HOME

HOME

 

 

 

 

 


Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui Spirito. Gv 3 Vs 17


Titolo: Salvezza non giudizio.


Argomenti: La rinascita da Dio – L’anima del deserto – L’evidenziazione della fame essenziale – Semplificazione d’interessi – La salvezza non è automatica – Attribuire tutto a Dio – Amare è donare il proprio pensiero – Il desiderio di Dio è grazia di Dio – Le esigenze della Verità – Materializzare – Può salire al cielo solo chi discende – Rivelare il Padre – Seguire la Parola è comprenderla – Permanere nell’ascolto -


20/Febbraio/1977


 

Dall’esposizione di Luigi Bracco

Cercherò di essere breve perché mi hanno detto che sono troppo lungo! Questa sera ci fermeremo sul versetto 17, però se c'è ancora qualcosa da chiedere sul versetto precedente fate pure.

Eligio: Vorrei chiederti un chiarimento sul significato delle parole: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto”. Cioè che significato ha il deserto?

Luigi: È il processo di rinascita; tutto l'argomento di Nicodemo è impostato sulla necessità della rinascita per vedere. Perché Nicodemo era entrato in scena dicendo di vedere e Gesù lo convince di essere cieco e gli dimostra che per vedere è necessario rinascere e rinascere da Dio. Quindi tutto va visto sotto questo aspetto: la rinascita da Dio, la vita nuova secondo Dio. Allora anche il deserto deve essere visto in funzione di questa rinascita.

Cerchiamo prima di tutto di vedere quale sia l'anima del deserto, perché noi possiamo anche essere in un deserto e avere l'animo pieno di mondo. Allora qual è l'anima del deserto? Il deserto lo definirei in questi termini, pensando anche al deserto in cui Gesù fu sospinto dallo Spirito dopo il battesimo, è il luogo in cui si evidenzia la fame essenziale. Cioè il deserto è distacco da tutto ed è evidenziazione in noi della fame essenziale perché vivendo nel mondo noi abbiamo molte fami per cui non si evidenzia la fame essenziale, per cui abbiamo la dispersione di interessi, di forze, di concentrazione di pensiero che è un po’ il dramma della nostra vita in quanto non mettiamo prima di tutto quello che va messo prima di tutto.

Ecco allora la necessità del distacco, della solitudine, della prova del deserto.

Noi vediamo nella nostra vita che Dio ha un’infinità di mezzi per far toccare con mano ad ognuno di noi il deserto, la solitudine; non è necessario portarci nel Sahara per farci sperimentare il deserto, anche in una Torino, in una Milano, in una Parigi, in una Roma, Dio ci può sprofondare nella solitudine, nel deserto anche in mezzo ad una folla fittissima. Quindi il deserto come anima ha questa funzione: quella di staccarci dall’interesse di tutte le altre cose, per cui rientriamo in quella beatitudine di cui parla Gesù: “Beati voi quando diranno male di voi, quando vi perseguiteranno, quando sarete gettati nel deserto” perché li si evidenzierà il vero bisogno, il nostro niente, la nostra povertà.

Ecco la funzione di tutto l'Antico Testamento, che è la funzione del deserto. A questo punto possiamo anche capire perché al centro di tutto l'Antico Testamento abbiamo il trasferimento del popolo ebraico dall’Egitto e il suo vagare per quarant’anni nel deserto.

Il deserto è l’equivalente alla funzione di una disgrazia, di una malattia, della solitudine, il fatto di sentirci abbandonati da tutti, quella di evidenziarci il vero bisogno, la vera nostra povertà che il mondo non può supplire, perché non può rispondere al nostro bisogno: la fame di Dio.

Eligio: Quindi il Figlio dell’uomo può solo essere innalzato come il serpente nel deserto.

Luigi: Mettendoci in evidenza la fame essenziale, ecco che s’innalza in noi il Figlio di Dio, il Verbo di Dio; perché se noi prendiamo coscienza che il vero nostro bisogno è toccare qualcosa di Dio, ecco che in noi balzerebbe in primo piano l'interesse per Dio.

Nel mondo siamo dispersi in tanti valori ma che sono tutti allo stesso livello, la parola di Dio mi dice: “Mettimi in alto”. Gli eventi della vita ci portano via tutti gli altri valori e ci lasciano soltanto più quello, per cui quello resta in alto (essere in alto vuol dire essere al centro). Possiamo dire che il processo della vita è un processo di semplificazione, da parte di Dio, perché noi possiamo legarci ad altri interessi, ma da parte di Dio c'è questo processo di spogliamento, di allontanamento, di semplificazione di interessi. All’inizio noi abbiamo una infinità di interessi, man mano che si vive gli interessi si selezionano (uno lascia cadere quello, lascia cadere quell’altro, l'altro si perde), e all’ultimo viene evidenziato un interesse solo.

Dio evidenzia in ognuno di noi, attraverso la nostra vita, Se stesso come soluzione della vita, come Colui da cui dipende tutto di noi: è il processo di deserto.

Dio opera quel processo di valorizzazione che avremmo dovuto fare noi all’inizio, perché già dall’inizio Dio ci invita a metterlo prima di tutto (è il vento soave), e se non lo facciamo poi ce lo impone (l’uragano).

Dio ci propone la valorizzazione del Pensiero di Dio, di mettere in alto il Pensiero di Dio: “Ama il Signore Dio tuo con tutta la tua mente…”, nelle nostre città, dove noi siamo dispersi in tanti valori, Dio ci ordina: “Ama il Signore Dio tuo con tutta la tua mente”, metti Dio in alto nella tua vita.

Noi invece continuiamo nella nostra dispersione e allora Dio fa Lui quello che noi non siamo stati capaci di fare; quindi Lui comincia a togliere tutto quello che ci distrae da Lui. All’ultimo resta solo Lui: questa è l'opera di Dio.

Però non è sufficiente perché è necessario che noi guardiamo a quest’unico valore, che noi ci rivolgiamo, che noi aderiamo a quest’unico valore; perché anche se Lui ci toglie tutto, noi possiamo anche girarci indietro a quello che abbiamo perso, anziché guardare a Dio.

Da parte di Dio c’è l'opera di evidenziazione, di valorizzazione per cui Lui si presenta come l'unico valore dal quale dipende tutto di noi, quindi la lezione Lui ce la dà, però chiede da parte nostra l'adesione.

Eligio: “Affinché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna”, però se uno l'ha già innalzato, invece non è sufficiente.

Luigi: E no, perché l'opera di Dio chiede sempre a noi un atto di adesione continua da parte nostra; non basta innalzarlo una volta sola, cioè Dio non ci salva automaticamente. Altrimenti Lui una parte la salverebbe e una parte la dannerebbe. Lui non ci salva automaticamente; Dio da parte sua fa tutto per salvarci, perché “Dio vuole che tutti si salvino”, quindi tutte le sue opere sono per salvare, però richiedono da parte della creatura il superamento del pensiero del nostro io.

Dio non ci può obbligare a fare il superamento del nostro io perché Lui stesso ce lo ha dato, cioè Lui non ci può rendere incoscienti dal momento che Lui ci ha fatti coscienti, però proprio la situazione nostra di essere coscienti, richiede questo superamento di noi stessi per riferire le cose a Dio, per mettere Dio al centro.

Quindi in un primo tempo abbiamo tanti valori e Dio che ci invita a mettere in alto il Pensiero di Lui, se lo facciamo, ecco che abbiamo una componente d’amore, oltre la fede, che sceglie Dio tra tutti gli altri interessi: allora abbiamo una componente personale.

Lì la vita diventa molto feconda, perché c'è tutta la partecipazione del nostro essere. Se invece noi continuiamo a disperderci, la Verità Lui la opera anche senza di noi, quindi Lui compie quella evidenziazione dei valori che in un primo tempo ha chiesto a noi; perché in un primo tempo Lui offre a noi la possibilità, poi Lui la fa.

Però anche se Lui la fa (ecco per quello che dicevo che la sua opera di evidenziazione coincide con la crocifissione, che è poi quel mettere in alto), presuppone sempre da parte nostra questa adesione, questa fede in Lui, al valore che Lui mi presenta (quindi il superamento).

