorremmo vedere.
Luigi: Certo,
logico.
Eligio: Non è più un camminare con Dio che dipende da noi ma è
un camminare con Dio che dipende da Dio…
Luigi: Per
arrivare però a questo, che è un camminare con, c'è la fase precedente del in.
Con la resurrezione del Cristo, incominciamo ad entrare nel cielo: “Se siete
risorti con Cristo non occupatevi più delle cose della terra ma occupatevi
delle cose del cielo dove Cristo è alla destra del Padre”. Qui incominciamo
ad entrare in cielo, qui abbiamo un “in”, qui si entra “in” cielo. Quindi prima
della resurrezione, morte, passione, prima di tutto questo tempo, noi siamo con
Cristo, il Cristo ci sollecita fino a condurci a morire con Lui, a noi stessi,
al nostro mondo; “commorire con” per poter risorgere, perché soltanto morendo a
questo mondo noi incominciamo a diventare vivi nel cielo.
Ma
vivi nel cielo, quando si è vivi nel cielo?
Quando
si ha la passione di conoscere Dio, di penetrare la verità di Dio come
attualmente si ha la passione per le cose di questo mondo o per i nostri
interessi.
Ecco,
allora uno è preso da; dal cielo; non appartiene più; è ancora nel mondo ma non
è più del mondo, non appartiene più al mondo.
Ora,
che cos’è che crea in noi l’appartenenza?
È
l’amore per, è la passione per. Se io
sono appassionato per il cielo, appartengo al cielo anche se sono in terra; ma
se io sono appassionato per le cose della terra, fossi anche in cielo, io
precipito in terra perché appartengo alla terra.
È
questo amore per, è questo interesse per, che ci fa appartenere a; noi
diventiamo pecore di Dio soltanto in quanto abbiamo interesse per Dio.
Ma
allora questo interesse in come si risolve? Non si risolve mica nel risolvere i
problemi qui del mondo! diciamo secondo lo spirito: non qui! Questo
interesse è proprio desiderio di penetrare nella verità di Dio, è occupazione
di Dio; allora si resta occupati da Dio, nella misura in cui noi sentiamo
il bisogno di occuparci di Dio. Realmente è Dio che occupa.
Eligio: Nella parabola come mai nella parabola solo i primi sono
invitati, quelli che poi rinunciano; come mai non sono tutti invitati?
Luigi: Ma qui non
si tratta di persone diverse, sono momenti diversi della nostra anima.
Come in un’altra parte del Vangelo si dice: “Nessuno lo accolse ..” e
poi: “Qualcuno lo accolse…”; se non c'è nessuno non ci può essere
qualcuno..
È
per significare che tutti quanti noi siamo responsabili di un rifiuto, per
cui tutti quanti noi abbiamo peccato, allora: “Nessuno lo accolse…”.
Tutti
quanti siamo colpevoli,
altrimenti uno potrebbe dire: “Ah, ma io perlomeno l’ho accolto!”. No,
guarda che c'è un periodo nella tua vita che tu non hai accolto quello che
dovevi accogliere e quindi sei in una situazione di peccato.
Per
cui abbiamo bisogno tutti della stessa misericordia, tutti dello stesso perdono, non possiamo ritenerci diversi dagli altri. Ecco
perché dobbiamo ritenerci tutti compartecipi della stessa Passione, dello
stesso Sangue del Cristo.
Ecco
però, nonostante questo, Dio, perché il suo regno viene nonostante noi, e
quindi ci fa entrare, nonostante noi; possiamo anche noi ritrovarci dentro:
certamente ci troveremo dentro al regno di Dio anche se non abbiamo l’abito,
perché il regno di Dio viene.
Prima
di venire ci chiama, perché soltanto nella misura in cui ci chiama, ci dà la
possibilità personalmente di partecipare; e più noi personalmente partecipiamo,
e partecipare vuol dire: spendere tutto ciò che noi abbiamo per comperare quel
tesoro.
Quindi
noi abbiamo un certo capitale che è tutto il nostro mondo, il nostro tempo, la
nostra vita, i nostri pensieri da spendere; per che cosa li spendi?
Perché
noi in un modo o nell’altro li spendiamo; ma per che cosa spendi il tuo
pensiero ad esempio?
Allora
noi possiamo spenderlo per comperare il mondo e il Signore rimprovera: “Cosa
vale possedere anche tutto il mondo se poi perdi l’anima?”.
Oppure
possiamo spendere tutto questo, soprattutto il pensiero, il tempo della nostra
vita per conoscere Dio.
Naturalmente
spendendo il pensiero per Dio si perde il resto, si perde il mondo.
Ecco,
in un primo tempo il Signore ci sollecita a spendere, ecco gli inviti, è li che
noi siamo in difetto, per cui diventiamo terribilmente debitori……..
Pinuccia: Però è anche vero che ognuno di noi risponde nella
misura in cui capisce……..
Luigi: Bisogna
approfondire bene che cosa vuol dire questo capire. Perché Dio in
quanto ci chiama ci fa capire, perché è logico, se noi non capiamo i
termini del problema, non siamo responsabili.
Però
al momento della chiamata non è che io debba conoscere Dio, non è che la
responsabilità scatta quando conosco la verità: la responsabilità scatta quando
io rifiuto di interessarmi di.
Chi
mi rende responsabile, non è la conoscenza della verità, ma è la parola che mi
chiama a conoscere la verità, che mi annuncia la verità: è li che mi rende
responsabile; è la parola che giunge a me.
Quindi
la parola che giunge a me e dice: “Cerca prima di tutto Dio”, questa mi
rende responsabile. Perché?
Perché
in un modo o nell’altro io debbo rispondere. Tutto è proposta e di fronte alle
proposte noi in un modo o nell’altro rispondiamo e siamo responsabili.
Responsabili
deriva da “respondeo” che vuol dire rispondere: rispondiamo, in un modo o
nell’altro noi rispondiamo.
Per
cui se io dico: “Non mi interessa!”, ho risposto, e li è la mia
responsabilità.
Perché
dicendo: “Non mi interessa!”, noi diciamo: “Io rifiuto Dio”. “Non mi interessa
la Verità!”, “Io rifiuto la Verità!”; ecco, la responsabilità scatta li.
Dio
ci dirà: “Hai rifiutato Me prima di conoscermi ancora!”, e la
responsabilità scatta nel momento in cui io mi rifiuto di interessarmi di- ,
resto responsabile della mia risposta (l’invito a nozze). Tutto è preparato, il
bue è ammazzato, tutto è pronto, noi non possiamo dire…, il problema non si può
rinviare, non è rinviabile: tutto è già preparato!
Noi
possiamo dire: “Ma non è ancora il mio tempo!”, no! Tutto è già preparato
perché tu ti abbia ad occupare di Dio; quindi non rinviare il problema.
In
quanto il problema si presenta a te, tutto è già disposto per, tutto.
Quindi
non preoccuparti di: “Vado prima a salutare mio padre, vado a seppellire
quell’altro, vado a risolvere prima questi problemi, vado prima a vendere
questo”. No!
In
quanto Dio ci presenta l’invito tutto è già risolto: parti!
Perché
ciò vuol dire che il problema è già risolto nel cielo: tu parti e vedrai che
tutto si risolve.
Perché
di fronte alla richiesta di Dio noi non dobbiamo avere altro motivo che -.
Per
questo il Signore dice: “Chi non odia (dove il termine odiare vuol dire
mettere sotto, essere disposti a mettere sotto) suo padre e sua madre più di
Me, non è degno di Me!”.
Perché
questa dignità è data proprio da questa disponibilità.
Pinuccia: Poi subentra il secondo momento in cui si prende
consapevolezza della propria povertà, che è la conseguenza del rifiuto.
Luigi: Si, è
il rifiuto stesso che ci fa sentire la povertà. Perché noi rifiutando,
incominciamo a scoprire la nostra morte, il nostro niente, la nostra miseria…
Pinuccia: Però non capisco questo: “… buoni e cattivi…”..
Luigi: Si,
perché nel regno di Dio entrano tutti; è la parabola del Signore della rete in
mare dei pescatori che arriva in spiaggia con pesci buoni e cattivi. Poi sulla
spiaggia si fa la scelta..
Pinuccia: Però c'è uno solo che non ha l’abito, vuol dire che i
cattivi sono diventati buoni? Applicato a noi personalmente cosa vuol dire?
Luigi: Che c'è
il rischio, anche se siamo dentro, di non avere l’abito. Cioè noi possiamo
ritenerci già, ciascuno di noi nelle sue applicazioni, può già ritenersi nel
regno di Dio allora: “Guarda che, anche se tu già ti ritieni nel regno di
Dio, puoi essere gettato fuori”. Perché non c'è nessuna garanzia, non c'è
nessuno che mi garantisca la salvezza. Perché l’abito è disponibilità di, è
amore per, è interesse per. Per cui se io dicessi: “Ah ma io sono a posto”,
immediatamente sono buttato via, poiché non c'è nessuna sicurezza di regole, o
di appartenenza a, per cui ad un certo momento ti siedi su una poltrona e tutto
è risolto. Il problema, siccome Dio è spirito, chiede continuamente da parte
nostra questo superamento, questo impegno, e la strada è infinita. Diventa
sempre più facile perché più ci impegniamo nello spirito, e più si crea la
facilità nel risolvere i problemi: all’inizio il cammino è difficile e poi la
strada diventa facile, il rovescio di quello che succede nel mondo. C'è
qualcosa da aggiungere a quello che abbiamo detto?
Pinuccia: Perché parla delle nozze del suo figliolo e invece siamo
noi chiamati alle nozze; come va inteso?
Luigi: Ah, non
so!
Pinuccia: Dobbiamo arrivare ad essere una cosa sola con Gesù?
Luigi: Ma perché
noi non siamo chiamati a diventare figli di Dio?
Pinuccia: Allora questo figliolo siamo noi.
Luigi: Siamo
chiamati a -.
Emma: Allora
siamo chiamati personalmente ad essere una cosa sola con Dio.
Luigi: La
vocazione è questa: essendo destinati a, già ti parla delle nozze del figlio.
Emma: Se
siamo in una certa situazione, dobbiamo accettarla perché è Dio che ci ha messi
in questa situazione ed è Dio che ce la risolve questa situazione, se noi
abbiamo questa fiducia in Lui…
Luigi: Dio
ci mette nelle situazioni, certo, è Lui che ci mette, però non ci fa stare.
Altrimenti uno potrebbe dire: “Beh il Signore mi ha messo nella scuola e io
resto nella scuola; il Signore mi ha messo nei campi e io resto nei campi”;
e allora il Signore quando viene dice: “Lascia i campi!” tu gli
rispondi: “Eh, no Signore tu mi hai messo nei campi e io resto nei campi!”,
no!
È
necessaria la disponibilità, perché il Signore ci mette in e poi ci chiama ad
uscirne.
La
vita è costituita da passaggi; il passaggio (pasqua) avviene quando si lascia
qualcosa per andare verso altro.
Allora:
“Senti ma Dio mi ha dato questo; Dio mi ha fatto ricco, perché devo dare
via! È Dio che me l’ha dato!”. “Dio mi ha fatto imperatore, perché devo
lasciare, se è Dio che mi ha fatto imperatore!”, quindi ognuno si
giustifica. No! Dio ti ha dato questo e ora te lo richiede. Perché
tutto è capitale che ci ha dato a nostra disposizione, da spendere per, se noi
lo teniamo non arriviamo all’altro.
Tutto
quello che abbiamo, e tutte le situazioni in cui ci troviamo, è capitale, è
somma di denaro, data a noi, affinché noi la spendiamo per comperare
qualcos’altro.
Se
tu entri in un negozio con una somma di denaro e vuoi comprare un capo, ad un
certo momento si forma il problema: “Voglio tenermi i l denaro o voglio
comprare il capo?” invece noi possiamo essere nella situazione in cui
vogliamo tenerci il denaro e avere il capo; non spendere il denaro e avere il
capo. Tutto quello che il Signore ci ha dato, ce l’ha dato affinché non
comperiamo quel capo; ma per comperare devo spendere e li succede la tragedia:
che noi non vogliamo spendere, noi vogliamo avere quell’altro ma tenerci quello
che abbiamo e non capiamo che la condizione per avere quell’abito è proprio
quella! Per cui io non avrò mai quell’abito se non spendo questo! Perché il
Signore il capitale me l’ha dato proprio perché io comperassi quell’altro e se
non lo spendo non lo avrò mai.
Emma: E le
situazioni in cui ci pone sono per farci capire che…
Luigi: Sono
situazioni da spendere per avere quell’altro: da spendere. Per cui ognuno si
trova in una certa situazione. Per cui non si può scambiare la propria
situazione con quella di un altro, ognuno ha una sua situazione che è un
capitale che personalmente deve spendere e soltanto se lo spende può entrare
nello spirito, altrimenti non entra. E allora il Signore continuerà a
sollecitarci. E noi, la maggior parte della nostra vita, la spendiamo nella
consumazione di queste sollecitazioni senza intendere quello che dobbiamo dare
via; e arriviamo all’agonia che non abbiamo ancora capito.
Allora
il Signore ci porta via quello che noi credevamo che fosse nostro, quello che
noi non abbiamo voluto spendere, Lui ce lo toglie perché: “Vi verrà tolto
anche quello che voi credevate di avere!” e ciò per cui abbiamo rinunciato
ad avere l’altro.
Emma: Per
principio non dobbiamo ritenerci padroni di niente assolutamente.
Luigi: Non
basta questo!
Nino: Non solo per principio; è facile dire che è per
principio.
Emma: Ma già
ritenere che non siamo padroni di niente..
Luigi: Tieni presente
che se pensi di andare a casa e di dare via tutto, non è che il problema sia
risolto, perché il problema non si risolve in senso materiale. Come non si
risolve il problema spostandosi da un luogo all’altro, no, perché il problema è
spirituale. È li anche la difficoltà, tant’è vero che Dio è difficoltà perché è
infinitamente superiore a noi per cui è difficoltà.
Pinuccia: Ecco io cercavo di mettere insieme il mio pensiero con
il suo.
Luigi: Cerca
di mettere il tuo pensiero con il Pensiero di Dio perché noi siamo creature…
Pinuccia: Se il Signore mi mette in una situazione, il devo
dialogare con Lui questa situazione per cercare di capire cosa il Signore mi
vuole dire con quella situazione?
Luigi: Si,
devi cercare di intendere il significato. Il significato delle opere di Dio è
una chiamata. Magari Dio ci mette in un pasticcio, per dirmi: “Vedi a
dimenticare Me in quale pasticcio vai a finire?”; non perché io abbia a
risolvere questo pasticcio ma a capire il significato di quel pasticcio.
