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Nessuno è salito al cielo se non Colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo che è in cielo. Gv 3 Vs 13


Titolo: Nessuno sale al cielo.


Argomenti: Il figlio dell’uomo – Manifestare se stesso – Venire al Padre -  Il cielo si fa terra –Fraintendere Cristo – Esaltare la Parola – Vita vera/eterna – Come Cristo morto ci salva – Schiavi dele nostre opere -  Dall’Egitto alla terra promessa – Figlio della nostra colpa – La prigione dell’uomo – Il delitto dell’uomo e l’incarnazione -


 

23/Gennaio/1977


 

Eligio: Più volte hai detto che Gesù ha usato per Sé la definizione di “Figlio dell’uomo” per riferirsi ad uno qualunque, uno come tutti noi, ma tutti noi non siamo in cielo.

Luigi: Quando parla di Figlio dell’uomo, dobbiamo intendere che Dio si è abbassato a diventare Figlio dell’uomo, che si è fatto uno qualunque; bisogna sempre fare una distinzione. Infatti Lui dice: “Risalgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Egli non si confonde mai con gli uomini, “si fa sotto” gli uomini, ma non si confonde con gli uomini. Infatti ad un certo punto userà queste espressioni: “Io sono di lassù, voi siete di quaggiù”; “Dove Io sono voi non potete venire”; “Mi cercherete, ma non mi troverete”: conferma questa impossibilità. Figlio dell’uomo vuol dire “uno qualunque”, cioè Lui si è abbassato a diventare uno qualunque perché si è fatto figlio dell’uomo per salvare noi; e qui si apre tutta la problematica sul perché questo sia necessario.

Nessuno è salito al cielo…”: proprio in questa frase si rivela la necessità.

Perché dice a noi: “Nessuno è salito al cielo…”? Ce lo dice per insegnarci che non è possibile all’uomo salire al cielo. Non si può passare dalla terra al cielo: noi quindi siamo in una situazione di impossibilità.

C'è una situazione di irreversibilità: non si può andare dalla terra al cielo, si può soltanto andare dal cielo alla terra, cioè il tempo è recuperato dall’eternità, ma l’eternità non si può recuperare nel tempo: si va a senso unico. Qui, dicendo che “nessuno è salito al cielo”, si dice che dalla terra non è possibile salire al cielo. Penso che questa frase vada corretta in questi termini: “Nessuno sale al cielo se non Colui che discende dal cielo”, cioè al presente. Perché è una lezione per noi, per evitarci di sprecare tutta la nostra vita in uno sforzo inutile: quello di credere di poter arrivare al cielo con le nostre virtù, con la nostra volontà, con le nostre scelte, oppure per diritto di sangue o per appartenenza ad un popolo, oppure per una scelta di classe, no! Non si può salire al cielo attraverso l’uomo o per mezzo della terra.

A questo punto Lui ci chiude il cielo? Se dice: “Nessuno sale al cielo”, forse ci chiude il cielo? ce lo rende impossibile? In un altro passo, nel Prologo, Gesù dice: “Vedrete il cielo aperto”, cioè il cielo accessibile. Quindi da una parte dice che il cielo è accessibile, dall’altra parte dice che non è possibile. Allora com’è?

Anzi, La salvezza sta proprio nell’entrare nel cielo. Per cielo si intende la conoscenza di Dio. Abbiamo già fatto la distinzione tra cielo e terra: cielo è quello che sta al di sopra di noi, al di sopra del nostro io, terra è quello che dipende da noi. Quindi la terra rappresenta tutto quel mondo che noi possiamo esperimentare; per cielo intendiamo quello che, essendo al di sopra di noi, ad di sopra del nostro io, non è soggetto a sperimentazione. Il cielo si fa sentire sulla terra, ma non si assoggetta a sperimentazione della terra o a sperimentazione dell’uomo. L’uomo non può sperimentare il Cielo.

Se dico: “Voglio provare che Dio esiste”, Dio non si assoggetta alla mia prova, non si sottomette alla mia prova; piuttosto Dio sottomette me alla sua prova, ma io non posso sottomettere Lui. Posso sottomettere alla prova tutto quel mondo che dipende da me. Ad esempio posso sottomettere alla prova che il fuoco brucia e constatare che il fuoco brucia; non posso fare altrettanto con Dio.

Noi ci troviamo con un mondo che è superiore a noi e un mondo che dipende da noi. Questi due mondi sono assolutamente necessari, perché se noi non avessimo nessun mondo che dipendesse da noi, non potremmo avere nemmeno la coscienza di essere. La coscienza di essere si ha in quanto uno ha la possibilità di esplicarla, di manifestarla, di testimoniare, di affermarsi. Quindi ognuno ha il suo habitat, ognuno ha il suo ambiente in cui può manifestare se stesso. Anche gli animali, l’abbiamo visto, ognuno ha la possibilità, il suo piccolo cerchio, la sua casa in cui può manifestare, testimoniare, rivelare, significare se stesso. Questo è il mondo che dipende da noi. Ma noi non siamo il centro dell’universo, non siamo la Verità, quindi c'è un mondo che è al di sopra di noi. Questo mondo però non è soggetto a sperimentazione nostra; per cui abbiamo il vento dello Spirito di cui parlava Gesù, il vento dello Spirito che si fa sentire a noi. Noi lo sentiamo, quindi sentiamo ad esempio parlare di Dio, avvertiamo il mistero, sentiamo il bisogno della Verità, il bisogno dell’Assoluto: è il vento dello Spirito. Cioè è il mondo superiore che interferisce nel mondo inferiore; per cui ad un certo momento ci troviamo con il problema aperto e non capiamo, sentiamo il soffio del vento, ma non capiamo.

Qui Gesù prosegue, e il suo dialogo con Nicodemo ormai è diventato un monologo. Perché Nicodemo oramai si è fatto cieco, si è fatto povero, si è fatto umile, perché ha incominciato ad interrogare, a dire: “Come può avvenire questo?”, mentre era arrivato dicendo: “Noi sappiamo…”. Qui Gesù incomincia a spiegare ciò che aveva affermato prima: “Tu senti il soffio del vento, ma non sai donde venga e dove vada”.

Qui glielo spiega dicendo che c'è la terra e c'è il cielo, che ci sono i due mondi, e che la terra non può arrivare al cielo. Cosa vuol dire che la terra non può arrivare al cielo? Vuol dire che la terra non può capire il cielo; il cielo capisce la terra, la terra non può capire il cielo. Lo Spirito comprende la materia, la materia non può comprendere lo Spirito. Ma guai a noi se pretendessimo di spiegare lo Spirito con la materia, oppure di spiegare il cielo con la terra: materializzeremo tutto, vanificheremo tutto e ci impediremmo quindi di intendere il significato, cioè non passeremmo al significato delle cose, e così perderemmo anche il significato stesso della nostra vita.

Però dicendo quella frase: “Nessuno sale al cielo” Gesù ci dice che è impossibile il passaggio dalla terra al cielo. È come quando Gesù aveva detto: “Dove Io sono voi non potete venire; mi cercherete, ma non mi troverete”. Però abbiamo l’altro passo che dice: “Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto, perché trova colui che cerca”. Ecco la contraddizione apparente; per cui da una parte il Signore promette e dall’altra dice: “È impossibile”, cioè è impossibile a noi, all’uomo, all’uomo solo, all’uomo autonomo. L’uomo autonomo non può arrivare alla Verità, sente il bisogno della Verità, però non può arrivare alla Verità. La Verità è comunicata soltanto dal Cielo, perché Dio si conosce soltanto in Dio, la Verità si conosce soltanto nella Verità, la Luce si vede soltanto nella luce. Quindi soltanto se il Cielo discende a noi, dà a noi la possibilità di-. Infatti si dice: “A coloro che Lo accolsero diede la possibilità di diventare figli di Dio”, cioè di salire al cielo, per cui: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”.

Questo “venire” è molto importante, perché Gesù dice “Nessuno può venire…”, non dice “Nessuno può andare…”. Ora, si dice “venire” quando uno c'è. Quindi se Gesù dice “venire”, vuol dire che si trova già nel Padre. Gesù dice: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”.

Ma come potrebbe essere “per mezzo di” Lui se Colui che è nel Padre non venisse a dare una mano, non venisse a prendere per mano?! Ecco il Figlio dell’uomo che discende, ecco la necessità che il cielo si faccia terra, per portare la terra verso il cielo. Cioè il Cielo deve venire a colloquiare con la terra a livello della terra. Ed abbiamo Gesù.

Per cui Gesù dice: “Se quando vi ho parlato di cose della terra voi non avete creduto, come potrete credere quando vi parlerò di cose del cielo?”. Abbiamo il Cielo che discende sulla terra, ma non per farsi terra. Ecco perché Lui fa la distinzione tra: “Dio mio e Dio vostro; Padre mio e Padre vostro”, cioè non si confonde. Il Cielo discendendo in terra, non si confonde con la terra e non viene per approvare la terra, per farsi terra; non viene per condividere le passioni della terra, le passioni dell’uomo; non viene per battere le mani o per aiutare l’uomo a soddisfare i proprio interessi, le proprie passioni.

Il Cielo discende sulla terra per trasformare la terra in Cielo, per portare la terra in Cielo. Allora il Cielo, scendendo in terra, non è più Cielo per la terra, perché si abbassa a livello della terra; diventa soltanto segno del Cielo, ma non è Cielo.

Resta il problema alla terra di aderire; infatti qui si tratta di esaltare. Il Figlio dell’uomo va esaltato. Non basta che il Cielo si faccia terra o si abbassi al livello della terra, non basta che il Figlio di Dio si faccia Figlio dell’uomo per salvare l’uomo: non è sufficiente.

Bisogna che l’uomo Lo esalti, Lo metta in alto; bisogna che l’uomo, accogliendo i segni dal Cielo, si unisca, Lo tenga in alto, Lo metta in alto, Lo metta al di sopra dei suoi pensieri, delle sue preoccupazioni. Esaltare vuol dire metterlo in alto nei nostri pensieri, metterlo al centro della nostra vita come preoccupazione principale.

Gesù dice: “È necessario che il Figlio dell’uomo venga innalzato, e come Mosè innalzò il serpente…”. Ora, noi conosciamo benissimo quel fatto del serpente. Durante la traversata del deserto, il popolo incontra una regione in cui c'erano molti serpenti velenosi e tutta la gente moriva. Allora Dio ordina a Mosè di fabbricare un serpente di bronzo, di metterlo su un palo e tutti coloro che, morsicati dal serpente, avessero guardato a quel serpente di bronzo si sarebbero salvati, non avrebbero perso la vita. Ecco il segno: mettere in alto. Il Figlio dell’uomo prende su di noi il nostro peccato, il nostro avvelenamento, ma è necessario che noi avvelenati lo guardiamo, che lo mettiamo in alto; è necessario che noi guardiamo Lui. Per cui il segno del Cielo in terra va da noi raccolto ed esaltato.

Questo esaltare, questo mettere in alto vuol dire riferire a Dio, e non riferire al nostro io. I segni di Dio vanno mantenuti uniti a Dio (il cielo è Dio, la Verità), vanno riferiti a Dio, non vanno riferiti al nostro io. Se li riferiamo al nostro io, li rendiamo terra, quindi praticamente trasformiamo il Cielo in terra, pianifichiamo tutto. Invece i segni del Cielo vanno riportati in Cielo, quindi le parole di Dio vanno sempre mantenute alla presenza di Dio, vanno sempre riferite a Dio. L’intelligenza delle parole di Dio si ha solo alla presenza di Dio, per cui non bisogna disunire la Parola di Dio unita a Dio.

Il Figlio di Dio, venendo tra noi in terra, facendosi Figlio dell’uomo, non ha cessato di essere Figlio di Dio, quindi va sempre mantenuto unito a Dio, va intelletto con Dio e non nei nostri problemi terreni. Tutta la lezione, tutto il messaggio del Cristo, va visto unito a Dio, quindi nel positivo. Nel pensiero del nostro io il messaggio del Cristo lo vediamo solo sotto l’aspetto negativo, cioè di privazione: non fare questo, non fare quello, distaccati da tutto, beati i poveri, beati quelli che piangono. Allora dobbiamo piangere dal mattino a sera? Dobbiamo lasciare tutto? Queste domande sorgono se vediamo tutto sotto l’aspetto negativo, se interpretiamo secondo il pensiero del nostro io, secondo il pensiero della terra. È lì il guaio! Per cui il messaggio del Cristo può essere frainteso; ed è sempre frainteso fintanto che noi lo vediamo nel pensiero del nostro io, perché vediamo soltanto la privazione. E vediamo Gesù come uno che ci impedisce di vivere secondo quelli che sono i nostri interessi, le nostre passioni. Invece la Parola di Dio, va sempre mantenuta unita a Dio. La parola va tenuta unita a Colui che parla, va intelletta secondo Colui che parla, e Colui che parla è Dio! Quindi anche se la parola si abbassa al nostro livello, a noi che siamo piccoli, che siamo miseri, non dobbiamo mai intenderla nel nostro pensiero. La sua parola si fa piccola, ma va intesa nella sua grandezza, nel suo significato, quindi va sempre mantenuta alla presenza di Dio. Questa è la condizione.

Quindi Gesù, che è Figlio di Dio, si dice Figlio dell’uomo perché effettivamente si abbassa a diventare a livello terra, a livello uomo; però, facendosi terra, facendosi uomo, Lui parla a noi parole che vanno mantenute unite a Dio, perché il suo parlare è il parlare di Dio. Lui parla e la sua Parola ci propone Dio, Lui stesso; per cui, noi possiamo disgiungere la su Parola da Dio, la possiamo disgiungere nel pensiero del nostro io, ma allora Lo mandiamo a morte: uccidiamo il messaggio e di conseguenza la nostra vita.

Siccome la nostra vita è in Cielo, Lui discende dal Cielo per portarci in Cielo, per non farci morire in terra. Non discende per dirci: “Guardate che voi non potete arrivare al Cielo!”, quindi per chiuderci il Cielo, per renderci impossibile il Cielo.

Certo, abbiamo i conflitti: da una parte ce lo promette e dall’altra ce lo toglie. Ma tutte le contraddizioni che troviamo nel Vangelo sono per farci approfondire, per farci scavare più a fondo. Quindi Lui discende nel nostro piano per portarci nella vita, per darci la vita. Ora, se noi non accogliamo il messaggio dello Spirito di Dio, ci priviamo, uccidiamo la vita. “Avete ucciso la vostra vita”, disse San Pietro nel suo primo discorso a Gerusalemme. “Avete ucciso la vostra vita uccidendo Lui”, perché era la vostra vita. In Lui è la nostra vita.