Se invece noi restiamo nel pensiero del nostro io e non ci superiamo, la sua evidenziazione dell’unico valore, ci fa voltare indietro e allora il nostro io si ripiega su quello che ha perso inaugurando un processo di morte.

Da parte di Dio la presentazione c'è, ma senza l’atto di adesione da parte nostra, questa elevazione dello sguardo: “Guardate in alto, a ciò che Io vi metto in alto”, senza questo succede in noi un ripiegamento, inizia un processo di morte, perché noi tendiamo a vivere di ricordi, per recuperare quello che abbiamo perso. Naturalmente non recuperiamo assolutamente niente ma ci riduciamo sempre più al niente.

Eligio: Qual è il valore di questa affermazione per noi: “Nessuno è asceso al cielo se non Colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo che è in cielo”?

Luigi: Il valore è questo: che noi non dobbiamo mai attribuire niente a noi a livello di scoperta, di desiderio, di ricerca, ma sempre tutto riferire a Dio.

Ad esempio se in noi si forma il desiderio della Verità, della ricerca della Verità, non parliamo poi della scoperta, addirittura, non dobbiamo mai attribuirla a noi, “Sono io che desidero”, se desidero è perché la Verità mi attrae. Quindi noi non possiamo pensare niente di Dio se Dio per primo non viene a noi; per cui tutto quello che abbiamo, che ci eleva, che ci fa desiderare, che ci fa amare, che ci fa credere, è dono di Dio e lo dobbiamo riferire a Dio, non dobbiamo attribuirlo a noi. Per cui non dobbiamo mai dire: “Sono io che desidero, sono io che voglio, sono io che faccio”, no! Tu non faresti se Dio stesso non te lo facesse fare!

Noi siamo sempre in difetto rispetto alla grazia di Dio, rispetto al dono di Dio, quindi tutto quello che noi proviamo, desideriamo, sentiamo verso Dio, verso la Verità, verso la vita dello Spirito, è sempre una risposta difettosa alla sovrabbondanza della discesa della grazia di Dio verso di noi. È per evitarci di intendere che questo sia opera nostra: “Sono io che devo salire il monte, sono io che devo fare questo!”. No! La tua è sempre una risposta a una sollecitazione; per cui se Dio ti chiama, se Dio ti fa sentire la sua presenza, Dio ti dà la grazia per arrivare. Ad esempio, se Dio ti fa capire che Lui esiste, già ti chiama a conoscerlo altrimenti non ti farebbe nemmeno capire la sua esistenza. “Io credo che Dio esiste”, oppure “Suppongo..”, oppure, “Ho il problema di Dio”; tu non avresti il problema di Dio se Dio non fosse già arrivato a te e non ti avesse chiamato, perché altrimenti non te lo immagineresti nemmeno. Nessuno di noi può desiderare una cosa se non l'ha già prevista, se quella cosa non gli è già arrivata, se non gli è già stata offerta in vetrina, (ecco il monte della Trasfigurazione), per cui Dio si presenta, si fa pensare. Abbiamo visto la volta scorsa che: “Dio ha tanto amato il mondo”, che amare vuol dire donare il proprio pensiero. Però donare il proprio pensiero non vuol dire farci suo pensiero, Lui ci ha donato il suo Pensiero ma noi non siamo “suo Pensiero”, noi non siamo già nella vita eterna, noi non siamo già salvi, noi non siamo Dio, non siamo una cosa sola con Dio, ma abbiamo il dono di pensare Lui, Dio per noi non è un ignoto, Dio può esistere o può non esistere, però noi sappiamo cosa intendiamo quando parliamo di Dio; allora vuol dire che qualche cosa di Dio è già arrivato a noi, c'è stata l'esposizione nella vetrina del nostro passeggio, delle nostre strade, c'è stata la vetrina di Dio.

Per cui adesso noi possiamo desiderarlo, possiamo vedere quale prezzo si chiede per poter comperarlo, per poterlo avere, ci sarà tutta la problematica, però Lui si è già presentato.

In quanto Lui si è presentato, si è fatto pensare da noi, già ci ha chiamati, quindi abbiamo il cielo che discende sulla terra, nessuno di noi sale al cielo se prima il cielo non è disceso a chiamarci. Per cui se in noi si forma un desiderio, non dobbiamo attribuirlo a noi, ma è tutto grazia di Dio e se è grazia di Dio, Dio mi dà la possibilità, in quanto mi chiama, mi dà la possibilità, direi addirittura la promessa, la caparra, che posso arrivare là. Dio non inganna, l'inganno potrebbe essere ancora quando mi fa vedere una cosa e poi mi dice: “Stai fresco!”. No, in quanto Dio ci fa vedere una cosa, già ce la assicura, cioè ci dà la possibilità di ottenerla. Altrimenti non ce la farebbe nemmeno pensare, nemmeno intuire; ma se ce la fa vedere, se ci dà la possibilità di pensarlo è perché già vuole donarsi, e se vuole donarsi, ci dà tutti i mezzi possibili, naturalmente se noi rispondiamo all’esigenza della Verità; perché non è che la Verità in quanto si dona si modifichi, la Verità resta quella che è indipendentemente dall’uomo, e quindi ha tutte le sue esigenze. Però nonostante tutte le esigenze della Verità, Dio in quanto si fa pensare da noi, dà a noi la possibilità di arrivare a Lui: quindi ci chiama e ci dà la possibilità. È necessario sempre, tutto riferire a Lui, tutto quello che proviamo, noi siamo sempre in difetto, perché noi tendiamo sempre a materializzare, a scendere nel mondo, se invece in noi si provoca qualche cosa nei riguardi dello Spirito, nei riguardi del cielo, nei riguardi di Dio, tutto è già una conseguenza del cielo che è disceso a noi. Non ci sarebbe in noi nostalgia di cielo, se il cielo per primo non fosse disceso a noi; noi non avremmo desiderio di conoscere Dio se Dio per primo non ci avesse chiamati, non avesse dato a noi la possibilità. Ora per chiamarci deve dare a noi la possibilità di intendere, e quindi di avere già formato in noi la passione di cui abbiamo parlato la volta scorsa, attraverso cui Lui forma la capacità di intendere il suo Pensiero.

Eligio: Per salire al cielo, noi dobbiamo diventare “figlio dell’uomo”?

Luigi: No, noi possiamo salire solo con Lui.

Eligio: Ma dal testo non risulta che noi dobbiamo salire con Lui.

Luigi: Sì, perché “Nessuno è salito al cielo (nessuno sale al cielo), se non Colui che discende dal cielo, il Figlio dell’uomo che è in cielo”, il che vuol dire che noi siamo chiamati ad andare in cielo, in quanto ci presenta il cielo, in quanto ce lo presenta ci chiama; però non possiamo salire, perché “Nessuno può salire se non Colui che discende”, il che vuol dire che la grazia di salire in cielo ci è concessa solo da Colui che discende, la lezione personale sta li: che se non mi unisco a Colui che discende, cioè a Colui che è nel Padre, se non mi unisco a Lui, io non posso arrivare al Padre, ecco le esigenze della verità.

Eligio: Siamo già in un rapporto di Pentecoste.

Luigi: No, Pentecoste sarà quando seguendo Lui mi porterà in cielo, arriverò in cielo, “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e Colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo”. Ecco, abbiamo qui lo stesso concetto espresso in altri termini.

Gesù dice: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e Colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo”; rivelare il Padre vuol dire “portare in cielo” perché il Padre non viene a noi, è il Figlio che viene a noi (parabola del figliol prodigo, è l'azione di recupero), è il Figlio che viene a noi per portarci nel cielo del Padre, ma nessuno arriva al Padre se non per mezzo del Figlio. È sempre lo stesso concetto ripetuto, perché il Signore opera anche attraverso le parabole, sempre per poterci convincere, per dimostrarci ciò che dice.

Tutto questo per dire che: se siamo chiamati al cielo, e questo è dono del cielo, vuol dire che il cielo è già arrivato a noi; però per arrivare al cielo noi dobbiamo seguire, unirci, per cui: “Chi con Me non raccoglie disperde!”. Come facciamo a seguire Cristo?