Pinuccia: Non per restare in quel pasticcio.
Luigi: Non per
restare in quel pasticcio; Dio mi mette nel pasticcio in quanto io mi sono
preoccupato di Lui. Tutte le volte che ci dimentichiamo di Lui il semaforo
scatta e ci troviamo su una strada sbagliata. Ma se sono su una strada
sbagliata, non devo preoccuparmi di risolvere la strada sbagliata, debbo
tornare indietro, semplicemente. È Lui che mi fa segno, quindi io debbo capire
il significato di quello che Lui mi fa incontrare, della situazione in cui mi
fa essere.
Nino: Direi che in ogni “bagna” c'è una soluzione che implica
una nostra perdita, ma il problema è che noi non vogliamo perdere ed è li il
conflitto perché se noi sappiamo perdere per Dio, guadagniamo. Ne sono
convinto, poi magari razzolo male: è il saper perdere.
Il
tema di questa seconda parte è camminare “in” Dio.
Lettura
della Lettera di San Paolo ai Corinti cap. II:
“Tuttavia tra i perfetti noi predichiamo la sapienza, non
la sapienza di questo mondo, né dei principi di questo mondo che saranno
ridotti a nulla, ma predichiamo la sapienza di Dio, misteriosa e nascosta.
Quella sapienza che Dio, prima ancora che fossero i secoli, aveva già destinata
per la nostra gloria; sapienza che nessuno dei principi di questo mondo ha mai
conosciuta. Se infatti l’avessero conosciuta, non avrebbero mai crocifisso il
Signore della gloria. Ma come sta scritto: “Quel che occhio mai non vide, né
orecchio mai udì, né mai cuore di uomo ha mai potuto gustare, questo Dio ha
preparato a coloro che lo amano”. Ma Dio lo ha rivelato a noi per mezzo dello
Spirito, perché lo spirito scruta tutto, anche le profondità di Dio. Chi tra
gli uomini infatti conosce l’intimo dell’uomo se non lo Spirito che è in lui?
Cosi nessuno ha conosciuto le cose di Dio se non lo Spirito di Dio. Ora noi non
abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, affinché
conosciamo le cose che Dio ci ha gratuitamente donato e di queste noi parliamo,
non come cose suggerite da sapienza umana, ma come quelle insegnate dallo
Spirito adattando ad uomini spirituali dottrine spirituali. Ma l’uomo del mondo
non accetta lo Spirito di Dio, difatti per lui sono una follia e non le può
comprendere perché sono esaminate spiritualmente. L’uomo spirituale invece
giudica tutto e non è giudicato da nessuno. Infatti chi ha conosciuto il
pensiero del Signore da potergli fare da maestro? Noi invece possediamo il
Pensiero di Cristo”.
Pensieri tratti dalla conversazione:
Pinuccia: Che lettura è questa?
Luigi: Prima
ai Corinti, capitolo secondo. Sentiamo la signora se ha qualche cosa da dirci…
Emma: Posso
dire che ho aperto il Vangelo a caso e ho trovato il capitolo: “Perseveranza
nella preghiera” e quindi ho pensato che devo essere più perseverante nella
preghiera, cioè con prontezza fare la giustizia.
Luigi: In che
cosa consiste la preghiera?
Emma:
Nell’ascolto e nel silenzio
Luigi:
Nell’ascolto. Gesù dice: “È necessario pregare sempre”. Come crede di
poter attuare questo?
Emma: Non so,
è Dio che mi farà camminare, perché io ho molte debolezze..
Luigi: No, ma
come proposito, a parte il fatto di poterlo realizzare o meno. Ma se lo pone
come proposito questo che il Signore dice: “È necessario imparare a pregare
sempre”? In quanto tu dice che pregare è ascoltare…
Emma: Si, col
pensiero io prego Dio che mi renda perseverante in questo, per portarmi a
conoscerlo meglio, io ho questa fiducia, perché Dio non inganna; non so come
esprimermi diversamente.
Luigi: In che
cosa consiste questo: camminare in Dio? Puoi dire qualcosa?
Emma: No, non
saprei… dico solo che non dipende da me…
Luigi: Logico.
Emma: Che non
dipende da me e siccome è il mio problema più grosso, quello di conoscere la
Verità, penso che Dio mi aiuterà a raggiungerla, ho fiducia.
Nino: Io penso che consiste nell’avere il pensiero
costantemente rivolto a Dio. Quindi è un po’ quello che chiedo io a Dio: di non
dimenticarmi mai di Lui in nessun momento, anche quando sono con la mente al
lavoro.
Luigi: Non
pensi che questo: non dimenticarmi mai di Lui, sia un essere con Lui?
Nino: Si, è un essere con Lui.
Luigi: Si è un
essere con Lui, ma dopo c'è un altro passo perché il problema non si risolve
nell’essere con Lui…
Nino: Nel momento in cui io sono con Lui, ogni cosa che mi
arriva, io la interpreto, faccio risolvere il problema da Lui; cerco di vivere
in Gesù, in Cristo, perché è Lui che mi deve portare al Padre, non sono io che
posso arrivare al Padre, se Lui non mi porta. Io penso che quella sia la
strada, essere continuamente rivolto a Lui, accettando ogni cosa da Lui; ogni
cosa in cui sarei magari indotto a pensare male o bene, rinunciando a
considerarla o male o bene, riportandola a Lui, ecc. cioè questo è un abbandono
totale a Dio. Io penso che quella sia la strada, e poi il resto lo farà Lui.
Luigi: Lo fa
Lui, sempre però chiedendo a noi qualcosa. Cioè io penso che quello che tu dici
è giusto, è vero, ma corrisponde all’imparare a camminare “con” Dio. poi c'è un
secondo momento, e lo vedremo in questa parabola; perché imparare a camminare
“con” Dio equivale al rispondere all’invito alle nozze, se rispondiamo
all’invito alle nozze…
Nino: Tu hai detto molte volte: noi prima impariamo a vedere
le cose dal punto di vista del mondo verso, quando siamo a quel punto li ci
viene insegnato a vedere le cose del mondo dal punto di vista di Dio; in quel
modo li, piano piano, si verrà a conoscere il Padre. Nel momento in cui tu sei
arrivato alla conoscenza del Padre..
Luigi: Si, ma
non pensi che per arrivare alla conoscenza del Padre non si debba soltanto accettare
l’invito al pranzo di nozze, ma partecipare al pranzo di nozze?
Cioè
farei una differenza tra:
·
l’accogliere
o non accogliere l’invito al pranzo di nozze,
·
e
partecipare al pranzo di nozze.
Nino: Cosa intendi per partecipare?
Pinuccia: Avere l’abito?
Nino: Beh, lasciamo stare le definizioni, cerchiamo di
spiegare.
Luigi: Tu
dici: io riferisco, cerco di riferire i miei problemi, i problemi del mondo,
quello che mi capita a Dio.
Nino: E poi ascolto quello che Dio ha da dirmi…
Luigi: Non
riferendosi a questi problemi del mondo, perché Dio ha da riferire qualcosa che
non si riferisce ai problemi del mondo, ma a qualcosa che si riferisca a Se
stesso.
Nino: Ma quello fa parte della conoscenza di Dio.
Luigi: Certo,
in un secondo tempo; che è essenziale perché richiede da parte mia una messa in
parentesi di tutti i problemi e argomenti del mondo, anche di buoni, per
occuparmi solo di Dio.
Silvana:
La vita in Dio ci è data con lo Spirito Santo..
Luigi: Si,
l’abbiamo letto adesso: “Noi abbiamo ricevuto lo Spirito”, per che cosa?
Perché lo Spirito penetra i segreti di Dio. poi ad un certo momento dice: “Nessuno
può conoscere i misteri di Dio se non lo Spirito di Dio”, “Ma noi abbiamo
ricevuto lo Spirito di Dio” per che cosa? Per penetrare i segreti di Dio. Noi
abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio non per conoscere la sapienza del mondo,
come comportarci nel mondo, ma per conoscere i segreti di Dio.
Silvana:
Ma questo Spirito che ci viene dato, quand’è che ci viene dato?
Luigi: È
rappresentato dalla Pentecoste lo Spirito Santo. È il cammino che si svolge in
tutta la partecipazione alla vita del Cristo fino alla morte al nostro io con
Lui, commorire con Lui perché questo è il passaggio obbligato; commorire con
Lui per risorgere con Lui; risorgendo in Lui cosa succede in noi? Da questo ci
accorgiamo che siamo risorti con Lui, se ci interessiamo delle cose del cielo,
se ci interessiamo delle cose di Dio. Perché con la morte al mondo, al nostro
io, incomincia in noi la morte all’interesse per le cose del mondo. non alla
morte al mondo nel senso che usciamo al mondo, non si esce mica dal mondo. Ma
incomincia a morire in noi l’interesse per le cose del mondo e incomincia a
crescere in noi l’interesse per le cose del cielo. Non diciamo cose di Dio
perché tutto è cosa di Dio, ma le cose del cielo, che si differenziano dalle
cose del mondo, cioè i segreti di Dio.
Allora
in questo cammino che va dalla risurrezione, all’ascensione, fino all’incontro
col Padre a Pentecoste “Noi verremo a lui a prenderemo abitazione presso di
lui” noi prenderemo coscienza della presenza in noi del Padre e del Figlio.
Ed è li che riceveremo lo Spirito, perché lo Spirito Santo è Spirito di
Presenza; diciamo che sia coscienza della presenza del Padre e del Figlio in
noi, allora questo Spirito qui che è Spirito d’amore, l’amore che fa conoscere
tutto, che ci fa penetrare tutto questo mondo finito, “Vi condurrà a vedere
la verità completa, la verità totale”.
Angelo: Ascolto…
Luigi: Tutti dobbiamo
ascoltare, anche quando parliamo se non ascolti sono guai…
Pinuccia: Nella prima fase della nostra vita, quando noi
camminiamo nel mondo, quindi non accettiamo l’invito, non ci interessa
l’invito; quando poi siamo ridotti ad una situazione di povertà, accettiamo
l’invito, incominciamo a camminare con Dio..
Luigi: Ecco,
io vorrei precisare: è la seconda volta che dici accettiamo l’invito. Nella
parabola, nella seconda parte, non c'è l’accettazione all’invito, c'è una
costrizione, si trovano dentro, perché uno si trova dentro anche se non ha
l’abito.
Pinuccia: Quindi quand’è che noi camminiamo, quando abbiamo
l’abito, quando abbiamo questa disponibilità (se intendiamo l’avere l’abito, la
disponibilità); allora quando abbiamo la disponibilità camminiamo con Dio,
perché se non abbiamo l’abito non camminiamo con Dio.
Luigi: Certo.
Pinuccia: Però io non ho trovato nella parabola questo camminare
“in”.
Luigi: La
differenza sta nell’invito a partecipare alle nozze, e partecipare alle nozze;
cioè l’invito a salire nell’appartamento, è la differenza tra l’entrare
nell’appartamento, e prendere possesso dell’appartamento.
Pinuccia: Ma chi ha l’abito è già li, partecipa alle nozze.
Luigi: Si può,
ad un certo momento, anzi tutti quanti ad un certo momento, siamo nell’appartamento
di Dio anche se non abbiamo l’abito di nozze. Perché il regno di Dio viene a
noi, tutto è già regno di Dio, noi siamo già nel Regno di Dio, si tratta di
prendere coscienza di questo regno di Dio. Noi non ne prendiamo coscienza
perché: “Io ho i buoi, i campi, la moglie, abbimi per giustificato, non
posso!” quindi non c'è questo…
Arriva
ad un certo momento in cui, nonostante l’uomo Dio si afferma; la Verità non
dipende mica dall’uomo! Non è perché dico: “Signore, io non mi interesso di
Te..” che la Verità di Dio stia lontano da me! La Verità di Dio si afferma
indipendentemente da me, è superiore all’uomo, non basta che l’uomo dica: “Dio
non esiste” che Dio non esista. Dio esiste anche se l’uomo dice: “Dio
non esiste”. Come non succede che l’uomo dica: “Io non voglio morire”
che l’uomo non muoia; l’uomo dice: “Io non voglio morire” eppure l’uomo
muore.
La
volontà diversa si afferma su di noi anche se noi continuiamo a resistere e a
dire: “Io non voglio”; anche se dici: “Non voglio!” ad un certo momento
lo subisci; subisci anche se non vuoi.
Pinuccia: Ma dov’è che nella parabola si vede la partecipazione?
Luigi: “Andate
nei crocicchi e nelle vie e chiamate alle nozze quanti incontrate (“quanti”); e
raccolsero cattivi e buoni, e la stanza nuziale si riempì di commensali”; “si
riempì”.
Ho
detto che questo “raccolsero cattivi e buoni”, va riferito alla parabola
di Gesù che dice: “Il Regno di Dio è simile al pescatore che lancia la sua
rete in mare e tira a riva la rete piena di pesci, buoni e cattivi…” quindi
sono tutti nella rete del Regno di Dio. Quindi ad un certo momento abbiamo i
pesci nel mare, arriva la rete (il Regno di Dio) che pesca, che porta a riva e
a riva c'è la selezione e i cattivi sono ributtati a mare (il mondo).
Quindi
allora abbiamo questo: che il Regno di Dio avvolge, penetra, anche l’uomo che
rifiuta il Regno di Dio, si trova dentro.
Questi
sono stati d’animo, tappe della nostra vita.
In
questa parabola noto sette tempi che sono abbastanza interessanti:
·
il primo
tempo è quello dell’invito, “Manda i servi…” (tutto l’universo è servo
di Dio che ci invita);
·
dopo
l’invito abbiamo il secondo tempo, il rifiuto: “Ma loro non se ne curarono
perché avevano altro, se ne andarono che ai propri affari, chi alla campagna;
mentre altri sequestrarono addirittura quegli inviati e dopo averli oltraggiati
li uccisero”: secondo tempo.
·
Terzo
tempo: Dio che cosa fa? Dice che: “Stermina quegli omicidi e mette alle
fiamme le loro città”. Cosa vuol dire questo? Che Dio distrugge tutti quei
motivi per cui noi ci siamo rifiutati di accogliere l’invito.
Quindi
siccome Dio opera tutto per salvarci, abbiamo questo terzo tempo in cui Dio
dice: “Tu non accetti l’invito perché hai la campagna? Io ti metto a fuoco
la campagna. Tu non accetti l’invito perché hai la città? Io ti metto a fuoco
la città!”.
E
uccide tutti quei motivi per cui noi…
Cosa
succede? Che noi non avendo più motivi, noi ci troviamo necessariamente nel
Regno di Dio perché non abbiamo più altri motivi per esistere; ma non basta questo!
