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“In verità, in verità io ve lo dico: Noi parliamo di ciò che sappiamo e rendiamo testimonianza di quel che abbiamo visto e voi non accettate la nostra testimonianza. “Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Gv 3 Vs 11/12 Primo tema.


Titolo: Cose della terra e cose del cielo.


 

Argomenti: Il tempo va a senso unico, nello spirito c’è la rinascita – Riportare al Padre – La generazione dal Padre – Fratellanza con Cristo – L’oggi di Dio – La stabilità d’amore – Il tempo della prova è per crescere nell’amore – Fedeltà e infedeltà – La molteplicità di amori – L’amore unico – Terra e cielo – Le nostre parole non creano e non modificano – Aderire anche ciò che non si capisce – Ama il prossimo tuo – Rendere grazie a Dio -


16/Gennaio/1977


Luigi: Vuoi leggerci quello che hai preparato come introduzione?

Pinuccia: Sì. Di questa prima parte del capitolo, quello che mi è rimasto, come applicazione concreta, l’atteggiamento che bisogna assumere di fronte a Gesù è questo: Nicodemo si avvicina a Gesù in modo sbagliato, cioè si avvicina a Lui come uno che sa, che crede di vedere; infatti dice: “Noi sappiamo che tu vieni da Dio…”, quindi crede di vedere il Regno di Dio. Invece a Gesù bisogna avvicinarci come un cieco, un cieco che invoca la luce; non solo, l’affermazione per cui Nicodemo sbaglia è basare il suo sapere su un criterio sbagliato, cioè sui miracoli, sugli avvenimenti straordinari. Poi crede di lusingare Gesù facendogli un complimento. Come insegnamento che ho ricavato è questo: a Gesù devo avvicinarmi come uno che invoca la luce, che si aspetta tutto da Lui.

Poi un secondo punto è la necessità di nascere; Gesù subito lo ferma: “Tu credi di vedere, ma per vedere il Regno di Dio bisogna rinascere”. Poi Gesù specifica che si rinasce per acqua e per lo Spirito: l’acqua è il battesimo di giustizia, mettere Dio al centro; finché uno non mette Dio al centro non può neppure iniziare a vedere il Regno di Dio. E poi si rinasce dallo Spirito, è necessario il battesimo dello Spirito, cioè a Pentecoste, perché soltanto a Pentecoste si potrà vedere il Regno di Dio, cioè si arriva alla conoscenza del Padre.

Luigi: Sì, qui si parla di una nascita, o meglio di una rinascita.

Dall'esposizione di Luigi Bracco:

La rinascita non deve essere intesa come un ritorno indietro. Infatti giustamente Nicodemo dice: “Può forse un uomo vecchio ritornare nel seno di sua madre e rinascere?” Noi abbiamo detto che c'è una diversità tra le cose dello Spirito e le cose del mondo. Una di queste caratteristiche che distinguono il mondo naturale dal mondo spirituale è che nel mondo naturale i fenomeni sono irreversibili, cioè non si può tornare indietro, il tempo scorre a senso unico, non si può recuperare. Nel mondo dello Spirito invece le cose sono reversibili, cioè abbiamo una rinascita continua; non è una rinascita “una tantum”, ma è una rinascita continua. Quindi con Dio, si nasce dal Padre ed è un recupero continuo di tutto ciò che viene a noi dal Padre. Tutte le cose che vengono a noi qui sulla terra creano in noi il tempo; questo tempo va a senso unico e noi non possiamo più ritrovare le cose passate. In Dio invece le cose che vengono da Dio si presentano a noi e debbono da noi essere ricuperate in Dio, perché ricuperandole c'è la rinascita, cioè si nasce da Dio. Per cui c'è una nascita continua perché Dio parla continuamente e parlando genera in noi il suo Verbo, ma questo Verbo va sempre riportato a Dio. Abbiamo questo lavoro circolare: le cose vengono da Dio, arrivano a noi, in noi devono essere riportate al Padre. Riportandole al Padre ci fanno nascere, per cui continuamente Dio opera per-, continuamente Dio dice: “Oggi ti ho generato”. È un oggi eterno e quindi abbiamo il dialogo con il Padre, abbiamo la comunione con il Padre, abbiamo la fratellanza con il Cristo. Lui continuamente dice a noi: “Oggi ti ho generato”, ma quell’oggi non è la nascita come avviene qui in terra, per cui “oggi” io sono nato e poi comincio a crescere: no! Nella vita eterna abbiamo questa nascita continua, perché abbiamo questo ritorno continuo al Padre e nel Padre è l’intelligenza, quindi, naturalmente, la conoscenza. Per cui è una conferma di tutto, perché abbiamo sempre la conferma della Verità di Dio e la comunione delle novità che Dio ci comunica, perché Dio è una sorgente di novità anche nella vita eterna, perché Dio sarà sempre superiore alla creatura anche nella vita eterna. Pur facendo comunione con noi, Dio sarà sempre una sorgente di novità, quindi non abbiamo la stabilità nel senso di noia, di statua fissa in -, ma proprio la comunione, la partecipazione alla vita in un Essere unico: per cui abbiamo una rinascita continua. Allora questa rinascita di cui parla Gesù non è un ritornare indietro (Nicodemo del resto non poteva intenderlo in modo diverso), ma è un andare avanti, perché questa rinascita la si ottiene andando avanti, verso Dio; è un recupero morale, è il recupero di una creatura nuova, una nascita nuova. Infatti Lui parla di cose dello Spirito e cose della carne, perché abbiamo due mondi e lo preciserà ancora meglio dopo, con la Samaritana, quando parlerà di due acque. Anche la Samaritana farà il problema fino a quando sentirà parlare di acqua, di un’acqua nuova: lei fa il problema dell’acqua di pozzo, non capisce il linguaggio di Gesù perché siamo su due piani diversi. Gesù parla secondo lo Spirito e la Samaritana secondo la carne, però ad un certo momento arriva il punto di contatto. E così è anche per Nicodemo. Nicodemo intende secondo il linguaggio del rinascere secondo la carne: “Può forse…?”: impossibile questo, però bisogna andare avanti. È il superamento del nostro io.

Pinuccia: Non è che si nasce sempre uguali?

Luigi: In Dio abbiamo la conoscenza, quella conoscenza relativa alla stabilità d’amore alla quale siamo giunti nell’amore verso Dio, per cui anche in Dio c'è chi può penetrare di più e chi può penetrare di meno a seconda della dedizione con cui s’è offerto a Dio, s’è dato a Dio nel tempo della prova. Abbiamo detto che finché siamo qui in terra, nel tempo in cui abbiamo la possibilità di tradire l’amore di Dio, abbiamo la possibilità di crescere nell’amore di Dio, cioè la possibilità di crescere nell’amore noi l’abbiamo fintanto che abbiamo la possibilità di tradire l’amore; quando non abbiamo più la possibilità di crescere nell’amore siamo stabilizzati. Noi stiamo andando a senso unico verso la stabilizzazione, cioè noi abbiamo un certo capitale da spendere; questo capitale lo possiamo spendere come vogliamo: lo possiamo spendere per la ricerca di Dio, per la conoscenza di Dio e lo possiamo spendere per il nostro io. Fintanto che abbiamo questo capitale da spendere, noi possiamo crescere nell’amore, possiamo testimoniare quanto grande sia l’amore che noi abbiamo per Dio. Allora questa quantità crescente d’amore da testimoniare ci dà la possibilità di penetrare, cioè di aumentare la capacità di conoscenza di Dio, di penetrazione di Dio, perché quanto più uno ama, tanto più pensa a-, e diventa capace di conoscere. Le persone noi quando le conosciamo? Quando le frequentiamo molto ed è l’amore che mi fa frequentare una persona. Il fatto di avere un lungo contatto con -, mi rende capace di -, ma questo lungo contatto lo posso avere in quanto ho del tempo disponibile. Quando non avessi più tempo disponibile, mi sono stabilizzato in quello che mi sono offerto. Fintanto che abbiamo la possibilità di tradire l’amore di Dio, abbiamo la possibilità di crescere nell’amore di Dio.

Teresa: Perché lo chiami recupero?

Luigi: Finché abbiamo la possibilità di tradire, abbiamo anche la possibilità di crescere nell’amore perché abbiamo la possibilità di testimoniare quanto mi sta a cuore quella cosa, cioè se ho la possibilità di tradire un amore, quando ho l’occasione per tradire, se non tradisco rendo testimonianza dell’amore che mi sta veramente a cuore. Ma se io, occasionato di essere infedele, sono infedele, è inutile che io professi: “Io ti amo tanto”. Nel momento della prova sono stato infedele e quindi ho diminuito in me la possibilità.

Dandoci tante creature attorno, Dio ci dà la possibilità di essere molto infedeli a Lui, ma ci dà anche la capacità di essere molto fedeli a Lui. Tutto l’universo che abbiamo attorno è la possibilità che Dio ci dà per essere fedeli a Lui. Noi abbiamo la possibilità di essergli fedeli fintanto che abbiamo tante creature attorno a noi, perché noi possiamo sostituire la creatura al Creatore e in quanto amo la creatura al posto del Creatore, io sono infedele, ma diminuisco in me la capacità, perché la molteplicità di amori nel nostro animo non è una ampliamento dell’animo, ma è una diminuzione dell’animo; avere tanti amori non è un potenziare l’animo, ma è un disperdere l’animo. Per potenziare l’animo bisogna avere un amore unico. Quindi più noi abbiamo un amore unico e più il nostro animo si potenzia, potenzia le sue facoltà; anche intellettive, le sue capacità di fedeltà, di intuizione si potenziano sempre in un amore unico, quindi quanto più noi curiamo questo amore e quindi vigiliamo nella fedeltà, più rendiamo testimonianza in terra.

Gesù facendo il confronto tra la terra e il cielo: “Se non capite le cose della terra, come potrete capire le cose del cielo?”, ci fa capire che l’intelligenza delle cose del cielo è subordinata all’intelligenza delle cose della terra, o diciamo meglio, alla fedeltà a Dio nelle cose della terra. È chiaro?

Pinuccia: La risposta di Gesù che segue dice: “Ciò che è generato dalla carne è carne e ciò che è generato dallo Spirito è Spirito”, mette in rilievo l’esistenza di due mondi; il mondo visibile, materiale che è relativo a noi, di cui noi siamo il centro e il mondo spirituale, visibile il cui centro è Dio. Il punto critico per cui dobbiamo passare, è proprio il passaggio dal mondo materiale, visibile, al mondo invisibile.

Luigi: Ma sai dire perché c'è un mondo visibile e che cos’è che prova l’esistenza di un mondo invisibile? E perché ci deve essere un mondo invisibile?

Pinuccia: Dunque il mondo visibile c'è perché ci dà la consapevolezza che esistiamo.

Luigi: Noi abbiamo un mondo che dipende da noi ed un mondo che ci supera. Il mondo che ci supera è invisibile, è annunciato.

Pinuccia: Ed è annunciato proprio nel mondo visibile, perché tutte le cose visibili passano, sono dei segni. In quanto ci è annunciato questo mondo superiore, noi ne siamo responsabili: questo è già una chiamata a superare il mondo visibile per l’invisibile.

Luigi: Per cui noi, anche se non intendiamo, noi dobbiamo aderire, per cui non siamo soltanto tenuti a credere o ad accettare le cose che capiamo, ma siamo tenuti, e quindi responsabili, ad aderire, ad accettare e a credere anche le cose che non capiamo. Anzi, direi che è molto più importante questa accettazione dell’altra, perché proprio attraverso il credere ciò che non capiamo arriviamo a capirlo. Ma per arrivare a capire ciò che non capiamo, bisogna prima ascoltare, anche se non capiamo. Perché ascoltare quello che non capiamo, direi che è la scuola di tutti, perché quando si va a scuola si aderisce, si ascolta il maestro, il professore, per arrivare a capire quello che il professore sa. L’allievo deve però credere. Ecco allora che la responsabilità è della creatura. Se la creatura fa la superba dicendo: “Questa cosa non la capisco, quindi non l’accetto”, non arriverà mai a capire, quindi si chiude la capacità dell’intelligenza.

Ecco perché Dio parla nel nostro mondo, quindi si sottomette a noi, parla della nostra terra e noi dobbiamo accogliere quello che Lui dice in questa sottomissione. Lui, sottomettendosi a noi, ci parla delle cose sue. Lui non si sottomette a noi per aiutarci nei nostri affari, nei nostri interessi, nelle nostre passioni del mondo: Lui si sottomette a noi perché noi non capiamo altro linguaggio, però ci parla il suo linguaggio e noi siamo tenuti ad accogliere, ad ascoltare questo suo linguaggio, perché Lui ci dirà: “Io ti ho parlato e tu non mi hai accolto”. Era il tuo Dio che ti parlava e tu non L’hai accettato. Ecco la colpa dell’uomo.

Pinuccia: Quello che ci è richiesto concretamente è di aderire prima al linguaggio delle cose come creature di Dio e poi al linguaggio del Cristo.

Luigi: Il linguaggio delle cose è da Dio, cioè il Principio è sempre Dio. Se noi non crediamo in Dio e crediamo di essere noi ad aver fatto il mondo, ecco che non c'è nessun linguaggio delle cose che ci possa convincere. Nella nostra superficialità noi accantoniamo quel mondo che non intendiamo e consideriamo soltanto il mondo che abbiamo fatto noi; implicitamente riteniamo di essere noi i creatori e noi anche i modificatori della società o degli altri uomini, per cui noi riteniamo che basti dire all’altro: “Tu fai male, tu sei un delinquente, tu devi fare così”, perché l’altro sia trasformato dalle nostre parole. Crediamo che siano le nostre parole a creare e a modificare, invece le nostre parole non sono né creatrici, né modificano niente.