Seguire Cristo vuol dire ascoltare le sue parole, perché non lo vediamo come un uomo per cui dico: “Adesso passa sulla strada e io gli cammino dietro!”, non posso fare questo! Allora come posso seguire il Cristo? Ascoltando le sue parole. Però non basta ascoltare, perché per restare con una persona, io devo comprendere quello che dice. Quindi è necessario che io ascolti, ma se dopo aver ascoltato penso ad altro, non posso restare con quella persona, anche se fisicamente siamo vicini, non riesco a rimanere con Lui, posso restare soltanto se comprendo quello che la persona mi dice. Quindi devo ascoltare e devo comprendere quello che la persona mi dice. Ora, più m’impegno a comprendere le parole che Gesù, Figlio di Dio, dice a me, e più, attraverso questa comprensione che è raccoglimento, Lui mi conduce a vedere il Padre, cioè mi porta al cielo. Ma come fa a portarmi al cielo? Mi porta al cielo perché Lui viene da cielo, non sono io che posso andare al cielo.

In altri termini Gesù dice: “Dove Io sono voi non potete venire”, vedi che esclude? Noi da soli non possiamo andare dove Lui è perché c'è un salto di qualità; e il salto di qualità sta li, che noi siamo nel pensiero del nostro io e Lui invece è il Pensiero di Dio, Pensiero del Padre. Quindi noi da soli non possiamo andare, abbiamo bisogno di Uno che ci porti ma è necessaria l'adesione, non basta l'opera di Dio, ci vuole sempre da parte nostra l'adesione, questo atto di seguire, questo restare. Lo vedremo poi nella Samaritana che arriva a vedere, a scoprire il Cristo “Colui che parla con te”, proprio perché è rimasta nell’ascolto di Colui che le parlava. Quindi se noi restiamo nell’ascolto, e ci vuole pazienza perché Gesù dice: “Con la pazienza arriverete a salvare le vostre anime”; questa pazienza sta proprio nel permanere in ascolto. Lui conduce, ma è necessario che noi restiamo. Se invece noi siamo incostanti, non arriviamo a nessuna luce perché è necessaria questa costanza nell’ascolto. (Cina è il diminutivo di Costanza). È rimasto sufficientemente chiaro?

Eligio: Abbastanza, però non riesco a collocare “Se non capite le cose della terra come capirete le cose del cielo?” con il discorso di Nicodemo. Non riesco a capire la logica.

Luigi: La logica è sempre nella rinascita.

Eligio: Gesù dice: “Se non capite le cose della terra come capirete le cose del cielo” e poi dice “Nessuno è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo” non riesco a collegarlo.

Luigi: Vedi che è tutto collegato? Al “Vento che soffia dove vuole per cui ne odi il rumore però non sai donde venga e dove vada” è legato al concetto della rinascita; la rinascita ci viene proposta, per cui abbiamo l'opera di Dio che arriva a noi ma noi non la comprendiamo però ci è stato annunciata.

Ad esempio, l'annuncio della vita secondo Dio, giunge a tutti: è il vento. Tu non ti devi stupire, mentre Nicodemo si stupisce “Ma come può accadere questo?”, “Tu sei maestro e non capisci questo?”, ma la condizione della rinascita è proprio quella di far arrivare l'annuncio per portare l'allievo a capire. Il capire è l'inizio della rinascita, perché Gesù fa coincidere: “Se uno non rinasce da Dio non vede”, quindi capire è rinascere, è soggetto alla rinascita. Allora il precetto che il maestro insegna all’allievo cosa fa? Il maestro svolge la funzione del vento, fa giungere all’allievo il soffio, la parola, l'annuncio di quello che lui gli vuole comunicare; se l'allievo resta in ascolto, continua l'ascolto, allora poco per volta il maestro lo condurrà a vedere il suo pensiero. Ora, il maestro è uno solo, è Dio; Dio fa arrivare a noi il soffio di Se stesso, e noi sentiamo l'annuncio, però non comprendiamo; però se restiamo in ascolto di Lui, Lui ci conduce a capire.

Il che vuol dire che abbiamo un processo di discesa verso la creatura:

·         come arriva a contatto della creatura, questo Essere che discende si annuncia;

·         se la creatura aderisce all’annuncio, all’ascolto, Lui la porta su a vedere il suo Pensiero.

È inserito in questo contesto, non so se ho reso l'idea.

Eligio: Hai fatto una sintesi stupenda, ma è la sintesi di uno che è ben inserito in questa realtà.

Luigi: Cosa hai capito di questo discorso? Cosa ti resta? Cioè praticamente quale proposito ti suscita? Vedi una via, un aiuto in questo discorso?

Emma: Ho capito che bisogna risalire a Lui.

Luigi: No, abbiamo detto che risalire consiste in questo permanere, cioè nell’andare dietro con pazienza alle sue parole; cercando di capirle, è questa la cosa importante. Perché noi possiamo credere di andare dietro a Cristo, magari imitando Cristo, e questo non è capire. Oppure cerchiamo di ricordare le parole, me le scrivo, faccio il bigliettino, le registro, mi sforzo di ricordare: non è questo! Perché il Signore parla, prima di tutto Lui parla alle sue creature quindi dà a noi la possibilità di capire, altrimenti non parlerebbe nemmeno! Ma chiede a noi di capire quello che Lui dice. Ora, ci sono delle parole molto semplici e ci sono delle parole difficilissime. Io ritengo che il giorno in cui noi arrivassimo a capire, perfettamente, tutte le parole di Gesù, noi ci troveremo perfettamente in cielo. Tutta la fatica della nostra vita è di comprendere sempre di più le parole di Gesù perché comprendendo restiamo, permaniamo nell’ascolto e Lui ci conduce a capire. La rivelazione è opera sua, all’ultimo noi diremo: “È stata tutta misericordia tua!”, “Tutto è stato dono tuo, grazia tua!”, perché effettivamente è Lui che ci conduce al cielo, perché è Lui che discende dal cielo, quindi scende al nostro livello, ci prende dalla situazione in cui ci troviamo, e tutto questo non ci deve spaventare. Perché per quanto noi siamo immersi in un abisso d’infedeltà, di incostanza, di instabilità, questo non fa paura, perché Lui scende in qualunque livello, l'importante è che noi ci agganciamo per quel poco che giunge a noi di Lui, cercando di fare attenzione, cercando di capire quella parolina, quel segno.

Noi non potremmo pensare Dio se Dio per primo non si fosse annunciato a noi; se mi arriva una lettera, non posso dubitare che qualcuno me l'abbia spedita, perché la lettera mi sorprende, mi arriva. Noi siamo creature, pulviscolo atmosferico e in questo pulviscolo atmosferico, matura un annuncio: Dio esiste. E queste creature, che sono come un filo d’erba che oggi c'è e domani non c'è più, che sono in balia del vento, degli eventi, a un certo momento pensano Dio; ma è Dio che è riuscito a fare questa meraviglia, questo miracolo, da farsi pensare da un pulviscolo atmosferico che dura magari un secondo.

Quindi se noi pensiamo Dio, non siamo noi che pensiamo Dio, è Dioin noi che si fa pensare, è li la meraviglia, comprendi?

Emma: Il fatto è che uno più si avvicina a Dio e più si sente peccatore.

Luigi: Certo, se tu pensi di andare sul Monviso, più lo guardi e più ti accorgi di essere a valle, perché noi tutte le forze le misuriamo nel pensiero del nostro io. Il bambino facendo “Brrrr” crede di essere campione del mondo, oppure sparando con le dita crede di uccidere tutti quanti; perché ognuno di noi si conosce in quanto si rapporta a un termine di paragone relativo a sé. Ora, se io mi rapporto a un essere inferiore mi credo superiore, ecco perché il Signore dice: “Non confrontatevi con gli uomini (affinché non ci esaltiamo) ma confrontatevi con Me”.

Noi dobbiamo sempre misurarci con Dio; ma misurandoci con Dio in noi scatta fuori, noi scopriamo e questo ci conduce all’argomento di questa sera che è il versetto 17: “Dio non ha mandato il Figlio suo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui”. Abbiamo detto prima che amare vuol dire donare il proprio pensiero, “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Pensiero” e noi stessi siamo la prova, siamo i testimoni di questo amore perché noi portiamo il Pensiero di Dio, noi possiamo pensare Dio, quindi Dio ha donato a noi, noi che siamo niente: ieri non eravamo ed ora siamo li che stiamo pensando Dio; ma è Dio che ci ha fatto questo dono, che ci ha dato la possibilità di pensarlo, quindi è dono d’amore.