Per cui abbiamo…
·
il
quarto tempo: tutti dentro!
·
quinto
tempo: noi possiamo essere dentro ma senza l’abito; cioè se noi non abbiamo
interesse; ecco imparare a camminare in Dio, qui abbiamo il camminare in Dio.
Pinuccia: Camminare con Dio dov’è?
Luigi: Il con
è già prima! Il con è quando siamo chiamati a partecipare alle nozze…
Pinuccia: Ma rifiutando noi non camminiamo con Dio, camminiamo con
il mondo..
Luigi: Tutta
questa lezione perché ci viene data? Ci viene data perché noi impariamo ad
accogliere la partecipazione. Il Signore parla non per dirci le cose fatte, per
dirci le cose come debbono essere fatte! Quindi se ci presenta delle situazioni
di rifiuto di partecipazione alle nozze, è perché noi non rifiutiamo di
partecipare alle nozze!
Se
ci presente un Giuda, è perché noi non abbiamo a diventare un Giuda; o un
Pilato, o un Erode; quindi le situazioni sono scene, come le parabole sono
scene, sono pedagogia per ognuno di noi; se ci fa vedere un delitto affinché
noi non abbiamo ad essere delitto. Perché il Signore ci dice: “Io ti ho
fatto vedere la via” e noi dovremmo rispondere: “Signore, io sapevo! Tu
mi hai invitato a camminare con te; tu mi hai detto che senza Te io non posso
arrivare al Padre”. Lo sapevi! E questo anche se noi rifiutiamo, ci fa sentire
la nostra povertà, la nostra miseria, la nostra colpa. Tutto questo però non ci
impedisce di entrare nel Regno di Dio se c'è l’abito, cioè se c'è l’anima, se
c'è il desiderio di conoscere Dio. Perché noi possiamo anche essere nel Regno
di Dio e non avere interesse di conoscere Dio, di penetrare le cose di Dio:
ecco allora manca l’abito. “Che cosa ci stai a fare qui se non ti interessa
conoscere il Signore?” ecco allora: “Fuori nelle tenebre!”. La
situazione ultima, grave, è questa: “Sono molti i chiamati (molti=tutti), ma
pochi gli eletti”, quel poco rappresenta sempre la partecipazione personale
che richiede quest’anima, cioè questo interesse per conoscere Dio.
Per
cui noi possiamo peccare, possiamo bestemmiare tutti i servi (e tra questi
servi c'è anche il Cristo) di Dio che giungono a noi per invitarci a
partecipare alle nozze e questo ci viene perdonato; ma se noi non abbiamo
l’abito, questo non ci viene perdonato, “viene buttato fuori!”. Per cui
i motivi della campagna, ecc., possono essere perdonati in quanto Dio dice: “Ah,
tu non viene alle nozze perché hai questi impegni qui. Te li tolgo io!”
ecco, interviene Lui. Siccome noi non ne eravamo capaci, adesso siamo con Lui;
Lui è con noi e ad un certo momento ci fa trovare con Sé, ma a questo punto non
è ancora detto che noi abbiamo amore, abbiamo desiderio di conoscere Lui,
possiamo voltarci indietro, allora li c'è l’io puro che rifiuta Dio, non ha più
altri motivi, altre giustificazioni. È il peccato contro lo Spirito.
Pinuccia: A Dio basta l’interesse, poi il resto lo fa Lui.
Luigi: Certo,
però noi abbiamo questa terribile possibilità di pensare a noi stessi.
Angelo: Come possiamo avere l’interesse e rifiutare Dio?
Luigi: È l’io,
è il nostro io. non è che noi rifiutiamo così, per niente, è il pensiero
dell’io. Perché di fronte a Dio noi dobbiamo mettere Dio prima del mio io e lì
arriva il dilEmma: “Sono io che creo Dio
o è Dio che crea me?”, cioè “Sono io che penso Dio o è Dio che pensa a
me?”. L’io ha questa terribile possibilità perché è un essere cosciente. E
siccome è un essere cosciente ha la possibilità di dire: “Io sono”; è
questa la tremenda possibilità per cui noi uccidiamo Dio in noi stessi perché
possiamo dire: “Io sono” invece di dire: “Dio è”. Noi siamo una conseguenza,
ma Colui che è, è Lui non sono io; io non sono niente, Lui è. Lui mi fa essere:
ma prima Lui. Noi dovremmo sempre partire da: io non sono il principio, il
principio è Lui. Non dobbiamo dire: “Sono io che penso Lui” perché dal
momento che dico questo, mi faccio, e all’ultimo credo di essere io il Creatore
di Lui. Perché all’ultimo, quando tutto diventa pensiero dico: “Sono io che
ho fatto Lui”. Allora bisogna partire da Dio che dice: “IO sono il
Principio” e in quanto ti dice: “IO sono il Principio” tu mi devi
mettere come Principio. Tutte le parole di Dio sono pedagogia, sono lezioni per
ognuno di noi, quindi se Dio mi dice: “Io sono il Principio, perché non mi
metti come Principio?”. “Io sono il fine, perché non mi metti come fine al
quale tu devi tendere?”. E il peccato dove sta? “Perché tu sapevi, te
l’avevo detto. Io sono il Maestro, perché non mi hai ascoltato?”
Nino: Io ho sempre pensato che il peccato contro lo Spirito
fosse un atto di superbia, mentre ora penso che sia un peccato di dubbio: “Sono
forse io che creo l’illusione dell’esistenza di Dio?”. Per il fatto che è
un dubbio io lo assolverei…”
Luigi: Non ne
esce più…
Eligio: Può essere un momento della ricerca, ma chi crede non è
mai sfiorato dal dubbio..
Luigi: C'è un
dubbio che diventa eterno.
Pinuccia: Ma perché non ne esce? Perché rimane un dubbio eterno?
Luigi: Perché
è impossibile nel pensiero del nostro io comprendere Dio. Nel pensiero del
nostro io noi non possiamo conoscere Dio; non Lo possiamo però annullare, cioè
noi non possiamo comprendere Dio nel pensiero del nostro io ma nello stesso
tempo non possiamo convincerci che Dio non esiste. Non possiamo distruggerlo
perché Dio c'è anche nell’inferno; li c'è il rifiuto, perché dubbio vuol dire
copresenza di due, invece nel Regno di Dio si entra con la dipendenza non con
la copresenza, non è coesistenza, è dipendenza. Lui prima io dopo, Lui è il
Creatore, noi la creatura.
Nino: Il peccato è quando pur avendo il dubbio rifiuti di
conoscere Dio.
Luigi: Ma tu
capisci che come posso io ritenermi Creatore di me stesso quando non sono
capace di creare nemmeno una fogliolina, è assurdo! Ed è proprio questo tutto
che mi confonde che mi rende convinto che io sono creatura e non sono Creatore.
Se non posso fare una fogliolina, come posso creare Dio?
Nino: Se io fossi Dio non avrei incertezze!
Luigi: Lo
stesso fatto che abbiamo dei problemi, proprio quello ci fa toccare con mano
che siamo creature, perché non capiamo niente. Se effettivamente noi siamo
creature la prima conseguenza è questa: metti sempre prima di tutto Dio, tu sei
dipendente da Dio, non devi sottoporre Dio a te, ma tu devi sottoporti a Dio.
L’errore fatale di Tommaso è questo: “Se io non tocco, non vedo, non credo!”
invece bisogna credere per arrivare a vedere; soltanto credendo, credere che
vuol dire mettere prima Lui. Quindi è ascoltando che si arriva a vedere,
ascoltando, perché chi mi conduce a vedere è Lui, è il Maestro. Quindi sempre
prima Lui, in tutte le cose, e questo è il cielo; perché noi qui in terra
abbiamo tante cose che dipendono da noi, per cui noi tocchiamo, esperimentiamo
qui in terra, dico: “Questo esiste perché se lo butto per terra si spacca”
quindi esperimento quello che voglio; quindi abbiamo tutto un mondo che dipende
da noi e questo Dio lo fa per darci la coscienza che ci siamo. E poi abbiamo
tutto un mondo che è superiore a noi. Io so perfettamente che tutto ciò che
dipende da me, tutto ciò su cui io posso operare, posso tracciare il mio segno,
non l’ho fatto io, non so che cosa sia, e non capisco il significato di quello,
la ragione della sua esistenza. Per cui il problema è l’altro che me lo mette a
disposizione, io scarabocchio, rompo, ma sono io.
Nino: Tutto quello che dipende da noi ad un certo punto ci
sfugge di mano..
Luigi: Ad un
certo punto Dio ci toglierà tutto, tutto… infatti tutto il mondo che noi
attualmente possiamo esperimentare, domani noi non lo potremo più
esperimentare, perché Dio ce lo toglierà, e ci confonderà. Tutti quei motivi
per cui noi abbiamo trascurato Dio, domani ci rimprovereranno, tutte le
creature che noi abbiamo creduto di preferire, di amare al posto di Dio, un
giorno ci rimprovereranno, perché ci diranno: “Noi ti avevamo detto che noi
non siamo Dio, ma tu ci hai messe al posto di Dio” perché tutto l’universo
di Dio, ad un certo momento, rende gloria a Dio e noi saremo confusi dagli
idoli che noi avremo adorato. “Ognuno di voi sarà tormentato da quegli idoli
che avrà adorato”, dalle nostre colpe. Ecco perché noi abbiamo delle catene
che non riusciamo a togliere e che un giorno noi le abbiamo adorate, e poi
quando si tratta di toglierle non riusciamo più a toglierle.
Pinuccia: “Legatelo e gettatelo fuori” sarebbero queste le
catene?
Luigi: Si, c'è
un primo tempo in cui Dio distrugge per salvare l’abito, per salvare l’anima..
Pinuccia: Quello è il settimo momento? Conclude un po’ male…
Luigi: No, il
settimo è “Molti sono chiamati ma pochi gli eletti!”, cioè è la
partecipazione della vita personale, camminare in Dio; quel “pochi”
rappresenta sempre la partecipazione personale. Prima si è massa, la massa
è tutta chiamata. Faccio l’esempio del mare, l’acqua del mare è tutta chiamata
a vaporizzarsi, solo poche molecole si vaporizzano perché arrivano soltanto a
contatto col sole. Quindi abbiamo tutta la massa che è chiamata a partecipare.
Ora noi abbiamo tutta la massa uomini, chiamata a diventare uomini, però
diventano uomini soltanto quei pochi che… non in quanto siano pochi come
numero, ma pochi nel senso come persona. Possono essere anche tutti, però
richiede la partecipazione personale, quindi si è sempre soli, la pochezza è
questa solitudine; cioè non si può arrivare in massa con Dio.
Il
famoso “resto” di Israele, concetto che viene ripetuto nell’Antico Testamento,
citato dai Profeti, soltanto un “resto” viene lasciato per essere salvato.
Si
parte sempre da una massa da cui si trae qualche cosa di speciale, di
qualificato nel Regno di Dio, che viene riservato per il Regno di Dio.
Ma
questo qualitativamente diverso è proprio la personalità che partecipa perché: “Ad
ognuno sarà dato ciò che avrà voluto avere” personalmente; per cui non
basta sentir dire o non basta partecipare; bisogna che personalmente noi ci
raccogliamo e ci interessiamo di Dio, perché noi possiamo anche ascoltare: “Tu
hai predicato nelle nostre piazze, ti abbiamo sentito, abbiamo mangiato con
Te”, “Andate via da Me” dice Gesù.
Noi
possiamo anche ascoltare tutta la vita, sentir parlare di Dio, ma poi
intimamente non preoccuparci di cercare Dio, non abbiamo l’abito; per cui possiamo
anche essere nel Regno di Dio, non avere l’abito perché personalmente a noi fa
comodo essere in gruppo, anche se si parla di Dio, ma poi personalmente ci
occupiamo di altro o amiamo altro: e allora non c'è l’abito.
Pinuccia: Dato che questa parabola rivela i diversi momenti in cui
si trova la nostra anima, perché intendere la finale come “tutti” e “pochi”?
Non si può intendere che tutto di noi è chiamato a conoscere Dio, ma solo una
parte di noi arriva a conoscere Dio?
Luigi: Certo,
è la nostra anima. Perché c'è la morte? Morire cos’è? È perdere tutta la massa
per salvare almeno l’anima, il desiderio di Dio.
Pinuccia: Ma intanto è l’anima che si deve salvare, cos’è il resto
che si deve salvare?
Luigi: Dio non
ha creato niente per la morte, quindi si dovrebbe salvare tutto; anche il corpo
perché tutto si recupererà in Dio, tutto; perché in Dio niente è morto, niente
si annulla, niente si annulla, in Dio tutto ha la sua funzione, tutto si
ritrova, tutto si ricostruisce. Non esiste niente da annullare perché se si
annullasse, se si perdesse qualcosa, Dio avrebbe voluto qualcosa per poi
distruggerlo? È assurdo! Dio quello che vuole, vuole. San Paolo dice: “Presso
Dio non c'è il si e il no; c'è soltanto il si”. Mettiamoci in una
situazione di tutto si, cosa troviamo? Niente distrutto. Tutto è ritrovato.
Allora perché abbiamo detto che non esiste la morte nemmeno per un istante; non
ci sono che due vite? Perché la morte è soltanto un passaggio per salvare il
salvabile (massa e pochi gli eletti).
Eligio: Il problema di camminare con Dio essenzialmente coincide
con il problema di camminare con la Verità; però non dipende da noi fare la
Verità. Quando Dio farà cadere questo diaframma che ci divide da Lui e farà
diventare vita in noi questa Verità. Ad un certo punto il rivelarsi di Dio a
noi non dipende più da noi, quindi mi viene il dubbio di non riuscire ad
arrivare alla meta.
Luigi: Lui si
comunica! Lui si comunica! Anche in questo momento si comunica, Lui si comunica
sempre! Si comunica ancora prima che noi riusciamo a capirlo, inconsciamente.
Perché Lui è con noi anche quando noi non siamo con Lui; ora come può Lui
essere con noi ancor prima che noi siamo con Lui? Vuol dire che Lui fa sentire
la sua presenza, il suo richiamo però c'è un divario tra Lui con noi e noi con
Lui. Per cui ho detto che tutto il nostro travaglio è quello di poter essere
con Lui come Lui è con noi. Quindi Lui è con noi con una certa sovrabbondanza,
noi siamo sempre in difetto: è li il travaglio. Questo travaglio da cosa
dipende? Dipende dal nostro io che pesa, dipende da tutte le cose alle quali
noi ci siamo legati, e con le quali abbiamo tradito precedentemente e
naturalmente tutte le nostre opere ci dominano, ci condizionano, ci precedono
addirittura nei passi della vita. Tutte le cose che noi abbiamo detto senza di
Lui o fatte senza di Lui, non le perdiamo mica, sono poi convertite ad un certo
momento con Lui, perché facendoci toccare con mano il nostro fallimento, la
nostra povertà, la nostra miseria, ci legano molto in amore a Lui perché ci
fanno capire quanto senza di Lui noi siamo deboli, noi manchiamo, noi tradiamo.
