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Poiché Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo figlio unigenito affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia la vita eterna. Gv 3 Vs 16


Titolo: L’amore di Dio.


Argomenti: Innalzare la Parola – La semplificazione della fame di Dio - Permanere nell’ascolto – Dare la vita nello spirito – Partecipare della Vita  e di Dio – La conoscenza di Dio – La pazienza di Dio – La possibilità di pensare Dio – Amare è donare il proprio pensiero – Il cuore del Cristo – La preghiera sacerdotale – La persona cosciente – “Quando cadranno le foglie” – La coscienza della nostra morte – La conoscenza dell’intenzione di Dio – Imparare a convivere con Dio -


13/Febbraio/1977


 

Dall’esposizione di Luigi Bracco.

Siamo nella seconda parte dell’incontro con Nicodemo e Gesù gli sta spiegando come avviene la rinascita secondo lo Spirito.

Ricapitoliamo un momento: Gesù aveva proposto la nascita secondo lo Spirito come condizione per poter vedere le cose del Regno di Dio, cioè per poter vedere la Verità; fintanto che questa rinascita non avviene per ognuno di noi personalmente, noi non vediamo la Verità, non vediamo che cos’è il Regno di Dio, anche se le cose del Regno di Dio si annunciano nella nostra vita.

Le cose arrivano a noi come il vento che soffia, noi le avvertiamo però non possiamo comprendere; per comprendere è necessaria questa rinascita.

È in questo secondo tempo dell’incontro con Nicodemo, Gesù ha spiegato, ha fatto capire la necessità che l'uomo ha ad innalzare l'annuncio, il Verbo di Dio che giunge a noi, che parla a noi, affinché attraverso questo possiamo arrivare a vedere la Verità.

Perché non basta credere, o per lo meno, se noi intendiamo veramente cosa significa credere, il credere è già un innalzare, ma non basta credere come noi solitamente intendiamo; è necessario mettere in alto il Pensiero di Dio, la Parola di Dio, farla oggetto di tutto il nostro interesse, di tutta la nostra attenzione, perché soltanto in quanto la mettiamo prima di tutto, questa ci conduce alla vita eterna.

Già nell’Antico Testamento si diceva preannunciando queste cose, già si diceva: “Mi cercherete e mi troverete quando mi cercherete con tutto il vostro cuore”.

C'è ancora un altro passo della Bibbia che dice: “Mi cercarono con i loro bagagli, con i loro pesi, ma non mi poterono trovare”. Questo per dire che può esserci una ricerca di Dio un interesse per le cose di Dio, ma fintanto che questo interesse lo portiamo avanti tra tanti altri interessi, (quindi cercare Dio portandoci dietro i nostri bagagli, interessi), non possiamo arrivare a conoscere Dio.

Allora ci sono tutte queste lezioni della vita che tendono a portarci, a convincerci della necessità di lasciare: “Va, vendi tutto quello che hai”, lascia, lascia per poterti occupare essenzialmente, per poter quindi avere questa disponibilità di animo, questa disponibilità di mente, cioè per poter permanere nell’ascolto fino alla rivelazione della presenza di Dio, del Verbo di Dio, cioè fino al frutto. Perché come abbiamo detto, il difetto nostro, di ogni uomo, è quello di saltare da un argomento all’altro, da un ascolto all’altro, cioè di non permanere in questo ascolto fino ad arrivare alla conclusione, fino ad arrivare al termine, al Verbo di Dio.

Allora è per questo che la Sapienza dice: “Mi troverete se mi cercherete, quando mi cercherete con tutto il vostro cuore, con tutta la disponibilità della vostra mente, del vostro cuore all’ascolto”.

Ecco, questa disponibilità vuol dire questa permanenza fino ad arrivare alla conclusione che è rivelazione del pensiero di Dio, del Verbo di Dio, cioè è la vita vera, quindi eterna che non muta più. C'è un’uguaglianza tra vita vera e vita eterna; vita vera = vita eterna perché si contrappone alla nostra vita attuale che non è eterna perché non è vera, perché è una vita solo apparente, non è la vera vita.

Dopo averci parlato di quello che l'uomo deve fare, cioè innalzare la parola di Dio che giunge a noi, il Verbo di Dio, Gesù qui adesso, ed è l'argomento di questa sera sul quale cerchiamo di fermarci un po’, propone quella che è l'opera di Dio.

Prima ha presentato l'opera dell’uomo, ciò che l'uomo deve fare nei riguardi di ciò che gli arriva, e poi aggiunge: “Poiché Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio Suo Unigenito affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia la vita eterna”.

Anche qui mettiamo subito in evidenza qual è la proposizione principale, qual è l'argomento principale ed è sempre la seconda parte, questa: “Affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia la vita eterna”.

Allora Dio per dare all’uomo, al mondo la possibilità di arrivare alla vita eterna, “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio Unigenito”.

Intanto ci fa capire questo: Dio opera per condurre il mondo alla vita eterna, cioè per condurre il mondo a questa vita vera, (vedremo al cap. 17 del Vangelo di San Giovanni la precisazione che vita eterna è conoscere Dio come vero Dio).

Quindi Dio opera per condurre la sua creazione, il mondo, alla conoscenza della Verità che è la conoscenza di Dio come vero Dio.

E questo lo chiama “amore di”, amare vuol dire partecipare Se stesso, vuol dire farsi conoscere, vuol dire rendere l'altro partecipe di ciò che uno ha, di ciò che uno è.

Gesù che viene a portare la vita dice: “Il Padre mi ama perché io do la vita”.

Il dare la vita non è il suo sacrificio, il dare la vita è dare alle creature, agli uomini, dare ad altri ciò che uno ha, la vita che Egli ha; la sua vita era il Padre.

Ora intendendo nella nostra terminologia materiale, corporea, noi riteniamo che dare la vita sia sacrificarsi; ma non si intende quella l’essenza, nel campo dello Spirito; perché non basta che uno si sacrifichi per un altro per dare all’altro la vita, non si comunica la vita in questo modo.

Però noi abbiamo anche l'esempio, davanti a un malato di tumore, anche se noi ci ammaliamo di tumore, anche se noi moriamo per quello, non è che l'altro guarisca, non è che l'altro si salvi.

Non basta il sacrificio, non basta la propria morte, la propria rinuncia per salvare l'altro, perché allora sarebbe un atto magico: non è che se io muoio per l’altro, l'altro si salva.

Nel campo della Verità, cioè nel campo della conoscenza, nel campo spirituale, le cose non sono su un piano magico, ma sono su un piano di coscienza, e allora questo dare la vita è comunicare ad un altro la possibilità di partecipare a quella che è la mia vita, è dare il dono maggiore che uno ha, e il dono maggiore che uno ha è la propria vita; ma dare la propria vita vuol dire dare all’altro la possibilità di godere di ciò che uno gode.

Ora il Figlio di Dio viene per dare all’uomo, ad ogni uomo, la possibilità di godere di ciò di cui Egli gode, cioè quella conoscenza, quella intimità con il Padre, quindi quella vita vera, quella vita eterna contrapposta alla nostra vita non vera, di cui Egli gode: è questo il dono.

Per cui la sua morte è un passaggio per arrivare a questo dono ma noi dobbiamo aver ben presente qual è la vita, qual è il fine al quale Dio ci chiama, per il quale Dio opera.

Ecco qual è il fine di tutta la creazione, di tutta l'opera di Dio; quando dice: “Dio ha tanto amato il mondo” mi sembra di vedere Dio che si interessa tanto del mondo, che opera tanto col mondo e questa lunga pazienza che ha con il mondo, e per mondo intendo tutta la creazione, fino a portare questa sua creazione a godere della sua vita: e qui abbiamo l'uomo.

Direi che attraverso tutta la formazione dell’universo, poco per volta abbiamo questo processo di elevazione che richiede sempre questa partecipazione di Dio, questo insistere di Dio per far passare il suo universo, la sua creazione, la sua creatura, da uno stadio all’altro, all’altro, all’altro fino a quel livello in cui può ricevere la vita di Dio, può ricevere il pensiero di Dio.