Quindi, in Cristo che scende in mezzo a noi, che si fa Figlio dell’uomo, c'è tutta la nostra vita. Però è importante che noi Lo esaltiamo, che Lo portiamo in alto, al di sopra del nostro io. Per cui noi dobbiamo diventare servitori di questa parola.

Le creature umili, le creature tutte attente a Dio, cercano in Dio il senso del segno. Cercando in Dio il senso del segno, della Parola che giunge a noi in terra, di questo Figlio dell’uomo, noi passiamo al significato, cioè recuperiamo il segno nel significato. Il significato di quello che Dio ha fatto, ad esempio il significato del Cristo, o il significato di tutto il suo messaggio, o il significato di tutta l’opera di Dio, della creazione stessa, poiché tutta l’opera Dio, anche la creazione stessa, è un abbassamento di Dio a livello della creatura, cioè a livello in cui la creatura può capire qualche cosa, può intendere.

Se possiamo soltanto capire la goccia d’acqua, Dio si fa goccia d’acqua, perché la nostra attenzione è soltanto limitata alla goccia d’acqua. Ma ad un certo momento la goccia d’acqua scompare, oppure noi mutiamo e non riusciamo più a comprenderla; perché? perché la goccia d’acqua è un segno, un segno da recuperare; il tempo se ne va e Dio si fa tempo, si fa messaggio. Però, essendo segno, questo segno non permane. Dio permane, il segno no, il segno passa, il segno deve essere recuperato in Dio. Come la parola; la parola è un segno del pensiero: la parola passa, ma la parola va recuperata nel pensiero. Quindi la parola è intelletta nel pensiero, mentre il pensiero non può essere intelletto nella parola.

Tutto va recuperato. Recuperando in Dio, recuperando nello Spirito, nel pensiero, si intende il significato della parola. E intendendo il significato, noi scopriamo che la nostra vita incomincia ad aver senso. Mentre invece se noi non raccogliamo in Dio le sue parole, non arriviamo al significato delle cose, e perdiamo il significato della stessa nostra vita. Ecco l’importanza! Per cui più noi cerchiamo il significato delle cose in Dio e più scopriamo il significato della stessa nostra vita; più invece noi trascuriamo di cogliere, di cercare il significato delle cose in Dio, e più perdiamo il significato della nostra vita. In tal caso è inutile darsi tanto da fare per dare un significato alla vita; anzi, più noi ci agitiamo per dare un senso e più la nostra vita perde senso, perché il senso è nel Cielo. Cioè il senso della terra, se lo vogliamo capire, dobbiamo cercarlo nel Cielo; non dobbiamo cercare il senso del Cielo sulla terra. Noi dobbiamo intendere il senso della terra nel cielo, quindi non dobbiamo interpretare il cielo in funzione della terra, sbaglieremmo tutto! Come non possiamo interpretare Dio nel pensiero del nostro io. Invece dobbiamo proiettare la terra in cielo, e allora in cielo capiremo cos’è veramente la terra. Così anche in Dio. Quindi raccogliendo le opere di Dio e raccogliendo soprattutto le parole del Cristo, il messaggio del Cristo, noi scopriamo il significato e nel significato scopriamo il significato stesso della nostra vita.

Comunque il versetto è questo: “Nessuno è salito al cielo se Colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo che è in cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così è necessario che il Figlio dell’uomo sia innalzato… (…è necessario: è una necessità questo innalzare), …affinché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna”. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito affinché chiunque crede in Lui abbia la Vita Eterna”.

Giovanni: Dio si è immedesimato nella creatura affinché la creatura Lo esalti.

Luigi: Cioè, noi dobbiamo esaltare Colui che si abbassa, che è Dio che viene a noi. Lo dobbiamo mettere in alto nell’interesse della nostra vita. Esaltare vuol dire mettere in alto fra gli interessi; perché noi abbiamo tanti interessi nella nostra terra. Noi dobbiamo mettere Dio in primo piano, prima di tutto; perché soltanto mettendolo prima di tutto noi arriviamo al Cielo, cioè arriviamo a quello scopo per cui Lui è venuto giù. Altrimenti noi travisiamo le cose, cioè strumentalizziamo Dio e tutte le opere di Dio nel pensiero del nostro io, nei nostri interessi, nelle nostre passioni.

Invece no, mettendolo in alto, incominciamo a guardare a-, e guardando a- siamo attratti da-; allora siamo assorbiti. Ecco, inizia il processo di spiritualizzazione. Noi ci spiritualizziamo nella misura in cui guardiamo a-. Se guardo in basso mi abbasso; se guardo in alto mi elevo. Guardando lo Spirito tutta la nostra vita viene spiritualizzata. Ecco l’importanza di guardare a-. Noi guardiamo in quanto mettiamo in alto. Se metto in alto il denaro, guardo molto il denaro, ma divento anch’io denaro, cioè tutta la mia vita diventa denaro. Tutto dipende da quello che noi mettiamo in alto, ad di sopra di tutto, nella nostra vita.

Al di sopra di tutto nella nostra vita noi dobbiamo mettere Dio e riportare tutto a Dio. Mettere in alto vuol dire riportare, riferire tutto a Lui, perché riportando a Lui succede una cosa meravigliosa: le cose acquistano significato. Non unendole a Lui le cose perdono di significato; fino ad arrivare al momento in cui ci chiediamo per cosa stiamo vivendo. Non sapere il senso, lo scopo, il significato della nostra vita, rivela, denuncia il nostro peccato, denuncia che noi abbiamo disunito quello che invece Dio ha unito.

Le parole di Dio, le opere di Dio, tutto ciò che è di Dio va unito a Dio, perché è di Dio. Non dobbiamo invece unirlo ad altro, quindi non dobbiamo adoperare le cose di Dio per noi o per le cose del mondo o per gli interessi delle creature. Siccome sono opere di Dio, Gesù dice: “Date a Dio quello che è di Dio”. Tutto è di Dio e allora tutto va riportato a Dio, perché, riportato a Dio, si illumina.

Eligio: Se l’uomo attribuisce a se stesso, crea uno stacco tra lui e Dio.

Luigi: Si crea un muro, per cui Dio diventa lontanissimo; perché noi diventiamo figli delle nostre opere; queste opere, che sono espressione della nostra autonomia, del distacco da Dio, creano la distanza tra noi e Dio. Lui è vicinissimo a noi, perché Lui è presente (anche se noi siamo in colpa, Lui è sempre presente), ma noi siamo lontanissimi.

La lontananza è soggettiva; ma soggettiva non vuol dire inesistente: c'è, e noi la subiamo. Questa lontananza può diventare inferno, può trasformarci tutto in inferno; cioè può renderci impossibile addirittura la conoscenza di Dio. Per cui noi nell’inferno subiamo l’attrazione di Dio, ma non possiamo comprendere, cioè sentiamo il vento, ma non lo possiamo comprendere. Quello che ci rende impossibile la conoscenza di Dio è l’opera nostra non secondo Dio; sono i nostri prodotti che mettono il muro. Il muro c'è già quando viene il Figlio dell’uomo. Infatti se il Cielo discende in terra è perché c'è già una distanza tra la terra e il Cielo; nella distanza c’è soggettività, ed è questa soggettività che ci domina.

Il Dio che discende elimina le distanze, ma eliminando le distanze non elimina il nostro peccato: ci offre la possibilità. Lui viene a parlare nella nostra lontananza, per cui abbatte il muro, però, abbattuto il muro, non è detto che siamo con Dio. Lui parla a noi, ma è necessario che noi siamo con Lui. Lui viene a parlare a noi, cioè ci dà la possibilità di entrare in rapporto con Lui, ma è necessario che noi entriamo in rapporto, quindi che Lo mettiamo in alto (ecco l’esaltare), che Lo facciamo nostra vita, che Lo facciamo preoccupazione della nostra vita, interesse nostro principale. Questo interesse principale c’è quando si riferisce tutto a Dio e non più a noi; quindi quando abbiamo capito che riferire a noi è peccato, perché crea le distanze.

Il Cristo, venendo, elimina tutte le distanze oggettive, che non dipendono da noi, e quindi ci offre la possibilità. Per cui da parte sua c'è il contatto, ma non elimina il peccato soggettivo. Il peccato soggettivo si elimina soltanto se noi soggettivamente ci applichiamo a Lui; e allora arriva la Vita Eterna, arriva la salvezza.

Il primo passo è constatare che il cielo discende in terra a parlare con noi e, constatato questo, va esaltata la Parola di Dio(secondo passo), il messaggio di Cristo, mettendolo in alto, al centro dei nostri interessi, cioè farlo nostra preoccupazione fino ad intendere il significato delle opere di Dio in Dio. Perché soltanto arrivando a questo significato comprendiamo il significato del vivere. Allora incomincia la comunione con Dio (terzo passo), che è poi vera vita, Vita Eterna.

Quando si parla di Vita Eterna, noi la parola “eterna” la contrapponiamo al tempo, invece dovremmo contrapporre la Vita Eterna, che è vita vera, alla nostra vita che non è vera. La nostra vita quaggiù è una vita non vera, perché è una vita soltanto di impressione: noi abbiamo soltanto l’impressione di vivere, ma questa non è vera vita.

Per vivere bisogna rinascere. La vita vera inizia con una rinascita e si chiama Vita Eterna perché non muta. Ciò che è vero è immutabile, allora diventa eterno; ciò che non è vero invece muta e allora naturalmente lo perdiamo. Soltanto sistemandoci nelle cose vere noi ci assicuriamo la non perdita di esse, mentre invece noi facciamo il nostro danno curando le cose apparenti, le cose di questo mondo (cioè non le cose del cielo), perché non sono vere, quindi certamente le perdiamo.

Una sola è la Verità, Uno solo è Dio. Ecco l’importanza di raccogliere in Dio, perché lì ci assicuriamo. Gesù dice: “Non tesoreggiate in terra, perché i ladri rubano o se non ci sono i ladri, ci sono i tarli e quindi tutto deperisce e voi vi create la vostra infelicità. Voi vivete per la vostra infelicità e l’infelicità ve la formate con le vostre stesse mani. Tesoreggiate in cielo! Il cielo è Vita Eterna è la vita vera, è la conoscenza di Dio. Lì dovete preoccuparvi di raccogliere, tesoreggiare vuol dire raccogliere, perché quello non muta mai, quello l’avrete sempre e vi assicurate quindi la vita, la felicità, la pace che non muta”.

Tutto questo discorso è fondato su una pietra solida: Dio esiste; perché se non crediamo che Dio esiste, il discorso assume tutto un altro aspetto. Poiché Dio esiste, noi facciamo un errore madornale a tesoreggiare in terra, perché i segni passano. È come se io, anziché preoccuparmi di intendere i pensieri di colui che parla, mi mettessi a raccogliere, a catalogare tutte le parole che dice per ordine alfabetico, per come sono costruite, per la grammatica: perderei il pensiero! Eppure, con Dio, nel pensiero del nostro io noi facciamo questo errore. Siccome tutto è parola di Dio, noi raccogliamo tutti i segni di Dio, tutte le parole Dio per alfabeto; magari ci preoccupiamo tanto di conoscere tutta la grammatica e non passiamo al pensiero, cioè non passiamo al significato. Il Signore ci dirà: “Ma io parlavo a te! Perché tu passassi a capire quello che dicevo, affinché tu passassi al pensiero; non volevo che tu ti fermassi a compitare le parole”.

Pinuccia: Si potrebbe anche intendere questo: “Salire al cielo” come “È necessario che il Figlio dell’uomo sia innalzato”?

Luigi: Data la situazione di peccato, sì. Gesù muore perché noi Lo esaltiamo. La croce stessa è un’esaltazione. Gesù muore per fissare la nostra vita, la nostra dispersione, cioè Gesù si fa oggetto del nostro peccato, del nostro delitto perché noi abbiamo a fissarci in Lui. Infatti noi restiamo fissati nel nostro delitto. Noi diventiamo figli delle nostre opere e uccidendo Dio, Lui morto ci salva ancora. Come ci salva? Ci salva in quanto diventa l’ossessione di quello che abbiamo fatto. Noi abbiamo ucciso Lui, e ora, ossessionati, mettiamo in alto; l’ossessione è un mettere in alto, è un’esaltazione e ognuno di noi è esaltato dai suoi peccati, dalle sue colpe, da quello che fa, perché noi diventiamo figli delle nostre opere. Allora le nostre opere diventano altro, diventano quelle che generano noi; la nostra vita è generata da quello che noi facciamo.

La ragione per cui Dio si fa Figlio dell’uomo e si lascia uccidere dall’uomo, è proprio per diventare l’oggetto di esaltazione dell’uomo; per cui anche il Cristo morto, diventando oggetto di esaltazione dell’uomo, salva ancora l’uomo. La crocifissione, la morte del Cristo è l’ultima lezione in cui si dice: “Mi dovete esaltare”.

Pinuccia: Non capisco il paragone con Mosè che innalza il serpente.

Luigi: Già nel Paradiso terrestre abbiamo la simbologia del serpente (la tentazione è il serpente), abbiamo l’avvelenamento. Il deserto, questa traversata dall’Egitto alla Terra promessa è il simbolo della nostra vita, il passaggio dalla terra al cielo; l’Egitto significa la nostra vita terrena, la Terra promessa significa il cielo, la Gerusalemme celeste. Il deserto significa quindi il passaggio, tutta la tribolazione, e in questa tribolazione l’avvelenamento, il serpente, cioè il pensiero del nostro io che ci avvelena.

Il serpente di bronzo innalzato significa Gesù che si è fatto Figlio dell’uomo, Figlio del peccato, perché siamo dominati dal serpente. Il serpente è questo orgoglio, questo io che avvelena la nostra vita. Ora, il Figlio di Dio, facendosi Figlio dell’uomo, praticamente si fa Figlio della nostra colpa. Noi siamo salvati soltanto da quella che è la presenza che incarna la nostra colpa. L’incarnazione è la rappresentazione del nostro peccato, perché Dio è Spirito, non è corpo.