Allora capito questo, quando ho capito che senza di Lui io mi distruggo, sono
la mia stessa rovina, non mollo più Lui. Quindi cosa succede? Che i miei
tradimenti, i miei peccati, le mie colpe precedenti, diventano motivo di
maggior legame, mi uniscono di più.
Nino: Quello che hai detto adesso non è in contraddizione con
il fatto che noi diventiamo figli delle nostre opere?
Luigi: Certo,
è Gesù che lo dice: “Chi fa il male resta schiavo di esso”; per cui se
noi non sfociamo in Dio, noi restiamo solo soggetti al nostro male, chiusi nel
nostro male e questo ci isola e può durare eternamente; se noi invece sfociamo
in Dio, anche il nostro male diventa motivo di maggior amore perché tutto viene
convertito in amore e viene annullato il peccato. Sant’Agostino ringraziava il
Signore per tutte le colpe commesse e anche per quelle non commesse perché
tutto quanto era servito per aiutarlo. Però dico che questo è Dio che ha la
potenza di trasformare il male in bene, però è Dio non noi. Se noi troviamo
Dio, Dio trasforma anche i nostri mali in motivo di maggior amore, in motivo di
ben; se noi non troviamo Dio restano solo i mali, perché noi non possiamo
uscire dalle nostre colpe. Nella casa che abbiamo edificato, in quella
abiteremo.
Eligio: Tutte le volte che noi desideriamo ardentemente cercare
la Verità, noi troviamo anche un altro abito..
Luigi: Ecco
questo è un argomento che potremmo approfondire in un altro incontro che è
molto interessante: molte volte noi diciamo: “Desideriamo…” ma sappiamo
veramente quello che vogliamo? Molte volte noi crediamo di desiderare, ma sono
soltanto pii desideri perché abbiamo desiderio di avere quello, ma senza
spendere il denaro per comprare quello. “Ah come mi piacerebbe avere
quello!”, lo sogno; “Mi piacerebbe andare alle Hawaii” ma vuoi
pagare il prezzo per andarci? Se effettivamente voglio una cosa, allora sono
disposto a fare il sacrificio per averla. Ci sono delle figure nel Vangelo
molto interessanti riguardo a questo argomento:
·
prima di
tutto abbiamo l’esempio del paralitico nella piscina di Betesda al quale il
Signore dice: “Vuoi essere guarito?” e lui risponde: “Ma io non ho
nessuno che mi immerga quando l’acqua si agita!”; quindi noi possiamo non
sapere quello che vogliamo; possiamo volere la guarigione ma far conto sugli
uomini sui mezzi umani “..non ho qualcuno che …”.
·
La
figura del giovane ricco: lui sa quello che vuole, la vita eterna, la chiede e
Gesù gli dice: “Va, vendi tutto quello che hai. Poi vieni e seguimi!”.
Qui abbiamo un desiderio, ha un desiderio, però posto di fronte, molla. Quindi
vedi che noi possiamo avere dei desideri?
·
Poi
abbiamo la figura più sublime che è il cieco di Gerico: sa quello che vuole,
resiste alla pressione della folla che vuole che taccia, quindi resiste alla
pressione del mondo, ed è tutto disponibile appena il Signore lo chiama: “Lascia
il tuo mantello…”. “Signore che io veda!”; “Cosa vuoi?”, “Signore che io veda”:
luce.
Quindi
vedi che abbiamo situazioni molto diverse: noi possiamo far conto di arrivare
con i mezzi umani, possiamo far conto su Cristo, sulla conoscenza di Dio, ma
non vogliamo perdere quello, possiamo volere questo ed essere disposti a
superare tutto il mondo e allora otteniamo: “Guarda, la tua fede ti ha
salvato!”.
Abbiamo
diversi gradi di desiderio di volontà in noi, partiamo dal pio desiderio, poi
passiamo al volere facendo conto su altro e poi vogliamo facendo conto su Dio e
otteniamo.
É
come entrare in un negozio, voler comprare un abito ma non voler pagare il
prezzo per aver quell’abito li. E non ci rendiamo conto che non pagando, ci
impediamo, non è che Dio non ce lo dia, Dio ce lo darà, ma noi ci impediamo di
gustarlo perché non l’abbiamo pagato.
Pinuccia: L’abito ci è dato, il prezzo sarebbe l’interesse per
averlo, quindi dobbiamo lasciare gli altri interessi: il prezzo è quello!
Luigi: Si,
perché nella misura in cui lasciamo… e non si tratta di lasciare materialmente,
si tratta di lasciare spiritualmente perché ho tanto interesse. Io vado a casa,
non ho niente da fare, in questo preciso istante scelgo qualche cosa: è li che
rivelo dove è il mio interesse. Io posso prendere una rivista pornografica,
posso accendere la radio, posso prendere il Vangelo. Dov’è il tuo interesse? É
li che lo rivelo, in quanto metto prima.
Nino: Può essere ancora un sogno, perché puoi avere
l’interesse, però poi non rinunci, non paghi.
Luigi: No,
perché in tanto che io mi dedico a questo ho già pagato una parte del mio
tempo, perché in questo tempo io potevo leggere la rivista pornografica, o
leggere il Vangelo, quindi ho consacrato un po’ di tempo e un po’ di pensiero.
Più leggo il Vangelo, più quello mi impegna e mi dà però anche la grazia per
altre scelte più impegnative; ad un certo momento magari dedico tutta la mia
vita, tutto il mio mondo. Non è che uno dica: “Ah, ma io aspetterò ad aprire
il Vangelo quando avrò cambiato…”, sogno.
Siamo
sempre nell’argomento della fedeltà nel minimo, quel minimo in cui noi
attualmente noi possiamo essere fedeli. Per cui noi possiamo essere fedeli
magari per cinque minuti o per ventiquattr’ore; se noi dimostriamo questa
fedeltà in questi cinque minuti qui, allora il Signore ci darà la grazia per
essere fedeli per dieci minuti, e poi un quarto d’ora, e poi mezz’ora, e poi
tutta la giornata. Ma se io dico: “Ah mi occuperò di Dio quando avrò tutta
la giornata disponibile per Lui” questo è sogno, non arriverai mai, perché
,………… il Signore ti osserva, perché tu attualmente sei impegnato per i tuoi
doveri, per tante cose, non puoi sganciarti, per ventitre ore e cinquantacinque
minuti: Dio ti osserva nei cinque minuti; in quei cinque minuti in cui tu puoi
disporre di te. E come li disponi? Ognuno di noi, nel tempo che ha disponibile,
rivela il suo amore, rivela ciò che ha messo prima di tutto nella sua vita.
Tutto il resto non ce l’ha disponibile, glielo hanno portato via gli altri:
glielo ha portato via il mondo, glielo ha portato via le nostre debolezze, non
è disponibile, ma in quei cinque minuti in cui è disponibile: “Ah mi occupo
di questo…”, vado subito li, allora si.
Chi
è fedele nel poco, poi Dio lo chiama ad essere fedele nel molto, gli amplia gli
spazi, lo libera: la liberazione avviene cosi. Ma è Dio che libera, mica noi.
Se siamo fedeli nel poco.
Emma:
Dobbiamo sempre dire: “Siamo servi inutili”….
Nino: Siamo fedeli nel molto poco…
Eligio: Vorrei esporre un problema sull’escluso dal banchetto
per l’abito.
Luigi: “Amico
come sei entrato senza indossare l’abito per le nozze? E quegli ammutolì…”,
non ha niente da dire, non ha giustificazioni…
Nino: Perché tutto quello che ha fatto l’ha fatto Dio per lui,
lui non ha fatto niente…
Luigi: Certo;
cos’è che non hai capito?
Eligio: Mi fa strano la partecipazione, l’entrata alle nozze
senza avere l’interesse…; perché si trova li?
Luigi: Ecco è
appunto quel fatto li; perché noi ci troviamo nel Regno di Dio? Noi possiamo
essere nel Regno di Dio o crediamo di essere nel Regno di Dio, perché il Regno
di Dio esiste indipendentemente da noi e si impone su di noi, non siamo noi che
lo facciamo…
Eligio: Ma il Regno di Dio pensiamolo come realmente è: come
realtà interiore..
Luigi: Infatti
lui è cacciato nella realtà esteriore, non lo può portare…; è stato costretto
ad entrare nel Regno di Dio, ma non può sopportarlo. In tutte quelle tenebre
esteriori, c'è tutto il Regno di Dio, ma il Regno di Dio non capito, perché noi
capiamo sempre in relazione al nostro interno. Quindi se il mio interno è
vuoto, sono nell’impossibilità di assimilare, di capire il mondo esterno e
allora sono gettato nel mondo esterno. E questo cosa vuol dire? Che anche il
mondo esterno mi penetra dentro, mi domina, ma io non lo comprendo. Tenebre
esteriori vuol dire che non c'è luce interiore, perché chi ha la luce
interiore, anche le tenebre esteriori diventano tutte illuminate, diventa tutto
luce, diventa tutto Regno di Dio, ma chi ha la notte dentro, anche tutto il
mondo esteriore diventa tenebroso.
C'è
un racconto tratto dalla sapienza indiana che dice che appena l’uomo muore, la
sua anima viene portata di fronte alla luce di Dio, che è una luce fortissima
che l’uomo non riesce a sopportare e allora si allontana, si allontana, si
allontana, e si ferma soltanto a quella distanza in cui riesce a sopportare la
luce; questo per spiegare la capacità di assorbire la luce.
Infatti
il Signore dice: “Ho tante cose da dirvi ma per ora non le potete portare”.
Quindi
cos’è che ci rende capaci di portare, come si forma in noi questa capacità di
portare?
È
questa apertura per cui il nostro io siccome da solo è assolutamente incapace
di portare, per cui deve scappare, deve fuggire nelle tenebre esteriori; non
sta. Non è che Dio lo butti fuori. Ci sono pecore di Dio e pecore del mondo,
noi siamo tutti pecore, o in un modo o in un altro: o siamo pecore di Dio o
siamo pecore del mondo. Le pecore del mondo si trovano bene nel mondo, ma se tu
porti una pecora del mondo nel Regno di Dio, scappa, non può sopportare il
Regno di Dio. In un primo tempo scappa, si ribella ma poi deve scappare, non
può sopportare. Tu prendi le pecore di Dio, invece nel Regno di Dio ci stanno
molto volentieri e si trovano bene, invece nel mondo si trovano smarrite. Per
cui Dio arriva a raccogliere le sue pecore che sono smarrite, non è che arriva
per tutti, non arriva per le pecore del mondo perché non sono mica smarrite nel
mondo, sono smarrite nel Regno di Dio.
Pinuccia: Basta l’apertura a questo interesse, poi fa tutto Lui…
Luigi: Si, però
guarda che anche l’interesse è tutta opera Sua, noi non possiamo avere
interesse se non ascoltiamo Lui, Lui in un modo o nell’altro ci fa giungere il
Suo richiamo, la sua grazia, il suo interesse. Con Lui, se io penso Dio,
immediatamente si forma in me il desiderio di Dio, il problema di Dio: mi
smuove la acque. Se non penso Dio le mie acque stagnano e allora incomincia a
venir meno il desiderio di Dio. I medici dicono che quando uno è esaurito, e
non sente più il bisogno di mangiare la situazione è molto grave. Ora, noi
arriviamo al punto in cui non sentiamo più il bisogno di mangiare le cose di
Dio, non desideriamo più; ecco l’anima che muore, perché l’anima è desiderio di
Dio. Ma arriva al punto in cui l’anima non desidera più: l’anima è morta. Noi diciamo
molte volte: “L’anima morta!” cosa vuol dire anima morta? É il desiderio
che si spegne. Questa è una cosa da chiarire: l’anima è essenzialmente
desiderio di Dio, e tutti noi abbiamo desiderio della Verità. “Niente l’uomo
desidera – dice Sant’Agostino – quanto la Verità, e niente maggiormente
l’offende quanto la menzogna”. Come mai l’uomo è offeso dalla menzogna?
Appunto perché niente lo interessa di più quanto la Verità; però questo
desiderio di Verità, l’uomo lo può perdere, moltiplicando i suoi amori, cioè ad
un certo punto non sente più attrattiva per Dio. È talmente sollecitato dai
problemi del mondo, dagli affanni, dalle preoccupazioni, per cui Dio diventa
lontano, diventa una cosa astratta, che non prende più. Ecco allora diciamo: “L’anima
morta!”, morta perché è desiderio spento; prima si allontana, poi diventa
fievole e poi si spegne. Ed è la tragedia dell’uomo! Per cui l’importante non è
moltiplicare gli amori, ma è potenziare un amore unico. Quanto più uno potenzia
un amore unico, tanto più in quell’amore unico li ritroverà tutto. Ma se uno
moltiplica gli amori credendo, moltiplicando gli amori, di avere tante cose,
perde anche la capacità di amare. E la tragedia è li; infatti il Signore dice: “Cosa
vale conquistare tutto il mondo se poi perdi l’anima?”. Tu puoi conquistare
il mondo e perdere il desiderio, perdere il desiderio di amare, di conoscere
Dio, e conoscere la Verità. Ecco la molteplicità di amori, che non è una somma,
non è una potenza, ma è una dimensione. Per cui la nostra preoccupazione deve
essere quella di potenziare un unico amore, e l’amore si potenzia conoscendolo.
Quanto più noi cerchiamo Dio, conosciamo Dio, tanto più questo ci convince;
perché il mondo delude: “Ah, se avessi capito!”, “Ah, se avessi conosciuto!”,
ecco deluso. “Credevo questo.. e invece!”, per cui troviamo la
delusione, ed è opera di Dio. Invece quanto più noi cerchiamo Dio, tanto più
Dio conferma, perché Dio opera confermando. Più uno è confermato, e più cresce
nell’amore, perché è un amore che convince, cioè che lega sempre di più. Lo fa
crescere fino a quella potenzialità tale da poter portare l’infinito Suo.
Eligio: I cattivi che rimangono al banchetto sono coloro che,
pur avendo molte debolezze hanno mantenuto l’interesse, quindi hanno l’abito?
Luigi: Si, certo.
