“In verità, in verità io ve lo dico: Noi
parliamo di ciò che sappiamo e rendiamo testimonianza di quel che abbiamo visto
e voi non accettate la nostra testimonianza. “Se vi ho parlato di cose della
terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Gv 3 Vs 11/12 Primo tema.
Titolo: Cose della terra e
cose del cielo.
Argomenti: Il tempo va a senso
unico, nello spirito c’è la rinascita – Riportare al Padre – La generazione dal
Padre – Fratellanza con Cristo – L’oggi di Dio – La stabilità d’amore
– Il tempo della prova è per crescere nell’amore – Fedeltà e infedeltà
– La molteplicità di amori – L’amore unico – Terra e cielo – Le nostre parole
non creano e non modificano – Aderire anche ciò che non si capisce – Ama il prossimo tuo
– Rendere grazie a Dio -
16/Gennaio/1977
Pensieri tratti dalla conversazione:
Eligio:
Che significato può avere per noi personalmente la venuta di Nicodemo di notte
presso Gesù; la notte rappresenta un senso di colpa, di vergogna o il non
ammettere quello che Gesù era realmente; per quale ragione?
Luigi:
Avevamo parlato della notte di Nicodemo e avevamo detto che la notte di
Nicodemo riflette la nostra notte, la notte in cui ogni uomo si trova. Perché
non penso che Nicodemo sia andato a trovare Gesù di notte con le motivazioni
che dicevi tu; mi sembra un’interpretazione un po’ maligna il voler
attribuirgli quell’intenzione. Può essere invece che sia andato a trovare
Gesù di notte per averlo più disponibile. Gesù di giorno era pressato dalla
folla, quindi è possibile che Nicodemo avesse un problema più esteso, voleva un
colloquio lungo con il maestro; quindi per averlo più disponibile per sé, penso
sia andato di notte, perché era l'ora più propizia per parlargli, per fare un
colloquio da solo e più esteso. Però anche questa notte è sintomatica, perché l'ambiente
che sta attorno a noi è sempre un segno dell’animo che portiamo dentro di noi,
perché attorno a noi Gesù scrive quello che abbiamo dentro, sono lezioni di Dio.
Dunque, in quanto arriva di notte, è la notte di ogni uomo attraverso la
quale si incontra con Cristo. Ed è la notte che gli fa dire: “Noi
sappiamo”; lui arriva credendo di vedere: questa è la sua notte. Ed è la
notte di ognuno di noi, quando crediamo di conoscere il Cristo per motivi
terreni, per motivi umani e non-. Perché soltanto dal Padre noi conosceremo
veramente il Figlio. Ciò vuol dire che tutte le conoscenze che noi crediamo
di avere di Cristo, che non vengono a noi da Dio, ma per motivi terreni (ad
esempio: “Tu fai cose meravigliose quindi noi riteniamo che tu venga da Dio
perché fai cose meravigliose che nessun altro può fare”), sono "la sua
notte". Ritenere come sigillo un fatto che consideriamo come metro di
misura nostro è essere nella notte, significata dalla notte di Nicodemo. E
fintanto che noi abbiamo un metro di misura nostro siamo nella nostra notte.
Eligio:
Un metro nostro ritenuto come verità…
Luigi:
Sì, ritenuto come verità, come metro di giudizio. Per cui Gesù risponde: “No
guarda, fintanto che uno non rinasce da Dio non può vedere!”. Nicodemo è
arrivato dicendo: “Noi sappiamo”, cioè “Noi vediamo”, ed è la sua
notte. Lui era nella notte e credeva di essere nel giorno.
Ora, fintanto che noi
non rinasciamo da Dio, e quindi non incominciamo a vedere le cose dal punto
di vista di Dio, da Dio, quello che noi chiamiamo giorno è notte e quello
che noi chiamiamo notte invece è giorno. Perché avviene un capovolgimento;
è il capovolgimento annunciato da Gesù nel discorso della montagna: “Beati i
poveri, beati coloro che piangono; perché a costoro il Regno di Dio apre le
porte, mentre guai a tutti quegli altri che hanno la loro soddisfazione…”.
Quando uno conosce secondo
un metro terreno ha una certa soddisfazione; perché la soddisfazione non è
soltanto nel denaro, non è soltanto nel benessere, c'è anche la soddisfazione
intellettuale. Qui abbiamo un uomo che è nella notte e che scambia per giorno:
è la notte di Nicodemo. Notte nella quale noi avviciniamo il Cristo, crediamo
di avvicinare il Cristo, e invece Cristo ci deve ancora riportare.
Infatti Nicodemo inizia,
entra in scena dicendo: “Noi sappiamo” ed esce di scena dicendo: “Come
può succedere questo?”, confessando quindi la sua notte. Gesù attraverso la
conversazione l'ha ripiombato, l'ha riportato nella notte. Difatti Gesù dice: “Io
sono venuto per rendere ciechi coloro che vedono”. Ora, direi che Nicodemo
cieco è un passo più avanti del Nicodemo che vede o che crede di vedere. Ecco,
con Gesù, Nicodemo ha fatto un passo avanti; infatti è diventato ascolto. Da
quando dice: “Com’è possibile?”, abbiamo solo più Gesù che parla, ma in
quanto parla c'è qualcuno in silenzio che ascolta: Nicodemo è stato riportato
alla sua dimensione.
Eligio:
Non ricordavo questo significato della venuta di notte da parte di Nicodemo.
Tanto più che era chiara la vocazione degli apostoli avvenuta alla luce del
sole da parte di Cristo.
Luigi:
Sì, ma attraverso tanti episodi il Signore completa il quadro; ci fa capire che
quello che noi crediamo giorno, invece è notte. Così come le parabole si
integrano una con l'altra e a poco per volta completano il quadro, così anche
tutti i diversi incontri (come con gli apostoli), poco per volta, una
pennellata qui, una pennellata qua e il quadro resta completo. Per questo è necessaria
la pazienza, è necessaria la meditazione; il mosaico si compone poco per volta,
una pietruzza qui e una pietruzza là, ad un certo momento il resta completo. Ci
vuole la pazienza di colui che raccoglie; perché bisogna raccogliere tutti i
dati che Dio ci dà, le parole che Lui dice, e non soltanto fermarci a quelle
che ci piacciono, ma va raccolto tutto. Raccogliendo tutto, poco per volta,
in noi si forma la conoscenza, si forma il Regno di Dio, si forma la Verità.
Eligio:
Quindi qui Gesù ci vuole far capire che quando presumiamo di sapere qualcosa di
Dio o della Verità, autonomamente, noi siamo nella notte.
Luigi:
Noi dobbiamo avvicinarci a Gesù non sapendo anziché sapendo, perché Lui è la
luce; quindi la posizione vera dell’uomo che si avvicina in modo autentico a
Gesù è quella del cieco di Gerico: “Signore fa che io veda”.
Infatti Gesù gli chiede: “Cosa vuoi da me?” e lui gli risponde: “Che
io veda”. Quindi noi dobbiamo cercare Gesù perché siamo ciechi, perché
siamo sbandati, perché siamo peccatori, perché siamo in balia dei venti del
mondo. Come mai tutto questo? Perché non vediamo.
L'uomo quando è cieco
brancola nelle tenebre. Ecco, la nostra vera situazione, la nostra vera
dimensione è questa: stiamo brancolando nelle tenebre. Però cosa dobbiamo chiedere
a Gesù? Signore, fa che io veda! Perché vedendo in noi viene la sicurezza,
viene la liberazione. La liberazione è effetto del vedere. “Conoscerete la
Verità e la Verità vi farà liberi”.