Dio che si fa corpo è una contraddizione, ma questa contraddizione Dio l’assume su di Sé, non per restare con noi, ma perché noi siamo schiavi del corporeo. Il serpente ci fa schiavi della materia, per cui noi tendiamo a interpretare addirittura i segni secondo la materia, lo Spirito in funzione del corpo. Ecco, siccome noi non intendiamo nessun altro linguaggio, in Dio che si fa corpo abbiamo qualcosa del serpente che viene fuori, qualche cosa di questo avvelenamento; perché l’uomo avvelenato può essere salvato soltanto attraverso il suo veleno. L’uomo che è schiavo della materia può essere salvato soltanto attraverso la materia. Noi vediamo solo corpi e possiamo essere salvati soltanto per mezzo di corpi. Noi vediamo soltanto uomini e possiamo essere salvati soltanto per mezzo di uomini. Se io sono in prigione, posso essere salvato da uno che entra nella mia prigione; fintanto che uno è fuori dalla prigione, può dire tante cose belle, ma è dall’altra parte.

Soltanto uno che dall’alto discende nella mia prigione può portarmi in alto, può liberarmi. Siccome però l’uomo è nel peccato, avviene la morte di Dio. Questo è scontato, perché nella simbologia stessa dell’incarnazione, abbiamo già il delitto dell’uomo, abbiamo già il Dio che si assoggetta al peccato dell’uomo: e in quanto si assoggetta è scontato Dio morirà. Ma Dio morto diventa motivo di salvezza: noi siamo salvati da Dio morto, siamo salvati dal Cristo morto in croce, non dalla sua resurrezione. Siamo salvati dalla sua morte, perché proprio la sua morte diventa in noi il pensiero dominante, perché “io l’ho ucciso!”.

Il fatto di trovarmi con un delitto, questo delitto diventa per me il motivo dominante della mia vita, perché diventa l’esaltazione: io vengo esaltato dal mio delitto. E poiché Colui che ho ucciso è Dio, questa esaltazione mi collega con Dio e mi ristabilisce quell’unione che era interrotta: attraverso la sua morte si ristabilisce l’unione con Dio, il dialogo con Dio; addirittura il problema di Dio mi è imposto! Perché si è fatto mio delitto. Ora, se noi teniamo presente che diventiamo figli delle nostre opere, Lui, facendosi Figlio nostro, anche se si lascia uccidere, forma una cosa sola con noi e una cosa da cui non ci possiamo più disunire, perché è la nostra opera. Fintanto che Lui non era opera nostra, noi eravamo disuniti. Facendosi opera nostra forma un blocco con noi.

Pinuccia: Questa frase: “Nessuno è salito al cielo se non Colui che è disceso dal cielo” si potrebbe condensare così: “È Colui che discende dal cielo per tutti noi che Lo seguiamo”.

Luigi: Lui non ha detto queste parole per escluderci, ma per indicarci la via, per evitarci di fare degli sforzi inutili con la nostra volontà, con le nostre virtù, con i nostri impegni, appartenendo a certi gruppi o facendo certe scelte; le ha dette per non confonderci.

I figli di Dio nascono da Dio. Ora, come posso io nascere da Dio se sono figlio dell’uomo, se sono qui in terra? Posso soltanto se Dio discende al mio livello e mi conduce a Dio. Soltanto dall’alto comprenderemo la terra; nel cielo noi comprendiamo la terra, nello Spirito noi comprendiamo la materia, nel significato noi comprendiamo il segno, ma è sempre dall’alto; l’intelligenza si ha discendendo dall’alto.

In basso noi avvertiamo soltanto l’annuncio, il messaggio, l’invito. Se noi aderiamo all’invito (aderire vuol dire mettere in alto, esaltare), arriveremo in alto, all’intelligenza, allora nell’intelligenza comprenderemo. Dall’intelligenza, discendendo, comprendiamo anche tutta l’opera che Dio ha fatto per portarci in quella condizione.

Il Figlio dell’uomo, che è in Cielo, discende per dare a noi la possibilità di andare in Cielo; altrimenti nessuno potrebbe andare e questo lo possiamo commentare con le parole di Gesù: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”; “Io sono la via”. Come possiamo noi incontrare la via? Gesù mi dice: “Io sono la via”. È come dire: “Qual è la strada che va a Cuneo?” E colui che mi risponde mi fa vedere la strada. Qui abbiamo un “Io”, quindi è una Persona che diventa strada. Come diventa strada? In quanto la esalto, in quanto resto con essa e quindi incomincio a ragionare come Lei, incomincio a riferire le cose a Lei, La faccio centro dei miei pensieri, centro di interesse e di vita.

Cina: In Dio le cose, anche la vita, acquistano significato.

Luigi: La vita è sempre inutile finché non arriviamo al significato in Dio. La vita è sempre inutile perché se noi non colleghiamo con Dio, non possiamo ignorare che tutto passa. Ammettiamo che noi facciamo scopo della nostra vita l’uomo, che noi abbiamo il culto dell’uomo, non possiamo però ignorare che presto o tardi l’uomo muore; e non parliamo delle cose…, perché tutto passa. Il semplice pensiero che domani una cosa che mi piace non ci sarà più mi frustra e mi fa perdere il significato. Che senso ha? Per cosa vivo?

Infatti quando viviamo per qualche cosa (il denaro, la casa, la gloria), riteniamo che siano cose ben valide, poi ad un certo momento mutano; e il denaro, ad esempio, non risponde più alle mie esigenze, non serve più a risolvere certi problemi, allora constaterò di aver speso tutta la mia vita per il denaro per ritrovarmi con problemi che non posso risolvere: qui la mia vita perde senso. Se vivo per i figli, ad un certo momento mi accorgo che i figli rispondono tutt’altro da quella che era la mia attesa: mi deludono, mi tradiscono, manifestano addirittura mancanza di riconoscenza; è il fallimento della vita: tutto è stato inutile perché non hanno risposto alla mia attesa. Ecco come fa la nostra vita a perdere di significato. Vivo per una istituzione, e ad un certo punto mi accorgo che non risponde più a quelle che sono le mie esigenze, e arrivo a dire: “Allora tutta la mia vita a che cosa è servita?”.

Solo Dio è immutabile! Ciò vuol dire che qualunque altra cosa noi poniamo come scopo di vita, certamente ad un certo momento ci farà toccare con mano il non senso della nostra vita. Invece in Dio scopriamo il significato della nostra vita e delle cose; e più noi scopriamo il significato delle cose e più la nostra vita acquista di significato, perché resta sempre confermata.

Come noi raccogliamo le cose siamo raccolti, per cui se noi vogliamo imparare a raccoglierci dobbiamo raccogliere; così anche: intendendo il significato in Dio la nostra vita prende significato.

Cina: Ogni tanto mi sorge questa domanda: “Per che cosa vivo?”. Ho bisogno di mettere in alto la Parola di Dio.

Luigi: Direi non soltanto la Parola di Dio, ma proprio la presenza di Dio, perché Dio è lo scopo della nostra vita. Dio è l’Essere al quale va rivolta tutta la nostra vita: alla conoscenza di Lui. Se noi onestamente possiamo dire: “io vivo per conoscere Dio”, dalla conoscenza si passa all’amore, perché la tanta conoscenza di Dio diventa tanto amore, e quindi naturalmente tanta unione, e la com-unione diventa vita. Quando sorge in noi questa interrogazione: “Per che cosa vivo?”, dobbiamo sempre poter rispondere: “Vivo per conoscere Dio”. In coscienza dobbiamo poter dire: “Lo scopo della mia vita è conoscere Dio”. Allora tesoreggiamo in cielo, che è poi quello che il Signore invita a fare.

Giovanni: È difficile sentire che Dio viene a noi.

Luigi: Tu dici: “Come si fa a riconoscere la parola che dice che Dio viene a noi”? Tutti i giorni Dio arriva a noi in tutte le cose, perché tutto è opera di Dio e nulla accade senza che Dio lo voglia e noi ogni giorno siamo interrogati da Dio. Dio ci interroga in quanto ci pone dinnanzi a delle scelte perché Dio in tutte le cose, in tutti gli avvenimenti, ci pone sempre dinnanzi la sua Verità, la sua esistenza, e nello stesso tempo ci pone anche una scelta: il problema del mondo, il problema del nostro io, dei nostri interessi. E di fronte ad ogni cosa, anche senza rendercene conto, noi diamo un giudizio, cioè facciamo una scelta. Dicendo: “Quello che è successo è colpa del tale!”, c’è già una scelta, c'è il nostro io in gioco, il nostro modo di vedere. Infatti possiamo riferire la cosa a Dio; e se la raccogliamo in Dio, cerchiamo la giustificazione di quell’avvenimento presso Dio.

“Hanno rapito quella persona; c'è stato un delitto; è Dio che mi presenta questo. E come mai mi presenta questo fatto qui?”. Se io riferisco a Dio tutto scompare, perché tutto viene da Dio e tutto va riportato a Dio. Se invece dimentico il termine di partenza o il termine di arrivo, mi infilo nel relativo e mi muovo soltanto su dati relativi. Con questi dati relativi vado di cosa in cosa, e cammino nella nebbia, cammino nelle ombre; per cui magari ritengo di dare un buon giudizio e il giorno dopo me lo devo rimangiare, perché le cose sono in modo diverso. Mi accorgo che navigo nell’apparenza. E tutti i dati, anche nelle cose più elementari, sono validi soltanto fino ad un certo punto. In qualunque cosa basta approfondire un po’, e subito siamo incerti, non sappiamo più cosa sia; gli stessi numeri che sembrano apparentemente facilissimi (ad es. 1 + 1 = 2), se proviamo ad approfondire il concetto di numero, sparisce tutto.

Questa relatività ci pone l’incertezza del giudizio: se io giudico, lo faccio soltanto secondo le apparenze e questa apparenza non mi sostiene; mi accorgo che è apparenza. Io giudico: “Quel tale è un delinquente!”, ma per poco che scavo, mi domando: “La colpa è della società o la colpa è mia? Oppure perché lui è così?”. Soltanto se l’avvenimento lo vedo sempre mandato da Dio evito l’incertezza. Anche le cose più orribili devo sempre vederle mandate da Dio, perché sono quadri, sono lezioni che Dio mi sta dando. Allora non devo dire: “Ma la colpa è di…”, perché è il Signore che mi sta presentando quel quadro, e lo sta presentando a me. Il problema si fa personale, perché il problema, la scena arriva a me, ma va riportata a Dio, intelletta in Dio.

Non si deve dire: “io vado in chiesa e lì trovo Dio”, in quanto si fugge dal problema; perché se per trovare Dio vai in chiesa, ma per tutto il tempo che sei per strada non ti poni il problema di Dio, non giungi a conoscere Dio. Perché magari Dio ti sorprende proprio per la strada! Perché le lezioni più efficaci e più tremende te le dà sulla strada. Come è un errore dire: “D’ora in poi non guardo più la Stampa per trovare Dio”, perché magari Dio le lezioni più grandi te le dà attraverso la Stampa. Noi dobbiamo sempre tenere presente che Dio è presente dappertutto. Egli non è soltanto in un luogo, perché questa è soltanto un’evasione. Cioè, credere che per trovare Dio si debba andare solo in un luogo, e fuori no perché “Dio fuori non c'è”, è un errore. Perché Dio mi dirà: “io ti parlavo dappertutto, in chiesa e fuori; perché tu ricevevi le mie lezioni solo qui e non là?”. Invece noi dobbiamo sempre riferire tutte le cose a Dio; tutte le cose vanno ricevute dalle mani di Dio e riportate a Dio, per cercare di intendere. È attraverso questo sforzo che Dio ci mette in movimento, e nel semplice fatto di metterci in movimento, ci libera dalla palude. Perché la nostra vita ad un certo momento diventa noia, ripetizione; ma se incominciamo a porci il problema di Dio, a ricevere le cose da Dio, queste cose ci smuovono, ci mettono un problema, ci mettono in movimento, ci fanno lavorare. Ed è il vero lavoro. Riconsacrare le cose che arrivano a noi da Lui per arrivare all’intelligenza, al significato di queste cose, di questi fatti, di queste lezioni è il lavoro essenziale.

Comprendendo il perché c'è quella lezione severa davanti ai miei occhi mandatami da Dio, ad un certo momento incomincio a fare penitenza, incomincio a capire che sono su una strada sbagliata, incomincio a capire che la mia vita è vana. Tutto questo è frutto di aver ricevuto qualcosa dalle mani di Dio, perché Dio opera prima di tutto per portarci alla penitenza, per portarci a capire che stiamo, ad esempio, camminando su una strada sbagliata che ci porta molto lontano da Lui. E già il capire questo, che è già effetto di grazia, richiede l’aver ricevuto la cosa da Lui.

Se io non ricevo le cose da Dio, le mie interpretazioni sono tutte sbagliate, perché interpreto tutto in funzione di altre cose; attribuisco cioè agli uomini o alla natura, oppure al caso, quello che invece mi viene da Dio. Davanti a Dio io dirò: “Per me quell’avvenimento era determinato dal caso!”; e mi sentirò dire: “Ma non è peccato il non tener conto che io sono il Creatore? É forse il caso il Creatore? Io parlavo con te e tu attribuivi le mie parole agli uomini o ad altri”. La colpa sta nel mettere la creatura al posto del Creatore. Quindi c'è questo problema che si forma in noi partendo da Dio: la vita in noi incomincia a muoversi soltanto in quanto teniamo presente Dio. Se noi trascuriamo Dio, non c'è vita, è una morte crescente, cioè è una dispersione crescente. Se noi trascuriamo Dio e non precipitiamo immediatamente è solo per una lentezza di percezione del nostro morire, della nostra morte. Ma effettivamente precipitiamo. Quando noi trascuriamo Dio precipitiamo nella morte con la velocità di un’astronave. Durante questo precipitare, che a noi può sembrare di sessanta, settant’anni, per Dio invece è un fulmine. E proprio in questo nostro precipitare Dio cerca di raccoglierci attraverso qualche paracadute. in modo da riportarci a Lui.

Angelo: Magari uno parte al mattino tutto raccolto in Dio, ma poi durante il giorno resta preso da mille cose e perde la percezione che Dio è Creatore di tutto.

Luigi: E lo so! Certo, è logico; ma la percezione esatta di Dio viene quanto più uno si raccoglie con Dio, cioè quanto più uno ama il silenzio, la profondità. Più tu sei profondo e più rifletti questa profondità in tutte le cose. Se io sono superficiale, anche questa mia superficialità si riflette, per cui tutte le cose mi portano via. Se invece io sono profondo, anche le cose più inezie per me sono cariche di significato, sono cariche di simboli.

Pinuccia: All’inizio si è parlato del mondo che dipende da noi e del mondo che non dipende da noi….

Luigi: Cielo e terra…

Pinuccia: Cielo e terra; la terra è Dio stesso che la fa dipendere da noi..