Se noi fossimo veramente convinti che quello che veramente crea è la Parola di Dio e quello che veramente modifica l’uomo è la Parola di Dio, noi staremmo molto attenti a parlare. Noi non modifichiamo assolutamente niente: il nostro parlare è solo rumore. La parola che modifica è la Parola creatrice, ma la Parola creatrice è la Parola di Dio, per cui è inutile che noi diciamo ad una persona: “No, tu devi fare questo, devi fare quell’altro, devi cambiare”, no! perché chi cambia quella persona è soltanto la Parola di Dio. Perché chi può cambiare quella creatura è soltanto la parola che ha fatto quella creatura. Ogni creatura si trova ad un certo livello per cui noi diciamo all’altro: “Tu devi essere così!”, ma l’altro non può essere così! Può cambiare per farti piacere, un momento, ma il giorno dopo è di nuovo come prima. Perché per modificare la creatura, bisogna che la creatura modifichi il suo rapporto intimo con Dio. Quindi è la Parola di Dio che modifica la creatura, non è la nostra parola: quindi la nostra parola non crea e non modifica. Questa è una cosa molto importante, perché se noi la teniamo presente, stiamo molto attenti a non parlare noi, ma a lasciar parlare sempre Dio, anche verso le creature. Con le creature non dovremmo mai essere autonomi nel parlare, ma dovremmo sempre ripetere soltanto la Parola di Dio, perché è la Parola di Dio che crea, che modifica, che porta a perfezione la creatura, quindi modifica, crea noi, è la parola che modifica noi ma è anche la parola che modifica l’altro. Quindi se noi lasciassimo sempre passare o parlare la parola di Dio, allora questa parola qui è creatrice e allora è apportatrice; perché noi dovremmo tenere sempre presente questo: che le creature non hanno bisogno delle nostre parole, ma hanno bisogno di Dio, anche se lo negano, anche se Lo rifiutano, anche se Lo bestemmiano. Essenzialmente le creature hanno bisogno di trovare Dio; e se sbagliano, e se peccano, e se si inebriano dei vini del mondo, è soltanto perché non hanno trovato ancora il vino di Dio, non hanno trovato Dio, non hanno toccato Dio. “Solo se potrò toccare un lembo del suo mantello, sarò guarita”. Allora è inutile che noi diciamo a questa creature, lo sanno benissimo da loro, che soffrono di solitudine, che sono cattive: ma perché non possono essere in modo diverso, perché sono insoddisfatte, perché non hanno toccato, non hanno trovato quello di cui hanno bisogno.

Emma: Se queste persone si rivolgessero a noi per chiedere un consiglio, come dovremmo comportarci?

Luigi: Il consiglio dovrebbe sempre essere partire da Dio, quindi se noi abbiamo presente la Parola di Dio per quella determinata creatura, per quella determinata situazione, allora dobbiamo dirla; perché l’aiuto verso il fratello: “Ama il prossimo tuo come tu stesso vorresti essere amata”. Quindi se noi sappiamo che l’aiuto di cui ha veramente bisogno il nostro fratello è la Parola di Dio, se noi abbiamo presente in noi questo, questo lo dobbiamo dare. Lo dobbiamo dare come aiutiamo un povero che chiede un pezzo di pane, o le cento lire. Dobbiamo essere molto attenti a non essere noi a parlare, e siamo sempre noi a parlare quando non teniamo presente Dio. Per cui se noi se noi non siamo in comunione con Dio, siamo noi che parliamo, capisci? Allora se in noi è il nostro io che parla, crea nell’altra creatura un disordine, una confusione, anziché recare quindi un aiuto; per questo che dico che è meglio non toccare, non parlare quando non si sa quello che si deve dire. Come quando un motore è guasto, non ci devi mettere le mani se non conosci il motore: è meglio che non lo tocchi, perché potresti guastare di più, lascia fare al meccanico. Ma la creatura, è molto più complicata di un motore, un’anima, è infinitamente più delicata: e noi, tutti quanti a metterci le mani. No, non metterci le mani, lascia parlare Dio perché è Dio che conosce la creatura, non sei tu; soltanto quando Dio ti farà conoscere la sua Parola, allora potrai dire e allora sarà un aiuto, ma allora è Dio che chiama a partecipare al suo Regno, è Dio che invita la creatura che ha già conosciuto qualcosa di Lui, a partecipare alla sua opera salvatrice. Invece se noi non teniamo presente Dio, senza accorgercene, implicitamente noi ci vantiamo; perché? “Perché io ho aiutato il tale”. Invece no! In tutto bisogna rendere grazie a Dio, ecco questo ritorno, questo recupero, questo ritorno continuo a Dio. Solo rendendo continuamente grazie a Dio, noi non ci esaltiamo, noi restiamo al nostro posto. Ma se noi non ritorniamo a Dio in tutte le cose, noi senza accorgercene, usciamo dal nostro posto, ci mettiamo sul piedistallo, allora ci pensa poi Dio a darci le lezioni, per cui ci dice: “Tu ti credi maestro? Scendi un po’ giù”. Allora a questo punto prendiamo le cantonate.

Pinuccia: Non mi è chiaro il passaggio tra “Il vento dello Spirito soffia dove vuole” e “Così è di chiunque è nato dallo Spirito”. Il passaggio sta in: “Non ti meravigliare se ti ho detto che bisogna nascere di nuovo?”

Luigi: Dati i due mondi, (abbiamo anche parlato dei vasi comunicanti) non ti devi meravigliare se un mondo influisce sull’altro, cioè se un mondo si fa sentire sull’altro, perché un mondo opera sull’altro, soltanto che il mondo inferiore non può intendere il mondo superiore, però il mondo inferiore riceve l’opera del mondo superiore.

Nel nostro mondo Dio si fa sentire, nella nostra vita Dio si fa sentire, Dio parla. Noi non capiamo, non dobbiamo pretendere di capire, perché soltanto in cielo si può capire, soltanto con Dio noi possiamo intendere le cose di Dio. Se anche siamo lontani da Dio, anche se fossimo nell’abisso più nero, Dio si fa sentire, anche nell’abisso più nero, Dio si fa sentire anche nell’inferno. Però l’inferno non può capire, però sente il soffio: ecco il soffio del vento.

Qui paragona il vento, no? Il vento si fa sentire, tu lo senti il vento, ma non sai donde viene, non sai donde va: così è tutta l’opera dello Spirito. Lo Spirito soffia, si fa sentire nel mondo inferiore. Tu avverti gli annunci, per cui tutti gli uomini sentono parlare di Dio, ma non sanno chi sia Dio, non comprendono, non possono capire, però sentono l’annuncio, ne sentono parlare. Allora l’annuncio è universale, il vento soffia per tutti, l’intelligenza però è solo per alcuni, per coloro che sentendo l’annuncio, il messaggio, vi aderiscono, credono, lo seguono fino ad arrivare ad intendere: ma l’intelligenza è data con Dio. L’intelligenza è un dono personale dato dal colloquio con Dio, perché Dio è la sorgente della luce e chi cerca presso Dio la luce, allora ottiene la luce. La luce si annuncia a tutti, quindi invita tutti: è la Sapienza che dalla cittadella manda tutti i suoi servitori su tutte le strade a chiamare. Quindi i servitori arrivano dappertutto, però nella cittadella arrivano soltanto pochi, arrivano coloro che aderiscono all’invito e vanno alla cittadella. Nella cittadella avranno la luce, la luce che è comunicazione personale; per cui tutti coloro che nascono da Dio a loro volta parlano le cose di Dio a tutti; però l’intelligenza è data soltanto a coloro che sentendo parlare, seguono e quindi poi dopo arrivano alla meta; logico no? Quindi qui il discorso continua; non ti meravigliare perché le cose superiori ti vengono annunciate; non ti devi meravigliare se le cose superiori ti vengono annunciate.

Pinuccia: Non ti meravigliare se devi nascere di nuovo, perché per capire il mondo superiore devi nascere di nuovo!

Luigi: Certo, ma non ti meravigliare se ti parlo di cose che ancora non capisci. Nicodemo dicendo: “Come è possibile tornare indietro?”, non si può tornare indietro. Ecco quindi provoca l’approfondimento da parte di Gesù: “Non ti meravigliare perché se ti trovi con un Essere superiore, non ti meravigliare se ti parla di argomenti superiori, è superiore a te!”: non ti meravigliare! Ma ascolta, aderisci, arriverai un giorno a capire. Quando avrai capito dirai: “Ah, era vero questo!”

È molto importante da parte della creatura il non rifiutare quello che non capisce; direi che l’anima del discepolo sta in questa apertura a ciò che non capisce, perché è la condizione per poter salire. Se noi siamo a piano terra, in pianura, non devo dire: “Quello che vedo io è assolutamente giusto e non credo a quello che mi dice colui che è a metà della montagna, o a colui che è in cima alla montagna!”. Lui ha ragione perché essendo in pianura ha una sua panoramica particolare, però questa panoramica muta man mano che sale. Lui deve restare aperto perché quello che è in cima gli dice: “Sali più su che da qui c'è una panoramica diversa!”; “Ah, no, perché è vero quello che vedo io dalla pianura”. Noi facciamo questo ragionamento qui: “Quello che vedo io è giusto!”, allora ci rifiutiamo di salire perché quello che vedo io è giusto. No, c'è qualche cosa di diverso, ma noi dobbiamo salire; spostandoci poi magari al fianco della montagna, gli diamo poi ragione.

Per questo Gesù quando prega il Padre, dice: “Affinché dove sono Io siano anche loro affinché vedano”: ecco, “dove sono Io siano anche loro affinché vedano”, bisogna essere nel luogo per vedere, per questo Gesù dice: “Salite in alto, allora poi vedrete”. Per salire in alto bisogna accogliere l’opera del Verbo, bisogna lasciarsi lavare i piedi; se noi rifiutiamo, “Non avrai parte con me!”. Per cui il Signore scende a servirci, si sottomette a noi per sollecitarci ad andare più su; quindi non siamo noi che andiamo più su, è Lui che discende.

Nel passo successivo troveremo: “Nessuno può salire se non Colui che discende”, quindi Dio scende al nostro livello, ma non per stare al nostro livello, ma per invitarci a salire più su. Se noi accogliamo il suo parlare, anche se non lo capiamo, accogliamo il suo parlare, noi salendo su vediamo la sua gloria e allora in quel momento siamo convinti: allora partecipiamo.

Pinuccia: Allora se voglio accettare questa rinascita dallo Spirito, devo aderire.

Luigi: Se voglio entrare in questa rinascita prima di tutto devo credere che ci sia questa rinascita perché Gesù ne ha parlato; mi è stata annunciata, quindi non devo fare il superbo e dire: “Ma cosa mi vieni a parlare di rinascita: quelle sono solo delle storie! È astrazione, io ho i miei affari”, se la rifiutiamo, non la accettiamo.

Pinuccia: Credere e poi desiderarla.

Luigi: Certo, perché credere è desiderare; credere non vuol dire: “Ma io credo!”

·         il credere è proprio il desiderare, il credere è cercare;

·         aderire vuol dire essere conseguente, quindi andare dietro a -.

·         Quindi se Gesù mi parla di questa rinascita, se io credo, mi preoccupo di questa rinascita e non sarò soddisfatto fintanto che non arriverò a questa rinascita.

Pinuccia: Questa rinascita dallo Spirito è qualcosa di più della rinascita dall’acqua che significa mettere Dio al centro; la rinascita dallo Spirito è qualcosa di più.

Luigi: E lo credo bene! La rinascita dallo Spirito è la rinascita dal Padre.

Pinuccia: Si rinasce dallo Spirito seguendo il Cristo.

Luigi: Certo, ma aderendo a questo viene fuori tutta la problematica:

“Cosa devo fare per entrare nella vita eterna?”, chiede il giovane ricco.

“Segui i comandamenti”, dice Gesù;

“Quelli li ho ascoltati, cosa mi manca ancora?”, dice il giovane ricco;

“Ti manca questo: Va, vendi quello che hai”, dice Gesù;

“E poi che cosa devo fare?”, ribatte il giovane;

“Vieni e seguimi!”.

Seguendo Lui, Lui conduce fino a -, per cui bisogna aderire e credere; credendo si cercano le condizioni; cercando le condizioni, Lui ci insegna quali sono le condizioni: accogliendo le condizioni, si arriva al discepolo che segue Gesù che lo conduce fino alla rivelazione del Padre. Con la rivelazione del Padre abbiamo la nascita, perché i figli di Dio nascono da Dio, per cui Gesù ci conduce fino alla sorgente e ci dice: “Adesso bevi direttamente, perché soltanto bevendo tu direttamente, la sorgente ti disseterà”. Ecco abbiamo la nascita interiore spirituale.

Pinuccia: Si arriva alla conclusione del discorso con Nicodemo. Riconosce la sua cecità, quindi assume l’atteggiamento giusto nei confronti di Gesù, solo che poi non si vede più niente di lui.

Luigi: No, si vede tutto! Ed è lì la meraviglia! La bellezza sta lì: che Nicodemo entra in scena parlando lui, ed esce di scena zitto: il che vuol dire che Gesù l’ha ricondotto al suo posto.

Il fatto di Nicodemo è costituito di due parti: la prima parte in cui c'è Nicodemo che parla e Gesù che risponde fino ad una certa conclusione; la conclusione è questa: Nicodemo che riconosce la sua cecità, la sua povertà, il suo niente. Poi inizia la seconda parte in cui c'è solo più Gesù che parla, ma Gesù è il Verbo, è il Verbo che parla e l’altro è tutto ascolto, perché evidentemente, se parla, c'è qualcuno che ascolta. Quindi la notte è divisa in due parti, e nella seconda parte è solo più il Verbo che parla, ma parla a chi? Nicodemo, è stato portato al silenzio; tace, ma ascolta; allora Gesù inizia il suo discorso, un lungo discorso di cui ci sono qui i punti principali. Se approfondiamo questo avvenimento, scopriamo che qui abbiamo l’interiorizzazione di quello che c'era nella pagina precedente: la purificazione del Tempio. Cioè quella purificazione con la quale Gesù ha eliminato dal cuore di Nicodemo tutti gli idoli e tutto quanto lo facevano parlare. Abbiamo detto che il Tempio è a posto quando tutto è silenzio, quando è la Vergine, che è tutta ascolto, perché Colui che parla è il Verbo di Dio.