Per questo dico che a questo punto noi abbiamo l'uomo; l'uomo e noi stessi siamo la testimonianza, portiamo in noi stessi questa testimonianza dell’opera di Dio, perché noi abbiamo in noi stessi la possibilità di pensare Dio.

Ora, se noi potessimo osservare come si è formato in noi questa possibilità di pensare Dio, tanto che pensiamo Dio, lo possiamo pensare, noi vedremo quest’opera meravigliosa di Dio che parte dal nulla, che è il nulla da cui noi nasciamo, che poco per volta ci porta su fino a quella capacità di portare il suo Pensiero, e noi oggi portiamo il suo Pensiero.

Non basta portare il suo pensiero, perché il suo Pensiero non ci comunica direttamente la sua vita, la sua conoscenza, perché noi abbiamo la possibilità di pensare però non siamo figli di Dio.

Dio venendo tra noi ci dà la possibilità di pensarlo, e questo noi lo esperimentiamo, noi possiamo pensare Dio.

Questo è il tesoro immenso che ogni uomo porta con sé, tanto che proprio con questo tesoro l'uomo può arrivare a conoscere Dio.

Dicevo che non basta che Dio ci abbia condotti a questa capacità di pensarlo; noi non potremo mai renderci conto di questa grandezza d’amore.

Potremmo anche chiederci perché Dio ama, ma questo è un altro argomento.

Questa grandezza d’amore e questa lunga pazienza con ogni creatura (perché il condurre la creatura e portarla a questa capacità di pensare Dio, deve essere un lavoro immenso, enorme di cui penso che nessuno di noi possa minimamente intuire il travaglio che richiede questo fatto), eppure nello spazio di pochi anni Dio conduce noi a questa capacità di portare il suo pensiero.

A questo punto noi possiamo anche capire più a fondo cosa sia veramente amare; amare non è soltanto sul piano fisico, sentimentale, noi intendiamo perfettamente cosa vuol dire in questi termini sacrificarsi per uno, donarsi ad uno, ma in termini spirituali vuol dire donare il proprio pensiero a -; noi stessi portiamo nella nostra vita la testimonianza di questo amore di Dio perché noi stessi abbiamo in noi la possibilità di pensare Dio.

Il che vuol dire: se abbiamo la possibilità di pensare Dio, che Dio ha donato il suo Pensiero a noi, ecco il vero amore: ha dato a noi il suo Pensiero, l'ha donato a noi e noi lo portiamo, quindi lo possiamo pensare.

Noi potremo anche non pensare Dio e invece abbiamo la possibilità di pensare Dio, ed è la chiave della vita eterna, perché il fatto di avere la possibilità di pensare Dio, ci dà la possibilità di conoscere Dio se noi permaniamo in questo Pensiero, se noi raccogliamo tutto in questo Pensiero.

Perché il fatto di avere il Pensiero di Dio in noi non vuol dire aver assicurata la conoscenza di Dio o aver assicurata la vita eterna: è necessario che questo Pensiero sia messo in alto.

Quindi tutta l'opera di Dio è rivolta a donare a noi il suo Pensiero, il suo Verbo; però il fatto di aver donato a noi, di portare noi nella possibilità di pensare Dio, non vuol dire che questo dia a noi la conoscenza di Dio; per arrivare alla conoscenza di Dio è necessario che noi mettiamo in alto questo Pensiero di Dio, il tesoro principale, farlo il tesoro della nostra vita e raccogliere tutto lì; sarà poi questo Pensiero che ci rivelerà il Padre, che ci porterà alla rivelazione del Padre.

L'anima di tutto il Cristo è il Pensiero del Padre; l'anima di tutto il Vangelo è il Pensiero del Padre per cui noi intendiamo male il Vangelo quando lo leggiamo soltanto per dedurne delle norme di vita pratica, o delle norme di vita sociale o delle morali.

No, l'anima di tutto il Vangelo e l'anima di tutta la vita di Cristo è il Pensiero del Padre, la conoscenza del Padre.

Per cui noi dobbiamo sempre leggere tutte le lezioni di Cristo e anche tutti gli avvenimenti, tutti i fatti della vita del Cristo, dobbiamo sempre leggerli in questa chiave: “Che cosa mi fa conoscere il Padre?”.

Perché Lui opera per darci la vita, la sua vita, e la sua vita è il Padre.

Per darci il cuore; quando si parla del cuore del Cristo: il cuore del Cristo è il Padre.

Ora Lui ci comunica questo, e questo è il vero amore: il vero amore è dare all’altro la possibilità di attingere a quella vita che uno ha, quindi di partecipare, di rendere l'altro partecipe. Ma per far questo è necessario, e questa è la vita eterna, da parte nostra, l'esaltazione del Pensiero di Dio, questo mettere Dio al di sopra di tutto.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Eligio: Il mondo di cui Gesù parla dicendo che “Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio”, da cosa si diversifica dal mondo di cui parla nella preghiera: “Non ti chiedo di toglierli dal mondo”, cioè parla del mondo come di un ambiente, come di uno spirito che vive in questo ambiente che è contrario allo Spirito di Dio. Ora qui sembra che sia venuto per questo mondo, mentre il mondo in cui parla della preghiera sembrerebbe un altro. In che cosa possono avvicinarsi e in che cosa possono essere diversi? E per quale ragione usa due considerazioni diverse: la prima è di preoccupazione e di sollecitazione, mentre la seconda è di condanna.

Luigi: Nella seconda parte fa la distinzione tra “questi” e il mondo e dicendo “questi” dice: “Erano nel mondo e Tu li hai presi e li hai dati a Me”, fa una contrapposizione per cui: “Io non prego per il mondo”, cioè a quel livello il Signore prega per coloro che si sono staccati dal mondo, che hanno seguito Lui, sono arrivati a quel livello in cui hanno la possibilità di elevarsi al Padre. E allora Gesù fa la funzione di consegna al Padre, fa il sacerdote; infatti la preghiera è detta “sacerdotale”; il sacerdote è colui che dà, che consegna. Quindi all’ultimo Gesù, dopo averli presi dal mondo, li ha tolti dal mondo; infatti dice: “Il mondo vi odia perché Io vi ho portati via al mondo”.

Quindi Lui è venuto nel mondo, li ha presi dal mondo, li ha elevati con Sé fino a quella capacità in cui loro possono essere consegnati al Padre.

Per cui: “È necessario che Io me ne vada affinché anche voi direttamente attingiate alla vita alla quale attingo Io, perché il Padre vi ama”.

Eligio: Questo è chiaro. Però quel mondo di cui parla e che dice di aver amato è un altro.

Luigi: Direi che qui parla di mondo come la creazione di Dio. “Dio ha tanto amato il mondo”, cioè Dio ha tanto curato la sua creazione, mondo come creazione, come sua opera. Non è l'amore come possiamo intendere noi, per cui io amo una creatura e mi prodigo verso quella creatura; no, qui dice che l'amore: “Si è preso tanto cura di questa creazione”.

Partiamo dalla Genesi, Dio all’inizio dice: “Sia fatta la luce”; poi incominciò a dividere il cielo dalla terra, poi ha creato il sole, ecc., ha avuto tanta attenzione verso questa sua creazione da portarla, da elevarla fino a quel livello in cui si è formato l'uomo capace di pensarlo, di pensare Dio. Non è che Dio abbia creato all’inizio e poi abbia lasciato la creazione a sé; no, Dio ha continuamente curato questa sua creazione e l'ha curata a tal punto, si è interessato a tal punto da elevarla fino ad essere uomo. Cioè tutto questo mondo che Lui ha fatto l'ha portato fino ad essere uomo, e uomo capace di accogliere il Pensiero di Dio; per cui nell’uomo si realizza una saldatura relativa, non è cementata, tra tutta l'opera anonima di Dio, con il momento in cui diventa personale, diventa persona cosciente che porta con sé un pensiero. Ma questa persona cosciente è a contatto con il Pensiero di Dio, ma non è Pensiero di Dio, è a contatto con il Pensiero di Dio. per cui noi possiamo pensare Dio, ma possiamo anche non pensare Dio e se non pensiamo Dio: “Affinché il mondo non perisca”, c'è il rischio. Questo vuol dire che tutto il mondo, tutta l'opera di Dio non perisce soltanto in quanto si salda con il Pensiero di Dio. Ma se non si salda con il Pensiero di Dio, tutta l'opera di Dio perisce.