Luigi: Certo, la creazione…

Pinuccia: La creazione; però pur facendola dipendere da noi, in realtà è Lui che fa, è Lui che ti muove, è Lui l’iniziatore. Cioè dipende da noi sì e no: è un’illusione che ci sia un mondo che dipende da noi. È questo che volevo chiedere.

Luigi: No, dipende da noi sotto un certo aspetto. Facciamo l’esempio del filo d’erba: il filo d’erba certamente non l’abbiamo fatto noi, però lo possiamo strappare: questo dipende da noi.

Pinuccia: Però è Dio che ce l’ha fatto strappare; dunque è un’illusione che dipenda da noi.

Luigi: Sì, certo; abbiamo un ambiente, un luogo, un qualche cosa che dipende da noi: posso scarabocchiare su un muro; posso fare certi esperimenti; ho fatto prima l’esempio del fuoco: posso fare l’esperimento che il fuoco brucia e mi posso scottare. In quanto posso esperimentare certe cose, vuol dire che c'è un mondo che dipende da me.

Io non posso esperimentare Dio; il cielo non posso esperimentarlo: non dipende più da me. Quindi abbiamo:

·         un mondo che non dipende da noi, che non possiamo esperimentare e che non si assoggetta ad esperimentazione; ed è logico perché è superiore a noi: Dio ci trascende;

·         ed abbiamo un mondo che dipende da noi e che si assoggetta ad esperimentazione, ed è necessario che si assoggetti ad esperimentazione.

Perché? Perché esperimentando noi abbiamo la convalida della nostra esistenza. Perché se io parlo ad una persona, soltanto se quella persona mi risponde ho la convalida che ho parlato, la convalida della mia presenza; ma se parlo ad un morto, inizio a pensare “Perché dico “morto”, non è lui che è morto; forse sono io che sono morto”.

Io parlo e l’altro è morto, non risponde più: quindi c'è l’assenza. Quel “morto” però è entrato nella trascendenza, cioè è entrato nel mondo che è superiore a me, che non è più esperimentabile da me, quindi non risponde più.

Quello che noi diciamo morto è più vivo di noi, perché è entrato nella vera vita e la vera vita è superiore a noi. Noi invece siamo ancora al di sotto, per cui riconosciamo vero, vivo solo quello che è sperimentabile da noi, quindi che ha per centro il nostro io. Per cui pensiamo che è vivo perché risponde al nostro io. Mentre Dio non è esperimentabile perché non risponde, ma non risponde perché non è sperimentabile; ed è logico che non sia sperimentabile perché se fosse sperimentabile Dio non sarebbe più Dio.

Quindi abbiamo un mondo che dipende da noi. In questo mondo che dipende da noi c'è una lezione, e la lezione è questa: noi dobbiamo riportare tutto (il mondo che dipende da noi) a Dio.

Pinuccia: Mentre io dico che c'è questo mondo che dipende da me, devo riconoscere che io dipendo da Dio.

Luigi: Certo, quindi noi abbiamo tutto un mondo che dipende da noi e che quasi–quasi ci dice: “Tu sei il centro di me”; la persona che guarda me mi dice: “Tu esisti”; se guardo l’orizzonte, al centro dell’orizzonte c'è il mio io. Ma ad un certo momento, certissimamente, e questo lo sappiamo tutti, non sono io che ho fatto l’orizzonte, non sono io che creo il filo d’erba, non sono io il Creatore, non sono io Dio.

Tutto questo mi crea il problema del superamento, del riferire a Dio il mio io e tutto il mondo che dipende da me.

Per cui il mondo che dipende da noi ci pone la problematica della ricerca di Dio, cioè diventa segno. Infatti alla conclusione di tutta l’opera della creazione abbiamo il Cristo, il Cristo che si fa Figlio dell’uomo perché dipende da noi, si fa sotto di noi. E si fa sotto di noi per riportarci al cielo. Non si fa sotto di noi per servire i nostri idoli, non viene per approvare il nostro io, ma viene per farci superare il nostro io e quindi per portarci in cielo, per portarci a Dio.

In Cristo si rivela il significato di tutta la creazione di Dio, quindi di tutta l’opera di Dio, di tutto quel mondo che è al di sotto del nostro io, perché Cristo è il rivelatore di tutto quello che esiste.

Quindi anche questo mondo in cui noi viviamo ha il suo significato in Cristo e noi lo intendiamo soltanto in Cristo. Per cui quello che è avvenuto in Cristo ci dà la possibilità di intendere il significato di tutte le cose che esistono.

Tutte le cose ci vengono mandate da Dio, e si mettono al di sotto di noi, per portarci nel cielo di Dio, per farci superare il nostro io e per farcele riferire a Dio. Riferendole a Dio, scopriamo il significato delle cose stesse e quindi capiamo il significato della nostra vita.

Non riportandole a Dio noi non capiamo il significato delle cose e il significato della nostra vita, quindi perdiamo il senso di tutto.

Tutto è opera di Dio che si sottomette a noi. Ad un certo punto Dio stesso si fa sotto di noi; si sottomette a noi per riportarci a Sé, non per convalidare il nostro idolo o il nostro errore, no! Per cui noi abbiamo il filo d’erba che possiamo strappare, ma che non possiamo più ricreare, e lo perdiamo; però in quella perdita c'è il pensiero del nostro io, perché prima c'era il filo d’erba e adesso non c'è più, prima c'era una vita e adesso non c'è più, è stata schiacciata, l’abbiamo uccisa. Ecco come il nostro errore si interiorizza, e c'è il nostro io che entra in gioco: “non lo posso più rifare”. Potessimo rifare il filo d’erba allora il mondo dipenderebbe da noi. È lì che nasce il problema di Dio: “non posso più ricreare ciò che ho ucciso”.

Pinuccia: Se di fronte al Cristo ucciso riconosco che è il pensiero del mio io che l’ha ucciso, Lui risorge, a differenza del filo d’erba che invece rimane morto.

Luigi: No, perché noi ritroveremo tutto, anche il filo d’erba; perché tutto l’universo è fatto proprio soltanto per suscitare in noi questo superamento dell’io. Ma in Dio noi ritroveremo tutto. Dio non ha difficoltà a ricreare l’universo. Dio è eterno. In Dio ritroviamo tutto. Ma se perdiamo Dio, cioè se non superiamo il pensiero del nostro io, perdendo Dio certamente perdiamo tutto e non ritroveremo più né il filo d’erba, né Cristo, niente! Cristo non risorge!

Eligio: Quando noi ci accorgiamo che uccidiamo il messaggio di Cristo? Quando questo resta evidente per noi?

Luigi: Il filo d’erba è il filo d’erba; ma in Cristo c'è un uomo morto per delle ragioni malvagie e se queste ragioni malvagie sono in me, io non posso disgiungere, non posso dire: “La colpa è dei Giudei. Non è colpa di uomini, ma colpa di ragioni malvagie. Cos’è che L’ha mandato a morte? Sono dei motivi, sono delle ragioni, degli argomenti. Questi argomenti diventano universali. Se questi argomenti sono in me, io sono colpevole, sono reo.

L’uomo è mosso da argomenti. Se sono mosso dalla carriera, la carriera manda a morte il Cristo; se faccio del denaro un idolo, il denaro manda a morte il Cristo. Il delitto noi lo facciamo inconsciamente. Soltanto la Verità possiamo farla consciamente. Soltanto la Verità è luce; tutto il resto, il male, noi lo facciamo inconsciamente; ma il farlo inconsciamente non ci scusa. Non possiamo fare il male consciamente, perché consciamente possiamo fare solo in bene, possiamo fare soltanto Dio. Dio è luce, Dio è quello che conosciamo. La coscienza noi l’abbiamo soltanto in Dio e con Dio, ma è il rifiutare di avere questa conoscenza che diventa delitto. È necessario avere questa conoscenza.

Il peccato è all’inizio, in quanto non mi sono interessato di Dio. Il peccato sta nel preferire la creatura, sta nel preferire la passione; però poi non so questa passione dove mi condurrà. Ma il peccato originale sta nell’abbandonare Dio; poi succederà quello che succederà, ma senza sapere il motivo, perché se lo sapessi sarei con Dio. Per vedere la Verità io devo essere con la Verità; non posso vedere il male che faccio, soltanto Dio lo può vedere. Perché se lo potessi vedere sarei con Dio, sarei nella Verità, e allora non farei più il male. Infatti noi, dopo aver fatto qualcosa di sbagliato, diciamo: “Se avessi saputo!”. Il male sta nel non sapere. Perché a te, uomo, Cristo dice “Cerca prima di tutto Dio”; ed è questa la preoccupazione che dobbiamo avere. Il peccato è questa autonomia, è questo “sempre meno”.

Dio ci fa tutte proposte e noi rifiutiamo queste proposte: noi viviamo in un rifiuto di proposte. Il male sta in questo rifiuto di proposte. Il Signore mi dirà: “Ma come! Io ti proponevo…”. Quando Gesù in croce dice: “Padre, perdona loro…” è perché Dio muore ancora per salvarci, Dio non muore per confermarci in un delitto, Dio non muore per sanzionare la nostra rovina, Dio muore per salvarci: Cristo in croce è il Salvatore, Lui morto ci salva ancora. Ecco per cui Lui dice: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno…”, perché certamente nell’errore noi non sappiamo quello che facciamo. Infatti prova a dire alla gente: “Voi uccidete Dio vivendo come vivete”: loro ti ridono in faccia e ti dicono: “Chi di noi uccide Dio?”. Noi non sappiamo che uccidiamo Dio; eppure tutte le volte che non teniamo conto di Dio, noi uccidiamo Dio. E la gente davanti a questa verità ci ride in faccia; perché? perché secondo la gente per uccidere si ha bisogno di un coltello, di una rivoltella. “Se non ho una rivoltella non posso uccidere nessuno”, e non ci rendiamo conto che la realtà è spirituale, e che i veri delitti avvengono nello Spirito.

Nel mondo vale soltanto quello che tocchiamo, cioè quello che dipende dal nostro io, perché noi crediamo al nostro io, non crediamo in Dio. Se credessimo in Dio ci accorgeremo che i veri mali avvengono nello Spirito, avvengono nel pensiero. I veri delitti non si fanno con la rivoltella, i veri delitti si fanno dentro di noi, nello Spirito. E Cristo, che è venuto a curare il male alla radice, è venuto a curare l’interno dell’uomo.

Quindi non dobbiamo pensare che il male sia male quando lo facciamo consciamente, perché consciamente possiamo “fare” soltanto Dio. La vera coscienza, la vera conoscenza ce l’abbiamo soltanto con Dio, nella Verità.

Eligio: A volte io mi accorgo di fare il male consciamente……

Luigi: Sì, ma è sempre molto relativo. Il vero male è quando io trascuro Dio; la coscienza mi viene da Dio.

Eligio: Io mi riferisco al fatto che certe volte faccio delle cose che so che sono mal fatte ma le faccio perché mi fa comodo…

Luigi: Sì, ma voglio dire che la vera intelligenza, la vera coscienza delle cose noi l’abbiamo solo con Dio. È nella luce che noi vediamo la luce. Il che vuol dire che io lontano da Dio scambio il male per bene; Cristo arriva a dire addirittura: “Arriveranno ad uccidervi credendo con ciò di rendere gloria al Padre e ciò faranno perché non hanno conosciuto…”. Notiamo bene: “Ciò faranno perché non hanno conosciuto…”, “non hanno conosciuto il Padre”. Quindi non conoscendo il Padre si scambia il male per bene; ed è logico, vicino alla Verità si vede la luce, si vedono le cose nella luce; lontano dalla Verità cosa c’è l’errore. Errare vuol dire scambiare per buono ciò che invece non è buono. Allora resto sorpreso, ingannato; ed è logico che resto ingannato perché non ero con Dio! Solo con Dio vedo la strada, lontano da Dio non vedo, ma se non vedo inciampo.

Ma io mi sono inciampato perché non vedevo”, ma la colpa è di non essere con Dio: tu non potevi vedere perché non eri con Dio. Quindi anche la percezione di quello che è bene e di quello che è male, se noi veramente vogliamo comprendere, capire, dobbiamo cercarla presso Dio. Più ci avviciniamo a Dio e più abbiamo la luce. È inutile che cerchiamo di distinguere il bene dal male restando lontani da Dio: li confondiamo, scambiamo il bene per male. Per cui c'è una strada che agli occhi dell’uomo può sembrare giusta che sale, sale e invece porta alla rovina.

Pinuccia: Quindi Cristo morto diventa rivelazione dell’uccisione di Dio, però anche il segno di Cristo morto noi non lo intendiamo senza Dio.

Luigi: Certo.

Eligio: Quand’è che noi ci accorgiamo di aver ucciso Dio?

Luigi: Solo con Dio, perché noi lontano da Dio l’uccisione del Cristo la attribuiamo agli ebrei, “Duemila anni fa io non c'ero; e se ci fossi stato non succedeva”, noi lontano da Dio ragioniamo così. É solo con Dio che ce ne accorgiamo.

Eligio: Tante volte mi accorgo di fare delle cose non secondo Dio, però non ho la coscienza di aver operato questa uccisione del Cristo. È superficialità? Tanto in fondo, in fondo ho la speranza di ritornare al Signore; di chiedere al Signore la forza per ritornare sulla giusta via. La coscienza dell’uccisione mi pare che sia una cosa tremenda.

Luigi: “Se qualcuno dicesse: “Io sono senza peccato”, questi è menzognero”. Bisogna pensare ai motivi che hanno mandato a morte Cristo. Non posso più dire: “È stato Pilato, è stato Caifa”, sono i motivi, e i motivi sono universali. La nostra evasione non giustifica niente. Per poco che approfondiamo, noi scopriamo che ognuno è mosso da delle ragioni, da dei motivi. E se io non sono mosso da Dio, non ho come motivo di vita Dio, certamente appartengo al delitto; non lo farò materialmente, ma questo non importa, un giorno capirò, Dio me lo farà capire. L’intelligenza delle cose e anche l’intelligenza del delitto, viene sempre da Dio. Presto o tardi, buoni e cattivi, destra e sinistra, tutti noi saremo convogliati davanti a Dio, ed è davanti a Dio che scopriamo questo delitto: “Davanti a Lui piangeranno tutte le genti”.

Gli avvenimenti della vita, siccome tutte le cose passano, passando ci convogliano a Colui che è. Ci troveremo tutti di fronte a Dio, ma in situazioni diverse; perché siccome siamo dominati dalle nostre opere, chi avrà le opere di Dio si troverà accolto da Dio, chi ha opere non secondo Dio si troverà con delle opere che davanti a Dio lo confondono, per cui lo fanno fuggire da Dio, perché non può essere approvato.