Pinuccia: Le nozze sono con il Figliolo; fino ad un certo punto
sembra che noi partecipiamo alle nozze di altri, poi il camminare in Dio ci
trasforma in sposi della verità come dice Giovanni Battista: “Lo sposo è
colui che ha la sposa”, che siamo chiamati tutti a diventare sposi della
verità. Sarebbe questo? Cioè le nozze è la chiamata a diventare figli?
Luigi: Si.
Pinuccia: Allora questo camminare in vuol dire essere mossi da
Dio, motivati da Dio?
Luigi: No,
camminare in è desiderare conoscere Dio, cioè penetrare nelle cose di Dio. È
quello che ho letto nella prima lettera ai Corinzi: “Lo Spirito di Dio
penetra tutti i segreti di Dio perché è Spirito d’amore” e lo Spirito
d’amore desidera conoscere. Allora noi camminiamo in Dio quando mettiamo in parentesi
tutti gli altri argomenti, tutti gli altri problemi, li accantoniamo, non ci
pensiamo, e ci isoliamo nel Pensiero di Dio per cercare di capire qualcosa di
Dio, per conoscere qualcosa di Dio, soli con Dio; allora li siamo in Dio, si
cammina in Dio.
Quand’è
che si cammina in Dio? quando a tu per tu con Dio, per cui uno non ha più
nessun altro problema; non è che cerchi altri problemi in Dio, o i problemi del
mondo in Dio o il problema del nostro io in Dio; no! Si cerca soltanto di
capire che cosa è Dio, di conoscere Dio, naturalmente con Lui, è logico!
Nino: Ma non ha mica detto una cosa sbagliata, perché ha detto
che a quel punto è Dio che ci porta a conoscere, noi abbiamo fatto tutto quello
che abbiamo potuto…
Pinuccia: È una fase successiva quella di essere mossi da Dio, è
un ritorno al mondo...
Luigi: Si, li
poi si giunge a conoscere il Padre in noi, “Il Padre vi ama” Gesù dice,
vuol dire che il Padre vuole concedersi, il Padre vuole: “Non c'è niente di
nascosto che non debba essere conosciuto!”. Quindi il Padre vuole
manifestarsi. Sant’Agostino dice nei discorsi accademici: “Non dobbiamo dire
che la Verità è inconoscibile, ma che la Verità è accessibile, perché Dio vuole
essere conosciuto”. È accessibile con Dio, è logico, altrimenti Gesù non
avrebbe detto: “Dove Io sono voi non potete venire”, quindi l’uomo da
solo no! Nel pensiero del suo io l’uomo non può conoscere Dio, ed è assurdo che
l’uomo lo potesse conoscere, altrimenti Dio dipenderebbe dal nostro io. ecco,
Dio è trascendente, è sempre trascendente, in quanto è trascendente fa giungere
al pensiero del nostro io il richiamo a superarsi per fermarsi con Lui. Per cui
è necessario rimanere con Lui per arrivare a camminare in Lui, a penetrare Lui.
L’appartamento:
è necessario salire le scale per arrivare all’appartamento, poi una volta
dentro, è necessario camminare nell’appartamento, cioè conoscere tutto
l’appartamento…
Pinuccia: E poi c'è un’ottava fase che è il ritorno al mondo…
Luigi: Allora
poi abbiamo la fase in cui con Dio ci, perché ho detto che niente va perso,
allora abbiamo il punto discendente, arrivati sulla cima della vetta, si guarda
tutto il sentiero percorso, tutte le diverse fasi, per capire tutto quello che
si è fatto. Allora si vede in Dio la giustificazione di tutte le cose, per cui
si ringrazia, si loda Dio: ecco la lode di gloria a Dio! Per tutto quello che è
avvenuto nella nostra vita, per tutte le cose che ha fatto, perché tutte le
cose le ha fatte per farci arrivare a quel punto.
Dal Libro di Tobia capitolo 13
Allora
Tobia scrisse questa preghiera di esultanza e disse:
“Benedetto Dio che vive in eterno
il
suo regno dura per tutti i secoli;
Egli
castiga e usa misericordia,
fa
scendere negli abissi della terra, fa risalire dalla grande Perdizione
e
nulla sfugge alla sua mano.
Lodatelo,
figli di Israele, davanti alle genti;
Egli
vi ha disperso in mezzo ad esse
Per
proclamare la sua grandezza.
Esaltatelo
davanti ad ogni vivente;
è
Lui il Signore, il nostro Dio,
lui
il nostro Padre, il Dio per tutti i secoli.
Vi
castiga per le vostre ingiustizie,
ma
userà misericordia a tutti voi.
Vi
raduna da tutte le genti, fra le quali siete stati dispersi.
Convertitevi
a Lui con tutto il cuore e con tutta l’anima,
per
fare la giustizia davanti a Lui,
allora
Egli si convertirà a voi
e
non vi nasconderà il suo volto.
Ora
contemplate ciò che ha operato con voi
E
ringraziatelo con tutta la voce;
benedite
il Signore della giustizia
ed
esaltate il re dei secoli.
Io
gli do lode nel paese del mio esilio
E
manifesto la sua forza e grandezza a un popolo di peccatori.
Convertitevi,
o peccatori, e operate la giustizia davanti a Lui;
chi
sa che non torni ad amarvi e vi usi misericordia?
Io
esalto il mio Dio e celebro il re del cielo
Ed
esulto per la sua grandezza.
Tutti
ne parlino
E
diano lode a Lui in Gerusalemme.
Gerusalemme,
città santa,
ti
ha castigata per le opere dei tuoi figli,
e
avrà ancora pietà per i figli dei giusti.
Dà
lodo degnamente al Signore
E
benedici il re dei secoli;
Egli
ricostruirà in te il suo Tempio con gioia,
per
allietare in te tutti i deportati,
per
far contenti in te tutti gli sventurati,
per
tutte le generazioni dei secoli.
Come
luce splendida brillerai sino ai confini della terra;
nazioni
numerose verranno a te da lontano;
gli
abitanti di tutti i confini della terra
verranno
verso la dimora del tuo santo nome,
portando
in mano i doni per il re del cielo.
Generazioni
e generazioni esprimeranno in te l’esultanza,
e
il nome della città eletta durerà nei secoli.
Maledetti
coloro che ti malediranno,
maledetti
saranno quanti ti distruggono,
demoliscono
le tue mura,
rovinano
le tue torri
e
incendiano le tue abitazioni!
Me
benedetti sempre quelli che ti ricostruiranno.
Sorgi
ed esulta per i figli dei giusti,
tutti
presso di te si raduneranno
e
benediranno il Signore dei secoli.
Beati
coloro che ti amano
Beati
coloro che gioiscono per la tua pace.
Beati
coloro che avranno pianto per le tue sventure;
gioiranno
per te e vedranno tutta la tua gioia per sempre.
Anima
mia, benedici il Signore, il gran re,
Gerusalemme
sarà ricostruita
Come
città della sua residenza per sempre.
Beato
sarò io, se rimarrà un resto della mia discendenza
Per
vedere la tua gloria e dar lode al re del cielo.
Le
porte di Gerusalemme
Saranno
ricostruite di zaffiro e di smeraldo
E
tutte le sue mura di pietre preziose.
Le
torri di Gerusalemme si costruiranno con l’oro
E
i loro baluardi con oro finissimo.
Le
strade di Gerusalemme saranno lastricate
Con
turchese e pietra di Ofir.
Le
porte di Gerusalemme risuoneranno di canti di esultanza,
e
in tutte le sue case canteranno: “Alleluia!”
benedetto
il Dio d’Israele
e
benedetti coloro che benedicono il suo santo nome
per
sempre nei secoli!”
Chi viene dall’alto è
al di sopra di tutti. Chi è della terra appartiene alla
terra e parla della terra. Ma chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Gv 3 Vs 31 Quarto tema
Argomenti: Superare le nostre conoscenze – Si desidera ciò che non si ha – La novità
continua di Dio – La soddisfazione di
ciò che si ha – Afferrarci alla
Parola – Parole di uomini e
Parole di Dio – Riconoscere la
Parola di Dio – La parola ci conduce
a una presenza – Essere sempre con
Dio – Tutto è vangelo – Il sì eterno di Dio – La salvezza in Cristo
– Dedicarsi a una cosa sola – L’isolamento dal mondo – L’accessibilità
di Cristo – La conclusione dell’opera
di Dio – Cristo vertice dell’universo
– Tutti arrivano a Cristo – Il prezzo da pagare – La distruzione di
Gerusalemme -
1/Maggio/1977
Lettura
del riassunto dell’incontro della Domenica 27 marzo:
In quella domenica si sono
letti i riassunti del Capitolo 3 di San Giovanni dal versetto 18 al versetto 30
e ci siamo fermati su alcuni concetti.
Abbiamo precisato il concetto di: fare la Verità;
Gv.3,21.
Fare la verità al nostro
livello, poiché non la conosciamo, significa cercarla, avvicinarci ad essa;
essere mossi da essa, attratti da essa, è un ubbidire alla volontà di Dio.
In quanto ci muoviamo verso Colui che ci chiama, e che ci
dice: “Cerca prima di tutto Dio”, noi
già facciamo la sua volontà.
Se invece siamo mossi dall’io, questo controbilancia
l’attrazione della verità e ci fermiamo alla superficialità, cioè operiamo
malamente.
Per questo, pur essendo attratti da Dio, è necessaria la
penitenza, perché portiamo il peso delle nostre opere.
Penitenza vuol dire far violenza su noi stessi, vendere
tutto per poter essere disponibili all’essenziale; è un problema di scelta: un
lasciare per partire, per cercare la verità.
“Chi fa la
verità si mette in luce”, dice Gesù e giunge alla luce.
Cercare la verità non vuole ancora dire possedere la
verità; chi cerca la verità ha incominciato a fare la verità, ma ogni passo che
facciamo verso di essa, è Dio che l’ha fatto in noi, quindi la verità è fatta.
È un cammino, più progrediamo,
più questa verità si fa in noi, “E’
necessario che Lui cresca e che io diminuisca”.
Noi siamo immersi nelle proposte di Dio, il male è sempre
un non rispondere ad esse, un dimenticarle e questo succede quando siamo nel
pensiero dell’io.
Il male sono io che lo faccio in quanto non cerco Dio, mi
rifiuto, esco dall’attrazione.
Invece in una minima adesione alle proposte di Dio, non
sono io che opero ma la grazia di Dio.
Se noi fossimo capaci a restare in questa grazia, essa è
talmente operante che ci porterebbe nel possesso della verità infinita, ma noi
non dobbiamo voltarci indietro, né ripiegarci, né chiuderci, né pretendere, ma
essere aperti, perché la verità esige sempre superamento perché Dio è novità
continua.
Gli altri argomenti trattati nel discorso di Giovanni
Battista sono una ripetizione degli argomenti che Gesù già trattò con Nicodemo.
Il concetto chiave è quello del crescere, del far
crescere.
Vivere è sempre un far crescere qualcosa; la vera vita
sta nel far crescere Dio.
Ma finché siamo nel pensiero dell’io corriamo il rischio
di far crescere cose che passano. La grande saggezza terrena, quella di
Giovanni Battista è capire quello che bisogna far crescere in noi.
Dato che in noi portiamo tutto un mondo che deve
diminuire, dobbiamo accettare da Dio le lezioni della vita che ce lo
diminuiscono; perché bisogna che sia Lui a crescere: è questione di giustizia e
di verità; è solo una premessa per entrare.
La vita ci è data per far crescere Dio: “L’anima mia magnifica il Signore”, lo
dovremmo ripetere sempre per fare la verità, per essere sul cammino della
verità.
L’amore è desiderio di far crescere l’Altro. Cristo
quando dice: “Rinnega te stesso” ti
impegna a potenziare un unico desiderio; Budda invece, soffocando ogni
desiderio, soffoca la vita, l’uomo. Gesù ci impegna cioè a mettere in alto il
Pensiero di Dio, dedicandoci a Dio. E’ solo volendolo prima di tutto che a poco
a poco mi avvicino a Lui e Lo faccio crescere in me.
Solo subordinando tutto a Dio, entriamo nella Casa di Dio,
nel Tempio di Dio e facciamo l’esperienza della sua Presenza.
Riassunto dell’incontro della Domenica 3 Aprile:
Pinuccia: Ci siamo fermati sul versetto 31 del capitolo III: “Chi viene dal cielo è al di sopra di
tutti”.
Si è iniziato con alcune
domande.
Domanda: Sorge una contestazione a
proposito del battesimo di Giovanni Battista e quello di Gesù; che differenza
c'è tra questi due battesimi?
Luigi: Battesimo significa immersione in, orientamento a,
quindi purificazione di vita, giustizia essenziale, Dio al centro. Il rito è
simbolo di tutto questo. Il battesimo di Giovanni Battista è ancora un
invito ad un modo di essere, a compiere la giustizia essenziale (cioè la funzione
del bidello che invita all’attenzione). Il battesimo di Gesù è rivelazione,
dà la conoscenza.
Domanda: Perché al versetto 31 dice: “Nessuno accetta la sua testimonianza” e poi al versetto 32 dice: “Chi accetta la sua testimonianza”?
Luigi: Già nel Prologo leggiamo: “I suoi non lo ricevettero” e poi “… chi lo ricevette”. Nel frasario di Giovanni c'è sempre prima
l’esclusione perché dobbiamo convincerci che tutti quanti partecipiamo di
questo rifiuto e uccisione del Cristo; ma ci presenta subito dopo l’azione di
recupero da parte di Dio e la possibilità di ravvedimento della creatura. In
questa colpa che è di tutti, qualcuno rinsavisce, accetta, accoglie la luce.
Questo perché nessuno abbia a vantarsi o a credersi differente dagli altri o
giusto.
Domanda: Uccidiamo il Cristo senza saperlo, infatti Gesù dice: “Padre, perdona loro perché non sanno quello
che fanno” e allora dove sta la nostra responsabilità?
Luigi: La nostra responsabilità sta a monte, nel rifiuto di
conoscere, nel mettere prima di tutto la ricerca di Dio perché, e qui si entra
nell’argomento di questo incontro, “Chi
viene dal cielo è al di sopra di tutto”. Ma siamo convinti noi che chi
viene dal cielo e mi parla delle cose del cielo è superiore a tutto? È
superiore chi ha maggiore autorità e ha maggiore autorità chi risponde alle
vere esigenze di luce e amore della creatura, cioè chi ci salva.