Ma se noi partiamo dicendo:
“io vedo”, Lui ci risponde: “Io non ho niente da darti”. Perché
Lui è venuto per darci la luce. E se noi abbiamo già la nostra luce, Lui ci
dice: “Io non sono venuto per i sani, ma sono venuto per i malati. Non sono
venuto per i giusti, sono venuto per i peccatori”. Quindi qual è la
posizione giusta dell’uomo peccatore? “Signore, dammi una mano”.
Lui non è venuto per
giudicare. Non si salva l'uomo dicendogli: “Sei un delinquente”; si salva
l'uomo, direi quasi, non guardando se è un delinquente o se non è un
delinquente, ma dandogli una mano per tirarsi su. Gesù è venuto a dare una
mano; ma la creatura deve volerla. La posizione autentica della creatura che
affoga è la richiesta di aiuto: “Dammi una mano!”.
Emma: A
me sembra già di incominciare a capire qualcosa e questo mi fa piacere…
Luigi: Certo,
più uno si avvicina a Gesù e più Gesù trasferisce in noi la sua conoscenza;
abbiamo fatto l'esempio dei vasi comunicanti: più noi ci avviciniamo a Lui, che
è la Sorgente di luce, e più Lui trasferisce la sua luce nella nostra anima.
Quel cieco nato, dopo aver
incontrato Gesù, rispondendo a tutte le proteste dei farisei dice: “Ma io so
una cosa sola; che prima non vedevo e adesso ci vedo”. Cioè, l'anima che ha
incontrato Gesù, sa una cosa sola: prima era cieca, stava brancolando nelle
tenebre e adesso incomincia a vedere qualcosa. Però è sempre dono di Dio; non
dice mai: “io vedo”, perché se dall'alto non gli viene la luce sarebbe
sempre brancolante nelle tenebre. Lui è luce, infatti dice: “Io sono luce
del mondo; chi cammina dietro di me non conosce le tenebre”. “Dietro”,
quindi la luce viene dall’Alto, ed è sempre dono suo. Ora, la condizione per
ricevere la Parola è quella del silenzio (come la condizione per ascoltare è il
silenzio); ecco vedi come Gesù ha portato al silenzio Nicodemo? Ad un certo momento
esce di scena e non si sente più.
Così la condizione per
ricevere la luce è la cecità, è riconoscerci ciechi; come la condizione per
ottenere il perdono è quella di riconoscerci peccatori; perché se uno si
ritiene giusto non ha bisogno di essere perdonato.
La condizione per ottenere
la salvezza è riconoscerci nel pericolo, nel rischio di perderci. Questa è la
condizione.
Eligio:
Comunque Gesù è molto duro con Nicodemo, non ti pare? Alla fine sembra più una
requisitoria che un'esortazione: “Se quando vi parlo di cose della terra non
credete, come mi crederete quando vi parlerò delle cose del cielo?”.
Quando, dove e di quali argomenti ha trattato di cose della terra Gesù?
Luigi:
Ma non è che Gesù parla di cose della terra in quanto ci fa conoscere le cose
della terra. Tutto il parlare di Gesù è un parlare delle cose della terra,
tutto è parabola. Quando fa il discorso della montagna parla di cose della
terra; il parlare le parabole sono cose della terra, gli avvenimenti, i
miracoli sono cose della terra; il discorso che fa a Nicodemo: “Il vento
soffia dove vuole e tu ne senti il rumore…” è un parlare di cose della
terra. Non è che Gesù venga a spiegarci le cose della terra, ma ci parla di
cose che noi esperimentiamo. Sono segni. Per cui abbiamo due tipi di parlare di
Gesù. Lo dice anche nel Vangelo: “A tutti
parlava in parabole poi ai suoi discepoli spiegava”. Al termine del Vangelo
si San Giovanni abbiamo Gesù che dice: “Finora vi ho parlato in parabole, ma
viene il giorno in cui non vi parlerò più in parabole ma vi farò apertamente
vedere il Padre”. Quindi abbiamo il parlare in parabole, che è il parlare
di cose della terra, di cose che noi capiamo, che possiamo esperimentare;
possiamo cioè constatare quello che Lui dice. Perché la distinzione tra le cose
del cielo e le cose della terra è questa: le cose del cielo sono le cose che
noi non esperimentiamo mentre quelle della terra le esperimentiamo.
Eligio: “Vi
parlo di cose della terra”, come segni?
Luigi:
Ah, si certo, come segni, infatti il parlare in parabole è il parlare di cose
della terra (il seminatore, ecc.); però Lui è sempre Spirito. Non è che Lui
parli di cose della terra per spiegarci come avviene la crescita del grano. No,
Lui in tutte le cose che opera infonde sempre lo Spirito, però parla per segni,
perché noi intendiamo solo quel linguaggio. Gesù parla nel pensiero del
nostro io, ma parla il suo Spirito. Fa in modo che a noi arrivi il segno;
se noi non crediamo al segno, non potremo arrivare al significato. Quindi il
parlare delle cose del cielo è rivelare il significato, e il significato
presuppone credere ai segni che giungono a noi da Colui che parla.
Eligio:
Anche se non è affatto necessario il passaggio attraverso i segni, no?
Luigi: È
necessario, perché noi creature abbiamo bisogno dei segni per poter capire.
Eligio:
Allora prima della venuta del Cristo? La conoscenza del Padre, l'entrata nel
Regno di Dio?
Luigi:
Il cielo era chiuso, era necessario il desiderio.
Eligio:
Ah, è necessario?
Luigi:
Il mondo dei segni è necessario; perché siccome noi nasciamo e cresciamo nel
pensiero del nostro io, e siccome nel pensiero del nostro io giungono a noi
solo i segni, attraverso i segni Dio opera per convincere noi a superare il
pensiero del nostro io; per farci toccare con mano, ad esempio, che noi non
siamo il Creatore, che noi non siamo Dio, che noi non siamo il centro.
Ora, siccome noi viviamo
per la coscienza di noi stessi, riferendo sempre le cose al nostro io, in
questo mondo che noi esperimentiamo, Dio significa a noi quello che senza di
noi non si fa: il superamento di noi stessi.
Senza questo superamento
noi non arriviamo a vedere le cose dal cielo, perché nel pensiero del nostro io
noi non possiamo assolutamente conoscere la Verità. La Verità si conosce
soltanto in Dio.
Se noi, nel pensiero del
nostro io, conoscessimo la Verità saremmo Dio, questo è pacifico. Nel pensiero
del mio io (in quanto le cose le rapporto a me, le tocco, le vedo) certamente
quello che io tocco, quello che io vedo, quello che io constato, non è la
Verità, ma è segno della Verità: è il vento che soffia, io ne odo il soffio ma
non so donde venga né donde vada; viene dal cielo ma io non lo posso intendere.
Per intenderlo io devo
passare attraverso il passaggio obbligato, che è il superamento del pensiero di
me stesso. Per cui, nel momento in cui mi supero, mi applico a Dio. E mi
applico a un Dio che non è più sperimentabile da me, proprio perché non ho più
per centro il mio io. Tutto quello che è esperimentabile da me, che ha quindi
per riferimento il mio io, sono solo le cose della terra.
Però tutte le cose della
terra hanno questa lezione da dare:
·
cerca Colui che è al di sopra di
noi e al di sopra di te.
·
Tutte le cose della terra lo
dicono (Sant’Agostino); sì, tutte le cose della terra dicono a noi:
·
superaci, cerca al di sopra di
noi, cerca al di sopra di te. E questi sono segni.