Però ecco quello che succede, come noi ci fermiamo a pensare Dio, perché abbiamo la possibilità di pensare Dio, il Pensiero di Dio immediatamente ci fa scoprire la nostra miseria, il nostro niente, il nostro peccato, viene fuori il pensiero che quello sia una condanna; e più siamo nel pensiero del nostro io e più ci sentiamo condannati dal Pensiero stesso di Dio.

Ecco l'importanza di questa frase, però dico che Dio non ha donato suo Figlio al mondo per condannare, per giudicare, e noi non ci dobbiamo sentire giudicati.

Noi dobbiamo vedere tutta l'opera di Dio non come un giudizio su di noi, anche se il confronto ci mette a terra, ma dobbiamo vederlo come invito a camminare, sapendo che con Lui tutto è possibile.

L'Angelo dice: “Presso Dio nulla è impossibile”, lo dice alla Madonna; anche questo è una lezione per ognuno di noi. Noi diciamo: “Ma io ho il mio carattere non posso cambiare”, “Ma io ormai sono vecchio non posso migliorare”: niente è impossibile presso Dio, ecco l'importanza.

Se Dio viene e ti fa la proposta di salire sulla cima del Monviso, non lo fa per prenderti in giro, non lo fa per giudicare la tua debolezza, o per dirti: “Guarda che tu non arriverai mai là!”, non vederlo così perché sarebbe il pensiero del tuo io che te lo fa vedere così.

Vedilo invece come offerta: Dio è onnipotente, nulla è impossibile a Lui; quindi tu vedilo come atto di amore perché Lui opera per salvare e non per giudicare e quindi questo ti deve dare la fiducia, la speranza che arriverai, nonostante tutta la tua situazione perché Dio può far nuovo tutto ciò che è vecchio, l'importante è che la creatura aderisca.

Allora questo ci porta che, siccome Dio opera in questi termini qui, non per giudicare, ma per salvare, e “Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità”, ora siccome tutto è opera di Dio, tutto è opera del suo Figlio, tutta la creazione, tutto l'universo, tutta la storia, ma anche tutta la storia della nostra vita, è intrisa da questa sapienza divina, da questo Verbo che parla a noi in tutte le cose, tutta questa opera non va mai vista come giudizio, come condanna. Quindi anche le disgrazie, gli avvenimenti non dobbiamo mai vederli come una condanna, come un giudizio, come punizione di Dio, mai così! Perché erriamo l'interpretazione dei segni. Tutte queste opere qui sono lezioni di Dio che non sta a guardare la nostra miseria, la nostra povertà, la nostra incapacità ma che opera per poterci elevare fino al suo cielo. Quindi va sempre vista come opera di misericordia, come lezione personale. Quando dicono a Gesù di quella torre che è caduta a Gerusalemme, che ne ha presi diciotto sotto, il Signore dice: “Non crediate che quei diciotto fossero più peccatori degli altri in Gerusalemme. Io vi dico però che se non farete penitenza e non vi convertirete, morirete tutti allo stesso modo”, ecco la lezione, che è lezione di misericordia.

Quindi il Signore ha fatto cadere quella torre, li ha fatti morire affinché ognuno di noi rifletta e pensi che corre il rischio, se non si converte, di morire schiacciato dalle sue costruzioni.

Ecco però questa è lezione non è punizione per quel tale, non è castigo, ma è tutta opera di misericordia per salvarci; perché come ho detto Dio ci dà il suo Pensiero però, avendoci dato il suo Pensiero, con questo non ci ha trasformati in suo Pensiero.

Dio ci dà il suo Pensiero, desidera che noi diventiamo suo Pensiero e tutto il problema della nostra vita è diventare suo Pensiero. Il problema è quello, che Lui ci chiama a diventare figli suoi, ecco l'adozione. Ora, il figlio cos’è? È il pensiero del padre; il Figlio di Dio, il Cristo, è Pensiero del Padre; infatti Lui in tutte le sue cose, in tutte le sue manifestazioni, anche nei riguardi di sua madre, dice: “Sempre io mi debbo occupare delle cose che riguardano il Padre mio!”. E tutte le cose Lui sempre le incentra sul Padre, anche quando gli dicono: “Maestro non mangi?”, risponde “Ma il mio cibo è un altro”, richiama sempre il Padre: ecco, si vede il Figlio del Padre, il Pensiero del Padre. E noi tutti siamo chiamati a fare una cosa sola con Lui: “Affinché siano una cosa sola”. Essere una cosa sola cosa vuol dire? Vuol dire diventare Pensiero del Padre. Noi partiamo da una situazione in cui siamo pensiero di tante cose, soprattutto pensiero del nostro io e siamo chiamati a diventare pensiero di Dio. Per diventare Pensiero di Dio, Dio ci dà il suo Pensiero; ma ce lo dà. Il fatto di avere in noi il Pensiero di Dio, lo constatiamo perché possiamo pensare Dio. Quindi Dio per primo ha dato il suo dono d’amore, a delle creature che non si sa come risponderanno, se lo uccideranno, se lo manderanno in croce, perché questa è la condizione per cui le creature possano ricevere la grazia, la possibilità di diventare suo Pensiero. Quindi noi tutti abbiamo ricevuto il Pensiero di Dio per questo fine, per diventare anche noi Pensiero di Dio e tutta la nostra tribolazione sta in questo, in questa purificazione intima, in modo da essere trasformati in Pensiero di Dio. Abbiamo cercato di commentare questo passo: “Dio non ha mandato il Figlio suo nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui”. C’è altro?

Emma: Mi piace pensare che Lui ci ha amati per primo.

Luigi: Ah, beh questo è poco ma sicuro, perché altrimenti non avrebbe nemmeno l'esistenza.

Emma: È bellissima questa libertà che Dio ci lascia.

Luigi: No, ma non è la libertà che ci dà!

Emma: La libertà che ci dà di non seguirlo, di non ascoltarlo; deve essere proprio Onnipotente.

