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Chiunque infatti fa il male odia la luce e non si mette in luce, affinché le sue opere non siano svelate per quello che valgono;  ma colui che attua la verità si mette in luce in modo che le sue opere si rivelino come compiute in Dio Spirito Gv 3 Vs 20/21


Titolo: Chi fa la verità giunge alla luce.


Argomenti: Il rifiuto della Luce – La fonte dell’odio e dell’amore alla Luce – Operare superficialmente – Amore di second’ordine – La fame dell’invisibile – Il desiderio ci vincola – Il richiamo dell’eterno – Il fallimento della vita – Il piccolo mondo – Il male è agire autonomamente da Dio – L’impossibilità di seguite la verità – I prodotti dell’io – Fare la verità è cercarla – Riferire tutto a Dio – Gli argomenti umani -


13/Marzo/1977


 

Dall’esposizione di Luigi Bracco.

Siamo arrivati alle ultime battute del discorso di Nicodemo e questa sera ci fermiamo sulla conclusione, cioè su queste parole: “Chiunque infatti fa il male odia la luce in modo che le sue opere non siano conosciute per quello che valgono; ma colui che attua la verità si mette in luce in modo che le sue opere si rivelino come compiute in Dio”.

Qui è necessario ritradurre questo versetto, perché non rende ciò che Gesù vuole dire; ci affidiamo al testo latino che traduco. Il testo latino dice: “Omnia enim, qui mala agit, odit lucem et non venit ad lucem, ut non arguantur opera eius;” cioè “Chiunque opera malamente odia la luce e non viene alla luce perché le sue opere non siano rimproverate” di contrapposto poi dice “Chi invece fa la verità viene alla luce affinché le sue opere siano illuminate in questa luce perché sono fatte in Dio”.

Ho detto che questa è la conclusione, l'ultima battuta del discorso notturno che Gesù fece con Nicodemo sul problema della rinascita: cioè sulla necessità di rinascere da Dio per vedere la luce, per vedere la verità.

Prima già aveva affermato che il giudizio sta in questo: “La luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce perché le loro opere erano malvagie”.

Ora afferma un fatto molto strano, perché tutta la creazione di Dio, quando Dio concluse tutta la sua opera creatrice, riconobbe che “tutto era stato fatto molto bene”, ogni giorno tutte le cose vengono fatte bene e poi, in conclusione, Dio vide che “tutte le cose erano state fatte molto bene”.

Ogni giorno tutte le cose erano fatte bene e in conclusione, tutte le cose vide che erano state fatte molto bene. Quindi tutto nell’ordine. Come mai in questo universo, in questa creazione fatta così bene, ad un certo momento spunta fuori questo male, questo rifiuto della luce, questa enormità?

Le cose sono state fatte bene in quanto tutte le cose sono state fatte affinché l'uomo, si apra alla luce, sia attratto dalla luce, possa accogliere la luce.

Invece ad un certo momento arriva il rifiuto della luce.

Donde viene fuori questo?

E come conclusione Gesù dice: “Chiunque opera malamente odia la luce …”, cioè ci porta a riflettere sulla fonte di questo odio e sulla fonte dell'amore. La fonte dell’amore per la luce e la fonte dell’odio per la luce.

Quindi nello sviluppo dell’uomo si crea qualche cosa che rende l'uomo avverso, si sente contrario alla luce, dentro il suo animo; per cui è inutile cercare di dimostrare, in quanto lui stesso non vuole accogliere, non vuole ubbidire alla luce.

Questa luce trova in lui qualche cosa di offensivo, qualche cosa di contrario, e lui la deve respingere.

Ecco, questa sera dovremmo cercare di approfondire questo argomento per cercare di renderci bene conto quand’è che in noi si forma questa avversione.

Odio in termine ebraico non vuol dire passionalità contraria a-, ma vuol dire amare meno, per cui si preferisce altro.

Ora, quando si ama meno, ad un certo momento, si preferisce altro, si trascura.

Quando Gesù dice: “Chi non odia suo padre, sua madre non è degno di me!”, non è l'odio nostro; per il popolo ebreo, che è un popolo che aveva molto la percezione dello spirito, quando si ama in secondo ordine, quando non si preferisce al di sopra di tutto, non c'è più amore, si passa all’odio, ed è un amore di secondo ordine. Ma l'amore di secondo ordine porta a ciò che è l'aspetto offensivo, per cui uno amando meno trascura; e chi si sente trascurato, si sente odiato.

Ma non va inteso come odio passionale, come possiamo intendere noi.

Ad ogni modo amando in secondo ordine arriva un certo momento in cui si trascura, non si può più seguire la luce.

Come può avvenire questo?

Teniamo a precisare cosa significa dal latino, “Chiunque fa il male”: chiunque opera malamente. Quand’è che si opera malamente?

Forse meglio ancora, bisognerebbe precisare che per malamente si intende superficialmente.

Chi opera superficialmente odia la luce. Per cui quando la luce splende, costui è costretto a rifiutare.

Ad un certo momento si è davanti a un posto di blocco, c'è un rifiuto, non si può più seguire il richiamo della luce.

Come accade questo?

Dobbiamo tenere presente che l'uomo, naturalmente, quindi nella creazione fatta da Dio dove tutto è bene, non vede la verità, non vede la luce; è chiamato a vedere la Verità, è chiamato a vedere la luce, ma naturalmente non la vede.

Ne abbiamo già parlato molte volte: noi nell’universo vediamo tutt’altro che Dio, vediamo le creature, sentiamo parlare le creature, vediamo operanti le creature. Le potenze del mondo non sono le potenze di Dio; noi non vediamo il Regno di Dio, pur sapendo che, per fede, Dio è Colui che regna in tutto. Non vediamo il Regno di Dio ma vediamo il regno del denaro, della ricchezza, della forza, della violenza, il regno dell’uomo.