Allora, chi viene dal cielo e
parla delle cose del cielo, dovrebbe essere al centro dei nostri interessi,
dovrebbe essere il movente di tutto e dovremmo farlo grandeggiare talmente fino
ad includervi la nostra terra. Ma come mai allora scegliamo quello che vale di
meno, cioè la terra? È il pensiero dell’io che capovolge i valori e ciò che ci
fa restare nell’ignoranza è questa ingiustizia di fondo. È scontato che se non
metto il cielo prima di tutto, farò cose che non so e uccido il Cristo senza
saperlo.
Solo mettendo il
Pensiero di Dio prima di tutto e non in conseguenza dell’io, Lui si manifesta, si diventa
figli di Dio; si entra nel regno di Dio e si fa entrare tutta la nostra terra
nel cielo. La prova definitiva sta nel superamento dell’io, perché posso
non superarlo nemmeno in punto di morte, quando constato che tutto è niente.
Nel cielo e nella terra abbiamo una grande
significazione: il cielo rappresenta il nostro mondo superiore non
sperimentabile, la terra rappresenta il nostro mondo inferiore
sperimentabile da noi perché dipende da noi e ha quindi per centro il nostro
io.
Il mondo che ci salva è
quello superiore, perché ci obbliga al superamento dell’io; invece quello
inferiore gonfia l’io.
Per questo il mondo superiore è più importante di
tutto e va messo prima di tutto, perché è il mondo che ci salva; dobbiamo
però svilupparlo tanto fino ad includerlo nel mondo inferiore, cioè fino a
scoprire che, partendo da Dio, anche ciò che crediamo sia opera nostra, e che
dipende da noi, è opera di Dio: cioè sono io pensato da Dio.
È necessario che il cielo cresca e che la terra
diminuisca: la terra deve diminuire tanto da diventare tutta cielo.
DIO opera e ci sollecita attraverso le prove, le lezioni
della vita, per farci progredire in questa scelta di Dio prima di tutto e nella
conoscenza, perché vuole portarci a conoscerLo come Lui ci conosce. Ma ci vuole
la penitenza perché siamo condizionati dagli sbagli precedenti, i quali però in
Dio, si possono trasformare in bene, per cui diventano motivo di maggior amore
e unione a Lui.
Infatti, dopo aver sperimentato le conseguenze delle
azioni motivate dall’io, e dopo aver scoperto l’importanza di essere mossi da
Dio, si sta bene attenti ad avere come unico movente il cielo, perché “Chi viene dal cielo è superiore a tutto”.
Domenica di Pasqua 10 Aprile:
C'è un secondo gruppo di discepoli
di Giovanni Battista che facendo consistere la vita in una regola, un rito, ed
essendo legati alla persona di Giovanni Battista, suscitano una
contestazione per il fatto che tutti vanno da Colui a cui il Battista aveva
reso testimonianza.
Giovanni Battista li mette in posizione di giustizia
rispondendo: “L’uomo nulla può prendere
se non ciò che gli è stato dato dal cielo”. Cioè tutto viene da Dio, quindi
è Dio che manda tutti da Lui.
E poi dice: “Riconoscete
che io ho detto: Io non sono il Cristo, ma sono stato mandato dinanzi a Lui”
e questo è quanto ci dicono le creature; quindi non dobbiamo trasformare né
noi, né esse in luce.
Inoltre, dato che i suoi discepoli hanno portato Giovanni
Battista e Gesù sul piano della rivalità come se si trattasse di due sposi, di
due messia, Giovanni Battista aggiunge una breve parabola per distinguere lo
sposo dall’amico dello sposo; sposo è colui che ha la sposa e resta con la
sposa.
Sposa dell’anima è lo Spirito, quindi il Messia è Colui
che ha lo Spirito di Dio, la permanenza dello Spirito. Giovanni Battista
battezzando Gesù ha visto lo Spirito scendere e restare su di Lui, invece in
noi creature lo Spirito va e viene, siamo instabili, non siamo ancora sposi
della Verità, ma siamo chiamati a diventare sposi in, permanenti nella Verità.
Ciò che caratterizza lo sposo, il Messia dagli uomini, è
il fatto che avendo in Sé lo Spirito, cioè la sposa, ci parla delle cose di Dio;
per questo, come dirà dopo: “Chi viene
dal cielo è superiore a tutti”, perché solo chi è nel cielo può portarci
nel cielo. Solo Colui che resta nello Spirito può darci lo Spirito, renderci
stabili, annunziandoci quello che ha visto e udito, dandoci cioè la conoscenza
del Padre. “L’amico dello sposo, -
aggiunge – che gli sta vicino e che lo
ascolta, prova la gioia più viva per la gioia dello sposo. Questa è la mia
gioia, ed è completa”.
Giovanni Battista non invidia, perché non pensa a sé,
anzi, si rallegra per l’opera di Dio; tanto più che la sua missione, era
appunto quella di convogliare tutti al Cristo, per cui non desidera che far
crescere Lui: “Bisogna che egli cresca e
che io diminuisca; perché Lui che viene dal cielo, è al di sopra di tutti”.
Perché solo Lui che è nello spirito può darci lo Spirito.
Chi ascolta la sua testimonianza con ciò suggella che Dio è verace. Cioè solo
riconoscendo l’opera di Dio, aderendo all’opera di Dio in tutto, si rende
testimonianza a sé e agli altri della Verità di Dio. la testimonianza a Dio la
si rende sempre quando si lascia fare a Dio.
(Seguono
alcune domande e riflessioni).
Domanda: Come si può fare per evitare l’invidia?
Luigi: Per evitare l’invidia, il principio è questo: tutto è
opera di Dio, tutto è dono di Dio in noi e negli altri; è il superamento
dell’io, per questo fintanto che non si supera l’io non si potrà mai risolvere
i problemi sociali e di giustizia; perché se non si fa la vera giustizia, Dio
al centro, non si fa altro che suscitare dei problemi sempre più grossi perché
l’io è accentratore e strumentalizza. L’unica via è quella del superamento
dell’io e di mettere Dio al centro (Antico Testamento), poiché esasperando i
problemi umani che sono espressione dell’io, si distoglie l’uomo dal vero
problema e dalla vera via della liberazione. La vita non sta nei beni che si
possiedono.
Domanda: Che significato dare alla permanenza di Giovanni
Battista vicino a Gesù in Giudea, dal momento che la funzione del Battista era
quello di segnalarlo?
Luigi: E’ un fatto transitorio, perché Giovanni Battista non
permane; ma se noi non passiamo al Cristo, perdiamo entrambi, tutto. Cosi
seguendo il Cristo dovremo passare dal Cristo al Padre. Tutto è segnalazione,
quindi in quanto tale è invito a fare Pasqua, a passare con Cristo alle cose
del cielo. Le due figure, Giovanni Battista e Gesù, coesistono transitoriamente
in quanto l’Antico Testamento ci segnala il Messia, dopo aver formato in noi la
fame di Dio, ma finché fraintendiamo il messaggio del Cristo e riteniamo
che la salvezza stia nelle regole, rimaniamo legati a Giovanni Battista, il
quale però troverà il modo di convogliarci al Cristo: “Va a mio nome”. L’opera del Battista è di convogliare al Cristo, è
la terra che fa crescere il cielo. Quando la sua missione è finita, allora Dio
muove tutto e avviene il delitto. È Dio che determina i tempi, anche il tempo
della nostra morte; cioè quando abbiamo risposto tutto quanto potevamo.
Domanda: Come mai una ricompensa cosi terribile per Giovanni
Battista, che significato ha come segno?
Luigi: Quanti santi sono stati uccisi! “E’ necessario che il seme muoia”. Ciascuno ha una sua lezione da
dare; Dio ci dà tante lezioni diverse, perché se ce le desse tutte uguali, per
esempio se facesse stare bene tutti i buoni, noi che tendiamo a scivolare nelle
regole, potremmo seguire Dio per i suoi doni, e ci danneremmo perché non
usciremmo dal pensiero dell’io. Attraverso lezioni diverse Lui ci fa capire che
non dobbiamo vivere per i suoi doni, ma dobbiamo capirli nel loro significato,
cioè quello di farci superare il nostro io e imparare a fare la verità, a fare,
generare Dio, a partecipare della sua vita. Dio opera non per farci soffrire,
ma per salvarci; ma la salvezza passa attraverso il punto chiave, che è la
morte all’io. Infatti perché Gesù è morto in croce? È una lezione da capire e
assimilare, e attraverso cui passare; cioè devo morire anch’io per far
vivere Dio in me. Questa è la grande lezione, l’anima di tutte le lezioni,
perché noi siamo chiamati a generare Dio, a fare una cosa sola con Lui, a
partecipare della sua vita. Partecipare della sua vita vuol dire fare quello
che Lui fa, generare ciò che genera Lui, operare nelle sue intenzioni,
lasciarci guidare dal suo spirito. Ci vuole quindi una completa
dimenticanza di noi, perché siamo chiamati a diventare tutto pensiero di Dio,
cioè figli di Dio; e allora non abbiamo più il pensiero dell’io, esso è
scomparso perché è diventato tutto pensiero di Dio, contemplazione di Dio. Ciò
che vale è contemplare, è intendere il significato dell’opera di Dio; più
operiamo noi, invece, e più inquiniamo la terra. Quindi: “Non muoverti e cerca di capire le lezioni di Dio”. L’uomo è
essenzialmente pensiero, per cui l’importante è capire; comprendendo, l’uomo
diventa contemplazione di, pensiero di, e allora chi opera è Dio. Siamo
chiamati a diventare dei contemplatori dell’opera di Dio, e contemplando
l’opera di Dio, facciamo, generiamo il Verbo, diventiamo pensiero di Dio,
parliamo di Dio e glorifichiamo Dio. Quanto più glorifichiamo Dio, tanto
più il nostro io scompare, perché tutto è opera di Dio, anche la nostra terra,
le nostre opere sono sue, i nostri pensieri, parole, azioni, sono sue. Per
entrare qui, la condizione essenziale è la morte a noi stessi, e fintanto che
noi non capiamo questo, abbiamo bisogno delle lezioni di croce, di passaggio,
di morte, altrimenti noi tendiamo sempre a confondere, a trasformare in regola,
“Do e ottengo!”; invece si tratta
di entrare in un amore personale, di conoscere. Ma nel pensiero dell’io ci
fermiamo alle virtù, regole, programmi e non abbiamo la preoccupazione di
conoscere Colui che è tra noi, presente o operante. Le opere di Dio sono
segnalazioni, richiami a dove dobbiamo arrivare; ma ci indicano anche la via:
la morte a noi stessi. Dio svolge questa opera di convinzione con ciascuno di
noi, affinché la smettiamo di pensare a noi, di parlare di noi. Siamo cosi
immersi nell’io perché riferiamo tutto a noi; dobbiamo invece diventare dei
contemplatori di Dio come attualmente lo siamo di noi stessi, del nostro io
operatore. Dovremmo solo osservare Lui che opera, descrivere ciò che fa,
parlare di Lui cosi come facciamo di una persona che amiamo molto e quindi
cessare di parlare degli uomini, se siamo convinti che è Lui che opera anche
negli uomini e attraverso gli uomini. Noi non sappiamo parlare di Dio perché
non siamo contemplatori di Dio, ma delle cause seconde e delle apparenze,
riferendo e sottomettendo tutto al nostro io, all’uomo e quindi gonfiando l’io:
ma questo non ci salva. Se siamo convinti che Dio non è solo il Creatore ma
anche l’Operatore di tutto, e che opera per salvarci, dobbiamo contemplare
questo. Dio ci richiama da tutte le nostre deviazioni e interviene quando
interpretiamo male i suoi richiami con una pazienza infinita. È più facile
per Lui trarci dal nulla che salvarci per fare cioè una sinfonia nuova sulle
nostre note sbagliate. Non dobbiamo trasformare in regola nulla, tanto meno
l’amore, ma imparare ad abbandonarci a Dio. Chi ama non si accorge di amare,
come chi prega non si accorge di pregare; all’inizio la nostra preghiera sarà
un esaminarci in rapporto a Dio (è il momento transitorio della copresenza di
Giovanni Battista con Gesù), ma il fine è di diventare tutto pensiero di Dio,
dimenticandoci totalmente.
(Poi c'è
ancora il riassunto della domenica 17 Aprile)
Luigi: Su questo c'è qualcosa?
Cina: La vita non sta nei beni che si posseggono…; volevo che
restasse questo pensiero.
Luigi: In cosa consiste la vita?
Cina: Nell’impegno in questa conoscenza, perché senza la
conoscenza, uccidiamo Cristo.
Luigi: Perché la vita non sta nelle cose che si hanno, ma nelle
cose che non si hanno; cioè sta nel desiderio, nell’amore, nella ricerca di Dio.
Perché noi Dio non lo possediamo mai, cioè lo possediamo in quanto lo
desideriamo, in quanto lo cerchiamo. Ma se noi cerchiamo di possederlo proprio
credendo di possederlo, lo perdiamo. Perché Dio abita nei cieli, quindi è
superiore; ciò che è superiore a noi non è posseduto da noi, noi possediamo
quello che è inferiore. Quello che è superiore lo possediamo nel senso che lo
cerchiamo, tendiamo, ci superiamo, e superiamo tutto quello che conosciamo;
dobbiamo operare il distacco da tutte le altre cose. Quindi sta essenzialmente
in questo desiderio di Dio che matura in conoscenza; ma se anche noi credessimo
di possedere la conoscenza, come noi riteniamo di possedere la conoscenza, noi
la perdiamo perché anche tutto quello che noi conosciamo, dobbiamo sempre
superarlo, perché Dio supera anche quello che ha fatto conoscere di Sé a noi e
continuamente ci invita, quando parla a noi, dona a noi cose nuove, eternamente
e quindi ci invita continuamente al superamento.
Pinuccia: Cosa vuol dire superare quello che conosciamo? Cioè
desiderare di conoscere di più?
Luigi: No, in quanto Lui non è che esaurisca il suo parlare con
noi, il suo parlare è continuo…
Nino: Lui è illimitato, per cui quello che noi riusciamo a
comprendere è sempre una cosa limitata, è sempre una parte di Lui…
Pinuccia: Ci vuole sempre un’apertura…
Luigi: Ci vuole sempre un’apertura al parlare suo che è novità,
la novità viene da Lui. Lui è fonte di novità continua perché ci supererà
sempre. Quando ci troviamo con una persona che ci supera, in quale modo ci
supera? In quanto è fonte di novità per noi in continuazione. Il giorno in cui
per noi non è più fonte di novità, non ci supera più, è esaurita; quindi è
sorgente di vita per questo in quanto ci invita continuamente al superamento.