Luigi: La conoscenza deve essere effetto di convinzione e non di imposizione e allora per arrivare alla convinzione bisogna sempre lasciare la possibilità di sbagliare, altrimenti non si arriva alla convinzione. Attraverso l’imposizione non si arriva alla conoscenza! È sempre questo processo: siamo chiamati a diventare figli di Dio, Pensiero del Padre; la salvezza sta li. Ecco noi adesso potremo approfondire il concetto di salvezza. Come mai c'è questo concetto di salvezza? Il concetto di salvezza è associato al concetto di rischio: si parla di salvezza a uno che è a rischio. Nel rischio di affogare c'è il concetto di salvezza, non a uno che sta bene. In che cosa consiste il nostro rischio? Evidentemente se si parla di opera per salvare è perché la creatura si trova in un certo rischio. Ora, qual è il rischio in cui noi ci troviamo? Èil rischio del nostro io; per cui più noi ci chiudiamo nel nostro io e più noi perdiamo, perché la salvezza è assicurazione di vita, e noi perdiamo la vita. E in che cosa consiste questo perdere la vita? Perché niente di noi si annulla perché noi siamo creati da Dio e siccome Dio è solo “si”, non è come noi che siamo “si e no”, il che vuol dire che Dio non si smentisce. Ora, dal momento che Lui ci ha dato l'esistenza, non ci può più annullare. Se Lui ci annullasse, in un primo tempo ci vuole e in un secondo tempo non ci vuole più, se potesse annullarci, sarebbe “si e no” nello stesso tempo. Dal momento che ci ha dato l'esistenza, nascendo in un punto, da quel punto diventiamo eterni, siamo già, non possiamo più essere annullati. Però possiamo diventare pensiero di Dio o possiamo invece disperderci, essere schiavi di tutto e di tutti. Più noi ci fermiamo nel pensiero del nostro io, e più questo io cosa produce? Produce in noi un’attrazione, quindi un peso verso le creature più che verso il Creatore, per cui le creature, il mondo, gli argomenti del mondo, ci attraggono di più di quello che ci attrae Dio. Qui abbiamo il metro, il termometro per misurarci: fintanto che noi ci accorgiamo che gli argomenti del mondo ci attraggono di più, ci interessano di più dell’argomento Dio, vuol dire che noi siamo in balia del nostro io, vuol dire che noi siamo lontani dalla nostra salvezza, perché la salvezza sta in questa assicurazione di Dio, questa centralità su Dio. Dio va messo prima di tutto, qui è la salvezza, Lui è la Verità. Quindi quando in noi si forma il bisogno di Dio prima di tutto, allora noi siamo sulla strada della salvezza; ma fintanto che per noi pesano maggiormente le cose del mondo, ci interessano di più, ci sentiamo più attratti, vuol dire che noi siamo lontani, vuol dire che siamo ancora chiusi nel pensiero dell’io. Per questo dico che è il termometro con cui ognuno di noi si può misurare: sentendo il peso delle cose; mentre quando siamo inseriti nell’orientamento verso Dio, Dio è quello che pesa di più. Sant’Agostino dice: “Il mio amore è il mio peso”, perché noi misuriamo l'amore da una cosa che pesa su di noi; pesa non nel senso negativo, ma nel senso di attrazione. Quindi quando Dio ci attrae più di tutte le altre cose allora vuol dire che Dio nella nostra anima, nella nostra vita è al suo posto, è messo in alto, ci attrae più delle altre cose. Per cui, stiamo molto attenti soprattutto quando abbiamo del tempo per noi, in quella fedeltà nel poco, abbiamo quel tempo a disposizione per noi dobbiamo chiederci: “Ecco, in questo momento qui da che cosa sono attratto?”. Questo metro lo possiamo usare per qualsiasi cosa: se adesso io mi trovo qui, mi trovo là, mi trovo qua, è perché sono stato attratto da qualche cosa; infatti noi quando ci troviamo in qualche posto, è sempre in funzione di attrazione, di pesi, di argomenti che pesano su di noi. Allora, se in noi pesano di più gli argomenti del mondo, la nostra figura, il prestigio, la gloria, il nostro interesse, vuol dire che noi non siamo sulla strada della salvezza, perché la salvezza è la situazione in cui c'è questa centralità di Dio prima di tutto, questo desiderio di Dio sopra di tutto. Avendo questo desiderio sopra di tutto, questo anelito porta ad una conversione; il concetto vero di conversione è questo: un raccoglimento. Quando uno ha un interesse principale cosa fa? Tutte le cose che gli succedono le riporta sempre a quel suo interesse principale; e sempre tutto riferisce li, e sempre tutto porta li, allora li abbiamo il raccoglimento in Dio che è quel raccoglimento che poco per volta ci porta a diventare tutto Pensiero di Dio. Il Signore paragona il Pensiero di Dio al più piccolo dei segni (“come un granello di senape”), perché il Pensiero di Dio all’inizio è il più trascurato tra tutti i pensieri, tra tutti gli interessi; noi abbiamo tanti interessi, il Pensiero di Dio c'è, ma noi abbiamo tanti interessi. A un certo momento questo Pensiero deve grandeggiare, deve diventare l'unico valore, il centro di tutti i nostri interessi: il processo di salvezza si svolge in questi termini. Ecco per cui la necessità del superamento dell’io che è un lavoro cosciente, consapevole, costante, che richiede la partecipazione nostra perché con Dio non avviene mai niente di magico perché Dio opera per convincerci, altrimenti avrebbe creato gli animali. Ma Dio ha tutto l'universo a disposizione per creare degli animali. Lui opera per convincere e quindi per portarci alla sua conoscenza. Ecco la grande pazienza da parte di Dio, questo rispettare la nostra libertà, perché Dio opera per convinzione e la vita eterna è convinzione, è conoscenza di Verità quindi è possesso di Verità. Nella conoscenza si crea la vera forza, la vera fortezza, per cui lo Spirito di Verità, lo Spirito Santo è Spirito di fortezza; quando uno è convinto, non c'è più niente al mondo che pesi su di lui perché ormai porta questa forza con sé.

Cina: C'è una speranza grande!

Luigi: Dov’è questa speranza? Cioè che se Dio ci fa sentire qualche cosa ce la vuol dare, in questo senso la speranza.

Cina: Sta nel lasciarmi condurre, mi vuol far partecipare, perché mi vuole cosciente, vuole che io aderisca.

Luigi: Come ho già detto altre volte, Dio è con noi, Dio è già con noi, infatti abbiamo già il Pensiero di Dio con noi, lo possiamo pensare; siamo noi che non siamo con Lui. In quanto Lui è con noi, ci chiama ad essere con Lui come Lui è con noi. Lui comprende noi, ma ci chiama a comprenderlo come Lui comprende noi; Lui ci conosce, ma ci chiama a conoscerlo come Lui conosce noi; Lui pensa a noi ma chiama noi a essere Pensiero suo come Lui è pensiero nostro, comprendi? Tutta la difficoltà sta nell’arrivare a questo livello al quale Lui ci chiama; noi siamo chiamati a diventare Pensiero di Dio per adozione, ma Pensiero di Dio, in modo da vedere tutto in Dio, ad essere Pensiero di Dio, Pensiero del Padre. Solo allora si diventa Pensiero del Padre.

Cina: Isaia dice: “Il deserto fiorirà”; se uno si lascia condurre.

Luigi: Certo, perché il deserto è destinato a diventare un giardino; perché abbiamo visto che Dio ci conduce nel deserto, anche se noi non vogliamo andare, ma Dio ci conduce, perché Dio ha tutti i mezzi per farci esperimentare il deserto (disgrazie, malattie, fallimenti). Però quel deserto è per farci toccare con mano la fame, l'essenziale e questo per portarci alla fioritura. Quindi Dio non ci conduce nel deserto per giudicarci perché altrimenti sarebbe in contraddizione con Se stesso, perché Dio non opera per giudicare il mondo, ma non vuole neanche che noi riteniamo che la sua opera sia per giudicarci, questo lo dice per ognuno di noi. C'è sempre la speranza in quanto Lui opera per salvarci; quindi Lui ci conduce nel deserto non per farci prostrare nel deserto, per farci morire nel deserto. Gli Ebrei dicono: “Ci hai condotti nel deserto, mentre nell’Egitto stavamo bene, mangiavamo la carne e ci hai condotti nel deserto per morire”. No, Dio non ci conduce nel deserto per morire, ma per farci vivere; il deserto è la condizione per farci entrare nella terra promessa; quindi il deserto è in funzione del giardino: “Il deserto fiorirà”, questa è l'opera di Dio! Perché Dio non opera per giudicarci. “Ci hai condotti nel deserto per farci morire; allora per condannarci, per giudicarci, per farci toccare con mano quello che siamo!”. No! Se anche Dio ci conduce a toccare con mano quello che siamo, a sperimentare la nostra povertà, non dobbiamo vederlo come giudizio, ma sempre come apertura; la nostra povertà è sempre in funzione del bisogno: “Beati i poveri dello Spirito!”. Ecco, sempre in funzione di ciò di cui veramente abbiamo bisogno. L’essere povero non sta nel dire: “Io sono povero”; no! “Io ho bisogno di”; sta in questa evidenziazione di fame, di ciò di cui veramente abbiamo bisogno, perché soltanto evidenziando quello di cui abbiamo veramente bisogno ci apriamo alla salvezza, quindi alla vita.

Il nostro rischio di perire sta nel confondere le fami, nel ritenere di aver bisogno di mangiare la carne tutti i giorni; “Io ho bisogno di bere, io ho bisogno della tale persona, io ho bisogno del tale denaro, della tale ricchezza, della tale assicurazione, della tale carriera”; ecco in cosa consiste il nostro morire. Allora il Signore comincia a tagliare per evidenziare: “Guarda quello di cui tu hai bisogno”. Nemmeno la salute dobbiamo mettere al primo posto perché “Tu hai bisogno di questo: hai bisogno di toccare Dio”; ora ma tutto questo lo fa unicamente per portarci alla vita, per salvarci, non lo fa per demolirci, ma lo fa per salvarci, perché soltanto in quanto si forma in noi questa coscienza, questo vero bisogno che poi ci libera da tutti gli altri bisogni. “Cercate prima di tutto il Regno di Dio”: questo è il vero bisogno, che addirittura si deve far passare al di sopra del bisogno del mangiare e del vestire; “Non preoccupatevi! I peccatori si preoccupano di questo. Ma voi cercate prima di tutto il Regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato in soprappiù”. Guarda che liberazione: “Tutto il resto vi sarà dato in soprappiù”, è Parola di Dio. “Tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù! Ma cercate il Regno di Dio”, questa è la vera fame che noi ignoriamo. Per cui noi ci preoccupiamo di tutto il resto, ignoriamo la vera fame ed è proprio allora che veramente moriamo!