Eligio:
Sì, ma lui non li ha utilizzati! È un processo di trascendenza quindi di
superamento dei segni…
Luigi:
Lo so, però noi non faremmo questo lavoro di trascendenza dei segni se non credessimo
nei segni, se non ricevessimo la lezione dei segni.
I segni arrivano a noi
invitandoci a trascenderli, perché Colui che noi cerchiamo, cioè quella Verità
che noi cerchiamo è sopra di loro, è sopra di noi, perché anche noi siamo
segno.
Eligio:
Sì, però lui parte da un sillogismo che non tiene conto dei segni: “l'immutabile
è preferibile al mutabile” dice Sant’Agostino nella sua estasi. Quindi
scarta tutti i segni….
Luigi:
Lo so, ma anche noi dobbiamo scartare i segni, dopo aver ricevuto la lezione
dei segni. Perché i segni arrivano a noi?
Anche i segni arrivano a
lui, ma perché li scarta e dice: “Questo è mutabile quindi lo scarto”?
Perché scartiamo anche il pensiero di noi stessi? È mutevole quindi lo
scartiamo. I segni li scartiamo in quanto dicono a noi una certa lezione. Cosa
ci dicono i segni?
“Noi passiamo”. È
questa la lezione dei segni: “Noi siamo creature che passano, quindi non
siamo noi il tuo Dio, non siamo noi quello che tu cerchi”.
Tutte le cose dicono questo
a noi; ecco il compito dei segni.
Il segno avviene nel
pensiero del nostro io, ed è opera di Dio; è Dio che significa Se stesso; ma
significa Se stesso al punto che discende (questa discesa di Dio “Dio ha
tanto amato..”) a colloquiare con l'io dell’uomo. E colloquiando con l'io dell’uomo,
non soddisfa le pretese dell’io dell’uomo; risponde alle attese, ma non
soddisfa le pretese, quindi suscita nell’uomo il problema della trascendenza.
Come lo suscita? Proprio attraverso i segni di Sé. Perché se non ci fossero i
segni di Sé, ci sarebbe una frattura tra Dio e noi, e allora non ci sarebbe
colloquio.
Ad esempio se incontro un
bambino, per mettermi in colloquio con il bambino, mi debbo adeguare al
bambino. Ecco, Dio si adegua alla creatura.
Adeguandomi al bambino,
cosa faccio? Mi metto magari a giocare con il bambino, mi adeguo alla mentalità
del bambino, entro cioè nel mondo dei segni comprensibili al bambino. Però se
voglio significare qualche cosa attraverso questo abbassamento a livello del bambino,
tendo a portare il bambino ad un livello superiore.
Per cui Dio abbassandosi
suscita nell’uomo una scala, un superamento, suscita nell’uomo un desiderio.
Per cui l'uomo incomincia a desiderare: “Tu non mi cercheresti se non mi
avessi già trovato”, dice Sant’Agostino. “Noi non ameremmo Dio se Dio
per primo non avesse amato noi” dice San Giovanni.
Quindi Dio amando noi
scende al nostro livello; scendendo al nostro livello però non rivela Se
stesso, ma significa Se stesso. La rivelazione da parte di Dio richiede da noi
il superamento del pensiero del nostro io.
Dio viene a parlare nel
pensiero del nostro io; nel pensiero del nostro io abbiamo il mondo dei segni e
Dio si significa. Significandosi si annuncia. Se noi crediamo all’annuncio
allora incominciamo a trascendere l'annuncio stesso.
Quando uno parla dice tante
parole, ma la creatura che ascolta riceve le parole, ma nello stesso tempo le
supera, perché se non le superasse si metterebbe a compitare le parole: “a, b,
c, d,”, però è necessario credere alle parole. Ricevendo la parola, la si
supera e si arriva al pensiero. Ecco che abbiamo il pensiero di trascendenza;
però tutto è fondato tra il maestro e l'allievo: l'allievo deve credere alle
parole del maestro per arrivare ad intendere le parole del maestro.
Ora, la parola del maestro
è un segno a livello dell’allievo. L'allievo deve credere alla parola. Tende
ancora, ma deve credere, deve accettarla; accettandola crede alla parola
stessa. La parola grammaticale passa e se ne va, resta però il pensiero e
attraverso al pensiero si arriva allo Spirito, a comprendere la lezione.
Tutto è fondato su questo
credere a Colui che parla a noi, a livello nostro.
Eligio:
Sì, devo pensarci. Perché pensavo alle intuizioni che hanno avuto Platone,
Aristotele, un processo tutto inquadrato in categorie intellettuali….
Luigi:
Ma sì, Dio in quanto significa Se stesso (vedi tutto l'Antico Testamento),
rivela alla creatura una certa conoscenza di Sé, che non è però la conoscenza
del Cielo. Noi non conosceremmo che siamo creature, che siamo relativi, se
non avessimo già un termine assoluto di rapporto.
Quindi il problema di tutto
l'Antico Testamento, di Giovanni Battista è il problema della giustizia; per
cui capiamo che dobbiamo superare noi stessi per mettere Dio al centro. Ed è
questo Dio al centro che poi ci conduce al Cristo. E Cristo che ci condurrà al
Padre, cioè a conoscere le cose del cielo.
Per cui quando Dio parla,
in quanto parla si propone a noi. Però senza Cristo intendiamo quello siamo,
che non siamo la verità; intendiamo che c'è una notte intorno a noi (la notte
di Nicodemo), intendiamo che il Creatore è più importante di noi, per cui che
sbagliamo se siamo egoisti. Come faremmo noi a capire che sbagliamo ad essere
egoisti se non ci fosse già in noi questa nozione della relatività? Come
capiremmo questa nostra relatività se Dio non parlasse a noi il suo Assoluto?
Quindi abbiamo il parlare
di Dio in tutto l'Antico Testamento e in tutto il nostro mondo naturale, anche
nel pensiero del nostro io.
Dio, nel pensiero del
nostro io, significando Se stesso continuamente ci riconduce alla nostra
relatività, alla nostra povertà, al nostro bisogno di riferire le cose a Lui.
Quando noi crediamo alle
sue parole, allora ci poniamo il problema di mettere Lui al centro della nostra
vita, perché soltanto li c'è la Verità. È proprio questo problema di mettere
Lui al centro della nostra vita, che ci porta poi al Cristo, che ci fa sentire
il bisogno di avere Uno che ci aiuti a realizzare quello che noi vediamo come
sogno.
Eligio:
In questa prospettiva, in questa visione delle cose il Cristo storico diventa
anche esso un segno…
Luigi:
Certo, è solo un segno; l'incarnazione è un segno, è la ricapitolazione di
tutti i segni. Possiamo dire, in termine universale, che l'incarnazione avviene
già con la creazione dell’uomo; già tutta l'opera creatrice di Dio è un
abbassamento di Dio a livello dell’uomo, per dialogare con l'uomo; è già un
inizio di incarnazione che si conclude poi con il Cristo. Il Cristo è il
compimento dei tempi, la pienezza dei tempi. Cosa vuol dire pienezza dei tempi?
È l'abbassamento di Dio che dialoga con l'uomo.
Quando si dialoga, si
conversa, si dicono tante parole, e nella parola abbiamo l'abbassamento; i
segni ci sono per portarci ad intendere un pensiero: il pensiero è la
conclusione di tutti i segni.
Per cui ad un certo
momento, nel dialogo, si arriva ad una parola unica che si identifica con il
pensiero; dicendo quella parola si passa immediatamente al pensiero.