Quindi noi “naturalmente” assistiamo a questo, perché noi non siamo Dio.

Per vedere le cose nella Verità, nella luce di Dio, bisogna avere l'occhio di Dio; noi naturalmente non siamo Dio, e quindi le cose che vediamo le vediamo rapportate relazionate al pensiero di noi stessi, al pensiero del nostro io. E nel pensiero del nostro io non vediamo la Verità. Però siamo chiamati a vedere la Verità. Tutte le cose nel nostro mondo sono limitate, sono relative, passano. Direi che la finitezza che c'è, che notiamo nel mondo, il tempo, il nascere, il morire, il passare di tutte le cose, l'incostanza che c'è in tutte le cose, tutto questo, forma in noi una fame, un bisogno, una irrequietezza, che è la fame di scoprire quello che non vediamo. È Dio che semina la fame sulla nostra terra che semina il desiderio. Ecco, il desiderio della luce. Per cui in noi c'è questa visione, quindi c'è questo fatto strano dell’essere umano, c'è una visione di un mondo, di una realtà e c'è il bisogno di un mondo diverso.

Quindi abbiamo un desiderio, un’aspirazione all’infinito, all’assoluto, all’eterno, ad una vita che perduti sempre, alla luce, alla verità che non muta e ci troviamo invece piombati in un mondo, immersi in un mondo che è tutt’altro quello che noi desideriamo.

Ecco il conflitto che c'è in noi.

Però succede che tutto quello che noi facciamo, e quando dico "facciamo" intendo anche tutto quello che pensiamo, quello che desideriamo, le parole che diciamo, e anche le azioni che facciamo. Tutto quello che parte dal nostro io, soprattutto i desideri del nostro io, creano in noi, un condizionamento. Cioè tutto quello che parte da noi stessi, ci fa figli; per e questo lo sperimentiamo tutti i giorni: è sufficiente che noi tocchiamo una cosa è quella cosa ce la sentiamo in relazione a noi.

Se un altro ce la porta via ci sentiamo offesi, se non ci chiede il permesso.

Se noi diciamo una parola, quella parola ci vincola, per cui se dobbiamo smentirla, troviamo una certa resistenza, una certa fatica, invece prima di dirla, ci sentiamo liberi, verso la stessa parola.

Così anche verso i desideri: il Signore fa consistere la fonte del male, la fonte del peccato, nel desiderio. Non soltanto non desiderare la donna degli altri, ma non desiderare le cose degli altri; perché quel desiderio che parte da te ti vincola, ti unisce, non ti lascia più libero. E le catene che noi trasciniamo nella nostra vita, si costruiscono proprio da questi desideri che sorgono in noi. Ecco per cui noi ad un certo momento ci sentiamo carichi di catene e non possiamo più muoverci: ecco quello che ci impedisce di seguire la luce.

Ora, in tutto questo mondo che vediamo così com’è e che ci lascia così insoddisfatti, c'è però un richiamo, ed è il richiamo della luce, ad un mondo tutto diverso.

Però noi troviamo una difficoltà immensa a seguire questo richiamo.

Forse quando si è bambini è facile, anzi tutto ci fa desiderare di conoscere la Verità; il bambino è tutto una sete di conoscenza.

L'elemento determinante, caratterizzante il bambino è il “perché”; è sempre alla ricerca del “perché”, di un “perché assoluto”.

Man mano che il bambino cresce, ad un certo momento si arresta; la caratteristica dell’adulto è non chiedere più perché. Direi che la differenza tra l'adulto e il bambino sta nella chiusura: l'adulto non sente più il bisogno, o forse sente il bisogno ma non ha più tempo per seguire i bisogni della ricerca della Verità, della conoscenza.

Per cui si assiste alla sofferenza, alla tristezza; infatti l'uomo muore sempre molto triste. L'uomo muore sempre molto triste perché la vita è un fallimento: parte con una grande aspirazione e poi ad un certo momento questo fiore si ripiega e cade a terra; mentre invece all’inizio tendeva al cielo, mirava ad arrivare al cielo.

Quindi perché succede questo?

Perché tutto quello che parte dal cuore dell’uomo, a poco per volta, lo distrae dal Cielo e lo fa ripiegare verso terra. C'è il lavoro, gli interessi, le relazioni con gli uomini, tutto il suo piccolo mondo, piccolo o grande che sia, che lo condiziona sempre di più, lo stringe sempre di più, trovandosi sempre più chiuso. Ad un certo momento si trova in una prigione, in cui arriva ancora un raggio di luce, ma ormai lui è imprigionato; il raggio di luce è un sogno, un richiamo triste.

L'uomo muore triste, perché il richiamo arriva anche nella prigione, ma ormai ha il cammino sbarrato, non può più andare oltre le sbarre; si sente imprigionato.

Ora, si è costruito un muro agendo superficialmente; e quand’è che l'uomo agisce superficialmente? Quand’è che "fa il male"?

Abbiamo già visto altre volte che si fa il male tutte le volte che si agisce autonomamente, cioè tutte le volte che non si interroga Dio, che non si rapporta a Dio, che non si riferisce la cosa a Dio.

Per cui ogni nostro pensiero che non parte da Dio, è già l'anello di una catena; ogni parola che diciamo, che non sia nata da Dio, è una catena che ci imprigiona. Ogni azione che noi facciamo che non sia nata da Dio, è quel male che ci blocca, che ci arresta sulla strada della luce.

La luce, abbiamo visto, arriva sempre, anche nel male, perché Dio è tanto potente da far arrivare il suo richiamo ovunque, fino agli estremi confini della terra, però l'uomo non può più seguire.