Eligio: Direi resta mondo nel senso che intende nella preghiera sacerdotale.

Luigi: Ecco, per cui allora cosa succede? Questo mondo che è opera di Dio, che è tutta creazione di Dio e che culmina nell’uomo, nel sesto giorno, per cui ognuno di noi è questo sesto giorno in cui Dio dice: “Facciamo l'uomo”. Ora Dio questa parola: “Facciamo l'uomo”, la dice per ognuno di noi; perché per ognuno di noi si ripete tutta la creazione di Dio, tutto l'universo; e per ognuno di noi il Signore dice, e lo dice per sessanta, settant’anni, quanto dura la nostra vita dice: “Facciamo l'uomo”. Ogni giorno, ogni mattina il Signore dice per ognuno di noi: “Facciamo l'uomo”; ma questo “facciamo” è una cooperazione con noi. Ora, in quanto c'è questa cooperazione lo dice a noi, quindi c'è in noi la Presenza di Lui, ma c'è anche la presenza nostra.

Ora, la presenza nostra arriva come conclusione di tutta l'opera di Dio, per cui tutta l'opera di Dio conclude con un atto cosciente.

In questo atto cosciente c'è la presenza del Pensiero di Dio, direi vicinissimo, intimissimo però non si confonde con noi, per cui nessuno di noi è Dio; però tutti noi possiamo pensare Dio.

Quindi abbiamo direi questa adesione tra:

·         la nostra coscienza che arriva come conclusione di tutta l'opera creativa di Dio, di tutto l'universo,

·         e la co-presenza del Pensiero di Dio che è vita eterna.

Però: passeremo o non passeremo?

Quando la parola di Dio si fa sentire a noi, ci fa passare alla vita vera, alla vita eterna, lì succede il miracolo, oppure la creatura comincia a perire, cioè comincia a decadere, a ripiegarsi perché il processo non si è concluso felicemente e allora perisce: è il ramo che si è staccato dalla vite. Per cui il ramo è unito alla vite però non fa corpo, non fa una cosa sola con la vite per cui è assicurato: il ramo si può staccare. Consapevolmente da parte nostra, perché la Parola di Dio chiede a noi questa esaltazione, questo passaggio, questo superamento diciamo dello stato di coscienza del nostro io, dello stato di coscienza con il mondo, e questa unione con il Pensiero di Dio: allora abbiamo il passaggio, l'inserimento.

Però può darsi invece, che noi non facciamo questa esaltazione, perché si richiede la partecipazione nostra, per cui abbiamo le due nascite:

·         abbiamo la prima nascita, la nascita secondo la terra,

·         e poi abbiamo la nascita secondo lo Spirito, che richiede la nostra partecipazione.

Questa partecipazione richiede una esaltazione della parola di Dio che si fa sentire a noi per cui ci dice: “Occupati di Dio, tu hai la possibilità di pensarmi perché ci sono Io con te, quindi Io ti do la possibilità di pensarmi: tu pensami!”. Ecco noi possiamo invece non pensarlo, occuparci d’altro. In questo caso il tralcio si stacca dalla vite e allora abbiamo la decadenza.

Ecco, abbiamo tutto il processo dell’universo, diciamo miliardi di anni, che precipitano, che crollano, che si disperdono perché nel momento in cui Dio ha parlato a noi, noi non abbiamo ascoltato. Allora abbiamo l'altro mondo che si contrappone a Dio, che crolla, che non si apre a Dio.

Per cui c'è stato il momento di sollecitazione da parte di Dio.

Ora tu capisci che per sollecitare uno a fare un passaggio, bisogna metterlo nella possibilità di fare questo passaggio: è lì la meraviglia dell’amore di Dio, che ci conduce nella possibilità di fare questo passaggio.

Per cui noi tutti, avendo la possibilità di pensare Dio, abbiamo la possibilità di passare a Dio.

Però il fatto di avere la possibilità, non è un’imposizione, non è come la nascita nel nostro mondo: questa ci è imposta, per cui noi nasciamo qui anche senza di noi, senza volerlo ci siamo. E questa è la conseguenza di tutta la creazione di Dio per cui ecco, ad un certo momento, noi nasciamo. Ma noi qui noi nasciamo soltanto in quanto abbiamo la possibilità di essere interrogati da Dio: Dio ci interroga.

Noi siamo in una situazione nella quale siamo interrogati da Dio; Dio ci fa delle proposte e queste proposte ci invitano a fare questo salto di qualità, questo passaggio, per nascere da Dio.

Non più quindi nascere dalla terra, come siamo arrivati, ma nascere da Dio che è una nascita cosciente: qui incominciamo a vivere, a pensare, a parlare, ad agire secondo Dio, perché Dio è così.

Questa conoscenza di Dio viene in noi; per cui abbiamo il passaggio alla vita cosciente, sotto sollecitazione di Dio.

Eligio: Prima hai dato una definizione dell’amore: qual è?

Luigi: È comunicazione del pensiero..

Eligio: Quindi Cristo ci dà la possibilità di fare questo passaggio. Stavo pensando all’etimologia della parola “pontefice”, colui che getta un ponte tra l'umano e il divino. Quindi Gesù è il Pontefice per antonomasia, che ci dà la possibilità di comunicarci il suo pensiero.

Luigi: Ci dà la possibilità di passare al Pensiero di Dio.

Tu capisci che per darci la possibilità di passare al Pensiero di Dio, vuol dire che questo pensiero è accessibile. Però attualmente, nella nostra situazione di natura, di uomini che sono nati dall’abisso, per opera di Dio, la bellezza sta lì: che abbiamo la possibilità di passare al Pensiero di Dio.

Eligio: Scusa, ma nella condizione di natura, no; ma nell’incontro con Cristo, si; perché è il pontefice.

Luigi: Sì, ma in questa situazione qui di natura, Dio stesso ci conduce a quella capacità di intendere il Cristo, di intendere il Verbo di Dio che è tra noi. Tu capisci cosa vuol dire?

Perché io parlo ad un animale e l'animale non mi capisce, e come mai parlo ad un uomo e l'uomo mi capisce? Cosa succede? Noi parliamo di struttura, un cavolo!

Se io parlo di Dio ad un uomo, l'uomo mi capisce, parlo di Dio ad un animale e l'animale non mi capisce. Parlo di Dio all’albero e l'albero non mi capisce. Per cui cosa succede nell’uomo, per cui l'uomo ha la possibilità di pensare Dio? C'è un punto di contatto tra questo cielo e questa terra, e in questo punto di contatto c'è la possibilità di passare, che può anche non avvenire.

Eligio: Questo contatto è il Cristo…

Luigi: Certo, è il Verbo di Dio. Questo Verbo di Dio deve essere talmente vicino a noi, da darci la possibilità di passare. Ora, intimamente ci deve essere quindi questa unione tra il Pensiero di Dio e noi: ecco l'amore di Dio che ci dona il suo Pensiero. Lui ce lo dà, però anche se Dio ci ha dato il suo Pensiero, non è detto che noi siamo Pensiero di Dio. È questo punto che vorrei precisare; per cui se la creatura non fa il passaggio, da questo punto la creatura comincia a decadere. Per cui noi magari abbiamo ancora la sembianza di essere vivi, ma ormai siamo votati alla morte. La creatura diventa molto diversa da prima: perché la creatura di prima camminava con la speranza; se cammino con la speranza di ottenere qualcosa, quando l'occasione arriva e non la colgo, la lascio perdere, dopo non sono più come prima perché ho inaugurato un processo di delusione con conseguenze drammatiche. Tu sai che in natura ci sono i necrofori, che sono degli insetti che hanno la caratteristica di sotterrare i cadaveri. Così ci sono i necrofori dell’universo che hanno la funzione di disperdere questa creatura che non ha fatto il passaggio. E così noi siamo lacerati, portati via, dispersi; perché la morte non esiste come annullamento ma esiste come dispersione, polvere che ritorna polvere, diventiamo polvere: “Perché non avete accolto la parola di Dio quando vi è arrivata”. Allora “Tu sei polvere e polvere ritornerai”, ci sono delle forze in questo mondo che hanno il compito di seppellire, di disperdere questa creatura che Dio aveva raccolto, aveva potenziato al punto tale da poter accogliere l'Infinito.