Ora, se la conversazione è
fatta bene, si arriva a quel punto. La conversazione deve portarci all’estasi,
se è fatta bene. Conversare significa che le parole ci devono portare fino a
quell’orizzonte in cui addirittura non c'è nemmeno più un diaframma; l'ultima
parola che si dice è la presentazione del pensiero: eccolo! Quel punto in
cui il segno quasi si identifica col pensiero, l'ultima parola (in sintesi),
abbiamo il Cristo. È la rivelazione del Pensiero. È la presentazione.
Perché parlando noi
tendiamo a rivelare un pensiero. Dio parlando (siamo a immagine e somiglianza)
tende a rivelare il suo Pensiero, il suo Verbo. Ora, se tutta l'opera creatrice
di Dio è una conversazione rivolta a noi, tutta l'opera di Dio conversa, tende
a portarci al Verbo, che è il suo Pensiero. Cioè Lui tende a rivelarci il suo Pensiero.
Eligio:
Il Verbo che ci parla di cose della terra….
Luigi:
L'incarnazione. Certo. Ma il Verbo incarnato è ancora l'opera che tende a
portarci alla grande rivelazione del Pensiero di Dio; per cui “Mi
conoscerete; quel giorno saprete chi sono io; vedrete chi sono io”. Tutta
quest’opera tende a portarci a quella parola, che è ancora un segno, che si
identifica quasi col pensiero. C'è un punto di passaggio tra i segni e lo
Spirito in cui l'ultimo segno quasi coincide con lo Spirito; per forza, perché
la conversazione tende a questo.
Eligio:
Questo avviene solo in Cristo, ovviamente…
Pinuccia:
Perché in Cristo c'è la persona del Verbo incarnato mentre negli altri segni
non c'è la persona…
Luigi:
Ma certo, è logico, però abbiamo questa conversazione, questo convergere
verso-.
Per cui noi, senza
rendercene conto, seguiamo delle direttrici, perché siamo immersi in una
conversazione di Dio. Il guaio è solo questo: non restiamo nella
conversazione. Noi saltiamo da un sentiero all’altro; anziché seguire in
ascolto, saltiamo; è lì il grande guaio. Perché nel pensiero del nostro io
diventiamo dei saltimbanchi, cioè diventiamo delle creature irrequiete, che
sono incapaci a sostare in una conversazione, ma continuamente saltano da un
argomento all’altro. È questa la nostra superficialità, è questa la nostra
notte; per cui diventiamo incapaci di portare un pensiero.
Eligio:
Che io abbia capito perfettamente, non posso dirlo. Però è un argomento al
quale devo dedicare più pensiero.
Luigi: Comunque,
tutte le opere di Dio nel pensiero dell’io sono segni. Lo scopo di tutti
questi segni è quello di farci superare il pensiero del nostro io, di
riportarci alla trascendenza. Dio ci trascende sempre; quindi in quanto ci
trascende, abbiamo sempre un’opera di segni nel pensiero del nostro io che ci
deve sollecitare a trascenderci, perché soltanto trascendendoci possiamo
conoscere Lui.
Eligio:
Soltanto superando il mondo dei segni.
Luigi:
Sì, il mondo dei segni è necessario, ma essendo necessario deve essere
superato. Per cui ci deve anche essere la fedeltà nel mondo dei segni; per cui “Se
non credete quando vi parlo di cose della terra, come potrete arrivare a…”,
infatti dice “Io parlo in parabole affinché non capiscano”.
Eligio:
Ma “Se non credete…”, presuppone che qualcuno non ha creduto alle cose
della terra.
Luigi:
Non alle cose della terra, ma al parlare di Dio nelle cose della terra:
è una cosa diversa.
Eligio:
Sì, a riguardo delle cose della terra. Ma come si può non credere quando si
parla del seminatore? Che se il seme di grano cade tra i rovi cresce un po’ poi
muore; se cade nella strada viene calpestato; come si può non credere questo?
Allora Lui rimprovererebbe questo? Che non si crede a questi discorsi quando si
riferisce alle sue parabole? Parliamo non come segni.
Luigi:
Non come segni. "Non credete quando Io vi parlo delle cose della
terra". Ora, Gesù parlando delle cose della terra non ci spiega cosa
succede nel grano...; ma è Lui che ci parla perché significa la sua opera
attraverso queste cose. Quindi Lui attraverso queste cose, significa qualche
cosa. Credere vuol dire passare, desiderare la conoscenza del significato.
"Che cosa Lui vuol significare attraverso questo?"; per cui non mi
fermo al segno, non mi fermo al seminatore, non mi fermo al grano, ma vado a
cercare il significato.
L'incontro col Cristo
presuppone sempre in noi la sete di Dio. Quindi se abbiamo la sete di Dio,
sentendo, vedendo Dio operare certe cose, certi avvenimenti, andiamo a cercare
il significato. È questo il credere!
Se io non credo in Dio, se
mi fermo all’avvenimento, lo attribuisco alle creature, alla natura; e dirò: “La
natura è fatta così”. Se io invece credo in Dio, dico: “Questa è opera
di Dio”, credendo che questa è opera di Dio, passo alla ricerca del significato
e mi interrogo: “Perché Dio ha voluto operare così? Perché Dio ha fatto
questo? Perché Dio opera questo?”. Ecco, è la ricerca del significato. Quando
io credo in una persona, cosa succede? Non mi accontento di vedere le cose che
fa quella persona, ma vado a vedere il significato delle cose che fa quella
persona. Ecco cosa vuol dire credere.
Eligio:
Adesso resta più chiaro, perché Gesù queste parole le dice a me, le dice a noi.
Dice: “Quando Io ti parlo delle cose della terra”. Ma cosa sono queste
cose della terra?
Luigi:
Tutto quello che mi accade attorno è tutto un parlare di Dio. Dio parla di cose
della terra, cioè cose che io esperimento.
Eligio:
Sinceramente, se avesse rivolto a me questa domanda io non avrei inteso, perché
penso che Gesù parla sempre del Padre, della Verità, di Dio.
Luigi:
Certo, ma Lui mi parla del Padre, del Regno di Dio, della Verità, attraverso
argomenti che io esperimento. Le cose della terra sono le cose che noi
esperimentiamo. Allora, il grano che cade, se cade in mezzo ai rovi
esperimentiamo che resta soffocato; se cade nelle pietre esperimentiamo che
cresce e poi muore; se cade nel terreno buono esperimentiamo che cresce bene;
se cade sulla strada esperimentiamo che viene calpestato. Ma se lo
esperimentiamo vuol dire che il soggetto è il pensiero del nostro io. Però
se ci fermiamo al grano e pensiamo: “Sì, il grano è fatto così; se cade
sulla strada succede così”, non cogliamo la lezione. Se lo riteniamo opera
di Dio (ecco il credere), pensiamo: “Chissà come mai Dio mi fa vedere che
quel grano che cade sulla strada viene calpestato, chissà come mai? Perché Dio
ha fatto il mondo così? Perché Dio ha fatto il grano così? Perché Dio ha fatto
la terra così?”. E cerchiamo il significato. Questo vuol dire credere.
Eligio:
Quindi se noi non crediamo al significato dei segni che Dio mette attorno a
noi…
Luigi:
Se noi non cerchiamo il significato... ; perché quello che ci fa
cercare il significato è la fede in Dio. In quanto uno ha fede in Dio,
crede che tutto sia opera di Dio e credendo che sia tutta opera di Dio, va a
cercare il motivo per cui Dio fa le cose; “Perché Dio mi manda questa
disgrazia? Perché Dio mi manda questo spettacolo?”.
Eligio:
Questo è il parlare di cose della terra.