Quindi quello che controbilancia l'attrazione, il peso della luce, sono i prodotti del nostro io; è ciò che pare dal nostro io senza interrogare Dio, cioè in modo autonomo.

Non mangerai del frutto di questo albero”, c'è in noi questo albero, che è l'albero del nostro io, ma di cui non dobbiamo nutrirci; perché tutti i frutti di cui noi dobbiamo nutrirci, sono sempre i frutti dell’albero di Dio, frutto dell’albero della vita.

Per cui noi tutte le cose dobbiamo sempre rapportarle a Dio, sempre accoglierle dalle mani di Dio, sempre riferirle a Dio; allora facciamo la Verità.

Allora “chi fa” (e arriviamo al secondo punto, cioè il fare la Verità), non va inteso come essere coerenti con ciò che si sa, perché noi la Verità non la conosciamo e se non la conosciamo non la possiamo fare. Soltanto conoscendo si fa.

Fare la Verità, vuol dire cercare Dio, vuol dire cercare la Verità; chi cerca la Verità, fa la Verità. La Verità si fa in quanto la si cerca, in quanto la si desidera.

Se dunque ciò che ci chiude nella prigione, ciò che in noi ci fa schiavi del male, è il desiderio che parte dal nostro io, ciò che invece ci porta nel cammino della luce è il desiderio che parte da Dio.

Invece tutto quello che in noi parte dal nostro io, è quel male che ci arresta e ci impedisce di camminare sul cammino della luce e di arrivare quindi alla luce. E non arrivando alla luce si resta sempre più schiavi delle tenebre.

E allora si verifica quello che Gesù dice: “La luce splende ma le tenebre non l'accolgono”, non possono accoglierla; perché hanno una diga delle loro opere, dei loro desideri, di quello che è partito da loro, che impedisce.

Non impedisce alla luce di arrivare alla creatura, ma impedisce alla creatura di arrivare alla luce.

Noi facciamo la Verità desiderando la Verità, desiderando Dio. E noi desideriamo Dio quando accogliamo tutte le cose da Dio, e quando cerchiamo di riferire tutte le cose sempre a Dio.

Deve sempre esserci questo collegamento con Dio, quello di cui si parla nel cammino della vita spirituale, di unione con Dio, sempre questo riferire a Dio, questo rapportare a Dio, questo richiamarci a Dio, questo desiderare le cose secondo Dio, questo fare la volontà di Dio, che consiste nel cercare in tutto Dio, sempre lo Spirito di Dio, la volontà di Dio.

Allora se noi desideriamo la Verità ci rifiutiamo di fare ciò che non è secondo la Verità. Desiderando la Verità tendiamo ad arrivare a conoscere, a cercare quello che vuole la Verità di Dio, quello che vuole Dio, perché non vogliamo fare qualche cosa che non sia secondo Dio.

Ecco per cui noi desideriamo che le nostre opere siano giustificate.

Si arriva alla luce perché si vuole che le nostre opere siano secondo la luce, e non in quanto si vuole che le nostre opere siano magnificate dalla luce. Ed è proprio questo desiderio che ci porta alla conclusione, cioè che ci porta a desiderare, a vedere la luce; proprio perché ci rifiutiamo di fare qualcosa che non sia secondo la luce.

Ora, operiamo male quando operiamo superficialmente, secondo il pensiero del nostro io, in modo autonomo, senza riferirci a Dio; ecco, a causa di ciò che abbiamo fatto, non desideriamo più vedere le cose secondo Dio, perché vogliamo che le cose siano come le vogliamo noi; non desideriamo più un’altra volontà, perché si scontra con la nostra volontà.

Ecco, non seguiamo più la luce perché le nostre opere sono già quelle che sono, non le vogliamo modificare, abbiamo già un tetto al di sopra del quale noi non vogliamo andare.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Emma: Come facciamo ad essere sicuri di agire secondo Dio?

Luigi: L'importante è desiderare, perché si fa la Verità in quanto si desidera vedere le cose secondo la Verità, ci vuole questo desiderio.

Ora, uno non avrebbe un desiderio, se non ci fosse un bisogno di-; deve esserci un bisogno. È necessario uscire al di fuori della casa del nostro io; non chiuderci in quel mondo in cui si dice: “Ma io opero cosi perché tutti fanno cosi”, “Io opero cosi perché questo mi piace”, “Io opero cosi perché altrimenti come si farebbe ad andare avanti”.Questi ragionamenti sono proprio ciò che ci impedisce di seguire la luce, ci arrestano sul cammino della luce.

Noi non siamo mai soli; chi ci fa desiderare è Dio, quindi in quanto Lui ci fa desiderare, in quanto già ci fa sentire il bisogno di conoscere la sua volontà, di conoscere le cose secondo Lui, vuol già dire che ce lo promette, altrimenti non ce lo farebbe neanche desiderare.

Quindi in quanto noi sentiamo il bisogno, vuol già dire che Dio ci ha promesso di condurci a vedere qual è la sua volontà, e se Lui ce l'ha promesso, Lui è fedele alla sua promessa, certamente Dio ci condurrà alla conclusione, al dono: a raggiungere l'oggetto della promessa.

Emma: Non dobbiamo lasciarci soggiogare dalla paura.

Luigi: La paura con Dio non ci deve mai essere! Ciò che importa è di evitare, ad esempio, di parlare a vanvera, cioè di non essere superficiali nel modo di agire, ma cercare sempre di interrogare il Signore o il Vangelo, in modo che il nostro pensare, il nostro desiderare, il nostro agire, il nostro parlare, abbia un aggancio, non sia secondo il mondo, non sia secondo le nostre abitudini, ma sia secondo lo Spirito di Dio.