Qui abbiamo l’opera interiorizzata di quell’avvenimento precedente della purificazione del Tempio; i fatti sono collegati. È un fatto molto importante quello che succede, perché Nicodemo esce di scena in quanto non parla più, ma è presente in quanto parla Gesù, la parola è di Gesù. Teniamo presente che Gesù è il Verbo, quindi è Colui che parla, nella seconda parte abbiamo il valore opposto: Dio parla e la creatura è silenziosa, è tutta silenzio: ed è proprio attraverso questo silenzio che Dio adesso può lavorare. Prima Dio non poteva lavorare, per cui il Cristo ha operato prima di arrivare alla creatura, per accecarla. Resa cieca finalmente, Gesù può incominciare a parlare. Prima ha dovuto discutere perché l’altro era maestro, l’altro credeva di sapere. Gesù ha dovuto riportarlo nell’ignoranza.

Emma: Cioè ha dovuto fargli toccare con mano che era nell’ignoranza.

Luigi: Eh già! Ha dovuto tirarlo giù dal piedistallo. Infatti gli dice: “Tu sei maestro in Israele e ignori queste cose?”. Quali cose? Ma queste cose sono proprie del maestro, cioè quello che l’allievo deve ascoltare le cose che non capisce per arrivare a capire!

Proprio tu che sei maestro non capisci questo?”. Ecco l’argomento terra! Abbiamo detto che l’argomento terra è caratterizzato da questo: tutto il mondo dipende da noi. L’argomento cielo invece è il mondo che non dipende più da noi. Se noi non crediamo, quindi non siamo giusti, non siamo fedeli alle cose della terra, non arriveremo certamente a riconoscere o ad essere illuminati nelle cose del cielo, quindi “Se non credete quando vi parlo delle cose della terra (ecco la conclusione), come potrete credere quando vi parlerò delle cose del cielo, delle cose che vi superano?”.

E allora ritorniamo a quell’argomento della fedeltà nel poco, cioè chi non è capace di essere fedele nel poco, non potrà certamente essere fedele nel molto, che è un po’ il rovesciamento della nostra mentalità, perché noi generalmente riteniamo che l’essere fedele nel poco conta poco, mentre invece è importante non mancare nelle cose grandi. Quindi se noi non siamo fedeli a Dio sulla terra e quindi non riconosciamo nelle cose del nostro mondo la giustizia di Dio e quindi non diamo a Dio il primo posto, a molto maggior ragione non arriveremo a dare il primo posto a Dio nelle cose dello Spirito, nelle cose dell’anima, nelle cose interiori, nei nostri pensieri. Dio discende sulla nostra terra, nei nostri argomenti per presentarci quella giustizia ( per esempio il credere anche a quello cose che non capisco) alla quale noi siamo tenuti ad aderire per arrivare poi a capire le cose del cielo, le cose che ci superano, per cui “chi si fiderà a dare a voi il molto, se voi non siete fedeli, non siete giusti nelle cose altrui?”. È tutta la nostra terra, tutto il nostro mondo è una cosa altrui, tutto quello che noi abbiamo non è nostro, e questo lo sappiamo! Questa terra evidentemente non siamo noi che l’abbiamo fatta, quindi non è nostra. Ora, se nelle cose che non sono nostre, ed è evidente che non sono nostre, noi non siamo fedeli, quindi non rispettiamo la verità di Dio, chi si fiderà a dare a noi il nostro, cioè Dio stesso, poiché noi siamo fatti per Dio? La cosa importante è questa fedeltà nel poco sulla quale Gesù insiste molto come condizione per aprire la nostra mente, la nostra anima all'intelligenza delle cose superiori. Noi molte volte ci facciamo i problemi di fedeltà a dei grandi disegni e non ci accorgiamo che là dove effettivamente abbiamo del tempo disponibile, ad esempio, noi siamo molto fedeli. Per cui magari noi invochiamo ad esempio molto tempo a disposizione per le cose dello Spirito, poi se abbiamo una giornata a disposizione la sprechiamo! Ora nella giornata posso avere a disposizione anche solo cinque minuti. Ora, se effettivamente mi sta a cuore, Dio le cose dello Spirito, io non spreco i cinque minuti, (se nelle ventiquattr’ore ho soltanto cinque minuti), ma se io in quei cinque minuti lì sono infedele, certamente Dio non mi darà le ventiquattr’ore a disposizione per pensare a Lui, perché quando ho avuto i cinque minuti a disposizione per pensare a Lui io ho fatto ben altro! Allora ho testimoniato che a me, quello che sta veramente a cuore è altro. Questo perché ognuno di noi, anche se è molto occupato, ha molto lavoro o altro, se veramente ha qualcosa che gli sta a cuore, nei momenti di ritaglio, corre dal suo amore, dal suo interesse principale.

Eligio: Come possiamo avere il giusto discernimento per accogliere come il vero Spirito di Dio il vento che soffia?

Luigi: Ma nel caso ad esempio del vento, il vento soffia quindi si fa sentire.

Eligio: Però posso anche essere immerso in una bufera e non sentire il vento.

Luigi: No, in quel caso lì ti ricordi che avevamo parlato che ci sono diversi tipi di vento, no? C'è la brezza che ti accarezza, che è sollievo, c'è il vento forte che fa rumore, ma poi c'è l’uragano, c'è il tifone e c'è il vento che porta la morte. Quindi, come mai ci sono questi diversi gradi? Appunto perché noi possiamo essere tanto trasformati; cioè se il nostro rumore è tanto grande da aver bisogno che si scateni l'uragano perché altrimenti la brezza non l’avvertiamo. Ora, se il nostro cuore è in pace, per Elia è stata sufficiente, per sentire la presenza di Dio la brezza, la brezza della sera; voleva sentire il passaggio di Dio e Dio si è fatto sentire: non nel fuoco, non nella tempesta, ma nella brezza, nel venticello. Se il nostro animo è in silenzio, basta la brezza, il soffio per avvertirci della presenza di Dio. Se il nostro animo è molto pieno di rumore, c'è bisogno di un vento molto impetuoso, addirittura ad un certo momento c'è bisogno della morte per scuoterci. Il vento si fa sentire ai diversi livelli in cui noi ci troviamo; ora, la capacità di Dio sta lì, cioè Dio si fa sentire anche nei nostri pensieri perversi, dialoga con noi, è presente a noi, più presente, dice il proverbio arabo, più della tua stessa gola, è più presente dei tuoi stessi pensieri. Che cosa è più intimo di noi di quello che desideriamo, delle nostre passioni, dei nostri interessi? Dio è più intimo ancora, perché Lui entra nei tuoi stessi interessi, dialoga con te perché li mette in discussione, ti fa sentire, ti fa toccare con mano il tuo egoismo, il tuo orgoglio, la tua ambizione e quindi il tuo errore. Nella tua coscienza capisce: “Qui c'è il mio io, il mio orgoglio”. Allora vuol dire che c'è un Altro che entra a porte chiuse in questo nostro mondo. È il soffio del vento. Noi non lo capiamo però avvertiamo il rimorso, avvertiamo il nostro egoismo, la nostra ambizione, questa l’avvertiamo, quindi ecco il soffio. La caratteristica dei doni di Dio o delle parole di Dio sono queste: che portano in se stesse il sigillo; cioè se Dio parla, Dio parla di Sé, ci propone Sé, non ho il dubbio.

Eligio: Sì, però il criterio di discernimento perché noi ci troviamo di fronte a molti venti, a molti soffi, quindi ci vuole un criterio per valutare.

Luigi: Il criterio è questo: che tutti gli altri venti del mondo hanno per centro il pensiero del nostro io, il vento di Dio ha per centro Dio.

Eligio: In veste di educatore, di genitore, piuttosto di dare un consiglio incerto della cui validità noi non abbiamo la certezza, è molto meglio tacere.

Luigi: Certo, anche perché nel bambino, nell’allievo o in chi ti chiede consiglio, è Dio. È Dio che mi presenta il mio bambino con quell’interrogativo, con quella domanda. E in quanto è Dio, mi propone un raccoglimento, cioè è opera di Dio. Perché tutto quello che si presenta a noi, che non dipende da noi, è opera di Dio. Quindi se Dio mi chiede o mi fa chiedere un consiglio, e quindi è opera sua, di una cosa che io non so, mi invita a salire a Lui, mi invita ad attingere a quella Luce, a quel Pane e mi dice: “Svegliati, cosa stai facendo lì? Stai dormendo?” Quindi anche la famiglia è tutto un dono di Dio, tutte quelle creature che dipendono da noi è Dio che ce le dà perché magari noi personalmente non ci muoviamo e allora Dio ci mette tante creature attorno a noi per sollecitarci a cercare, a correre alla Sorgente per attingere un Acqua che io non ho; e magari quelle creature muoiono di sete e io le vedo morire di sete. E quelle creature che muoiono di sete, non fanno altro che sollecitarmi, ed è Dio che mi sollecita, a correre alla Sorgente a prendere quell’Acqua, per non lasciarli morire di sete. Per cui ad un certo momento, “Se non ti muovi per pietà della tua anima, muoviti per pietà delle creature che dipendono da te”; ma è Dio che fa questo”; ma è Dio che fa questo, è grazia di Dio appunto per non lasciar perdere la nostra anima. Per cui quando noi non ci muoviamo personalmente, Dio ci mette attorno tutto un mondo, legato a noi; ecco perché Dio cerca di legarci con delle creature che ci stanno a cuore, a cui noi leghiamo il nostro io, e poi attraverso quelle creature alle quali in un primo tempo abbiamo legato il nostro io, Lui opera la salvezza nostra. Per cui si dice che le madri saranno salvate dai figli.

Eligio: Apparentemente il compito sembra superiore alle nostre forze.

Luigi: Noi qui facciamo un annuncio, una teoria e poi all’atto pratico richiede un lavoro enorme. Perché all’atto pratico uno si trova con il proprio figlio che ti pone un problema ed io posso anche rispondergli con una battuta che lo rovina. Invece se credo che è Dio che mi sta parlando, anche se questo bambino mi dice una cosa sconcia, è Dio che me la manda a dire, io devo prendere la lezione dalle mani di Dio. Allora, prendendo la lezione dalle mani di Dio, se non ho la luce in me, questo mi sollecita al raccoglimento, al silenzio, a sprofondarmi nella ricerca di Dio perché è Dio che mi chiama. E se c'è una cosa sicura è proprio questa: Dio mi chiama attraverso le creature che dipendono da me ad avvicinarmi a Lui.

Eligio: Sto pensando con quanta facilità molte volte con una battuta ho eluso un segno…

Luigi: Sì, certo infatti a livello di studi psicologici si biasimano quelle persone, quei genitori che rispondono solo per togliersi il fastidio e ad un perché posto dal figlio, rispondono con una battuta. Questo è evidente in campo umano pensa un po’ nel campo dello Spirito. Ora, siccome noi dovremmo sempre tenere presente Dio, tutti i problemi che ci suscitano attorno, noi dovremmo sempre vedere la mano di Dio. Proprio ieri parlavo con una persona; dice di aver incontrato colui che gli aveva venduto in passato della merce rubata e che aveva quindi passato dei guai e gli disse: “Guarda, io non ti posso giudicare, quello che è stato è una lezione che dobbiamo prendere dalle mani di Dio; l’importante è che tu da adesso in avanti non lo faccia più. Quindi io non ti giudico, non ti posso giudicare”. Ora questa è una cosa buona, noi non possiamo giudicare perché non abbiamo gli elementi, onestamente noi dobbiamo dire: “L’importante è che da adesso in avanti non ti comporti più in questo modo”, perché quello che è avvenuto, è avvenuto proprio per darci uno scossone, per orientarci. Il problema è che tu, da adesso in avanti…….. e poi dopo recupererai tutto. Ecco l’azione di recupero: il recupero viene in avanti, non importa quello che è stato. “Beata colpa”, tutto quello che è stato dietro di noi, nel passato, non è stato altro che una predella di lancio per muoverci verso Dio, per farci recuperare il passato. Cina ha qualcosa da dire? Non le è rimasto niente?

Cina: No, non è che non mi è rimasto niente.

Luigi: Signora De Bortoli?

Emma: Pensavo a quello che si è detto di non rispondere ai figli con una battuta.

Luigi: Non si deve rispondere ai figli con una battuta.

Emma: Appunto, se però accade la coscienza ci rimorde: Dio ci fa toccare con mano che abbiamo sbagliato.

Luigi: Ah, certo. Quando vogliamo fare i maestri Dio non ci conferma. Non passa tanto tempo che Dio ci dirà: “Guarda, tu che vuoi essere maestro, guarda come sei!”, perché le lezioni ci arrivano. È lì che si vedono i venti che soffiano. Noi ci mettiamo sul piedistallo, ma dopo cinque minuti cadiamo. L’importante è accettare, è essere attenti a Dio perché in tutto c'è la mano di Dio. Se c'è la mano di Dio quello ci mette in movimento; l’importante è non pretendere di mettere le mani nel motore quando non sappiamo cosa fare. È una questione di umiltà: che è molto utile a me ed è anche utile agli altri.

Eligio: A volte rappresenta il crollo di tutta una costruzione, di tutta una morale.

Luigi: Posso anche pensare che: “Io prima mi sono fatto una bella costruzione ed ero schiavo, ero in una prigione. Ora che è crollato tutto, incomincio a respirare, e quindi sperimento la libertà”. È stata un’umiliazione, però uno incomincia a capire che Dio opera molto bene: è una meraviglia se noi Lo lasciamo lavorare e Lo accogliamo, è Lui che ci fa non siamo mica noi che dobbiamo fare. L’importante è che noi ci manteniamo aperti ad accettare e poi Lui fa, Lui libera. Fossimo anche nella fortezza peggiore, impedita da ogni evasione, Lui riesce a tirarci fuori; l’importante è che noi seguiamo i suoi annunci. Lui manda gli angeli a tagliare le catene, a liberarci, a portarci fuori e poi ci dice: “Adesso che sei libero, non rientrare più in prigione”. L’importante è lasciarlo fare, l’importante è essere attenti e ricordarci che in tutto c'è Lui, che non sono gli uomini, che non sono io, ma è Lui. Ed in tutto rendere gloria a Dio perché altrimenti salta subito fuori il demonietto: “Io, io…” ed è finita. In ogni cosa bisogna rendere gloria a Dio: rendendo gloria a Lui, noi restiamo al nostro posto, sul piano dell’umiltà e scatta la gioia, allora si glorifica, si loda Dio e si resta libera. Invece quando si mette il nostro io, senza accorgercene, ci vantiamo, e ci leghiamo in catene. Ines?