Angelo: Quindi noi non potremo mai conoscere completamente…
Luigi: No, completamente no! Perché la conoscenza avviene in
quanto c'è questa unione con Dio continua per cui uno ha questa apertura
continua alle cose di Dio. Perché tutti i giorni Dio ci presenta argomenti
nuovi da raccogliere. Per cui noi tutti i giorni ci fossilizziamo in quello che
ho conosciuto per cui rifiuto un argomento nuovo; l’argomento nuovo che Dio mi
propone è un invito a superare quello che già ho conosciuto. Siccome Dio è un
infinito che si trasfonde in noi, continuamente ci invita a questo superamento;
non è un rinnegamento di quello che conosciamo, anzi, perché Dio opera
confermando, per cui l’invito successivo è un invito a superare quello che uno
ha già avuto, ma è conferma di quello che ha avuto. Ammettiamo: il numero
cinque è superamento del quattro, è qualche cosa di più però è conferma anche
del quattro; ti conferma l’uno, il due, il tre, il quattro, però è cinque: c'è
qualche cosa di nuovo che si è aggiunto. Abbiamo la numerazione che va verso
l’infinito, che è una significazione del mondo quantitativo, del mondo
materiale; noi abbiamo la significazione (perché tutto è significazione) della
crescita della vita nel mondo dello spirito. Allora ogni numero successivo ti
conferma tutti i precedenti, ma ti aggiunge qualcosa di più. Ora, se noi
diciamo: “Il quattro per me è conoscenza
completa”, io non mi apro più al cinque, capisci? Perché c'è qualche cosa
di più che si aggiunge alla mia conoscenza e allora corro sempre il rischio di
dire: “Ah, ma io ormai ho conosciuto!”,
mi fermo al quattro e non arrivo più al cinque, capisci?
Angelo: Si matematicamente, però uno non ha mai l’idea chiara
che Dio si fa conoscere, a volte non si avverte questo stimolo…
Luigi: Ma quante volte noi sentiamo dire: “Ah ma questo non può essere..” cioè noi ci trinceriamo nel
conosciuto e rifiutiamo la novità. Ad esempio diciamo: “Ah, ma quello li è un delinquente, per cui non può dire nessuna parola
di verità”. Si tratta poi di una apertura d’amore. Se noi crediamo che in
tutto parla Dio, noi siamo aperti perché: “Chissà
Dio che cosa mi vuole significare attraverso questa notizia, attraverso questa
parola, attraverso questo incontro”; allora se uno è aperto a Dio, in tutte
le cose cerca il significato, non dà un calcio: “Ah, non mi interessa, tanto io ho il mio mondo”, no! Guarda che il
Signore ti sta istruendo attraverso questa lezione, magari attraverso l’incontro
con un bambino. Attraverso tutte le cose, il Maestro è uno solo, però
l’universo con i tutti i suoi fatti, con tutta la sua storia, la cronaca di
ogni giorno, è la scuola di Dio per ognuno di noi e in quanto scuola richiede
da parte nostra questa apertura. L’apertura sta in questo: “Che cosa Dio mi vuole significare!”. Possiamo anche non intendere,
però l’importante è accogliere, sapere che c'è una lezione per me in tutte le
cose perché Dio sta parlando: è Dio il Creatore, quindi essendo Lui il Creatore
ha una lezione personale per ognuno di noi. Però la lezione personale richiede
un’apertura; l’apertura è il superamento.
Chi ormai è contento di quello che ha conosciuto: “Guai a voi che siete soddisfatti”,
rifiuta perché dice: “Ah io sto comodo”.
“Guai a voi ricchi”, la ricchezza in
che cosa consiste?
La ricchezza consiste in questo: uno è soddisfatto di
quello che ha per cui prende a calci gli argomenti nuovi che gli giungono
perché non gli interessa.
Nell’uomo si può formare questa chiusura qui; per cui ci
vuole sempre questa apertura. San Giovanni della Croce dice che bisogna anche
superare continuamente quello che conosciamo.
(Continuazione della lettura dei riassunti)
Domenica
17 Aprile ci siamo fermati sul versetto 31: “Chi è della terra appartiene alla terra e parla della terra ma chi
viene dal cielo è superiore a tutti”.
Abbiamo iniziato con la lettura dell’articolo di Civiltà
Cattolica, “Cristianesimo e senso della vita”. Leggo un breve riassunto di
questa lettura.
C'è chi
non si è mai posto il problema religioso e del senso della vita, o perché vive
fuori di sé o perché preso da interessi immediati; altri se lo pongono qualche
volta ma non ritengono che debba essere preso sul serio, per vari motivi, per
ignoranza o pregiudizio.
Invece il
problema religioso è un vero problema e va preso sul serio.
È il
problema del senso della vita ed è quello che fa da sfondo a tutti gli altri
problemi immediati, sociali, economici, familiari, politici.
Perché
l’uomo vive? Chi è l’uomo? Da dove viene e dove va? Che senso ha la vita se si
muore?
Sono
domande ultime, che l’uomo non può non porsi; chi non se le pone, non è
maturato come uomo; la scienza non può rispondere a queste domande perché esse
appartengono al mondo non scientificamente osservabile e la scienza studia solo
i fenomeni verificabili.
Ma neppure
la filosofia che indaga il mondo dello spirito e cerca le cause ultime della
vita, può rispondere a queste domande; perché le varie correnti filosofiche
sono in contraddizione fra di loro a vantaggio dello scetticismo e del
relativismo.
Quindi
sono ben deludenti le risposte che ci danno i materialisti, gli scientisti, gli
idealisti, gli storicisti, i panteisti e i pessimisti, i quali considerano
questi problemi, falsi o inesistenti.
Ma non
basta negare il male o l’angoscia perché essi scompaiano.
Anche la
corrente teista che ha fatto almeno un passo nella risposta a queste domande,
ha dovuto arrestarsi di fronte al mistero di Dio e dell’uomo; chi ha potuto
andare oltre sono i filosofi cristiani, perché ricevono la luce che la
rivelazione di Dio dà su Dio stesso e l’uomo.
La
risposta che Cristo, Dio fatto uomo ci dà, va presa sul serio, perché Cristo è
la Verità che ci svela il mistero di Dio, il mistero dell’uomo e del senso
della sua vita.
Solo Lui
ci dà una risposta soddisfacente alle domande ultime dell’esistenza umana,
rivelandoci il vero senso della vita.
Commento alla lettura.
Più ci avviciniamo alla Verità, più ne siamo confermati
(se non fosse Verità aumenterebbero i dubbi). È necessario si l’atteggiamento
critico, ma dato che la Verità è semplice, è Uno, ci crea una selezione,
mettendoci davanti a scelte continue.
Per cui, più ci avviciniamo ad Essa, e più acquisiamo la
sensibilità a riconoscere la Verità, per distinguere ciò che vale di più da ciò
che vale di meno; invece più si è lontani, più si è incerti.
La Verità è una Persona; ma Gesù stesso parla di
conoscenza della Verità: “Se resterete
nelle mie parole, conoscerete la Verità”.
In quanto sperimentiamo il problema della menzogna,
perché ci troviamo in un mondo di apparenza, di valori relativi, non veri, di
cose che passano e che ci deludono, perché nascendo come figli della terra,
siamo portati ad assolutizzare tutto, a fare motivo di vita ciò che è relativo.
È appunto perché ci appoggiamo troppo sulle cose che il
Signore prende su di sé questa nostra colpa, le fa passare, le assoggetta alla
vanità e alla morte, per salvare noi.
Dio creò la morte solo perché l’uomo creò gli idoli;
magari creature che sono angeli, Dio li crea ubriaconi o mendicanti per farci
toccare la vanità di ciò che stimo molto, cioè per sospingermi a ciò che vale
di più.
L’uomo è fatto per nascere una seconda volta, per
diventare figlio del cielo; ma lo può diventare solo se trova Colui che viene dal
cielo e che viene a rispondere alla fame di Verità che si è formata in noi in
questo mondo di menzogna.
La via per conoscere la Verità è la sua Parola; non siamo
noi che arriviamo alla Verità, ma è il Maestro che parlando a noi ci rivela la
Verità, cioè ci conduce alla Verità che è Lui stesso.
Ma la condizione è restare nell’ascolto e l’ascolto esige
il superamento di noi stessi, del mondo apparente, per andare dietro alla
parola che ci conduce a vedere la Verità: “Affinché
dove sono io siate anche voi e possiate vedere la mia gloria”.
Questa Verità, ad un certo momento, svela il suo volto, è
il Padre: e siamo a Pentecoste.
Questa scoperta, che la Verità è Persona, è progressiva
ed è tutto dono di Dio.
Si parte dalla confusione del relativo con l’Assoluto,
fino a comprendere che Dio è Spirito, Immutabile, Essere Personale, Cosciente
di Sé, Principio di Sé e di tutto e che ha in Sé il motivo, la ragione di Sé.
Ciò che è relativo non ha in sé il motivo di sé, ma noi
siamo fatti per averlo in noi; noi avremo in noi stessi il motivo del nostro
esistere, passare, ecc., quando troveremo Dio, perché Dio lo troviamo in noi.
Ecco perché tutte le cose ci sospingono dal basso verso
l’alto, sempre una causa diversa, fino a trovare Dio che ha in Sé la causa di
Sé e di tutto ciò che esiste; e abbiamo qui la nuova nascita dal cielo.
E allora trovando Dio, si parte da Dio per giustificare
tutte le cose: dall’alto verso il basso.
Ma prima siamo nati dalla terra e siamo chiamati a
trasformarla in cielo.
Nel versetto 32
abbiamo tre concetti: “Chi è della terra
appartiene alla terra e parla della terra”; essere, appartenere e parlare.
Possiamo essere nel mondo ma non del mondo: “Sarete odiati perché non siete del mondo”;
non si tratta di uscire dal mondo.
Gesù prega il Padre che non li tolga dal mondo ma li
difenda dal mondo, ma ciò che conta è non essere del mondo.
Siamo di una cosa quando ne facciamo motivo di vita,
allora apparteniamo ad essa; se facciamo la parola che discende dall’alto,
nostra vita, diventiamo di quella parola e possiamo trasformare la nostra terra
in cielo.
Innanzitutto bisogna evitare di trasformare il cielo in
terra, considerando lo spirito come espressione della materia.
In secondo luogo evitare di ritenerci noi assoluti,
considerando Dio come creazione mia, pensiero mio, (“Se non tocco non credo”); siamo noi che ci dobbiamo sottomettere a
Dio, non viceversa.
Esiste si un mondo che dipende da me di cui però non sono
il Creatore, ma esiste anche un mondo non esperimentabile da me, ma che si
annuncia e si fa esperimentare da me in quanto mi mette in crisi tutto il
resto.
Per cui superando le apparenze e aderendo al mondo che ci
supera e ci è annunciato, avviene la trasformazione, la spiritualizzazione
della terra in cielo.
Domanda: Perché ci sono tanti che non hanno ricevuto la
rivelazione, ad esempio i musulmani?
Luigi: Tutto è lezione
di Dio per ognuno di noi (es. per farci apprezzare di più il dono
ricevuto); come spettatori non dobbiamo mai giudicare, ma capire le lezioni di
Dio, come attori dobbiamo preoccuparci di recitare la nostra parte secondo lo
spirito di Dio senza preoccuparci quale lezione di voglia dare all’altro per
mezzo nostro. “Ti basta la mia grazia”,
ci dice; ciascuno è responsabile di quello che fa partire da sé, ciò che riceve
è sempre segno, lezione di Dio. La meta è intendere il significato di ciò che
Dio fa, perché siamo creati per conoscere Dio.
Luigi: Cina c'è qualcosa?
Cina: Mi sembra che sia un grande aiuto che abbiamo sotto mano.
Luigi: Bisogna afferrarci, afferrarci ad essa: solo alla sua
parola. Perché la parola arriva a noi ma noi possiamo lasciarla passare.
Nino: Per parola tu intendi sia il Vangelo, sia la parola che può
venirci giorno per giorno…
Luigi: Si, in quanto ci parla di Dio; perché noi giorno per
giorno riceviamo tante parole, ma sono anche parole di uomini. Anche nelle
parole di uomini c'è la parola di Dio, se però noi siamo in collegamento con
Dio, abbiamo presente il pensiero di Dio, allora in tutte le cose e dappertutto
udiamo le sue parole. Perché Gesù dice: “Le
mie pecore ascoltano e riconoscono le mie parole in tutto”; ma se noi non
abbiamo presente il pensiero di Dio, la parola di Dio ci giunge soltanto in
certi luoghi privilegiati, cioè se apro il Vangelo, ma altrimenti mi giungono
parole di uomini proprio perché io ho presente me stesso e allora mi fermo alla
relatività, alle cause seconde, non mi parlano più di Dio. Direi che la parola
di Uno è quella che mi fa presente
quest’Uno, che me Lo rende presente: mi rivela il suo Pensiero, il suo Spirito,
mi parla di Lui; quella è la parola di, segno di Uno. Allora, se a me giungono
parole che mi presentano cose diverse da Dio, quelle non sono parole di Dio, la
parola di Dio è quella che mi fa pensare Dio, che mi fa conoscere Dio.
Nino: Se io le interpreto nel Pensiero di Dio sono parole di Dio.
Luigi: Ecco, se io ho presente il pensiero di Dio e vedo in
tutto la sua opera, allora tutto diventa parola di Dio. Allora: “Affinché dove sono Io siate anche voi”;
cioè noi possiamo essere sempre con Lui. La condizione per essere sempre con
Lui è quella di essere sempre in ascolto delle sue parole e solo delle sue
parole. Per cui allora non si ascoltano più le creature, le parole degli
uomini, ma anche nelle parole degli uomini si vede la parola di Dio. Allora tutto
è parola di Dio, allora tutto è Vangelo; anche la nostra vita diventa storia
sacra, non c'è più bisogno di andare a leggere la Bibbia, l’Antico Testamento
per capire l’opera di Dio, perché l’Antico Testamento e tutta la Storia Sacra è
ogni giorno della nostra vita perché è sempre Dio che opera. Ma questo
presuppone in noi sempre la presenza di questo Dio che è l’unico Operatore in
tutto, allora tutto mi diventa parola sua. Ma fintanto che tutto non diventa
parola sua, abbiamo un luogo privilegiato: “Questo
è mio”, Dio occupa un punto, un punto solo, tutto l’altro universo ce lo
lascia in mano nostra, al nostro io; però in quel punto li Lui dice: “Questo è mio”. Detto Lui: “Questo è mio”, noi non possiamo
avvicinarci a questa parola senza vedere questa sua affermazione: “Questo è il mio corpo”, “Questo sono io”,
noi non lo possiamo più invadere, noi possiamo invadere tutti gli altri corpi e
dire: “Tutti sono uomini”, li non possiamo più, li è Dio che ha detto: “Questo è mio”. Quindi Lui ha occupato
un punto solo, ma se noi ci fermiamo a quel punto li, quel punto li ci
abbraccia tutto l’universo, (perché avendo occupato un punto, ha occupato tutto
l’universo; come ha occupato un punto della storia, ha occupato tutta la
storia). Però quel punto li è un punto privilegiato, per cui Gesù dice: “Chi viene dietro di Me”, richiede un
isolamento. Quindi ad un certo momento c'è questo processo di distacco; è vero
che tutto il mondo è opera di Dio, però siccome noi siamo schiavi del mondo
materiale allora ad un certo momento si rende necessario questo distacco,
questa separazione, questo isolamento con Lui, per andare dietro a Cristo, in
cui noi non possiamo disgiungere l’uomo da Dio; in tutti gli altri uomini noi
possiamo disgiungere l’uomo da Dio, in Lui non possiamo disgiungerlo: è li la
salvezza. Allora qui abbiamo una parola privilegiata che ha la funzione di
portarci ad intendere tutte le altre parole, se noi continuiamo con Lui: “Arriverà lo spirito di Verità che vi farà
condurrà a vedere la Verità completa”. Quindi è tutto un processo di
ricostruzione dell’uomo come era all’inizio, attraverso il Cristo, per
riportarlo a contatto con Dio che parla e che opera in tutto.