Perché tutto quello che parte da noi, senza aver interrogato Dio, ci condiziona, ci lega, e ad un certo momento ci impedisce di andare avanti perché ci chiude in un cerchio.

Emma: Dio ci fa fare...

Luigi: Si, Dio ci fa fare tutto, però in noi c'è un tratto (che ci fa desiderare senza impormi, che è il tratto della luce), per cui la luce richiede a noi una certa ricerca, un certo impegno, altrimenti restiamo di qua.

Lui ci fa fare tutto, certamente, però in noi l'opera non si conclude se non parte da Dio. Questo è il pensiero conclusivo, per dimostrare a Nicodemo la necessità di rinascere, perché non si può mai rattoppare un vestito vecchio con una pezza nuova.

Infatti, con tutto il nostro sforzo, quando ci interessiamo alla vita dello Spirito, cerchiamo di giustificare, di far entrare le nostre abitudini e il nostro mondo nel mondo di Dio; cerchiamo un compromesso tra la realtà in cui ci troviamo e le esigenze della Verità. No, non si può rattoppare un vestito vecchio con una pezza nuova, bisogna dar luogo ad un uomo nuovo, l'uomo che nasce da Dio. Qui abbiamo una novità! Quindi c'è la necessità della rinascita. Perché l'uomo vecchio è fatto dall'uomo superficiale, dall'uomo che fa male, e che quindi non può arrivare alla luce, per le azioni che ha fatto, che diventano una barriera e gli impediscono di andare avanti. Infatti quando arriva a questo punto di blocco dice: “Ma io allora dovrei rimangiarmi questo, oppure non dovrei più fare quello..”, e non può, non lo può fare. Per cui non si può cercare di fare collimare il nostro vecchio mondo con il mondo di Dio. Ecco la necessità della rinascita, che naturalmente richiede della penitenza, perché richiede il distacco. La rinascita parte da Dio, è una vita nuova secondo Dio, avendo il coraggio, con Dio, di cambiare.

Emma: Io ho provato a parlare a certe persone di Gesù ma ho capito che in fondo non gradiscono quello che Gesù dice.

Luigi: Confermi ciò che dice qui: non può gradire la gente; perché quello che si dice secondo lo Spirito, fa a pugni con quello che la gente fa. Perché, ovviamente, di fronte alla testimonianza dello Spirito, la gente non si sente giustificata, non si sente approvata, anzi. Infatti Gesù dice ai suoi parenti, ai suoi fratelli quando gli dicono: “Vai a Gerusalemme …”, Lui risponde: “Andateci voi! Perché il mondo non può odiare voi, ma odia Me perché io dimostro, rendo testimonianza che le opere del mondo sono malvagie”. Allora chi vive secondo lo Spirito, rende testimonianza, anche se non lo dice.

Infatti nel libro della Sapienza è detto: “I malvagi hanno animosità, cercano di far del male ai buoni, al profeta”, perché? “Perché il suo vivere è tutta una testimonianza contro di noi”, l'uomo non si sente più approvato dallo Spirito. Ecco per cui non sopporta: “Perché non sopportate le mie parole?”, chiede Gesù. L'uomo avendo altro dentro non riesce a sopportare la luce, “Perché le loro opere (quello che parte da noi) sono malvagie”. Soltanto con il Pensiero di Dio ha la possibilità di penitenza, ha la possibilità, ha la grazia di Dio, del distacco; anche se si sente sconfessato, ha la possibilità di superare l'uomo vecchio.

Senza il Pensiero di Dio, nel pensiero del suo io, l'uomo non ha la possibilità di fare penitenza, deve urlare contro lo Spirito, contro la luce, contro il Vangelo, contro la Parola di Dio, deve urlare contro, deve crocifiggere, deve uccidere, perché lui non sopporta di essere sconfessato, e allora si arriva al delitto, si arriva alla crocifissione, si arriva al Golgota. È la luce che viene e noi diciamo: “Mettiamolo fuori, cosi non ci disturba”, perché la luce disturba. Ora, teniamo ben presente questo: nel pensiero del nostro io non sopportiamo chi non ci approva; non possiamo sopportarlo. Solo con il Pensiero di Dio, aderendo a Dio, accettiamo anche chi non ci approva, chi ci condanna, perché lo accogliamo come lezione di Dio. Con il Pensiero di Dio abbiamo la possibilità di superare noi stessi, e quindi fare penitenza, superare l'uomo vecchio.

Ma senza il Pensiero di Dio è assurdo, è impossibile che l'uomo possa accogliere, possa aderire. Nel pensiero del nostro io, noi possiamo recitare anche tanta parte religiosa, ma fino ad un certo punto. Non possiamo amare, ad esempio, chi ci critica, non possiamo amare chi ci condanna; perché il nostro io per superarsi, ha bisogno di un punto di appoggio, ha bisogno di qualcos’altro, da solo non si può assolutamente superare, a costo di uccidere, ma non può superarsi.

Pinuccia: Non si mette in luce perché le sue opere non siano conosciute per quello che valgono. Quindi per non essere sconfessato …

Luigi: Si, per non sentirsi biasimato...

Pinuccia: Davanti a Dio è normale che le nostre opere appaiano niente …

Luigi: Tu dici che è normale perché hai già il Pensiero di Dio. E quando abbiamo il Pensiero di Dio, essendo per noi il più importante, non ci importa niente di dire: “Le mie opere sono niente!”; ma se noi non abbiamo il Pensiero di Dio, le nostre opere sono importantissime.

Pinuccia: Allora è per questo che non cerca la luce, perché davanti alla luce si deve confessare che le proprie opere sono niente.