Nel momento in cui doveva accogliere l'Infinito non l'ha accolto, allora abbiamo la dispersione: la creatura ritorna polvere. La coscienza di esistere rimane, però rimane la coscienza della nostra morte e della nostra dispersione.

Eligio: Si resta un aborto; una nascita che non è mai avvenuta. Il pontefice ha gettato il ponte da attraversare, il pensiero secondo cui il pontefice ha gettato questo ponte per farci fare il passaggio.

Luigi: Sì, tutto questo è dono dell’amore di Dio perché abbiamo detto che amare significa donare il pensiero. Dio, in quanto ha dato a noi il pensiero, però il pensiero è sempre suo, donandocelo ci dà la possibilità di passare, ma se noi non passiamo…

Non è che dandomi il suo Pensiero, io diventi figlio di Dio, no! Per cui Lui dona a noi il Pensiero, e noi stessi siamo testimonianza di questo dono di Dio perché possiamo pensare Dio, ci accorgiamo che abbiamo la possibilità di pensare Dio, abbiamo la possibilità di fermarci molto con Dio o di fermarci poco, però abbiamo la possibilità di pensarlo; tant’è vero che tutti quanti sentiamo il bisogno della verità e questa è possibilità di pensare Dio, non sentiremmo la nostalgia della verità, la nostalgia dell’assoluto, il bisogno di vivere, se in noi non ci fosse la presenza del Pensiero di Dio, quindi la possibilità di pensare Dio.

Però questo Pensiero di Dio non si impone, non è che io debbo necessariamente pensare Dio; no! Io mi posso anche divertire, posso pensare ad altro: penso alle creature, penso a me stesso, di tanto in tanto mi accorgo, affiora il pensiero di Dio che mi richiama, però io posso trascurarlo. Quindi non abbiamo l'imposizione; nella nostra esistenza qui in terra, non abbiamo l'imposizione, il Pensiero di Dio ci è proposto e in quanto ci è proposto noi abbiamo la possibilità di pensare Dio, non l'imposizione di pensare Dio. Dio non ci impone la vita eterna, Lui ce la propone, per accogliere questa proposta. Cosa vuol dire accogliere una proposta? Cosa vuol dire accogliere un amore?

Accogliere un amore vuol dire farlo centro della mia vita, metterlo prima di tutto, farlo oggetto di tutti i miei pensieri; ecco, allora se io accolgo la proposta, allora faccio Dio centro della mia vita, il mio amore: allora faccio il passaggio.

Eligio: Il passaggio è fatto alla presenza di una persona.

Luigi: Sì, per cui il passaggio, se lo facciamo, è tutto grazia di Dio: non è opera nostra! È grazia di Dio! Perché senza di Lui noi non possiamo fare proprio niente; quindi se lo facciamo è tutta grazia di Dio, se non lo facciamo è tutta colpa nostra. Perché la proposta ci è arrivata, la possibilità c'era e noi lo constatiamo, però non l'abbiamo fatto. Quindi la colpa è nostra se non avviene, se avviene la grazia è di Dio e quindi diventiamo figli di Dio perché la grazia è questa: è il segreto che ci fa figli di Dio. Per cui se noi lo abbiamo fatto diciamo: “Signore, è stata tutta opera tua, è tutta grazia tua”: e lo è realmente! E non è un atto di umiltà fasullo, è proprio la realtà, perché se lo facciamo è proprio tutta grazia di Dio, perché altrimenti non l'avremmo potuto fare. Allora il poter dire: “Signore, sono proprio tutto opera tua”, ci fa figli di Dio. Perché per riconoscerci figli di Dio, dobbiamo riconoscerci tutto opera sua. Se invece in noi c'è qualche cosa che riteniamo sia opera nostra, o opera del mondo, c'è il distacco, per cui io preferisco altro, quello è opera mia, “questo è mio”, allora divento figlio di me stesso. Il diventare figlio di me stesso è pur sempre un principio di decadenza, perché è come uno specchio che ti deforma sempre di più la figura e te la disperde, perché siamo sempre inferiori a noi stessi, e quindi diventiamo sempre più piccoli, ci disperdiamo.

Mentre con Dio inauguriamo un processo di figliolanza.

Eligio: Sul piano naturale l'amore genera figliolanza e sul piano spirituale l'amore di Dio ci fa figli di Dio.

Giovanni: Per un credente il pensiero che Dio dà a noi è opera di Dio, invece per un ateo?

Luigi: È sempre opera di Dio. Perché a questo punto l'uomo non può fare assolutamente niente. L'ateo può relegare Dio in un posto lontanissimo dicendo: “Io non ci penso”, non importa! L'ateo può farlo, ognuno di noi può mettere Dio dove vuole, ma Dio non dipende da noi. Cioè io posso dire: “Io non mi curo di Dio”, ma con questo non è che Dio non si curi di me; Dio è vicino anche a chi lo trascura, anche a chi lo bestemmia, Dio resta vicino a chiunque, non è condizionato dall'atto dell’uomo, perché la verità è superiore a noi, essendo superiore a noi, non riceve niente da noi, dona tutto a noi ma non riceve niente da noi. Cioè io posso dire: “Io voglio che Dio sia distante da me”, lo posso dire: “Ma Dio non va distante da me”. Io posso dire: “Dio non esiste”, ma la mia parola non è determinante, la nostra parola non crea niente, la nostra parola può soltanto dire: “Si, si, no, no”, può aderire o non aderire, ma non può modificare di tanto così la verità di Dio, per cui se Dio è con noi, Dio è con noi; anche se noi lo bestemmiamo, Dio è con noi, noi non modifichiamo niente. È come se io dicessi a questo tavolo: “sparisci”; il tavolo non sparisce perché la nostra parola non opera niente. È Dio che opera, la parola creatrice è quella di Dio, la parola che ci eleva è quella di Dio; però se noi crediamo, aderiamo, aderendo alla parola, la parola ci trasforma, ci spiritualizza; se noi non aderiamo, la parola continua ad essere con noi ma noi ci disperdiamo perché non abbiamo aderito. Però noi nei riguardi di Dio non possiamo fare niente, non possiamo modificare Dio, né la sua vicinanza, né la sua lontananza, né la sua verità, né la sua non verità, non possiamo fare niente attorno a Lui: noi possiamo soltanto aderire o non aderire. “Sia il vostro parlare: si, si, no, no”, questa è l'unica cosa che possiamo dire. Tu capisci che di fronte a chi mi fa una proposta, il mio parlare, anche se trovo tante scuse, anche se faccio un discorso lunghissimo, il mio parlare è semplicissimo: si, no. L'altro che mi ha fatto la proposta aspetta solo questo: “Hai detto si, o hai detto no?”. Adesso elimina tutte le altre parole, come concludi: si o no? Dio si propone, tutto il suo parlare è sempre un proporre: “Cerca prima di tutto il Regno di Dio; una cosa sola è necessaria”; noi siamo immersi in tutte queste proposte di Dio, per cui di fronte a chi ci fa delle proposte, in un modo o nell’altro noi diamo sempre una risposta e questa risposta è sempre si o no, qualsiasi cosa noi diciamo, anche se diciamo una infinità di parole, se tu arrivi al sodo, c'è sempre stato un si o un no, un si o un no, il di più viene dal maligno; lo dice Gesù: “Sia il tuo parlare si, si, no, no”. Comprendi?