Ines: C'è tanto da imparare.

Luigi: Abbiamo tutti da imparare

Ines: Bisogna imparare a restare al nostro posto, è difficile.

Luigi: Ma noi non siamo capaci a restare al nostro posto, per farlo dobbiamo ricordarci di Dio: è Dio che ci fa stare al nostro posto. Non dobbiamo dire: “Io devo imparare a stare al mio posto!”, quando lo dico sono già fuori posto. Dobbiamo sempre ricordarci di Dio, il Pensiero di Dio ci fa stare al nostro posto, ed è logico, è Lui. È Lui il principio dell’ordine, il principio dell’universo, il Creatore di tutto. È Lui il principio dell’ordine, il che vuol dire che se noi dimentichiamo Lui il disordine viene fuori, immediatamente si scatena tutto un altro vento che ci porta via.

Ines: Rendo gloria al Signore quando prendo tutto dalle sue mani.

Luigi: Bisogna distinguere sempre quello che dipende da noi da quello che non dipende da noi. Quello che non dipende da noi dobbiamo accoglierlo tutto dalle mani di Dio. Quello che dipende da noi bisogna stare molto attenti a farlo dipendere solo da Dio. Cioè se ho la possibilità di pensare, di agire, di dire qualche cosa, non devo mai essere autonomo. Tutto quello che non dipende da me, per cui io sono in silenzio e mi arriva, mi arriva da Dio. Allora lì debbo preoccuparmi di accoglierlo dalle mani di Dio, non attribuirlo alla creatura: è Dio che mi manda questo, è Dio che mi fa sentire quello. Allora anche se non capisco, lo accolgo e allora rendo gloria. Poi sapendo che viene da Dio, possibilmente cercare di capire la lezione che Dio mi vuol dare. Invece per quanto riguarda quello che dipende da me, sempre far attenzione che venga da Dio, sempre da Dio, piuttosto non dire niente, non muovere, non parlare. Perché come noi parliamo autonomamente, è immediato, si creano i muri, si creano le distanze, Dio non lo sentiamo più ed è finita. Ma siamo noi, sono le nostre opere che non derivano da Dio, quindi si crea il muro. Poi Dio interverrà per abbattere il muro, per eliminare le distanze, abbiamo l’azione di recupero da parte di Dio, non che Lui ci abbandoni perché noi abbiamo eretto un muro, Lui opera per recuperarci fino all’ultimo, fino alla sua morte, però se noi lo sappiamo, possiamo anche evitare di erigere i muri, di metterci in prigione. Infatti Gesù dice: “Il Padre non mi lascia mai solo perché Io faccio sempre ciò che piace a Lui”. Quindi se noi facciamo sempre ciò che piace a Dio, e quindi non siamo autonomi, siamo sempre con Dio, perché Dio è con noi. Nella vita dello Spirito, noi sappiamo che Dio è presente dappertutto quindi Dio è sempre presente. Ma il fatto che Dio sia sempre presente, non vuol dire che noi siamo sempre presenti a Lui: Lui è con noi ma noi non siamo con Lui. Ma come mai? Guarda, nel mondo materiale se una cosa è vicina a me, anch’io sono vicina a quella cosa, la distanza che mi separa una cosa dall’altra, è la stessa identica che separa una cosa dall’altra. Nel mondo dello Spirito no; nel mondo dello Spirito, Dio è vicinissimo alla creatura, la creatura non è vicinissima a Dio, non basta! Questo lo esperimentiamo già a livello di persone, la persona non è più sul piano materiale. Infatti io sono vicino ad una persona ma non vuol dire che quella persona sia vicina a me. Perché quello che fa vicine le persone è lo spirito, è il pensiero: bisogna avere identità di pensiero, identità di desiderio per essere vicini, non basta essere vicini fisicamente; ecco siamo già su un altro piano, a molta maggior ragione con Dio. Dio certamente è vicinissimo a noi, in qualunque situazione in cui ci troviamo, ma se le nostre azioni, se le nostre opere, se quello che è partito da noi non è secondo Dio, noi siamo lontani da Lui: abbiamo eretto un muro, una divisione, allora siamo lontani.

Essere lontani per noi vuol dire che Dio non ci attrae più, Dio è una cosa astratta e quello che ci attrae è l’immediato: ma perché mi attrae molto il mondo e mi attrae poco Dio? Perché nel mondo ci sono io, c'è la mia opera; senza rendermene conto sono attratto da ciò che ho fatto. In questo caso adoro l’opera delle mie mani. Io non me ne accorgo ma le creature mi attraggono più di Dio. No, no, non ti attrarrebbero più di Dio le creature se tu fossi nell’ordine, è perché c'è la componente del tuo io, il tuo io ha prodotto qualche cosa per cui tu sei più attratto dai tuoi prodotti di quello che ti attrae Dio: siamo figli delle nostre opere. E questo ci fa sentire lontani da Dio, ci allontana da Dio. Per cui Dio è vicinissimo e invece a noi sembra lontanissimo, Lo vediamo come una cosa astratta, nelle nubi, mentre noi siamo molto pratici, ma tutto questo è un effetto del disordine.

Pinuccia: Il criterio che Nicodemo aveva usato per riconoscere che Gesù veniva da Dio era sbagliato, perché aveva visto lo straordinario. Il criterio esatto invece è la ricerca di Dio.

Luigi: È il Pensiero di Dio perché tutto viene da Dio, perché certamente non siamo noi i creatori, quindi, non essendo io il Creatore, non devo essere io a parlare. Prima di parlare devo ascoltare. La creatura si forma ascoltando. Estendendo questo criterio su tutto, significa che ascoltare vuol dire accogliere, aderire a tutte le cose, perché le cose ci vengono da un Altro. Nel nostro mondo non succede niente che non sia voluto da Dio, niente, “Nemmeno un capello del vostro capo cade se Dio non lo vuole” dice Gesù, perché tutto è opera di Dio. Dio chi è? Dio è Colui in cui c'è la ragione di tutto. Se Dio esiste, Dio è Colui che opera in tutto; quindi anche se ci riesce difficile e non capiamo, tutto ha la sua ragione in Dio. Allora se tutto ha ragione in Dio io non debbo prendere a calci niente. Siamo nel criterio della casa, siamo in casa d’altri, nascendo in questo mondo noi siamo in casa d’altri, non dobbiamo permetterci di prendere a calci nessun mobile. Noi invece, senza accorgerci, in casa d’altri, roviniamo tutto, prendiamo a calci tutto, sporchiamo perché quello non ci piace ma ad un certo momento arriva Dio e ti dice: “Ma non sai che il padrone sono Io?”.

Pinuccia: Quindi in questo caso Nicodemo avrebbe dovuto accogliere Gesù indipendentemente dai miracoli; il criterio per riconoscerlo come Figlio di Dio è la Verità delle sue parole.

Luigi: Per riconoscere Gesù come il Figlio di Dio, bisogna arrivare a Pentecoste, perché “In quel giorno voi conoscerete chi sono Io”. In quel giorno, prima no! Infatti Gesù non pretende di essere riconosciuto Figlio di Dio, anzi Lui si definisce “Figlio dell’uomo”, che in termine ebraico vuol dire “Io sono uno qualunque”. Lui non pretende, non vuole che noi lo riconosciamo: “Ah, tu sei il Figlio di Dio!”, no! perché Lui ci parla di Dio. Quando poi dopo arriveremo a Dio, capiremo chi è che ci parlava di Dio. Infatti Gesù dice: “Conoscerete chi sono, adesso non potete. In quel giorno capirete!” quando parla ai suoi discepoli del giorno della Pentecoste. E in quel giorno veramente incomincerete a pregare perché finora non avete pregato niente, ed era tre anni che erano con Lui. Questo ci fa capire che noi possiamo essere tanto con Lui: “Avete mangiato al mio tavolo, avete sentito predicare…” e possiamo essere molto lontani da Lui. Ma “In quel giorno”… ecco! Se noi rispettiamo, ecco il battesimo di acqua, la Verità di Dio e non ci mettiamo noi al centro, basta questo, questa giustizia qui per accogliere tutto da Dio, accogliendo Dio, Dio fa la strada, è Lui che fa la strada; noi non capiamo, non ci rendiamo conto, ma è Lui che fa la strada, ci pulisce, ci purifica, ecco. E quando poi dopo arriveremo, allora capiremo, sulla vetta: “Ah, ma guarda, tutta quella strada, era tutta opera Sua, che già da lontano…”, ecco allora capiremo tutta la bontà, l’amore, la misericordia. Adesso non capiamo ancora e tutte le volte che sentiamo parlare dell’amore di Dio diciamo: “Ma dov’è tutto questo amore?” quando magari succede un delitto e invece quando saremo sulla vetta diremo: “Ah, ma guarda! Io ero immerso laggiù in fondo, in fondo, e Dio è sceso fin laggiù …” e a quel punto capiremo e non cesseremo più di lodare. È quello che poi ci lega immensamente a Dio, perché conosceremo la grandezza, data la nostra povertà, l’immensa pazienza che Lui ha avuto nello scendere al mio livello e nel seguirmi passo, passo. Lo vedremo poi con la Samaritana, Lui passo, passo sta agli argomenti della donna e si adegua, ma non sta lì: scende e poi va su, scende e poi va su. E tu pensa che in questa scena qui siamo ognuno di noi perché se noi credessimo di essere diversi da Nicodemo, o della Samaritana, beato sogno! Un giorno capiremo l’amore di questo immenso Essere verso di noi e proprio scoprendo questo immenso amore, questa immensa pazienza, che certamente non ci salterà più in testa di essere infedeli. Angelo, non hai detto niente.

Angelo: Ho ascoltato.

Pinuccia: Ha fatto come Nicodemo nella seconda parte.

Luigi: Non hai niente da dirci?

Angelo: No, anzi sono perfettamente convinto che, specialmente io, pecchiamo di superficialità e consideriamo una stupidaggine il fatto di dare o non dare una risposta ad una creatura mentre in realtà stiamo rispondendo a Dio.

Luigi: Arrivando laggiù, Dio non ha nessuna difficoltà a dirci: “Ma guarda che in quella sciocchezza di quel giorno, c'ero Io che ti proponevo la tale cosa!”, e io non ho capito niente. “Ero Io, sono sempre Io!” e noi faremo proprio quella figuraccia lì di fronte a Lui: “e io non ho mai capito niente!”.

Angelo: Ho notato tante volte che quando i bambini fanno delle domande, non sono per loro, a loro la risposta non interessa per cui la domanda è solo per noi.

Luigi: Ah, certamente, noi siamo interrogati personalmente da Dio. Se noi tenessimo presente Dio, anche le cose più stupide, anche le canzonette più stupide, ci sono delle grandi lezioni, profondissime d’amore, delle rivelazioni di Dio e noi la giudichiamo una cosa stupida ma perché la stupidità ce l’abbiamo dentro di noi.

Se noi avessimo sempre presente Dio, Dio ci istruisce attraverso tutte le cose, dalle cose minime alle cose grandissime perché noi siamo nell’aula di Dio, noi non ce ne rendiamo mica conto, ma questo universo qui è una scuola e noi siamo nell’aula di Dio. Chi tiene le lezioni è Dio: nel mondo materiale il professore va a scuola, tiene le lezioni nell’aula e poi esce; mentre Dio tiene le sue lezioni continuamente in tutte le cose e personalmente: è quella la meraviglia. Nell’aula il professore tiene la lezione con un comune denominatore per tutti quanti perché li considera come quantità mentre Dio ci considera individualmente, quindi la lezione è individuale. Non possiamo mica scappare da quel fatto lì. Dio mi dirà: “È stato personalmente per te che io ho fatto commettere, ho fatto succedere quell'avvenimento, quella lezione, quel delitto, quella guerra, quel fatto lì: personalmente per te” e tu non potrai dire che non è vero, perché vorrei proprio vederti a discutere con Signore e dirgli che non è vero! Dovremo ammettere: “Signore, io non avevo capito niente!”. Per questo dice la Bibbia che davanti a Lui piangeranno tutte le genti. Se noi teniamo presente questo atto finale, sapendo che Lui ci dirà: “Ero Io, ero Io…” che noi adesso già ….

Ines: Lui vuole che noi piangiamo…

Luigi: No, Lui non vuole che noi piangiamo, Lo fa per invitarci a stare attenti, a non prendere le cantonate. Capisci?


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“In verità, in verità io ve lo dico: Noi parliamo di ciò che sappiamo e rendiamo testimonianza di quel che abbiamo visto e voi non accettate la nostra testimonianza. “Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Gv 3 Vs 11/12 Secondo tema.


Titolo: Il parlare delle cose della terra.


Argomenti: La notte dell’uomo – L’illusorio sapere dell’uomo – L’anima e l’ambiente – La pazienza del raccogliere – La soddisfazione intelletuale – Il cieco di Gerico – La Luce e la cecità – La Luce è dono di Dio – Il silenzio – Cose della terra e cose del cielo – Le parabole – I segni della Verità – La trascendenza dei segni -


30/Gennaio/1977


 

 

Pensieri tratti dalla conversazione:

Eligio: Che significato può avere per noi personalmente la venuta di Nicodemo di notte presso Gesù; la notte rappresenta un senso di colpa, di vergogna o il non ammettere quello che Gesù era realmente; per quale ragione?