Luigi: Certo, perché per accettare la luce devo avere il Pensiero di Dio, nel pensiero del mio io non posso. Nel pensiero del mio io, quello che faccio è importantissimo; col Pensiero di Dio io accetto che anche quello che faccio, quello che dico è niente, perché la gloria è di Dio, e anche la creatura dice: “Io sono niente”, lo dice tranquillamente: “Io sono niente”, perché la gloria è di Dio, è tutta opera di Dio. Ma se invece non lo prende dal Pensiero di Dio, dice: “Io sono importantissimo, quello che faccio io vale molto” e cosi via...

Per cui non si accetta di essere sconfessati, non si accetta di essere criticati, non si accetta niente, possiamo recitare anche una certa parte, per cui facciamo una bella faccia, ma sotto sotto si forma l'odio, non si può fare in modo diverso. L'odio nasce dall’impossibilità di sopportare chi non ci approva; mentre invece c'è la parte contraria, l'esaltazione di chi ci approva.

Nel pensiero dell’io, c'è il doppio difetto:

·         esaltazione di chi ci approva e

·         odio verso chi non ci approva.

In Dio invece c'è equilibrio sia da una parte che dall’altra.

Pinuccia: Anche perché è Dio che ci fa essere; quindi anche se vediamo che le nostre opere non valgono, è Lui che le fa essere ….

Luigi: Si, ma nel Pensiero di Dio noi non abbiamo nessuna difficoltà a cambiare, ad accettare la correzione, perché "la cosa tanto è di Dio". Se tutto riferiamo a Dio, non abbiamo nessuna difficoltà. Con Dio non abbiamo nessuna difficoltà ad andare all’inferno, purché sia la volontà di Dio.

Pinuccia: È assurdo perché Dio non vuole che vada all’inferno …

Luigi: No, non è assurdo; se fosse per fare la volontà di Dio … quando si ama, quello che interessa è l'altro, non è se stessi. Invece quando non si ama l'altro, allora il nostro io diventa un centro dal quale non possiamo uscire, non ci possiamo liberare. È impossibile all’uomo da solo superarsi, rinnegarsi, amare chi lo condanna: è impossibile.

Pinuccia: E per liberarsi basta invocare il Salvatore?

Luigi: No, non basta invocare, bisogna mettere Dio al centro; prima di tutto bisogna amare la giustizia, quindi bisogna mettere Dio al centro. Mettendo Dio al centro, si desidera, si cerca la volontà di Dio, e allora si arriva al Cristo. Il Cristo ci aiuta a realizzare una vita secondo Dio. È un cammino lunghissimo, che presuppone la centralità su Dio, la giustizia essenziale.

Emma: Bisogna mettere Dio al centro della nostra vita…

Luigi: Si, perché noi iniziamo avendo per centro il nostro io. Evidentemente il nostro io per centro è un riferimento sbagliato perché noi non siamo il centro. Noi non siamo centro né di noi stessi, né degli altri, né del mondo, questo è poco ma sicuro. Perché il centro è Dio, non ci siamo fatti da soli. Quindi quando pretendiamo di essere il centro o dei nostri pensieri o di un altro, o di altri, o di un gruppo, piccolo o grande che sia, siamo sfasati. Quindi tutti i nostri desideri, i nostri rapporti sono sfasati; ed è qui che nasce il male. Solo che tutti questi rapporti sbagliati costruiscono una vita che dovrà essere completamente rifatta; e noi non accettiamo che sia rifatta, perché per poter aderire a questo cambiamento, ad essere svestiti di tutti i nostri vecchi abiti, abbiamo bisogno di Dio. E certamente senza Dio noi non li lasciamo i nostri abiti.

Cina: Penso che ci sono gli uomini superficiali e gli uomini profondi; e coloro che hanno la disgrazia di essere superficiali non sono colpevoli.

Luigi: Non c'è chi ha la disgrazia di essere superficiale! La superficialità ce la facciamo noi. La superficialità, che coincide con il male, deriva dal nostro agire senza tener conto di Dio. Dio è profondità e ci fa diventare profondi, fossimo anche gli esseri più stupidi di questa terra, se guardiamo Lui. Se interroghiamo Dio e cerchiamo Dio e non ci permettiamo di agire in modo autonomo, Dio ci fa profondi. Non abbiamo la creatura superficiale fatta da Dio. Egli non fa nessuna superficialità. Le superficialità partono dal nostro cuore, quando il nostro cuore agisce (dico il cuore per dire il pensiero, ciò che è il centro della nostra vita) senza interrogare Dio. Allora fossimo anche gli esseri più profondi di questa terra, diventiamo gli esseri più superficiali e siamo schiavi della superficialità. Ma fossimo anche le creature più stolte, se non ci permettiamo di agire senza Dio, Dio ci fa profondi. Perché la profondità è Lui. Lui ci impedisce di agire, di comportarci, di desiderare, di parlare, di fare secondo quello che appare agli occhi.

Gesù dice: “Non giudicate secondo le apparenze”, vedi che se io tengo presente Dio non posso giudicare secondo le apparenze? “Dovete sempre cercare il retto giudizio”, e cos’è il retto giudizio? Cerca quello che vuole Dio in tutto, quello che Dio vuol significare in ciò che ti appare cosi o che ti manda cosi. Cerca sempre la lezione di Dio. Ecco la profondità! È Lui che ti fa profondo, se cerchi Lui.