Cina: Mi sono accorta che do poca importanza al pensiero

Luigi: Si, che è molto più importante di quello che noi chiamiamo amore.

Eligio: Noi dell’amore abbiamo un concetto molto distorto.

Luigi: A volte noi diciamo: “Signore io ti amo” e il nostro pensiero chissà dov’è. E il Signore mi dice: “Io non guardo quello che tu mi dici con le labbra, Io guardo quello che tu hai dentro di te, nel tuo cuore”. Ma anche qui noi falsifichiamo le cose perché quando parliamo di cuore intendiamo il sentimento. Devo andare più a fondo perché dove veramente c'è libertà è nel pensiero. Infatti noi siamo disponibili a sacrificare tutto di noi ma non il pensiero; perché ci accorgiamo che l'essenza nostra è nel pensiero. Tant’è vero che, come ho detto molte volte, quando noi parliamo con una persona, cerchiamo sempre di cogliere il pensiero di quella persona; ci interessa poco se quella persona a parole ci dice una cosa ma il suo pensiero è altro; l'autenticità della persona la cogliamo nel pensiero e ci sentiamo offesi se la persona parla a noi in un modo ma il suo pensiero è un altro; ci sentiamo offesi, vedi? Ma perché? Lo intuiamo questo: diamo molta più importanza al pensiero che alle parole; per cui diciamo: “Ma questa persona recita”; o al vestito che una persona ha, perché questa è soltanto recitazione. Perché noi cerchiamo di cogliere il pensiero? Perché soltanto nel pensiero scopriamo quello che la persona è, l'autenticità. Perché avendo capito veramente il pensiero di una persona, noi sapremo sempre il comportamento di quella persona, perché quella persona è quel pensiero. Noi siamo essenzialmente pensiero, comprendi? Ora, fintanto che non cogliamo il pensiero, non cogliamo l'essenza della persona; Dio è Spirito; Spirito è pensiero, lo vedremo poi nel discorso con la samaritana, “Dio è spirito e vuole adoratori in spirito e verità”. Ora, l'adorazione in spirito e verità si fa col pensiero, non si fa mica mettendosi in ginocchio o dicendo tante parole.

L'adorazione in spirito e verità si fa col pensiero e questo pensiero deve essere sempre con Dio, sia quando uno è in chiesa, sia quando uno è per la strada, sia in piazza, sia a scuola, in un laboratorio, da tutte le parti. Questa è la vera adorazione: è questo pensare Dio ovunque noi siamo e riferire tutte le cose a Dio perché adorare vuol dire riferire a Dio. Ma il riferimento a Dio si fa col pensiero; la cura va al pensiero. Invece se noi avessimo l'abito, le virtù, le abitudini, le parole, tutte buone, tutte secondo Dio, ma il nostro pensiero fosse disperso, noi saremmo destinati a marcire, perché tutto ci andrà a rotoli; perché manca l'elemento formante, l'elemento sano. L'elemento che forma la persona è il pensiero; se il nostro pensiero è presso Dio, fossimo anche esteriormente dei delinquenti, dei malvagi, abbiamo un elemento sano che certamente, presto o tardi, trasformerà tutto. È il lievito della massa; se noi avessimo l'abito della miglior nobiltà, della miglior virtù, della miglior santità, ma avessimo il pensiero perverso, tutto di noi sarebbe corrotto.

Eligio: Quindi la radice del bene o del male, da parte nostra, sta nel pensiero che portiamo.

Luigi: Certo.

Eligio: È altrettanto vero che noi passiamo la maggior parte della nostra vita senza pensare; quindi la nostra responsabilità sta nel non pensare.

Luigi: La nostra responsabilità sta nel non esaltare Dio.

Eligio: Nel non esaltare Dio ma esaltare qualcos’altro.

Luigi: Ah, certo; il pensiero funziona sempre: noi siamo pensiero. Confronta la nostra vita con la vita di un animale; l'animale non rende assolute le cose che tocca. L'animale quando ha mangiato, non gli importa più che gli altri vadano a mangiare la sua preda, lascia quello che lui ha avanzato. Noi no! Come mai? Questo mi servirà domani. Cioè io tendo a rendere assoluto il mio bene; è qui che si manifesta la dimensione del pensiero. Come mai io non mi accontento di quello che mi serve oggi, ma cerco di accumulare, cerco di rendere assoluto, di rendere immutabile.

Eligio: Mi sembra più complessa la cosa, la paura è un’emozione.

Luigi: C'è la componente del pensiero, è il pensiero che mi fa pensare che domani io mi potrò trovare in quella situazione e quindi avrò bisogno di quello, avrò bisogno di quell’altro, e cerco di rendere immutabile, cerco di rendere divino una cosa che invece sta passando. Ora, tutti i beni del mondo sono soggetti a mutazione e il mio pensiero tende a renderli assoluti: tutta la tragedia sta lì. Io tendo a rendere immutabile ciò che passa; ad esempio io mi affeziono a questo tavolo, però penso che tra cento anni questo tavolo sarà tarlato allora cerco di premunirmi per renderlo assoluto, eterno, perché voglio che stia sempre con me. Avendo in me la dimensione assoluta e il pensiero, che sposato al Verbo di Dio mi fa sentire questo assoluto:

·         o colgo l'Assoluto in Dio, nello spirito di Dio,

·         o altrimenti debbo rendere assoluto tutto quello verso cui io mi proietto.

Ora, siccome io vedo che le cose non sono assolute, mi devo preoccupare, mi devo affaticare per renderle assolute e tutta la fatica della nostra vita sta nel cercare di trattenere qualcosa che se ne sta andando. Lavoriamo per la salute, per il corpo, perché il corpo si sta disfacendo; lavoriamo per la casa, perché la casa va in rovina; lavoriamo per le creature, perché le creature si possono ammalare, ci possono lasciare, ma è tutta una fatica, un lavoro, per cercare di trattenere, di rendere assoluto, di imbalsamare tutto un mondo che si sta corrompendo. Invece dovremmo cogliere il significato, e dire: “Ah, ma questo non è l'Assoluto, l'Assoluto è l'Altro”, per passare all’Assoluto che è in Dio.

Eligio: L'unico modo per evidenziare la responsabilità dell’uomo è che l'uomo colleghi tutto con Dio. Diversamente noi non possiamo mai dire che l'uomo ha agito per sentimento, per emozione o per qualsiasi sottoprodotto dell’intelligenza. Perché o ha collegato a Dio o ha usato l'intelligenza nel pensiero dell’io.

Luigi: Però questo nostro pensiero è collegato con il Pensiero di Dio, perché ho detto che noi abbiamo tutta la creazione che sale dal nulla e che salendo dal nulla converge nel Pensiero di Dio: è lì il segreto dell’uomo! Perché abbiamo tutto questo processo ascensionale della creazione che Dio opera, fino a portarlo ad un certo livello in cui combacia con il suo Verbo, con il suo Pensiero: a questo punto la creazione dovrebbe fare questo passaggio all’Altro. Ora, per questo senso di Assoluto cosa succede? Che se noi non passiamo a Dio, proiettiamo questo bisogno di assoluto che Dio ha formato in noi, verso tutto ciò che non è assoluto. Allora, siccome soltanto in Dio abbiamo la ragione di quello che effettivamente operiamo e viviamo, se noi non passiamo a Dio, tutto quello che cerchiamo di rendere assoluto, è determinato, è causato fuori di noi: la motivazione è fuori di noi. Per cui tu dici che noi siamo mossi da emozioni, da paure, perché siamo motivati da qualcosa che è fuori di noi, non abbiamo in noi stessi la ragione, perché la ragione noi l'avremmo soltanto se passassimo a Dio.

Eligio: No, ma non è che ci sia assenza di pensiero, è solo che il pensiero non è collegato a Dio.