Luigi: È
Dio che parla nelle cose della terra, perché parla di cose che sono
esperimentabili da me; me le fa esperimentare. Però in questa sperimentazione
c'è un significato: se io credo, vado alla ricerca del significato. Qui abbiamo
tutta la lezione del significato.
Eligio:
Sì, però non l'avevo mai inteso in quel senso. Non pensavo che il parlare delle
cose della terra si dovesse intendere in questo modo. Io credevo si intendesse
il discorrere di Gesù con gli apostoli, di cose terrene. Cioè non ho mai capito
quando Gesù parlasse di cose della terra.
Luigi:
Non so se è chiaro? Sei convinto Eligio?
Eligio:
Mi resta un dubbio su quello che tu hai detto…
Luigi:
No, io non voglio che tu sia convinto perché l'ho detto io, sia ben chiaro.
Eligio: È
come se dovessi imparare la matematica: non si incomincia dal calcolo
infinitesimale.
Luigi: È
logico…
Eligio:
Mi pare che il processo di estrazione possa prescindere dai segni. Come dico ho
presente Aristotele, però potrei essere fuori strada.
Pinuccia:
Ecco, io vorrei chiedere un’altra cosa. Tu dici che il mondo dei segni è
necessario, ma per scoprire l'esistenza di Dio?
Luigi:
Certo!
Pinuccia:
Perché il Pensiero di Dio è in noi indipendentemente da noi. Io non posso dire
che credo in Dio perché esiste il mondo, no?!
Luigi:
Certo, certo…
Pinuccia: Però
è necessario il mondo perché io scopra l'esistenza di Dio?
Luigi:
Perché io sia richiamato. Perché i segni sono un richiamo. La persona
può anche essere presente, ma è soltanto parlando, attraverso i segni, che mi
richiama a sé.
Dio quando ci crea abita in
noi, ha il suo Spirito in noi, la sua presenza in noi. Però succede che creando
l'uomo, l'uomo cade nel pensiero del suo io, pensa a se stesso. In questa
situazione come fa Dio, all’uomo che pensa a se stesso, come fa a richiamarlo a
Sé? Lo richiama a Sé attraverso la creazione.
Pinuccia:
Allora io credo in Dio perché i segni mi conducono a Dio.
Luigi:
Certo, i segni sono nel pensiero del nostro io e i segni sono l'opera di Dio
nel pensiero del nostro io. Ora, nessuno potrebbe parlare a me se io non lo
avessi presente; quindi la sua presenza è la condizione perché io possa
intendere il suo parlare. Ma se io scappo dalla sua presenza, sono distratto,
come fa a richiamarmi alla sua presenza? Proprio entrando nella mia
distrazione. Se io anziché guardare qui, guardo la finestra, Eligio come
farà per richiamare la mia attenzione? Soltanto buttando una pietra dalla
finestra, perché io sto guardando la finestra. Ora, la finestra rotta diventa
per me un segno di richiamo di colui che ha gettato la pietra.
Tutto il dramma sta nel
fatto che noi non siamo capaci a restare con la vita eterna. Allora succede
questo: Dio è presente, noi scivoliamo perché non siamo capaci a restare, ci
orientiamo ad altro (che è poi il pensiero del nostro io) Dio butta la pietra
dove noi siamo orientati. La pietra è un segno, ma non è un segno perché io la
guardi, ma è un segno in quello che mi ha distratto; a questo punto sono
richiamato a colui che ha gettato la pietra. “Tosa ma can!”. Nino
Damilano ha detto che “Tosa ma can!” in Tanzania vuol dire “Tira la
pietra!”
Baggia:
In sostanza i segni sono un’agevolazione che Dio ci fa per richiamarci a Sé.
Luigi:
Per richiamarci dalla nostra distrazione.
Eligio: È
una necessità per noi?
Luigi: Si,
perché dal momento che noi siamo scivolati nel pensiero del nostro io, abbiamo
bisogno di essere richiamati da questi segni; è opera d’amore, di misericordia.
Tutta la creazione è opera d’amore e di misericordia, ma è una necessità. È
come se io mi avvio su una strada sbagliata: ho la necessità che qualcuno mi
sbarri la strada, che qualcuno mi lanci un richiamo, mi metta un semaforo
rosso, mi avvisi che la strada è sbagliata. Ho la necessità, certo è opera di
misericordia da parte dell’altro. Il semaforo rosso, la strada sbarrata, la
pietra che mi viene buttata sulla macchina non è ancora la strada vera, è
soltanto un segno che mi dice che ho sbagliato strada, è un richiamo alla
strada vera.
Pinuccia:
Però questi segni c'erano già anche prima del peccato di Adamo ed Eva.
Luigi:
Sì, logico.
Eligio:
Scusa, infatti mi fa venire in mente che proprio nel mondo pagano sono stati
utilizzati, parlo sotto il profilo filosofico, nella ricerca di Dio. Aristotele
fa praticamente il processo di Sant’Agostino, senza avere la concezione di un
Dio personale, lui sa solo delle categorie intellettuali che “Il perfetto è
preferibile a ciò che non è perfetto”, che “La Verità è preferibile alla
menzogna”. Sant’Agostino farà poi un passaggio analogo. Hanno notato
l'imperfezione dei segni che avevano attorno per concludere che la perfezione
non era nei segni ma che rimandavano a qualcosa di più perfetto.
Luigi: Teniamo
presente l'incapacità nostra a sostare nel Pensiero di Dio. Sostare con Dio
è già vita eterna, è una continuità con Dio, è una rinascita continua: ed è
vita eterna. E noi per entrare nella vita eterna abbiamo bisogno di tante
lezioni, perché siamo delle creature che passiamo dal nulla al Tutto. Ora,
cosa vuol dire “nulla”? Abbiamo la significazione del nulla anche nel
mondo fisico: ci sono delle particelle che durano un milionesimo di secondo e
delle creature che durano milioni di anni. Ora, il nostro nulla è
l'incostanza, è la capacità di restare con Dio solo un milionesimo di secondo e
poi immediatamente decadere. Ora, Dio lavora su questa nostra capacità di
restare con Lui un milionesimo di secondo per portarci a restare con Lui
nell’eternità. Nel travaglio di cinquanta, sessant’anni, Lui ci fa passare da
questa incostanza, da questa instabilità, rapidissima, velocissima, un pensiero
che immediatamente svanisce, alla capacità di una permanenza con Lui; Lui
lavora per portarci a restare sempre con Lui. Noi non ci rendiamo minimamente
conto del lavoro che Dio fa personalmente con ognuno di noi per farci passare.
Tutto è segno, e nel segno
(perché poi la caratteristica è questa) c'è Dio e c'è anche il nostro io,
altrimenti non sarebbe più segno; quindi in tutta la creazione c'è la
significazione di Dio, ma c'è anche il segno del nostro io. Per cui nella
particella che dura un milionesimo di secondo c'è la significazione di Dio, ma
c'è anche il pensiero del nostro io, l'instabilità nostra; perché altrimenti
noi non ci vediamo. Quindi il segno per noi è segno in quanto troviamo qualcosa
di noi. Nel grano che cade c'è la significazione di Dio ma c'è anche la
significazione del nostro io, per cui noi ci ritroviamo in collegamento: “Io
posso essere questo, io posso essere quell’altro, io posso far fallire il
grano”, e ci ritroviamo. Ecco la caratteristica del segno; per cui il segno
è sempre ambiguo. Se noi pensiamo solo a noi stessi, non pensiamo a Dio, il
segno è rivestito solo del pensiero del nostro io, e scompare la significazione
di Dio. E diventa una tragedia, perché in tutto il mondo vediamo solo più il
pensiero del nostro io, in tutte le creature, vediamo solo più il pensiero del
nostro io e le facciamo ad immagine e somiglianza nostra. Per cui interpretiamo
gli altri uomini, le altre creature, secondo quello che abbiamo in testa, e non
cerchiamo più la verità. E le rivestiamo del pensiero del nostro io, appunto
perché qualche cosa c'è del pensiero del nostro io, proprio perché è segno.