Perché se noi teniamo presente Dio, Dio ci fa essere profondi, non possiamo farne a meno. La profondità è li, ci impedisce di restare alla superficialità. Il pensiero del nostro io ci costringe, ci obbliga a diventare superficiali e a restare superficiali, perché ci fa comportare secondo quello che appare ai nostri occhi, ai nostri sentimenti, magari alle nostre intuizioni. Per cui credo che una cosa sia cosi, penso che la cosa sia cosi, intuisco cosi, sento cosi: ecco la superficialità, che deriva dal fatto che non interrogo Dio. Invece in tutte le cose noi non dobbiamo mai fermarci alla superficialità, alle cose che appaiono a noi. Dobbiamo sempre cercare come le cose appaiono a Dio. Quindi dobbiamo cercare il punto di vista di Dio; mai fidarci di noi, perché il nostro io è superficialità. Quindi Dio crea il nostro io, però ci dice di non mangiare di questi frutti, dei frutti dell'io, cioè non lasciarci guidare dai pensieri di noi stessi, ma cercare sempre il suo Pensiero. E poi avverte: “Il mio Pensiero non è mai il tuo! E come le stelle distano dalla terra cosi il mio Pensiero dista dal tuo; e la mia volontà non è mai la tua. Quindi non confondere mai la mia volontà con la tua, o il mio pensare con il tuo pensare, il mio pensiero con il tuo pensiero, i miei desideri con i tuoi desideri”. Ecco, queste parole ci obbligano continuamente a cercare presso Dio: “La cosa mi sembra cosi; ma raccogliamoci presso Dio, per vedere presso Dio, secondo Dio, la cosa come deve essere” e Dio ci illumina. Perché se ci fa sentire il bisogno di capire è per farci capire.

Altrimenti ci accorgiamo dell'errore quando la cosa è fatta. Questo accade quando prima agiamo superficialmente e poi magari capiamo che abbiamo preso una cantonata; solo perché non ci siamo preoccupati di-. Invece se ci preoccupiamo di pensare a Dio, abbiamo la promessa di Dio; Dio ci promette la luce ("cercate e troverete, chiedete e vi sarà dato..."), e se ci raccogliamo, ci illumina, ci fa capire qual è il suo pensiero, qual è la sua volontà e ci impedisce quindi di agire superficialmente. Perché poi, agendo superficialmente, siamo obbligati a dire: “Ah, ma io ho fatto questa scelta, ho preso questa decisione, ho detto quella parola, non posso più rimangiarmela..”, ed è tutta una catena che ci blocca; e addio alla luce. Non arriviamo più alla luce perché siamo condizionati dalle cose che abbiamo fatto superficialmente.

Ma non diciamo che c'è la natura superficiale e quella profonda, perché Dio a tutti dice: “Non permetterti di agire autonomamente, ma interroga sempre me; perché Uno solo è il tuo Dio, non avrai altro Dio al di fuori che Me”.

Cosa vuol dire non avrai altro Dio al di fuori di me? Vuol dire che “Non cercherai mai altri moventi, non ti accontenterai mai, interrogherai sempre Me”.

Non basta dire a parole: “Non avrai altro Dio al di fuori di Me”, bisogna non aver altro Dio; quindi non permetterti di agire per nessun altro motivo, perché il mio motivo deve essere Lui, Dio.

Pinuccia: Quindi la superficialità è in contrapposizione alla Verità; invece la profondità è Verità.

Luigi: Dio è vera profondità; però non basta il termine profondità, perché noi possiamo avere diverse profondità: lo scienziato può essere profondo, il filosofo può essere profondo, ma non è quella la vera profondità.

Pinuccia: La profondità che ci porta nella Verità.

Luigi: La profondità è quella che nasce da Dio; Dio è la vera ragione, è Colui che ha in Sé la vera ragione delle cose. Noi, per natura, non vediamo la Verità. Allora cosa succede?

Se ci comportiamo secondo quello che appare ai nostri occhi, siamo superficiali, diamo luogo a delle scelte, a dei giudizi che sono superficiali. Questi desideri, questi giudizi superficiali, ci fanno diventare superficiali e ci impediscono di diventare profondi. Quindi come noi sentiamo il richiamo della luce, ad un certo momento la nostra superficialità ci arresta e ci impedisce di andare oltre; a causa di quello che abbiamo fatto. Per cui, siccome noi naturalmente non vediamo la Verità, se ci comportiamo secondo quello che vediamo naturalmente o sentiamo naturalmente, abbiamo la superficialità. Se invece superiamo questa apparenza e cerchiamo il giudizio di Dio, c'è la profondità.

Cina: Stasera ho percepito la spiegazione dell’albero della vita come non l'avevo mai sentita. La conoscenza del bene e del male non l'ho mai capita così chiaramente; non avevo mai capito cosi chiaramente cosa dovevo fare: non devo agire secondo l'io.

Luigi: Si, “Non mangiare di questi frutti”; la pianta c'è ma non dobbiamo mangiare di questi frutti.

Cina: Ma dalla lettura del brano della Bibbia non è cosi chiaro…

Luigi: Perché non dobbiamo fermarci alla superficie.

Cina: La spiegazione che ci viene dal catechismo dice che la conoscenza del bene e del male è solo il Signore che la guida. È come una scatola che appartiene a Lui, nessuno deve toccarla. Io la interpretavo cosi, non mi insegnava a non riferire a me stessa, mi indicava la sottomissione a Dio.

Luigi: Infatti noi dobbiamo essere sottomessi a Dio in tutto; quindi mai fermarci a ciò che sentiamo, a quello che desideriamo, ma sottomettere tutto a Dio.

Pinuccia: Cosa significa: “Che non mangi il frutto della vita perché non abbia a vivere”? Sembra una contraddizione…

Luigi: Ma non è quell’albero! Ci sono due alberi: c'è l'albero della vita e l'albero della scienza del bene e del male; dell’albero della scienza del bene e del male non ne devi mangiare, dell’albero della vita si.

Pinuccia: L'albero della scienza del bene e del male è il pensiero del nostro io?

Luigi: Si.