Luigi: Ora però tu capisci che queste passioni, questi sentimenti sono legati a cose che passano. Se io amo una persona e questa persona domani muore, ecco che si crea tutta una situazione di paura, di sgomento, però sono determinato da un avvenimento che accade fuori di me, dall’esterno di me. Però è proprio in quanto il mio pensiero non ragiona con Dio, non vede le cose in Dio, che mi lascio dominare, perché io ho fatto di una creatura un assoluto, io la scambiavo per assoluto, per presenza eterna, che invece si sta sciogliendo, che mi scompare tra le mani; allora lotto fintanto che posso per cercare di trattenerla. Tutta la tribolazione della nostra vita, tutta la fatica della nostra vita, tutti i nostri lavori, se noi andiamo a fondo, sono soltanto un cercare inutilmente di trattenere questo nostro mondo che noi ritenevamo stabile e assoluto e che si sta sciogliendo, che sta svanendo come una nube. Ma la nube se ne va e anche se io cerco di trattenerla il più possibile, è fatale che se ne vada. In questo momento ho presente “Quando cadranno le foglie” che è una commedia bellissima. Il dottore dice alla bambina che la sua mamma morirà quando cadranno le foglie. Arriva l'autunno e la bambina vede che le foglie cominciano a cadere e allora sale su uno sgabello e cerca di legarle all’albero in modo che non cadano. Ma mentre scende dallo sgabello fa tremare il pavimento, urta l'alberello, le foglie cadono e la mamma muore. Per dire che tutto il lavoro della nostra vita è questo: quello di legare delle foglie che sono destinate a cadere. Ecco il pensiero dell’Assoluto. Noi non vogliamo perdere quello a cui ci siamo legati. Ma quello che noi perdiamo era soltanto segno di Dio per invitarci a fare il passaggio all’Assoluto perché il vero assoluto è lo Spirito. È lì lo Spirito!

Eligio: Sì, cioè noi ci perdiamo nel relativo.

Luigi: È una sollecitazione, è la parola di Dio che ci dice: “Vedi che questi sono segni, sono passati: non legarti, perché l'Assoluto è lo Spirito, l'Assoluto non è questo! Quindi sono segni miei, tu non scambiare la mia verità con quello, quello non sono Io! Quello però è una sollecitazione mia per dirti: passa oltre. Quindi non vedere l'Assoluto qui, vedi l'Assoluto là!”.

Eligio: Pensavo, quello che noi operiamo per sentimento è una forma di conoscenza non perfetta, non impegnasse l'attività del pensiero, ci renderebbe meno responsabili.

Luigi: Il Signore dice: “Tu sentirai le cose, ma le dovrai dominare”. Quindi se io mi faccio trasportare dal sentimento, sposo il mio spirito alla creatura e quindi la rendo assoluta e subirò tutta la passione della cosa stessa. Quello che io chiamo sentimento è la passione che subisco per quella creatura, perché è diversa da come io la vorrei: ecco che mi produce un travaglio.

Eligio: La passione è mancanza di attività: patos è subire.

Luigi: Subisco, ma perché lo subisco? Perché ho unito il pensiero a quella creatura. Invece avrei dovuto unire il mio pensiero a Dio; Dio mi manda un fiore, io lo raccolgo fiore ma non lo faccio lo scopo della mia vita. Dio mi manda un bene ed io dico: “Ah questa cosa come è buona, adesso riempio tutti i magazzini di questa cosa!”; ecco l'errore! Vedi che ho sposato il pensiero? Non sono un animale, quindi ho una deformazione, ho una esasperazione; invece con il Pensiero di Dio ringrazio e dico: “Oh Dio come sei buono!”. Può darsi che Lui domani abbia un dono migliore di quello di oggi da darmi e invece io legandomi a quello che mi ha dato oggi, non vedrò più quello di domani. Quindi il nostro fine deve essere quello di imparare a convivere con Dio, con questo Essere che di giorno in giorno ha delle novità da comunicarci, quindi dobbiamo mantenerci aperti, non quindi legarci a delle cose che passano. Dobbiamo sempre mantenerci aperti perché Dio dandoci la vita, ci chiama a partecipare, ad imparare a convivere con la sua Presenza, con la sua verità, con Lui e quindi a far conto su di Lui, a riferire tutto a Lui perché è soltanto riferendo tutto a Lui che Lui ci può liberare; mentre se noi non riportiamo a Lui ci leghiamo, ci rendiamo succubi delle creature.

Eligio: Affinché il nostro pensiero sia sempre unito al Pensiero di Dio, cosa bisogna fare?

Luigi: Bisogna mettere il Pensiero di Dio prima di tutto e riferire poi le cose a Dio, cioè non dovremmo mai fermarci soltanto alle cose: le cose dobbiamo accettarle da Dio, non basta, ma dobbiamo riportarle a Dio; riportandole a Dio, le cose vengono viste secondo lo spirito di Dio, allora questo ci lascia liberi, ci fa camminare nel mondo, non ci toglie dal mondo, ma ci fa vivere nel mondo come in mezzo a parole di Dio, come in mezzo ad opere di Dio, alla creazione di Dio. Per cui uno cammina libero!

Eligio: La vera attività è quella: raccogliere da Dio, riportare a Dio; l'unico lavoro che dipende da noi è questo lavoro di raccolta.

Luigi: Sì, che è un vero rispondere a Dio, che è poi il lavoro del sacerdote: consacrare è la vera adorazione di Dio; cioè sempre riferire e riportare tutto a Dio. Come io non riporto a Dio c'è il distacco; io credo facendo così di dominare, di diventare libero. Tu, uomo, cosa dici?

Angelo: Chiaro…

Eligio: Eppure noi vediamo tanto mondo brutto attorno a noi.

Luigi: Tu lo dici brutto, e io lo direi bellissimo; perché quello che noi vediamo apparentemente, siccome noi ci siamo montati tutto un altro mondo, noi lo vediamo come sporco, invece quello è vita, ed è vita intelligente perché è una partecipazione, è una coscienza. È una vita cosciente, non è più un essere dominati da istinti per cui ti svegli al mattino e non sai perché ma sei dominato da una cosa o dall’altra! Invece con Dio no! C'è una partecipazione sempre crescente per cui quella ti apre, ti fa diventare capace di amare, di comprendere perché l'amore diventa poi comprensione. Diventi capace di comprendere tutta l'opera di Dio, le creature. Gesù dice: “Siate perfetti come il Padre vostro che è nei cieli che manda il suo sole sui buoni e sui cattivi”, non c'è più l'animosità, l'antipatia, la simpatia, l'amico, il nemico, l'interesse, il non interesse. No! Perché il tuo interesse è l'universo di Dio. A questo punto il nostro cuore, anche la stessa nostra mente si apre all’infinito con Dio, per opera di Dio. Per cui noi crediamo di essere fatti, no! Noi siamo soltanto un piccolo seme che può abortire, ma un piccolo seme, noi non ci immaginiamo nemmeno lontanamente quello che Dio può farci diventare! La creatura che Dio vuol fare di noi, questa espansione immensa, comprende tutta la sua opera infinita, con la nostra partecipazione. Lì facciamo un danno enorme a noi stessi rifiutandoci di aprirci a questo mondo, cioè noi creiamo un aborto in questa gestazione, perché noi siamo in gestazione.

Emma: Pensavo a questo controllo su noi stessi, a questo superamento, a questo cammino che terminerà soltanto quando conosceremo Dio.

Luigi: È un cammino che non terminerà mai, è un inizio; questo è un inizio di vita eterna cioè una vita che non ha conclusione. Quella che si conclude è la nostra vita terrena, invece qui si apre un varco che non conclude più perché si espande sempre di più. È partecipazione di Dio, quindi non ha un termine.

Emma: Quando si arriverà alla conoscenza di Dio.

Luigi: Sì, ma questa conoscenza non è affidata a noi, perché guai se fosse affidata a noi: è opera di Dio, è tutto dono di Dio; l'importante è soltanto che noi aderiamo, che esaltiamo, anziché esaltare altro, esaltiamo Dio. Anziché esaltare i nostri interessi che passano, il nostro mondo, oppure gli altri, la nostra figura, girare attorno alle quali è sciocco, esaltare invece la parola di Dio il Verbo di Dio, il Pensiero di Dio. Questo esaltare richiede l'opera sacerdotale; questo vuol dire che quando io esalto Dio, faccio conto su Dio, e riferisco tutto a Dio, è questo riferire continuamente a Dio, riportare tutto a Lui.