Angelo: E’ difficile stare sempre con Dio, riferire tutto a
Dio, continuamente, momento per momento…
Luigi: Il problema umano è tutto li, il problema umano è
tutto li…
Nino: Io credo che si possa arrivare li solo pregando.
Luigi: Si, vuoi dire che è una preghiera continua, non è
possibile arrivarci dicendo: “Io voglio
arrivarci cosi”. Tu ti accorgi che tutte le volte che vuoi fare un
ragionamento del genere poi scappi dall’argomento, devii; se preghi in quel
senso li allora ti accorgi che il Pensiero di Dio si rende presente.
Luigi: Cioè bisogna imparare sempre ad avere questo pensiero
presso Dio: è Dio che fa. È Dio che ci fa intendere la sua presenza, il suo
parlare in tutto; altrimenti noi ci dimentichiamo. Quando ce ne ricordiamo è
già passato, ce ne accorgiamo a cose fatte: “Ho
sbagliato..”, invece col Pensiero di Dio ci arrivo da Lui, già in anticipo
noi sappiamo: “Mi capiterà questo, ma è
Dio che parla, è Dio che opera” quindi le cose si ragionano con Dio.
ragionando le cose con Dio: quella è preghiera. “E’ necessario pregare sempre”; pregare sempre non significa dire
delle preghiere, ma sempre questo elevare l’anima a Dio, mantenere la nostra
anima presso Dio, in attenzione a Dio, timor di Dio questa attenzione a Dio,
che sostanzialmente è timor di Dio che è attenzione a Dio; esempio del cane che
è timoroso del padrone, è attendo a quello che gli dice il padrone. La creatura
dovrebbe fare cosi sapendo che Uno solo è il Signore deve avere quella
attenzione: è Dio che passa, è Dio che parla, è Dio che opera in tutto. La
chiave di volta è sempre questa: sapendo che è Lui (e prima bisogna essere
convinti che è Lui che opera in tutto, che tutto è opera sua, perché se non
siamo convinti di questo tutto salta perché: “Ah, ma Dio non può fare questo!”, allora è finita! Perché noi
accettiamo solo quello che riteniamo bene e scartiamo quello che riteniamo male
invece Dio le lezioni principali ce le manda proprio attraverso quelle cose che
ci danno fastidio, quelle cose che noi riteniamo male. E sono delle lezioni
essenziali perché ci obbligano ad una revisione, ad una purificazione, ad un
superamento se noi accogliamo; se noi rifiutiamo restiamo tali e quali e in più
ci carichiamo di un rifiuto. Perché l’opera Lui la fa per formare in noi una
creatura perfetta, ma è necessario che la creatura accolga la sua opera, perché
Dio non opera mica su di noi opprimendo la nostra coscienza; Dio opera su di
noi e lavora, però rispettando ciò che Lui ha fatto. Abbiamo detto che Dio
opera sempre confermando, Lui è un si eterno, un si continuo; non fa si e no.
Non crea la coscienza e poi il giorno dopo dice: “No” la sopprime. No! Lui lavora su di noi rispettando la nostra
coscienza, rispettando la nostra coscienza presuppone in noi l’adesione. Allora
se noi aderiamo a Dio allora Lui lavora su di noi e forma in noi l’uomo
perfetto, l’uomo nuovo, l’uomo che è unito a Lui, che vede tutte le cose unite
a Lui. Noi corriamo questo rischio, essendo nel pensiero del nostro io, di
accogliere da Dio e di essere magari molto contenti se ci dà la caramella, e
invece quando ci manda la sofferenza e il dolore dire: “Ah no, qui sono gli uomini; qui è un delinquente; qui è un furto!”.
Non accogliamo più. Invece il Signore dice: “Ero
proprio io! E proprio attraverso a quello che ti faceva dispiacere, Io operavo
il meglio per te, che tu hai rifiutato”.
Pinuccia: Hai parlato di questa necessità di isolarci col Cristo
in un determinato momento della vita, va inteso come un momento che va ripetuto
continuamente nella vita; cioè nella vita c'è un continuo isolarci con Cristo
nel distacco dal mondo, e un continuo ritorno al mondo con Cristo oppure è un
determinato periodo della vita?
Luigi: Tu capisci che non è una ripetizione; quando si
incomincia con Cristo, Cristo è uno che cammina verso mete ben precise. Quindi
è come iscriverci ad una scuola; quando ci si iscrive ad una scuole si inizia
un cammino, non è che uno ripeta e di tanto in tanto vada via, torna, esce, va
via: cosi non acquisisce niente. È un cammino progressivo, fino ad una meta ben
precisa. Quindi direi che è una continuazione progressiva, un incremento
continuo con Cristo. È una fase successiva rispetto alla nostra vita comune,
alla vita nel mondo.
Per cui abbiamo:
-
il punto in cui noi scopriamo che Lui è la nostra
salvezza; mentre noi in un primo tempo riteniamo che la nostra salvezza stia
nel lavoro, nel denaro, nella posizione, nella carriera, nelle cose del mondo;
-
poi abbiamo la fase successiva, delusioni di queste,
critiche, autocritiche e ci troviamo ad un punto in cui: “Dove è il mio punto di salvezza?”. Se il Signore ci dà la grazia,
noi dobbiamo individuare la nostra salvezza nel Cristo.
-
Quindi abbiamo la fase successiva. Col Cristo si
inizia tutto un cammino che tende a questa preghiera continua, a questa
Pentecoste, in cui si scopre la presenza del Padre, la presenza del Figlio
in noi, che operano in tutto e che dialogano in noi in tutte le cose; per cui
noi ci sentiamo pensati, amati, conosciuti da Lui, attraverso tutte le cose,
perché tutto è opera sua. Quindi non è che col Cristo noi di tanto in tanto
scendiamo nel mondo, poi ritorniamo a Lui. No, Cristo è un inizio di una scuola
nuova che deve concludere ad una meta ben precisa: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. “Noi verremo a lui
e faremo abitazione presso di lui”.
Pinuccia: Questa fase di maggior distacco..
Luigi: Ora, quando si arriva al Cristo, siccome è Lui il
punto privilegiato tra tutti gli altri punti, quando si scopre quello, è
necessario lasciare tutti gli altri punti per fermaci con Lui. Se tu ti iscrivi
ad una scuola di matematica, lasci tutte le altre scuole e frequenti questa
scuola, non può contemporaneamente seguire un’ora questa scuola e un’ora in
un’altra scuola. Quindi c'è una scelta; ora, con Cristo se è un punto
privilegiato, questo richiede questo isolamento con Lui..
Pinuccia: E questo è possibile a tutti, in qualsiasi
situazione..
Luigi: Certo, perché Lui è venuto a salvare tutti, non è
venuto mica a salvare qualcuno, è venuto per salvare tutti; soprattutto i
peccatori, soprattutto coloro che piangono. Perché se non fosse accessibile,
non ci sarebbe più il problema della salvezza, saremmo in una situazione di
privilegio. La situazione di privilegio c'era già nell’Antico Testamento perché
Dio chiamava i suoi profeti, avevano una situazione particolare, per cui
avevano una situazione di privilegio. No! Con il Cristo abbiamo questa che è la
conclusione di tutta l’opera di Dio. Noi il Cristo lo vediamo dietro le spalle
perché è vissuto duemila anni fa; il Cristo è davanti a noi! Il Cristo è il
vertice. La storia è storia per noi, lineare, perché noi la riferiamo al
nostro io. Noi siamo nati venti, trenta, cinquant’anni fa, ma nella verità la
storia è molto diversa, nella verità la storia è una piramide, con al
vertice il Cristo, punto di passaggio alla vita eterna. Punto obbligato, al
quale tendono tutti quanti, attraverso questa montagna, verso questo vertice.
Attraverso problematiche diverse, ma tutti quanti tendono verso questo. Per cui
Cristo è la sintesi di tutte le opere di Dio; Dio continuamente opera, anche a
nostra insaputa, per convertirci verso questa meta. E man mano che ci converte
cosa succede? Succede il distacco da tutte le altre cose; per cui ad un certo
momento siamo li a tu per tu con Lui, con i suoi pensieri, con le sue parole,
con i suoi problemi; magari litigando con Lui, ma siamo li a tu per tu con Lui.
Come mai? È Dio che ci conduce a questo incontro. Come dico anche a nostra
insaputa noi arriviamo li. Però arrivando li, ad un certo momento, noi dobbiamo
fare questa scelta; perché se noi lo riteniamo valido, se noi riteniamo valida
una cosa, (l’esempio del prezzo), noi spendiamo tutto, lasciamo il resto per
avere quello che ci interessa: “Ah,
finalmente ho trovato quello che mi occorreva”. La perla, vendo tutte le
altre cose per acquistare quel tesoro. Se invece noi non scegliamo Lui, la
scuola non diventa più efficace, però resta in noi l’amarezza del rifiuto,
perché un giorno di fronte alla verità scopriremo che Dio ci ha portato a
contatto con la nostra salvezza, ma noi non l’abbiamo conosciuto: “Gerusalemme, Gerusalemme, non hai
riconosciuto il momento in cui sei stata visitata”. Allora poi incomincia
l’epoca in cui i nemici circondano Gerusalemme, il periodo della distruzione,
il disfacimento perché è arrivato il momento in cui io ti ho messo dinanzi la
tua salvezza e tu non hai visto: “Sei
stata visitata ma non lo hai riconosciuto”. Qualcuno può dire: “Ma come mai non l’hai conosciuto?”. Se
Dio ci ha condotti dinanzi la nostra salvezza e noi non l’abbiamo conosciuta
c'è evidentemente in noi una colpa che ci ha impedito di conoscere.
Cina: Cosa volevi dire quando hai detto che magari stiamo litigando con
Dio?
Luigi: Non hai mai litigato tu con il Signore?
Cina: Quand’è che litighiamo, quando non vogliamo accettare?
Luigi: O quando qualche cosa non quadra e noi siamo convinti
che dovrebbe quadrare. Questa mattina avete sentito Don Dolce che diceva che
bisogna anche imparare a giocare col Signore; andando più avanti diciamo anche
litigare. Il Signore anche nell’Antico Testamento dice: “Purificatevi e poi venite e discutiamo! Discutete con Me!”. Sotto
un certo aspetto Dio vuole che noi discutiamo con Lui, che noi presentiamo a
Lui i nostri problemi, quindi sotto un certo aspetto che litighiamo. Penso che
il Signore voglia questo confronto perché i problemi ce li fa sentire Lui.
Nino: Tutta la nostra vita è un confronto con Lui..
Luigi: Non è che uno voglia tirare in senso egoistico, ma in
quanto i problemi ce li fa sentire Lui: “I
problemi me li fai sentire Tu, e come mai sono in conflitto con Te?”.
Nino: Tutte le volte che ci capita qualcosa e noi non la accettiamo in
Lui, in fin dei conti risulta una tirata di orecchi da parte sua nei nostri
confronti…
Luigi: Si, ma non è neanche il fatto di accettare o di non
accettare, ma il fatto è di comprendere quale sia il significato. Sapendo che
Dio vuole salvare tutti…
Nino: Quando noi non accettiamo nel suo pensiero, diciamo che Dio ci ha
castigati. Più lite di cosi… ed è effettivamente un castigo in quello volte…
Luigi: Dio non castiga mai; tutte l’opera sua è opera di
misericordia.
Nino: Se noi non lo comprendiamo, se noi non lo accettiamo, diventa un
castigo.
Luigi: Si, certo, logico, se noi non accettiamo… per noi, dal
nostro punto di vista è un castigo; ma da parte di Dio no, perché Dio opera
sempre per recuperarci, quindi è sempre azione di misericordia.
Nino: Però fintanto che non arriviamo a capirlo è un castigo, e non solo
dal nostro punto di vista: è un castigo.
Pinuccia: Quindi non è che l’atteggiamento più giusto sia quello
di accettare passivamente tutto quello che il Signore ci manda..
Luigi: No, dobbiamo accettare tutto perché il principio
fondamentale è accettare per cercare di intendere il significato..
Pinuccia: Allora non è un litigare, è una prova di amore. È
questione di intenderci…
Luigi: Quando la Madonna appare vede quali opere di
conversioni crea nelle anime, perché non appare a tutti quanti? Se quella è una
via, è cosi facile, appaia a tutti. Eppure se non appare a tutti, ci sarà pure
un disegno. Basta che la Madonna compia un miracolo strepitoso e tutti quanti restano
li: eppure perché non lo fa? Ci sarà una ragione. Però da parte nostra noi
avvertiamo questo; siccome Dio opera tutto per salvarci e Dio è onnipotente per
cui ha tutte le meraviglie nelle mani, potrebbe scrivere nel cielo: “Guardate che io ci sono” li scritto
grosso. Come ha fatto a scriverlo? L’ha scritto. Se non lo fa ha una sua
ragione, certamente; però questi problemi ce li fa sentire. Se Lui opera per
salvare tutti, allora come mai se ne sta muto, silenzioso, assente addirittura.
Il bisogno è quello di
collimare il suo proposito che è quello di salvare tutti, con il suo metodo per
salvare, che può essere un’assenza, magari, una lontananza. Quello diventa un
confronto tra la sua volontà intesa da noi, e la sua volontà come Lui la opera,
vedi che c'è sempre questo superamento? È la necessità di superare
continuamente anche tutto ciò che conosciamo.