Luigi: Avevamo parlato della notte di Nicodemo e avevamo detto che la notte di Nicodemo riflette la nostra notte, la notte in cui ogni uomo si trova. Perché non penso che Nicodemo sia andato a trovare Gesù di notte con le motivazioni che dicevi tu; mi sembra un’interpretazione un po’ maligna il voler attribuirgli quell’intenzione. Può essere invece che sia andato a trovare Gesù di notte per averlo più disponibile. Gesù di giorno era pressato dalla folla, quindi è possibile che Nicodemo avesse un problema più esteso, voleva un colloquio lungo con il maestro; quindi per averlo più disponibile per sé, penso sia andato di notte, perché era l'ora più propizia per parlargli, per fare un colloquio da solo e più esteso. Però anche questa notte è sintomatica, perché l'ambiente che sta attorno a noi è sempre un segno dell’animo che portiamo dentro di noi, perché attorno a noi Gesù scrive quello che abbiamo dentro, sono lezioni di Dio. Dunque, in quanto arriva di notte, è la notte di ogni uomo attraverso la quale si incontra con Cristo. Ed è la notte che gli fa dire: “Noi sappiamo”; lui arriva credendo di vedere: questa è la sua notte. Ed è la notte di ognuno di noi, quando crediamo di conoscere il Cristo per motivi terreni, per motivi umani e non-. Perché soltanto dal Padre noi conosceremo veramente il Figlio. Ciò vuol dire che tutte le conoscenze che noi crediamo di avere di Cristo, che non vengono a noi da Dio, ma per motivi terreni (ad esempio: “Tu fai cose meravigliose quindi noi riteniamo che tu venga da Dio perché fai cose meravigliose che nessun altro può fare”), sono "la sua notte". Ritenere come sigillo un fatto che consideriamo come metro di misura nostro è essere nella notte, significata dalla notte di Nicodemo. E fintanto che noi abbiamo un metro di misura nostro siamo nella nostra notte.

Eligio: Un metro nostro ritenuto come verità…

Luigi: Sì, ritenuto come verità, come metro di giudizio. Per cui Gesù risponde: “No guarda, fintanto che uno non rinasce da Dio non può vedere!”. Nicodemo è arrivato dicendo: “Noi sappiamo”, cioè “Noi vediamo”, ed è la sua notte. Lui era nella notte e credeva di essere nel giorno.

Ora, fintanto che noi non rinasciamo da Dio, e quindi non incominciamo a vedere le cose dal punto di vista di Dio, da Dio, quello che noi chiamiamo giorno è notte e quello che noi chiamiamo notte invece è giorno. Perché avviene un capovolgimento; è il capovolgimento annunciato da Gesù nel discorso della montagna: “Beati i poveri, beati coloro che piangono; perché a costoro il Regno di Dio apre le porte, mentre guai a tutti quegli altri che hanno la loro soddisfazione…”.

Quando uno conosce secondo un metro terreno ha una certa soddisfazione; perché la soddisfazione non è soltanto nel denaro, non è soltanto nel benessere, c'è anche la soddisfazione intellettuale. Qui abbiamo un uomo che è nella notte e che scambia per giorno: è la notte di Nicodemo. Notte nella quale noi avviciniamo il Cristo, crediamo di avvicinare il Cristo, e invece Cristo ci deve ancora riportare.

Infatti Nicodemo inizia, entra in scena dicendo: “Noi sappiamo” ed esce di scena dicendo: “Come può succedere questo?”, confessando quindi la sua notte. Gesù attraverso la conversazione l'ha ripiombato, l'ha riportato nella notte. Difatti Gesù dice: “Io sono venuto per rendere ciechi coloro che vedono”. Ora, direi che Nicodemo cieco è un passo più avanti del Nicodemo che vede o che crede di vedere. Ecco, con Gesù, Nicodemo ha fatto un passo avanti; infatti è diventato ascolto. Da quando dice: “Com’è possibile?”, abbiamo solo più Gesù che parla, ma in quanto parla c'è qualcuno in silenzio che ascolta: Nicodemo è stato riportato alla sua dimensione.

Eligio: Non ricordavo questo significato della venuta di notte da parte di Nicodemo. Tanto più che era chiara la vocazione degli apostoli avvenuta alla luce del sole da parte di Cristo.

Luigi: Sì, ma attraverso tanti episodi il Signore completa il quadro; ci fa capire che quello che noi crediamo giorno, invece è notte. Così come le parabole si integrano una con l'altra e a poco per volta completano il quadro, così anche tutti i diversi incontri (come con gli apostoli), poco per volta, una pennellata qui, una pennellata qua e il quadro resta completo. Per questo è necessaria la pazienza, è necessaria la meditazione; il mosaico si compone poco per volta, una pietruzza qui e una pietruzza là, ad un certo momento il resta completo. Ci vuole la pazienza di colui che raccoglie; perché bisogna raccogliere tutti i dati che Dio ci dà, le parole che Lui dice, e non soltanto fermarci a quelle che ci piacciono, ma va raccolto tutto. Raccogliendo tutto, poco per volta, in noi si forma la conoscenza, si forma il Regno di Dio, si forma la Verità.

Eligio: Quindi qui Gesù ci vuole far capire che quando presumiamo di sapere qualcosa di Dio o della Verità, autonomamente, noi siamo nella notte.

Luigi: Noi dobbiamo avvicinarci a Gesù non sapendo anziché sapendo, perché Lui è la luce; quindi la posizione vera dell’uomo che si avvicina in modo autentico a Gesù è quella del cieco di Gerico: “Signore fa che io veda. Infatti Gesù gli chiede: “Cosa vuoi da me?” e lui gli risponde: “Che io veda”. Quindi noi dobbiamo cercare Gesù perché siamo ciechi, perché siamo sbandati, perché siamo peccatori, perché siamo in balia dei venti del mondo. Come mai tutto questo? Perché non vediamo.

L'uomo quando è cieco brancola nelle tenebre. Ecco, la nostra vera situazione, la nostra vera dimensione è questa: stiamo brancolando nelle tenebre. Però cosa dobbiamo chiedere a Gesù? Signore, fa che io veda! Perché vedendo in noi viene la sicurezza, viene la liberazione. La liberazione è effetto del vedere. “Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi”.

Ma se noi partiamo dicendo: “io vedo”, Lui ci risponde: “Io non ho niente da darti”. Perché Lui è venuto per darci la luce. E se noi abbiamo già la nostra luce, Lui ci dice: “Io non sono venuto per i sani, ma sono venuto per i malati. Non sono venuto per i giusti, sono venuto per i peccatori”. Quindi qual è la posizione giusta dell’uomo peccatore? “Signore, dammi una mano”.

Lui non è venuto per giudicare. Non si salva l'uomo dicendogli: “Sei un delinquente”; si salva l'uomo, direi quasi, non guardando se è un delinquente o se non è un delinquente, ma dandogli una mano per tirarsi su. Gesù è venuto a dare una mano; ma la creatura deve volerla. La posizione autentica della creatura che affoga è la richiesta di aiuto: “Dammi una mano!”.

Emma: A me sembra già di incominciare a capire qualcosa e questo mi fa piacere…

Luigi: Certo, più uno si avvicina a Gesù e più Gesù trasferisce in noi la sua conoscenza; abbiamo fatto l'esempio dei vasi comunicanti: più noi ci avviciniamo a Lui, che è la Sorgente di luce, e più Lui trasferisce la sua luce nella nostra anima.

Quel cieco nato, dopo aver incontrato Gesù, rispondendo a tutte le proteste dei farisei dice: “Ma io so una cosa sola; che prima non vedevo e adesso ci vedo”. Cioè, l'anima che ha incontrato Gesù, sa una cosa sola: prima era cieca, stava brancolando nelle tenebre e adesso incomincia a vedere qualcosa. Però è sempre dono di Dio; non dice mai: “io vedo”, perché se dall'alto non gli viene la luce sarebbe sempre brancolante nelle tenebre. Lui è luce, infatti dice: “Io sono luce del mondo; chi cammina dietro di me non conosce le tenebre”. “Dietro”, quindi la luce viene dall’Alto, ed è sempre dono suo. Ora, la condizione per ricevere la Parola è quella del silenzio (come la condizione per ascoltare è il silenzio); ecco vedi come Gesù ha portato al silenzio Nicodemo? Ad un certo momento esce di scena e non si sente più.

Così la condizione per ricevere la luce è la cecità, è riconoscerci ciechi; come la condizione per ottenere il perdono è quella di riconoscerci peccatori; perché se uno si ritiene giusto non ha bisogno di essere perdonato.

La condizione per ottenere la salvezza è riconoscerci nel pericolo, nel rischio di perderci. Questa è la condizione.

Eligio: Comunque Gesù è molto duro con Nicodemo, non ti pare? Alla fine sembra più una requisitoria che un'esortazione: “Se quando vi parlo di cose della terra non credete, come mi crederete quando vi parlerò delle cose del cielo?”. Quando, dove e di quali argomenti ha trattato di cose della terra Gesù?

Luigi: Ma non è che Gesù parla di cose della terra in quanto ci fa conoscere le cose della terra. Tutto il parlare di Gesù è un parlare delle cose della terra, tutto è parabola. Quando fa il discorso della montagna parla di cose della terra; il parlare le parabole sono cose della terra, gli avvenimenti, i miracoli sono cose della terra; il discorso che fa a Nicodemo: “Il vento soffia dove vuole e tu ne senti il rumore…” è un parlare di cose della terra. Non è che Gesù venga a spiegarci le cose della terra, ma ci parla di cose che noi esperimentiamo. Sono segni. Per cui abbiamo due tipi di parlare di Gesù. Lo dice anche nel Vangelo: “A tutti parlava in parabole poi ai suoi discepoli spiegava”. Al termine del Vangelo si San Giovanni abbiamo Gesù che dice: “Finora vi ho parlato in parabole, ma viene il giorno in cui non vi parlerò più in parabole ma vi farò apertamente vedere il Padre”. Quindi abbiamo il parlare in parabole, che è il parlare di cose della terra, di cose che noi capiamo, che possiamo esperimentare; possiamo cioè constatare quello che Lui dice. Perché la distinzione tra le cose del cielo e le cose della terra è questa: le cose del cielo sono le cose che noi non esperimentiamo mentre quelle della terra le esperimentiamo.

Eligio: “Vi parlo di cose della terra”, come segni?

Luigi: Ah, si certo, come segni, infatti il parlare in parabole è il parlare di cose della terra (il seminatore, ecc.); però Lui è sempre Spirito. Non è che Lui parli di cose della terra per spiegarci come avviene la crescita del grano. No, Lui in tutte le cose che opera infonde sempre lo Spirito, però parla per segni, perché noi intendiamo solo quel linguaggio. Gesù parla nel pensiero del nostro io, ma parla il suo Spirito. Fa in modo che a noi arrivi il segno; se noi non crediamo al segno, non potremo arrivare al significato. Quindi il parlare delle cose del cielo è rivelare il significato, e il significato presuppone credere ai segni che giungono a noi da Colui che parla.

Eligio: Anche se non è affatto necessario il passaggio attraverso i segni, no?

Luigi: È necessario, perché noi creature abbiamo bisogno dei segni per poter capire.

Eligio: Allora prima della venuta del Cristo? La conoscenza del Padre, l'entrata nel Regno di Dio?

Luigi: Il cielo era chiuso, era necessario il desiderio.

Eligio: Ah, è necessario?

Luigi: Il mondo dei segni è necessario; perché siccome noi nasciamo e cresciamo nel pensiero del nostro io, e siccome nel pensiero del nostro io giungono a noi solo i segni, attraverso i segni Dio opera per convincere noi a superare il pensiero del nostro io; per farci toccare con mano, ad esempio, che noi non siamo il Creatore, che noi non siamo Dio, che noi non siamo il centro.

Ora, siccome noi viviamo per la coscienza di noi stessi, riferendo sempre le cose al nostro io, in questo mondo che noi esperimentiamo, Dio significa a noi quello che senza di noi non si fa: il superamento di noi stessi.

Senza questo superamento noi non arriviamo a vedere le cose dal cielo, perché nel pensiero del nostro io noi non possiamo assolutamente conoscere la Verità. La Verità si conosce soltanto in Dio.

Se noi, nel pensiero del nostro io, conoscessimo la Verità saremmo Dio, questo è pacifico. Nel pensiero del mio io (in quanto le cose le rapporto a me, le tocco, le vedo) certamente quello che io tocco, quello che io vedo, quello che io constato, non è la Verità, ma è segno della Verità: è il vento che soffia, io ne odo il soffio ma non so donde venga né donde vada; viene dal cielo ma io non lo posso intendere.

Per intenderlo io devo passare attraverso il passaggio obbligato, che è il superamento del pensiero di me stesso. Per cui, nel momento in cui mi supero, mi applico a Dio. E mi applico a un Dio che non è più sperimentabile da me, proprio perché non ho più per centro il mio io. Tutto quello che è esperimentabile da me, che ha quindi per riferimento il mio io, sono solo le cose della terra.

Però tutte le cose della terra hanno questa lezione da dare:

·         cerca Colui che è al di sopra di noi e al di sopra di te.

·         Tutte le cose della terra lo dicono (Sant’Agostino); sì, tutte le cose della terra dicono a noi:

·         superaci, cerca al di sopra di noi, cerca al di sopra di te. E questi sono segni.

Eligio: Sì, ma lui non li ha utilizzati! È un processo di trascendenza quindi di superamento dei segni…

Luigi: Lo so, però noi non faremmo questo lavoro di trascendenza dei segni se non credessimo nei segni, se non ricevessimo la lezione dei segni.

I segni arrivano a noi invitandoci a trascenderli, perché Colui che noi cerchiamo, cioè quella Verità che noi cerchiamo è sopra di loro, è sopra di noi, perché anche noi siamo segno.

Eligio: Sì, però lui parte da un sillogismo che non tiene conto dei segni: “l'immutabile è preferibile al mutabile” dice Sant’Agostino nella sua estasi. Quindi scarta tutti i segni….

Luigi: Lo so, ma anche noi dobbiamo scartare i segni, dopo aver ricevuto la lezione dei segni. Perché i segni arrivano a noi?

Anche i segni arrivano a lui, ma perché li scarta e dice: “Questo è mutabile quindi lo scarto”? Perché scartiamo anche il pensiero di noi stessi? È mutevole quindi lo scartiamo. I segni li scartiamo in quanto dicono a noi una certa lezione. Cosa ci dicono i segni?