Eligio: Nel controllo di noi stessi c'è sempre il pensiero del nostro io al centro; nell’aderire a Dio c'è il Pensiero di Dio al centro.

Luigi: Non dobbiamo preoccuparci di essere buoni, di essere puri, di essere liberi, no! Dobbiamo preoccuparci di mantenerci unici a Dio, di pensare Dio, di riferire a Dio, Lui ci libererà, Lui ci farà puri, Lui ci farà forti, è tutto opera sua; fintanto che mi sforzo di essere degno e poi andrò, sto fresco, non arriverò mai. Ora, è molto importante questo: capire il fine dell’opera di Dio; perché Dio opera per apportare in me questa esaltazione, questa unione a Lui, perché noi corriamo il rischio di appoggiarci, di far leva su certe cose che ci ingannano. Io penso: “Ah, io voglio liberarmi e poi quando mi sarò liberato mi presenterò a Dio!”, no! Il Signore ci libererà! Lui ci libererà!

Emma: A volte mi faccio dei propositi …

Luigi: No, il vero proposito è questo: riferire sempre a Dio; accogliere tutto da Dio, tutto quello che non dipende da noi accoglierlo da Dio, come arriva a noi, cercare presso Dio il significato di quello che Lui dice, di vederlo in Dio, perché è lì che tutto si ridimensiona in noi.

Pinuccia: Questo versetto significa che Dio ci ha dato la possibilità di pensare a Lui.

Luigi: Certo.

Pinuccia: Mentre io ho sempre inteso che parlasse dell’incarnazione del Verbo e invece tu ti sei solo fermato sulla possibilità di pensarlo.

Luigi: Ma tu non devi mai dimenticare che l'Incarnazione, è rivelazione dell’opera di Dio in ognuno di noi. Quello che avviene in Cristo, il Verbo di Dio fatto carne, è rivelazione di quello che avviene nella vita di ognuno di noi. Quindi il Cristo è un rivelatore, è così che ci salva, in quanto ci fa prendere coscienza; la sua morte in croce è rivelazione della morte in croce che avviene col Pensiero di Dio dentro di noi. Perché è il Pensiero di Dio, il Verbo di Dio che Dio dà a noi, che ad un certo momento ci fa scoprire che è tra noi. L'incarnazione è un segno fuori di quello che c'è dentro di noi; se noi non passiamo, se noi crediamo di essere salvati soltanto dall’incarnazione, in quanto il Verbo di Dio si è fatto carne, come un atto magico, “Signore io ti ringrazio che sei morto per me, ed io sono salvo!”, tu non sei salvo affatto! Perché noi hai capito la funzione dell’Incarnazione. Il Verbo di Dio si è incarnato per farti prendere coscienza di quello che tu porti dentro di te o forse della rovina che tu porti dentro di te. Quindi bisogna sempre intendere: il Verbo di Dio si è incarnato, quindi è funzione mediatrice, annunciatrice del vero mistero che siamo noi.

Angelo: Proprio adesso che ci sono le nuove tecnologie, che l'uomo è arrivato a fare certe scoperte…

Luigi: Ma scusa, ma tu stai a guardare il mondo o guardi Dio? “Beati voi quando il mondo vi disprezzerà, vi emarginerà”, perché “beati”? Perché quello vi evita di appoggiarvi al mondo e vi fa correre di più nello spirito, nelle cose di Dio. E anche questa è una testimonianza. Noi ci crediamo autonomi, capisci? È come quando il tralcio dice di essere lui a produrre i frutti e dimentica la vite! Guarda che chi ti dà la vita è la vite! E tutti noi ci crediamo di essere assoluti: il vero peccato è l'autonomia, il distacco da Dio.

Angelo: È soltanto attraverso il pensiero che l'uomo..

Luigi: È soltanto attraverso il Pensiero di Dio, perché bisogna specificare: soltanto attraverso il Pensiero di Dio.

Angelo: Anche il pensiero dell’uomo realizza; siamo d’accordo che Dio è il Creatore ma anche il pensiero dell’uomo realizza!

Luigi: Il pensiero dell’uomo è una significazione; ha il suo valore per cui se io opero senza pensare, sbaglio. Però non basta che io mi affidi soltanto al mio pensiero!

Pinuccia: C'è addirittura chi materializza il pensiero, prodotto del cervello. Difatti chi ha un cancro al cervello non pensa più.

Luigi: Quando tu hai il registratore rotto, non registri più. Però è soltanto un mezzo, capisci? Non confondi il registratore con la parola, però il registratore non registra più, ma la parola c'è. Qui è lo stesso, il cervello è un mezzo, è come una biro; la biro è un mezzo, non si confonde la biro con la parola. Eppure con la biro scrivi la parola, se la biro è rotta non scrivi più la parola, però la parola continua ad esserci; manca il mezzo per comunicare.

Imparare a convivere con Dio

La vita dell'uomo non è un cammino verso la morte e il nulla, ma è una maturazione spirituale verso la Verità e la Presenza di Dio, una maturazione per la vita con Dio. Infatti il destino dell'uomo è Dio, per cui tutto ciò che l'uomo ha avuto, l'ha avuto per cercare e conoscere Dio, poiché è solo attraverso la conoscenza che si partecipa della Vita divina. L'uomo è fatto in coppia con Dio: è il Tu Divino presente in lui che lo costituisce persona e determina il suo destino, la sua vocazione.

Il problema di Dio si impone all'uomo fin da principio, poiché egli non può ignorare, né annullare la presenza di Dio che porta con sé, per cui o impara già fin d'ora a convivere con Essa, pur non vedendola, o cade in conflitti e problemi a non finire, causati appunto da questa Presenza Divina trascurata o addirittura calpestata.

Dio è "già" presente, ma "non ancora" manifesto: da qui tutta la difficoltà per l'uomo che considera come reale solo ciò che vede e tocca. Però l'ora di Dio viene nella vita di ognuno, l'ora cioè in cui Egli manifesterà apertamente a noi la sua Presenza in tutta la sua gloria. Infatti Dio opera in tutto per rivelarci il suo Pensiero, il Volto della sua Presenza: dobbiamo aspettarcelo questo giorno, e allora scopriremo Colui che è sempre stato con noi fin da principio. Non è detto però che in quel giorno potremo restare con Lui, perché la capacità di restare è data dalla capacità di portare la sua Verità.

Nel Regno di Dio conta l'anticipo, come il Divino Maestro ci insegna nella parabola delle dieci vergini; per cui nella misura in cui avremo anticipato in noi l'incontro con Dio e la conoscenza di Lui durante il tempo di attesa, questo ci renderà capaci di restare con Lui nel giorno della Sua venuta chiara e manifesta. L'amore vero anticipa i tempi: conosce prima, giunge prima, e rende capaci di sostenere l'incontro con la Persona amata e di convivere con Essa. L'amore vero è intelligente e sa prevedere le condizioni necessarie per un felice incontro e una felice convivenza.

Bisogna dunque affrettarci a conoscere il Signore, poiché il tempo passa velocemente e va verso una conclusione, per cui c'è una scadenza. La venuta del Signore è certa! È urgente quindi imparare a convivere con Lui già fin d'ora, affinché si formi in noi la capacità di convivere con la Presenza della sua Verità quando Essa si imporrà, evitando in tal modo che la sua venuta ci trovi impreparati. Infatti non si può convivere per sempre con Uno che non si conosce.

L'essenziale della nostra vita non sta allora nello scegliere una regola piuttosto che un'altra, nell'andare in un luogo piuttosto che in un altro, nel fare questo piuttosto che quello, ma sta nello scegliere Uno con cui vogliamo vivere, cioè nell'imparare a convivere con Colui che è sempre con noi, presente ed operante in tutto, perché è con Lui che dovremo convivere per tutta l'eternità!