Cina: Il più delle volte non si capiscono le lezioni. Quando si capiscono, anche la prova fa meno paura; il problema è quando non si capisce!

Luigi: Ma vedi Cina, più uno ha pazienza di restare alla Sua scuola, e più Lui ti conduce a capire. Lui ci fa vedere il suo Regno e più noi vediamo il suo Regno e più noi cominciamo a godere di libertà perché cominciamo a capire: “Ma Dio veramente esiste! Ma Dio veramente opera! Dio non è lontano! Dio non ci ignora! Allora di che cosa dobbiamo ancora temere – dice San Paolo – di che cosa dobbiamo ancora aver paura? Ma non abbiate nemmeno paura di coloro che possono uccidere il corpo, perché nemmeno un capello cade senza che il Padre vostro lo voglia. Quindi non abbiate paura delle parole che dicono gli uomini, delle minacce; anche se vivete in campo nemico, ma non abbiate paura di niente perché niente si può fare su di voi senza l'opera di Dio! Di che cosa dovete aver paura?”. Ora tu capisci che più uno sta alla scuola di Dio e più Dio lo conduce a vedere questa Verità e il vedere questa Verità lo libera; il processo di liberazione avviene in questo modo. Come dico la libertà non è un atto magico, è scuola ed è la scuola che ti conduce alla liberazione; però se uno permane, segue, comprende.

Eligio: A volte le parole non esprimono la Verità.

Luigi: Le parole sono segni, e ognuno riveste questi segni di quello che ha dentro.

Eligio: Si fanno dei pasticci.

Luigi: Attraverso i pasticci, poco per volta, il Signore seleziona e mette in evidenza la vera fame.

Pinuccia: Noi siamo chiamati a diventare pensiero di Dio

Luigi: E per diventare pensiero di Dio, Dio ci ha dato il suo Pensiero.

Pinuccia: Vuol dire che tutto di noi deve essere Pensiero di Dio? È da parte nostra o è da parte di Dio che dobbiamo diventare tutto Pensiero di Dio? Oppure si arriva a un momento in cui combaciano le cose? Oppure vuol dire che siamo chiamati a fare una cosa sola con Lui? Cioè che ci scopriamo pensati da Dio in tutto? Noi siamo chiamati a diventare pensiero di Dio, ma noi in Dio siamo già Pensiero di Dio.

Luigi: Ma vedi, Pensiero di Dio è il Figlio, è il Verbo; noi siamo chiamati a diventare figli di Dio. Il Verbo è Pensiero del Padre, Pensiero di Dio; noi non siamo Pensiero di Dio, noi abbiamo un Pensiero di Dio e poi siamo pensiero di tante altre cose. Tu pensa che noi diventiamo figli dei nostri pensieri.

Pinuccia: Il Figlio di Dio è Pensiero del Padre perché procede dal Padre.

Luigi: Si, è generato dal Padre.

Pinuccia: Noi siamo anche fatti dal Padre, pensati dal Padre.

Luigi: E lo so, noi siamo fatti dal Padre ma in modo inconsapevole; noi lo scopriamo qui che siamo inconsapevolmente opera del Padre.

Pinuccia: Allora diventare Pensiero di Dio vuol dire scoprire che tutto di noi è fatto da Lui?

Luigi: No, non basta. È proprio un rinascere da Dio; perché rinascendo da Dio, ed è una rinascita cosciente, si diventa figli di Dio; è rinascere. Ora questa però è una rinascita cosciente. Abbiamo già detto che abbiamo due nascite: una nascita inconsapevole, quella per cui tutti noi abbiamo la vita qui, quindi è una nascita senza di noi, noi siamo nati. E poi abbiamo una seconda nascita che non avviene senza di noi, perché è una nascita cosciente. Questa nascita, o rinascita da Dio, la quale ci fa figli di Dio, è una nascita nuova, quindi è una creatura nuova che nasce da Dio, consapevolmente, che richiede quindi da parte nostra l'adesione a Dio, l'interesse per Dio, un inizio nuovo e una vita nuova che si forma in noi da Dio: questo diventa Pensiero di Dio.

Pinuccia: Questa vita nuova consiste in questo partire sempre da Dio in tutti i nostri pensieri, parole, azioni?

Luigi: Certo, è una rinascita consapevole quindi continua. Cioè consapevolmente si diventa Pensiero di Dio; anziché avere tanti pensieri si diventa Pensiero di Dio.

Pinuccia: Questa è allora da parte nostra.

Luigi: Certo, è una rinascita consapevole, però non è un atto nostro, si richiede la partecipazione nostra, si richiede l'adesione nostra perché è un atto cosciente, però si nasce dal Padre, si nasce da Dio, si nasce da Dio. Ora, se si nasce da Dio, l'opera è di Dio, non è opera nostra però non è atto magico. Io non devo aspettare di nascere da Dio come si aspetta di nascere da suo padre e da sua madre, perché il Signore chiede la nostra adesione, perché è un atto cosciente, consapevole, i figli di Dio sono esseri consapevoli, lo sanno, non sono incoscienti. Quindi abbiamo tutta una nascita presso Dio, “Dio è Spirito e vuole adoratori in Spirito e Verità”, l'adozione in Spirito è essenzialmente un’adozione consapevole: è consapevolezza di essere figli del Padre. Si è figli del Padre in quanto tutto il nostro pensare è opera del Padre, il nostro parlare è opera del Padre, il nostro agire è opera del Padre. San Paolo dice: “Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me”.

Pinuccia: Siamo chiamati a diventare non solo Pensiero del Padre, ma parlare del Padre, vita del Padre, non solo Pensiero del Padre.

Luigi: Ma no, ma vedi, distinguiamo perché l'essenza della consapevolezza sta nel pensiero e noi, lo sappiamo tutti, che qualunque rapporto umano che noi abbiamo con le persone, andiamo sempre alla ricerca del pensiero: l'elemento determinante è il pensiero, mentre il resto è un appendice. Anche Dio opera in tutto l'universo, ma Dio è Pensiero. Quindi abbiamo questa maturazione consapevole e Dio vuole questo, il resto può esserci o può non esserci, la parola può esserci o può non esserci; mentre il pensiero non può esserci o non esserci, il pensiero deve esserci e se manca quello manca tutto. Quindi abbiamo l'essenzialità del pensiero, abbiamo un’azione, un parlare, un agire che è suplettivo e può esserci o può non esserci, è significazione di pensiero, ma se il pensiero non esiste, abbiamo tutte le recitazioni di questo mondo, possiamo avere le recitazioni di Dio ma non abbiamo Dio.

Pinuccia: Quindi il fatto di essere chiamati a diventare Pensiero di Dio vuol dire pensare a Dio sempre!

Luigi: Ma il fatto di pensare a Dio sempre è ancora una cosa diversa, perché non basta pensare a Dio sempre perché nel pensare Dio sempre siamo noi che pensiamo invece qui abbiamo il Padre che genera il Figlio, il Padre che genera il suo Pensiero. Ed è una cosa diversa, è il Padre che genera il suo Pensiero; per cui il Figlio constata continuamente di essere generato dal Padre, abbiamo la generazione dal Padre, è il Padre che vuole; non è che il Figlio dica: “Adesso penso al Padre”, non è il Figlio che pensa il Padre, ma è il Figlio che si sente pensato dal Padre, che si sente portato dal Padre, che si sente generato dal Padre, che si sente operato dal Padre perché: “Il Figlio non può fare niente se non lo vede fare dal Padre”, e poi sarà il Padre eventualmente che fa portare il Figlio a compimento l'opera che Lui ha iniziato, ma l'opera è sempre del Padre. Non saprei dire altro perché il Padre dona a noi suo Figlio e suo Figlio è Pensiero del Padre, Verbo del Padre, e questo noi lo notiamo in Cristo perché l'anima, l'essenza, il cuore del Cristo è il Padre. Tutta la sua vita, è tutta incentrata sul Padre, se da tutto il suo modo di comportamento noi togliamo il Padre, noi non capiamo più niente. Quindi noi abbiamo il Pensiero che Dio dona al mondo, e il mondo è ognuno di noi, il suo Figlio, quindi dona al mondo il suo Pensiero, perché? Per fare dell’uomo il suo Pensiero. E questo lo vediamo in Gesù stesso che chiede al Padre di farli una cosa sola con Lui, concetto di adozione. Già all’inizio del capitolo di San Giovanni è scritto che “A coloro che l'hanno accolto ha dato loro la possibilità - non li ha fatti- di diventare figli di Dio”. Cosa vuol dire diventare figli di Dio? Diventare Pensiero del Padre.