Noi passiamo”. È questa la lezione dei segni: “Noi siamo creature che passano, quindi non siamo noi il tuo Dio, non siamo noi quello che tu cerchi”.

Tutte le cose dicono questo a noi; ecco il compito dei segni.

Il segno avviene nel pensiero del nostro io, ed è opera di Dio; è Dio che significa Se stesso; ma significa Se stesso al punto che discende (questa discesa di Dio “Dio ha tanto amato..”) a colloquiare con l'io dell’uomo. E colloquiando con l'io dell’uomo, non soddisfa le pretese dell’io dell’uomo; risponde alle attese, ma non soddisfa le pretese, quindi suscita nell’uomo il problema della trascendenza. Come lo suscita? Proprio attraverso i segni di Sé. Perché se non ci fossero i segni di Sé, ci sarebbe una frattura tra Dio e noi, e allora non ci sarebbe colloquio.

Ad esempio se incontro un bambino, per mettermi in colloquio con il bambino, mi debbo adeguare al bambino. Ecco, Dio si adegua alla creatura.

Adeguandomi al bambino, cosa faccio? Mi metto magari a giocare con il bambino, mi adeguo alla mentalità del bambino, entro cioè nel mondo dei segni comprensibili al bambino. Però se voglio significare qualche cosa attraverso questo abbassamento a livello del bambino, tendo a portare il bambino ad un livello superiore.

Per cui Dio abbassandosi suscita nell’uomo una scala, un superamento, suscita nell’uomo un desiderio. Per cui l'uomo incomincia a desiderare: “Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato”, dice Sant’Agostino. “Noi non ameremmo Dio se Dio per primo non avesse amato noi” dice San Giovanni.

Quindi Dio amando noi scende al nostro livello; scendendo al nostro livello però non rivela Se stesso, ma significa Se stesso. La rivelazione da parte di Dio richiede da noi il superamento del pensiero del nostro io.

Dio viene a parlare nel pensiero del nostro io; nel pensiero del nostro io abbiamo il mondo dei segni e Dio si significa. Significandosi si annuncia. Se noi crediamo all’annuncio allora incominciamo a trascendere l'annuncio stesso.

Quando uno parla dice tante parole, ma la creatura che ascolta riceve le parole, ma nello stesso tempo le supera, perché se non le superasse si metterebbe a compitare le parole: “a, b, c, d,”, però è necessario credere alle parole. Ricevendo la parola, la si supera e si arriva al pensiero. Ecco che abbiamo il pensiero di trascendenza; però tutto è fondato tra il maestro e l'allievo: l'allievo deve credere alle parole del maestro per arrivare ad intendere le parole del maestro.

Ora, la parola del maestro è un segno a livello dell’allievo. L'allievo deve credere alla parola. Tende ancora, ma deve credere, deve accettarla; accettandola crede alla parola stessa. La parola grammaticale passa e se ne va, resta però il pensiero e attraverso al pensiero si arriva allo Spirito, a comprendere la lezione.

Tutto è fondato su questo credere a Colui che parla a noi, a livello nostro.

Eligio: Sì, devo pensarci. Perché pensavo alle intuizioni che hanno avuto Platone, Aristotele, un processo tutto inquadrato in categorie intellettuali….

Luigi: Ma sì, Dio in quanto significa Se stesso (vedi tutto l'Antico Testamento), rivela alla creatura una certa conoscenza di Sé, che non è però la conoscenza del Cielo. Noi non conosceremmo che siamo creature, che siamo relativi, se non avessimo già un termine assoluto di rapporto.

Quindi il problema di tutto l'Antico Testamento, di Giovanni Battista è il problema della giustizia; per cui capiamo che dobbiamo superare noi stessi per mettere Dio al centro. Ed è questo Dio al centro che poi ci conduce al Cristo. E Cristo che ci condurrà al Padre, cioè a conoscere le cose del cielo.

Per cui quando Dio parla, in quanto parla si propone a noi. Però senza Cristo intendiamo quello siamo, che non siamo la verità; intendiamo che c'è una notte intorno a noi (la notte di Nicodemo), intendiamo che il Creatore è più importante di noi, per cui che sbagliamo se siamo egoisti. Come faremmo noi a capire che sbagliamo ad essere egoisti se non ci fosse già in noi questa nozione della relatività? Come capiremmo questa nostra relatività se Dio non parlasse a noi il suo Assoluto?

Quindi abbiamo il parlare di Dio in tutto l'Antico Testamento e in tutto il nostro mondo naturale, anche nel pensiero del nostro io.

Dio, nel pensiero del nostro io, significando Se stesso continuamente ci riconduce alla nostra relatività, alla nostra povertà, al nostro bisogno di riferire le cose a Lui.

Quando noi crediamo alle sue parole, allora ci poniamo il problema di mettere Lui al centro della nostra vita, perché soltanto li c'è la Verità. È proprio questo problema di mettere Lui al centro della nostra vita, che ci porta poi al Cristo, che ci fa sentire il bisogno di avere Uno che ci aiuti a realizzare quello che noi vediamo come sogno.

Eligio: In questa prospettiva, in questa visione delle cose il Cristo storico diventa anche esso un segno…

Luigi: Certo, è solo un segno; l'incarnazione è un segno, è la ricapitolazione di tutti i segni. Possiamo dire, in termine universale, che l'incarnazione avviene già con la creazione dell’uomo; già tutta l'opera creatrice di Dio è un abbassamento di Dio a livello dell’uomo, per dialogare con l'uomo; è già un inizio di incarnazione che si conclude poi con il Cristo. Il Cristo è il compimento dei tempi, la pienezza dei tempi. Cosa vuol dire pienezza dei tempi? È l'abbassamento di Dio che dialoga con l'uomo.

Quando si dialoga, si conversa, si dicono tante parole, e nella parola abbiamo l'abbassamento; i segni ci sono per portarci ad intendere un pensiero: il pensiero è la conclusione di tutti i segni.

Per cui ad un certo momento, nel dialogo, si arriva ad una parola unica che si identifica con il pensiero; dicendo quella parola si passa immediatamente al pensiero.

Ora, se la conversazione è fatta bene, si arriva a quel punto. La conversazione deve portarci all’estasi, se è fatta bene. Conversare significa che le parole ci devono portare fino a quell’orizzonte in cui addirittura non c'è nemmeno più un diaframma; l'ultima parola che si dice è la presentazione del pensiero: eccolo! Quel punto in cui il segno quasi si identifica col pensiero, l'ultima parola (in sintesi), abbiamo il Cristo. È la rivelazione del Pensiero. È la presentazione.

Perché parlando noi tendiamo a rivelare un pensiero. Dio parlando (siamo a immagine e somiglianza) tende a rivelare il suo Pensiero, il suo Verbo. Ora, se tutta l'opera creatrice di Dio è una conversazione rivolta a noi, tutta l'opera di Dio conversa, tende a portarci al Verbo, che è il suo Pensiero. Cioè Lui tende a rivelarci il suo Pensiero.

Eligio: Il Verbo che ci parla di cose della terra….

Luigi: L'incarnazione. Certo. Ma il Verbo incarnato è ancora l'opera che tende a portarci alla grande rivelazione del Pensiero di Dio; per cui “Mi conoscerete; quel giorno saprete chi sono io; vedrete chi sono io”. Tutta quest’opera tende a portarci a quella parola, che è ancora un segno, che si identifica quasi col pensiero. C'è un punto di passaggio tra i segni e lo Spirito in cui l'ultimo segno quasi coincide con lo Spirito; per forza, perché la conversazione tende a questo.

Eligio: Questo avviene solo in Cristo, ovviamente…

Pinuccia: Perché in Cristo c'è la persona del Verbo incarnato mentre negli altri segni non c'è la persona…

Luigi: Ma certo, è logico, però abbiamo questa conversazione, questo convergere verso-.

Per cui noi, senza rendercene conto, seguiamo delle direttrici, perché siamo immersi in una conversazione di Dio. Il guaio è solo questo: non restiamo nella conversazione. Noi saltiamo da un sentiero all’altro; anziché seguire in ascolto, saltiamo; è lì il grande guaio. Perché nel pensiero del nostro io diventiamo dei saltimbanchi, cioè diventiamo delle creature irrequiete, che sono incapaci a sostare in una conversazione, ma continuamente saltano da un argomento all’altro. È questa la nostra superficialità, è questa la nostra notte; per cui diventiamo incapaci di portare un pensiero.

Eligio: Che io abbia capito perfettamente, non posso dirlo. Però è un argomento al quale devo dedicare più pensiero.

Luigi: Comunque, tutte le opere di Dio nel pensiero dell’io sono segni. Lo scopo di tutti questi segni è quello di farci superare il pensiero del nostro io, di riportarci alla trascendenza. Dio ci trascende sempre; quindi in quanto ci trascende, abbiamo sempre un’opera di segni nel pensiero del nostro io che ci deve sollecitare a trascenderci, perché soltanto trascendendoci possiamo conoscere Lui.

Eligio: Soltanto superando il mondo dei segni.

Luigi: Sì, il mondo dei segni è necessario, ma essendo necessario deve essere superato. Per cui ci deve anche essere la fedeltà nel mondo dei segni; per cui “Se non credete quando vi parlo di cose della terra, come potrete arrivare a…”, infatti dice “Io parlo in parabole affinché non capiscano”.

Eligio: Ma “Se non credete…”, presuppone che qualcuno non ha creduto alle cose della terra.

Luigi: Non alle cose della terra, ma al parlare di Dio nelle cose della terra: è una cosa diversa.

Eligio: Sì, a riguardo delle cose della terra. Ma come si può non credere quando si parla del seminatore? Che se il seme di grano cade tra i rovi cresce un po’ poi muore; se cade nella strada viene calpestato; come si può non credere questo? Allora Lui rimprovererebbe questo? Che non si crede a questi discorsi quando si riferisce alle sue parabole? Parliamo non come segni.

Luigi: Non come segni. "Non credete quando Io vi parlo delle cose della terra". Ora, Gesù parlando delle cose della terra non ci spiega cosa succede nel grano...; ma è Lui che ci parla perché significa la sua opera attraverso queste cose. Quindi Lui attraverso queste cose, significa qualche cosa. Credere vuol dire passare, desiderare la conoscenza del significato. "Che cosa Lui vuol significare attraverso questo?"; per cui non mi fermo al segno, non mi fermo al seminatore, non mi fermo al grano, ma vado a cercare il significato.

L'incontro col Cristo presuppone sempre in noi la sete di Dio. Quindi se abbiamo la sete di Dio, sentendo, vedendo Dio operare certe cose, certi avvenimenti, andiamo a cercare il significato. È questo il credere!

Se io non credo in Dio, se mi fermo all’avvenimento, lo attribuisco alle creature, alla natura; e dirò: “La natura è fatta così”. Se io invece credo in Dio, dico: “Questa è opera di Dio”, credendo che questa è opera di Dio, passo alla ricerca del significato e mi interrogo: “Perché Dio ha voluto operare così? Perché Dio ha fatto questo? Perché Dio opera questo?”. Ecco, è la ricerca del significato. Quando io credo in una persona, cosa succede? Non mi accontento di vedere le cose che fa quella persona, ma vado a vedere il significato delle cose che fa quella persona. Ecco cosa vuol dire credere.

Eligio: Adesso resta più chiaro, perché Gesù queste parole le dice a me, le dice a noi. Dice: “Quando Io ti parlo delle cose della terra”. Ma cosa sono queste cose della terra?

Luigi: Tutto quello che mi accade attorno è tutto un parlare di Dio. Dio parla di cose della terra, cioè cose che io esperimento.

Eligio: Sinceramente, se avesse rivolto a me questa domanda io non avrei inteso, perché penso che Gesù parla sempre del Padre, della Verità, di Dio.

Luigi: Certo, ma Lui mi parla del Padre, del Regno di Dio, della Verità, attraverso argomenti che io esperimento. Le cose della terra sono le cose che noi esperimentiamo. Allora, il grano che cade, se cade in mezzo ai rovi esperimentiamo che resta soffocato; se cade nelle pietre esperimentiamo che cresce e poi muore; se cade nel terreno buono esperimentiamo che cresce bene; se cade sulla strada esperimentiamo che viene calpestato. Ma se lo esperimentiamo vuol dire che il soggetto è il pensiero del nostro io. Però se ci fermiamo al grano e pensiamo: “Sì, il grano è fatto così; se cade sulla strada succede così”, non cogliamo la lezione. Se lo riteniamo opera di Dio (ecco il credere), pensiamo: “Chissà come mai Dio mi fa vedere che quel grano che cade sulla strada viene calpestato, chissà come mai? Perché Dio ha fatto il mondo così? Perché Dio ha fatto il grano così? Perché Dio ha fatto la terra così?”. E cerchiamo il significato. Questo vuol dire credere.

Eligio: Quindi se noi non crediamo al significato dei segni che Dio mette attorno a noi…

Luigi: Se noi non cerchiamo il significato... ; perché quello che ci fa cercare il significato è la fede in Dio. In quanto uno ha fede in Dio, crede che tutto sia opera di Dio e credendo che sia tutta opera di Dio, va a cercare il motivo per cui Dio fa le cose; “Perché Dio mi manda questa disgrazia? Perché Dio mi manda questo spettacolo?”.

Eligio: Questo è il parlare di cose della terra.

Luigi: È Dio che parla nelle cose della terra, perché parla di cose che sono esperimentabili da me; me le fa esperimentare. Però in questa sperimentazione c'è un significato: se io credo, vado alla ricerca del significato. Qui abbiamo tutta la lezione del significato.

Eligio: Sì, però non l'avevo mai inteso in quel senso. Non pensavo che il parlare delle cose della terra si dovesse intendere in questo modo. Io credevo si intendesse il discorrere di Gesù con gli apostoli, di cose terrene. Cioè non ho mai capito quando Gesù parlasse di cose della terra.

Luigi: Non so se è chiaro? Sei convinto Eligio?

Eligio: Mi resta un dubbio su quello che tu hai detto…

Luigi: No, io non voglio che tu sia convinto perché l'ho detto io, sia ben chiaro.

Eligio: È come se dovessi imparare la matematica: non si incomincia dal calcolo infinitesimale.