Pinuccia: Quindi tutte le volte che agiamo secondo il nostro io, possiamo dire: “io ho ucciso il Cristo”.

Luigi: Ah! Senz’altro!

Pinuccia: Ma anche nelle piccole cose?

Luigi: Ma come noi trascuriamo Dio, cadiamo nella schiavitù delle passioni del mondo, le quali ci portano al delitto. È inutile voler evitare di essere coinvolti in questo delitto; non dobbiamo cercare di evitare di non esserne coinvolti: lo siamo. Dobbiamo cercare di capire: siamo tutti partecipi di questo delitto.

Pinuccia: Di capire quando….

Luigi: No. Lo siamo già stati, lo siamo già: noi tutti siamo colpevoli, perché noi tutti siamo stati mossi, siamo mossi ancora da argomenti non di Dio.

In quanto non teniamo conto di–, spiritualmente uccidiamo, facciamo fuori: “Non voglio che Costui regni su di me”. Noi, con altre parole, diciamo: “Non voglio che Costui regni nella mia città, nella mia industria, nella mia carriera, nei miei interessi”. Non tengo conto di Lui; e il non tener conto di una persona spiritualmente è uccidere la persona. Noi nella nostra superficialità riteniamo che sia valido solo ciò che avviene materialmente, fisicamente (il colpo di rivoltella), ma non teniamo conto di quello che avviene spiritualmente. Riteniamo che non conti nulla quello che pensiamo, un giorno invece scopriremo che l’enorme, immensa Realtà in cui siamo immersi è lo Spirito, mentre la materia è un’appendice, è soltanto un segno.

Per cui io posso essere la creatura più santa di questo mondo, più religiosa di questo mondo ed essere carica di delitti se trascuro Dio interiormente; anche se apparentemente sono piena di virtù. Oppure possiamo trovarci davanti ad una persona tutta piena di delitti esteriormente, ed invece essere salva, perché, magari ha tribolato, ma ha ricevuto da Dio la possibilità. O forse Dio l’ha costruita proprio perché doveva dare certe lezioni ad alcuni. Ecco che Dio può suscitare un delinquente perché è necessario che quella società sia colpita o sia messa di fronte a quel quadro; è sempre Dio che lo fa per dare certe lezioni, affinché gli altri capiscano. Magari, all’ultimo momento, nella sua tribolazione, il delinquente dirà: “Signore, abbi pietà di me” e si trova in Paradiso. Mentre quell’altro che si crede chissà che cosa, si trova lontano da Dio. Non dobbiamo giudicare secondo quella che è l’esteriorità, secondo quella che è la materialità delle cose, perché la vera Realtà è sempre con Dio.

In Dio c'è lo Spirito e quindi dobbiamo cercare in Dio la vera Realtà: la coscienza del delitto noi l’abbiamo soltanto in Dio. Se giudichiamo secondo il nostro io, secondo la materia, io mi metto fuori, magari dicendo “Sono lontano duemila anni da quel delitto, quindi io cosa c’entro? Io me ne lavo le mani”. Non ho la coscienza, eppure sono partecipe.

Pinuccia: E quindi sono anche partecipe dei delitti che succedono attualmente.

Luigi: Ma certo! Noi siamo partecipi di tutto il male che avviene nel mondo: non avviene niente, nessun male attorno a noi senza una responsabilità nostra. Perché quello che avviene, se noi lo prendiamo dalle mani di Dio, è lezione di Dio per me.

Non posso dire: “Quella lezione è per quell’altro”, il Signore mi dice: “È per te! Per te ho fatto compiere quel delitto; perché era necessario per farti fare quella riflessione” oppure “…perché avevi bisogno di accelerare il cammino”. Noi prendiamo bene le cose in quanto le prendiamo dalle mani di Dio, le riportiamo a Dio, le riferiamo a Dio. In Dio abbiamo la vera coscienza, lì capiamo veramente che il vero male sta nel pensiero, sta nello Spirito, capiamo che la Realtà è il pensare. Lontano da Dio noi diventiamo materiali; lontano Dio è la materialità che ci muove.

Eligio: Ci troviamo di fronte a dei segni così terribili che è difficile capire la lezione.

Giovanni: Succedono tanti delitti, forse perché bisogna che si ripetano…

Luigi: È perché noi siamo lenti a capire! Più un allievo è tardo, più devi ripetere la lezione, portando degli esempi sempre più pesanti per smuoverlo. Se Dio deve usare delle lezioni così pesanti, vuol dire che noi siamo molto lontani, molto tardi, molto duri di cuore.

Se le lezioni sono gravi, vuol dire che noi ci troviamo in una situazione grave, vuol dire che costringiamo Dio a scendere a certi livelli, a fatti gravi e scioccanti, perché siamo così tardi e duri di cuore da non intendere la prima lezione. Non è che Dio si diverta a seminare delitti, omicidi e guerre, perché Dio è amore. All’inizio l’opera di Dio è un vento soave che dà consolazione, che dà gioia, è una brezza. Perché ad un certo momento arriva il tifone, l’uragano? Perché non abbiamo capito la prima lezione di Dio della brezza.

Pinuccia: Poiché quelle lezioni arrivano a tutti, vuol dire che siamo tutti alla stessa stregua?

Luigi: Ognuno di noi coglie le lezioni con un’angolazione particolare e comunque, in quanto mi arriva una notizia, un fatto, non mi arriva senza di me. Se Dio non volesse rendermi spettatore, non me lo farebbe percepire. In quanto mi arriva è lezione personale di Dio, perché Dio tratta con noi personalmente; perché il difetto di intelligenza sta nel considerare le persone come massa. Dio non ha difetti di intelligenza, quindi se fa arrivare a noi qualche cosa (questa è Parola di Dio) è perché ci riguarda personalmente.

 


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RIEPILOGO GIOVANNI Capitolo  3 VS 1/15


Argomenti: I miracoli – Nicodemo – Rinascere da Dio – La notte – Il bisogno di Dio – Il giovane ricco – Il cieco di Gerico – Materia e spirito – Spiritualizzare la materia – Materializzare lo spirito – Superare il pensiero dell’io – La perdizione – Trascendenza e immanenza – Superare il conosciuto – Leggere il segno – L’instabilità della creatura – Il parlare di Dio adeguato all’uomo – L’intima presenza di Dio – Restare nella Parola – La rivelazione del Pensiero di Dio. -


6/Febbraio/1977


 

Riassunto argomenti precedenti.

Pinuccia: Il capitolo terzo si ricollega con la fine del capitolo secondo dove leggiamo che “Molti vedendo i miracoli che faceva credettero nel suo nome, ma Gesù non si affidava ad essi perché li conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli facesse conoscere l'uomo perché Egli stesso sapeva quello che vi è nell’uomo”.

Gesù non si affida, non si manifesta a queste persone che credono perché vedono i suoi miracoli; esse sono ancora nel pensiero del loro io. Non vengono a Gesù sospinti dalla fame di Dio, ma dallo straordinario.

All’inizio del capitolo terzo vediamo che Nicodemo va a trovare Gesù dicendo: “Noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio come un dottore, nessuno infatti può fare i miracoli che tu fai se Dio non è con lui”.

Da qui vediamo come Nicodemo appartenga a quella categoria di persone alle quali Cristo non si affida perché vengono a Lui non sospinti dalla giustizia essenziale, e quindi dal bisogno di vivere secondo Dio e dalla constatazione della loro cecità e povertà, ma da una fede basata sui miracoli, sul sentimento e su argomenti umani che ha sempre l'io come centro: hanno un terreno sabbioso sul quale Dio non può costruire la sua casa.

È per questo che Gesù contraddice Nicodemo: non approva il motivo con cui egli arriva a Lui e gli parla della necessità di rinascere da Dio, mettendolo al centro della propria vita.

Questa rinascita da Dio è la condizione per entrare e vedere il Regno di Dio, cioè è la condizione per essere terreno solido su cui Dio può costruire il suo Tempio e farci esperimentare la sua presenza.

 

·         Il primo punto trattato in questo capitolo è “La notte di Nicodemo”.

Essa simboleggia la notte dalla quale l'uomo è condotto a Gesù per avere la luce. La notte simboleggia tutto il travaglio dell’Antico Testamento, tutte quelle lezioni di Dio che devono formare in noi il bisogno, la fame di Dio. Ognuno arriva a Gesù attraverso la sua notte, ma con stati d’animo diversi simboleggiati da alcuni personaggi del Vangelo, per cui anche l'esito di questo incontro è diverso:

·         abbiamo Nicodemo che arriva a Gesù attraverso la sua notte dicendo: “Noi sappiamo”, ma Gesù lo sconfessa e gli fa constatare la sua cecità.

·         Abbiamo il giovane ricco che arrivando dalla sua notte, incontra Gesù dicendo: “Maestro buono”, ma è rimproverato da Gesù perché il suo “Maestro buono” non è autentico; infatti al momento della scelta rivela che il suo “buono” è la ricchezza, non il Maestro.

·         Abbiamo invece la notte del cieco di Gerico che nella sua notte grida ed invoca aiuto ed è confermato da Gesù: “La tua fede ti ha salvato”; è l'espressione dell’uomo autentico che arriva a Gesù sospinto dalla sua povertà e dalla fame di Dio, dal bisogno di luce.

Gli altri arrivano a Gesù per altri motivi, ma ad essi Lui non si affida cioè non si manifesta, anzi li ripiomba nella notte perché solo nella notte possono invocare la luce e cominciare a capire che l'essenzialità di cui hanno bisogno è questa luce che viene da Dio e quindi a capire il bisogno di rinascere da Dio.

Apparentemente sembra che Gesù non risponda alla constatazione che Nicodemo fa, però andando a fondo vediamo che Gesù risponde a tono; gli dice: “Fintanto che non nasci da Dio noi puoi vedere. Tu dici di vedere, ma fintanto che non nasci da Dio non puoi vedere, non puoi sapere che io vengo da Dio”.

Per vedere bene le opere di Dio si deve rinascere da Dio, cioè partire da Dio messo al centro, invece Nicodemo mette come criterio di conoscenza il miracolo perché è ancora nel pensiero dell’io, crede di vedere ma non vede.

È da notare anche un’intima contraddizione in Nicodemo: arriva a Gesù nella notte fuori e apparentemente con la luce dentro. Non è autentico perché non c'è in lui sintonia tra quello che c'è fuori e quello che c'è dentro. La notte esterna è segno della notte che porta dentro, ed è Dio che fa l'una e l'altra; chi è autentico e guarda Dio scopre nella notte esterna la sua notte interiore per cui non vanta di sapere.

Il secondo punto è quanto dice Gesù: “Bisogna rinascere per vedere”. Per questo Gesù gli dice: “Tu credi di sapere? No, non sai perché nessuno può vedere e sapere se non rinasce da Dio”. Fintanto che invece l'uomo parte dal suo io anche se crede di vedere, è nella notte fonda perché nel pensiero dell’io non si può vedere la Verità; bisogna perciò desiderare ed invocare la luce perché la luce la dobbiamo ricevere dalla sorgente della luce, ma dobbiamo anzitutto toccare con mano che siamo ciechi se no incontrando Cristo, ce lo fa toccare con mano Lui, affinché incominciamo ad invocare la luce. Questo è il secondo punto.

·         Poi abbiamo approfondito il punto in cui Gesù dice: “Ciò che è nato dalla carne è carne, ciò che è generato dallo Spirito è Spirito”. Praticamente con queste parole Gesù rivela che ci sono due mondi, quindi due nascite e due vite.

Come comprendiamo l'esistenza del mondo superiore?

Il mondo superiore si annuncia nel mondo inferiore, si annuncia ma non si rivela; lo dirà poi dopo: “Se non credete alle cose della terra come crederete alle cose del cielo?”, cioè se non vi preoccupate di intendere il significato delle cose che esperimentate non potrete arrivare a capire il significato, quindi non potrete arrivare a vedere la Verità, a capire il mondo superiore.

Qui ci hai parlato dell’interferenza di questi due mondi, di una interdipendenza soggettiva prima e poi di una interferenza oggettiva:

·         L'interdipendenza soggettiva consiste in questo: più diamo importanza allo Spirito e meno pesa il mondo materiale su di noi; viceversa più diamo importanza al mondo materiale e meno ha consistenza per noi il mondo dello Spirito.

·         L'interferenza oggettiva, e qui sorge il concetto di tempo: il mondo spirituale tende a spiritualizzare la materia, ad assorbire tutto, però non viceversa; in questo caso la materia non può assorbire lo Spirito.

Eligio: Però Luigi ha sempre detto che la materia rende materiale quello che è spirituale.

Pinuccia: Questo lo farei entrare nel primo punto, l'interferenza soggettiva.

Luigi: Sì, perché è l'uomo che lo fa, ma oggettivamente abbiamo l'opera dello Spirito che spiritualizza tutto, per cui noi andiamo verso una conclusione spirituale. Certamente all’ultimo ci troveremo con Dio.

Noi soggettivamente tendiamo ad interpretare anche lo Spirito in funzione della materia, però chi vince è Dio; ad un certo momento ad esempio noi moriamo e morendo testimoniamo che abbiamo sbagliato perché con tutto il nostro sforzo per materializzare, concludiamo in niente. Per quanto cerchiamo di mantenere il nostro corpo, non riusciamo perché il nostro corpo decade. La nostra morte, la nostra decadenza, il passare del tempo danno ragione a Dio, non danno ragione al nostro io, ai nostri sforzi, alle nostre fatiche; lo distruggono. Infatti Gesù dice: “Cosa vale conquistare tutto il mondo se poi si perde l'anima?”.

Quindi abbiamo una specie di conflitto tra il nostro io e Dio: Dio che tende a spiritualizzare, il nostro io materiale che tende a materializzare; la vittoria però è senz’altro di Dio.

Per questo ho fatto una distinzione tra soggettivo ed oggettivo:

soggettivamente tendiamo a materializzare anche lo Spirito quindi ad interpretare il mondo spirituale in funzione della materia; ma oggettivamente abbiamo l'opera di Dio: il tempo, ad esempio si impone su di noi, per cui trionferà il mondo spirituale.

Non è detto che trionfando il mondo spirituale noi siamo salvati, perché per entrare nella salvezza necessita l'adesione da parte nostra al mondo spirituale; per cui trionfando il mondo spirituale noi restiamo fuori, sempre più fuori, perché il mondo spirituale invade tutto, noi non lo affermiamo e quindi siamo sempre più scartati, veniamo sempre più a trovarci in una situazione di perdita.