Pinuccia: E di questo non ne dobbiamo mangiare i frutti perché se no moriamo.

Luigi: Non dobbiamo comportarci secondo il nostro io.

Pinuccia: E l'albero della vita?

Luigi: È Lui.

Pinuccia: Perché allora dice di non mangiarli?

Luigi: Perché in conseguenza del peccato non puoi più mangiarli. Il cielo è chiuso.

Pinuccia: Quindi sembra che Dio dica che non vuole che viviamo; invece Lui vuole che viviamo.

Luigi: Ma in conseguenza del peccato l'uomo non vive più: la morte è entrata.

Pinuccia: Ma Lui vuole salvarci.

Luigi: Certo, Lui vuole salvarci; all’inizio "Dio non creò la morte, la morte è entrata a causa del peccato". E cos’è questa morte? L'uomo non può più nutrirsi della vita.

Gli uomini hanno operato il male e non possono più seguire la luce; per cui si comportano secondo il loro io.

Pinuccia: Invece prima di mangiare i frutti dell’albero della scienza del bene e del male avrebbe potuto mangiare i frutti dell’albero della vita….

Luigi: Li mangiava; tutte le sere il Signore scendeva a passeggiare con Adamo all’aria della sera; vuol dire che raccoglieva con Dio e aveva il nutrimento.

Emma: Gesù dice: “Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue non avrete in voi la vita”.

Luigi: Mangiare vuol sempre dire assimilare; quindi essendo noi precipitati nella schiavitù della carne e del sangue, il Figlio di Dio si fa carne; ma dobbiamo assimilare.

(Interruzione per l'arrivo di Eligio).

Luigi: Stasera abbiamo commentato l'ultimo passo del discorso di Nicodemo, del discorso di Gesù, la chiusura. “Chiunque infatti fa il male odia la luce e non si mette in luce perché le sue opere non siano conosciute per quello che valgono; ma colui che attua la Verità, si mette in luce in modo che le sue opere si rivelino come compiute in Dio”.

Qui il discorso è lungo ed è abbastanza difficile, però la traduzione dal latino lo rende più chiaro. “Chi agisce malamente non arriva alla luce perché le sue opere non siano rimproverate”, ... per non essere rimproverato. Perché l'uomo resta schiavo del suo io, di ciò che ha fatto (per fare si intende anche pensiero, parola, azione). L'uomo fa male, cioè agisce malamente, tutte le volte che agisce in modo autonomo. Invece “Chi fa la Verità”, e non si può fare la Verità se non la si vede, vuol dire qualcosa di diverso; perché per fare la Verità, come la intendiamo noi, bisogna vederla la Verità, allora si fa. Quindi stasera commentando abbiamo ritenuto che fare la Verità vuol dire cercare la Verità, cioè chi ha sete di Verità, fa la Verità e allora giunge alla luce, perché non vuole agire autonomamente. Allora chi ha desiderio di Verità, non si permette di agire autonomamente, ma in tutte le cose cerca il Pensiero di Dio, la volontà di Dio, il desiderio di Dio, cerca che le sue opere siano giustificate in Dio, non vuole che siano giustificate in altro. Allora, chi opera nel pensiero del suo io non fa la verità.

Commentavamo con Cina, che questa sera ha fatto una grande scoperta: il significato dell’albero del bene e del male.

Cina: È una cosa che mi portavo dietro da tutta la vita…

Luigi: Dica che cosa ha capito…

Cina: Ho capito che non devo agire secondo l'io, devo essere sottomessa a Dio.

Luigi: Si, quindi mangiare dei frutti dell’albero del bene e del male, vuol dire lasciarsi guidare da quello che noi, nel pensiero del nostro io, giudichiamo, valutiamo secondo le apparenze. Bisogna tener presente che noi, naturalmente, non vediamo la Verità, quindi tutto quello che noi vediamo, che conosciamo naturalmente è superficialità. Se noi quindi ci comportiamo secondo quello che appare al nostro io, ci nutriamo dell’albero del nostro io. Allora facciamo il male, agiamo malamente. Ora, agire malamente vuol dire agire superficialmente. Cioè tutte le volte che il nostro agire non parte da Dio ma parte dal nostro io agiamo superficialmente.

Siccome nel pensiero del nostro io diventiamo figli delle nostre opere, queste ci condizionano e ci impediscono di seguire la luce, i richiami della luce.

Dio fa sentire i richiami della sua luce anche nel nostro mondo superficiale, cattivo, del nostro io; li fa arrivare, però non possiamo seguire la luce. Perché quando la luce sconfessa il nostro agire, il nostro comportamento, il nostro parlare, le nostre scelte, noi ci tiriamo indietro perché non vogliamo essere sconfessati, perché c'è il nostro io.

Quindi soltanto se c'è in noi la preoccupazione, soltanto se facciamo la Verità, se desideriamo la Verità, cerchiamo la Verità, allora non abbiamo difficoltà ad essere sconfessati.

Questo ci fa anche capire la parte conclusiva del discorso con Nicodemo, dove il tema centrale è quello della rinascita, cioè la necessità dell’uomo nuovo; non si può rattoppare l'abito vecchio con uno nuovo; non si può vivere nel compromesso.

Bisogna nascere nuovi perché fintanto che siamo uomini vecchi, siamo uomini condizionati dalle azioni che abbiamo fatto, da queste nostre opere, che ci impediscono di andare oltre. Le opere superficiali sono i frutti dell’albero del bene e del male.