Pinuccia: Noi siamo chiamati a diventare pensiero.

Luigi: Pensiero del Padre.

Pinuccia: Pensiero del Padre, cioè una cosa sola con il Verbo, l'Unico Pensiero, perché Dio ha un solo Pensiero, suo Figlio.

Luigi: Certo, e noi siamo chiamati a diventare una cosa sola con Lui.

Pinuccia: E diventando Pensiero del Padre diventiamo una cosa sola con Gesù.

Luigi: Certo, diventiamo fratelli.

Pinuccia: È difficile capire questo; cioè c'è l'unità ma non c'è l'identità.

Luigi: No non ci identificheremo con Gesù perché noi non potremo mai dimenticare chi siamo. Noi nel pensiero di noi stessi capiamo che siamo stati creati perché la generazione è una generazione consapevole. Ora, questa nascita consapevole, è diversa dalla nascita naturale del Figlio di Dio, capisci? Per cui noi non possiamo non vedere che siamo nati da Dio per opera del Figlio di Dio. Per cui ci sarà questa riconoscenza infinita al Figlio di Dio che ci ha fatti figli di Dio: e questo resta! Questo non scompare!

Pinuccia: Volevo precisare questa unità con Lui: siamo una cosa sola.

Luigi: Nel Padre diventiamo una cosa sola.

Pinuccia: Però siamo tanti pensieri, ognuno di noi è chiamato a diventare Pensiero di Dio.

Luigi: Certo.

Pinuccia: Ma siamo diversi l'uno dall’altro.

Luigi: Ma nel Pensiero di Dio facciamo una cosa sola.

Emma: Tutte le cose sono pensiero.

Luigi: Tutte le cose devono avere il pensiero in una cosa sola; se noi, anche se siamo tanti, abbiamo un unico pensiero, un unico interesse, portiamo le estreme conseguenze di diventare una cosa sola; anche naturalmente parlando quello che unisce e quello che divide sono i pensieri. Tu prendi due persone che siano umanamente unite in matrimonio, ma hanno pensieri diversi, sono lontanissime perché quello che unisce è il pensiero. È un beato sogno il credere di essere uniti umanamente; il pensiero è come la meta, il cammino; “Domani mattina andiamo insieme”, “Sì ma io vado a Cuneo e tu vai a Torino; come facciamo a stare insieme?”, per quello che ci sono le separazioni, non può essere in modo diverso perché quello che unisce è la meta comune: ma la meta comune è il pensiero. Ora, solo se in noi c'è l'identità di pensiero, siccome Dio è uno solo, portandoci a Dio, è Dio che ci unisce, non è la nostra volontà che ci unisce. È un beato sogno, non bisogna far leva sulla volontà per unire gli uomini! Bisogna invece far leva su Dio. Soltanto in quanto gli uomini convergono a Dio saranno uniti, anche se volessero essere disuniti non potrebbero essere disuniti, devono unirsi perché Dio li unisce; è la passione per Dio che unisce. Ma se noi facessimo anche tutti i trattati di questo mondo, tutti i più santi propositi di questo mondo per unirci, noi domani mattina saremmo tutti disuniti. Ecco l'errore di far leva sui valori umani, sociali per creare le nostre comunioni e unioni, non si riesce a far niente e il Signore ci fa toccare con mano: “Guai all’uomo che confida nell’uomo”. Invece bisogna: “Cerca Dio è troverai la pace, cerca Dio e troverai l'unità, troverai la libertà”. Ma sempre questo: Cerca Dio! “Cerca prima di tutto il Regno di Dio e tutto il resto ti sarà dato in sovrappiù”, l'importante è non sbagliare la meta: la meta è Dio.

Emma: Si resta uniti nel Pensiero di Dio e poi ognuno svolge i compiti che Dio gli ha affidato.

Luigi: A poco per volta si crea l'identità di vita. anche se uno fosse in Cina e l'altro fosse in America o in Europa, se hanno lo stesso pensiero, a un certo momento si trovano vicinissimi, perché a poco per volta il pensiero conduce, ci fa uniti. Perché poi la vita in Dio è una sola. Come quando si va in montagna, si parte magari da posti diversi, ma se si va sulla stessa vetta, a un certo punto ci si trova gomito a gomito; si parte da sentieri diversi ma ci si trova allo stesso punto.

Ora, Dio è uno solo; e quando si incomincia a formare la passione per Dio, si comincia ad ascendere sulla montagna e ad un certo punto ci si trova vicinissimi.

Pinuccia: Siamo chiamati a diventare Pensiero di Dio vuol dire che siamo chiamati a generare il Pensiero di Dio in noi, quello che è avvenuto nella Madonna, deve avvenire in noi.

Luigi: Certo, certo.

Pinuccia: È Gesù che deve venire a nascere in noi e che deve crescere in noi.

Luigi: No, la cosa è ancora diversa. La funzione di Gesù è una funzione intermediatrice, la sua funzione è di salvezza. A un certo punto Gesù ci dice: “È necessario che io me ne vada” proprio per dare a noi la possibilità di rinascere dal Padre. La generazione del Verbo avviene dal Padre.

Pinuccia: Questa generazione non è la stessa cosa dell’essere chiamati a diventare Pensiero di Dio?

Luigi: No, perché non siamo noi che diventiamo suoi figli ma è Dio che ci fa suoi figli.

Rinascere per vedere

«In verità, in verità io ti dico: se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio», così quella notte Nicodemo si era sentito rimproverare da Gesù quando presentatosi a Lui gli aveva detto: «Maestro, noi sappiamo...» (Gv 3,2-3). Nicodemo credeva di sapere, e non sapeva; credeva di vedere e invece era cieco. In lui è rappresentata la situazione di ogni uomo, poiché ogni uomo cammina alla luce dei suoi argomenti che ritiene motivi sicuri per i suoi giudizi, le sue scelte di vita, i suoi programmi e le sue azioni, mentre è un povero cieco che brancola nel buio anche quando è infarcito di tutte le scienze del mondo.

Alla luce di Dio bisogna avvicinarsi più non sapendo che sapendo, più invocando che parlando. Questo voleva dire Gesù a Nicodemo fin dal principio di quella conversazione notturna per correggere la sua mentalità che gli impediva di accedere alla Sapienza divina. Più vero di Nicodemo era quel cieco che sulla strada di Gerico invocava Gesù: «Maestro, che io veda!» (Mc 10,51). Ecco due uomini a confronto: Nicodemo, maestro in Gerusalemme che crede di sapere, e un cieco, mendicante sulla strada di Gerico, che invoca di vedere. Quest'ultimo è molto più vicino alla luce che non il primo. Infatti Nicodemo dovrà essere riportato da Gesù a constatare la sua cecità ed a confessare la sua ignoranza prima di poter aprire la sua anima all'ascolto delle parole eterne, mentre il secondo si sente dire dal Maestro divino: «La tua fede ti ha salvato!». È quanto Gesù affermava al termine dell'episodio con il cieco nato: «Io sono venuto affinché coloro che sono ciechi vedano, e coloro che vedono diventino ciechi» (Gv 9,39).