Pinuccia: Tu hai parlato anche di una spiritualizzazione soggettiva in negativo: a me sembra illusoria. Ad esempio chi fa come scopo della propria vita il denaro, spiritualizza il denaro, ne fa un idolo.

Luigi: Mette il denaro al posto dell’Assoluto, ma sostanzialmente è una materializzazione dello Spirito perché mettendo il denaro, o la casa, o una creatura al posto di Dio, finisco per vivere per altro da Dio. In me il concetto casa, lavoro, creatura, diventa un assoluto per cui quella che tu dici spiritualizzazione della materia, sostanzialmente, è una materializzazione dello Spirito.

Pinuccia: Dicevamo che se ci sono questi due mondi, ci sono due vite, quindi due nascite. Una nascita imposta che è quella naturale ed un’altra proposta.

Luigi: Il mondo dello Spirito si annuncia a noi, si dona a noi, non si impone. Quindi tutto il mondo dello Spirito lo avvertiamo a livello di proposta, in quanto possiamo essere indotti all’inferno, il mondo dello Spirito è sempre proposta; se non aderiamo ci allontaniamo sempre più da esso. Il mondo dello Spirito si propone in quanto richiede il superamento del pensiero del nostro io perché al centro del mondo dello Spirito abbiamo Dio, mentre al centro del mondo che dipende da noi abbiamo il nostro io. Al centro del mondo che vediamo, che noi esperimentiamo, c'è il pensiero del nostro io. In questo mondo qui, nelle cose della terra, il mondo dello Spirito non è che sia staccato, perché questa è anche significazione, il mondo dello Spirito si annuncia, si propone. Quindi fintanto che siamo nel pensiero del nostro io, riceviamo solo le proposte che sono parola di Dio nel nostro mondo. Aderendo a queste proposte, dobbiamo capire che dobbiamo superare il pensiero del nostro io e mettere al centro della nostra vita Dio. Se non avviene il superamento del pensiero del nostro io, noi eternamente restiamo sul piano delle proposte. Quindi queste proposte non accolte, ci possono indurre all’inferno, in una situazione d’inferno perché Dio non distrugge il pensiero del nostro io che Lui stesso ha voluto, così senza di noi non avviene il superamento dell’io. Dio continuerà a proporci questo superamento fintanto che non ci decidiamo a superare il pensiero del nostro io per mettere Dio al centro della nostra vita. E quindi cosa succede? Che Dio continuerà a farci delle proposte per farci capire che noi non siamo il centro e che dobbiamo superarci. Però non ce lo può imporre perché Lui stesso ha voluto la nostra esistenza e siccome l'ha voluta cosciente non può imporre uno stato incosciente: quindi il superamento deve essere un superamento cosciente. Allora se io devo rispettare la coscienza dell’altro, potrò sempre soltanto limitarmi a fargli delle proposte: “Vuoi? Vuoi? Vuoi?”, ecco, proposte. Non posso imporglielo, perché per imporglielo dovrei superare la sua coscienza, il suo stato di coscienza, imporgli una volontà extra. Abbiamo visto che lo stato cosciente, quando abbiamo parlato dello Spirito, si rivela in quanto ha in se stesso la ragione di quel che vuole, non è motivato dall’esterno, è motivato dall’interno. Quindi l'essere cosciente ha sempre in se stesso la ragione di quel che vuole, anche il superamento dell’io deve essere motivato dall’interno di noi. Per cui noi, convinti che non siamo il centro, non dobbiamo voler essere il centro e allora dobbiamo riferire la giustizia prima, dobbiamo riferire le cose a Dio e questo è il superamento. Per cui tutte le cose arrivano a noi e si fermano lì, come proposte, e qui si propone il superamento dell’io, se noi aderiamo a questo, non ci fermiamo, non adeguiamo la nostra vita alle sensazioni che arrivano al pensiero del nostro io, per cui questo mi urta ed io reagisco malamente, quell’altro mi fa piacere allora io agisco esaltandomi, è una vita tutta improntata al pensiero dell’io che riceve e che per risonanza risponde; ma non si supera. Invece se noi ci superiamo, allora tutti i fatti che arrivano a noi li prendiamo come segni di Dio, come parola di Dio, come proposta di Dio, la riportiamo a Dio, quindi non la riferiamo al nostro io; per cui anche se la cosa non piace, anche se la cosa ci è antipatica, ci dà fastidio, non importa; la riportiamo in Dio quindi andiamo oltre il posto di blocco del nostro io e cerchiamo in Dio la ragione, il significato di questa lezione, e questo ci spiritualizza. La spiritualizzazione nostra avviene dal punto del nostro io a Dio, in questo passaggio qui, che è un passaggio volontario: Dio ce lo propone, non ce lo impone e in quanto non ce lo impone, ci pone in una situazione di rischio cioè noi corriamo il pericolo di perderci per cui: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito affinché il mondo non perisca”, quindi c'è il pericolo di perderci in quanto c'è il rischio di non fare questo superamento dell’io. E questo superamento è personale in quanto nessuno lo può fare al posto nostro; tutti possono pregare per noi, ma nessuno può fare questo perché è una cosa personale, nemmeno Dio lo può fare al posto nostro: Dio ce lo propone ma nessuno lo può fare al posto nostro perché si tratta di andare oltre al pensiero del nostro io.

Eligio: Che rapporto può esserci tra il mondo esterno e Dio che è trascendente?

Luigi: Appunto perché è trascendente ci impegna al superamento dell’io, ci obbliga continuamente a questo superamento dell’io. Quando non è trascendente, quando non ho Dio nella mente, allora io agisco e credo che sia Dio che agisca, senza fare questo superamento; è il pensiero della trascendenza di Dio che mi impone il superamento dell’io. Per cui Dio, essendo trascendente, ci impegna continuamente a non fermarci al nostro io, a non fermarci alle nostre sensazioni; allora dico che la sensazione mia è la sensazione di Dio perché Dio è in me: no! Non fermarti a quello che tu cogli; non fermarti mai a quello che a te appare, perché tu giudichi. Cerca sempre presso Dio: la ragione di quello che accade, il significato di tutto quello che tu vedi, di tutte le opere, di tutte le parole stesse di Dio, non fidarti mai! Anche se tu hai conosciuto Dio, non fidarti mai della tua sapienza, non fidarti mai di quello che hai già conosciuto, ma vai sempre oltre! Ecco il concetto di trascendenza, in quanto Dio è eternamente trascendente la creatura, impegna la creatura ad un continuo superamento di se stessa, quindi anche ad un continuo superamento di tutte le nozioni che ha avuto, di tutta la scienza che ha avuto; per cui abbiamo sempre una novità continua con Dio, direi eternamente c'è una novità continua con Dio: ed è vita questo per la creatura!

Eligio: Quale rapporto c'è tra le cose, gli avvenimenti e Dio?

Luigi: Dio è Colui che fa le cose, sono segni, per noi sono segni, segni di Dio; e i segni vanno interpretati. Però il segno può essere prettamente letto soltanto alla presenza di colui che lo fa. Se noi dimentichiamo la presenza di colui che lo fa, il segno è travisato, perché è rivestito del pensiero del nostro io. Il pensiero del nostro io non può cogliere naturalmente la verità, non può coglierla perché la Verità è trascendente, quindi se noi nel pensiero del nostro io ci fermiamo al segno, necessariamente lo travisiamo, quindi gli diamo una interpretazione sbagliata. È come se io guardassi una persona e la giudicassi dall’apparenza, sbaglio, bisogna sempre andare oltre, lo Spirito è trascendente e in quanto è trascendente mi obbliga a superarmi.

Eligio: Quindi ogni avvenimento esprime qualcosa della Verità….

Luigi: Solo in Dio colgo il vero significato delle cose, in caso diverso io non colgo l'aspetto trascendente. Per questo dico che tutte le cose, i segni, il mondo materiale è ambiguo, tutte le cose sono ambigue, hanno due volti. Perché Dio in tutte le sue opere non fa altro che parlare di Sé, ma parla di Sé ad una creatura che si trova ad un certo livello. Per cui dico: come mai c'è una molteplicità di opere così infinita, così immensa? Ma perché le creature sono su una scala infinita, per cui a seconda del livello di queste creature. L'altra volta abbiamo detto che la creatura si caratterizza per l'instabilità che porta nell’unione con Dio, per cui magari siamo capaci a restare con Dio un centesimo di secondo e siamo chiamati a diventare capaci di restare con Dio per un tempo infinito. Allora Dio può parlare a noi soltanto in questa capacità di centesimo di secondo di unione e quindi Lui ci rivela qualcosa di Sé in quel centesimo di secondo. Non so se rendo l'idea! È quello il parlare! Perché quando si parla per segni ad una persona, nel pensiero dell’io di quella persona, bisogna scendere a livello di quella persona, alla capacità di quella persona. La capacità nostra di intendere le cose di Dio, è a livello della capacità di fermarci con -. Se io sono capace di fermarmi con Dio soltanto per un centesimo di secondo, Lui mi dovrà esprimere qualcosa di Sé per un centesimo di secondo; per cui ad un certo momento mi darà la significazione della sua esistenza in un’automobile che passa, o in un animale, perché io sono soltanto capace di fermarmi per un istante e poi subito mi distraggo, sono incostante. E Lui mi dovrà sorprendere sotto un altro aspetto, e poi sotto un altro aspetto: ecco la molteplicità delle significazioni di Sé. Per cui noi non dobbiamo mai dire: “Io ho conosciuto abbastanza Dio” perché continuamente Dio mi parla di Sé e continuamente quindi mi invita a fare il superamento. E più noi raccogliamo in Dio e più la sua presenza si avvicina a noi, perché il suo parlare avvicina noi a Lui; se però noi permaniamo nell’ascolto; più noi permaniamo nell’ascolto e più la sua presenza si fa intima a noi stessi; più si fa intima e più si sviluppa in noi l'eternità, la costanza.

Eligio: L'eternità significa poter restare costantemente nel Suo Pensiero.

Luigi: E noi partiamo da un nulla, il nostro nulla da cui parte la creatura, è capacità di restare un milionesimo di secondo, tant’è vero che abbiamo la significazione di esistenti che durano un milionesimo di secondo, ma sono significazioni proprio di quello che noi siamo, del nostro nulla. La durata è espressione della capacità di restare, ed è significazione della nostra capacità di restare con Dio. Ora, più noi restiamo in ascolto di Dio, perché Dio parlando riversa Sé, non fa altro che riversare Sé in noi, però richiede una permanenza nell’ascolto e se io ascolto Lui per un centesimo di secondo, Lui riversa di Sé per un centesimo di secondo, non riversa di più perché io scappo subito. È la conversazione di Dio: se noi fossimo capaci anche partendo dalla creatura che dura un milionesimo di secondo, a restare fedeli, a continuare nell’ascolto di Dio, l'ascolto di Dio è conversazione, Lui ci conduce alla conclusione della conversazione, la conclusione della conversazione è la rivelazione del pensiero, cioè la rivelazione del suo Verbo. Per cui basterebbe che noi restassimo costanti nell’ascolto del parlare di Dio, e il parlare di Dio ci conduce; è Lui che forma in noi la sua presenza, e la permanenza in Lui, ma è Lui in quanto noi restiamo in ascolto. E tutta la nostra vita praticamente è una educazione a restare in ascolto di Dio, perché poi è Lui che si rivela, non siamo noi che scopriamo, Lui chiede soltanto a noi questo ascolto qui.

Pinuccia: Il segno ci rivela qualcosa di Dio ma ci rivela anche qualcosa di noi, ad esempio la nostra incapacità a restare con Lui.

Luigi: Certo, noi nel segno vediamo noi, è logico, in quanto Dio parla a noi nell’io, ci deve far toccare con mano qualcosa di noi, per questo dico che il segno è ambiguo. Perché noi nel segno possiamo vedere solo noi e niente di Dio, perché c'è qualcosa di noi, altrimenti non sarebbe più segno; in quanto è segno c'è qualcosa di comune, altrimenti non comunica niente in comune al nostro io e allora io vedo me stesso in quella cosa lì, vedo qualche cosa di me. Il guaio è quando dico: “Quella cosa lì rivela solo me” oppure “È solo espressione mia”; no! C'è anche qualche cosa che non dipende da me ed è di Dio.

Ma è proprio questo qualche cosa che non dipende da me, che c'è nel segno, che mi deve sollecitare, per cui non mi devo appropriare di questo, non devo farlo mio. Il filo d’erba, rivela qualcosa di me, della mia povertà, del mio niente, è in balìa del vento, dura una giornata, e poi subito inaridisce, c'è qualcosa della creatura; eppure c'è qualcosa anche di Dio, e così in tutte le cose. Per cui in tutto il creato Dio significa la creatura, appunto perché è segno, e significa Se stesso e invita quindi la creatura a superarsi dicendo: “Non sei tu che mi hai fatto, quindi non ritenermi tuo, ma riportalo a me”.

Ora, ho detto che i segni sono veramente intelletti solo alla presenza di Colui che li fa, ecco l'importanza non soltanto di aver presente il segno, ma di aver presente Dio.

Quindi tutte le opere di Dio devono sempre essere da noi mantenute unite a Dio, per essere intellette in Dio; non dobbiamo mai disgiungere l'opera dall’Operatore, la creatura dal Creatore perché siccome la creatura è opera del Creatore, dico che può essere intelletta solo alla presenza del Creatore. Se noi invece ci fermiamo soltanto alla creatura e dimentichiamo il Creatore, cosa succede? Che noi rapportiamo la creatura al nostro io e allora travisiamo la lezione perché la rapportiamo al nostro io.

Eligio: Non c'è il rischio di scambiare la creatura per il Creatore?

Luigi: Sì, ma quello succede sempre quando noi dimentichiamo Colui che opera. Dal momento in cui noi disuniamo la creatura dal Creatore, noi travisiamo immediatamente il segno e lo travisiamo in quanto lo rendiamo assoluto, oppure lo rapportiamo al nostro io, comunque c'è un travisamento. Se noi vogliamo mantenerci nella fedeltà, nell’intelligenza vera, nel significato di quel segno li dobbiamo sempre mantenerlo unito a Dio “L'uomo non deve disgiungere ciò che Dio ha unito”. Anche noi stessi siamo un segno di Dio, la nostra anima è un segno di Dio, la nostra fame, la fame di Verità, è un segno di Dio, ma non disgiungere questa tua fame da Dio, quindi non disgiungere te stesso da Dio, ma tieniti sempre unito a Dio. Gesù paragona la creatura al tralcio di una vite: “Io sono la vite, voi i tralci. Mantenetevi uniti perché il tralcio staccato dalla vite secca”; “L'uomo non deve disgiungere ciò che Dio ha unito”. Dio ci ha creati uniti a Sé, noi dobbiamo sempre mantenere questa unione qui. Come noi dimentichiamo Dio, immediatamente succede questa catastrofe, nella concezione del nostro mondo, perché tutte le cose vengono immediatamente travisate, vengono viste assolute, le cause vengono attribuite non più a Dio, ma vengono attribuite alla natura, al caso, agli uomini, è tutto un travisamento.