Ma noi, ecco perché è
necessario credere, non dobbiamo vedere i segni solo nel pensiero del nostro
io, ma dobbiamo vederli nel pensiero del nostro io solo in quanto ci
agganciano, e poi dobbiamo cercare di capire cosa Dio ci vuol significare.
Dobbiamo passare al
Pensiero di Dio, quindi superare il pensiero del nostro io; allora andiamo alla
ricerca del significato presso Dio di quel segno. E abbiamo l'opera critica su
noi stessi. Per cui in un primo tempo si crede che il segno voglia dire una
certa cosa, perché si vede il proprio io; poi cercando presso Dio si giunge a
capire: “Ah, ci voleva dire altro!”, e avviene il superamento, la revisione,
quindi la purificazione. Dio opera così per portarci a quella capacità di
sostare, di restare sempre con Lui, di dialogare sempre con Lui, per portarci
alla vita eterna.
Ma la bellezza è che Dio
opera sulla creatura che è instabile al massimo e su questa personalità Dio
descrive, lavora in modo tale da portarla alla stabilità. Alla stabilità
eterna! Ad una stabilità con l'Assoluto, Colui che è Tutto. È il niente che
viene portato al Tutto.
Giovanni:
L'uomo con tutta la sua potenza non riesce a sfamare tutta quella folla…
Luigi:
Certo, pensa alla pesca miracolosa!
Eligio:
Io non avrei mai pensato che questo fosse un parlare di cose della terra…
Luigi:
Ti ricordi quando avevamo parlato di cose del cielo e di cose della terra?!
Avevamo fatto questa distinzione:
·
le cose del cielo sono quelle che
non sono esperimentabili da noi,
·
le cose della terra sono cose
esperimentabili da noi: Dio parla se stesso nelle cose esperimentabili da
noi.
Non è che Lui parli delle
cose della terra per spiegarci le cose della terra, ma Lui nelle cose
esperimentabili da noi significa Se stesso, per portarci a comprendere le cose
non esperimentabili da noi, che sono esperimentabili soltanto in Dio. Non sei
convinto?
Eligio:
Quello che mi ha tratto in inganno è “Se quando vi parlo...”, io pensavo
al parlare discorsivo, cioè al colloquiare, dialogare di argomenti terreni.
Luigi:
No, la chiave di volta è alla fine del Vangelo di San Giovanni (San Giovanni è
molto unitario); la chiave di volta l'abbiamo quando Gesù dice: “Finora vi ho
parlato in parabole, viene l'ora in cui non vi parlo più in parabole, ma
apertamente vi farò conoscere il Padre”. È ancora un parlare, ma è il
parlare che è rivelare, che è presentare. Perché il Verbo viene a parlare di
cose della terra, ma nelle cose della terra ci parla sempre del Padre, fino
al giorno in cui Lui ci rivela il Padre, perché quello è il Suo scopo!
Cina:
Direi che è più facile la seconda parte che la prima…
Eligio:
Infatti San Marco dice che Gesù parlava in parabole, però poi a loro le
spiegava…
Luigi:
Le spiegava a “loro”. Anche lì c'è da precisare chi sono questi “loro”.
Eligio:
Pensava agli apostoli.
Luigi:
Sì, ma chi sono quegli apostoli? Perché Lui dice: “A voi è dato conoscere i
misteri ma agli altri tutto è detto in parabole affinché non capiscano”, è
una dizione famosa! “Affinché non capiscano”, vedi che opera per
accecare?!
Eligio:
Opera per far ravvedere…
Luigi:
Eh già! “Invece a voi…”, a voi chi? "A voi che siete
dentro", non agli altri che sono fuori. E cosa vuol dire essere dentro
ed essere fuori? "A quelli che sono fuori tutto è detto in parabole
affinché non capiscano e a voi che siete dentro le cose vengono spiegate".
L'essere dentro o l'essere fuori è il passaggio; perché fintanto che noi siamo
nel pensiero del nostro io, siamo motivati dall’esterno e allora tutte le
conoscenze le facciamo motivati dall’esterno; e siamo gettati nelle tenebre
esteriori. Qui Dio opera per accecarci, perché crediamo di vedere: “Ah, si,
il mondo è fatto così!”; ed è soltanto tutto un esterno che entra dentro.
Invece chi è nell’amore di Dio, chi ha superato se stesso, chi ha fatto una
scelta, chi pende da Lui, questi è dentro. Ecco per cui chi rinasce da Dio
è dentro al Regno, e chi ci fa entrare è Lui.
Ma fintanto che noi siamo
nel pensiero del nostro io siamo fuori e allora tutte le nostre conoscenze sono
esterne; le conoscenze esterne sono conoscenze di segni.
Emma:
Attraverso le cose esterne Dio opera anche per accecarci?
Luigi:
Sì, certo, infatti opera magari per farci cadere nel male, per farci peccare,
per farci toccare la nostra miseria, per farci compiere un delitto; in tal modo
scopriamo la nostra miseria: “io che mi credevo… guarda che cosa ho fatto!”.
Ma è Dio che l'ha fatto, capisci? Perché ci credevamo..., allora Lui abbassa
per poterci poi dopo tirare su.
Pinuccia:
Però anche a questi discepoli ai quali Gesù spiega le parabole, non parla
ancora apertamente del Padre, lo farà in un tempo successivo….
Luigi:
Certo, del Padre parlerà quando arriverà a dire: “Io vado a prepararvi un
posto, affinché dove sono Io siate anche voi”. È tutto un progredire
dall’esterno all’interno, e all’interno è tutto un progredire di scala in
scala, di gradino in gradino, fino alla Vetta.
Teniamo sempre presente che
noi siamo delle creature, che partiamo dal nulla e dobbiamo arrivare al Tutto.
Non siamo noi che dobbiamo arrivare al Tutto ma è Lui che ci fa arrivare al
Tutto; quindi noi tenendoci uniti a Lui siamo in ascensione. Lui ci fa passare
di gradino in gradino, ci mantiene in ascensione; come noi dimentichiamo Lui,
decadiamo, ritorniamo giù.
Ritornare giù, vuol dire
che aumentiamo la nostra incostanza, la nostra velocità di labilità, per cui
diventiamo sempre più incapaci di sostare, diventiamo massimamente irrequieti;
ma è una irrequietezza interiore. La grande pace è soltanto opera di Dio. Lui
ci fa passare dalla grande irrequietezza, dalla instabilità massima che dura un
milionesimo di secondo di un pensiero, fino alla capacità di restare
eternamente con Lui.
L'eternamente con Lui,
vedere tutto in Lui è pace. Noi passiamo dalla massima
irrequietezza al tutto pace. Ma i passaggi avvengono soltanto in unione con
Lui. È Lui la forza, è Lui l'energia che ci fa passare da un colle all’altro,
da un’altezza all’altra: è Lui che ci fa ascendere; quindi presuppone sempre in
noi la sua presenza. Questa presenza in noi deve sempre essere a noi
possibile sia quando siamo instabili a un milionesimo di secondo a quando
diventiamo capaci di restare con Lui magari per degli anni (per rendere
l'idea, capisci?). Quindi se io sono capace di restare con Lui per un
milionesimo di secondo, se mi fermo con Lui per un milionesimo di secondo, Lui
mi rende capace di restare con Lui per due milionesimi di secondo; se resto con
Lui per due milionesimi di secondo, Lui mi fa passare a tre milionesimi di
secondo e così mi estende, e mi rende duraturo il restare con Lui. La
permanenza è opera sua, non è opera nostra; richiede però da parte nostra
l'adesione, il credere.