Dio ci ha ordinato di cercarlo, di conoscerlo, di amarlo e di vivere con Lui ("Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze..." (Dt 6,5) "Cerca prima di tutto il Regno di Dio..." (Mt 6,33) ), non perché Egli abbia bisogno del nostro amore, della nostra presenza, ma perché siamo noi che abbiamo bisogno della comunione con Lui, perché non possiamo esistere, né vivere, né amare, né dare un senso alla vita, né vedere la Verità, senza di Lui.

Ma come è possibile imparare a convivere con Dio?

Cercando di conoscere la Sua intenzione e conformando i nostri pensieri, parole e scelte ad essa. La conoscenza dell'intenzione di una persona è infatti la condizione essenziale per convivere con essa, poiché ci rende intelligibili le sue parole ed opere e ci dà quindi la possibilità di sintonizzarci con essa, evitando il rischio di proiettare su di lei le nostre intenzioni, realizzando in tal modo l'accordo, l'armonia, la pace, con una conseguente carica di vita, di luce e di gioia.

Ma è possibile conoscere l'intenzione di Dio?

L'intenzione di una persona ci può essere rivelata solo dalla persona stessa. L'intenzione di Dio viene da Dio, da ciò che Egli è, per cui solo se ci raccogliamo nel Suo Pensiero, ecco che in questo rapporto personale ed intimo Egli ci fa capire la sua intenzione: Egli vuole essere conosciuto, perché è solo attraverso la conoscenza che ci può comunicare il suo Essere, la sua Vita; ne deriva che tutto ciò che dice e fa, lo dice e lo fa per far conoscere Se stesso: non può avere come fine altro da Sé, poiché Lui solo è! Il capire questo è la ricompensa che Gesù promette a chi si raccoglie in preghiera ("... il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà" (Mt 6,6).

La conoscenza dell'intenzione di Dio, non per sentito dire, ma per intima e personale convinzione, è un'esplosione di luce che trasforma la nostra vita e la nostra visione del mondo, poiché in essa troviamo la chiave di lettura per capire il vero senso della nostra vita e di tutto ciò che esiste ed accade. È un punto-luce, un punto di riferimento che unifica la nostra vita e ci fa scoprire non solo che Dio già regna, ma anche "come" regna. E soprattutto è il segreto per imparare a convivere in sintonia con Lui, in un crescendo di luce, di amore e di pace.

(I – 24.07.1996)

La vita su questa terra è una meravigliosa opportunità che ci è offerta, ed è l'unica, per cercare, e conoscere Colui che ha fatto questo grandioso universo così ricco di meraviglie, e che ha fatto noi e ci sta facendo. È stoltezza vivere per altro, poiché il tempo rapidamente sta andando verso una conclusione.

Nel compimento dei tempi noi troveremo la Presenza di Dio davanti a noi, nei nostri stessi pensieri; ma ognuno la potrà sopportare e portare nella misura in cui si sarà personalmente preparato ad Essa, in cui l'avrà anticipata nella sua intelligenza. Ogni cosa richiede una preparazione adeguata a ciò che essa è: ciò che è Infinito richiede una veglia infinita. 1

Vegliare è raccogliere ogni cosa in Dio. È questa veglia che ci renderà capaci di stare alla Presenza di Dio e di convivere con Essa per sempre quando la sua Verità sì imporrà su di noi; in caso diverso come si potrà convivere con Uno che non si conoscerà e non si potrà conoscere?

Da ciò ben si capisce come il problema essenziale della nostra vita sia quello di imparare già fin d'ora a convivere con Dio, raccogliendo tutto in Lui. Ogni cosa ha senso e significato solo per questo e dobbiamo vederla in questo fine se non vogliamo vivere inutilmente. La nostra vita quindi vale solo in quanto ci occupiamo dell'eterno e ci sforziamo di cercare Dio e di capire i segni che Egli ci dà in tutto per farci conoscere qualcosa di Sé. Di conseguenza, se c'è questa veglia, si impara ad amare veramente anche tutte le creature e a stabilire delle relazioni costruttive ed arricchenti con esse, poiché è soltanto guardando le cose dal punto di vista di Dio che si vede bene, in modo giusto.

Ma chi ci insegnerà a vegliare, a raccogliere in Dio, a superare cioè l'aspetto transitorio delle cose per cogliere quello eterno?

"Non date a nessuno il nome di Maestro, poiché Uno solo è il vostro Maestro, il Cristo", ci dice Gesù (Mt 23-9-10). Lui che ci insegna a vegliare, a raccogliere ogni cosa in Dio, aiutandoci a ricuperare in continuazione il Principio di tutto. Nel suo Vangelo ci fa capire come tutto è parabola, tutto è segno di Dio, e, se Lo ascoltiamo, ci porta alla grande scoperta che ha folgorato la donna samaritana al pozzo di Sichar e che ha trasformato la sua vita: "Sono Io che ti parlo" (Gv 4,26): in tutte le cose è Dio che parla con te! Allora se tutte le cose e tutti i fatti sono parole di Dio, tali parole vanno raccolte con Lui e in Lui per essere capite dal suo punto di vista. Ma questo ci è possibile solo con Cristo. Infatti Egli dice: "Chi raccoglie con Me (quanto è importante questo "Me"!) riceve mercede di vita eterna" (cf Gv 4,36). Mercede di vita eterna è una ricompensa di luce, di crescente conoscenza di Dio. Ma Gesù aggiunge anche: "Chi con Me non raccoglie, disperde" (Lc 11,23) e disperdendo resta disperso nella notte: non capisce non sa leggere quanto Dio ogni giorno gli presenta o gli fa accadere, e soprattutto disperde, spreca l'opportunità che Dio gli offre per imparare a convivere con Lui.

Con queste parole Gesù ci fa capire che il verbo principale della nostra vita è “raccogliere”, ed è questo il vero lavoro che ogni uomo deve fare: raccogliere col Pensiero di Dio e nel Pensiero di Dio, per vedere tutto dal punto di vista di Dio (e questo ci è possibile perché portiamo in noi il Pensiero di Dio). In questo sta la preparazione, cioè la veglia.

Raccogliere vuol dire innanzitutto riconoscere che tutto (tutto, nulla escluso!) è opera di Dio Creatore; vuol dire rispettare la sua Presenza in tutto e quindi accettare tutto come voluto da Lui, come parola Sua personale per ognuno di noi.

Ma per raccogliere in Dio non basta accettare tutto da Lui, perché non bisogna rassegnarsi alla notte; ma è necessario soprattutto "riportare" ogni cosa a Dio, per vederla in Dio e da Dio, alla luce della Sua intenzione, senza proiettarvi la nostra, imparando così a lasciarci guidare dal suo Spirito in tutto, nel nostro pensare, parlare e agire. Infatti il tener presente l'intenzione di una persona, è la prima condizione per poter convivere in armonia con essa.

Dio opera ogni cosa con un'unica intenzione: farsi conoscere, perché conoscerlo è per noi vita vera, eterna. Quindi ogni cosa accoglila con fiducia dalle Sue mani sapendo che tutto avviene per aiutarti a preparare in te un terreno buono che possa accogliere e portare a maturazione il seme della sua Parola, e quindi per renderti capace di conoscere qualcosa di più di Lui. Non rassegnarti, dunque mai alle tenebre, ma cerca sempre con tutte le tue forze presso Dio la luce su quanto ti accade e su quanto Egli ti presenta ogni giorno.

Beati coloro che hanno fame di conoscere Dio, che hanno fisso nell'anima il Pensiero di Lui e tutti i loro pensieri sono rivolti ad approfondire le parole di Dio, perché hanno in Dio il loro Maestro, il loro Amico, il loro compagno di vita! Questi hanno in Dio la loro forza, il loro amore, la loro luce, e preferiscono piangere sui gradini della casa di Dio piuttosto che accettare di abitare altrove. Queste sono creature che sanno amare e maturano in sé la capacità di convivere con Dio per sempre.

(II – 31.07.1976 - fine)

(articoli scritti da Luigi Bracco e pubblicati su “La Fedeltà” a cura degli amici)