Cina: “Non avrai altro Dio al di fuori che me” vuol dire non avere altri moventi…

Luigi: Certo, perché noi a parole diciamo: “Io sono il Signore Dio tuo …” e poi continuamente abbiamo altri moventi, abbiamo un altro Dio. Perché Dio è il vero movente, ma deve essere il nostro vero movente. E quando dice: “Non avrai altro Dio” vuol dire: “Non avrai altro movente nella tua vita”. La superficialità è data dal movente diverso da Dio. Prima Cina diceva: “Beato colui che è profondo! Purtroppo ci sono delle nature superficiali, c'è chi è superficiale e chi è profondo”. Non è vero! Noi possiamo avere delle creature profondissime, ma che se non interrogano Dio, se hanno altri moventi diventano superficiali, perché la superficialità è data dall’apparenza.

Quando io mi comporto secondo il mio io, fossi anche la creatura più profonda del mondo divento la creatura più superficiale di questo mondo. Invece la vera profondità è Dio. Se noi interroghiamo Dio, anche se siamo superficiali, interrogandolo ci fa profondi, perché non ci lascia tranquilli fintanto che non vediamo la ragione, il significato in Dio. È la creatura che piange fintanto che non vede il suo volto. Ecco la creatura profonda vuole vedere il volto di Dio. Questa profondità è Dio che la fa, non c'è nessuna scienza umana che ti può dare questa profondità.

Cina: Guarire dalla superficialità è come guarire da una piaga.

Luigi: Si, certo. Ma è Dio che ti guarisce, se cerchi Lui in tutte le cose, se hai Lui come movente, e non vuoi essere mossa da altro; perché bisogna che ci sia questa ribellione: non voler altro Dio nella tua vita. E allora in tutte le cose cerchi il significato presso Dio, cerchi e interroghi Dio, ti muovi secondo Dio, quello ti fa figlia, figlia di Dio.

E Dio chiede a noi di superarci dicendo: “I miei pensieri non sono mai i vostri, la mia volontà non è la tua, i miei desideri non sono i tuoi”; ci impegna, per cui “non confondermi mai con te; quindi non lasciarti guidare dai tuoi sentimenti, dalle tue intenzioni, da quello che tu ritieni giusto, da quello che tu ritieni vero, perché in questo caso tu confondi il mio pensiero con il tuo, il mio sentire con il tuo sentire, i miei desideri con i tuoi desideri, la mia volontà con la tua, non confondere mai!”. Pur essendo vicinissimo a noi Dio non si confonde mai con noi.

Questo vuol dire che richiede sempre un interessamento; per cui noi non vediamo la sua luce se di proposito non cerchiamo personalmente la sua luce. Non c'è nessuno che possa dare a noi la luce che ci può dare Dio. Per cui se noi personalmente non interroghiamo Dio, abbiamo altri moventi, e questo ci fa superficiali.

Pinuccia: E con questo si conclude il discorso di Gesù con Nicodemo?

Luigi: Si, quest'ultima frase conclude il discorso con Nicodemo. Gli dimostra la necessità della rinascita, perché l'uomo non si può imbastire. L'uomo nel pensiero del suo io si taglia la strada della luce, per cui si chiude sempre più in una prigione. Però anche in questa prigione la luce arriva, perché Dio arriva dappertutto, per cui riceve il raggio di luce ma non può uscire. Tutto questo per dimostrargli la necessità della rinascita, dell’uomo nuovo.

Pinuccia: Questa rinascita però è un processo lungo; non è che l'uomo decida: “Voglio rinascere”, è un processo di conoscenza, di seguire il Cristo ..

Luigi: No, la rinascita richiede prima di tutto la giustizia essenziale, questo Pensiero di Dio messo al centro dei nostri interessi, della vita. Questo desiderio ci porta al Cristo e il Cristo è quello che ci porta a morire a noi stessi, ci porta alla Pentecoste: ecco l'uomo nuovo. Comunque si tratta di imparare a pensare, a parlare, ad agire secondo Dio, secondo la volontà di Dio. Bisogna imparare a vivere in comunione con Dio. Si deve mangiare dell’albero della vita. Mentre invece, in conseguenza del peccato, si resta esclusi dal mangiare i frutti dell’albero della vita.

Emma: Ma io non riesco a cogliere…

Luigi: Il fatto di desiderare è già positivo, cioè esprime che c'è una promessa di Dio. Tu non desidereresti se Dio già non ti avesse fatto vedere qualche cosa di desiderabile. Quindi se desideri capire fai la verità. La Verità si fa desiderandola. La fonte vera dell’azione sta nel desiderio. Ora se Dio ti fa desiderare vuol dire che Dio ti ha promesso qualcosa.

Certamente Lui mantiene le promesse, l'importante è che tu coltivi questo desiderio, che non lo soffochi. Perché può succedere di soffocare il desiderio. Se ad esempio tu ti diverti, riempi la tua giornata di sciocchezze, allora il tuo desiderio lo perdi; e ad un certo momento te lo senti lontano, astratto, e non ti dice più niente. Avverti ancora il desiderio, ma come un sogno lontano che ormai non ti attrae più; c'è tanta altra roba in mezzo, si sono accumulate tante cose.

Per cui, tutte le parole sciocche che diciamo, ad un certo momento creano una montagna tra noi e il vero desiderio. E quel desiderio diventa lontano, un sogno sempre più lontano. È la creatura sognata che tramonta. Ecco perché l'uomo muore sempre nella tristezza, perché parte con un grande sogno e poi poco per volta il sogno svanisce.

Ma come mai tutto questo svanire? Sono tutti i nostri prodotti che costituiscono la montagna che ci divide dal desiderio.

L'importante dunque è non parlare un linguaggio diverso dal desiderio essenziale che Dio ha formato in noi.

Diventiamo schiavi delle nostre parole, e anche col pensiero si parla.

Pinuccia: Possiamo star zitti con la bocca e...

Luigi: Il vero silenzio è ancora un altro.