Giovanni:
La figura di Nicodemo come si può personalizzare su di noi?
Luigi:
Nicodemo è figura di ognuno di noi, della notte in cui ci troviamo, perché in
questa notte noi crediamo di sapere, crediamo di capire, crediamo di conoscere
anche il Cristo. Quante volte noi diciamo: “Ma io credo! Io credo in Dio! Io
sono religioso!”, ma la nostra fede, la nostra religiosità è tutta basata
su sentito dire. Per cui arriviamo a dire: "io sono religioso perché vado
tutte le domeniche a messa, vado in chiesa ogni tanto, mi trovo con Dio";
non è vera religione il trovarmi con Dio solo quando mi trovo in un certo
posto. "Dio è Spirito", e io sono religioso se mi
preoccupo di restare con Dio quando sono in chiesa e quando sono fuori chiesa,
quando sono in piazza e quando sono in casa, cioè quando prendo coscienza che
in tutto Dio sta parlando con me. Non soltanto parla con me quando sono in
un certo luogo o quando gli do un certo tempo, ma Dio parla con me anche quando
io non sono con Lui.
La religiosità è tener
presente Dio in tutto, è adorazione di Dio in tutto. Noi siamo in una terra che
è sacra, che è tutta di Dio; allora noi siamo religiosi in quanto teniamo
presente Dio in tutto. Quando ci mettiamo questo proposito: “Tutte le cose
le devo riportare a Dio perché in tutto c'è Dio che parla, c'è Dio che opera”,
allora incomincia l'adorazione; che è accogliere tutto dalle mani di Dio, e
accettare tutto da Dio. E ritenendo che in tutto c'è l'opera di Dio, siamo
posti nell’ultima situazione di Nicodemo: la cecità. Infatti ci pone l'esigenza
di capire perché Dio ha fatto il mondo così, perché Dio ci manda certi
avvenimenti, perché Dio ci fa incontrare certe strade, perché Dio ci riduce
così. Ecco, abbiamo bisogno di intendere il significato.
Dunque il bisogno di
intendere il significato è già una conseguenza in noi dell’adorazione, cioè
della presenza di Dio. Perché se invece dimentichiamo Dio, il primo segno
che lo trascuriamo è la non preoccupazione di cercare il significato di quello
che accade; per cui ci accontentiamo delle cose che vediamo e crediamo di
capire.
Angelo:
Nicodemo è già portato alla conoscenza di Dio…
Luigi:
No, Nicodemo si presenta dicendo: “io conosco”, Gesù invece gli fa toccare con
mano che non conosce. Ed è soltanto quando gli fa toccare con mano che non
conosce, che Nicodemo incomincia ad entrare nel silenzio che ascolta. Prima
parlava lui e in quanto parlava lui era fuori posto, era fuori dimensione, era
un uomo ricco...
Angelo:
Comunque era già in contatto con il desiderio di Dio; l'abbassamento è già un
trovare Dio…, è già un desiderio di Dio, no?!
Luigi:
Si, è un desiderio che l'ha portato…; c'è già qualche cosa.
Angelo: È
già una grazia.
Luigi:
Certo, il fatto di aver incontrato Lui è già tutta un’opera di grazia. Tutto è
grazia.
Angelo:
Anche con tutto il suo orgoglio, una cosa e l'altra.
Luigi:
Certo, ma tieni presente che lui è arrivato di notte, ma dentro di sé credeva
di essere illuminato, credeva di essere nella luce, di essere a posto. Quindi
abbiamo una contraddizione con l'ambiente che lo significava; ed era opera di
Dio. Lui portava la notte, perché arrivava di notte, quindi il segno esterno
era la notte, però lui dentro credeva di sapere: quindi c'è una contraddizione.
Dio opera l'autenticità; quindi crea, ci riporta nella dimensione vera, di
creatura bisognosa di luce. È soltanto lì che Cristo incomincia a parlare
veramente, e l'altro diventa capace di ascoltare.
Angelo:
Poi l'ha seguito…
Luigi:
Prima non era capace di ascoltare…
Angelo:
Dopo, dico...
Luigi: Nicodemo
lo ritroviamo solo dopo la morte di Gesù, quando si opera la sepoltura. Ma a
noi non deve interessare. A noi deve interessare solo quello che ci presenta
il Signore come lezione.
Pinuccia:
Già altre volte tu ci hai fatto riflettere sul fatto che noi crediamo in Dio
non perché esistono i segni, non perché esiste il creato, cioè anche se io
fossi nata cieca, sorda e muta, e nessuno mi avesse mai parlato di Dio, il
pensiero di Dio lo scoprirei lo stesso. Allora la necessità dei segni c'è in
quanto mi aiutano a restare in questo Pensiero, non in quanto mi aiutano a
scoprire Dio.
Luigi:
Teniamo sempre presente questo: la creatura, proprio perché è creatura, è un
niente che è chiamato a diventare un tutto con Dio. Cosa vuol dire niente? Niente
nel campo dello Spirito vuol dire instabilità: Dio è stabilità, il niente è
il massimo dell’instabilità. Perché non esiste il niente, esiste l'Essere.
Noi diciamo "niente" alla creatura in quanto non è capace a restare;
quindi abbiamo l'instabilità, quindi il nulla non esiste.
Anche quando parliamo di
morte spirituale: non esiste la morte spirituale, esiste la dispersione. Nel
campo dello Spirito, quello che noi diciamo morte, è dispersione, è sabbia.
Ora, cosa vuol dire dispersione? Cosa vuol dire sabbia? Vuol dire che la
creatura è in balia di tutto, ma c'è. In quanto Dio ci ha chiamati ad
essere, anche se noi falliamo la nostra vita, non diventiamo niente, diventiamo
creature disperse. Creature disperse vuol dire creature che sono in balia
del vento; cioè anziché essere persone, diventano creature che sono il massimo
dell’incostanza, il massimo dell’instabilità, che passano continuamente da una
cosa all’altra.
Pinuccia: E
l'inferno sarebbe questo?
Luigi:
No, non sono nell’inferno; sono creature che passano da una cosa all’altra,
cioè sono incapaci a restare, incapaci a sostare, portate via continuamente;
diciamo che è il vento che porta via. Quel vento che nello Spirito è
breccia, cioè annuncia Dio, per la creatura che ha fallito diventa vento che
porta via, cioè che la rende incapace di ritrovare un luogo di pace. Satana
è definito come colui per cui non si è trovato un luogo di pace né in cielo, né
in terra, né nell’inferno. Dunque quando noi parliamo di creatura, intendiamo
un nulla chiamato al tutto, un nulla come instabilità chiamato alla stabilità,
chiamato all’eternità, alla permanenza. Dio opera su questa nostra pochissima
capacità che Lui ci dà, per chiamarci ad essere; su questa pochissima capacità
di sostare, Lui incomincia a lavorare. E cosa vuol dire questa pochissima
capacità di sostare?
Vuol dire che nella
creatura inizialmente c'è il pensiero di Dio per un attimo, e subito decade nel
pensiero dell’io. In questa decadenza, mentre la creatura precipita nel
pensiero del suo io, Dio la sorprende con i segni, per riportarla alla sua
presenza.
Pinuccia:
Non per far capire che Lui c'è?!