Quindi la lezione fondamentale è questa: che il principio della vera adorazione, quello di prendere sempre tutto dalle mani di Dio, quello di riferire tutto a Dio e di riportare tutto a Dio per intendere tutto in Dio, perché soltanto alla presenza di Colui che fa il segno, il segno diventa intelleggibile. Tolta quella presenza di Colui che fa il segno, il segno viene travisato.

Eligio: Quindi il segno può dirci quanta conoscenza noi abbiamo di Dio, a seconda poi dell’interpretazione che noi diamo.

Luigi: Certamente, perché più noi abbiamo conosciuto Dio e più il segno diventa fecondo di conoscenza; diventa una profondità immensa.

Eligio: Diventa un’espressione di Dio.

Luigi: Perché una parola, ognuno di noi la intende per quello che porta dentro di sé; ora, se uno porta dentro di sé tanto di Dio, una parola la intende con una profondità enorme mentre quell’altro che porta dentro di sé poco di Dio o che non ha niente di Dio intende poco o nulla. Per cui più noi conosciamo Dio e più il mondo diventa meraviglioso, di profondità, di conoscenze, di meraviglie; mentre invece un altro che non abbia niente di Dio, il mondo ad un certo momento non gli dice niente, oppure gli dice soltanto cose contrarie a Dio.

La concezione non è mica soggettiva, è oggettiva però c'è una componente personale; per questo dico che c'è l'incomunicabilità tra creatura e creatura, perché ognuno intende anche i segni con quella profondità che porta dentro di sé e la profondità è personale perché dipende dal superamento dell’io.

Eligio: Sì, però direi che tra creatura e creatura il rapporto quadra quando il Creatore diventa comune denominatore, un punto di contatto c'è.

Luigi: Sì, sempre tutto attraverso Dio, ah è logico!

Eligio: Pur avendo diverse profondità relative al segno, se le creature hanno Dio come punto di riferimento, hanno una possibilità di intesa.

Luigi: Una possibilità di dialogo, ognuno però sempre in funzione di quello che porta dentro; perché anche quando si parla sono sempre segni. Ogni segno è interpretabile a seconda di quello che uno porta dentro. Ad esempio se io conosco soltanto qualche parola straniera, magari ho già sentito tante parole straniere di quella lingua, ma ne intendo soltanto quelle tre o quattro; l'altro magari mi comunica tante parole ma io mi interesso soltanto a quelle tre o quattro e non di più. Quindi tutto dipende dal patrimonio che portiamo dentro di noi, è il patrimonio che ci rende intelleggibile il segno che arriva.

Ora, questo patrimonio che ci rende intelleggibile è Dio, che ci rende intelleggibili i segni di Dio. Come il patrimonio linguistico che mi rende intelleggibile l'inglese, è quello che io ho accumulato di inglese dentro di me; in quanto l'ho accumulato dentro di me, questo dentro di me mi rende intelleggibile tutto quello che percepisco fuori. Ma se non ho accumulato niente di inglese dentro di me, io posso sentire tutti i più bei discorsi inglesi ma non capisco proprio niente. Ecco perché è necessaria la partecipazione personale.

Pinuccia: Passiamo all’incontro del 6 dicembre: “Il vento soffia dove vuole, tu ne senti la voce, ma non sai né di donde venga, né dove vada”. Gesù paragona il rapporto tra i due mondi al vento che soffia, che si fa sentire ma noi non sappiamo da dove venga e dove vada. Il vento è un annuncio, quindi come tale è un invito alla vita, una proposta; se aderisco al vento arrivo a capire il significato dei segni. È necessario tutto il lavoro di raccolta, di assimilazione, di personificazione, così l'avevi spiegato: raccogliendo tutto in Dio si personifica tutto.

Ci sono vari tipi di vento: la brezza, ma se non la sentiamo perché abbiamo tanto rumore in noi ecco che allora viene il tifone, l'uragano, che sono tutte proposte di Dio per scuoterci e invitarci a superare il nostro io.

·         Il successivo argomento è: “Così è di chiunque è nato dallo Spirito”. Chi è nato dallo Spirito è come il vento: il mondo lo vede, lo vede operare, parlare, ne sente la voce, però non sa donde venga né dove vada, non può capirlo perché chi è nato dallo Spirito ha in se stesso la ragione del suo operare. Gesù dice: “Non ti meravigliare se il mondo superiore si fa sentire nel mondo inferiore senza che questo lo capisca”; i figli di Dio operando suscitano vocazioni, scuotono i figli del mondo, li richiamano ad un mondo che non capiscono ancora. Lo Spirito tende ad assorbire, a spiritualizzare il mondo materiale; ecco qui l'importanza del “Cerca prima di tutto il Regno di Dio”.

Il vento soffia dove vuole va inteso non nel senso riduttivo, ma in quanto ha in sé la ragione del suo operare; è un’espressione di libertà. Non è un capriccio perché ha in se stesso la ragione di quello che fa.

·         Poi abbiamo approfondito la domanda di Nicodemo. “Come mai può avvenire questo?”, cioè come può avvenire questa rinascita? Prima aveva espresso il suo dubbio: come è possibile? “Forse che un uomo vecchio può rientrare nel seno della madre?”.

Disse ciò per esprimere la sua incredulità: sembra un’utopia che un uomo vecchio possa cambiare carattere, mentalità, punto di vista.

Adesso chiede la ragione del vento, come mai le cose nel mondo avvengono così, in modo che noi le avvertiamo ma non riusciamo a capirle?

Luigi: Nicodemo confessa una cecità, confessa di non capire. Infatti Gesù gli risponderà: “Tu sei maestro in Israele e non capisci questo?”. Il compito del maestro infatti è quello di parlare di cose che l'allievo non capisce per condurlo a capire; questo è il compito del vero Maestro. Il maestro parla di cose che le creature ancora non capiscono per condurle a capire, per cui Gesù dice a Nicodemo: “Ti sei presentato come maestro e non sai quello che fai tutti i giorni?”. Come fa Nicodemo a trasmettere la sua scienza? Appunto abbassandosi con i segni al piano dell’allievo e se l'allievo ascolta lo conduce, quindi fa l'opera del vento.

Gesù ha condotto Nicodemo a toccare con mano che effettivamente non è maestro, ma è nella notte, infatti con questo argomento Nicodemo esce di scena, sparisce. Non è che vada via, ma a questo punto Nicodemo diventa solo più ascolto e il Cristo diventa solo più il Verbo che parla: Dio che parla e la creatura che ascolta, i valori sono messi a posto. Prima era quasi l'opposto.

Questa è una lezione per insegnare l'opera che Dio fa nella nostra vita per ricondurci nella posizione giusta cioè di esseri in silenzio, capaci di ascoltare perché soltanto in quanto siamo ricondotti nell’attenzione, nell’ascolto, allora abbiamo la possibilità di aprirci alla luce dello Spirito cioè a passare al mondo superiore. Più viviamo nel pensiero del nostro io e più diventiamo sordi: ad un certo punto noi diventiamo solo più capaci di ascoltare ciò che si riferisce al nostro io; abbiamo proprio un processo riduttivo nella nostra vita, perché noi diventiamo figli delle nostre opere e quindi incapaci di ascoltare ciò che non interessa il nostro io; ed è una chiusura, una chiusura simbolica della vera chiusura spirituale per cui ad un certo momento ci troviamo immersi in tutte parole di Dio ma assolutamente incapaci di ascoltare parole di Dio; per cui c'è una fuga da Dio. Invece il superamento del nostro io ci rende capaci di ascoltare Dio fino all’infinito, per cui più noi riduciamo il nostro io al nulla e più nel nulla noi diventiamo capaci di tutto. Più invece il nostro io acquista importanza rispetto al tutto, e più perde la capacità di ascoltare il tutto. È questa la lezione.

Pinuccia: Quindi Nicodemo è accecato affinché impari ad invocare la luce che è la condizione essenziale per arrivare a vedere il Regno di Dio.

Con la domanda: “Come può mai avvenire questo?” Nicodemo rivela che ha bisogno di luce. Personalmente avevo capito che si riferisse al problema della rinascita.

Luigi: Il tema principale a questo punto era quello del vento: come mai avviene questo? Questo vento che soffia, del quale sentiamo la voce ma non sappiamo né donde venga né donde vada.

Pinuccia: Sono due allora le domande di luce da parte di Nicodemo?

Luigi: La prima domanda era provocatoria: “Cosa mi dici? Può forse un uomo rinascere quando è vecchio? Non può cambiare e rinascere”.

Nicodemo questo lo fa per provocare una spiegazione da parte di Gesù, ma qui invece, quando parla del vento che soffia, indubbiamente Nicodemo capisce che si tratta di un argomento dello Spirito, però non afferra il contenuto.

Pinuccia: Comunque a questo punto Gesù riaffronta il tema della nascita, dicendo dopo la metafora del vento: “Il vento soffia dove vuole. Così è di chiunque è nato dallo Spirito”. Due caratteristiche della nuova nascita: è una nascita continua, non va intesa come un ritornare indietro, ma è un andare avanti verso Dio.

La reversibilità è la prima caratteristica.

Luigi: Abbiamo distinto il mondo che dipende da noi dal mondo che non dipende da noi; il mondo naturale, materiale, dal mondo che non dipende da noi, il mondo del cielo. Abbiamo detto che nel mondo materiale le cose sono irreversibili: il tempo passa e noi non possiamo recuperarlo perché è passato; la nostra nascita avviene una volta sola e non possiamo recuperarla. Diciamo che nel nostro mondo le cose vanno a senso unico invece nelle cose dello Spirito abbiamo la reversibilità cioè la nascita non avviene una volta sola ma è continua in quanto continuamente dobbiamo riportare a Dio: riportando a Dio si rinasce. Non basta quindi rinascere una volta; la rinascita di una volta è una rinascita continua per cui ho paragonato il mondo del cielo alla retta infinita e questo mondo qui ad un punto. Noi non ritroviamo più le cose passate, nemmeno le parole che diciamo perché il tempo passa in modo irreversibile mentre invece nelle cose dello Spirito abbiamo la reversibilità continua. Soltanto se c'è questa continuità, che deve sempre essere un atto cosciente, noi rinasciamo per cui, come ho detto prima, tutte le opere di Dio, le parole di Dio, noi dobbiamo sempre riportarle in Dio, ci deve essere questa circolarità: le cose arrivano a noi da Dio e chiedono di essere riportate in Dio; se le riportiamo in Dio c'è la luce che illumina queste cose: più si illuminano e più cresce l'intimità con Dio.

Come tra amici che più c'è la conversazione e più c'è l'intimità; Gesù stesso dice: “Non vi chiamo più servi, ma vi chiamo amici perché vi ho fatto sapere le cose che ho ricevuto”.

Quindi si fa il passaggio da servi ad amici attraverso la comunicazione, in quanto però il servo ha ricevuto la parola di colui che è superiore a lui. Allora, ricevendo la parola il servo diventa amico; ora, è lo stesso nei riguardi di Dio: più noi riceviamo le parole di Dio e più passiamo dalla situazione di servi, perché noi quando siamo lontani da Dio, volenti o nolenti, facciamo la volontà di Dio, anche il demonio fa la volontà di Dio, però siamo in una situazione di schiavitù, di servi. Se invece ascoltiamo la parola di Dio, la parola di Gesù, si passa dalla situazione di servi alla situazione di amici, addirittura alla situazione di figli, quindi di intimità familiare; Gesù parla di madre, sorella, sposa, abbiamo qui una comunione “Affinché diventino una cosa sola”. Ma questa comunione è in rapporto all’ascolto: più uno ascolta le parole di Dio, le riceve e le riporta in Dio, riportandole in Dio, la luce che riceve da questa conoscenza delle opere di Dio, in Dio, crea l'intimità, crea la comunione. Ora, questa è una rinascita continua, per questo Gesù dice che nel campo spirituale c'è una nascita continua, perché c'è partecipazione continua.

Eligio: C'è una crescita continua.

Luigi: Sì, ma questa crescita continua è subordinata ad una nascita continua. Dico nascita in quanto tutte le cose che vengono da Dio, ci sollecitano a riportarle in Dio, riportandole in Dio nasce qualcosa di nuovo, è una luce nuova, perché Dio riversa il suo infinito in noi. Quindi abbiamo sempre una crescita, ma che è anche una nascita.

Pinuccia: E poi abbiamo la seconda caratteristica di questa nuova nascita: chi nasce dallo Spirito ha in se stesso la motivazione del suo operare, chi nasce naturalmente, cioè la nascita naturale, ha queste motivazioni fuori di sé.

·         Poi passiamo all’argomento: “Se non capite le cose della terra, come capirete le cose del cielo?”. Le cose della terra sono le cose che si possono sperimentare, quelle del cielo che non si possono sperimentare. La comprensione delle cose del cielo è subordinata alla comprensione del senso delle cose della terra, cioè quelle che dipendono da noi e che dobbiamo riferire a Dio per intenderne il significato.

Gesù ci dice anche: “Se non siete fedeli nelle cose ingiuste, (cioè quelle che non sono nostre, attribuendole a Chi si deve), chi vi affiderà quelle giuste?”, cioè la Verità? Cioè “Se non siete fedeli nel poco, chi vi affiderà il molto?”; la fedeltà nel poco è la condizione per ricevere il molto, cioè la Verità.

Luigi: Sì, comunque la fedeltà nel poco sta in questo: nell’attribuire, nel riferire a Dio, prima di tutto nel ricevere tutto dalle mani di Dio e poi nel riportare a Dio tutte le opere di Dio: è la giustizia essenziale. Per cui gli avvenimenti, i fatti del mondo, non debbo soltanto accoglierli dalle mani di Dio, devo anche riportarli a Dio per cercare di intenderli in Dio: questa è la giustizia essenziale, la fedeltà nel poco. Perché certamente queste cose che capitano nel mondo non sono mie. In quanto non sono mie, non sono nostre, non dobbiamo attribuirle all’uomo, ma dobbiamo sempre attribuirle a Dio, “Dà a Dio quello che è di Dio”.