Luigi: È logico…

Eligio: Mi pare che il processo di estrazione possa prescindere dai segni. Come dico ho presente Aristotele, però potrei essere fuori strada.

Pinuccia: Ecco, io vorrei chiedere un’altra cosa. Tu dici che il mondo dei segni è necessario, ma per scoprire l'esistenza di Dio?

Luigi: Certo!

Pinuccia: Perché il Pensiero di Dio è in noi indipendentemente da noi. Io non posso dire che credo in Dio perché esiste il mondo, no?!

Luigi: Certo, certo…

Pinuccia: Però è necessario il mondo perché io scopra l'esistenza di Dio?

Luigi: Perché io sia richiamato. Perché i segni sono un richiamo. La persona può anche essere presente, ma è soltanto parlando, attraverso i segni, che mi richiama a sé.

Dio quando ci crea abita in noi, ha il suo Spirito in noi, la sua presenza in noi. Però succede che creando l'uomo, l'uomo cade nel pensiero del suo io, pensa a se stesso. In questa situazione come fa Dio, all’uomo che pensa a se stesso, come fa a richiamarlo a Sé? Lo richiama a Sé attraverso la creazione.

Pinuccia: Allora io credo in Dio perché i segni mi conducono a Dio.

Luigi: Certo, i segni sono nel pensiero del nostro io e i segni sono l'opera di Dio nel pensiero del nostro io. Ora, nessuno potrebbe parlare a me se io non lo avessi presente; quindi la sua presenza è la condizione perché io possa intendere il suo parlare. Ma se io scappo dalla sua presenza, sono distratto, come fa a richiamarmi alla sua presenza? Proprio entrando nella mia distrazione. Se io anziché guardare qui, guardo la finestra, Eligio come farà per richiamare la mia attenzione? Soltanto buttando una pietra dalla finestra, perché io sto guardando la finestra. Ora, la finestra rotta diventa per me un segno di richiamo di colui che ha gettato la pietra.

Tutto il dramma sta nel fatto che noi non siamo capaci a restare con la vita eterna. Allora succede questo: Dio è presente, noi scivoliamo perché non siamo capaci a restare, ci orientiamo ad altro (che è poi il pensiero del nostro io) Dio butta la pietra dove noi siamo orientati. La pietra è un segno, ma non è un segno perché io la guardi, ma è un segno in quello che mi ha distratto; a questo punto sono richiamato a colui che ha gettato la pietra. “Tosa ma can!”. Nino Damilano ha detto che “Tosa ma can!” in Tanzania vuol dire “Tira la pietra!”

Baggia: In sostanza i segni sono un’agevolazione che Dio ci fa per richiamarci a Sé.

Luigi: Per richiamarci dalla nostra distrazione.

Eligio: È una necessità per noi?

Luigi: Si, perché dal momento che noi siamo scivolati nel pensiero del nostro io, abbiamo bisogno di essere richiamati da questi segni; è opera d’amore, di misericordia. Tutta la creazione è opera d’amore e di misericordia, ma è una necessità. È come se io mi avvio su una strada sbagliata: ho la necessità che qualcuno mi sbarri la strada, che qualcuno mi lanci un richiamo, mi metta un semaforo rosso, mi avvisi che la strada è sbagliata. Ho la necessità, certo è opera di misericordia da parte dell’altro. Il semaforo rosso, la strada sbarrata, la pietra che mi viene buttata sulla macchina non è ancora la strada vera, è soltanto un segno che mi dice che ho sbagliato strada, è un richiamo alla strada vera.

Pinuccia: Però questi segni c'erano già anche prima del peccato di Adamo ed Eva.

Luigi: Sì, logico.

Eligio: Scusa, infatti mi fa venire in mente che proprio nel mondo pagano sono stati utilizzati, parlo sotto il profilo filosofico, nella ricerca di Dio. Aristotele fa praticamente il processo di Sant’Agostino, senza avere la concezione di un Dio personale, lui sa solo delle categorie intellettuali che “Il perfetto è preferibile a ciò che non è perfetto”, che “La Verità è preferibile alla menzogna”. Sant’Agostino farà poi un passaggio analogo. Hanno notato l'imperfezione dei segni che avevano attorno per concludere che la perfezione non era nei segni ma che rimandavano a qualcosa di più perfetto.

Luigi: Teniamo presente l'incapacità nostra a sostare nel Pensiero di Dio. Sostare con Dio è già vita eterna, è una continuità con Dio, è una rinascita continua: ed è vita eterna. E noi per entrare nella vita eterna abbiamo bisogno di tante lezioni, perché siamo delle creature che passiamo dal nulla al Tutto. Ora, cosa vuol dire “nulla”? Abbiamo la significazione del nulla anche nel mondo fisico: ci sono delle particelle che durano un milionesimo di secondo e delle creature che durano milioni di anni. Ora, il nostro nulla è l'incostanza, è la capacità di restare con Dio solo un milionesimo di secondo e poi immediatamente decadere. Ora, Dio lavora su questa nostra capacità di restare con Lui un milionesimo di secondo per portarci a restare con Lui nell’eternità. Nel travaglio di cinquanta, sessant’anni, Lui ci fa passare da questa incostanza, da questa instabilità, rapidissima, velocissima, un pensiero che immediatamente svanisce, alla capacità di una permanenza con Lui; Lui lavora per portarci a restare sempre con Lui. Noi non ci rendiamo minimamente conto del lavoro che Dio fa personalmente con ognuno di noi per farci passare.

Tutto è segno, e nel segno (perché poi la caratteristica è questa) c'è Dio e c'è anche il nostro io, altrimenti non sarebbe più segno; quindi in tutta la creazione c'è la significazione di Dio, ma c'è anche il segno del nostro io. Per cui nella particella che dura un milionesimo di secondo c'è la significazione di Dio, ma c'è anche il pensiero del nostro io, l'instabilità nostra; perché altrimenti noi non ci vediamo. Quindi il segno per noi è segno in quanto troviamo qualcosa di noi. Nel grano che cade c'è la significazione di Dio ma c'è anche la significazione del nostro io, per cui noi ci ritroviamo in collegamento: “Io posso essere questo, io posso essere quell’altro, io posso far fallire il grano”, e ci ritroviamo. Ecco la caratteristica del segno; per cui il segno è sempre ambiguo. Se noi pensiamo solo a noi stessi, non pensiamo a Dio, il segno è rivestito solo del pensiero del nostro io, e scompare la significazione di Dio. E diventa una tragedia, perché in tutto il mondo vediamo solo più il pensiero del nostro io, in tutte le creature, vediamo solo più il pensiero del nostro io e le facciamo ad immagine e somiglianza nostra. Per cui interpretiamo gli altri uomini, le altre creature, secondo quello che abbiamo in testa, e non cerchiamo più la verità. E le rivestiamo del pensiero del nostro io, appunto perché qualche cosa c'è del pensiero del nostro io, proprio perché è segno.

Ma noi, ecco perché è necessario credere, non dobbiamo vedere i segni solo nel pensiero del nostro io, ma dobbiamo vederli nel pensiero del nostro io solo in quanto ci agganciano, e poi dobbiamo cercare di capire cosa Dio ci vuol significare.

Dobbiamo passare al Pensiero di Dio, quindi superare il pensiero del nostro io; allora andiamo alla ricerca del significato presso Dio di quel segno. E abbiamo l'opera critica su noi stessi. Per cui in un primo tempo si crede che il segno voglia dire una certa cosa, perché si vede il proprio io; poi cercando presso Dio si giunge a capire: “Ah, ci voleva dire altro!”, e avviene il superamento, la revisione, quindi la purificazione. Dio opera così per portarci a quella capacità di sostare, di restare sempre con Lui, di dialogare sempre con Lui, per portarci alla vita eterna.

Ma la bellezza è che Dio opera sulla creatura che è instabile al massimo e su questa personalità Dio descrive, lavora in modo tale da portarla alla stabilità. Alla stabilità eterna! Ad una stabilità con l'Assoluto, Colui che è Tutto. È il niente che viene portato al Tutto.

Giovanni: L'uomo con tutta la sua potenza non riesce a sfamare tutta quella folla…

Luigi: Certo, pensa alla pesca miracolosa!

Eligio: Io non avrei mai pensato che questo fosse un parlare di cose della terra…

Luigi: Ti ricordi quando avevamo parlato di cose del cielo e di cose della terra?! Avevamo fatto questa distinzione:

·         le cose del cielo sono quelle che non sono esperimentabili da noi,

·         le cose della terra sono cose esperimentabili da noi: Dio parla se stesso nelle cose esperimentabili da noi.

Non è che Lui parli delle cose della terra per spiegarci le cose della terra, ma Lui nelle cose esperimentabili da noi significa Se stesso, per portarci a comprendere le cose non esperimentabili da noi, che sono esperimentabili soltanto in Dio. Non sei convinto?

Eligio: Quello che mi ha tratto in inganno è “Se quando vi parlo...”, io pensavo al parlare discorsivo, cioè al colloquiare, dialogare di argomenti terreni.

Luigi: No, la chiave di volta è alla fine del Vangelo di San Giovanni (San Giovanni è molto unitario); la chiave di volta l'abbiamo quando Gesù dice: “Finora vi ho parlato in parabole, viene l'ora in cui non vi parlo più in parabole, ma apertamente vi farò conoscere il Padre”. È ancora un parlare, ma è il parlare che è rivelare, che è presentare. Perché il Verbo viene a parlare di cose della terra, ma nelle cose della terra ci parla sempre del Padre, fino al giorno in cui Lui ci rivela il Padre, perché quello è il Suo scopo!

Cina: Direi che è più facile la seconda parte che la prima…

Eligio: Infatti San Marco dice che Gesù parlava in parabole, però poi a loro le spiegava…

Luigi: Le spiegava a “loro”. Anche lì c'è da precisare chi sono questi “loro”.

Eligio: Pensava agli apostoli.

Luigi: Sì, ma chi sono quegli apostoli? Perché Lui dice: “A voi è dato conoscere i misteri ma agli altri tutto è detto in parabole affinché non capiscano”, è una dizione famosa! “Affinché non capiscano”, vedi che opera per accecare?!

Eligio: Opera per far ravvedere…

Luigi: Eh già! “Invece a voi…”, a voi chi? "A voi che siete dentro", non agli altri che sono fuori. E cosa vuol dire essere dentro ed essere fuori? "A quelli che sono fuori tutto è detto in parabole affinché non capiscano e a voi che siete dentro le cose vengono spiegate". L'essere dentro o l'essere fuori è il passaggio; perché fintanto che noi siamo nel pensiero del nostro io, siamo motivati dall’esterno e allora tutte le conoscenze le facciamo motivati dall’esterno; e siamo gettati nelle tenebre esteriori. Qui Dio opera per accecarci, perché crediamo di vedere: “Ah, si, il mondo è fatto così!”; ed è soltanto tutto un esterno che entra dentro. Invece chi è nell’amore di Dio, chi ha superato se stesso, chi ha fatto una scelta, chi pende da Lui, questi è dentro. Ecco per cui chi rinasce da Dio è dentro al Regno, e chi ci fa entrare è Lui.

Ma fintanto che noi siamo nel pensiero del nostro io siamo fuori e allora tutte le nostre conoscenze sono esterne; le conoscenze esterne sono conoscenze di segni.

Emma: Attraverso le cose esterne Dio opera anche per accecarci?

Luigi: Sì, certo, infatti opera magari per farci cadere nel male, per farci peccare, per farci toccare la nostra miseria, per farci compiere un delitto; in tal modo scopriamo la nostra miseria: “io che mi credevo… guarda che cosa ho fatto!”. Ma è Dio che l'ha fatto, capisci? Perché ci credevamo..., allora Lui abbassa per poterci poi dopo tirare su.

Pinuccia: Però anche a questi discepoli ai quali Gesù spiega le parabole, non parla ancora apertamente del Padre, lo farà in un tempo successivo….

Luigi: Certo, del Padre parlerà quando arriverà a dire: “Io vado a prepararvi un posto, affinché dove sono Io siate anche voi”. È tutto un progredire dall’esterno all’interno, e all’interno è tutto un progredire di scala in scala, di gradino in gradino, fino alla Vetta.

Teniamo sempre presente che noi siamo delle creature, che partiamo dal nulla e dobbiamo arrivare al Tutto. Non siamo noi che dobbiamo arrivare al Tutto ma è Lui che ci fa arrivare al Tutto; quindi noi tenendoci uniti a Lui siamo in ascensione. Lui ci fa passare di gradino in gradino, ci mantiene in ascensione; come noi dimentichiamo Lui, decadiamo, ritorniamo giù.

Ritornare giù, vuol dire che aumentiamo la nostra incostanza, la nostra velocità di labilità, per cui diventiamo sempre più incapaci di sostare, diventiamo massimamente irrequieti; ma è una irrequietezza interiore. La grande pace è soltanto opera di Dio. Lui ci fa passare dalla grande irrequietezza, dalla instabilità massima che dura un milionesimo di secondo di un pensiero, fino alla capacità di restare eternamente con Lui.

L'eternamente con Lui, vedere tutto in Lui è pace. Noi passiamo dalla massima irrequietezza al tutto pace. Ma i passaggi avvengono soltanto in unione con Lui. È Lui la forza, è Lui l'energia che ci fa passare da un colle all’altro, da un’altezza all’altra: è Lui che ci fa ascendere; quindi presuppone sempre in noi la sua presenza. Questa presenza in noi deve sempre essere a noi possibile sia quando siamo instabili a un milionesimo di secondo a quando diventiamo capaci di restare con Lui magari per degli anni (per rendere l'idea, capisci?). Quindi se io sono capace di restare con Lui per un milionesimo di secondo, se mi fermo con Lui per un milionesimo di secondo, Lui mi rende capace di restare con Lui per due milionesimi di secondo; se resto con Lui per due milionesimi di secondo, Lui mi fa passare a tre milionesimi di secondo e così mi estende, e mi rende duraturo il restare con Lui. La permanenza è opera sua, non è opera nostra; richiede però da parte nostra l'adesione, il credere.