Luigi:
No, perché Lui c'è, la sorprende per riportarla alla sua presenza. Tutta
l'opera di Dio è per riportare noi continuamente alla sua presenza. È poi
quello che all'ultimo Gesù dice al Padre: “Fintanto che ero con loro
continuamente li custodivo nel tuo nome”. Ora, teniamo presente che quello
che dice Gesù, è detto dal Verbo di Dio che parla; e il Verbo di Dio che parla
è il Verbo che parla in tutta la creazione, in tutto l'universo, tutti i giorni
con noi. Ora, Gesù dice che restando con noi ci custodisce nel suo nome.
Ciò vuol dire che noi creature continuamente scappiamo dal suo nome,
continuamente ci allontaniamo da Dio. Il Verbo di Dio ci raccoglie, fa l'opera
di raccolta per custodirci, è come il cane del pastore di fronte al gregge che
continuamente tende ad allargarsi, che tende a disperdersi. Il cane
continuamente opera per riportare la pecora che si disperde. Ora, il Verbo di
Dio opera così.
Noi continuamente tendiamo
a scivolare nel pensiero dell’io, a lasciarci portare via dai segni, dalle
creature, senza passare a Dio; il Verbo continuamente ci richiama
all’essenziale, ci riporta al Padre, fa questa opera di raccoglimento,
attraverso i segni.
Cina:
Mi ha colpito tanto questo: non si è capaci di sostare.
Luigi:
Sì, noi dobbiamo arrivare al punto in cui sostiamo sempre con Dio, in cui siamo
sempre con Dio, qualunque parola sentiamo, qualunque avvenimento ci accada,
qualunque cosa. Noi siamo chiamati a questo.
Cina: Se
non facciamo questo lavoro ci troviamo ancora più dispersi.
Luigi:
Certo. Noi siamo sempre portati via da tutto. Infatti quei segni che in Dio
ci devono raccogliere, se noi non siamo nel pensiero di Dio, diventano motivo
di dispersione, cioè accentuano la nostra instabilità. Per cui, se noi
restiamo con Dio i segni ci raccolgono, perché è il Verbo di Dio che parla, e
ci rendono più stabili; se noi dimentichiamo Dio, se trascuriamo Dio i segni
aumentano la nostra velocità di dispersione nostra, il nostro allontanamento.
San Paolo dice: “Fintanto
che noi viviamo nel corpo (cioè secondo il mondo), noi ci allontaniamo da Dio
con una velocità crescente”. Non restiamo ad un certo livello; no, non è
possibile restare: o si avanza o si indietreggia. Si precipita sempre di
più nell’instabilità, e questo tutti quanti noi lo possiamo toccare con mano.
Perché il problema principale della nostra vita è proprio quello di sfuggire
all’instabilità. Ad un certo momento ci accorgiamo di non essere più nemmeno
capaci a pensare; mentre pensiamo ad una cosa già immediatamente la
dimentichiamo e passiamo ad un’altra e la dimentichiamo, e non sappiamo più che
cosa diciamo. Ecco si arriva addirittura all'incapacità di pensare. Per cui
l'instabilità dall’esterno ad un certo momento diventa interno, si
interiorizza, ci prende l'anima, ci prende la mente, ci prende tutto; e siamo
portati via da tutto, cioè siamo gettati nelle tenebre esteriori.
Le tenebre esteriori, cioè
quando non abbiamo l'abito per restare alle nozze, sono date da tutti quei
segni non considerati come opere di Dio. Questi segni gettano fuori, lacerano
l'anima, lacerano la mente, la volontà, lacerano tutto, perché si diventa
incapaci di tutto. In questa condizione l'abito è stracciato, non è adatto per
le nozze del Figlio.
Cina:
Si capisce quanto è necessario…; è questione di vita o di morte.
Luigi:
Certo, è terribilmente necessario, è essenziale. È ciò di cui Gesù ci parla: “Affinché
non periscano”. Parla di morte, perché c'è questo rischio nella vita di
ogni uomo. Il rischio c'è, altrimenti non ci sarebbe stato bisogno che il
Cristo morisse sulla Croce. Se c'è stato bisogno della Croce vuol dire che
il rischio c'è; quando si parla di salvezza, si parla di salvezza dove c'è il
rischio, dove c'è il pericolo. Non si salva un uomo che sta bene, no?!
Eligio:
C'è comunque una premessa: è il credere a Gesù quando parla di cose della
terra, che sono i segni che noi incontriamo tutti i giorni.
Luigi:
Certo. Ma sei convinto che noi crediamo nei segni soltanto in quanto ne
cerchiamo il significato?
Eligio:
Sì, è il modo di dialogare di Dio con noi, è l'abbassarsi di Dio nella nostra
incapacità di capire il segno che incontro tutti i giorni.
Luigi:
Certo. L'anima di tutto questo problema che si forma in noi è il pensiero di
Dio, perché se io trascuro il pensiero di Dio, per me "è l'uomo che agisce
così, è la natura che agisce così, il mondo è fatto così, il destino è
così...". Per questo noi dobbiamo passare dal segno al significato.
L'anima del passaggio è Dio. Per cui se noi teniamo presente Dio crediamo;
il credere è questo. Infatti tu dicendo "quando mi parlano del grano che
cade nella terra, non ho bisogno di credere perché si vede", ancora non
basta per credere; perché credere vuol dire passare al significato, perché è
Dio che parla. Dobbiamo credere al segno come opera di Dio. Se lo crediamo
salta fuori il problema, è Dio che ci pone il problema e che ci mette in
movimento.
Eligio:
Addirittura salta fuori la grandezza, la magnanimità di Dio, che si abbassa a
dialogare al mio livello, perché diversamente non capirei niente.
Luigi:
Le parole di Gesù che sono più avanti dicono: “Dio ha tanto amato il mondo
da dare il suo unico Figlio…”, questo "dare" è proprio Dio
che si abbassa a dialogare con noi.
Pinuccia:
Quindi la funzione dei segni prima del peccato sarebbe stata quella di
aumentare la conoscenza e non di richiamarci.
Luigi:
Sì, perché Dio opera per la conoscenza. Dio per farsi conoscere deve sempre dialogare
con noi, e dialogare vuol dire scendere al nostro livello. Se voglio dialogare
con un bambino, devo scendere a livello del bambino, perché altrimenti c'è la
frattura, lui non capisce niente. L'arte sta nel scendere a livello del
bambino, e poi nel livello del bambino non accontentare i capricci del bambino,
le pretese del bambino, ma portarlo ad intendere il pensiero. È come
Platone che riusciva a far capire allo schiavo la dimostrazione che la somma
degli angoli è 360°. L'arte sta nel far capire ad un essere che non ha la
capacità di capire, sta nel condurlo a fargli tirar fuori la sapienza che è già
tutta dentro di lui.
Il problema è che noi non
ci interroghiamo, per cui sprechiamo tutto. Il più grande tesoro che Dio ci ha
dato è la possibilità di pensare Lui. Il vero tesoro non sono i beni della
terra. Se noi sapessimo che la possibilità di pensare Lui è un dono immenso,
non sprecheremmo un istante della nostra vita; perché questo ci dà vita, ci
mette in movimento, ci dà la possibilità di superare tutto. Ci immaginiamo cosa
vuol dire: Dio mi ha dato la possibilità di pensarlo?!?
Questo è un dono enorme: ho
la possibilità di pensare Dio.
Eligio:
Chi fermerà questa nostra velocità progressiva di allontanamento?
Luigi:
Eh, quello è terribile…
Giovanni:
La morte.
Luigi:
No, anzi, la morte può sanzionarci, perché c'è una dispersione.