Tutte le creature arrivano a noi con l'impronta: “Non sei tu che mi hai fatto e in quanto non sei tu che mi hai fatto, riportami a Colui che mi ha fatto, perché io sono di Dio”.

Per cui tutte le creature giungono a noi con questa caratteristica, con questo sigillo: “Io sono di Dio”; partiamo dal sole, dalle stelle, fino al filo d’erba, tutte le cose ci dicono: “Non sei tu che ci hai fatto, io sono di Dio e quindi se sono di Dio, riportami a Dio, ridammi a Dio”: giustizia essenziale. Se noi non siamo fedeli in questo poco, ce lo possiamo sognare di ricevere il molto, quella “fedeltà molta” che ci fa rimanere molto con Dio, che ci fa conoscere Dio, che ci fa ascoltare Dio.

Pinuccia: Sarebbe quando che Gesù dice: “Chi non rinasce per acqua e per Spirito non può vedere il Regno di Dio”…

Luigi: Sì, e la rinascita dall’acqua sarebbe la giustizia essenziale.

Pinuccia: Poi c'è un’altra rinascita che è quella dallo Spirito, che è in progressione.

Luigi: Sì, la conoscenza di Dio che avverrà poi a Pentecoste.

·         Poi c'è l'incontro del 26 gennaio: “Nessuno è mai salito al cielo, se non Colui che è disceso dal cielo, il figlio dell’uomo che è disceso dal cielo”.

Luigi: “Il figlio dell’uomo che è in cielo…”

Pinuccia: Sì, “Il figlio dell’uomo che è in cielo”. Il cielo si fa terra perché la terra possa salire al cielo. Cioè Gesù dice questo per farci capire che non bastano i nostri sforzi personali per arrivare al cielo, “Nessuno è salito al cielo” per questo Lui si incarna, assume un nostro linguaggio, un linguaggio che possiamo intendere, ma non per confermarci nei nostri pensieri o per dare ragione a noi.

Luigi: Non risponde alle nostre pretese, ma risponde alle nostre attese, le attese dello Spirito.

Pinuccia: Ecco, ma per portarci in cielo. Però non basta che Lui si sia incarnato, bisogna che ciascuno di noi Lo metta in alto, “Come Mosè ha innalzato il serpente…”.

Luigi: Sì, forse qui occorre fare questa precisazione: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così è necessario che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna”, fa quasi pensare che non sia sufficiente credere in Lui. Ma a me pare che la proposizione principale non è quella che viene prima, ma è quella che viene dopo, ed è questa: “Affinché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna, è necessario che il Figlio dell’uomo sia innalzato”. Cioè “Affinché chiunque crede in Lui”, non basta credere in Lui, bisogna arrivare alla vita eterna; bisogna che noi mettiamo in alto il Verbo di Dio che parla a noi; cioè lo mettiamo prima di tutto, al di sopra di tutto. E soltanto mettendolo prima di tutto, ecco che allora questa attrazione, questo riferimento a Lui, Lui ci conduce alla vita eterna. “Affinché” quindi. Il Verbo di Dio scende in noi, è necessario che noi aderiamo a Lui, ma non basta aderire a Lui. Se noi osiamo entrare nella vita eterna, bisogna che noi Lo mettiamo in alto. Allora: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto” e liberò con quel serpente, (come sulla croce che è messa in alto), tutti quelli che erano avvelenati dai serpenti velenosi, tutti coloro che sono avvelenati dal mondo; perché fintanto che noi non abbiamo in alto in noi il Pensiero di Dio, il mondo ci avvelena. Noi possiamo gridare, urlare, ma siamo avvelenati dal mondo, perché da soli noi non ci sveleniamo. Invece mettendo in alto Dio nella nostra vita, anche se siamo avvelenati, è Dio che ci libera, che ci risana dai veleni del mondo. Perché si parla di liberazione? Perché ci salva il Salvatore? Perché noi corriamo questo rischio qui: di morire avvelenati dal mondo.

Pinuccia: Credere vuol dire cercare di capire.

Luigi: Sì, ma siccome noi siamo molto ambigui nella nostra confusione, quindi anche quando parliamo di fede diciamo: “Basta crederci! Non c'è bisogno di approfondire tanto”. No, guarda che la fede ti è data proprio perché tu approfondisca. Se tu ritieni che ti sia sufficiente credere, e che il credere non ti porti al bisogno, alla fame di conoscere Dio, la tua fede è fasulla, la tua fede è solo una situazione di comodo, è una giustificazione di coscienza, tu sostanzialmente credi in altro, in ciò che ti fa comodo, quindi è una giustificazione per la tua coscienza. Perché nelle cose che veramente ci stanno a cuore, a noi non basta credere; noi ci diamo da fare per possederle, per averle, non ci basta credere. Allora se veramente ti sta a cuore Dio non dire: “Basta credere”, perché la fede in Dio, Dio te l'ha data affinché tu lo abbia a desiderare, tu lo abbia a cercare, tu lo abbia a mettere al sopra di tutto nella tua vita, a farti sentire questa fame qui; a farti sentire insoddisfatto fintanto che non giungi a conoscere Lui come Lui conosce te; perché la conclusione è questa: conoscere Lui come siamo conosciuti da Lui, è questo che crea poi l'intimità.

Pinuccia: Quindi è necessario porre in alto il Figlio dell’uomo, farlo oggetto di ogni nostra attenzione, perché è Lui la via che ci porta al Padre.

Luigi: Sì, va esaltato. Va esaltato come la cosa principale della nostra vita, come la cosa che ci deve stare più a cuore. Allora diventa oggetto di molta attenzione da parte nostra, di tanto interesse ed è proprio questo tanto interesse per Lui che ci forma la capacità di fermarci. Perché ora cosa succede? Che noi magari facciamo attenzione a Lui per cinque minuti e poi passiamo ad altro: ecco, saltiamo da una cosa all’altra e allora non restiamo. Perché Lui sta conversando con noi ma la conversazione richiede fedeltà di ascolto, permanenza di ascolto per giungere al prodotto, per giungere alla fine alla comunicazione del pensiero. Lui dice: “Il seminatore; il seme è seminato nella terra”, ma la maggior parte di questa semina è perduta perché va su strada, o su terreno spinoso, o su terreno pietroso, o su terreno buono. Qual è questo terreno buono? È quel terreno che custodisce, che permane nell’ascolto fino ad arrivare, con la pazienza, al frutto, cioè alla rivelazione del pensiero di Colui che parla: del Verbo.

Poi abbiamo parlato anche del Cristo morto perché anche morto può essere esaltato. In questo incontro hai risposto alle domande:

·         1) Il significato della notte di Nicodemo;

·         2) “Come potrete intendere le cose del cielo se non intendete quando vi parlo di cose della terra?”.

Il parlare delle cose della terra è un parlare in parabole. Tutto il parlare di Gesù è un parlare di cose della terra, del vento, del seme, ci parla nel pensiero del nostro io, ci parla di cose che sperimentiamo, di segni, di parabole. Al termine della sua vita dice: “Verrà il giorno in cui non vi parlerò più in parabole, ma apertamente vi parlerò del Padre”.

Cioè ci sono due parlare di Gesù: il primo è per portarci al secondo. Se non crediamo al segno che ci invita al superamento dell’io, se non crediamo alla funzione delle cose della terra, se non comprendiamo questa lezione delle cose della terra, non arriviamo a capire le cose del cielo, cioè il loro significato. Tutte le cose della terra ci dicono: “Supera te stesso e anche noi, cerca altrove”. Questo vuol dire credere ai segni, cioè desiderare di conoscere ciò che Dio ci vuole significare di Sé nei segni, capire la lezione; dopo aver capito la lezione si scartano i segni. A questo livello Dio significa Se stesso, si annuncia e ci invita a trascendere il segno. Si annuncia ma non si rivela, si rivela solo se c'è questo superamento; attraverso le parole si arriva al pensiero, alla manifestazione del Verbo. Poi abbiamo parlato anche dell’ambiguità dei segni perché significano qualcosa di noi e qualcosa e di Dio e il rischio è di vedere solamente noi.

Luigi: L'ho detto prima: arrivando al nulla diventiamo capaci del tutto. Più noi scopriamo il nostro niente e più attribuiamo tutto a Dio; tutto quello che noi abbiamo lo attribuiamo a Dio ed è lì che si forma la capacità di ricevere. Perché noi siamo incapaci di ricevere qualcosa di Dio proprio in quanto ci illudiamo: “Questo l'ho fatto io; questo lo penso io; questo l'ho scoperto io”; attribuendo al nostro io, senza accorgercene ci freghiamo e ci impediamo di conoscere le cose di Dio; ed è Dio stesso che ci riduce al niente affinché noi dobbiamo arrivare a capire che lo stesso nostro pensiero di Dio è presenza sua, è opera sua. Ma questo richiede la consapevolezza del nostro nulla, del nostro niente. Noi siamo creature, quindi veniamo dal niente.

Eligio: È impossibile capire questo se non si parte da Dio.

Luigi: Ma è li la nascita, la nascita da Dio si verifica solo partendo da Dio; per cui tutto di me è tutto opera sua.

Eligio: Più che convincermi del niente mio mi devo convincere del tutto di Dio!

Luigi: Certo, però c'è questo: partendo da Dio abbiamo l'intelligenza, però siccome noi non facciamo questo, Dio ci riduce. Perché l'elemento che si frappone a Dio è la grandezza del nostro io; allora Dio riduce il nostro io a toccare il suo niente; infatti ci porta alla morte, la morte che è ancora per salvarci; ci riduce in polvere, ed è ancora per salvarci. D’altronde tutte le morti alle quali Lui ci fa assistere, prima di portare noi a morte, sono lezioni sue per dirci: “Guarda che sei tu questo! Quindi non illuderti, non montarti la testa, sei niente; quindi riferisci le cose a me, a Dio, perché è tutta opera mia! Quindi non attribuirla agli uomini, non attribuirla a te stesso!”. Come Gesù quando dice: “Cosa dicono gli uomini chi io sia?” e poi “Voi, chi dite chi io sia?”; prima Lui ci fa osservare quello che avviene attorno, e poi ci interroga personalmente. Quindi prima Lui ci fa toccare con mano il niente che noi siamo, attorno, e poi ad un certo momento ci riduce al niente, se non capiamo la lezione; noi dobbiamo capire la lezione prima che Lui ci riduca al niente. Ma anche quando Lui ci riducesse al niente, lo farebbe ancora per salvarci. È logico che abbiamo questa lezione negativa, e questa lezione negativa non diventa luce, perché la lezione positiva l'abbiamo soltanto in Dio, solo nascendo da Dio. Ma tutto questo che è provocazione di Dio, riduzione al niente, forse in questa situazione può scattare una scintilla in quella creatura verso la Verità.

Eligio: È sempre una proposta da parte di Dio.

Luigi: Dobbiamo sempre tenere presente che il superamento dell’io, solo noi lo possiamo fare, perché noi stessi siamo creature di Dio. Ora, questa coscienza che abbiamo del nostro io, è opera di Dio, in quanto è opera di Dio il superamento di questo stato cosciente, solo noi lo possiamo fare, dipende solo da noi. Per cui Dio stesso opera tutto attorno a noi per provocarci a questo superamento, ma non lo può imporre perché è un atto cosciente. L'atto cosciente deve avere in se stesso la ragione di quello che fa, quindi dobbiamo avere in noi stessi la ragione del superamento di noi stessi per cui nessuno ce lo può imporre. Per cui fintanto che noi non ci decidiamo a superarci e a riferire le cose a Dio, ad attribuirle a Dio, a rinascere noi stessi da Dio, noi ci troviamo in questo mondo di provocazioni esterne.

Eligio: Il difficile è il permanere…

Luigi: Qui abbiamo l'atto di nascita, ma il permanere si realizzerà solo a Pentecoste.

Eligio: Se si è convinti del nostro niente, si è anche convinti del tutto di Dio? Vediamo menti come Sant’Agostino che colgono per qualche attimo la presenza di Dio e poi ricadono nel loro mondo. Come fare a restare?

Luigi: Eppure Gesù dice: “Affinché possiate essere sempre con me…”, cioè quasi a dire: una presenza universale, per cui non ci sia più niente che vi possa portare via a Me. Il che vuol dire che noi siamo chiamati a restare con Dio in tutto l'universo; per qualunque cosa accada, qualunque cosa vediamo, noi vediamo Lui, restiamo con Lui. Diciamo che è una Presenza universale in tutte le sue opere per cui non c'è più niente che ti possa distogliere da Lui: quella è la permanenza, ma la permanenza deriva dal tanto raccoglimento in Dio. Noi possiamo restare con Dio soltanto nella misura in cui abbiamo raccolto in Dio: quando io ho raccolto in Dio un pensiero, soltanto quando incontrerò di nuovo quel pensiero, quel pensiero mi farà restare in Dio, ma tutti gli altri pensieri mi portano lontano da Dio perché non li ho raccolti in Dio. Se ho portato in Dio cinque pensieri, io ho la possibilità di restare in Dio in quei cinque pensieri; se ho portato tanto in Dio..: “Ad ognuno sarà dato quello che avrà voluto veramente raccogliere”. Quindi la possibilità di permanere, è una conseguenza del raccoglimento che abbiamo fatto in Dio. Gesù è molto chiaro quando dice: “Chi con me raccoglie, riceve mercede di vita eterna”. Chiamiamo “mercede di vita eterna” permanenza con Dio: “Chi con Me raccoglie, riceve permanenza con Dio”. Tutto dipende da quello che uno ha raccolto con Dio, quindi è tutto interesse nostro non sprecare stupidamente la nostra vita raccogliendo cose in terra, per arricchire il nostro patrimonio. Infatti il Signore dice: “Non tesoreggiate…”; effettivamente è proprio un comportamento da stolti il tesoreggiare cose della terra; “Non accumulate, non raccogliete, non tesoreggiate cose in terra, perché tanto, tarli, ladri o altro rubano, ve li portano via! Tesoreggiate le cose in cielo”. Vedi che il tesoreggiare è sinonimo di raccogliere? Raccogliere cose in cielo; più noi raccogliamo in Dio e più questo ci dà la possibilità di permanere in Dio. La permanenza non è un atto di volontà, ma è la conseguenza del tanto raccolto in Dio, di quello che uno ha raccolto in Dio.