 

g g g

 

L'uomo è tanto più vero quanto più sa la propria cecità e invoca la luce. In effetti l'uomo è un essere che si interroga, ma che non può darsi le risposte alle sue interrogazioni. Per questo egli sa, e deve sapere, la sua cecità. Egli sente il problema, lo subisce, ma non può risolverlo. Che cosa è l'uomo? Donde viene? Dove va? Che senso ha la sua esistenza? E l'esistenza di tutte le cose, di tutto l'universo? Perché c'è la sofferenza, la morte? Perché ama e perché odia? Che cosa vale affaticarsi, lottare, se la morte annulla tutto? Sono interrogativi che pesano sulla vita di ogni uomo fino ad annullargli ogni gioia, ogni entusiasmo, ogni passione, fino a caricarlo di una tristezza infinita, poiché tali interrogativi pesano e rodono le fondamenta di tutti gli edifici dell'uomo, anche se egli si rifiuta di pensarvi o si immerge nel ritmo implacabile della vita moderna, nel lavoro o nelle questioni del mondo e si riempie la vita di mille cose inutili pur di evitare di trovarsi solo con la propria coscienza. Tale problema esiste e pesa sull'anima dell'uomo e gli sgretola la vita anche se egli non ne parla o non vi pensa. Anzi tanto più pesa e logora quanto meno uno vi pensa.

 

g g g

 

Ma più che le risposte alle interrogazioni che si affacciano alla coscienza dell'uomo, è interessante riflettere sul perché l'uomo sente tali problemi suo malgrado ed abbia un bisogno inconscio di trovare una soluzione ad essi, una luce nella sua notte. Qual è il significato della presenza di tali problemi nell'uomo? Certamente un significato molto importante se si pensa che il sentire tali problemi caratterizza l'essere umano tra tutte le altre creature. È il significato della sua stessa esistenza e del suo destino. Il fatto di subire il peso di interrogazioni, di problemi ai quali non sa rispondere, rivela e testimonia che su di lui pesa un mondo superiore, e quindi ch'egli appartiene a due mondi di cui subisce l'influsso: uno superiore e l'altro inferiore, uno trascendente e l'altro dipendente. Ogni uomo è posto sotto un cielo e sopra una terra, e né l'uno né l'altra egli può ignorare, poiché li porta in sé, con sé: il cielo come interrogazione di ciò che accade in terra; la terra come luogo in cui vive.

 

g g g

 

L'uomo è un essere posto a cavallo di due mondi: un cielo e una terra dei quali egli porta in sé i messaggi. Il significato della terra è in cielo. Fintanto che l'uomo guarda solo alla terra non può intendere i! significato di tutto ciò che vede, sente, tocca, poiché le ragioni di tutto ciò che esiste ed accade non sono in terra, ma in cielo. Per questo l'uomo si trova sollecitato da interrogazioni senza avere la possibilità di rispondere ad esse. È il cielo che lo chiama e lo invita ad alzare gli occhi in alto, al disopra di se stesso. Fintanto infatti che l'uomo guarda a sé e pensa a sé, è costretto a guardare in basso, alla sua terra, e non può alzare gli occhi al cielo. Ma anche se non può alzare gli occhi al cielo, ciò non impedisce al cielo di fargli arrivare i suoi messaggi, i suoi annunci, e l'uomo non può non sentirsi interrogato e sollecitato. Poiché se l'uomo si interroga su cose alle quali non può rispondere, non si interroga, ma è interrogato.

 

g g g

 

Soltanto con l'apertura verso l'alto l'uomo si avvia alla soluzione dei suoi problemi e pone il germe di una nuova vita nella luce. Bisogna cioè rinascere dall'alto per vedere la luce. Per questo Gesù dice a Nicodemo: «Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio» (Gv 3,3). Fintanto che l'uomo non supera la propria zona di egocentrismo, questa vita vissuta nel e per il pensiero di se stessi, anche se egli chiama questo col nome di dovere, famiglia, onore, giustizia, carriera, istituzione, partito ecc. si trova sempre nell’impossibilità di accogliere la luce anche se non può ignorare le sollecitazioni della luce. «Molti senza volerlo riconoscere amano se stessi sopra ogni cosa e, più o meno coscientemente fanno convergere tutto a sé, come se essi fossero il centro di tutto. Secondo il Vangelo queste anime sono in uno stato di morte spirituale o di peccato mortale» scrive un grande teologo: il P. Garrigou Lagrange. E un altro grande teologo dei nostri giorni, Von Balthasar, aggiunge: «L'uomo giusto non può essere quello che ha posto se stesso come assoluto e che ha trovato in se stesso la propria misura; è piuttosto colui che ha trovato in Dio la propria misura e l'ha ricevuta da Dio».

 

g g g

 

La luce giunge fino all'uomo ovunque egli stia vivendo, e lo chiama facendogli capire l'errore e il male dell'egoismo e dell'orgoglio. È la luce che splende nelle tenebre dell'uomo e per la quale egli sa di non essere Dio, e quindi sa di fare una ingiustizia vivendo con il pensiero dei suo io al centro della sua vita.

Condizione per giungere a vedere la Verità di Dio è credere a tutto ciò che ci parla di essa, anche a ciò che oggi ancora non possiamo vedere né comprendere. È la via dell'ascolto e della fede, che il mondo non può seguire, poiché il mondo si ferma a ciò che appare ai suoi sensi. Chi si rifiuta di credere a ciò che non comprende, pretende di sottomettere a sé ciò che gli è superiore, e si pone quindi nell’impossibilità di giungere alla luce. È il peccato del mondo. Il peccato di non credere è il peccato di non mettere Dio al centro dei propri pensieri, di non accogliere ogni cosa da Dio e di non riferire ogni cosa a Dio, di non dare a Dio ciò che è di Dio. Chi non riferisce le cose a Dio non può accogliere la Parola di Dio.

 

g g g

 

Certamente c'è un mondo che è sotto di noi, sotto i nostri sensi e la nostra ragione, poiché questa è la condizione per restare in piedi. Ma se Dio ha posto qualcosa sotto di noi per aiutarci a camminare, non dobbiamo pensare, né pretendere, di sottoporre a noi tutte le cose di Dio. Non siamo noi la misura della Verità e non dobbiamo quindi pretendere di toccarla con le nostre mani e vederla con i nostri occhi: sarebbe un voler sottoporre Dio alle nostre esigenze e sottoporre la Verità alle nostre condizioni, mentre siamo noi che dobbiamo adeguarci e sottoporci alle esigenze di Dio. La luce si vede solo con la luce; Dio si conosce solo in Dio e per mezzo di Dio.

 

g g g

 

È Dio il rivelatore di se stesso. È Lui la sorgente della vita, della luce e della gioia vera di ogni uomo, e non noi. È questo il passaggio che attende ogni uomo nel cammino della sua vita. Passaggio che è rappresentato dalla Pasqua. Così se prima di Pasqua la Verità di Dio scende a dialogare con l'uomo in parabole e si offre all'uomo per ristabilire un dialogo con lui in quei termini che gli sono accessibili nel pensiero di sé e del suo mondo, dopo è l'uomo che avendo superato il pensiero di sé, si deve offrire alla Verità di Dio per giungere a vederla nel suo cielo. Il Signore risorgendo da morte ci introduce, se siamo morti con Lui al mondo, su questo nuovo cammino in cui non si avanza più a tentoni guidati dalle nozioni dei sensi e dei sentimenti che ogni uomo esperimenta e porta con sé; ma fatti ormai attenti alle cose che non si vedono e non si toccano, e si capisce perché non si vedono e non si toccano, si cerca la Verità di Dio sempre più in Dio e solo in Dio.

È questo il cammino che ormai prosegue al di là della mentalità del mondo per condurre l’anima alla sua nuova nascita ed alla sua nuova vita in Dio.

 

g g g

 

Se prima intendevamo le lezioni di Dio in relazione alle nostre esperienze di vita nel mondo, a questo punto si comprende come, a voler ancora sottoporre gli insegnamenti di Dio alle esigenze delle nostre convenzioni o delle nostre esperienze, sia stoltezza di fronte alla Verità di Dio, che se anche parla tra noi e con noi, è infinitamente superiore a noi. Inizia in noi una mentalità nuova, una vita nuova, che solo chi la prova la può intendere, e ciò che prima ritenevamo luce diventa adesso pura notte che non illumina più e non soddisfa più le richieste dell'anima, che ormai ha bisogno di altra luce e di altro pane.

(Giugno 1977)

 

(articolo scritto da Luigi Bracco, pubblicato su “L’Araldo del S. Cuore”)