Giovanni: La figura di Nicodemo come si può personalizzare su di noi?

Luigi: Nicodemo è figura di ognuno di noi, della notte in cui ci troviamo, perché in questa notte noi crediamo di sapere, crediamo di capire, crediamo di conoscere anche il Cristo. Quante volte noi diciamo: “Ma io credo! Io credo in Dio! Io sono religioso!”, ma la nostra fede, la nostra religiosità è tutta basata su sentito dire. Per cui arriviamo a dire: "io sono religioso perché vado tutte le domeniche a messa, vado in chiesa ogni tanto, mi trovo con Dio"; non è vera religione il trovarmi con Dio solo quando mi trovo in un certo posto. "Dio è Spirito", e io sono religioso se mi preoccupo di restare con Dio quando sono in chiesa e quando sono fuori chiesa, quando sono in piazza e quando sono in casa, cioè quando prendo coscienza che in tutto Dio sta parlando con me. Non soltanto parla con me quando sono in un certo luogo o quando gli do un certo tempo, ma Dio parla con me anche quando io non sono con Lui.

La religiosità è tener presente Dio in tutto, è adorazione di Dio in tutto. Noi siamo in una terra che è sacra, che è tutta di Dio; allora noi siamo religiosi in quanto teniamo presente Dio in tutto. Quando ci mettiamo questo proposito: “Tutte le cose le devo riportare a Dio perché in tutto c'è Dio che parla, c'è Dio che opera”, allora incomincia l'adorazione; che è accogliere tutto dalle mani di Dio, e accettare tutto da Dio. E ritenendo che in tutto c'è l'opera di Dio, siamo posti nell’ultima situazione di Nicodemo: la cecità. Infatti ci pone l'esigenza di capire perché Dio ha fatto il mondo così, perché Dio ci manda certi avvenimenti, perché Dio ci fa incontrare certe strade, perché Dio ci riduce così. Ecco, abbiamo bisogno di intendere il significato.

Dunque il bisogno di intendere il significato è già una conseguenza in noi dell’adorazione, cioè della presenza di Dio. Perché se invece dimentichiamo Dio, il primo segno che lo trascuriamo è la non preoccupazione di cercare il significato di quello che accade; per cui ci accontentiamo delle cose che vediamo e crediamo di capire.

Angelo: Nicodemo è già portato alla conoscenza di Dio…

Luigi: No, Nicodemo si presenta dicendo: “io conosco”, Gesù invece gli fa toccare con mano che non conosce. Ed è soltanto quando gli fa toccare con mano che non conosce, che Nicodemo incomincia ad entrare nel silenzio che ascolta. Prima parlava lui e in quanto parlava lui era fuori posto, era fuori dimensione, era un uomo ricco...

Angelo: Comunque era già in contatto con il desiderio di Dio; l'abbassamento è già un trovare Dio…, è già un desiderio di Dio, no?!

Luigi: Si, è un desiderio che l'ha portato…; c'è già qualche cosa.

Angelo: È già una grazia.

Luigi: Certo, il fatto di aver incontrato Lui è già tutta un’opera di grazia. Tutto è grazia.

Angelo: Anche con tutto il suo orgoglio, una cosa e l'altra.

Luigi: Certo, ma tieni presente che lui è arrivato di notte, ma dentro di sé credeva di essere illuminato, credeva di essere nella luce, di essere a posto. Quindi abbiamo una contraddizione con l'ambiente che lo significava; ed era opera di Dio. Lui portava la notte, perché arrivava di notte, quindi il segno esterno era la notte, però lui dentro credeva di sapere: quindi c'è una contraddizione. Dio opera l'autenticità; quindi crea, ci riporta nella dimensione vera, di creatura bisognosa di luce. È soltanto lì che Cristo incomincia a parlare veramente, e l'altro diventa capace di ascoltare.

Angelo: Poi l'ha seguito…

Luigi: Prima non era capace di ascoltare…

Angelo: Dopo, dico...

Luigi: Nicodemo lo ritroviamo solo dopo la morte di Gesù, quando si opera la sepoltura. Ma a noi non deve interessare. A noi deve interessare solo quello che ci presenta il Signore come lezione.

Pinuccia: Già altre volte tu ci hai fatto riflettere sul fatto che noi crediamo in Dio non perché esistono i segni, non perché esiste il creato, cioè anche se io fossi nata cieca, sorda e muta, e nessuno mi avesse mai parlato di Dio, il pensiero di Dio lo scoprirei lo stesso. Allora la necessità dei segni c'è in quanto mi aiutano a restare in questo Pensiero, non in quanto mi aiutano a scoprire Dio.

Luigi: Teniamo sempre presente questo: la creatura, proprio perché è creatura, è un niente che è chiamato a diventare un tutto con Dio. Cosa vuol dire niente? Niente nel campo dello Spirito vuol dire instabilità: Dio è stabilità, il niente è il massimo dell’instabilità. Perché non esiste il niente, esiste l'Essere. Noi diciamo "niente" alla creatura in quanto non è capace a restare; quindi abbiamo l'instabilità, quindi il nulla non esiste.

Anche quando parliamo di morte spirituale: non esiste la morte spirituale, esiste la dispersione. Nel campo dello Spirito, quello che noi diciamo morte, è dispersione, è sabbia. Ora, cosa vuol dire dispersione? Cosa vuol dire sabbia? Vuol dire che la creatura è in balia di tutto, ma c'è. In quanto Dio ci ha chiamati ad essere, anche se noi falliamo la nostra vita, non diventiamo niente, diventiamo creature disperse. Creature disperse vuol dire creature che sono in balia del vento; cioè anziché essere persone, diventano creature che sono il massimo dell’incostanza, il massimo dell’instabilità, che passano continuamente da una cosa all’altra.

Pinuccia: E l'inferno sarebbe questo?

Luigi: No, non sono nell’inferno; sono creature che passano da una cosa all’altra, cioè sono incapaci a restare, incapaci a sostare, portate via continuamente; diciamo che è il vento che porta via. Quel vento che nello Spirito è breccia, cioè annuncia Dio, per la creatura che ha fallito diventa vento che porta via, cioè che la rende incapace di ritrovare un luogo di pace. Satana è definito come colui per cui non si è trovato un luogo di pace né in cielo, né in terra, né nell’inferno. Dunque quando noi parliamo di creatura, intendiamo un nulla chiamato al tutto, un nulla come instabilità chiamato alla stabilità, chiamato all’eternità, alla permanenza. Dio opera su questa nostra pochissima capacità che Lui ci dà, per chiamarci ad essere; su questa pochissima capacità di sostare, Lui incomincia a lavorare. E cosa vuol dire questa pochissima capacità di sostare?

Vuol dire che nella creatura inizialmente c'è il pensiero di Dio per un attimo, e subito decade nel pensiero dell’io. In questa decadenza, mentre la creatura precipita nel pensiero del suo io, Dio la sorprende con i segni, per riportarla alla sua presenza.

Pinuccia: Non per far capire che Lui c'è?!

Luigi: No, perché Lui c'è, la sorprende per riportarla alla sua presenza. Tutta l'opera di Dio è per riportare noi continuamente alla sua presenza. È poi quello che all'ultimo Gesù dice al Padre: “Fintanto che ero con loro continuamente li custodivo nel tuo nome”. Ora, teniamo presente che quello che dice Gesù, è detto dal Verbo di Dio che parla; e il Verbo di Dio che parla è il Verbo che parla in tutta la creazione, in tutto l'universo, tutti i giorni con noi. Ora, Gesù dice che restando con noi ci custodisce nel suo nome. Ciò vuol dire che noi creature continuamente scappiamo dal suo nome, continuamente ci allontaniamo da Dio. Il Verbo di Dio ci raccoglie, fa l'opera di raccolta per custodirci, è come il cane del pastore di fronte al gregge che continuamente tende ad allargarsi, che tende a disperdersi. Il cane continuamente opera per riportare la pecora che si disperde. Ora, il Verbo di Dio opera così.

Noi continuamente tendiamo a scivolare nel pensiero dell’io, a lasciarci portare via dai segni, dalle creature, senza passare a Dio; il Verbo continuamente ci richiama all’essenziale, ci riporta al Padre, fa questa opera di raccoglimento, attraverso i segni.

Cina: Mi ha colpito tanto questo: non si è capaci di sostare.

Luigi: Sì, noi dobbiamo arrivare al punto in cui sostiamo sempre con Dio, in cui siamo sempre con Dio, qualunque parola sentiamo, qualunque avvenimento ci accada, qualunque cosa. Noi siamo chiamati a questo.

Cina: Se non facciamo questo lavoro ci troviamo ancora più dispersi.

Luigi: Certo. Noi siamo sempre portati via da tutto. Infatti quei segni che in Dio ci devono raccogliere, se noi non siamo nel pensiero di Dio, diventano motivo di dispersione, cioè accentuano la nostra instabilità. Per cui, se noi restiamo con Dio i segni ci raccolgono, perché è il Verbo di Dio che parla, e ci rendono più stabili; se noi dimentichiamo Dio, se trascuriamo Dio i segni aumentano la nostra velocità di dispersione nostra, il nostro allontanamento.

San Paolo dice: “Fintanto che noi viviamo nel corpo (cioè secondo il mondo), noi ci allontaniamo da Dio con una velocità crescente”. Non restiamo ad un certo livello; no, non è possibile restare: o si avanza o si indietreggia. Si precipita sempre di più nell’instabilità, e questo tutti quanti noi lo possiamo toccare con mano. Perché il problema principale della nostra vita è proprio quello di sfuggire all’instabilità. Ad un certo momento ci accorgiamo di non essere più nemmeno capaci a pensare; mentre pensiamo ad una cosa già immediatamente la dimentichiamo e passiamo ad un’altra e la dimentichiamo, e non sappiamo più che cosa diciamo. Ecco si arriva addirittura all'incapacità di pensare. Per cui l'instabilità dall’esterno ad un certo momento diventa interno, si interiorizza, ci prende l'anima, ci prende la mente, ci prende tutto; e siamo portati via da tutto, cioè siamo gettati nelle tenebre esteriori.

Le tenebre esteriori, cioè quando non abbiamo l'abito per restare alle nozze, sono date da tutti quei segni non considerati come opere di Dio. Questi segni gettano fuori, lacerano l'anima, lacerano la mente, la volontà, lacerano tutto, perché si diventa incapaci di tutto. In questa condizione l'abito è stracciato, non è adatto per le nozze del Figlio.

Cina: Si capisce quanto è necessario…; è questione di vita o di morte.

Luigi: Certo, è terribilmente necessario, è essenziale. È ciò di cui Gesù ci parla: “Affinché non periscano”. Parla di morte, perché c'è questo rischio nella vita di ogni uomo. Il rischio c'è, altrimenti non ci sarebbe stato bisogno che il Cristo morisse sulla Croce. Se c'è stato bisogno della Croce vuol dire che il rischio c'è; quando si parla di salvezza, si parla di salvezza dove c'è il rischio, dove c'è il pericolo. Non si salva un uomo che sta bene, no?!

Eligio: C'è comunque una premessa: è il credere a Gesù quando parla di cose della terra, che sono i segni che noi incontriamo tutti i giorni.

Luigi: Certo. Ma sei convinto che noi crediamo nei segni soltanto in quanto ne cerchiamo il significato?

Eligio: Sì, è il modo di dialogare di Dio con noi, è l'abbassarsi di Dio nella nostra incapacità di capire il segno che incontro tutti i giorni.

Luigi: Certo. L'anima di tutto questo problema che si forma in noi è il pensiero di Dio, perché se io trascuro il pensiero di Dio, per me "è l'uomo che agisce così, è la natura che agisce così, il mondo è fatto così, il destino è così...". Per questo noi dobbiamo passare dal segno al significato. L'anima del passaggio è Dio. Per cui se noi teniamo presente Dio crediamo; il credere è questo. Infatti tu dicendo "quando mi parlano del grano che cade nella terra, non ho bisogno di credere perché si vede", ancora non basta per credere; perché credere vuol dire passare al significato, perché è Dio che parla. Dobbiamo credere al segno come opera di Dio. Se lo crediamo salta fuori il problema, è Dio che ci pone il problema e che ci mette in movimento.

Eligio: Addirittura salta fuori la grandezza, la magnanimità di Dio, che si abbassa a dialogare al mio livello, perché diversamente non capirei niente.

Luigi: Le parole di Gesù che sono più avanti dicono: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio…”, questo "dare" è proprio Dio che si abbassa a dialogare con noi.

Pinuccia: Quindi la funzione dei segni prima del peccato sarebbe stata quella di aumentare la conoscenza e non di richiamarci.

Luigi: Sì, perché Dio opera per la conoscenza. Dio per farsi conoscere deve sempre dialogare con noi, e dialogare vuol dire scendere al nostro livello. Se voglio dialogare con un bambino, devo scendere a livello del bambino, perché altrimenti c'è la frattura, lui non capisce niente. L'arte sta nel scendere a livello del bambino, e poi nel livello del bambino non accontentare i capricci del bambino, le pretese del bambino, ma portarlo ad intendere il pensiero. È come Platone che riusciva a far capire allo schiavo la dimostrazione che la somma degli angoli è 360°. L'arte sta nel far capire ad un essere che non ha la capacità di capire, sta nel condurlo a fargli tirar fuori la sapienza che è già tutta dentro di lui.

Il problema è che noi non ci interroghiamo, per cui sprechiamo tutto. Il più grande tesoro che Dio ci ha dato è la possibilità di pensare Lui. Il vero tesoro non sono i beni della terra. Se noi sapessimo che la possibilità di pensare Lui è un dono immenso, non sprecheremmo un istante della nostra vita; perché questo ci dà vita, ci mette in movimento, ci dà la possibilità di superare tutto. Ci immaginiamo cosa vuol dire: Dio mi ha dato la possibilità di pensarlo?!?

Questo è un dono enorme: ho la possibilità di pensare Dio.

Eligio: Chi fermerà questa nostra velocità progressiva di allontanamento?

Luigi: Eh, quello è terribile…

Giovanni: La morte.

Luigi: No, anzi, la morte può sanzionarci, perché c'è una dispersione.